Come funzionano i Dividendi e quando hanno senso nel Portafoglio

Investire in azioni ad alto dividendo per avere una rendita passiva dal proprio portafoglio? Sfruttare i dividendi per crearsi un secondo stipendio senza sforzi? Scegliere azioni che staccano dividendo è meglio che scegliere azioni che non ne distribuiscono? Parliamo di tutto questo nell'episodio di oggi, grazie all'assist dell'ennesimo cialtrone venditore di fumo che promette rendimenti stellari fondati sul nulla.

Difficoltà
32 minuti
The Bull - No Thumb

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Punti Chiave

Il rendimento promesso da dividendi e rendite passive non è un 'secondo stipendio' e spesso è una **truffa**.

Il dividendo non è reddito aggiuntivo, ma un prelievo dal capitale dell'azione, spesso fiscalmente inefficiente.

Il dividend yield elevato può indicare un prezzo basso o una società in difficoltà.

Le Covered Call aumentano il flusso di cassa ma riducono il rendimento totale.

Trascrizione Episodio

Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale

Hai i soldi fermi sul conto e non sai che farne?

Vorresti investirli ma non sai da che parte cominciare?

Ti piacerebbe ottenere un rendimento del 15% dell’anno sulla tua liquidità?

Allora investi nelle migliori azioni da dividendo del 2024!

Applausi a scena aperta!

Finalmente è arrivato il genio della finanza che, incredibile ma vero, è disposto a svelare a me, e proprio a me, i segreti per ottenere incredibili rendimenti grazie ad una selezione segreta di azioni che generano più dividendi delle altre e che quindi mi faranno guadagnare più soldi.

E tutto questo gratis!

Devi solo inserire la tua email e numero di telefono in un form e poi potrai scoprire i 3 settori che cresceranno di più quest’anno.

(ah se poi proprio vuoi anche sapere in che azioni effettivamente investire, beh, lì basta fare un abbonamento annuale da qualche centinaia di euro e preparati a fare anche il 20-30% all’anno).

Eh sì care amiche e cari amici di The Bull, mamma mia questa è solo l’ultima storia vera in cui mi sono imbattuto su Instagram qualche giorno fa.

Ovviamente il profilo Instagram di The Bull è targetizzato esclusivamente su temi di finanza (e di gatti, ormai non riesco a liberarmene) e quindi vengo bombardato sistematicamente dalle peggio cose che ogni cazzaro venditore di fumo si sogna la notte e spiattella il giorno dopo in qualche reel con l’obiettivo di adescare qualche sprovveduto.

E quindi mi è uscita anche sta roba, che diceva appunto: comprati il mio bel corso e ti dirò quali sono le migliori azioni da dividendo nel 2024 che ti faranno guadagnare il 15% sui tuoi soldi fermi sul conto corrente.

Agghiacciante, il mio scam detector è esploso appena ho letto.

Sono andato a vedere di cosa si trattava ed è saltata fuori questa misteriosa società “Italo-Americana” (perché in effetti se metti Americana sembra più seria, se invece dici società di Paderno Dugnano fa un po’ meno esperto di Wall Street).

E puntualmente c’era tutto lo starter pack del truffatore finanziario professionista:

– Promesse di rendimento astronomiche che Jim Simons levati

– Recensioni di entusiasti utenti che hanno fatto un sacco di soldi grazie al loro servizio

– Articoli su discutibili siti di informazione autocelebrativi

– Grafici impennati verso l’alto che parlano di rendimenti del 1000% di qualche azione a caso.

E altrettanto puntualmente manca, come in tutti i siti di questi ciarlatani, il benché minimo straccio di report in cui si documenti effettivamente in cosa hanno investito negli anni per fare ottenere queste performance da capogiro.

Cazzo hai fatto fare ai tuoi clienti mediamente il 20-30% all’anno?

Ma scrivi due righe per farmi sapere in cosa hanno investito e come hanno fatto, no?

E invece, saggiamente, tutto viene accuratamente nascosto.

Però devo dire grazie a questo ennesimo cialtrone, di cui non vi dico il nome per evitare di farvici finire sopra e fare il suo gioco, ma sicuramente vi sarà uscito nei vostri feed su instagram se seguite roba di finanza, cmq dicevo grazie! perché mi ha dato lo spunto per un episodio che, oltre a decialtronizzare il discorso sui dividendi, ci dà anche l’opportunità per capire meglio una cosa che so che a tutti piace, ma su cui in realtà c’è un po’ di confusione, che appunto è sta storia dei dividendi e delle rendite passive.

Spesso i dividendi, che in sé e per sé sono una cosa buona e sana alla base dell’investimento azionario, vengono tirati in ballo per attirare gli investitori ingolositi dall’idea sexy di avere un flusso di cassa sistematico, convinti che in questo modo stiano guadagnando di più (o che addirittura investendo in questa roba uno possa crearsi il famoso secondo stipendio senza fare niente).

Inutile dire che, anche senza sapere nulla di finanza, basta il buon senso per capire che non esiste nulla al mondo che dia grandi benefici senza alcun prezzo da pagare.

L’idea stessa di un secondo stipendio senza sforzo ha solo due opzioni davanti a sé: o è illegale o è una grandissima stronzata.

Vi auguro con tutto il cuore di essere cascati nella seconda, almeno non mi tocca spedirvi le arance a San Vittore.

Cercate di abituate il vostro cervello a decodificare le truffe (o comunque le promesse impossibili) perché più vi appassionerete alla finanza più i vostri social saranno bombardati di contenuti pubblicitari aberranti che vi proporranno soldi facili.

Non serve nessuna competenza approfondita per capire cosa è una bufala e cosa non lo è.

Il vostro algoritmo mentale deve essere: “qualcuno mi sta proponendo di pagare una cifra modesta per offrirmi il segreto per diventare ricco (o comunque per fare soldi senza sforzo?” benissimo, al 100% è una truffa perché se così non fosse:

UNO: chi conosce questo fantomatico segreto sarebbe già ricco e non starebbe a vendere i corsi per qualche centinaio di euro e

DUE: non verrebbe comunque a dirlo a voi perché se esistesse davvero qualche trucco per fare i soldi con la finanza, allora una volta scoperto tutti lo userebbero e quindi smetterebbe di funzionare.

Quindi:

– Soldi facili

– Crea una seconda entrata senza sforzo

– Fai trading 10 minuti al giorno

– Altra stronzata in cui doveste imbattervi

Sono truffe oppure sono cose che apparentemente funzionano, finché una volta ogni tanto sul mercato succede qualcosa di strano e voi perdete tutto in un colpo solo.

Detto questo, veniamo ai dividendi e alla loro frequente incomprensione, che poi spesso permette a gente così di far credere che grazie ai dividendi i soldi possano piovere dal cielo senza sforzo.

Allora, intanto qual è un ragionamento tipico che sento fare.

Molto spesso sento dire che uno investe in certe azioni piuttosto che in altre perché “distribuiscono degli alti dividendi” oppure che vuole crearsi un portafoglio a distribuzione perché così avrà un flusso costante di guadagni in tutte le fasi dei mercati.

Oh ve lo dico! Oggi infrango i vostri sogni di avere un portafoglio di investimenti che vi paghi uno stipendio aggiuntivo o che in qualche modo sovraperformi il mercato grazie ai dividendi (o alla sua versione sotto steroidi basta sulle opzioni coperte).

Allora andiamo con ordine.

Che è un dividendo?

Un dividendo è un importo distribuito dalla società agli azionisti a titolo di remunerazione del capitale investito, come recita il nobile sito di Borsa Italiana.

Detto altrimenti, è un flusso di cassa in denaro che la società distribuisce ai suoi azionisti periodicamente, sulla base delle decisioni prese dal consiglio di amministrazione.

Ora, ci sono moltissime società che appunto distribuiscono questi dividendi da decenni (come le grandi storiche Blue Chip americane alla Procter and Gamble e Coca Cola, ma anche gli stessi sacri nomi della Borsa di Milano come Intesa San Paolo, Unicredit, Enel e via dicendo).

Il dividendo nasce in sostanza come il “premio” che viene riconosciuto agli azionisti per aver investito nella società.

L’azionista mette capitali nella società, questa cresce grazie a questi capitali, fa utili e redistribuisce parte di questi utili agli azionisti.

Questa è un po’ l’essenza estrema del modello capitalistico basato sul rischio d’impresa e sulla partecipazione collettiva attraverso l’investimento del capitale.

Fin qui tutto chiaro.

Intuitivamente è facile capire che, di solito, meglio va una società, più utili produce, maggiori saranno i dividendi distribuiti ai suoi azionisti.

Quest’ultima considerazione, però, è alla base dell’aberrazione secondo cui una società che distribuisce più dividendi sia MEGLIO di una società che ne distribuisce meno o che non ne distribuisce affatto.

A consolidare questa convinzione, tecnicamente errata — quindi non è che, come sempre, sia una mia idea, è proprio una cosa che non ha nessun riscontro nei dati — dicevo a consolidare quest’idea ha contribuito anche il concetto di Dividend Kings e Dividend Aristocrats, che sono le due categorie di eccellenza in cui rientrano le aziende che distribuiscono dividendi con un lungo track record.

I dividend Kings sono quelle società che distribuiscono dividendi crescenti da almeno 50 anni e tra i due esempi più celebri abbiamo Pepsi e il grande amore di Warren Buffett Coca Cola.

I dividend Aristocrats sono quelle società che invece distribuiscono dividendi crescenti da almeno 25 anni e qui troviamo storiche Blue Chip come 3M, IBM, Verizon e, fatto curioso, anche la nostra italianissima fornitrice di servizi di pubblica utilità A2A.

Molto spesso c’è questa associazione tra società di alta qualità e il fatto che esse distribuiscano dividendi, ritenendo che distribuire dividendi sia un indicatore di una maggior solidità finanziaria e un maggior orientamento della società alla crescita di valore per gli azionisti.

Peccato che non sia vero.

Non esiste alcuna correlazione dimostrata tra la crescita di valore di una società è il fatto che questa distribuisca o meno dei dividendi ai propri azionisti.

È un nostro bias ritenere il contrario e ciò a dovuto al fatto che, per come ragioniamo, tendiamo ad avere una contabilità mentale diversa a seconda che parliamo di capitale o di flussi di cassa.

Cioè lo dico in un altro modo.

Per noi essere umani il fatto che un’azione aumenti di valore di 5 € vale meno — tra virgolette — del fatto di ricevere 5 € in cash.

Anche se sono sempre 5 € – e come vedremo quelli in cash valgono pure meno per motivi fiscali — fa stare meglio il nostro cervello ricevere 5 € sul nostro conto piuttosto che vedere il nostro asset cresciuto di valore di 5€.

C’abbiamo proprio questa fissa per il denaro liquido, non ci possiamo fare niente.

Sarà magari per l’idea che meglio un uovo oggi che una gallina domani o che i soldi sul conto sono veri e invece il valore di un’azione è ballerino, però mentre razionalmente questa cosa non ha senso, dal punto di vista emotivo per noi conta molto di più sto fatto di ricevere del denaro liquido.

Ed è per questo, forse, che siamo così attratti da questa cosa dei dividendi anche se, come dimostrato già dal 1961 da Miller e del nostro premio Nobel Franco Modigliani — che fa ridere quando ne parlano in America perché diventa Mo-di-gli-ani — i dividendi sono fondamentalmente irrilevanti nella determinazione del prezzo di un’azione.

Inoltre vi ricordate che due episodi fa abbiamo parlato di Eugene Fama e di Kenneth French e del loro articolo sul ruolo del caso nelle performance dei fondi gestiti da asset manager?

Ecco una ventina di anni prima che pubblicassero quell’articolo, sempre questi due elaborarono un famoso modello noto come “Modello a 5 Fattori”, che sarebbero i 5 fattori che dovrebbero determinare la crescita di un’azione nel lungo termine.

In pratica questi 5 fattori sono:

– Le dimensioni della società (sostenendo che le small-caps in aggregato crescono di più della media delle large caps);

– Il rapporto tra book to market e capitalizzazione, ossia il rapporto tra la differenza tra Asset e Debiti e il prezzo dell’azione moltiplicato per il numero delle azioni disponibili della società (sostenendo qui che maggiore è questo rapporto, maggiore dovrebbe essere il ritorno atteso dal nostro investimento);

– Il rendimento in eccesso rispetto al rendimento di un titolo di stato senza rischio;

– La profittabilità, cioè la prospettiva di futuri guadagni crescenti e infine

– L’investimento in grossi progetti di crescita che avrebbe una ripercussione negativa sul rendimento dell’azione.

Mettendo insieme questi 5 fattori, Fama e French hanno creato un celebre modello che dovrebbe stimare il ritorno atteso di un portafoglio in base alla valorizzazione di questi 5 fattori nelle società che ne fanno parte.

Cosa manca in questo elenco?

I dividendi.

La politica di distribuzione dei dividendi non ha infatti alcun impatto sull’aspettativa di rendimento di una certa azione nel tempo e non è riscontrabile alcuna correlazione diretta tra il fatto che un’azienda distribuisca dividendi e la sua crescita di valore.

Anzi, forse potrebbe essere puro vero il contrario.

Prima però di parlare di questa cosa, risolviamo un dilemma che attanaglia i vostri fragili animi, scossi da quest’idea che vi sto raccontando che i dividendi sono un’illusione ottica.

Voi lo sapete da dove arriva il dividendo di un’azione?

No perché non è che un’azione che stacca un dividendo che vi fa arrivare dei soldi sul conto, quei soldi li crea dal nulla.

Ex nihlo nihil dicevano i latini.

Nulla si crea dal nulla.

E invece c’è quest’idea che quando uno investe in una società che distribuisce dividendi, puff!, a un certo punto magicamente la società regala soldi presi da non si sa dove.

E no cari miei.

I soldi che vi arrivano la società deve andarli a prendere dal suo conto corrente.

Questa cosa ha un impatto sul prezzo delle azioni.

Ora, cosa determina il prezzo di un’azione?

Il prezzo di un’azione è risultato della compravendita di un titolo in borsa sulla base delle aspettative degli investitori rispetto all’andamento futuro di quella società.

Detto in termini più formali, il prezzo di un’azione non esprime altro se non il valore dei futuri flussi di cassa derivanti da quell’investimento attualizzati attraverso un tasso di sconto che equivale al rendimento atteso.

Che poi la chiarezza di questa cosa che ho appena detto suona un po’ come:

SHELDON FORMULA DI DRAKE]

In altri termini il prezzo di un’azione rappresenta la stima da parte del mercato dei benefici futuri che un investimento in essa può portare.

Il valore presente di un beneficio futuro si calcola matematicamente con il modello del Discounted Cash Flow che appunto utilizza un tasso di sconto per attualizzare il valore futuro che equivale appunto al rendimento atteso.

Se io oggi compro un’azione a 100 e mi aspetto che tra un anno valga 110, allora 100 rappresenta il valore presente di quel 110 futuro, attualizzato attraverso un tasso di sconto del 10%.

Non è proprio correttissimo quello che ho appena detto, ma almeno ci siamo capiti.

Ora che succede quando un’azienda stacca un dividendo?

Oh, lo dice la parola stessa: se “stacca” un dividendo, significa che quel che vi viene in tasca non è altro che un pezzetto della vostra azione sotto un’altra forma.

Il giorno in cui avviene lo stacco del dividendo, il prezzo dell’azione cala più o meno tanto quanto l’importo del dividendo, perché chiaramente chi compra l’azione nel giorno del dividendo non ha diritto a percepire il dividendo, quindi sarà disposto a comprare l’azione solo se scontata di un importo corrispondente al prezzo del dividendo distribuito.

Bene, abbiamo quindi capito che se un’azione vale 100 € e stacca un dividendo di 5 €, non è che il mio patrimonio diventa 105!

Resta sempre 100 €, solo che invece che avere 100 € in azioni, avrò 95 € in azioni e 5 € in contanti.

Piccolo problema, però.

Sui dividendi io pago il 26% di tasse.

Quindi in realtà nel momento in cui mi porto a casa i 5€ di dividendo, in realtà sul mio conto ne finiscono 3,70, perché 1 euro e trenta se ne va in tasse.

Capito?

Quindi la strategia che punta a investire in dividendi è solitamente subottimale perché ci fa cacciare fuori più soldi in tasse di quanto non accadrebbe se tutti i dividendi fossero automaticamente reinvestiti.

Facciamo un altro esempio.

Diciamo che compro 100 azioni di una certa società che oggi è quotata 50 €.

Ho quindi 5.000 € di azioni in portafoglio.

Dopo 1 anno quell’azione è cresciuta, evviva evviva, ed è andata a 55 €.

Pertanto mi ritroverò con 5.500 €.

Adesso immaginiamo i due scenari, uno in cui la società distribuisce dividendi e uno in cui ciò non avviene.

Ammettiamo che la società distribuisca il 5% di dividendi per azione.

Se distribuisce il 5% dei miei 5.500 €, io mi troverò 203,50 € sul conto, al netto delle tasse sul dividendo.

Il mio patrimonio totale sarà quindi 5.428,50 €.

Se invece non distribuisce dividendi e io decido di vendere 4 azioni da 55 € l’una, sul mio conto finiranno 214,80 €, al netto delle tasse, mentre il mio patrimonio complessivo sarà di 5.494,80 €.

Come è possibile che senza il dividendo mi trovi ad avere sia più soldi sul conto che più patrimonio totale?

Semplice.

Nel caso dei dividendi pagherei il 26% su tutti i duecento e fischia euro che mi vengono pagati.

Se invece vendo alcune quote, 4 in questo caso, pagherò le tasse solo sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo medio di carico.

Dato che avevo comprato le azioni a 50 e le ho vendute a 55, pagherò le tasse su 5€ per azione.

Questa cosa dovrebbe illustrare bene perché l’idea di avere un portafoglio che distribuisca dei flussi di cassa periodici abbia dei benefici fondamentalmente psicologici, non finanziari.

Ci rassicura l’idea che un certo investimento ci “generi” del reddito, ma quello non è un reddito supplementare, è sempre il nostro investimento, più tassato, che ci torna indietro in forma di denaro invece che di apprezzamento del capitale.

I fan dell’investimento in dividendi vi diranno:

eh no, perché con i dividendi tu continui a ricevere soldi anche in momenti di crisi come un periodo di bear market.

Risposta: e sti gran cazzi!

Sempre soldi miei sono, che tra l’altro vanno a depotenziare l’effetto del rendimento composto.

Spieghiamolo con un altro esempio ipersemplificato, seguitemi un attimo:

Compro 100 azioni a 50 € ciascuna. Ho quindi 5.000 € di portafoglio.

Quest’azione paga sempre il 5% di dividendi.

Nel primo anno però l’azione perde il 10%.

Quindi mi ritrovo 4.500 €.

La società stacca il 5% di dividendi, quindi avrò 166,50 € in cash e 4.275 € nel portafoglio, totale patrimonio tra portafoglio e conto in banca uguale 4.441, 50€.

L’anno dopo la società recupera, fa + 15%.

Il mio portafoglio sale così a 4.916 €.

La società stacca il solito 5% di dividendo e mi arrivano 189 € al netto delle tasse e nel mio portafoglio ho 4.670 € euro.

Il mio patrimonio totale, dunque, sarà di 4.670 € + 189 € di dividendo + i 166,50 dell’anno prima, totale circa 5.019 €.

Ora facciamo lo stesso ragionamento senza dividendi.

Primo anno, azione perde il 10% e io mi ritrovo con 4.500€.

Secondo anno, l’azione guadagna il 15%, mio patrimonio totale 5.175 €.

Oh sorpresa!

Anche attraversando un anno di merda alla fine comunque non mi conviene ricevere dividendi.

L’unico caso in cui avrebbe senso ricevere dividendi è se l’azione non si apprezza più.

Cioè io dovrei continuare a ricevere dividendi fino al punto da superare i soldi che ho speso per comprare le azioni, anche se le azioni continuano a perdere di valore.

In questo caso mi converrebbe sì ricevere i dividendi, ma c’è un’aberrazione in questo ragionamento.

Un’azione che sistematicamente perde valore per tipo 10 anni di fila difficilmente continuerà ad avere grandi dividendi da distribuire, perché probabilmente starà attraversando una fase di declino, profitti sempre più risicati (se non perdite) e una prospettiva di fallimento presto o tardi.

I fan dei dividendi vi diranno inoltre quell’altra cosa, ossia che una società che distribuisce dividendi avrà un maggior orientamento alla crescita di valore per i propri azionisti.

In realtà ni.

Cioè è del tutto irrilevante.
Potrebbe essere orientata alla crescita di valore come anche il contrario, dato che la distribuzione dei dividendi può anche essere vista come assenza di alternative migliori in cui investire i profitti della società, come ad esempio nuovi prodotti, ricerca e sviluppo, apertura di nuovi mercati e così via.

Negli ultimi anni, soprattutto in America si è affermata infatti una modalità diversa di remunerazione degli azionisti che si basa sullo shares buyback.

In sostanza ciò consiste nella pratica di ricomprarsi le proprie azioni, da parte della società stessa.

Quando viene fatto un buyback di fatto si sta indirettamente remunerando gli azionisti senza le implicazioni fiscali della distribuzione del dividendo, perché nel momento in cui le azioni vengono ricomprate dalla società la loro quantità sul mercato si riduce e quindi il prezzo sale.

Curiosità: sapete quale gloriosa società, che ha investito massicciamente nel tempo in altre società che distribuiscono lauti dividendi, non ha mai staccato un solo dollaro di dividendi nel suo oltre mezzo secolo di vita: Berkshire Hathaway.

Chiaro?

Quindi dividendi ok, sono una cosa simpatica, ma non sono un elemento differenziale nella valutazione della qualità di un’azione.

In questo podcast poi non parliamo mai di azioni singole, ci concentriamo sempre su prodotti passivi come Index Funds e, soprattutto, ETF.

Ma chiaramente l’idea è la stessa.

Un ETF ad accumulazione è fiscalmente efficiente e permette di massimizzarne il rendimento composto, un ETF a distribuzione invece incappa nelle medesime tematiche di cui sopra.

Bene.

Ora torniamo alla promessa magica del 15% all’anno di rendimento sicuro come l’oro, a patto poi di sottoscrivere l’abbonamento.

Ora ricordatevi sempre che le bufale finanziare si basano sempre su un fondo di verità.

È questo che le rende convincenti.

In fondo quello che il nostro buon amico pagliaccio di turno ci sta dicendo è che con la sua formidabile selezione di azioni ad alto dividendo ci farà ottenere il 15% di rendimento.

La cosa un po’ tricky è che lui avrà ragione!

Ci farà davvero ottenere il 15% all’anno. Ne sono convinto. Non ho nemmeno toccato quel link altrimenti chissà quante altre porcherie mi finiscono nei feed, però sono certo che lui davvero mi farà avere il 15% di rendimento dal mio capitale.

E allora perché lo sto perculando da venti minuto?

Perché il cosiddetto dividend yield, ossia il rendimento da dividendo non è il rendimento dell’investimento.

Ripeto per chi fosse seduto in fondo.

[Il rendimento da dividendo NON è il rendimento dell’investimento.

Il rendimento di un investimento azionario è composto da due elementi:

– Il valore del dividendo e

– L’apprezzamento del capitale, che poi significa quanto sale o scende il prezzo dell’azione.

Prendiamo Verizon, una Aristocrat a caso, quindi società che da almeno 25 anni ha un track record crescente di anno in anno di distribuzione di dividendi.

Nel 2023 il suo rendimento da dividendo è stato del 6,9%, equivalente a 2,66 dollari per azione, ho preso il dato dal sito del Nasdaq.

Fico no?

Tra l’altro se è un Aristocrat, l’anno prossimo come minimo mi deve dare almeno 2,67 dollari per azione, visto che per rimanere Aristocrat deve incrementare ogni anno la distribuzione dei dividenti.

Se mi mettessi in portafoglio Verizon e un’altra manciata di Aristocrat e il mio 7-8% all’anno non me lo toglie nessuno.

In pratica ho il rendimento atteso dell’azionario globale senza i rischi e la volatilità dell’azionario globale.

Eh sì perché se questi ogni anno pagano i loro bei dividendi con la puntualità di una bolletta della luce, posso anche dimenticarmi che ogni tanto ci sono le crisi finanziarie, tanto questi mi pagano tutti gli anni e io sono a posto.

I più scaltri tra voi avranno già capito dove sta l’inghippo.

Torniamo a Verizon.

Verizon ha sì pagato 2,66 dollari nel 2023, equivalente a circa il 7% del prezzo medio della sua azione.

Ma come è andata l’azione di Verizon nel 2023?

Ha aperto l’anno intorno ai 42 dollari e ha chiuso il 2023 intorno a 38.

Quindi in un anno Verizon ha lasciato per strada circa l’8% di apprezzamento capitale e ha pagato circa il 7% di dividendi.

Facciamo due conti:

– A gennaio 2023 ho comprato 100 azioni di Verizon a 42 dollari, totale 4.200;

– Verizon mi ha pagato 2,66 dollari per azione, quindi 266 € dollari, che poi netti sono 197.

– A fine anno l’azione vale 38,50, quindi il mio patrimonio totale sarà 3.850 + 197 uguale 4.046 dollari.

Capito amici bbelli?

Il fatto che un’azienda paghi un dividendo è assolutamente irrilevante ai fini del vostro rendimento.

Quindi il nostro genio della finanza che vuole venderci il corso per avere il 15% all’anno grazie alle azioni da dividendo ci farà sì avere quel rendimento in termini di flusso di cassa che arriverà sul nostro conto in banca.

Peccato che si dimenticherà di dire che lui e la sua combriccola non hanno la più pallida idea, come tutti del resto, di cosa farà il mercato azionario nel 2024.

Se andrà bene, top, ci cucchiamo i dividendi e l’apprezzamento del capitale.

Se andrà male, ci prendiamo i dividendi, ci paghiamo sopra le tasse e comunque perdiamo soldi.

Tra l’altro in una delle varie bufale raccontate dal “CEO” della società, lui dice che non fa investire in grandi nomi, perché ovviamente hanno un minor potenziale di crescita.

Lui fa investire in società semisconosciute perché è lì che si fanno i soldi veri.

Ora il dividend yield è il rapporto tra il dividendo pagato e il prezzo dell’azione.

Il fatto che il sia alto può voler dire due cose:

– O che il dividendo è alto rispetto al prezzo

– O che il prezzo è basso rispetto al dividendo.

Quindi se una società sta dando un alto rendimento da dividendo, può anche voler dire che il suo prezzo è sempre più basso e quindi la distribuzione di dividendi in realtà sta pregiudicando lo stato di salute delle finanze di quella società.

Pertanto occhio quando si parla di valori che derivano da una divisione, perché il fatto che aumenti il numeratore o che diminuisca il denominatore possono sì portare allo stesso risultato, ma raccontano due storie ben diverse.

E dio solo sa quel famoso rendimento del 15% sulle migliori azioni da dividendo promesso da quel ciarlatano a cosa è dovuto.

Capito come funziona il gioco delle tre carte di chi promette funambolici ritorni grazie alle azioni che staccano dividendi?

Benissimo.

Ora lasciamo gli imbonitori da parte e spezziamo invece qualche lancia a favore delle dividend stocks, altrimenti sembra che in tutto il mondo sono scemi e solo noi abbiamo capito come funziona sta cosa.

Per esempio potrebbe capitarvi di leggere che storicamente le azioni americane che distribuiscono dividendi hanno leggermente sovraperformato l’S&P 500 e ciò sembra in contraddizione con il discorso che abbiamo fatto.

Questo però si basa sulla confusione, come si dice, tra una CAUSA e una CORRELAZIONE.

PUNTO UNO:

Il fatto che le dividend stock abbiano storicamente sovraperformato l’S&P 500 non dipende DALLA distribuzione dei dividendi, dipende esclusivamente dal fatto che sono aziende fighe, spesso con dei monopoli globali e prodotti pazzeschi, che hanno generato una montagna di profitto per un lunghissimo periodo.

Procter and Gamble, Coca Cola, IBM e compagnia bella sono state nel tempo quello che oggi sono Apple, Microsoft, Amazon ecc.

Però attenzione che intanto negli ultimi 20 anni, da quando le aziende tech hanno preso il sopravvento, le dividend stock non sovraperformano più, perché sono invece le grandi aziende Growth — che per definizione non distribuiscono dividendi — a portare il grosso del rendimento azionario.

Ma a parte questo, le grandi Blue Chips americane hanno avuto rendimenti pazzeschi per via dei loro valori fondamentali e in più hanno distribuito dividendi, non il contrario. Cioè non è che siccome distribuiscono dividendi allora hanno garantito rendimenti pazzeschi.

Quindi nella valutazione di un’azione, l’unica cosa che conta sono i valori fondamentali di quella società.

La politica di distribuzione dei dividenti è un fatto del tutto irrilevante sulle aspettative di rendimento.

PUNTO DUE:

Avere dividend stocks nel portafoglio ha senso come avere ETF fattoriali, settoriali, ESG o quelle altre cose di cui abbiamo parlato nell’episodio 57.

Non ha senso PERCHE’ distribuiscono dividendi, ma perché vanno a diversificare la composizione del mio portafoglio.

Se penso che un ETF sull’S&P 500 sia troppo concentrato sulle magnifiche 7, allora può avere senso investire sulle Aristocrat per dare maggior peso a società tipicamente Value e avere una diversificazione maggiore.

Oppure, su portafogli di una certa rilevanza può avere senso avere una quota di dividend stocks per gestire la liquidità a breve termine attraverso i flussi di cassa pagati annualmente dalle società.

Dal 2008 al 2021 questa cosa poteva aver senso, dato che con tassi a zero praticamente non c’era nessuna alternativa all’investimento in azioni.

Oggi, con obbligazioni governative che rendono dal 3 al 5% e quelle high-yield che arrivano anche all’8%, probabilmente ha più senso usare questo tipo di strumenti se l’idea di base è quella di avere un flusso di cassa periodico, anche perché con le obbligazioni, salvo in caso di fallimento dell’emittente, il capitale resta quello, mentre con le azioni fluttua assieme al loro prezzo.

Quindi, long story short.

Investire in azioni che staccano dividendi va benissimo, purché il motivo non sia perché staccano dividendi, ma perché riteniamo che quelle società abbiano senso all’interno del nostro portafoglio.

Se questo tema vi appassiona e volete fare tutte le vostre belle valutazioni su singole azioni, capire le loro performance, le varie metriche come il price/earning ratio o il book to market ratio e, appunto, il rendimento da dividendi (dove ci sono), da quest’anno il nostro partner Scalable ha implementato una nuova funzionalità per i clienti Prime che si chiama “Confronta Azioni” e che in tre click vi fa vedere, per ciascuna delle oltre 7.000 azioni negoziabili sul broker, tutte queste informazioni in tempo reale e vi permette di confrontarle tra di loro.

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Qualora tutto ciò fosse di vostro interesse, potete andare sul sito di Scalable e fare tutto direttamente da lì, oppure attraverso il link che vi lascio negli shownote dell’episodio.

Nel primo caso nessuno in Scalable saprà che ascoltate questo podcast, mentre se usate il link Scalable mi pagherà una commissione con la quale contribuirà all’acquisto del mio nuovo iPhone che quello che uso è vecchio di 6 anni e comincia ad avere le performance di un Nokia 3310.

Prima di chiudere vi parlo di un’idea più evoluta dell’investimento in prodotti orientati alla distribuzione di dividendi che sono quelli che utilizzando al loro interno le cosiddette Covered Call, ossia opzioni call coperte.

Sono estremamente popolari negli Stati Uniti, in Europa a dire il vero un po’ meno, però vedo che stanno cominciando ad esserci diversi ETF che implementano anche qui questa strategia.

In pratica come funzionano.

Un’opzione call coperta non è altro che un contratto che conferisce il diritto a chi lo sottoscrive di poter comprare un certo asset nel futuro ad un prezzo determinato, chiamato strike price, a fronte del pagamento di un premio e si chiama “coperta” quando chi vende l’opzione possiede già l’asset sottostante.

In pratica chi compra l’opzione sta scommettendo sul fatto che il mercato crescerà, mentre chi la vende sta scommettendo che il mercato starà fondamentalmente fermo o leggermente negativo.

Questa roba viene implementata da alcuni ETF che per esempio replicano l’S&P 500 o il Nasdaq e che contestualmente vendono opzioni call coperte.

In situazioni di mercato tranquille o leggermente negative, chi vende opzioni call coperte avrà un rendimento maggiore, perché prenderà soldi extra dalle opzioni e non sarà mai costretto a vendere i suoi asset, dato che alla controparte non converrebbe.

Se il mercato invece ha un rialzo, chi vende l’opzione ci perde perché è costretto a vendere i propri titoli mentre stanno crescendo di valore ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

Ve ne parlo perché mi si è accesa una lampadina ascoltando un famosissimo podcast americano che si chiama The Rich Habits dove ad ogni puntata ultimamente promuovono i prodotti di un loro sponsor che fa esattamente questa cosa, celebrando il sontuoso rendimento del 12% all’anno di un ETF con opzioni sull’S&P 500.

Io non dubito che il flusso di cassa generato dalle opzioni sia del 12% all’anno, quello che non viene detto nel podcast però è qual è il rendimento effettivo dell’ETF.

Cioè, ok che mi arriva il 12% all’anno grazie ai premi pagati da chi compra le opzioni, ma non è chiaro quale sia il valore dell’investimento sull’S&P 500, dato che soprattutto in un anno molto positivo, tendenzialmente mi perderò buona parte dei rendimenti.

Ho fatto un backtest su Portfolio Visualizer e messo a confronto SPY, che è il gran decano di tutti gli ETF, il primo ETF della storia sull’S&P 500 emesso da State Street, con un ETF di Global X che appunto applica la strategia di covered call sull’S&P 500.

Non l’ho fatto con quello sponsorizzato dal podcast, emesso da NEOS, perché esiste da troppo poco per fare un backtest che abbia senso, mentre con quell’altro arrivo fino al 2014.

Risultato?

Ritorno annuo medio di SPY dal 2014 ad oggi: circa 12%.

Ritorno annuo medio di Global X: circa 6%.

Quindi attenzione a non farvi gettare fumo negli occhi quando leggete di promesse di rendimento golose e garantite, perché spesso si tratta solo di metà di tutta la storia.

Sapete invece quale strategia storicamente funziona molto bene?

Non fare assolutamente nulla.

Usare prodotti a basso costo, con ampia esposizione al mercato, ben diversificati e con un’asset allocation in linea con la propria situazione personale.

E basta.

Se volete provare esperimenti particolari fate pure, naturalmente, magari vi dice pure bene.

Altrimenti, Less is more.

Poche cose semplici e di buon senso e probabilmente sarete nel top 20% di tutti gli investitori non professionisti del mondo.

Eccoci qua allora, care amiche e cari amici di THE BULL spero che questo episodio sia stato utile e che possa aiutarvi sia a gestire meglio i vostri investimenti, sia a identificare da lontano i venditori di fumo che come sempre non si capisce bene perché vendono corsi invece che diventare ricchi da soli con i loro prodigiosi segreti.

Un sentito grazie di cuore invece a tutti voi che sempre più numerosi seguite questo podcast, lo consigliate in giro e continuate a tenerlo in alto nelle varie classifiche, soprattutto su Spotify dove ormai abbiamo preso la residenza nella top 20 della classifica generale.

Come da tradizione, vi invito a mettere segui, attivare le notifiche e lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi rovinano il sogno di poter generare un secondo stipendio con i vostri dividendi e che vi fanno identificare i più cazzari propinatori di discutibili strategie finanziarie da un chilometro di distanza sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossima con una puntata specialissima assieme ad Andrea Febbraio per parlare di Bitcoin, Warren Buffett, squali e tanto altro, sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
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