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Confronto tra Portafogli Pigri (60/40, Golden Butterfly, All Weather): strutture, rendimenti di lungo termine (~7-8%) e volatilità.
La performance è influenzata da cicli economici e tassi; fondamentale è la sistematicità e un'asset allocation di buon senso.
Trascrizione Episodio
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Care amiche e cari amici di questo podcast, pochi fronzoli, oggi si parla di Portafogli Pigri!
I cosiddetti Lazy Portfolio sono dei modelli di asset allocation squisitamente Americani, alcuni dei quali molto celebri e replicati, che in qualche modo sono costruiti per essere del tipo, come si dice da quelle parte, “Set it and forget it”, cioè impostali una volta e poi non fare più niente a parte continuare a metterci dentro i soldi mantenendo quell’impostazione e ribilanciando quando sfora un po’.
Era da un po’ che avevo in mente di fare quest’episodio perché tanti tra voi mi scrivono e mi chiedono cosa ne pensi del portafoglio All Weather di Ray Dalio, del Golden Butterfly, del portafoglio di Swensen e di tanti altri in cui vi imbattete leggendo qua e là.
Poi lo spunto definitivo me l’ha dato Market Mover, che è il podcast del Sole 24 ore dedicato alla finanza, che un paio di settimane fa ha dedicato un episodio proprio a questo tema.
Market Mover è un ottimo podcast che consiglio a chiunque, ogni mattina in 10 minuti approfondisce un tema di finanza legato o all’attualità o a tematiche di carattere generale e devo dire che è sempre ben fatto e spesso molto utile.
Certo, molto fa l’ospite che viene invitato a parlare del tema del giorno.
Alcuni sono ospiti ricorrenti, spesso firme del Sole 24 ore, altri vengono invitati ad hoc per parlare di specifici temi di cui magari sono tra i massimi esperti in Italia.
Tra gli ospiti ricorrenti, caso mai vi capitasse di ascoltare questo podcast, vi consiglio di prestare particolare attenzione a Morya Longo, che è uno dei giornalisti più autorevoli del Sole 24 ore su tematiche di natura strettamente finanziaria.
Quando c’è Morya Longo — o quando scrive un articolo sul Sole — fermi tutti, afferrate carta e penna e prendete appunti perché qualunque cosa dirà migliorerà la vostra comprensione della finanza e dei mercati.
Altre volte, invece, Market Mover inciampa in qualche ospite che… mmhhh.. nsomma…
Più di uno tra voi mi ha segnalato quest’episodio sui portafogli pigri, che in realtà avevo sentito subito appena uscito, e devo dire che, nonostante il mio entusiasmo per una puntata dedicata a questo tema, mi è rimasta un po’ di delusione per via del fatto che la trattazione è stata piuttosto in superficie e credo si sia persa un’occasione per far capire agli ascoltatori di quale sia il vero senso dell’investimento nei lazy portfolio.
L’ospite della puntata ha sicuramente toccato i soliti temi di buon senso di cui parliamo qui, come: l’invenzione degli Index Fund da parte di John Bogle, gli ETF, l’idea che gli investimenti passivi battano quelli attivi su orizzonti superiori a 10 anni e così via.
Mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca però perché alla fine dell’episodio, se io non fossi l’autore di un podcast di finanza, credo che non avrei la più pallida idea di come applicare quello che ho ascoltato e forse sarei rimasto pure un po’ scettico rispetto alla reale bontà di questo approccio.
Oltre al fatto che il messaggio che è passato è che i portafogli pigri abbiano sempre un rendimento reale, quindi al netto dell’inflazione, di almeno il 4% all’anno, che su lunghissimi orizzonti temporali è anche corretto, ma ci sono stati anche interi decenni in cui questa cosa non si è verificata.
Invece ad un certo punto è stato fatto l’esempio di un periodo di iperinflazione come gli anni ’70 ed è stato detto che in anni con inflazione al 10% questi portafogli avrebbero fatto almeno il 14 (cosa il più delle volte non vera).
Infatti un portafoglio 60/40 tra il 1972 e il 1983 avrebbe avuto un rendimento reale praticamente pari zero.
Quindi dire che nel lungo termine abbiano sempre avuto un rendimento positivo è corretto, dire invece che in QUALUNQUE periodo abbiano avuto un rendimento positivo non è corretto.
Comunque sia, se volete ascoltatevi l’episodio dell’8 gennaio, mentre noi ora vediamo di capire un po’ meglio cosa sono sti portafogli pigri, come sono fatti e come settare correttamente le aspettative di chi ci investe.
Cominciamo col dire che se volete farvi un’overdose di modelli di asset allocation, the place to be è il sito Portfolio Charts, che vi linko negli shownote dell’episodio.
Su quel sito trovate tutti i portafogli più famosi, le performance, articoli correlati e così via.
Allora di quali portafogli parleremo oggi?
Ce ne sono veramente migliaia di Portafogli Lazy che si potrebbero costruire.
Qua, a titolo di esempio, prendiamo quelli più celebri e significativi per aiutarci a portarci a casa qualche concetto alla base del processo di asset allocation.
I portafogli lazy che ho scelto sono:
– Il 60/40, di cui avevamo peraltro peraltro diffusamente nell’episodio 47
– Il Three Fund Portfolio
– Il Core Four Portfoglio
– Il Golden Butterfly e infine, dulcis in fundo,
– Il portafoglio All Weather di Ray Dalio
Quindi in buona sostanza vedremo dei portafogli composti da 2 ETF fino a 5 ETF.
Bando alle ciance allora, partiamo con questa carrellata.
PORTAFOGLIO A 2 ETF: il 60/40.
C’è un motivo se viene sempre preso questo portafoglio come benchmark di riferimento ogni volta che dobbiamo fare qualche valutazione sulle performance di un investimento a lungo termine diversificato.
Piaccia o non piaccia, il portafoglio composto al 60% da azioni e al 40% da obbligazioni è la scelta “plain vanilla”, ossia la più semplice possibile che ci sia, quando si tratta di impostare un portafoglio che abbia più o meno senso in tutte le fasi della vita.
Partiamo dalla sua composizione.
Nella sua versione classica questo portafoglio era costituito al 60% dal cosiddetto Total Stock Market, ossia l’intero mercato azionario Americano, e al 40% da titoli di stato americani a scadenza intermedia — ricordatevi infatti che tutti questi portafogli sono stati inventati e pensati per gli investitori americani e noi pecoroni tutti giù a copiare!
Non è chiaro se ci sia un inventore di questo portafoglio ma sicuramente John Bogle, il mitologico e leggendario fondatore di Vanguard, era un grande fan di questa impostazione.
Ora, ha senso per me e per voi investire in un 60/40 concentrato al 100% sul mercato Americano?
Ni.
Non è che non si possa fare però da un punto di vista concettuale non sarebbe un’allocazione ottimale, almeno per due motivi:
– UNO: non sarebbe particolarmente diversificato, data la sua concentrazione in un unico mercato, benché sia il più importante e dominante del pianeta;
– DUE: avrebbe una totale dipendenza dal dollaro che, soprattutto sulla parte obbligazionaria, aggiunge una notevole dose di volatilità al nostro portafoglio.
Ora su Portfolio Charts c’è la possibilità di “localizzare” il portafoglio.
C’è infatti questa funzione tramite la quale inserite il Paese in cui vi trovate e lui vi adatta la scelta degli ETF per renderla più idonea rispetto a dove abitate.
Ecco.
Lasciate perdere.
Vien fuori na cagata.
Ho provato a farlo inserendo ovviamente Italia e invece che farmi investire in VTI, che è l’ETF di Vanguard sul total stock market americano, un fondino da appena 300 miliardi di dollari, onnipresente nei portafogli degli Yankees, lui mi proponeva di sostituirlo con un ETF sul FTSE MIB.
Non credo ci sia bisogno di spiegare perché la funzione di localizzazione di Portfolio Charts non funzioni troppo bene…
Cmq, se colleghiamo il cervello e vogliamo fare una versione europea del portafoglio 60/40 cosa possiamo fare?
Le opzioni naturalmente sono infinite e dipende anche da quanti ETF vogliamo usare.
Ma se vogliamo rimanere all’essenziale che più essenziale di così si muore, la scelta potrebbe essere:
– 60% su un ETF che replica l’indice FTSE All World o l’MSCI All Country World (o l’MSCI World se vogliamo solo I paesi sviluppati) e
– 40% su un ETF che replica un qualunque indice di obbligazioni governative Europee (come il Bloomberg Euro Treasuries) o Globali (come il FTSE World’s Government Bonds).
Quindi, azionario globale, sempre con 60%-70% di Stati Uniti e la parte restante divisa tra Europa, Giappone, Canada, Australia, Cina, Mercati Emergenti e tutto il resto.
Sulla parte obbligazionaria entrambe le scelte sono valide.
Se si sceglie l’obbligazionario Europeo si avrà una maggiore stabilità legata al cambio valutario, con quelle globali invece si potrebbe avere accesso a titoli con maggiori rendimenti, ma non mi sento di dire che una scelta sia migliore dell’altra.
Benissimo.
Vediamo il rendimento storico di sto portafoglio qua.
Non prendo quelle di Portfolio Charts perché sono americanocentriche, ma prendo quelle dal punto di vista di un investitore europeo.
Prendo un 60/40 fatto da MSCI All Country e da obbligazionario globale dei paesi sviluppati, così ho più dati, altrimenti con un ETF sull’obbligazionario solo Europeo non riesco ad andare indietro a prima dell’introduzione dell’Euro.
Come abbiamo ricordato un numero di volte che ormai è vicino al Googol, che è quel numerone con 100 zeri da cui deriva il nome del noto motore di ricerca, negli ultimi quasi 40 anni siamo grosso modo su un rendimento medio del 7,5%.
Per essere un portafoglio pigro, con zero sbattimenti e zero ragionamenti, una roba in cui basta solo impostare il piano di accumulo sul vostro broker e praticamente dimenticarsi che esiste, beh, non male direi.
Solito giochino.
500 € al mese investiti dall’87 ad oggi avrebbero trasformato 216.000 euro in oltre un milione.
Così, senza fare una mazza.
Attenzione pero!
Non è sempre tutto oro quel che luccica.
Negli anni 90 sarebbe volato, con anni anche oltre il 30%, mentre nel 2002, 2008 e 2022 si sarebbe preso delle batoste pesanti, tra il 13 e il 18%.
Per l’amor del cielo, nessuna tragedia, però quando inizi ad avere magari 500 mila euro nel portafoglio a gennaio e a dicembre te ne trovi poco più di 400.000, eh, insomma un po’ ti girano e hai voglia a dire “ah che bello così posso comprare azioni a sconto”.
Benché ciò sia corretto, ci sarà comunque la parte di te che solitamente usi per sederti che starà bruciando come un falò.
Comunque, a meno di prendere periodi storici particolari come per esempio il decennio perduto dal 2000 al 2009, decennio nel quale potevi investire in qualunque cosa e avresti perso quasi sempre soldi, in generale il portafoglio ha dimostrato di sostenere questo tipo di performance, intorno al 7%, in varie fasi dei cicli economici.
Questo portafoglio ha senso praticamente sempre.
Siete giovani, siete più avanti negli anni, avete poco capitale, tanto capitale, tendenzialmente fa sempre il suo.
Quando però potrebbe avere meno senso?
Beh, nei 15 anni alle nostre spalle, iniziati con la fine della grande crisi finanziaria e giunti fino ai giorni nostri, avere il 40% di obbligazioni in un contesto macroeconomico caratterizzato da tassi di interesse prossimi allo ZERO non sarebbe stata forse la scelta ottimale.
(anche se comunque il vostro consulente di fiducia della banca sotto casa probabilmente vi avrebbe detto che era una buona idea).
Perché non aveva troppo senso?
PRIMO: perché con tassi a zero la vostra componente obbligazionaria non rendeva praticamente niente;
SECONDO: perché quando i tassi sono a zero, l’economia tende ad essere drogata da un’immensa iniezione di liquidità — come è stato appunto in questo periodo storico — che da un lato favorisce la crescita del mercato azionario, stimola l’acquisto delle case visto che i mutui sono a basso prezzo e via dicendo, ma dall’altro pone le basi per due cose poco simpatiche:
– La crescita del livello generale di indebitamento, tanto di privati, quanto di società e stati; e soprattutto
– Prima o poi c’è il rischio che parta una botta di inflazione, come è stato da fine 2021 ad oggi.
E che si fa quando l’inflazione impenna sulla ruota posteriore?
Semplice.
Le banche centrali alzano i tassi di interesse per raffreddare l’economia e ridurre la quantità di denaro in circolazione.
E cosa succede alle obbligazioni con rendimenti prossimi allo zero quando di botto vengono alzati i tassi di interesse?
Succede che crollano a capofitto e il povero investitore che pensava di ridurre il suo rischio riempendosi la pancia di obbligazioni — come suggerito da suo Cugino che lavora in banca e quindi ne sa — se lo prende in quel posto.
Quindi, tassi bassi e ETF obbligazionari non vanno troppo d’accordo.
Oggi invece, con tassi tra il 4 e il 5% in Europa e Stati Uniti, il portafoglio 60/40 è tornato fortemente in auge dato che la sua componente obbligazionaria restituisce rendimenti interessanti e, per come stanno le cose in questo momento, l’aspettativa del mercato è che le banche centrali taglino i tassi (poco o tanto, presto o tardi) e ciò fa bene ai prezzi delle obbligazioni in portafoglio, come detto anche qui mezzo Googol di volte.
Benissimo, quindi scelta no-brainer, plain vanilla, zero pensieri, portafoglio 60/40 globale, fatto.
Andiamo ora al
PORTAFOGLIO A 3 ETF: il Three Funds Portfolio.
Anche di questo avevamo parlato agli albori di questo podcast, nell’episodio 8 per la precisione.
In qualche modo esso rappresenta un’evoluzione del 60/40 classico, resa celebre, tra gli altri, dai cosiddetti Bogleheads, ossia dai seguaci di John Bogle che hanno creato una vasta community di appassionati investitori che portano avanti le idee del fondatore di Vanguard.
L’evoluzione consiste nel fatto che viene aggiunta un’esposizione ai mercati internazionali, cosa che per un investitore americano è tutt’altro che scontata, dato che per loro investire UGUALE investire nello Stock Market degli Stati Uniti (e come dar loro torto del resto).
Detto questo, come è fatto sto portafoglio.
Più o meno l’idea è:
– Circa 48% di S&P 500 (o comunque total stock market Stati Uniti)
– Circa 12% di Azionario internazionale (quindi tutto il mondo ad esclusione degli Stati Uniti)
– Circa 40% di Obbligazioni a media scadenza.
Ovviamente uno può liberamente aumentare la parte azionaria e trasformare questo portafoglio in un 70/30, 80/20 o quel che vuole, giocando sulle percentuali.
In realtà questo portafoglio ha senso solo per un Americano che vuole superare il suo tradizionale Home Bias e accetta l’idea di investire in roba che si trova al di là dei due oceani, cosa per lui assolutamente contro natura.
Per noi Europei, invece, beh, noi per definizione investiamo su mercati internazionali.
Tra l’altro, anche volendo replicare il Three Fund Portfolio da ste parti, eh non è semplicissimo perché, che io sappia, non esistono ETF globali ex US, che replicano cioè i principali mercati internazionali ad esclusione degli Stati uniti.
Che tra l’altro è una gran rottura di palle a mio modo di vedere, perché ogni volta che voglio mettere due soldi su mercati internazionali devo sempre farlo su singoli ETF, altrimenti finisce che il grosso va sempre negli Stati Uniti.
Detto questo, comunque, un ETF che replica il FTSE All World o l’MSCI All Country, in pratica fa già da solo quel che farebbero i due ETF che usano gli americani, quello sul mercato statunitense e quello globale ex US.
Per replicare lo spirito di un portafoglio di questo tipo, invece, si potrebbe pensare ad un FOUR FUNDS PORTFOLIO, quindi ad un portafoglio a 4 fondi fatto per esempio così:
– 30% Stati Uniti;
– 20% Europa;
– 10% Mercati Emergenti
– 40% Obbligazioni governative Europee o globali a media scadenza.
Questo potrebbe essere un modo per avere una reale esposizione internazionale senza un forte sovrappeso degli Stati Uniti nel portafoglio.
Certo, lasciamo per strada tanti mercati qui: Giappone, Canada, Australia e via dicendo ce li perdiamo.
Però eh sti cazzi, ce ne faremo una ragione.
Detto questo, ha senso per noi Europei il Three Fund Portfolio?
Se ci sta bene l’allocazione di un ETF azionario globale, con 60-70% Stati Uniti e poi tutto il resto, allora in realtà ci bastano 2 ETF (uno azionario globale e uno obbligazionario).
Se invece vogliamo fare come gli Americani e usare un ETF, per esempio, sull’S&P 500 e uno su mercati interazionali, in realtà qui abbiamo scelte un po’ limitate, perché possiamo solo prendere, come secondo ETF, o uno Europeo, oppure uno sui mercati emergenti, o di nuovo uno globale che però avrà dentro soprattutto stati uniti.
Per questo, probabilmente, per un Europeo ha più senso un portafoglio a 4 fondi, qualora volesse scegliersi un’esposizione geografica ad hoc.
Vediamo allora come sarebbe andato nel passato questo portafoglio a 4 fondi.
Sono riuscito a recuperare dati fino al ’94 e in questi 30 anni esatti ci saremmo portati a casa un bel 7% preciso all’anno.
Saliamo di livello e andiamo al
PORTAFOGLIO A 4 ETF: il Core Four Portfolio.
Questo portafoglio è stato reso celebre da Richard Ferri, un consulente finanziario americano noto soprattutto per alcuni libri di grande successo, come All About Asset Allocation, che tra l’altro vanta delle positive recensioni da parte di due mostri sacri come John Bogle e William Bernstein, l’autore dei 4 pilatri dell’investimento, libro che peraltro è da poco disponibile anche in Italiano, che vi consiglio caldamente di leggere.
Come è composto il Cour Four.
Anche qui, molto semplice e molto USA.
– Circa 48% di Azionario americano;
– Circa il 24% in Azionario internazionale;
– Circa 20% di Obbligazionario a media scadenza e infine
– Circa 8% di REIT, ossia di fondi che investono nel settore immobiliare.
La novità rispetto al portafoglio precedente è rappresentata proprio dai REIT, dato che per il resto sarebbe fondamentalmente la stessa cosa del Portafoglio a Tre Fondi.
Agli Americani piace tantissimo investire in REIT e quasi tutti i modelli di portafoglio con una certa complessità hanno dentro una qualche quota di immobiliare.
Ora, ha senso investire in REIT?
Si, no, boh…
Questa è la risposta più intelligente che mi viene.
Eh lo so, che vi devo dire, in finanza non c’è mai una risposta netta su un bel niente, fatevene una ragione e fate pace con la vostra innata esigenza di avere risposte univoche.
Allora intanto ricordiamo cosa sono i REIT.
L’acronimo sta per Real Estate Investment Trust, che sono fondi che investono nel mercato immobiliare (sia commerciale che residenziale) e che distribuiscono una quota molto rilevante di dividendi.
Di solito i REIT, per essere tali, devono investire almeno il 75% del patrimonio in asset immobiliari e distribuire agli azionisti almeno il 90% dei profitti sotto forma di dividendi.
L’offerta di REITS sui mercati europei non è vastissima, su JustETF ne ho contati una trentina, di cui solo una manciata ha una capitalizzazione oltre i 500 milioni di euro.
L’investimento in REITS tendenzialmente risponde a due scopi.
– UNO: diversificare l’esposizione su una diversa asset class rispetto ad azioni e obbligazioni;
– DUE: generare un costante flusso di cassa, in proporzione superiore a quello tipicamente riconosciuto da dividendi e cedole.
Se sul secondo punto può avere il suo senso — al netto di tutte le considerazioni fatte sui dividendi due episodi fa — sul primo in realtà ci sarebbe da discutere.
Il mercato immobiliare ha una correlazione piuttosto stretta con il mercato azionario.
Non è esattamente 1, ossia non si muovono perfettamente all’unisono, però hanno certamente un comportamento comparabile.
Alla fine degli anni ’90 c’è stata una certa biforcazione, con l’azionario che cresceva come un pazzo verso il picco della internet bubble e invece il mercato immobiliare che arrancava.
Poi i due andamenti si sono ricongiunti all’inizio del nuovo millennio, con la crisi dell’azionario dei primi anni duemila e il mercato immobiliare drogato da prodotti derivati, tenendosi poi strettamente a braccetto nel tracollo epocale del 2008 e da lì in poi sono andati abbastanza insieme.
Il rendimento storico dei REIT, comunque, dal 2000 ad oggi ha nettamente sovraperformato quello dell’azionario Americano, circa 9,6% contro 7%.
Se però guardiamo un orizzonte più ampio, che attenua la deformazione delle due crisi dei primi 2000 e del 2008, azionario batte REITs 10% contro 8,5%.
Negli ultimi 15 anni invece non c’è proprio partita, con l’azionario americano che ha fatto quasi il 14% all’anno contro meno del 10% dei REITS.
Il punto, comunque, è che sono fortemente correlati, quindi non è chiaro se ci sia un reale miglioramento del cosiddetto risk-adjusted return, ossia se investendo in REIT il mio portafoglio abbia un’aspettativa di rendimento migliore — a parità di rischio — o un rischio minore — a parità di rendimento.
Comunque anche qui facciamo il solito test e vediamo, nella sua versione europea, come sarebbe andato questo portafoglio.
In questo caso, per un investitore europeo basterebbero 3 fondi, ossia un azionario globale tipo un ETF sul FTSE All World o sull’MSCI All Country World, poi un ETF su obbligazioni governative globali e infine un ETF su REIT globali.
Ho dati dal 1987 ad oggi e lungo questi 37 anni abbiamo un ritorno medio annuo leggermente superiore al, indovinate un po’?, 7% all’anno anche qui.
Passiamo ora al
PORTAFOGLIO A 5 Fondi: il Golden Butterfly.
Questo modello di portafoglio sembra sia stato proposto proprio dal creatore del sito Portfolio Charts e in qualche modo è un’evoluzione del permanent portfolio di Harry Browne, di cui avevamo parlato nell’episodio 8.
Il Permanent Portfolio sarebbe:
– 25% azionario
– 25% obbligazionario a breve termine
– 25% obbligazionario a lungo termine
– 25% di oro.
Il Golden Butterfly aumenta la quota azionaria aggiungendo anche le small caps e il risultato finale è:
– 20% di azionario large cap
– 20% di azionario small cap
– 20% di obbligazionario a breve termine
– 20% di obbligazionario a lungo termine
– 20% di oro.
Semplicissimo.
Io ne ho costruito una versione Europa usando uno dei soliti indici azionari globali (che è fatto quasi esclusivamente di large caps), un azionario globale delle small caps dei paesi sviluppati e poi obbligazioni Europee a breve e lungo termine e infine l’oro.
Ho avuto qualche problema in più a trovare dati che andassero più indietro del 2009, quindi il rendimento medio annuo che mi esce fuori del 7,2% potrebbe non essere perfettamente attendibile.
Se mi baso sulla sua versione americana, dove posso risalire fino al 1978, il suo rendimento si attesta su un 9% all’anno, assolutamente notevole, però sembra che questo rendimento sia una media tra una performance nettamente maggiore fino ai primi anni 90, circa 12%, e una nettamente minore negli ultimi 15 anni, intorno al 7,5%, forse per la combinazione tra alti tassi di interesse e bull market azionario degli anni ’80 che ha portato ad una buona resa per tutte le asset class.
Dal 2009 al 2021, invece, i tassi di interesse rasoterra hanno fatto sì che le obbligazioni non rendessero una cippa e quindi ciò deve aver portato questo portafoglio a sottoperformare.
Comunque la girate, vedete che anche in questo caso, pur con un’asset allocation decisamente meno esposta sull’azionario, la performance di lungo termine converge sempre verso questo 7%, perlomeno dal punto di vista di un investitore europeo con un’esposizione globale e non solo americana.
Qual è la differenza più importante rispetto ai precedenti però?
È la deviazione standard.
Se vi ricordate quello che abbiamo detto qualche episodio fa, la deviazione standard è la misura statistica tramite la quale in finanza viene espresso il rischio di un investimento.
In finanza RISCHIO uguale quanto il rendimento si discosta, in positivo e in negativo, dal rendimento medio atteso per un certo investimento.
Manco a dirlo: un investimento 100% azionario ha una deviazione standard nettamente superiore ad un investimento 100% obbligazionario.
Un portafoglio come il Golden Butterfly non è molto sexy, con il suo 40% scarso in azioni, però a conti fatti ha prodotto un buon rendimento con una volatilità inferiore ad un portafoglio 60/40.
Prendo i dati sempre nella versione Americana, perché ne ho di più, è il risultato che viene fuori è che il Golden Butterfly ha una volatilità inferiore rispetto al 60/40 di circa 1 punto e mezzo percentuale all’anno.
Tradotto, risultati simili, meno montagne russe.
Se metto poi a confronto il Golden Butterfly con l’S&P 500 abbiamo una deviazione standard di quest’ultimo che è quasi il doppio del primo.
(ma ovviamente anche ritorni superiori).
Prima di tirare le conclusioni, ci siamo tenuti alla fine il più famoso dei portafogli pigri, parto del genio di uno dei più grandi investitori di tutti i tempi Ray Dalio.
Spesso lo citiamo, Ray Dalio è il CEO e fondatore di Bridgewater Associates, il più grande Hedge Fund del mondo.
Nel libro di Tony Robbins Soldi, Domina il gioco, Dalio concede una lunga intervista a Robbins e condivide per la prima volta l’idea del suo portafoglio All Weather, ossia per tutte le stagioni, consegnandola alla celebrità universale.
Anche questo è un portafoglio a 5 fondi, così composto:
– 30% azioni;
– 15% obbligazioni a medio termine;
– 40% obbligazioni a lungo termine;
– 7,5% di materie prime e
– 7,5% di oro.
Come racconta anche Robbins nel libro, questo portafoglio ha reso storicamente circa l’8% all’anno, che è decisamente molto buono a fronte di una volatilità molto bassa e il suo livello di rischio relativo molto contenuto, dato che il 55% è investito in titoli di stato e solo il 30% in azioni.
Attenzione però perché anche qui, come con il golden butterfly, in realtà il portafoglio ha funzionato bene fino al 2009-2010.
Poi da quanto è iniziata la politica di tassi a zero della Fed e della BCE, la grossa componente obbligazionaria ha avuto rendimenti bassissimi e il solo 30% di azioni non è riuscito a tenere il passo del lungo bull market degli ultimi anni.
Quindi, 8% ok dagli anni ’70 ad oggi, ma 6,5% scarso negli ultimi 15.
Ho provato a mettere insieme una versione europea anche qui, fatta in questo modo:
– 30% di Azionario globale dei paesi sviluppati;
– 15% di obbligazioni governative europee tra 7 e 10 anni;
– 40% di obbligazioni governative europee tra 15 e 30 anni;
– 7,5% di materie prime e
– 7,5% di oro.
Non ho dati prima del 2006 e il risultato di questi quasi 20 anni è circa un 5% all’anno, per i motivi appena spiegati legati alla bassa performance obbligazionaria.
L’idea dell’All Weather, come noto, è quella di impostare un’asset allocation che teoricamente dovrebbe funzionare in tutte le stagioni dei cicli economici, in particolare:
– Le azioni portano il loro rendimento nelle fasi espansive;
– Le obbligazioni attenuano la volatilità e garantiscono un certo rendimento costante con le loro cedole, creando decorrelazione dalle azioni durante le crisi dei mercati;
– L’oro e le materie prime invece entrano in gioco in contesti ad alta inflazione, che per motivi che sapete bene tendono a far crollare sia azioni che obbligazioni.
Questo portafoglio è stato pensato proprio per l’investitore retail, per il singolo Mister Jones che vuole un rendimento accettabile ma non vuole avere il mal di cuore legato alle montagne russe dei mercati azionari.
Tutto ciò funzionerebbe benissimo, se non fosse che quando Dalio ha pensato a quest’allocation negli anni ’70, difficilmente avrebbe potuto immaginarsi un quindicennio di tassi a zero.
Allora l’idea dominante, in un periodo caratterizzato da altissima inflazione, era che una politica economica delle banche centrali troppo accomodante (UGUALE con tassi bassi che incentivano il ricorso al debito e gli investimenti) avrebbe provocato automaticamente un rialzo dell’inflazione, cosa che i mercati non amano e che le banche centrali avrebbero evitato ad ogni costo.
In realtà negli ultimi 20 anni si è scoperto che questo non è necessariamente vero.
Abbiamo infatti avuto tassi bassissimi e allo stesso tempo bassissima inflazione, almeno fino alla fine del 2021, perché l’enorme disponibilità di capitali sul mercato è stata in qualche modo compensata da una bassa crescita globale (Cina esclusa) e dal progressivo abbassamento dei prezzi di produzione grazie alla globalizzazione.
In questi 20 anni, quindi, abbiamo avuto tassi bassi, poca inflazione, azioni che hanno spaccato, obbligazioni che hanno fatto schifo e All Weather che si è inceppato.
Oggi invece sono curioso di sapere se il genio di Ray Dalio, nel lungo termine, dimostrerà di aver avuto ragione ancora una volta.
Se devo basarmi su tutti gli outlook usciti a fine 2023, di cui abbiamo parlato nell’episodio parodia sulle previsioni per il 2024, non è da escludere che l’All Weather possa tornare a dire la sua.
In pratica le idee su cui convergono un po’ tutti sono:
UNO: l’azionario, soprattutto americano, avrà una performance nei prossimi 10 anni inferiore a quella degli ultimi 10, per via dei suoi attuali prezzi molto alti e di un contesto di tassi d’interesse che non saranno più così accomodanti come in passato;
DUE: l’obbligazionario è tornato a dare buoni rendimenti, per lo stesso motivo.
TRE — e questo lo aggiungo io per gli investitori europei — il dollaro oggi è molto forte e potrebbe quindi avere una traiettoria di indebolimento, cosa che avrebbe un impatto negativo sugli investitori europei con tanto azionario americano in portafoglio.
Se così stanno le cose — e sia chiaro: è tutto da dimostrare, come sapete le previsioni non le imbrocca mai nessuno — però dicevo se così stanno le cose, non è da escludere che un portafoglio con meno azioni, più obbligazioni, materie prime e oro posso performare bene in uno scenario con tassi più alti che in passato, crescita bassa e azionario che stenta.
Sarà effettivamente così? Eh che ne so, boh..
Smonterò tutto il mio portafoglio e lo convertirò in un All Weather? Assolutamente no, ma non perché penso di fare meglio con il mio, semplicemente perché la volatilità del mio portafoglio non è un fattore rilevante in questa fase della mia vita e quindi non sento l’esigenza di attenuare la sua deviazione standard.
Chi avrà ragione? Ne parleremo nell’episodio 15.453 di The Bull. Abbiate un po’ di pazienza.
Detto questo, tiriamo un po’ le somme di tutto il nostro episodio sui portafogli pigri.
– UNO: dovete prendere un portafoglio tra questi e copiarlo paro paro per i vostri investimenti? Se volete sì, altrimenti no, fate un po’ quel che vi pare, l’idea oggi era farvi vedere diversi modelli di asset allocation e permettervi di trovare tra questi l’ispirazione per costruire il portafoglio come volete, in base a ciò che pensate possa rispecchiare meglio le vostre esigenze;
– DUE: avete notato che tutti sti portafogli hanno rendimenti di lungo termine comparabili? Tutti più o meno viaggiano intorno al 7-8%.
Questo non significa che OGNI ANNO faranno il 7-8%, anzi per interi decenni potrebbero mancare l’obiettivo.
Su orizzonti di 20-30 anni, però, tutti quanti tendono a convergere verso questo rendimento.
– TRE: diretta conseguenza di quel che ho appena detto è: non diventate pazzi con il vostro portafoglio. Come vedete, nei singoli anni può succedere di tutto. Nel lungo termine invece l’unica cosa che conta è stare sistematicamente dentro al mercato, con più soldi investiti possibile e con un’asset allocation di buon senso.
Quindi stare ore a spaccarvi la testa per decidere la percentuale esatta da allocare su ogni singolo mercato — come faccio io del resto — non porta probabilmente risultati maggiori che prendere un portafoglio semplice semplice e lasciare che il mercato faccia il suo corso.
Io però mi diverto a giocare al piccolo Ray Dalio, ciascuno ha i propri hobby che volete…
Detto questo accingiamoci a chiudere quest’episodio con il consueto ringraziamento che va a ciascuno di voi che nel frattempo ci ha permesso di sfondare i 300.000 ascolti, quindi 300.000 grazie per ogni volta che avete deciso che stare ad ascoltare la mia voce valeva il vostro tempo.
Ah Elisa True Crime non è più prima in classifica su Spotify perché ora c’è … beh c’è sempre lei ma con un altro podcast ovviamente sempre di True Crime.
Quindi addirittura primo e secondo posto.
Adesso io non dico di arrivare fino a scalzarla, ma magari al terzo posto…
Se anche voi pensate che va bene la cronaca nera, ma pure un po’ di educazione finanziaria non sarebbe una cattiva idea per questo paese, mettete segui e attivate le notifiche su Spotify, Apple Podcast o quel che vi pare e lasciate una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che le regole d’oro per un buon portafoglio sono le stesse che per cuocere alla perfezione una fiorentina sulla brace, ossia toccarla il meno possibile e girarla giusto un paio di volte solo quando serve, sempre nuovi.
Per questo episodio invece, è davvero tutto, e noi ci ritroviamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento della nostra terapia di gruppo di Investori anonomi a raccontare quanto siamo stati bravi a rimetterci sulla retta via della gestione dei nostri soldi, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Care amiche e cari amici di questo podcast, pochi fronzoli, oggi si parla di Portafogli Pigri!
I cosiddetti Lazy Portfolio sono dei modelli di asset allocation squisitamente Americani, alcuni dei quali molto celebri e replicati, che in qualche modo sono costruiti per essere del tipo, come si dice da quelle parte, “Set it and forget it”, cioè impostali una volta e poi non fare più niente a parte continuare a metterci dentro i soldi mantenendo quell’impostazione e ribilanciando quando sfora un po’.
Era da un po’ che avevo in mente di fare quest’episodio perché tanti tra voi mi scrivono e mi chiedono cosa ne pensi del portafoglio All Weather di Ray Dalio, del Golden Butterfly, del portafoglio di Swensen e di tanti altri in cui vi imbattete leggendo qua e là.
Poi lo spunto definitivo me l’ha dato Market Mover, che è il podcast del Sole 24 ore dedicato alla finanza, che un paio di settimane fa ha dedicato un episodio proprio a questo tema.
Market Mover è un ottimo podcast che consiglio a chiunque, ogni mattina in 10 minuti approfondisce un tema di finanza legato o all’attualità o a tematiche di carattere generale e devo dire che è sempre ben fatto e spesso molto utile.
Certo, molto fa l’ospite che viene invitato a parlare del tema del giorno.
Alcuni sono ospiti ricorrenti, spesso firme del Sole 24 ore, altri vengono invitati ad hoc per parlare di specifici temi di cui magari sono tra i massimi esperti in Italia.
Tra gli ospiti ricorrenti, caso mai vi capitasse di ascoltare questo podcast, vi consiglio di prestare particolare attenzione a Morya Longo, che è uno dei giornalisti più autorevoli del Sole 24 ore su tematiche di natura strettamente finanziaria.
Quando c’è Morya Longo — o quando scrive un articolo sul Sole — fermi tutti, afferrate carta e penna e prendete appunti perché qualunque cosa dirà migliorerà la vostra comprensione della finanza e dei mercati.
Altre volte, invece, Market Mover inciampa in qualche ospite che… mmhhh.. nsomma…
Più di uno tra voi mi ha segnalato quest’episodio sui portafogli pigri, che in realtà avevo sentito subito appena uscito, e devo dire che, nonostante il mio entusiasmo per una puntata dedicata a questo tema, mi è rimasta un po’ di delusione per via del fatto che la trattazione è stata piuttosto in superficie e credo si sia persa un’occasione per far capire agli ascoltatori di quale sia il vero senso dell’investimento nei lazy portfolio.
L’ospite della puntata ha sicuramente toccato i soliti temi di buon senso di cui parliamo qui, come: l’invenzione degli Index Fund da parte di John Bogle, gli ETF, l’idea che gli investimenti passivi battano quelli attivi su orizzonti superiori a 10 anni e così via.
Mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca però perché alla fine dell’episodio, se io non fossi l’autore di un podcast di finanza, credo che non avrei la più pallida idea di come applicare quello che ho ascoltato e forse sarei rimasto pure un po’ scettico rispetto alla reale bontà di questo approccio.
Oltre al fatto che il messaggio che è passato è che i portafogli pigri abbiano sempre un rendimento reale, quindi al netto dell’inflazione, di almeno il 4% all’anno, che su lunghissimi orizzonti temporali è anche corretto, ma ci sono stati anche interi decenni in cui questa cosa non si è verificata.
Invece ad un certo punto è stato fatto l’esempio di un periodo di iperinflazione come gli anni ’70 ed è stato detto che in anni con inflazione al 10% questi portafogli avrebbero fatto almeno il 14 (cosa il più delle volte non vera).
Infatti un portafoglio 60/40 tra il 1972 e il 1983 avrebbe avuto un rendimento reale praticamente pari zero.
Quindi dire che nel lungo termine abbiano sempre avuto un rendimento positivo è corretto, dire invece che in QUALUNQUE periodo abbiano avuto un rendimento positivo non è corretto.
Comunque sia, se volete ascoltatevi l’episodio dell’8 gennaio, mentre noi ora vediamo di capire un po’ meglio cosa sono sti portafogli pigri, come sono fatti e come settare correttamente le aspettative di chi ci investe.
Cominciamo col dire che se volete farvi un’overdose di modelli di asset allocation, the place to be è il sito Portfolio Charts, che vi linko negli shownote dell’episodio.
Su quel sito trovate tutti i portafogli più famosi, le performance, articoli correlati e così via.
Allora di quali portafogli parleremo oggi?
Ce ne sono veramente migliaia di Portafogli Lazy che si potrebbero costruire.
Qua, a titolo di esempio, prendiamo quelli più celebri e significativi per aiutarci a portarci a casa qualche concetto alla base del processo di asset allocation.
I portafogli lazy che ho scelto sono:
– Il 60/40, di cui avevamo peraltro peraltro diffusamente nell’episodio 47
– Il Three Fund Portfolio
– Il Core Four Portfoglio
– Il Golden Butterfly e infine, dulcis in fundo,
– Il portafoglio All Weather di Ray Dalio
Quindi in buona sostanza vedremo dei portafogli composti da 2 ETF fino a 5 ETF.
Bando alle ciance allora, partiamo con questa carrellata.
PORTAFOGLIO A 2 ETF: il 60/40.
C’è un motivo se viene sempre preso questo portafoglio come benchmark di riferimento ogni volta che dobbiamo fare qualche valutazione sulle performance di un investimento a lungo termine diversificato.
Piaccia o non piaccia, il portafoglio composto al 60% da azioni e al 40% da obbligazioni è la scelta “plain vanilla”, ossia la più semplice possibile che ci sia, quando si tratta di impostare un portafoglio che abbia più o meno senso in tutte le fasi della vita.
Partiamo dalla sua composizione.
Nella sua versione classica questo portafoglio era costituito al 60% dal cosiddetto Total Stock Market, ossia l’intero mercato azionario Americano, e al 40% da titoli di stato americani a scadenza intermedia — ricordatevi infatti che tutti questi portafogli sono stati inventati e pensati per gli investitori americani e noi pecoroni tutti giù a copiare!
Non è chiaro se ci sia un inventore di questo portafoglio ma sicuramente John Bogle, il mitologico e leggendario fondatore di Vanguard, era un grande fan di questa impostazione.
Ora, ha senso per me e per voi investire in un 60/40 concentrato al 100% sul mercato Americano?
Ni.
Non è che non si possa fare però da un punto di vista concettuale non sarebbe un’allocazione ottimale, almeno per due motivi:
– UNO: non sarebbe particolarmente diversificato, data la sua concentrazione in un unico mercato, benché sia il più importante e dominante del pianeta;
– DUE: avrebbe una totale dipendenza dal dollaro che, soprattutto sulla parte obbligazionaria, aggiunge una notevole dose di volatilità al nostro portafoglio.
Ora su Portfolio Charts c’è la possibilità di “localizzare” il portafoglio.
C’è infatti questa funzione tramite la quale inserite il Paese in cui vi trovate e lui vi adatta la scelta degli ETF per renderla più idonea rispetto a dove abitate.
Ecco.
Lasciate perdere.
Vien fuori na cagata.
Ho provato a farlo inserendo ovviamente Italia e invece che farmi investire in VTI, che è l’ETF di Vanguard sul total stock market americano, un fondino da appena 300 miliardi di dollari, onnipresente nei portafogli degli Yankees, lui mi proponeva di sostituirlo con un ETF sul FTSE MIB.
Non credo ci sia bisogno di spiegare perché la funzione di localizzazione di Portfolio Charts non funzioni troppo bene…
Cmq, se colleghiamo il cervello e vogliamo fare una versione europea del portafoglio 60/40 cosa possiamo fare?
Le opzioni naturalmente sono infinite e dipende anche da quanti ETF vogliamo usare.
Ma se vogliamo rimanere all’essenziale che più essenziale di così si muore, la scelta potrebbe essere:
– 60% su un ETF che replica l’indice FTSE All World o l’MSCI All Country World (o l’MSCI World se vogliamo solo I paesi sviluppati) e
– 40% su un ETF che replica un qualunque indice di obbligazioni governative Europee (come il Bloomberg Euro Treasuries) o Globali (come il FTSE World’s Government Bonds).
Quindi, azionario globale, sempre con 60%-70% di Stati Uniti e la parte restante divisa tra Europa, Giappone, Canada, Australia, Cina, Mercati Emergenti e tutto il resto.
Sulla parte obbligazionaria entrambe le scelte sono valide.
Se si sceglie l’obbligazionario Europeo si avrà una maggiore stabilità legata al cambio valutario, con quelle globali invece si potrebbe avere accesso a titoli con maggiori rendimenti, ma non mi sento di dire che una scelta sia migliore dell’altra.
Benissimo.
Vediamo il rendimento storico di sto portafoglio qua.
Non prendo quelle di Portfolio Charts perché sono americanocentriche, ma prendo quelle dal punto di vista di un investitore europeo.
Prendo un 60/40 fatto da MSCI All Country e da obbligazionario globale dei paesi sviluppati, così ho più dati, altrimenti con un ETF sull’obbligazionario solo Europeo non riesco ad andare indietro a prima dell’introduzione dell’Euro.
Come abbiamo ricordato un numero di volte che ormai è vicino al Googol, che è quel numerone con 100 zeri da cui deriva il nome del noto motore di ricerca, negli ultimi quasi 40 anni siamo grosso modo su un rendimento medio del 7,5%.
Per essere un portafoglio pigro, con zero sbattimenti e zero ragionamenti, una roba in cui basta solo impostare il piano di accumulo sul vostro broker e praticamente dimenticarsi che esiste, beh, non male direi.
Solito giochino.
500 € al mese investiti dall’87 ad oggi avrebbero trasformato 216.000 euro in oltre un milione.
Così, senza fare una mazza.
Attenzione pero!
Non è sempre tutto oro quel che luccica.
Negli anni 90 sarebbe volato, con anni anche oltre il 30%, mentre nel 2002, 2008 e 2022 si sarebbe preso delle batoste pesanti, tra il 13 e il 18%.
Per l’amor del cielo, nessuna tragedia, però quando inizi ad avere magari 500 mila euro nel portafoglio a gennaio e a dicembre te ne trovi poco più di 400.000, eh, insomma un po’ ti girano e hai voglia a dire “ah che bello così posso comprare azioni a sconto”.
Benché ciò sia corretto, ci sarà comunque la parte di te che solitamente usi per sederti che starà bruciando come un falò.
Comunque, a meno di prendere periodi storici particolari come per esempio il decennio perduto dal 2000 al 2009, decennio nel quale potevi investire in qualunque cosa e avresti perso quasi sempre soldi, in generale il portafoglio ha dimostrato di sostenere questo tipo di performance, intorno al 7%, in varie fasi dei cicli economici.
Questo portafoglio ha senso praticamente sempre.
Siete giovani, siete più avanti negli anni, avete poco capitale, tanto capitale, tendenzialmente fa sempre il suo.
Quando però potrebbe avere meno senso?
Beh, nei 15 anni alle nostre spalle, iniziati con la fine della grande crisi finanziaria e giunti fino ai giorni nostri, avere il 40% di obbligazioni in un contesto macroeconomico caratterizzato da tassi di interesse prossimi allo ZERO non sarebbe stata forse la scelta ottimale.
(anche se comunque il vostro consulente di fiducia della banca sotto casa probabilmente vi avrebbe detto che era una buona idea).
Perché non aveva troppo senso?
PRIMO: perché con tassi a zero la vostra componente obbligazionaria non rendeva praticamente niente;
SECONDO: perché quando i tassi sono a zero, l’economia tende ad essere drogata da un’immensa iniezione di liquidità — come è stato appunto in questo periodo storico — che da un lato favorisce la crescita del mercato azionario, stimola l’acquisto delle case visto che i mutui sono a basso prezzo e via dicendo, ma dall’altro pone le basi per due cose poco simpatiche:
– La crescita del livello generale di indebitamento, tanto di privati, quanto di società e stati; e soprattutto
– Prima o poi c’è il rischio che parta una botta di inflazione, come è stato da fine 2021 ad oggi.
E che si fa quando l’inflazione impenna sulla ruota posteriore?
Semplice.
Le banche centrali alzano i tassi di interesse per raffreddare l’economia e ridurre la quantità di denaro in circolazione.
E cosa succede alle obbligazioni con rendimenti prossimi allo zero quando di botto vengono alzati i tassi di interesse?
Succede che crollano a capofitto e il povero investitore che pensava di ridurre il suo rischio riempendosi la pancia di obbligazioni — come suggerito da suo Cugino che lavora in banca e quindi ne sa — se lo prende in quel posto.
Quindi, tassi bassi e ETF obbligazionari non vanno troppo d’accordo.
Oggi invece, con tassi tra il 4 e il 5% in Europa e Stati Uniti, il portafoglio 60/40 è tornato fortemente in auge dato che la sua componente obbligazionaria restituisce rendimenti interessanti e, per come stanno le cose in questo momento, l’aspettativa del mercato è che le banche centrali taglino i tassi (poco o tanto, presto o tardi) e ciò fa bene ai prezzi delle obbligazioni in portafoglio, come detto anche qui mezzo Googol di volte.
Benissimo, quindi scelta no-brainer, plain vanilla, zero pensieri, portafoglio 60/40 globale, fatto.
Andiamo ora al
PORTAFOGLIO A 3 ETF: il Three Funds Portfolio.
Anche di questo avevamo parlato agli albori di questo podcast, nell’episodio 8 per la precisione.
In qualche modo esso rappresenta un’evoluzione del 60/40 classico, resa celebre, tra gli altri, dai cosiddetti Bogleheads, ossia dai seguaci di John Bogle che hanno creato una vasta community di appassionati investitori che portano avanti le idee del fondatore di Vanguard.
L’evoluzione consiste nel fatto che viene aggiunta un’esposizione ai mercati internazionali, cosa che per un investitore americano è tutt’altro che scontata, dato che per loro investire UGUALE investire nello Stock Market degli Stati Uniti (e come dar loro torto del resto).
Detto questo, come è fatto sto portafoglio.
Più o meno l’idea è:
– Circa 48% di S&P 500 (o comunque total stock market Stati Uniti)
– Circa 12% di Azionario internazionale (quindi tutto il mondo ad esclusione degli Stati Uniti)
– Circa 40% di Obbligazioni a media scadenza.
Ovviamente uno può liberamente aumentare la parte azionaria e trasformare questo portafoglio in un 70/30, 80/20 o quel che vuole, giocando sulle percentuali.
In realtà questo portafoglio ha senso solo per un Americano che vuole superare il suo tradizionale Home Bias e accetta l’idea di investire in roba che si trova al di là dei due oceani, cosa per lui assolutamente contro natura.
Per noi Europei, invece, beh, noi per definizione investiamo su mercati internazionali.
Tra l’altro, anche volendo replicare il Three Fund Portfolio da ste parti, eh non è semplicissimo perché, che io sappia, non esistono ETF globali ex US, che replicano cioè i principali mercati internazionali ad esclusione degli Stati uniti.
Che tra l’altro è una gran rottura di palle a mio modo di vedere, perché ogni volta che voglio mettere due soldi su mercati internazionali devo sempre farlo su singoli ETF, altrimenti finisce che il grosso va sempre negli Stati Uniti.
Detto questo, comunque, un ETF che replica il FTSE All World o l’MSCI All Country, in pratica fa già da solo quel che farebbero i due ETF che usano gli americani, quello sul mercato statunitense e quello globale ex US.
Per replicare lo spirito di un portafoglio di questo tipo, invece, si potrebbe pensare ad un FOUR FUNDS PORTFOLIO, quindi ad un portafoglio a 4 fondi fatto per esempio così:
– 30% Stati Uniti;
– 20% Europa;
– 10% Mercati Emergenti
– 40% Obbligazioni governative Europee o globali a media scadenza.
Questo potrebbe essere un modo per avere una reale esposizione internazionale senza un forte sovrappeso degli Stati Uniti nel portafoglio.
Certo, lasciamo per strada tanti mercati qui: Giappone, Canada, Australia e via dicendo ce li perdiamo.
Però eh sti cazzi, ce ne faremo una ragione.
Detto questo, ha senso per noi Europei il Three Fund Portfolio?
Se ci sta bene l’allocazione di un ETF azionario globale, con 60-70% Stati Uniti e poi tutto il resto, allora in realtà ci bastano 2 ETF (uno azionario globale e uno obbligazionario).
Se invece vogliamo fare come gli Americani e usare un ETF, per esempio, sull’S&P 500 e uno su mercati interazionali, in realtà qui abbiamo scelte un po’ limitate, perché possiamo solo prendere, come secondo ETF, o uno Europeo, oppure uno sui mercati emergenti, o di nuovo uno globale che però avrà dentro soprattutto stati uniti.
Per questo, probabilmente, per un Europeo ha più senso un portafoglio a 4 fondi, qualora volesse scegliersi un’esposizione geografica ad hoc.
Vediamo allora come sarebbe andato nel passato questo portafoglio a 4 fondi.
Sono riuscito a recuperare dati fino al ’94 e in questi 30 anni esatti ci saremmo portati a casa un bel 7% preciso all’anno.
Saliamo di livello e andiamo al
PORTAFOGLIO A 4 ETF: il Core Four Portfolio.
Questo portafoglio è stato reso celebre da Richard Ferri, un consulente finanziario americano noto soprattutto per alcuni libri di grande successo, come All About Asset Allocation, che tra l’altro vanta delle positive recensioni da parte di due mostri sacri come John Bogle e William Bernstein, l’autore dei 4 pilatri dell’investimento, libro che peraltro è da poco disponibile anche in Italiano, che vi consiglio caldamente di leggere.
Come è composto il Cour Four.
Anche qui, molto semplice e molto USA.
– Circa 48% di Azionario americano;
– Circa il 24% in Azionario internazionale;
– Circa 20% di Obbligazionario a media scadenza e infine
– Circa 8% di REIT, ossia di fondi che investono nel settore immobiliare.
La novità rispetto al portafoglio precedente è rappresentata proprio dai REIT, dato che per il resto sarebbe fondamentalmente la stessa cosa del Portafoglio a Tre Fondi.
Agli Americani piace tantissimo investire in REIT e quasi tutti i modelli di portafoglio con una certa complessità hanno dentro una qualche quota di immobiliare.
Ora, ha senso investire in REIT?
Si, no, boh…
Questa è la risposta più intelligente che mi viene.
Eh lo so, che vi devo dire, in finanza non c’è mai una risposta netta su un bel niente, fatevene una ragione e fate pace con la vostra innata esigenza di avere risposte univoche.
Allora intanto ricordiamo cosa sono i REIT.
L’acronimo sta per Real Estate Investment Trust, che sono fondi che investono nel mercato immobiliare (sia commerciale che residenziale) e che distribuiscono una quota molto rilevante di dividendi.
Di solito i REIT, per essere tali, devono investire almeno il 75% del patrimonio in asset immobiliari e distribuire agli azionisti almeno il 90% dei profitti sotto forma di dividendi.
L’offerta di REITS sui mercati europei non è vastissima, su JustETF ne ho contati una trentina, di cui solo una manciata ha una capitalizzazione oltre i 500 milioni di euro.
L’investimento in REITS tendenzialmente risponde a due scopi.
– UNO: diversificare l’esposizione su una diversa asset class rispetto ad azioni e obbligazioni;
– DUE: generare un costante flusso di cassa, in proporzione superiore a quello tipicamente riconosciuto da dividendi e cedole.
Se sul secondo punto può avere il suo senso — al netto di tutte le considerazioni fatte sui dividendi due episodi fa — sul primo in realtà ci sarebbe da discutere.
Il mercato immobiliare ha una correlazione piuttosto stretta con il mercato azionario.
Non è esattamente 1, ossia non si muovono perfettamente all’unisono, però hanno certamente un comportamento comparabile.
Alla fine degli anni ’90 c’è stata una certa biforcazione, con l’azionario che cresceva come un pazzo verso il picco della internet bubble e invece il mercato immobiliare che arrancava.
Poi i due andamenti si sono ricongiunti all’inizio del nuovo millennio, con la crisi dell’azionario dei primi anni duemila e il mercato immobiliare drogato da prodotti derivati, tenendosi poi strettamente a braccetto nel tracollo epocale del 2008 e da lì in poi sono andati abbastanza insieme.
Il rendimento storico dei REIT, comunque, dal 2000 ad oggi ha nettamente sovraperformato quello dell’azionario Americano, circa 9,6% contro 7%.
Se però guardiamo un orizzonte più ampio, che attenua la deformazione delle due crisi dei primi 2000 e del 2008, azionario batte REITs 10% contro 8,5%.
Negli ultimi 15 anni invece non c’è proprio partita, con l’azionario americano che ha fatto quasi il 14% all’anno contro meno del 10% dei REITS.
Il punto, comunque, è che sono fortemente correlati, quindi non è chiaro se ci sia un reale miglioramento del cosiddetto risk-adjusted return, ossia se investendo in REIT il mio portafoglio abbia un’aspettativa di rendimento migliore — a parità di rischio — o un rischio minore — a parità di rendimento.
Comunque anche qui facciamo il solito test e vediamo, nella sua versione europea, come sarebbe andato questo portafoglio.
In questo caso, per un investitore europeo basterebbero 3 fondi, ossia un azionario globale tipo un ETF sul FTSE All World o sull’MSCI All Country World, poi un ETF su obbligazioni governative globali e infine un ETF su REIT globali.
Ho dati dal 1987 ad oggi e lungo questi 37 anni abbiamo un ritorno medio annuo leggermente superiore al, indovinate un po’?, 7% all’anno anche qui.
Passiamo ora al
PORTAFOGLIO A 5 Fondi: il Golden Butterfly.
Questo modello di portafoglio sembra sia stato proposto proprio dal creatore del sito Portfolio Charts e in qualche modo è un’evoluzione del permanent portfolio di Harry Browne, di cui avevamo parlato nell’episodio 8.
Il Permanent Portfolio sarebbe:
– 25% azionario
– 25% obbligazionario a breve termine
– 25% obbligazionario a lungo termine
– 25% di oro.
Il Golden Butterfly aumenta la quota azionaria aggiungendo anche le small caps e il risultato finale è:
– 20% di azionario large cap
– 20% di azionario small cap
– 20% di obbligazionario a breve termine
– 20% di obbligazionario a lungo termine
– 20% di oro.
Semplicissimo.
Io ne ho costruito una versione Europa usando uno dei soliti indici azionari globali (che è fatto quasi esclusivamente di large caps), un azionario globale delle small caps dei paesi sviluppati e poi obbligazioni Europee a breve e lungo termine e infine l’oro.
Ho avuto qualche problema in più a trovare dati che andassero più indietro del 2009, quindi il rendimento medio annuo che mi esce fuori del 7,2% potrebbe non essere perfettamente attendibile.
Se mi baso sulla sua versione americana, dove posso risalire fino al 1978, il suo rendimento si attesta su un 9% all’anno, assolutamente notevole, però sembra che questo rendimento sia una media tra una performance nettamente maggiore fino ai primi anni 90, circa 12%, e una nettamente minore negli ultimi 15 anni, intorno al 7,5%, forse per la combinazione tra alti tassi di interesse e bull market azionario degli anni ’80 che ha portato ad una buona resa per tutte le asset class.
Dal 2009 al 2021, invece, i tassi di interesse rasoterra hanno fatto sì che le obbligazioni non rendessero una cippa e quindi ciò deve aver portato questo portafoglio a sottoperformare.
Comunque la girate, vedete che anche in questo caso, pur con un’asset allocation decisamente meno esposta sull’azionario, la performance di lungo termine converge sempre verso questo 7%, perlomeno dal punto di vista di un investitore europeo con un’esposizione globale e non solo americana.
Qual è la differenza più importante rispetto ai precedenti però?
È la deviazione standard.
Se vi ricordate quello che abbiamo detto qualche episodio fa, la deviazione standard è la misura statistica tramite la quale in finanza viene espresso il rischio di un investimento.
In finanza RISCHIO uguale quanto il rendimento si discosta, in positivo e in negativo, dal rendimento medio atteso per un certo investimento.
Manco a dirlo: un investimento 100% azionario ha una deviazione standard nettamente superiore ad un investimento 100% obbligazionario.
Un portafoglio come il Golden Butterfly non è molto sexy, con il suo 40% scarso in azioni, però a conti fatti ha prodotto un buon rendimento con una volatilità inferiore ad un portafoglio 60/40.
Prendo i dati sempre nella versione Americana, perché ne ho di più, è il risultato che viene fuori è che il Golden Butterfly ha una volatilità inferiore rispetto al 60/40 di circa 1 punto e mezzo percentuale all’anno.
Tradotto, risultati simili, meno montagne russe.
Se metto poi a confronto il Golden Butterfly con l’S&P 500 abbiamo una deviazione standard di quest’ultimo che è quasi il doppio del primo.
(ma ovviamente anche ritorni superiori).
Prima di tirare le conclusioni, ci siamo tenuti alla fine il più famoso dei portafogli pigri, parto del genio di uno dei più grandi investitori di tutti i tempi Ray Dalio.
Spesso lo citiamo, Ray Dalio è il CEO e fondatore di Bridgewater Associates, il più grande Hedge Fund del mondo.
Nel libro di Tony Robbins Soldi, Domina il gioco, Dalio concede una lunga intervista a Robbins e condivide per la prima volta l’idea del suo portafoglio All Weather, ossia per tutte le stagioni, consegnandola alla celebrità universale.
Anche questo è un portafoglio a 5 fondi, così composto:
– 30% azioni;
– 15% obbligazioni a medio termine;
– 40% obbligazioni a lungo termine;
– 7,5% di materie prime e
– 7,5% di oro.
Come racconta anche Robbins nel libro, questo portafoglio ha reso storicamente circa l’8% all’anno, che è decisamente molto buono a fronte di una volatilità molto bassa e il suo livello di rischio relativo molto contenuto, dato che il 55% è investito in titoli di stato e solo il 30% in azioni.
Attenzione però perché anche qui, come con il golden butterfly, in realtà il portafoglio ha funzionato bene fino al 2009-2010.
Poi da quanto è iniziata la politica di tassi a zero della Fed e della BCE, la grossa componente obbligazionaria ha avuto rendimenti bassissimi e il solo 30% di azioni non è riuscito a tenere il passo del lungo bull market degli ultimi anni.
Quindi, 8% ok dagli anni ’70 ad oggi, ma 6,5% scarso negli ultimi 15.
Ho provato a mettere insieme una versione europea anche qui, fatta in questo modo:
– 30% di Azionario globale dei paesi sviluppati;
– 15% di obbligazioni governative europee tra 7 e 10 anni;
– 40% di obbligazioni governative europee tra 15 e 30 anni;
– 7,5% di materie prime e
– 7,5% di oro.
Non ho dati prima del 2006 e il risultato di questi quasi 20 anni è circa un 5% all’anno, per i motivi appena spiegati legati alla bassa performance obbligazionaria.
L’idea dell’All Weather, come noto, è quella di impostare un’asset allocation che teoricamente dovrebbe funzionare in tutte le stagioni dei cicli economici, in particolare:
– Le azioni portano il loro rendimento nelle fasi espansive;
– Le obbligazioni attenuano la volatilità e garantiscono un certo rendimento costante con le loro cedole, creando decorrelazione dalle azioni durante le crisi dei mercati;
– L’oro e le materie prime invece entrano in gioco in contesti ad alta inflazione, che per motivi che sapete bene tendono a far crollare sia azioni che obbligazioni.
Questo portafoglio è stato pensato proprio per l’investitore retail, per il singolo Mister Jones che vuole un rendimento accettabile ma non vuole avere il mal di cuore legato alle montagne russe dei mercati azionari.
Tutto ciò funzionerebbe benissimo, se non fosse che quando Dalio ha pensato a quest’allocation negli anni ’70, difficilmente avrebbe potuto immaginarsi un quindicennio di tassi a zero.
Allora l’idea dominante, in un periodo caratterizzato da altissima inflazione, era che una politica economica delle banche centrali troppo accomodante (UGUALE con tassi bassi che incentivano il ricorso al debito e gli investimenti) avrebbe provocato automaticamente un rialzo dell’inflazione, cosa che i mercati non amano e che le banche centrali avrebbero evitato ad ogni costo.
In realtà negli ultimi 20 anni si è scoperto che questo non è necessariamente vero.
Abbiamo infatti avuto tassi bassissimi e allo stesso tempo bassissima inflazione, almeno fino alla fine del 2021, perché l’enorme disponibilità di capitali sul mercato è stata in qualche modo compensata da una bassa crescita globale (Cina esclusa) e dal progressivo abbassamento dei prezzi di produzione grazie alla globalizzazione.
In questi 20 anni, quindi, abbiamo avuto tassi bassi, poca inflazione, azioni che hanno spaccato, obbligazioni che hanno fatto schifo e All Weather che si è inceppato.
Oggi invece sono curioso di sapere se il genio di Ray Dalio, nel lungo termine, dimostrerà di aver avuto ragione ancora una volta.
Se devo basarmi su tutti gli outlook usciti a fine 2023, di cui abbiamo parlato nell’episodio parodia sulle previsioni per il 2024, non è da escludere che l’All Weather possa tornare a dire la sua.
In pratica le idee su cui convergono un po’ tutti sono:
UNO: l’azionario, soprattutto americano, avrà una performance nei prossimi 10 anni inferiore a quella degli ultimi 10, per via dei suoi attuali prezzi molto alti e di un contesto di tassi d’interesse che non saranno più così accomodanti come in passato;
DUE: l’obbligazionario è tornato a dare buoni rendimenti, per lo stesso motivo.
TRE — e questo lo aggiungo io per gli investitori europei — il dollaro oggi è molto forte e potrebbe quindi avere una traiettoria di indebolimento, cosa che avrebbe un impatto negativo sugli investitori europei con tanto azionario americano in portafoglio.
Se così stanno le cose — e sia chiaro: è tutto da dimostrare, come sapete le previsioni non le imbrocca mai nessuno — però dicevo se così stanno le cose, non è da escludere che un portafoglio con meno azioni, più obbligazioni, materie prime e oro posso performare bene in uno scenario con tassi più alti che in passato, crescita bassa e azionario che stenta.
Sarà effettivamente così? Eh che ne so, boh..
Smonterò tutto il mio portafoglio e lo convertirò in un All Weather? Assolutamente no, ma non perché penso di fare meglio con il mio, semplicemente perché la volatilità del mio portafoglio non è un fattore rilevante in questa fase della mia vita e quindi non sento l’esigenza di attenuare la sua deviazione standard.
Chi avrà ragione? Ne parleremo nell’episodio 15.453 di The Bull. Abbiate un po’ di pazienza.
Detto questo, tiriamo un po’ le somme di tutto il nostro episodio sui portafogli pigri.
– UNO: dovete prendere un portafoglio tra questi e copiarlo paro paro per i vostri investimenti? Se volete sì, altrimenti no, fate un po’ quel che vi pare, l’idea oggi era farvi vedere diversi modelli di asset allocation e permettervi di trovare tra questi l’ispirazione per costruire il portafoglio come volete, in base a ciò che pensate possa rispecchiare meglio le vostre esigenze;
– DUE: avete notato che tutti sti portafogli hanno rendimenti di lungo termine comparabili? Tutti più o meno viaggiano intorno al 7-8%.
Questo non significa che OGNI ANNO faranno il 7-8%, anzi per interi decenni potrebbero mancare l’obiettivo.
Su orizzonti di 20-30 anni, però, tutti quanti tendono a convergere verso questo rendimento.
– TRE: diretta conseguenza di quel che ho appena detto è: non diventate pazzi con il vostro portafoglio. Come vedete, nei singoli anni può succedere di tutto. Nel lungo termine invece l’unica cosa che conta è stare sistematicamente dentro al mercato, con più soldi investiti possibile e con un’asset allocation di buon senso.
Quindi stare ore a spaccarvi la testa per decidere la percentuale esatta da allocare su ogni singolo mercato — come faccio io del resto — non porta probabilmente risultati maggiori che prendere un portafoglio semplice semplice e lasciare che il mercato faccia il suo corso.
Io però mi diverto a giocare al piccolo Ray Dalio, ciascuno ha i propri hobby che volete…
Detto questo accingiamoci a chiudere quest’episodio con il consueto ringraziamento che va a ciascuno di voi che nel frattempo ci ha permesso di sfondare i 300.000 ascolti, quindi 300.000 grazie per ogni volta che avete deciso che stare ad ascoltare la mia voce valeva il vostro tempo.
Ah Elisa True Crime non è più prima in classifica su Spotify perché ora c’è … beh c’è sempre lei ma con un altro podcast ovviamente sempre di True Crime.
Quindi addirittura primo e secondo posto.
Adesso io non dico di arrivare fino a scalzarla, ma magari al terzo posto…
Se anche voi pensate che va bene la cronaca nera, ma pure un po’ di educazione finanziaria non sarebbe una cattiva idea per questo paese, mettete segui e attivate le notifiche su Spotify, Apple Podcast o quel che vi pare e lasciate una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che le regole d’oro per un buon portafoglio sono le stesse che per cuocere alla perfezione una fiorentina sulla brace, ossia toccarla il meno possibile e girarla giusto un paio di volte solo quando serve, sempre nuovi.
Per questo episodio invece, è davvero tutto, e noi ci ritroviamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento della nostra terapia di gruppo di Investori anonomi a raccontare quanto siamo stati bravi a rimetterci sulla retta via della gestione dei nostri soldi, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025