8 Consigli per la Diversificazione del Portafoglio
Nell'episodio di oggi parliamo di 8 consigli per diversificare al meglio gli investimenti e ottimizzare il rapporto tra rischio e rendimento. Quali rischi possiamo eliminare, come sono correlate le diverse asset class e quali di esse è meglio avere nel nostro portafoglio.

Risorse
Punti Chiave
Diversificare è fondamentale per eliminare il rischio idiosincratico, che il mercato non remunera, proteggendo il portafoglio.
La semplicità spesso vince: un portafoglio bilanciato 60/40 ha dimostrato di avere un miglior rapporto rischio/rendimento rispetto a soluzioni complesse.
Trascrizione Episodio
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Dopo la parentesi dello scorso episodio nel mondo del venture capital e del private equity con Amedeo Giurazza e Steve Jobs, che ci hanno fatto sognare per una quarantina di minuti immergendoci nel visionario mondo delle startup, oggi torniamo a parlare di cose molto molto pratiche che hanno a che fare con la costruzione ottimale del nostro portafoglio di investimento.
Oh tra l’altro un po’ di voi stanno cominciando a scrivermi “ok, mo’ che c’hai sfrantumato i cosiddetti per ben 90 puntate, le basi le abbiamo capite, adesso vogliamo che ci spieghi le cose più difficili”.
I tanti me lo state dicendo eh, non pensavo!
Fino a 6 mesi molti di voi manco sapevano cos’era un ETF, adesso tutti geni dell’investimento e volete imparare le opzioni, i prodotti strutturati, l’analisi fondamentale e tutta sta roba da pro della finanza.
Mi sa che vi è sfuggito un passaggio nel corso dei precedenti 90 episodi.
Non è che vi parlo di cose base perché quelle non base sono troppo difficili.
O meglio: alcune sono veramente difficili e spiegarle in un podcast senza far vedere due numeri e mezza equazione sarebbe un’impresa.
Ma il punto vero è che, semplicemente, nel 99% dei casi quella roba non vi serve.
Adesso che avete capito la rava e la fava della finanza personale e dell’investimento passivo, la cosa più difficile di tutte e resistere alla tentazione di trasformare in un pericolosissimo gioco d’azzardo la vostra nuova passione per il mondo della finanza.
Investire DEVE essere noioso e dovete fare, con il vostro portafoglio, meno cose possibili.
Questa è la cosa maledettamente difficile.
Stare buoni, fare le cose in maniera intelligente e ponderata, con un’ottica di lungo termine e resistere alle mille tentazioni lungo la via di fare il passo più lungo della gamba.
Detto questo e patti chiari amicizia lunga, comunque, visto che me lo chiedete un po’ per volta andremo ad aggiungere un po’ di complessità alle basi basi basi che abbiamo posto sinora.
Un po’ alla volta.
Piano piano.
Che c’ho messo mesi a persuadere qualche decina di migliaia di Italiani a cominciare a gestire meglio i propri soldi, non vorrei ora farli finire dalla parte opposta e indurli a fare cazzate con i propri investimenti.
L’occasione per l’episodio di oggi invece me l’ha servita su un piatto d’argento l’edizione americana di Morningstar, con un articolo sulle 8 cose che devi sapere per diversificare al meglio il tuo portafoglio.
Grazie Morningstar, ogni tanto spari un po’ di minchiate tipo i consigli che almeno due volte a settimana mi dai per investire in azioni che SICURAMENTE sono sottovalutate e che quindi SICURAMENTE mi faranno fare un botto di soldi, soprattutto poi se compro i tuoi abbonamenti per fare le analisi di sta cippa, però devo dire che questi articoli dove mi prepari la pappa pronta con anche tutti i grafici e i numerini sono sempre graditi.
Quindi ispirato da Morningstar e poi rimaneggiato da me anche per adattare i contenuti all’investitore Italiano e con qualche aggiunta, il menu del giorno prevede:
– Refresh su cosa sia la diversificazione del portafoglio e a cosa serva
– Cosa siano la correlazione tra le diverse asset class e il risk-adjusted return e infine, appunto
– Gli 8 consigli per diversificare al meglio il vostro poderoso portafoglio di investimento.
Prima di cominciare, però, permettetemi di ricordarvi che tutte le elucubrazioni che mi sogno di notte e che poi vi racconto qui sono importantissime ma che importantissimo è anche e soprattutto studiare, approfondire e conoscere.
L’episodio di oggi è gentilmente offerto dal nostro partner 4books, la piattaforma nata da un’idea del venerabilissimo Marco Montemagno che racchiude migliaia di audioriassunti che in una quindicina di minuti sintetizzano tutte le idee principali dei più importanti saggi scritti in materia di Finanza, Economia, Imprenditoria, Marketing, Tecnologia, Salute, Fitness, Cura dei figli, Meditazione, insomma dite un ambito e quello c’è.
15 minuti alla volta e vi fate un percorso introduttivo a qualunque tema vogliate conoscere, passando attraverso tutti i migliori libri mai scritti su quello specifico argomento, ottimizzando in maniera altrimenti impensabile tempo, energie e soldi.
A tal proposito, trovate negli shownote dell’episodio un link per attivare l’abbonamento annuale a 4books a 69 euro e 99 anziché 99,99 e i primi 7 giorni sono gratis. Se vi piace bene, altrimenti in quei 7 giorni vi ascoltate fino a 672 audioriassunti, tanti quanti sono i quarti d’ora in una settimana e poi disdite e nessuno vi chiede un euro.
Se usate il link voi ricevete lo sconto, mentre chi vi parla riceverà da 4books una commissione che avvicinerà il momento in cui smetterò di lavorare perché inizio ad avere una certa età e come Andrea Febbraio voglio solo leggere e fare corsi sulle cose più strampalate della Terra.
Se invece pensate che debba continuare a lavorare per i prossimi 30 anni, andate direttamente sul sito di 4books e fate tutto da lì senza generare commissioni per il sottoscritto.
Detto questo — e anche questa settimana la spesa all’Esselunga ce la siamo portati a casa — veniamo al cuore dell’episodio di oggi.
Allora, DIVERSIFICAZIONE!
Quanto è importante sta cosa qua.
Perché bisogna diversificare?
Ve lo ricordate?
Eh, per quella storia là del rischio no? Di cui abbiamo parlato spesso ultimamente.
Per i più smemorelli, stampatevi bene in testa questa cosa molto molto molto importante.
Adesso diciamo una cosa facile in modo difficile così accontentiamo chi vuole le cose difficili.
Secondo il Capital Asset Pricing Model, che è il modello classico di valutazione del rendimento atteso di un portafoglio di investimento, questo rendimento viene definito dalla formula:
– Rendimento senza rischio (che di solito è quello dei titoli di stato a breve termine e generalmente in Europa si usa il tasso Euribor a 3 mesi mentre in America si usano i buoni del tesoro a breve, chiamati Treasury Bills)
Più
– Beta, che un coefficiente che dice quanto il mio investimento è volatile rispetto al mercato
Moltiplicato per
– Il premio al rischio (che è dato dalla differenza tra il rendimento di mercato e quello del rendimento senza rischio).
Questo Beta moltiplicato il premio al rischio rappresenta il rischio sistemico di un certo investimento (o di un portafoglio di investimento), ossia è la misura della volatilità dell’investimento rispetto al rendimento medio atteso del mercato meno il rendimento senza rischio.
Ricordatevi che in finanza il rischio è definito come la deviazione standard di un asset rispetto al rendimento medio atteso, quindi quanto quell’asset è volatile.
Rischio sistemico è dunque il rischio proprio del mercato in cui sto investendo, o il rischio generale del mio portafoglio rispetto alla sua asset allocation.
In altre parole, il rischio sistemico è il motivo per cui nell’investimento che corre dei rischi, come quello azionari, c’è un “PREMIO” rispetto al rendimento senza rischio proprio per esempio di un titolo di stato a breve termine.
Maggiore il rischio sistemico, maggiore il premio al rischio atteso.
Se il mio portafoglio ha un beta maggiore di 1 significa che la sua volatilità sarà maggiore di quella del suo mercato di riferimento (quindi crescerà di più quando il mercato va bene e e perderà di più quando il mercato va male), mentre succede il contrario quando beta è minore di 1.
L’altro tipo di rischio è invece il rischio specifico o idiosincratico, ossia il rischio derivante dall’investimento in uno specifico asset.
Investire in Nestlé, così per una volta facciamo un esempio europeo che le solite Tesla e Nvidia iniziano a uscirmi dagli occhi, ha un rischio specifico che invece non avrebbe il fatto di investire nell’interno Stoxx 600, di cui Nestlé fa parte.
Il rischio specifico non prevede un premio al rischio, quindi il mercato non remunera — in termini di rendimento atteso — l’investimento in uno specifico asset, perché questo rischio può essere rimosso attraverso la diversificazione.
Il portafoglio ottimale, almeno nell’accezione che Harry Markowitz gli aveva dato, è quello infatti che massimizza il rendimento per un certo livello di rischio (o che minimizza il rischio per un certo rendimento atteso).
Investendo in Nestlé o nello Stoxx 600, in termini di rendimento atteso dovrei aspettarmi lo stesso risultato, ma se parliamo di rendimento “risk-adjusted”, ossia di rendimento commisurato al rischio, quello in Nestlé è un investimento con un rapporto rischio rendimento peggiore, perché oltre al rischio sistemico del suo mercato di riferimento si porta dietro pure il rischio specifico di essere una singola azienda che, benché solidissima, domani potrebbe fallire.
Chiaro?
Che è come dire che se ciascuno di voi che mi state ascoltando compra a caso un’azione dello Stoxx 600, tutti quanti avrete lo stesso rendimento atteso, che è il rendimento medio storico dello Stoxx 600.
Ma mentre qualcuno farà il botto e qualcun altro perderà tutti i suoi soldi, solo chi avrà investito in un ETF sull’intero Stoxx 600 avrà ottenuto il miglior rapporto tra rischio e rendimento atteso, perché avrà solo il rischio sistemico di mercato e nessun rischio specifico.
Quindi Warren Buffett non diversifica perché è forse il più grande genio della storia della finanza.
Noi invece che diversamente da lui siamo una manica di ignoranti in fatto di stock picking e value investing — o meglio io lo sono, poi magari qualcuno tra voi è il Warren Buffett di Cernusco sul Naviglio o il Peter Lynch di Otranto — dicevo noi che non capiamo un cazzo di come pescare solo le aziende migliori dei prossimi decenni DIVERSIFICHIAMO perché è l’unica protezione contro l’ignoranza che abbiamo a disposizione.
DIVERSIFICHIAMO per toglierci dalle palle il rischio specifico, che già quello sistemico ci fa dormire male la notte e quindi basta e avanza.
Quindi l’obiettivo nella costruzione del nostro portafoglio è mettere insieme asset che tra loro ci diano, auspicabilmente, il portafoglio che ha il miglior EXPECTED RISK-ADJUSTED RETURN, ossia il rendimento atteso maggiore dato un certo livello di rischio.
Detto questo, prima di vedere gli 8 consigli rimaneggiati dell’articolo di Morningstar a cui mi sono liberamente ispirato (che è un modo educato per dire che li ho copiati), aggiungiamo un’ultima cosa.
La DIVERSIFICAZIONE di un portafoglio tipicamente avviene a due livelli:
– Il PRIMO LIVELLO riguarda la diversificazione all’interno di una singola asset class, motivo per cui non solo non investo in singole azioni, ma di solito non investo neanche in singole regioni Geografiche o singoli settori, ma con proporzioni diverse in base ai miei gusti investo fondamentalmente in tutto il mondo.
Stesso discorso sulle obbligazioni. Non investo tutto in BTP per motivi che sanno anche i muri di casa mia, ma tramite gli ETF posso investire in centinaia di obbligazioni Europee, Globali, Corporate e via dicendo in un colpo solo.
– IL SECONO LIVELLO invece riguarda la diversificazione tra diverse asset class e questo presuppone la comprensione del concetto di CORRELAZIONE.
La diversificazione tra diverse asset class — o entro certi limiti all’interno di una medesima asset class — presuppone l’idea che i vari elementi del mio portafoglio siano DECORRELATI tra loro.
La correlazione si esprime di solito con numero compreso tra 1 e -1.
Quando due asset hanno una correlazione uguale 1, ciò significa che hanno il medesimo comportamento. Quando una va bene, l’altra va bene, quando una va male, l’altra pure.
Due asset invece con correlazione 0 sono del tutto indipendenti l’una dall’altra e hanno un comportamento che può andare nella stessa direzione o in direzioni differenti.
Infine Due asset con correlazione -1 hanno una perfetta correlazione inversa, ossia quando una va bene l’altra va male e viceversa.
L’abbiamo detta un po’ alla buona, come sempre, se volete un podcast che dice cose in maniera rigorose andate ad annoiarvi da un’altra parte.
Ciò che va capito è che tra le diverse asset class ci sono diversi rapporti di correlazione — che generalmente non hanno mai valori così netti come Zero, Uno e Meno uno, ma più verosimilmente zero virgola qualcosa.
Quando costruisco il mio portafoglio otterrò allora il miglior risk-adjusted return utilizzando asset tra loro decorrelati perché, probabilmente, a parità di rendimento atteso faranno sì che il mio portafoglio avrà minore volatilità.
Ora capire il rapporto di correlazione è importante perché altrimenti uno pensa di costruire il proprio portafoglio a regola d’arte, diversificando l’impossibile, e poi magari salta fuori che ha dentro si un macello di asset diversi, ma che in realtà sono molto più correlati tra loro di quel che si crede e quindi non svolgeranno la loro funzione di contrappeso come invece mi aspetterei.
Fatte ste premesse, veniamo agli otto consigli per una buona diversificazione del portafoglio.
CONSIGLIO NUMERO UNO:
Beh, scusate per la banalità, ma il primo consiglio è tanto un “grazie al cazzo” quanto la cosa più di buon senso da cui partire ossia: “diversificare è importante perché non si può prevedere quale asset class andrà meglio in ogni singolo anno”.
Cercate su Google qualunque grafico che vi mostri il rendimento delle diverse asset class negli ultimi 20 anni e ogni anno vedrete diversi vincitori e perdenti.
Sul profilo instagram di The Bull avevamo pubblicato un post qualche mese fa in cui mostravamo quest’infografica di Blackrock che faceva vedere in maniera evidente come in ogni singolo anno dal 2000 ad oggi, la performance di Azioni Americane, Azioni Europee, Mercati Emergenti, Obbligazioni Investment Grade, High Yield, Real Estate, Oro, Materie Prime e così via sono state fondamentalmente casuali in ogni singolo anno.
Per esempio nel 2022 le materie prime sono state le grandi vincitrici, con una crescita media dell’asset class del 22%, quando invece il mercato azionario Americano e Europeo si è preso una bella batosta tra il -15 e il -20%.
Nel 2023 invece, le materie prime sono state fondamentalmente piatte, mentre l’S&P 500 come sapete bene ha avuto un anno fantastico, con oltre il 25% di crescita.
Anche tra le stesse asset class le situazioni possono essere molto diverse. Nel 2017 per esempio il mercato Cinese è cresciuto di quasi il 55%, contro il +20% fatto dagli Stati Uniti.
Nel 2023 invece gli Stati Uniti sono andati alla grande mentre la Cina ha perso oltre il 10%.
Insomma.
Non si può sapere chi vincerà e chi perderà.
La diversificazione serve innanzitutto a questo, a distribuire i propri investimenti su diverse classi per cercare di tenere almeno un piede in quelle che in ciascun anno faranno meglio.
Ora quali sono le asset class minime che dovrebbero trovarsi in un portafoglio?
Per non saper né leggere né scrivere direi:
– Azionario Americano;
– Azionario dei Paesi Sviluppati, in particolare Europa e Giappone;
– Azionario dei Paesi Emergenti;
– Obbligazioni governative;
– Obbligazioni corporate investment grade;
– Cash — e con cash di solito si intendono depositi o obbligazioni governative a breve scadenza.
Se poi uno vuole raffinare ulteriormente il proprio portafoglio può valutare di inserire:
– Obbligazioni High-Yield;
– REIT, ossia fondi legati al mercato immobiliare;
– Oro;
– Materie Prime e
– Criptovalute.
Mentre i primi 6 sono abbastanza onnipresenti in qualunque portafoglio, per quanto riguarda High-Yield, Reit, oro, Materie prime e cripto nei prossimi consigli vediamo se e quando siano necessari.
CONSIGLIO NUMERO DUE:
Ultimamente sentirete spesso parlare del fatto che la storica decorrelazione tra azioni e obbligazioni ormai sia venuta meno e che in effetti da un po’ di anni le due asset class per eccellenza si muovono un po’ a braccetto.
Questo farebbe venir meno tutti i discorsi alla base dei portafogli bilanciati, tipo il 60/40 e cose simili.
In realtà bisogna come sempre allargare un po’ lo sguardo e non fissarsi sulla punta dei propri piedi.
Qual è OGGI la correlazione tra azioni e obbligazioni?
Secondo i calcoli di Morningstar negli ultimi 2 anni siamo 0,6 che in effetti è una correlazione altissima rispetto a quella storica che è praticamente 0.
0,6 significa che la maggior parte delle volte azioni e obbligazioni sono cresciute o scese più o meno all’unisono.
E quindi voi mi potreste dire — da fini analisti finanziari quali siete — ma allora perché ci hai disintegrato i cosiddetti sul fatto che le obbligazioni attenuano la volatilità del portafoglio, controbilanciano le azioni quando vanno male e tutta la tarantella con cui c’hai smartellato per 8 mesi?
Mi sembra una domanda molto pertinente.
Un po’ aggressiva nei toni magari, ma sensata.
Ti rispondo, caro il mio security analyst che in confronto quelli di Goldman Sachs sono un circolo di bocce.
Oggi la decorrelazione tra azioni e obbligazioni è venuta meno perché l’abbiamo un po’ sputtanata sempre noi dopo 15 anni di tassi a zero.
Come avrete capito i tassi di interesse sono una delle leve più importanti rispetto alle dinamiche dei mercati.
E quanto si tratta di obbligazioni poi, bisogna sempre guardare ai tassi di interesse per trovare le risposte.
Tradizionalmente cosa succedeva, almeno fino a prima del 2008?
Succedeva che in periodi con i tassi alti (e in passato abbiamo avuto anche tassi della Fed al 10%, altro che il 5,5 di oggi), le obbligazioni avevano alti rendimenti, mentre le azioni faticavano perché veniva meno il premio al rischio e quindi per un investitore era molto più conveniente investire nei super sicuri titoli di stato americani con rendimenti superiori alla media del mercato azionario, rispetto che scommettere su General Electric, Coca Cola o IBM con tutti i rischi che le azioni comportano.
E poi cosa succedeva? crisi finanziaria, crisi economica, recessione, le banche centrali tagliavano i tassi e quindi mentre le azioni andavano giù le obbligazioni salivano di prezzo, per la nota regola che quando i tassi scendono (e quindi i rendimenti futuri scendono) i prezzi attuali salgono.
Poi a quel punto il mercato si riprendeva, le azioni ricominciavano a galoppare anche perché nel frattempo le obbligazioni con tassi più bassi erano diventate meno attraenti e quindi azioni su e obbligazioni giù.
Diciamo che il momento del ciclo economico in cui invece tutte e due soffrono è quando c’è una botta d’inflazione che fa si che le banche centrali debbano alzare di tanto e in fretta i tassi e questa cosa fa male sia ad azioni che obbligazioni.
Comunque storicamente c’è stata questa allegra alternanza tra le due asset class e se uno guarda per esempio al lungo bull market degli anni ’90, vede in maniera macroscopica come la correlazione tra azioni e obbligazioni è passata da circa 0,5 nel 95 ad addirittura -0,6 durante la dot com bubble, dove -0,6 significa che le due asset class si muovono proprio al contrario.
Poi c’è stato il 2008, Lehman Brothers, il quantitative easing in tutto il mondo, tassi a zero per 15 anni e fiumi di denaro pompati a manetta dentro l’economia globale.
Oggi è ovvio che abbiamo un’alta correlazione.
Avevamo i tassi a zero, c’è stato il Covid, poi la ripresa esplosiva dopo i lockdown, l’invasione russa dell’Ucraina, un’inflazione che non si vedeva dagli anni ’80 e il più feroce rialzo dei tassi di interessi degli ultimi 50 anni, cosa mai poteva succedere?
Nel 2022 è andato giù tutto e poi da metà 2023 ha ricominciato ad andare su tutto visto che l’inflazione sembra ormai normalizzata e all’orizzonte si vedono tagli dei tassi di interesse sia in America che in Europa, cosa che piace sia alle azioni che alle obbligazioni.
Ma questo non toglie che ad oggi abbia ancora perfettamente senso bilanciare azioni e obbligazioni, perché difficilmente oggi si tornerà ad una situazione di tassi a zero, che dal 2008 al 2021 ha creato diverse anomalie sui mercati.
Un domani invece, quando scoppierà la prossima drammatica crisi finanziaria, è lì che si dovrebbe vedere — sempre in teoria — l’effetto più evidente del contrappeso tra azioni e obbligazioni, attraverso quella pratica nota come Fed Put, che è un modo di dire per intendere che quando il mercato crolla la Federal Reserve interviene tagliando i tassi per rianimare l’economia e quando questo accade, mentre le azioni vanno giù le obbligazioni vanno su e poi il ciclo tende ad invertirsi.
Si chiama Fed Put perché è come se la Fed costituisse un’opzione put implicita, che di fatto è quel tipo di opzione che si usa per proteggersi da un crollo azionario.
Quindi, sì, la correlazione tra azioni e obbligazioni oggi più alta ma avere sia azioni che obbligazioni in portafoglio per ridurre la volatilità complessiva ha perfettamente senso.
CONSIGLIO NUMERO TRE:
Io non vi ho parlato quasi mai di Real Estate perché, nonostante agli Americani piaccia da impazzire mettere i REIT nei loro portafogli, ringrazio Morningstar che mi ha confermato un’impressione che avevo da un po’ e che cioè il mercato immobiliare sia fortemente correlato a quello azionario.
A parte il periodo che va dal 2008 al 2015, in cui ovviamente gli effetti devastanti della grande crisi dei mutui subprime si sono propagati sul mercato immobiliare negli anni venire e che in quegli anni hanno ridotto la correlazione con le azioni, in realtà la correlazione storica tra Real Estate e Mercato Azionario viaggia tra lo 0,7 e lo 0,9%.
Tradotto: investire in REIT non porta quasi nessun beneficio, in termini di diversificazione del portafoglio, rispetto che investire unicamente nel mercato azionario di quella stessa regione.
Tra l’altro se ne parla poco, ma a seguito delle politiche di Smartworking nate dopo il covid, moltissimi immobili commerciali un po’ in tutto il mondo si sono svuotati e questa cosa avrà un impatto sui valori immobiliari degli anni a venire.
Magari non succede niente, però c’è uno spettro che aleggia silenzioso nell’economia occidentale che potrebbe benissimo saltar fuori di punto in bianco.
CONSIGLIO NUMERO QUATTRO:
Per motivi diversi, anche le obbligazioni High-Yield sono molto correlate all’azionario.
Nonostante siano obbligazioni, il fatto che abbiano un alto rendimento per via del basso rating delle società che le emettono (uguale: rischio maggiore che facciano default e non vi ridiano indietro i soldi) fa sì che il loro comportamento sia più legato all’andamento del quadro economico generale che non alle variazioni dei tassi. Mentre per esempio le obbligazioni governative a lungo termine salgono molto di prezzo appena si fa largo la prospettiva di una riduzione dei tassi d’interesse, la stessa cosa non accade agli High-yield.
La correlazione con l’azionario è quasi 0,9%, quindi poco aggiungono in termine di diversificazione al portafoglio.
C’è però da dire che, diversamente dai REIT, ci vedo una certa utilità nel portafoglio perché aggiungono gradualità nella stratificazione di rischio dell’asset allocation.
Ora che l’ho detta in modo complicato e che non si capisce una mazza la ridico in maniera comprensibile.
Le obbligazioni high-yield sono un layer intermedio tra la parte obbligazionaria e quella azionaria. UN po’ più rischiose della prima, un po’ meno della seconda.
Se uno volesse fare la gerarchia del livello di rischio delle varie categorie all’interno di un portafoglio fatto solo da azioni e obbligazioni avrebbe, dalla meno rischiosa alla più rischiosa:
– Obbligazioni governative
– Obbligazioni Corporate investment Grade
– Obbligazioni Corporate high-yield
– Large Cap Value, che tipicamente staccano dividendi
– Large Cap Growth, che tipicamente non staccano dividendi e infine
– Small Cap, tradizionalmente più rischiose e più redditizie.
Mettiamola così, l’high-yield è una via di mezzo tra un’obbligazione solida che rende poco e un’azione solida che stacca dividendi con continuità, ma che essendo un’azione è sempre in balia degli umori del mercato.
Quindi, non necessari, ma in una quota inferiore al 10% del portafoglio, anche gli ETF obbligazionari high-yield hanno il loro perché, anche se Morningstar dice che sono utili come i coriandoli a luglio.
CONSIGLIO NUMERO CINQUE:
Oh e qui andiamo su un tema caro di questo podcast e molto controverso.
In pratica Morningstar, che parla a lettori americani, dice: investire in mercati azionari dei paesi sviluppati, quindi Europa e Giappone, apporta pochissima diversificazione perché c’è una forte correlazione, che in effetti viaggia tra 0,8 e quasi 1.
Sono invece più indipendenti le sorti dei mercati emergenti e infatti qui la correlazione scende mediamente nella fascia tra 0,5 e 0,7.
Questa cosa spalanca un tema che tocchiamo spesso e che richiederebbe diversi episodi per essere trattato esaurientemente, tra l’altro senza riuscire alla fine a tirarci fuori una risposta conclusiva.
Sappiamo che da un lato un investimento in ETF azionario globale porterebbe dal 60 al 70% dei nostri soldi nel mercato delle grandi aziende degli Stati Uniti.
Chi oggi vuole seguire un approccio basato sulla capitalizzazione di mercato, avrebbe inevitabilmente un’importante sovraesposizione verso l’S&P 500
(ma dai? Dopo 91 episodi non si era mica capito sai…)
Esatto
Chi invece volesse un’esposizione maggiormente equilibrata tra i diversi mercati, potrebbe dividere il mondo in 3 e assegnare lo stesso peso a Stati Uniti, Mercati Sviluppati come Europa e Giappone e Mercati Emergenti.
Cosa è meglio?
Eh che ne so…
Se uno sposa l’idea di investire in maniera passiva, seguire la capitalizzazione di mercato è la scelta di default. Se voglio copiare il mercato, lo copio per quello che è.
Se uno invece vuole prendere una decisione attiva su base geografica, convinto così di migliorare il risk-adjusted return, allora può fare come già detto altre volte e distribuire diversamente.
Ovviamente se ci fosse una risposta univoca, non staremmo qua a parlarne.
Morningstar dice, investire in Europa e Giappone porta pochi benefici in termine di diversificazione. Vero.
Noi però siamo in Europa, quindi se noi investiamo nell’S&P 500 non stiamo investendo nel mercato di casa nostra e soprattutto stiamo investendo in una valuta diversa dalla nostra.
Nel nostro caso ha senso avere un’esposizione internazionale, tra l’altro ribaltata al contrario rispetto a quel che succede ad un Americano. Lui investe soprattutto a casa sua e un po’ all’estero. Noi tendiamo invece ad investire soprattutto in America e meno a casa nostra.
Quindi io la riassumo così in due mosse:
1) UNO: avere una buona esposizione anche sull’Europa, fosse anche solo quella già prevista dagli indici azionari globali come il FTSE All World, ha un qualche senso perché da un lato ci rimuove una parte del rischio cambio e dell’altra ci porta ad investire in settori diversi, dato che negli Stati Uniti oggi domina soprattutto il Tech, mentre in Europa le società più importanti sono soprattutto Farmaceutiche, Largo Consumo, Lusso e Produzione industriale.
2) DUE: ok che gli Emergenti danno maggiore diversificazione … ma sono paesi emergenti. Con tutte le incognite che si portano dietro paesi come la Cina, il Brasile, l’India, l’Arabia e via dicendo. Ok investire una parte lì, lascio a voi bilanciare nei vostri portafogli tra l’opportunità di diversificare in questi paesi e il rischio più di natura geopolitica che si portano dietro.
Ah comunicazione di servizio: come vi avevo già anticipato, Xtrackers ha lanciato in Europa il primo ETF globale ex-US, ossia un MSCI World senza gli Stati Uniti.
Ora è veramente piccino, appena 4 milioni di capitalizzazione, ma se cresce un po’ sarà sicuramente un interessante strumento per investire nei paesi sviluppati senza mettere sempre il grosso in America.
Stay Tuned.
Benissimo, passiamo al
CONSIGLIO NUMERO SEI:
Le Materie prime hanno tradizionalmente avuto una solida funzione di diversificazione del portafoglio nel tempo, anche se in realtà parlare di materie prime in generale lascia il tempo che trova dato che il comportamento del petrolio e quello del rame sono evidentemente molto diversi.
Il problema delle commodities è che hanno dei comportamenti completamente imprevedibili e pure la loro correlazione è passata nel tempo da picchi a 0,8 a correlazioni negative.
Come abbiamo detto tante volte, forse l’unica materia prima che ha davvero dimostrato nel tempo di avere la sua logica in un portafoglio diversificato è l’oro, che ha storicamente una correlazione con il mercato azionario intorno a zero.
Quindi l’oro, utilizzato per esempio in famosi portafogli difensivi come il permanent Portoflio di Harry Brown, il Golden Butterfly e soprattutto l’All Weather di Ray Dalio, è rimasta forse l’unica asset class alternativa a fornire una vera diversificazione rispetto ad azioni ed obbligazioni, in particolare nelle fasi ad alta inflazione.
Oggi però anche l’oro sta facendo molto discutere perché mentre le azioni stanno correndo a manetta, pure lui è sui massimi storici di tutti i tempi, ormai stabilmente oltre i 2.160 dollari l’oncia, quella comodissima unità di misura equivalente a 28,349 grammi che tanto Americani e Inglesi amano utilizzare assieme a pollici, piedi, galloni, ettari e tutte quelle cose di cui abbiamo sempre sentito parlare nei film chiedendoci che cazzo di problema abbiano gli anglosassoni con il sistema metrico decimale, ma va beh…
Ehi John quanto sei alto? Cinque Nove!
Cazzo vuol dire Cinque Nove?
Cinque Nove? Un modo comodissimo per dire che siccome in un piede ci sono 12 pollici io sono alto circa 1 metro e 75 centimetri, solo che 5 9 è evidentemente più chiaro…
Uno pensa che bisogna essere cerebrolesi per misurare le cose così e poi questi sono diventati i più ricchi e potenti del pianeta, vai a capire…
Comunque dicevamo, l’oro sta correndo un sacco.
Motivo?
Sembra che il motivo sia duplice:
– Da un lato probabilmente perché la prospettiva di taglio dei tassi di interesse — sì sempre loro — fa sì che alcuni investitori non troveranno più nelle obbligazioni governative dei porti sicuri con buoni rendimenti e che quindi si stiano riversando sull’oro che invece è il bene rifugio per eccellenza, che il suo 4-5% all’anno di media l’ha sempre fatto.
– Dall’altra parte c’è anche chi ritiene che ciò sia una conseguenza del processo di dedollarizzazione del mondo che la Cina e la sua combriccola stanno cercando di mettere in atto, che appunto starebbe portando diversi soggetti ad aumentare le riserve auree diminuendo le riserve di dollari.
CONSIGLIO SETTE:
Potevamo non parlare della superstar del momento? Il bitcoin!
Un tempo il Bitcoin era considerato l’alternativa per eccellenza rispetto al mercato azionario, come fosse appunto una sorta di oro digitale.
Oggi sappiamo invece che il Bitcoin si comporta esattamente come un asset tecnologico e che è perfettamente correlato al mercato azionario.
Negli ultimi 5 anni la correlazione di Bitcoin con l’azionario è passata da negativa a 0,6 e infatti ormai sono almeno 3 anni che Bitcoin va su quando il mercato va su e va giù quando crolla tutto il resto.
Se volete investire in Bitcoin, quindi, non fatelo puntando sulla sua funzione di diversificazione del portafoglio.
Fatelo se credete nel valore di Bitcoin in quanto tale.
Veniamo infine al
CONSIGLIO NUMERO OTTO:
Dopo aver fatto tutta la radiografia a ogni asset class Morningstar dice “la diversificazione non deve essere complicata”.
E poi aggiunge: “abbiamo fatto un backtest usando un portafoglio 60/40 e uno composto da 11 asset class diverse, tra cui azioni, obbligazioni, REIT, materie prime e oro.
You know what? Lo stupido e insulso e banale 60/40 è risultato avere un miglior risk-adjusted return l’87% delle volte”.
Ma come?
E mi fai fare tutto l’episodio su come fare il perfetto portafoglio diversificato e poi mi dici che alla fine è meglio 60/40?
Non so perché ma quando ho iniziato a leggere l’articolo, me lo sentivo che finiva così.
E forse questo, davvero, è il consiglio migliore di tutti.
Più vado avanti, più leggo cose, più ascolto persone più intelligenti di me, più faccio backtest, più insomma sto immerso in questo meraviglioso mondo della finanza — e mediamente parliamo di almeno 4-5 ore al giorno — più convinco del fatto che poche cose valgano tanto quanto la semplicità e, soprattutto, la capacità di resistere alla tentazione di complicare le cose.
Perché diciamocelo, comprare ETF, azioni o quel che volete è divertente.
Cercare cose strane, provare a fare scommesse sperando di fare piccoli botti, tutte queste cose danno un sacco di adrenalina.
Ma non è investire.
È un passatempo.
E passare il tempo con il grosso del proprio patrimonio non so se sia una buona idea.
Attenzione!
Non sto dicendo che 60/40 sia la scelta migliore.
La scelta migliore dipende dall’asset allocation che meglio si adatta al vostro portafoglio.
Ma qualunque essa sia, la versione più semplice di quell’asset allocation, probabilmente sarà quella vincente.
Quindi, take away dell’episodio:
– UNO: diversificare è fondamentale per abbattere il rischio idiosincratico nel portafoglio, dato che il mercato non ce lo paga;
– DUE: diversificare ha senso solo se gli asset sono tra loro in qualche modo decorrelati;
– TRE: a parità di rendimento atteso, quello più semplice avrà il miglior risk-adjusted return nella maggior parte dei casi.
Quest’ultima cosa non è sempre necessariamente vera, ma lo è nella maggior parte dei casi come la simulazione di Morningstar racconta.
Certo, se siete come Nicola Protasoni, un caro amico di questo podcast, potete investire a leva su un portafoglio 60/40 che in realtà è 90% sull’S&P 500, 10% su Futures con leva implicita sui Treasury americani e un altro circa 33% di prodotti molto particolari chiamati Trend following e Tail.
Si lo so la somma fa più di 100, ma con la leva si può fare tutto.
Dicevo, se avete oltre due decenni di esperienza a livello professionale, capitali significativi e la competenza per gestire prodotti complessi, allora il vostro portafoglio può essere un equivalente finanziario di un quadro di Escher.
Avete presente no? Quello che disegnava le scale che non finivano mai, la mano che disegna l’altra mano, insomma quadri in cui tutte le regole sembravano stravolte e non si capiva una mazza.
Se invece siete come me e questo genere di preparazione da cintura nera di terzo dan vi manca, allora niente come la semplicità renderà il vostro portafoglio virtuoso.
E virtuosi vi renderà, soprattutto, essere preparati e competenti.
Per questo approfitto per ricordarvi che questo episodio è stato sponsorizzato da 4books e che utilizzate il link negli shownote di questo episodio, l’abbonamento annuale vi costerà 69 euro e 99 anziché 99 e 99 e vi darà accesso a migliaia di audioriassunti di una 15ina di minuti ciascuno dei più importanti saggi mai scritti sugli argomenti più disparati, compreso ovviamente Soldi e Investimenti.
Io invece vi ringrazio ancora una volta per aver reso possibile un altro piccolo miracolo e la scorsa settimana questo nostro podcast è stato il 5° più ascoltato in Italia, almeno secondo la classifica di Spotify (e per un giorno è stato pure 1° su Apple podcast).
E soprattutto, per una volta abbiamo messo dietro entrambi i podcast della regina Elisa True Crime!
Elisa so che presto ricomincerai ad asfaltarmi, ma per una settimana è stato bello aver messo la freccia e averti sorpassato.
Per continuare a sfidare tutti i True Crime vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che in un mondo di podcast dedicati a crimini e inchieste tutti correlati tra loro, diversificano la top five con il contenuto più cazzaro di sempre per aiutarci tutti a raggiungere la nostra ambita meta della libertà finanziaria definitiva.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo mercoledì prossimo quando, giusto per restare in tema di crimini e suspance, parleremo delle nostre paure con gli investimenti, sempre qui, naturalmente, con THE BULL — Il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Dopo la parentesi dello scorso episodio nel mondo del venture capital e del private equity con Amedeo Giurazza e Steve Jobs, che ci hanno fatto sognare per una quarantina di minuti immergendoci nel visionario mondo delle startup, oggi torniamo a parlare di cose molto molto pratiche che hanno a che fare con la costruzione ottimale del nostro portafoglio di investimento.
Oh tra l’altro un po’ di voi stanno cominciando a scrivermi “ok, mo’ che c’hai sfrantumato i cosiddetti per ben 90 puntate, le basi le abbiamo capite, adesso vogliamo che ci spieghi le cose più difficili”.
I tanti me lo state dicendo eh, non pensavo!
Fino a 6 mesi molti di voi manco sapevano cos’era un ETF, adesso tutti geni dell’investimento e volete imparare le opzioni, i prodotti strutturati, l’analisi fondamentale e tutta sta roba da pro della finanza.
Mi sa che vi è sfuggito un passaggio nel corso dei precedenti 90 episodi.
Non è che vi parlo di cose base perché quelle non base sono troppo difficili.
O meglio: alcune sono veramente difficili e spiegarle in un podcast senza far vedere due numeri e mezza equazione sarebbe un’impresa.
Ma il punto vero è che, semplicemente, nel 99% dei casi quella roba non vi serve.
Adesso che avete capito la rava e la fava della finanza personale e dell’investimento passivo, la cosa più difficile di tutte e resistere alla tentazione di trasformare in un pericolosissimo gioco d’azzardo la vostra nuova passione per il mondo della finanza.
Investire DEVE essere noioso e dovete fare, con il vostro portafoglio, meno cose possibili.
Questa è la cosa maledettamente difficile.
Stare buoni, fare le cose in maniera intelligente e ponderata, con un’ottica di lungo termine e resistere alle mille tentazioni lungo la via di fare il passo più lungo della gamba.
Detto questo e patti chiari amicizia lunga, comunque, visto che me lo chiedete un po’ per volta andremo ad aggiungere un po’ di complessità alle basi basi basi che abbiamo posto sinora.
Un po’ alla volta.
Piano piano.
Che c’ho messo mesi a persuadere qualche decina di migliaia di Italiani a cominciare a gestire meglio i propri soldi, non vorrei ora farli finire dalla parte opposta e indurli a fare cazzate con i propri investimenti.
L’occasione per l’episodio di oggi invece me l’ha servita su un piatto d’argento l’edizione americana di Morningstar, con un articolo sulle 8 cose che devi sapere per diversificare al meglio il tuo portafoglio.
Grazie Morningstar, ogni tanto spari un po’ di minchiate tipo i consigli che almeno due volte a settimana mi dai per investire in azioni che SICURAMENTE sono sottovalutate e che quindi SICURAMENTE mi faranno fare un botto di soldi, soprattutto poi se compro i tuoi abbonamenti per fare le analisi di sta cippa, però devo dire che questi articoli dove mi prepari la pappa pronta con anche tutti i grafici e i numerini sono sempre graditi.
Quindi ispirato da Morningstar e poi rimaneggiato da me anche per adattare i contenuti all’investitore Italiano e con qualche aggiunta, il menu del giorno prevede:
– Refresh su cosa sia la diversificazione del portafoglio e a cosa serva
– Cosa siano la correlazione tra le diverse asset class e il risk-adjusted return e infine, appunto
– Gli 8 consigli per diversificare al meglio il vostro poderoso portafoglio di investimento.
Prima di cominciare, però, permettetemi di ricordarvi che tutte le elucubrazioni che mi sogno di notte e che poi vi racconto qui sono importantissime ma che importantissimo è anche e soprattutto studiare, approfondire e conoscere.
L’episodio di oggi è gentilmente offerto dal nostro partner 4books, la piattaforma nata da un’idea del venerabilissimo Marco Montemagno che racchiude migliaia di audioriassunti che in una quindicina di minuti sintetizzano tutte le idee principali dei più importanti saggi scritti in materia di Finanza, Economia, Imprenditoria, Marketing, Tecnologia, Salute, Fitness, Cura dei figli, Meditazione, insomma dite un ambito e quello c’è.
15 minuti alla volta e vi fate un percorso introduttivo a qualunque tema vogliate conoscere, passando attraverso tutti i migliori libri mai scritti su quello specifico argomento, ottimizzando in maniera altrimenti impensabile tempo, energie e soldi.
A tal proposito, trovate negli shownote dell’episodio un link per attivare l’abbonamento annuale a 4books a 69 euro e 99 anziché 99,99 e i primi 7 giorni sono gratis. Se vi piace bene, altrimenti in quei 7 giorni vi ascoltate fino a 672 audioriassunti, tanti quanti sono i quarti d’ora in una settimana e poi disdite e nessuno vi chiede un euro.
Se usate il link voi ricevete lo sconto, mentre chi vi parla riceverà da 4books una commissione che avvicinerà il momento in cui smetterò di lavorare perché inizio ad avere una certa età e come Andrea Febbraio voglio solo leggere e fare corsi sulle cose più strampalate della Terra.
Se invece pensate che debba continuare a lavorare per i prossimi 30 anni, andate direttamente sul sito di 4books e fate tutto da lì senza generare commissioni per il sottoscritto.
Detto questo — e anche questa settimana la spesa all’Esselunga ce la siamo portati a casa — veniamo al cuore dell’episodio di oggi.
Allora, DIVERSIFICAZIONE!
Quanto è importante sta cosa qua.
Perché bisogna diversificare?
Ve lo ricordate?
Eh, per quella storia là del rischio no? Di cui abbiamo parlato spesso ultimamente.
Per i più smemorelli, stampatevi bene in testa questa cosa molto molto molto importante.
Adesso diciamo una cosa facile in modo difficile così accontentiamo chi vuole le cose difficili.
Secondo il Capital Asset Pricing Model, che è il modello classico di valutazione del rendimento atteso di un portafoglio di investimento, questo rendimento viene definito dalla formula:
– Rendimento senza rischio (che di solito è quello dei titoli di stato a breve termine e generalmente in Europa si usa il tasso Euribor a 3 mesi mentre in America si usano i buoni del tesoro a breve, chiamati Treasury Bills)
Più
– Beta, che un coefficiente che dice quanto il mio investimento è volatile rispetto al mercato
Moltiplicato per
– Il premio al rischio (che è dato dalla differenza tra il rendimento di mercato e quello del rendimento senza rischio).
Questo Beta moltiplicato il premio al rischio rappresenta il rischio sistemico di un certo investimento (o di un portafoglio di investimento), ossia è la misura della volatilità dell’investimento rispetto al rendimento medio atteso del mercato meno il rendimento senza rischio.
Ricordatevi che in finanza il rischio è definito come la deviazione standard di un asset rispetto al rendimento medio atteso, quindi quanto quell’asset è volatile.
Rischio sistemico è dunque il rischio proprio del mercato in cui sto investendo, o il rischio generale del mio portafoglio rispetto alla sua asset allocation.
In altre parole, il rischio sistemico è il motivo per cui nell’investimento che corre dei rischi, come quello azionari, c’è un “PREMIO” rispetto al rendimento senza rischio proprio per esempio di un titolo di stato a breve termine.
Maggiore il rischio sistemico, maggiore il premio al rischio atteso.
Se il mio portafoglio ha un beta maggiore di 1 significa che la sua volatilità sarà maggiore di quella del suo mercato di riferimento (quindi crescerà di più quando il mercato va bene e e perderà di più quando il mercato va male), mentre succede il contrario quando beta è minore di 1.
L’altro tipo di rischio è invece il rischio specifico o idiosincratico, ossia il rischio derivante dall’investimento in uno specifico asset.
Investire in Nestlé, così per una volta facciamo un esempio europeo che le solite Tesla e Nvidia iniziano a uscirmi dagli occhi, ha un rischio specifico che invece non avrebbe il fatto di investire nell’interno Stoxx 600, di cui Nestlé fa parte.
Il rischio specifico non prevede un premio al rischio, quindi il mercato non remunera — in termini di rendimento atteso — l’investimento in uno specifico asset, perché questo rischio può essere rimosso attraverso la diversificazione.
Il portafoglio ottimale, almeno nell’accezione che Harry Markowitz gli aveva dato, è quello infatti che massimizza il rendimento per un certo livello di rischio (o che minimizza il rischio per un certo rendimento atteso).
Investendo in Nestlé o nello Stoxx 600, in termini di rendimento atteso dovrei aspettarmi lo stesso risultato, ma se parliamo di rendimento “risk-adjusted”, ossia di rendimento commisurato al rischio, quello in Nestlé è un investimento con un rapporto rischio rendimento peggiore, perché oltre al rischio sistemico del suo mercato di riferimento si porta dietro pure il rischio specifico di essere una singola azienda che, benché solidissima, domani potrebbe fallire.
Chiaro?
Che è come dire che se ciascuno di voi che mi state ascoltando compra a caso un’azione dello Stoxx 600, tutti quanti avrete lo stesso rendimento atteso, che è il rendimento medio storico dello Stoxx 600.
Ma mentre qualcuno farà il botto e qualcun altro perderà tutti i suoi soldi, solo chi avrà investito in un ETF sull’intero Stoxx 600 avrà ottenuto il miglior rapporto tra rischio e rendimento atteso, perché avrà solo il rischio sistemico di mercato e nessun rischio specifico.
Quindi Warren Buffett non diversifica perché è forse il più grande genio della storia della finanza.
Noi invece che diversamente da lui siamo una manica di ignoranti in fatto di stock picking e value investing — o meglio io lo sono, poi magari qualcuno tra voi è il Warren Buffett di Cernusco sul Naviglio o il Peter Lynch di Otranto — dicevo noi che non capiamo un cazzo di come pescare solo le aziende migliori dei prossimi decenni DIVERSIFICHIAMO perché è l’unica protezione contro l’ignoranza che abbiamo a disposizione.
DIVERSIFICHIAMO per toglierci dalle palle il rischio specifico, che già quello sistemico ci fa dormire male la notte e quindi basta e avanza.
Quindi l’obiettivo nella costruzione del nostro portafoglio è mettere insieme asset che tra loro ci diano, auspicabilmente, il portafoglio che ha il miglior EXPECTED RISK-ADJUSTED RETURN, ossia il rendimento atteso maggiore dato un certo livello di rischio.
Detto questo, prima di vedere gli 8 consigli rimaneggiati dell’articolo di Morningstar a cui mi sono liberamente ispirato (che è un modo educato per dire che li ho copiati), aggiungiamo un’ultima cosa.
La DIVERSIFICAZIONE di un portafoglio tipicamente avviene a due livelli:
– Il PRIMO LIVELLO riguarda la diversificazione all’interno di una singola asset class, motivo per cui non solo non investo in singole azioni, ma di solito non investo neanche in singole regioni Geografiche o singoli settori, ma con proporzioni diverse in base ai miei gusti investo fondamentalmente in tutto il mondo.
Stesso discorso sulle obbligazioni. Non investo tutto in BTP per motivi che sanno anche i muri di casa mia, ma tramite gli ETF posso investire in centinaia di obbligazioni Europee, Globali, Corporate e via dicendo in un colpo solo.
– IL SECONO LIVELLO invece riguarda la diversificazione tra diverse asset class e questo presuppone la comprensione del concetto di CORRELAZIONE.
La diversificazione tra diverse asset class — o entro certi limiti all’interno di una medesima asset class — presuppone l’idea che i vari elementi del mio portafoglio siano DECORRELATI tra loro.
La correlazione si esprime di solito con numero compreso tra 1 e -1.
Quando due asset hanno una correlazione uguale 1, ciò significa che hanno il medesimo comportamento. Quando una va bene, l’altra va bene, quando una va male, l’altra pure.
Due asset invece con correlazione 0 sono del tutto indipendenti l’una dall’altra e hanno un comportamento che può andare nella stessa direzione o in direzioni differenti.
Infine Due asset con correlazione -1 hanno una perfetta correlazione inversa, ossia quando una va bene l’altra va male e viceversa.
L’abbiamo detta un po’ alla buona, come sempre, se volete un podcast che dice cose in maniera rigorose andate ad annoiarvi da un’altra parte.
Ciò che va capito è che tra le diverse asset class ci sono diversi rapporti di correlazione — che generalmente non hanno mai valori così netti come Zero, Uno e Meno uno, ma più verosimilmente zero virgola qualcosa.
Quando costruisco il mio portafoglio otterrò allora il miglior risk-adjusted return utilizzando asset tra loro decorrelati perché, probabilmente, a parità di rendimento atteso faranno sì che il mio portafoglio avrà minore volatilità.
Ora capire il rapporto di correlazione è importante perché altrimenti uno pensa di costruire il proprio portafoglio a regola d’arte, diversificando l’impossibile, e poi magari salta fuori che ha dentro si un macello di asset diversi, ma che in realtà sono molto più correlati tra loro di quel che si crede e quindi non svolgeranno la loro funzione di contrappeso come invece mi aspetterei.
Fatte ste premesse, veniamo agli otto consigli per una buona diversificazione del portafoglio.
CONSIGLIO NUMERO UNO:
Beh, scusate per la banalità, ma il primo consiglio è tanto un “grazie al cazzo” quanto la cosa più di buon senso da cui partire ossia: “diversificare è importante perché non si può prevedere quale asset class andrà meglio in ogni singolo anno”.
Cercate su Google qualunque grafico che vi mostri il rendimento delle diverse asset class negli ultimi 20 anni e ogni anno vedrete diversi vincitori e perdenti.
Sul profilo instagram di The Bull avevamo pubblicato un post qualche mese fa in cui mostravamo quest’infografica di Blackrock che faceva vedere in maniera evidente come in ogni singolo anno dal 2000 ad oggi, la performance di Azioni Americane, Azioni Europee, Mercati Emergenti, Obbligazioni Investment Grade, High Yield, Real Estate, Oro, Materie Prime e così via sono state fondamentalmente casuali in ogni singolo anno.
Per esempio nel 2022 le materie prime sono state le grandi vincitrici, con una crescita media dell’asset class del 22%, quando invece il mercato azionario Americano e Europeo si è preso una bella batosta tra il -15 e il -20%.
Nel 2023 invece, le materie prime sono state fondamentalmente piatte, mentre l’S&P 500 come sapete bene ha avuto un anno fantastico, con oltre il 25% di crescita.
Anche tra le stesse asset class le situazioni possono essere molto diverse. Nel 2017 per esempio il mercato Cinese è cresciuto di quasi il 55%, contro il +20% fatto dagli Stati Uniti.
Nel 2023 invece gli Stati Uniti sono andati alla grande mentre la Cina ha perso oltre il 10%.
Insomma.
Non si può sapere chi vincerà e chi perderà.
La diversificazione serve innanzitutto a questo, a distribuire i propri investimenti su diverse classi per cercare di tenere almeno un piede in quelle che in ciascun anno faranno meglio.
Ora quali sono le asset class minime che dovrebbero trovarsi in un portafoglio?
Per non saper né leggere né scrivere direi:
– Azionario Americano;
– Azionario dei Paesi Sviluppati, in particolare Europa e Giappone;
– Azionario dei Paesi Emergenti;
– Obbligazioni governative;
– Obbligazioni corporate investment grade;
– Cash — e con cash di solito si intendono depositi o obbligazioni governative a breve scadenza.
Se poi uno vuole raffinare ulteriormente il proprio portafoglio può valutare di inserire:
– Obbligazioni High-Yield;
– REIT, ossia fondi legati al mercato immobiliare;
– Oro;
– Materie Prime e
– Criptovalute.
Mentre i primi 6 sono abbastanza onnipresenti in qualunque portafoglio, per quanto riguarda High-Yield, Reit, oro, Materie prime e cripto nei prossimi consigli vediamo se e quando siano necessari.
CONSIGLIO NUMERO DUE:
Ultimamente sentirete spesso parlare del fatto che la storica decorrelazione tra azioni e obbligazioni ormai sia venuta meno e che in effetti da un po’ di anni le due asset class per eccellenza si muovono un po’ a braccetto.
Questo farebbe venir meno tutti i discorsi alla base dei portafogli bilanciati, tipo il 60/40 e cose simili.
In realtà bisogna come sempre allargare un po’ lo sguardo e non fissarsi sulla punta dei propri piedi.
Qual è OGGI la correlazione tra azioni e obbligazioni?
Secondo i calcoli di Morningstar negli ultimi 2 anni siamo 0,6 che in effetti è una correlazione altissima rispetto a quella storica che è praticamente 0.
0,6 significa che la maggior parte delle volte azioni e obbligazioni sono cresciute o scese più o meno all’unisono.
E quindi voi mi potreste dire — da fini analisti finanziari quali siete — ma allora perché ci hai disintegrato i cosiddetti sul fatto che le obbligazioni attenuano la volatilità del portafoglio, controbilanciano le azioni quando vanno male e tutta la tarantella con cui c’hai smartellato per 8 mesi?
Mi sembra una domanda molto pertinente.
Un po’ aggressiva nei toni magari, ma sensata.
Ti rispondo, caro il mio security analyst che in confronto quelli di Goldman Sachs sono un circolo di bocce.
Oggi la decorrelazione tra azioni e obbligazioni è venuta meno perché l’abbiamo un po’ sputtanata sempre noi dopo 15 anni di tassi a zero.
Come avrete capito i tassi di interesse sono una delle leve più importanti rispetto alle dinamiche dei mercati.
E quanto si tratta di obbligazioni poi, bisogna sempre guardare ai tassi di interesse per trovare le risposte.
Tradizionalmente cosa succedeva, almeno fino a prima del 2008?
Succedeva che in periodi con i tassi alti (e in passato abbiamo avuto anche tassi della Fed al 10%, altro che il 5,5 di oggi), le obbligazioni avevano alti rendimenti, mentre le azioni faticavano perché veniva meno il premio al rischio e quindi per un investitore era molto più conveniente investire nei super sicuri titoli di stato americani con rendimenti superiori alla media del mercato azionario, rispetto che scommettere su General Electric, Coca Cola o IBM con tutti i rischi che le azioni comportano.
E poi cosa succedeva? crisi finanziaria, crisi economica, recessione, le banche centrali tagliavano i tassi e quindi mentre le azioni andavano giù le obbligazioni salivano di prezzo, per la nota regola che quando i tassi scendono (e quindi i rendimenti futuri scendono) i prezzi attuali salgono.
Poi a quel punto il mercato si riprendeva, le azioni ricominciavano a galoppare anche perché nel frattempo le obbligazioni con tassi più bassi erano diventate meno attraenti e quindi azioni su e obbligazioni giù.
Diciamo che il momento del ciclo economico in cui invece tutte e due soffrono è quando c’è una botta d’inflazione che fa si che le banche centrali debbano alzare di tanto e in fretta i tassi e questa cosa fa male sia ad azioni che obbligazioni.
Comunque storicamente c’è stata questa allegra alternanza tra le due asset class e se uno guarda per esempio al lungo bull market degli anni ’90, vede in maniera macroscopica come la correlazione tra azioni e obbligazioni è passata da circa 0,5 nel 95 ad addirittura -0,6 durante la dot com bubble, dove -0,6 significa che le due asset class si muovono proprio al contrario.
Poi c’è stato il 2008, Lehman Brothers, il quantitative easing in tutto il mondo, tassi a zero per 15 anni e fiumi di denaro pompati a manetta dentro l’economia globale.
Oggi è ovvio che abbiamo un’alta correlazione.
Avevamo i tassi a zero, c’è stato il Covid, poi la ripresa esplosiva dopo i lockdown, l’invasione russa dell’Ucraina, un’inflazione che non si vedeva dagli anni ’80 e il più feroce rialzo dei tassi di interessi degli ultimi 50 anni, cosa mai poteva succedere?
Nel 2022 è andato giù tutto e poi da metà 2023 ha ricominciato ad andare su tutto visto che l’inflazione sembra ormai normalizzata e all’orizzonte si vedono tagli dei tassi di interesse sia in America che in Europa, cosa che piace sia alle azioni che alle obbligazioni.
Ma questo non toglie che ad oggi abbia ancora perfettamente senso bilanciare azioni e obbligazioni, perché difficilmente oggi si tornerà ad una situazione di tassi a zero, che dal 2008 al 2021 ha creato diverse anomalie sui mercati.
Un domani invece, quando scoppierà la prossima drammatica crisi finanziaria, è lì che si dovrebbe vedere — sempre in teoria — l’effetto più evidente del contrappeso tra azioni e obbligazioni, attraverso quella pratica nota come Fed Put, che è un modo di dire per intendere che quando il mercato crolla la Federal Reserve interviene tagliando i tassi per rianimare l’economia e quando questo accade, mentre le azioni vanno giù le obbligazioni vanno su e poi il ciclo tende ad invertirsi.
Si chiama Fed Put perché è come se la Fed costituisse un’opzione put implicita, che di fatto è quel tipo di opzione che si usa per proteggersi da un crollo azionario.
Quindi, sì, la correlazione tra azioni e obbligazioni oggi più alta ma avere sia azioni che obbligazioni in portafoglio per ridurre la volatilità complessiva ha perfettamente senso.
CONSIGLIO NUMERO TRE:
Io non vi ho parlato quasi mai di Real Estate perché, nonostante agli Americani piaccia da impazzire mettere i REIT nei loro portafogli, ringrazio Morningstar che mi ha confermato un’impressione che avevo da un po’ e che cioè il mercato immobiliare sia fortemente correlato a quello azionario.
A parte il periodo che va dal 2008 al 2015, in cui ovviamente gli effetti devastanti della grande crisi dei mutui subprime si sono propagati sul mercato immobiliare negli anni venire e che in quegli anni hanno ridotto la correlazione con le azioni, in realtà la correlazione storica tra Real Estate e Mercato Azionario viaggia tra lo 0,7 e lo 0,9%.
Tradotto: investire in REIT non porta quasi nessun beneficio, in termini di diversificazione del portafoglio, rispetto che investire unicamente nel mercato azionario di quella stessa regione.
Tra l’altro se ne parla poco, ma a seguito delle politiche di Smartworking nate dopo il covid, moltissimi immobili commerciali un po’ in tutto il mondo si sono svuotati e questa cosa avrà un impatto sui valori immobiliari degli anni a venire.
Magari non succede niente, però c’è uno spettro che aleggia silenzioso nell’economia occidentale che potrebbe benissimo saltar fuori di punto in bianco.
CONSIGLIO NUMERO QUATTRO:
Per motivi diversi, anche le obbligazioni High-Yield sono molto correlate all’azionario.
Nonostante siano obbligazioni, il fatto che abbiano un alto rendimento per via del basso rating delle società che le emettono (uguale: rischio maggiore che facciano default e non vi ridiano indietro i soldi) fa sì che il loro comportamento sia più legato all’andamento del quadro economico generale che non alle variazioni dei tassi. Mentre per esempio le obbligazioni governative a lungo termine salgono molto di prezzo appena si fa largo la prospettiva di una riduzione dei tassi d’interesse, la stessa cosa non accade agli High-yield.
La correlazione con l’azionario è quasi 0,9%, quindi poco aggiungono in termine di diversificazione al portafoglio.
C’è però da dire che, diversamente dai REIT, ci vedo una certa utilità nel portafoglio perché aggiungono gradualità nella stratificazione di rischio dell’asset allocation.
Ora che l’ho detta in modo complicato e che non si capisce una mazza la ridico in maniera comprensibile.
Le obbligazioni high-yield sono un layer intermedio tra la parte obbligazionaria e quella azionaria. UN po’ più rischiose della prima, un po’ meno della seconda.
Se uno volesse fare la gerarchia del livello di rischio delle varie categorie all’interno di un portafoglio fatto solo da azioni e obbligazioni avrebbe, dalla meno rischiosa alla più rischiosa:
– Obbligazioni governative
– Obbligazioni Corporate investment Grade
– Obbligazioni Corporate high-yield
– Large Cap Value, che tipicamente staccano dividendi
– Large Cap Growth, che tipicamente non staccano dividendi e infine
– Small Cap, tradizionalmente più rischiose e più redditizie.
Mettiamola così, l’high-yield è una via di mezzo tra un’obbligazione solida che rende poco e un’azione solida che stacca dividendi con continuità, ma che essendo un’azione è sempre in balia degli umori del mercato.
Quindi, non necessari, ma in una quota inferiore al 10% del portafoglio, anche gli ETF obbligazionari high-yield hanno il loro perché, anche se Morningstar dice che sono utili come i coriandoli a luglio.
CONSIGLIO NUMERO CINQUE:
Oh e qui andiamo su un tema caro di questo podcast e molto controverso.
In pratica Morningstar, che parla a lettori americani, dice: investire in mercati azionari dei paesi sviluppati, quindi Europa e Giappone, apporta pochissima diversificazione perché c’è una forte correlazione, che in effetti viaggia tra 0,8 e quasi 1.
Sono invece più indipendenti le sorti dei mercati emergenti e infatti qui la correlazione scende mediamente nella fascia tra 0,5 e 0,7.
Questa cosa spalanca un tema che tocchiamo spesso e che richiederebbe diversi episodi per essere trattato esaurientemente, tra l’altro senza riuscire alla fine a tirarci fuori una risposta conclusiva.
Sappiamo che da un lato un investimento in ETF azionario globale porterebbe dal 60 al 70% dei nostri soldi nel mercato delle grandi aziende degli Stati Uniti.
Chi oggi vuole seguire un approccio basato sulla capitalizzazione di mercato, avrebbe inevitabilmente un’importante sovraesposizione verso l’S&P 500
(ma dai? Dopo 91 episodi non si era mica capito sai…)
Esatto
Chi invece volesse un’esposizione maggiormente equilibrata tra i diversi mercati, potrebbe dividere il mondo in 3 e assegnare lo stesso peso a Stati Uniti, Mercati Sviluppati come Europa e Giappone e Mercati Emergenti.
Cosa è meglio?
Eh che ne so…
Se uno sposa l’idea di investire in maniera passiva, seguire la capitalizzazione di mercato è la scelta di default. Se voglio copiare il mercato, lo copio per quello che è.
Se uno invece vuole prendere una decisione attiva su base geografica, convinto così di migliorare il risk-adjusted return, allora può fare come già detto altre volte e distribuire diversamente.
Ovviamente se ci fosse una risposta univoca, non staremmo qua a parlarne.
Morningstar dice, investire in Europa e Giappone porta pochi benefici in termine di diversificazione. Vero.
Noi però siamo in Europa, quindi se noi investiamo nell’S&P 500 non stiamo investendo nel mercato di casa nostra e soprattutto stiamo investendo in una valuta diversa dalla nostra.
Nel nostro caso ha senso avere un’esposizione internazionale, tra l’altro ribaltata al contrario rispetto a quel che succede ad un Americano. Lui investe soprattutto a casa sua e un po’ all’estero. Noi tendiamo invece ad investire soprattutto in America e meno a casa nostra.
Quindi io la riassumo così in due mosse:
1) UNO: avere una buona esposizione anche sull’Europa, fosse anche solo quella già prevista dagli indici azionari globali come il FTSE All World, ha un qualche senso perché da un lato ci rimuove una parte del rischio cambio e dell’altra ci porta ad investire in settori diversi, dato che negli Stati Uniti oggi domina soprattutto il Tech, mentre in Europa le società più importanti sono soprattutto Farmaceutiche, Largo Consumo, Lusso e Produzione industriale.
2) DUE: ok che gli Emergenti danno maggiore diversificazione … ma sono paesi emergenti. Con tutte le incognite che si portano dietro paesi come la Cina, il Brasile, l’India, l’Arabia e via dicendo. Ok investire una parte lì, lascio a voi bilanciare nei vostri portafogli tra l’opportunità di diversificare in questi paesi e il rischio più di natura geopolitica che si portano dietro.
Ah comunicazione di servizio: come vi avevo già anticipato, Xtrackers ha lanciato in Europa il primo ETF globale ex-US, ossia un MSCI World senza gli Stati Uniti.
Ora è veramente piccino, appena 4 milioni di capitalizzazione, ma se cresce un po’ sarà sicuramente un interessante strumento per investire nei paesi sviluppati senza mettere sempre il grosso in America.
Stay Tuned.
Benissimo, passiamo al
CONSIGLIO NUMERO SEI:
Le Materie prime hanno tradizionalmente avuto una solida funzione di diversificazione del portafoglio nel tempo, anche se in realtà parlare di materie prime in generale lascia il tempo che trova dato che il comportamento del petrolio e quello del rame sono evidentemente molto diversi.
Il problema delle commodities è che hanno dei comportamenti completamente imprevedibili e pure la loro correlazione è passata nel tempo da picchi a 0,8 a correlazioni negative.
Come abbiamo detto tante volte, forse l’unica materia prima che ha davvero dimostrato nel tempo di avere la sua logica in un portafoglio diversificato è l’oro, che ha storicamente una correlazione con il mercato azionario intorno a zero.
Quindi l’oro, utilizzato per esempio in famosi portafogli difensivi come il permanent Portoflio di Harry Brown, il Golden Butterfly e soprattutto l’All Weather di Ray Dalio, è rimasta forse l’unica asset class alternativa a fornire una vera diversificazione rispetto ad azioni ed obbligazioni, in particolare nelle fasi ad alta inflazione.
Oggi però anche l’oro sta facendo molto discutere perché mentre le azioni stanno correndo a manetta, pure lui è sui massimi storici di tutti i tempi, ormai stabilmente oltre i 2.160 dollari l’oncia, quella comodissima unità di misura equivalente a 28,349 grammi che tanto Americani e Inglesi amano utilizzare assieme a pollici, piedi, galloni, ettari e tutte quelle cose di cui abbiamo sempre sentito parlare nei film chiedendoci che cazzo di problema abbiano gli anglosassoni con il sistema metrico decimale, ma va beh…
Ehi John quanto sei alto? Cinque Nove!
Cazzo vuol dire Cinque Nove?
Cinque Nove? Un modo comodissimo per dire che siccome in un piede ci sono 12 pollici io sono alto circa 1 metro e 75 centimetri, solo che 5 9 è evidentemente più chiaro…
Uno pensa che bisogna essere cerebrolesi per misurare le cose così e poi questi sono diventati i più ricchi e potenti del pianeta, vai a capire…
Comunque dicevamo, l’oro sta correndo un sacco.
Motivo?
Sembra che il motivo sia duplice:
– Da un lato probabilmente perché la prospettiva di taglio dei tassi di interesse — sì sempre loro — fa sì che alcuni investitori non troveranno più nelle obbligazioni governative dei porti sicuri con buoni rendimenti e che quindi si stiano riversando sull’oro che invece è il bene rifugio per eccellenza, che il suo 4-5% all’anno di media l’ha sempre fatto.
– Dall’altra parte c’è anche chi ritiene che ciò sia una conseguenza del processo di dedollarizzazione del mondo che la Cina e la sua combriccola stanno cercando di mettere in atto, che appunto starebbe portando diversi soggetti ad aumentare le riserve auree diminuendo le riserve di dollari.
CONSIGLIO SETTE:
Potevamo non parlare della superstar del momento? Il bitcoin!
Un tempo il Bitcoin era considerato l’alternativa per eccellenza rispetto al mercato azionario, come fosse appunto una sorta di oro digitale.
Oggi sappiamo invece che il Bitcoin si comporta esattamente come un asset tecnologico e che è perfettamente correlato al mercato azionario.
Negli ultimi 5 anni la correlazione di Bitcoin con l’azionario è passata da negativa a 0,6 e infatti ormai sono almeno 3 anni che Bitcoin va su quando il mercato va su e va giù quando crolla tutto il resto.
Se volete investire in Bitcoin, quindi, non fatelo puntando sulla sua funzione di diversificazione del portafoglio.
Fatelo se credete nel valore di Bitcoin in quanto tale.
Veniamo infine al
CONSIGLIO NUMERO OTTO:
Dopo aver fatto tutta la radiografia a ogni asset class Morningstar dice “la diversificazione non deve essere complicata”.
E poi aggiunge: “abbiamo fatto un backtest usando un portafoglio 60/40 e uno composto da 11 asset class diverse, tra cui azioni, obbligazioni, REIT, materie prime e oro.
You know what? Lo stupido e insulso e banale 60/40 è risultato avere un miglior risk-adjusted return l’87% delle volte”.
Ma come?
E mi fai fare tutto l’episodio su come fare il perfetto portafoglio diversificato e poi mi dici che alla fine è meglio 60/40?
Non so perché ma quando ho iniziato a leggere l’articolo, me lo sentivo che finiva così.
E forse questo, davvero, è il consiglio migliore di tutti.
Più vado avanti, più leggo cose, più ascolto persone più intelligenti di me, più faccio backtest, più insomma sto immerso in questo meraviglioso mondo della finanza — e mediamente parliamo di almeno 4-5 ore al giorno — più convinco del fatto che poche cose valgano tanto quanto la semplicità e, soprattutto, la capacità di resistere alla tentazione di complicare le cose.
Perché diciamocelo, comprare ETF, azioni o quel che volete è divertente.
Cercare cose strane, provare a fare scommesse sperando di fare piccoli botti, tutte queste cose danno un sacco di adrenalina.
Ma non è investire.
È un passatempo.
E passare il tempo con il grosso del proprio patrimonio non so se sia una buona idea.
Attenzione!
Non sto dicendo che 60/40 sia la scelta migliore.
La scelta migliore dipende dall’asset allocation che meglio si adatta al vostro portafoglio.
Ma qualunque essa sia, la versione più semplice di quell’asset allocation, probabilmente sarà quella vincente.
Quindi, take away dell’episodio:
– UNO: diversificare è fondamentale per abbattere il rischio idiosincratico nel portafoglio, dato che il mercato non ce lo paga;
– DUE: diversificare ha senso solo se gli asset sono tra loro in qualche modo decorrelati;
– TRE: a parità di rendimento atteso, quello più semplice avrà il miglior risk-adjusted return nella maggior parte dei casi.
Quest’ultima cosa non è sempre necessariamente vera, ma lo è nella maggior parte dei casi come la simulazione di Morningstar racconta.
Certo, se siete come Nicola Protasoni, un caro amico di questo podcast, potete investire a leva su un portafoglio 60/40 che in realtà è 90% sull’S&P 500, 10% su Futures con leva implicita sui Treasury americani e un altro circa 33% di prodotti molto particolari chiamati Trend following e Tail.
Si lo so la somma fa più di 100, ma con la leva si può fare tutto.
Dicevo, se avete oltre due decenni di esperienza a livello professionale, capitali significativi e la competenza per gestire prodotti complessi, allora il vostro portafoglio può essere un equivalente finanziario di un quadro di Escher.
Avete presente no? Quello che disegnava le scale che non finivano mai, la mano che disegna l’altra mano, insomma quadri in cui tutte le regole sembravano stravolte e non si capiva una mazza.
Se invece siete come me e questo genere di preparazione da cintura nera di terzo dan vi manca, allora niente come la semplicità renderà il vostro portafoglio virtuoso.
E virtuosi vi renderà, soprattutto, essere preparati e competenti.
Per questo approfitto per ricordarvi che questo episodio è stato sponsorizzato da 4books e che utilizzate il link negli shownote di questo episodio, l’abbonamento annuale vi costerà 69 euro e 99 anziché 99 e 99 e vi darà accesso a migliaia di audioriassunti di una 15ina di minuti ciascuno dei più importanti saggi mai scritti sugli argomenti più disparati, compreso ovviamente Soldi e Investimenti.
Io invece vi ringrazio ancora una volta per aver reso possibile un altro piccolo miracolo e la scorsa settimana questo nostro podcast è stato il 5° più ascoltato in Italia, almeno secondo la classifica di Spotify (e per un giorno è stato pure 1° su Apple podcast).
E soprattutto, per una volta abbiamo messo dietro entrambi i podcast della regina Elisa True Crime!
Elisa so che presto ricomincerai ad asfaltarmi, ma per una settimana è stato bello aver messo la freccia e averti sorpassato.
Per continuare a sfidare tutti i True Crime vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che in un mondo di podcast dedicati a crimini e inchieste tutti correlati tra loro, diversificano la top five con il contenuto più cazzaro di sempre per aiutarci tutti a raggiungere la nostra ambita meta della libertà finanziaria definitiva.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo mercoledì prossimo quando, giusto per restare in tema di crimini e suspance, parleremo delle nostre paure con gli investimenti, sempre qui, naturalmente, con THE BULL — Il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025