Portafogli con poche Azioni danno migliori Risultati?
Qual è il miglior portafoglio bilanciato per affrontare l'investimento a lungo termine? Il buon vecchio 60/40? Un portafoglio di sole azioni? O forse portafogli con una quota minoritaria di azioni sono quelle che alla fine performano meglio di tutti?Proveremo a ragionare insieme su tutti questi argomenti.

Risorse
Punti Chiave
Vengono discusse diverse strategie di asset allocation e il loro rendimento/rischio.
Si analizza l'impatto di ciclo economico, inflazione e tassi su azioni, obbligazioni e oro.
Il portafoglio vincente è quello che l'investitore riesce a mantenere a lungo termine.
Trascrizione Episodio
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Scollinati i primi 100 episodi di questo allegro ritrovo bisettimanale tra appassionati di risparmio e investimenti — e soprattutto di appassionati che un anno fa manco sapevano di esserlo e ora in alcuni casi sono diventati degli invasati cronici che prima o poi, io ve lo dico, finite per dormire sul divano sfrattati dal talamo nuziale — voi pensavate di avere finalmente tutte le idee chiare vero?
Eh-eh! E invece no, ora si scombinano tutte le carte in tavola!
La domanda del provocatorio titolo un po’ clickbait di oggi dovrebbe aver risposta facile tra tutti voi, che in decine di migliaia mi rispondereste in un unisono corale “NO! Certo che NO”.
Il portafoglio con più azioni è quello che, alla fine, rende più di tutti nel lungo termine.
Nessun dubbio su questo.
Nessun dubbio?
Ehhhh… più o meno…
A llora cominciamo col dire che non è che mi sono sbagliato per 100 episodi e che mo vi tocca rifarvi i portafogli da capo.
Però diciamo che, oggi che siete tutti grandi, adulti e finanziariamente vaccinati, è giunto il momento che cominciate a ragionare in maniera un po’ più strutturata su come funziona l’asset allocation di un portafoglio e valutare poi se prendere specifiche decisioni per la vostra particolare situazione.
Oggi mi è venuto in mente di parlarvi di questa cosa perché tra i mille articoli, paper, contenuti, post, newsletter e via dicendo che ogni settimana fagocito con la stessa voracità di Canavacciuolo davanti a un piatto di spaghetti con le vongole, devo dire che è da un po’ di tempo che stanno uscendo riflessioni, fatte da persone immensamente più intelligenti e competenti di me, che mettono in discussione il cosiddetto “conventional wisdom”, quel buon senso comune alla base della costruzione di un buon portafoglio.
E tra l’altro la cosa divertente, sempre perché la finanza è scientifica quasi quanto il fantacalcio, è che ultimamente ho letto sia articoli che valorizzano i portafogli con relativamente poche azioni che articoli che invece al contrario pretendono di aver dimostrato che l’allocation migliore, più a prova di bomba per un futuro sereno, sia 100% azionario.
Mai una volta che uno può star tranquillo, c’è sempre qua qualcuno che dice tutto e il contrario di tutto.
Allora di cosa parliamo oggi.
Il menu del giorno a prezzo fisso prevede quanto segue:
– Dirò due cose sulla formula di asset allocation di cui parliamo sempre qui a The Bull, mica che poi sembra che mi sono rincoglionito e che mi contraddico da solo.
– Poi farò qualche accenno ad uno dei paper di finanza più letti, se non il più letto in assoluto, negli ultimi mesi che si intitola “Beyond the Status quo: a critical assessment of lifcycle investment advice”, che in pratica è un paper scritto dal professor Scott Cederburg e altri due e che arriva a sostenere che il portafoglio migliore una volta che sei in pensione è 100% azionario, mettendo in completa discussione l’idea classica che più invecchi più bond dovresti avere in portafoglio.
– Dopo aver velocemente illustrato pro e contro delle tesi di questo paper, ci spostiamo invece dalla parte opposta, ossia a vedere qualche portafoglio che invece, fa esattamente la cosa inversa e cioè limita l’esposizione azionaria, con risultati abbastanza sorprendenti.
Cominciamo intanto dalla cosa di cui parliamo sempre qui.
Lo sapete bene, lo ripeto con una frequenza ormai al limite della paranoia: quando uno deve partire e non sa da che parte girarsi un approccio piuttosto solido per impostare la propria asset allocation consiste nell’assegnare alla quota di azioni una percentuale del capitale uguale a
125 meno i propri anni meno i tassi di interesse della Fed moltiplicati per 5.
In pratica quest’idea si rifà ad modello superclassico di asset allocation, molto caro al compianto John Bogle, il fondatore di Vanguard e inventore degli index fund, che diceva: percentuale di azioni = 100 meno gli anni.
Come noto io ho trasformato il 100 in 125 e ho aggiunto il discorso dei tassi di interesse non perché sta cosa sia la formula magica del portafoglio perfetto — cazzo ne so quale sia tra l’altro — ma perché nella maggior parte dei casi produce un’impostazione di buon senso.
Tipicamente chi inizia ad investire ha grossomodo tra i 20 e i 60 anni e la concentrazione maggiore si ha soprattutto nella fascia 35-50.
Applicare questa regola, nella maggior parte dei casi vuol dire avere un portafoglio fatto da una quota di azioni che va dal 65 al 50%, almeno ai tassi attuali.
In circostanza con tassi di interesse prossimi allo zero, come poteva essere stato dopo la grande crisi finanziaria del 2008 o durante il Covid, gli stessi portafogli avrebbero avuto tra il 90 e il 75% di azioni.
Tra l’altro, per come sono andate le cose del 2008 in poi, aver avuto così tante azioni in portafoglio, soprattutto se sbilanciate verso gli Stati Uniti avrebbe prodotto dei risultati spettacolari.
Il coefficiente Fed, cioè quella roba “tassi della Fed (o della BCE) per 5”, serve fondamentalmente per evitare di ritrovarsi con una manica di obbligazioni in portafoglio nel momento in cui i tassi di interesse sono molto bassi.
Il motivo è duplice:
– Da una parte quando i tassi di interesse sono bassi, le azioni storicamente tendono a correre perché aumenta il premio al rischio, ossia il rendimento in eccesso rispetto a quello senza rischio di un’obbligazione governativa;
– Dall’altra con tassi prossimi allo zero le obbligazioni non rendono una cippa e al primo risveglio dell’inflazione, come abbiamo visto nel 2022, le banche centrali alzano i tassi e tutto ciò che è obbligazionario sprofonda.
Quando invece, come oggi, le obbligazioni governative rendono in media il 3% in Europa e oltre il 4% negli Stati Uniti, allora sovrappesare le obbligazioni in portafoglio può aver senso perché:
– Intanto il premio al rischio è, teoricamente, più assottigliato;
– In secondo luogo ci si porta a casa un 3-4% di rendimento quasi senza rischio e a tassazione agevolata;
– E infine se le banche centrali tagliano i tassi gli ETF obbligazionari vanno su per ogni punto percentuale di taglio di tanti punti percentuali quanto è la loro duration modificata media. Per esempio un ETF con duration 7, andrà su di circa il 7% a fronte di un taglio di un punto percentuale dei tassi di interesse; se invece va tutto a ramengo nella lotta all’inflazione e i tassi vengono ulteriormente alzati, il danno entro certi limiti è contenuto perché la perdita di valore dell’ETF obbligazionario viene compensato dal rendimento interno delle cedole, cosa che era impossibile quando i tassi erano a zero.
Ora fare un backtest su sta cosa è complicato.
Non serve però un backtest per sapere che un portafoglio molto spinto sull’azionario dal 2009 alla fine del 2021 avrebbe fatto molto meglio di un 60/40 e che allo stesso modo un progressivo aumento della quota obbligazionaria da metà del 2023 in poi, una volta che si è capito che con gli aumenti di tassi più o meno si era giunti al termine, sarebbe stata un’idea migliore che non avere il 40% del portafoglio in obbligazioni durante il 2022, anno che è stato un vero e proprio Bondageddon, forse il peggiore di sempre per il mercato obbligazionario.
Detto questo, non ho la pretesa di dire che questo sia il portafoglio più performante di sempre o che abbia il miglior Sharpe ratio che si sia mai visto.
Vi ricordo che lo Sharpe ratio, il rapporto di Sharpe, in onore del premio nobel William Sharpe, tra i padri del Capital Asset Pricing Model, è il rapporto tra il rendimento di un portafoglio oltre il rendimento risk-free delle obbligazioni governative e la sua deviazione standard.
In pratica l’indice di Sharpe è un modo comodo per capire quale portafoglio, a parità di rendimento, balla meno e quindi è meno “rischioso”, perlomeno laddove in Finanzia si definisce il rischio come volatilità.
È però un modello di buon senso che, su base storica perlomeno, avrebbe sempre dato dei risultati soddisfacenti.
Quando uno deve partire e non sa che fare, può partire da qua.
Abbiamo poi sempre aggiunto che una volta che viene impostato il portafoglio in questo modo, buona cosa sarebbe proiettare sui prossimi 2, 5, 8 e 10 anni la crescita attesa di questo portafoglio.
Se stimiamo un 3% sulla parte obbligazionaria e un 7-8% su quella azionaria, vediamo anno dopo anno come cresce il nostro patrimonio e mentre la parte azionaria sappiamo che è inaffidabile su orizzonti così brevi, quella obbligazionaria dovrebbe essere abbastanza attendibile.
Prendo i miei obiettivi nei prossimi anni, cerco di capire di quanti soldi ho bisogno per star sereno, verifico se la parte obbligazionaria del mio portafoglio è coerente con questi obiettivi e poi adatto il portafoglio di conseguenza:
– Se sono tirato, aumento la quota obbligazionaria del portafoglio, soprattutto se mi trovo in un momento come questo in cui i bond hanno buoni rendimenti;
– Se invece sono largo, posso valutare di aumentare la quota azionaria, assumendomi maggiore rischio.
Questo è il modo in cui io, più o meno, ragiono con il mio portafoglio.
A guardar bene, molto spesso si avvicina ad un 60/40 nei fatti.
A volte si sposta più vero un 70/30.
Altre volte 50/50.
Più o meno siamo lì però.
Ci sono però altri modi di impostare il portafoglio e sempre più di frequente leggo articoli di persone brillanti che provano a costruire portafogli in modo differente e con della asset allocation che a prima vista mi hanno lasciato perplesso, ma poi una volta capito il senso in effetti mi danno da pensare.
Prima però di arrivare a questi, partiamo da Cederburg e dal suo dibattutissimo paper, che contro ogni apparente principio di buon senso cerca di stravolgere quasi un secolo di convinzioni su come costruire portafogli bilanciati.
Per riassumere in breve un mattonazzo di articolo accademico da 70 pagine, la tesi di fondo di Cederburg è che non è vero che uno deve investire tanto in azioni quando è giovane e poi gradualmente ridurre la sua esposizione azionaria a favore delle obbligazioni.
Questa cosa è invece più o meno quella di cui ho sempre parlato io con la formula 125 — età — eccetera, anche se poi viene adattata in base agli obiettivi di spesa e quindi non è così rigida come il classico azioni = 100 — anni, che invece è grossomodo come sono costruiti i Target Date Funds, ossia quei portafogli preimpacchettati soprattutto da Vanguard e Blackrock che riducono progressivamente l’esposizione azionaria man mano che l’età avanza.
Cederburg e altri due hanno invece fatto una monumentale ricerca, analizzando oltre 2.500 anni di dati mensili sulla performance azionaria di 38 paesi.
Hanno inoltre considerato tassi di mortalità, tassi di risparmio, abitudini di consumo, insomma uno st udio monumentale per cercare di tirare fuori il portafoglio ideale per quando uno va in retirement, ossia per quando deve vivere del proprio portafoglio e fare in modo che questo non si esaurisca finché campa.
Il suo risultato, apparentemente, è che il portafoglio ideale è fatto di sole azioni, 50% domestic stocks, 50% international stocks e zero bond.
Domestic stocks vuol dire che se sei Americano investi metà nell’S&P 500 e l’altra metà in un ETF World, se invece sei Italiano dovresti investire metà non nel FTSE MIB ma nell’Euro Stoxx 50, dato che il tema dell’investimento domestico è limitare il rischio di valuta.
Ora, è chiaro che questo studio è scioccante, perché chiaramente l’idea di avere il 100% dei propri soldi in azioni sembra tutto fuorché il portafoglio più sicuro del mondo.
Il suo ragionamento però è la saggezza comune che suggerisce di sovrappesare i bond man mano che la vita ava nza non tiene conto del fatto che durante periodi ad alta inflazione i bond possono avere dei crolli irrecuperabili, mentre invece le azioni funzionano meglio perché le aziende possono semplicemente alzare i prezzi dei propri prodotti ottenendo degli utili nominali più alti.
Se invece sei in pensione, hai magari l’80% in obbligazioni e ti becchi un 2022 con un’impennata di inflazione e tassi di interesse che schizzano da 0 a 5%, eh, è dura perché tu magari hai un duration media delle tue obbligazioni di 7-8 anni e una roba del genere può anche farti sprofondare il portafoglio del 20-30%.
Solo che un -30% delle azioni può essere recuperato anche in pochi mesi — vedi quello che è successo nel 2020 — mentre un -30% sulla parte obbligazionaria potrebbe richiedere anni di recovery e tu tutti quegli anni potresti anche non averceli.
Sulla carta il paper è perfetto e sembra funzionare benissimo.
Poi in realtà sono arrivate svariate critiche che hanno messo in discussione la reale fattibilità di un portafoglio del genere, oltre all’enorme e mediamente insostenibile livello di volatilità a cui espone.
Alcuni eminenti esponenti del mondo finanziario hanno ironicamente commentato che in pratica Cederburg avrebbe fatto una scoperta un po’ da grazie al cazzo, e cioè che se investi nell’asset class con l’aspettava di rendimento maggiore ottieni … l’aspettativa di rendimento maggiore.
Ma che investire in azioni fosse la cosa migliore per puntare al massimo rendimento possibile lo sanno anche i sassi.
Il punto è capire se vada bene per tutti un portafoglio che, capitasse un altro decennio perduto, resterebbe sott’acqua per quasi 14 anni prima di tornare a nuovi massimi.
Ora su questo articolo non voglio spendermi più di tanto nell’analisi, anche perché sono il primo a dire “NO: un portafoglio 100% azionario non può essere dove metto tutti i miei soldi e ciò a cui affido il futuro mio e della mia famiglia”. Anche a costo di lasciar già tanto rendimento nel lungo termine.
Tanto rendimento in teoria, perché qualcuno ha fatto notare che, contrariamente a quel che sostiene Cederburg, non è detto che ci siano triliardi di dollari di potenziali guadagni per i pensionati da portarsi a casa con un portafoglio 100% equity.
Cliff Asness di AQR è uno di quelli che l’ha preso più per il culo facendo notare che se tutti gli americani si riversassero su un portafoglio 100% azionario, non è che queste azioni che tutti vanno a comparare vengono create dal nulla, ma devono essere vendute da qualcun altro.
L’effetto sarebbe quindi di valutazioni delle azioni che schizzano alle stelle e come sapete bene più i prezzi a compro le azioni sono alti rispetto agli utili delle società che rappresentano, minore è il rendimento atteso.
Quindi Asness dice: l’applicazione pratica della teoria di Cederburg sarebbe proprio la causa principale del suo fallimento perché lui si basa su rendimenti passati che sarebbero molto più alti dei reali rendimenti futuri.
Se volete però altre infomrazioni sull’argomento ha fatto un lungo video Mr. Rip qualche giorno fa e giurin giurella questa coincidenza è stata del tutto casuale.
Se volete invece un’analisi con i controcazzi di questo paper, qualche settimana fa il nostro Nicola Protasoni aveva scritto un bel post nel suo The Italian Leather Sofa.
Vi lascio il link del video di Mr Rip e del post di Nicola negli shownote dell’episodio.
Dicevo, rispetto al mio modello 125 — bla bla bla, questo paper di Cederburg è il primo che mi ha dato un po’ da pensare e mi ha fatto chiedere: “ma non è che forse sto sbagliando e dovrei investire 50% in Euro Stoxx 50 e 50% in un mix market cap weighted di azionario internazionale?”.
Tra l’altro sarebbe facile perché dato che l’Euro Stoxx 50 pesa meno del 10% nell’MSCI World, probabilmente otterrei l’allocation suggerita da Cederburg facendo:
– 45% in un ETF sull’Euro Stoxx 50 (o su un altro indice che replica solo azioni dell’Eurozona) e
– 55% in un ETF sull’MSCI World.
Però no, come dicevo, non è il mio.
100% azionario non è una cosa che sono in grado di sostenere.
Si lo so non è molto intelligente come analisi, ma sono fermamente convinto che per come sono fatto preferisco avere un portafoglio con una prospettiva di rendimento inferiore, ma con una maggior stabilità.
Ed è così che, all’estremo opposto, mi sono imbattuto in una serie di studi che fanno il ragionamento opposto, ossia che riprendono alcuni modelli di asset allocation molto datati come il Permanent Portfolio di Harry Browne o l’All Weather di Ray Dalio che, come noto, non hanno più del 25-30% investito in azioni, e provano a elaborare versioni più evolute per cercare di trovare il sacro graal, ossia portafogli che rendono tanto e ballano poco.
Non sarebbe un po’ il sogno di tutti avere un portafoglio che garantisce, che so, il 7-8% quasi ogni anno e che non ha praticamente mai dei tracolli?
Fosse così, investire sarebbe una passeggiata.
Allora per capire come possa esserci una logica dietro all’idea che un portafoglio con poche azioni possa rendere meglio, sotto certe condizioni, di uno con tante azioni, dobbiamo prima capire come funziona il ciclo economico.
Per farla breve, la premessa dei portafogli permanenti è che il ciclo di mercato è solitamente contraddistinto da quattro fasi, che sono:
– La fase di CRESCITA: in cui l’economia si espande, le azioni corrono grazie alla crescita degli utili ma allo stesso tempo sale anche l’inflazione che porta le banche centrali ad alzare i tassi; a quel punto inizia la
– Fase di RALLENTAMENTO: in cui l’economia, raggiunto un punto di surriscaldamento, rallenta per effetto dei tassi alti, necessari a frenare l’inflazione, fino al punto da entrare nella
– Fase di RECESSIONE: con l’economia in contrazione e l’inflazione che, solitamente, rallenta, a meno che ci siano altri fattori come “shock sulle materie prime” che portano alla Stagflazione, quel male assoluto in cui l’economia ristagna e l’inflazione continua a salire. Tolta questa situazione, comunque, la recessione viene solitamente contrastata abbassando i tassi di interesse e dando così uno stimolo monetario all’economia che entra quindi nella
– Fase di RECUPERO: in cui l’economia riparte, le azioni soprattutto growth spingono, le obbligazioni salgono per effetto del taglio dei tassi e il ciclo ricomincia.
In ciascuna di queste 4 fasi, alcune asset class performano meglio e altre invece soffrono.
Di qui l’idea basilare del Permanent Portfolio di Harry Browne, che come ricorderete è composto in parti uguali di azioni, obbligazioni a lungo termine, obbligazioni a breve termine (ciò che viene comunemente inteso come cash) e oro.
In teoria, durante le fasi di crescita le azioni saranno l’asset più performante.
Durante le fasi di inflazione sarà l’oro tendenzialmente a rendere di più.
Durante le fasi di declino e recessione sarà il cash a sostenere il portafoglio mentre infine durante le fasi di deflazione, la riduzione dei tassi di interesse sarà ciò che farà correre soprattutto le obbligazioni a lungo termine.
Per quanto strano possa sembrare, questo portafoglio ha la sua logica controintuitiva che si basa sul fatto che tende a fare quasi sempre peggio degli altri portafogli nelle fasi di crescita, ma mentre i portafogli tipo 60/40 prendono schiaffi nei periodi di inflazione e recessione, questo portafoglio tiene botta anche in questi casi e quindi produce un buon risultato medio con un livello di volatilità nettamente inferiore.
Sua eccellenza Ray Dalio, il fondatore del più grande hedge fund del mondo, Bridgewater Associates, ha creato negli anni ’90 se non sbaglio una versione più evoluta del permanent portfoglio, sempre guidato dalla stessa logica.
Il portafoglio All Weather è infatti così composto:
– 30% di azioni;
– 40% di obbligazioni a lungo termine;
– 15% di obbligazioni a medio termine;
– 7,5% di oro e
– 7,5% di materie prime.
Il principio è il medesimo: azioni per le fasi di crescita, obbligazioni lunghe per le fasi di deflazioni, oro e materie prime per le fasi di inflazione e obbligazioni intermedie per le fasi di recessione.
Ora, questi portafogli hanno davvero fatto meglio di un portafoglio 60/40?
Se facciamo dei backtest che arrivano sino ad oggi, è quasi impossibile che questi portafogli abbiano fatto meglio perché veniamo da 15 anni in cui, 2018 e 2022 a parte, le azioni hanno demolito qualunque altra asset class.
Vediamo infatti come sono andati.
Prendo i dati in dollari, perché così riesco ad arrivare sino agli anni ’70, altrimenti usando ETF in euro non riesco ad andare così indietro.
Dal 1978 ad oggi, ciò fin dove portfolio visualizer mi fa andare indietro, il 60/40 avrebbe disintegrato entrambi i portafogli permanenti.
10.000 dollari investiti nel 78 sarebbero diventati circa 400.000 con il portafoglio di Harry Browne, 500.000 con quello di Ray Dalio e oltre 800.000 con un banale 60/40.
Però… c’è un però…
Questo backtest parte con le fasi finali di quel periodo nero iniziato a metà anni 60 e terminato all’inizio degli anni ’80, falcidiato da recessioni e dai gravi picchi di iperinflazioni legati agli shock petroliferi in medio oriente, e poi si prende tutto il lunghissimo bull run azionario fino al ’99, attraversa il decennio perduto, e poi ha di nuovo 15 anni di gloria dell’azionario fino ad oggi.
Una bellissima favola con happy ending per chi investe in azioni.
Andiamo però a vedere cosa è successo, per esempio, durante il decennio perduto, dal 2000 al 2010.
Ragazzi parliamo di 10 anni.
10 anni sono una fetta significativa nella vita di ciascuno.
Avere pazienza che i propri investimenti fanno schifo per 10 anni è un’impresa titanica.
Durante quello sciagurato decennio il 60/40 avrebbe fatto un misero 3 e mezzo % di crescita media all’anno, praticamente un pelino sopra l’inflazione.
Gli altri due portafogli si sarebbero invece portati a casa un serenissimo 7% all’anno mentre tutto il resto del mondo crollava in rovina.
Se oggi iniziasse un nuovo decennio perduto vorreste avere un 60/40, o magari pure più azioni, o un bislacco portafoglio che rende poco mentre tutti intorno guadagnano, ma che poi mostra i muscoli nelle fasi più nere?
Eh attenzione che la scelta non è così scontata.
Da una parte tutti ci ricordano che alla fine sono le azioni a vincere e rendere più di tutti. Bond, Cash e Oro storicamente non hanno mai avuto una performance di lungo periodo minimamente paragonabile a quella delle azioni.
Però questo è il passato.
Nessuno può garantire che anche in futuro le cose stiano così.
Soprattutto perché, come abbiamo visto un paio di episodi fa, è opinione abbastanza diffusa che il premio al rischio dell’investimento azionario possa ridursi nei prossimi anni, per via delle valutazioni molto alte che l’azionario, soprattutto americano, ha ormai raggiunto e dal più semplice accesso a basso costo ai mercati che fa sì che lo stesso investimento in azioni sia percepito come meno rischioso che in passato.
Se la percezione generale del mercato è che investire in azioni sia “meno rischioso”, inevitabilmente le azioni finiranno per rendere meno.
Ed è qui che secondo me lo studio di Cederburg, validissimo nella teoria, smette di funzionare nella pratica.
Se tutti si mettono ad investire in portafogli 100% azionari convinti da Cederburg che questo sia l’investimento più sicuro di tutti, inevitabilmente viene meno il premio al rischio e a quel punto investire in azioni rischia di diventare meno redditizio che investire in titoli di stato.
Quindi si tratta di capire se nel nostro futuro vogliamo avere portafogli con rendimento atteso inferiore, ma maggiore stabilità e in generale un miglior risk adjusted return, eh, insomma forse vale la pena di fare qualche valutazione in merito.
Anche perché c’è sicuramente un tema “matematico”.
Come abbiamo visto molte volte la sequenza dei rendimenti conta se noi mettiamo o togliamo soldi rispetto al nostro portafoglio.
A parità di rendimento medio, se mi prendo prima un periodo negativo e poi un periodo positivo — e nel frattempo continuo a contribuire nel portafoglio — ottengo un risultato nettamente migliore che non se succede il contrario.
Il mio tasso interno di rendimento, il mio Money Weighted Rate of Return, può discostarsi tantissimo dal mercato rispetto a quanto metto o prelevo soldi dal portafoglio.
E questa cosa è impossibile da pianificare.
Quindi se ho un portafoglio meno volatile è più facile che il mio rendimento reale sia più simile al rendimento di mercato.
Con i Permanent Portfolio probabilmente sono meno esposto a queste fluttuazioni e quindi il timing dei miei versamenti e dei miei prelievi impatta meno.
Con un 60/40, per non parlare di un 100% azionario, il timing può fare una differenza abissale.
Come sempre, in finanza il rischio ha due facce.
Espormi a maggiore volatilità vuol dire sia che può andarmi incredibilmente bene che incredibilmente male.
Pensate se ricevete un grosso bonus o un’eredità da diverse decine di migliaia di euro.
Un conto è se questi soldi li investite nel marzo del 2009, al fondo della grande crisi da cui poi sarebbe partita una risalita straordinaria.
Un altro è se questi soldi li investiste nel gennaio del 2022, un secondo prima che Putin decidesse di invadere l’Ucraina.
Stesso mercato.
Stessa asset allocation.
Stesso ritorno medio.
Diversissimo rendimento reale dei due portafogli.
Con un permanent portfolio o un All Weather, invece, le varianza sarebbe nettamente inferiore.
Chiaramente questi due portafogli sono fatti da Americani per Americani.
Quindi se volete farne una versione Europa le modifiche potrebbero essere:
– Azionario Globale invece dell’azionario Americano e
– Obbligazionario Europeo o Aggregate invece dei soli Treasury.
Si apre però un tema sull’oro.
Perché per un Americano investire in oro significa investire in oro.
Punto.
Fino a prova contraria, il prezzo dell’oro, come di qualunque altra materia prima, è espresso globalmente in dollari.
Quindi per un Europeo comprare oro significa comunque avere un’esposizione al rischio cambio.
Il ritorno generato dall’investimento in oro è quindi molto più imprevibibile per noi di quanto già non lo sia per un americano.
Ammettiamo infatti che ci sia un momento di inflazione.
Tipicamente in quel caso l’oro si apprezza.
Ma se dovesse esserci un’inflazione in Europa più violenta che in America questo potrebbe portare la Banca Centrale Europa ad alzare maggiormente il costo del denaro rispetto alla Fed.
Questo porterebbe probabilmente il dollaro ad indebolirsi rispetto all’Euro e di conseguenza anche il nostro controvalore in Euro dell’oro che deteniamo si ridurrebbe.
Quindi, insomma, considerate che — rispetto a chi vi sventola il potere magico di questi portafogli — come Europei dovete tenere in conto di una variabile in più che potrebbe fare una certa differenza.
Sarò onesto, io mi sveglio un giorno che penso di avere poche azioni e un altro in cui penso di averne troppe.
A volte mi dico “ma che me ne faccio di questi soldi in obbligazioni che rendono quasi come l’inflazione, quando invece le azioni nel lungo termine hanno spaccato tutto”.
Altre dico: “eh sì però, meglio magari puntare a portarsi a casa un 5%-6% certo che non un 7-8% che magari non si realizza mai, oppure che per realizzarlo devo aspettare 30 anni”.
Investire è così.
Fateci l’abitudine.
All’inizio sembra tutto facile.
Poi più ne capite, più vi vengono dubbi su ogni cosa.
Detto questo, comunque è anche una questione emotiva.
Come mi sentirei io con un portafoglio con il 25% di azioni e il 25% di oro?
Male.
Non mi piacerebbe.
Non vorrei essere così nel mercato.
Avrebbe un miglior risk-adjusted return?
Forse, ma non corrisponde alla mia predisposizione verso il rischio.
Oggi sapere che ho un certo controvalore in azioni e un certo controvalore in obbligazioni mi sembra la cosa giusta per me.
Non è detto che lo sia per tutti però.
Inoltre non ho neanche mai vissuto un 2008.
Una sberla vera sui denti devo ancora provarla.
Forse al prossimo lungo bear market ripenserò a quest’episodio e mi maledirò per non avere investito in un permanent portoflio.
Però cosa vi devo dire.
Oggi sento che avere questa esposizione azionaria rappresenta l’abito giusto per me.
E affidare un quarto del mio portafoglio all’oro, boh, è pur sempre un metallo il cui valore è puramente speculativo.
Se non altro le azioni generano dividendi e le obbligazioni staccano cedole, sono asset che producono valore.
L’oro no.
Questo non vuol dire che non ci si possa fare i soldi investendo in esso.
Ma non è il modo in cui voglio investire.
Comunque, mentre con questi due portafogli ho un problema personale — ma non fidati di me, io sono un cazzaro che fa podcast — di recente ho letto un articolo del CFA Institute sul cosiddetto No Regret Portfolio, il Portafoglio senza rimpianti.
In realtà è più il Portafoglio che gestisce o che minimizza il rimpianto, ma in Italiano faceva cagare.
Comunque questo portafoglio è così costituito:
– 50% azioni
– 12,5% Obbligazioni a scadenza intermedia
– 12,5% Obbligazioni a scadenza lunga e
– 25% di oro.
L’articolo da cui l’ho preso sostiene che questo portafoglio batta il 60/40 negli ultimi 50 anni, anche se questa cosa è vera solo se teniamo dentro il disastro degli anni ’70 con l’inflazioni alle stelle, le azioni e i bond a picco e l’oro sugli scudi.
In generale hanno una performance simile ma il no regret portfolio ha uno sharp ratio migliore, quindi vuol dire che a parità di rendimento è meno volatile.
E questa cosa ha il suo peso soprattutto durante un decennio perduto, nel quale il 60/40 sappiamo che ha sofferto come una bestia, mentre il No Regret se la sarebbe cavata piuttosto bene.
Devo dire che questo portafoglio mi ha dato da pensare.
Ne ho fatto anche una versione Europea molto semplice, usando l’MSCI World sulla parte azionaria e Obbligazioni governative europee.
Non riesco a fare backtest troppo indietro nel tempo, ma dal dicembre 2006 al dicembre 2023 in effetti il No Regret avrebbe fatto nettamente meglio del 60/40, 7,3% di rendimento medio annuo contro 6,3.
Non solo: Sharpe Ratio di 0,79 contro 0,64.
Quindi rendimento migliore e volatilità inferiore.
Ora, perché questo portafoglio è andato meglio?
È andato meglio perché avendo meno bond ha sofferto meno il Bondageddon del 2022/23 e nel frattempo si è portato a casa il buon rendimento che l’oro ha fatto negli ultimi 15 anni, quasi il 6% all’anno.
Se invece facciamo finire il backtest a dicembre 2021, prima dell’impennata dell’inflazione e dell’inizio del rialzo dei tassi di interesse, allora il 60/40 vince.
Il 60/40, come avete capito, è un portafoglio che va quasi sempre bene perché dà il meglio nelle fasi di crescita del mercato, che sono la maggioranza.
Il problema è che nei momenti di crisi viene comunque giù, soprattutto se c’è alta inflazione.
Meno di un portafoglio tutto azionario.
Ma comunque le obbligazioni non riescono a controbilanciare le azioni quando c’è una fase di alta inflazione e rallentamento economico.
L’oro sì.
Questo è il motivo per cui può aver senso in un portafoglio.
Eh…
Questo no regret portfolio mi sta dando qualche grattacapo perché mi ha dato da pensare.
L’unico problema è che negli ultimi mesi l’oro ha fatto uno dei really più impressionanti della sua storia, quasi +20% da inizio anno ed è su massimi storici clamorosi.
Proprio adesso voglio smantellare il mio portafoglio e metterne un quarto in oro?
Boh…
E’ vero che fare market timing e decidere di investire in un certo asset in base al prezzo è un’idea del cazzo ed è proprio il tipo di ragionamento da NON fare, però l’oro per i motivi che dicevo prima è anche un asset particolare, non lo so.
Non ci ho ancora riflettuto abbastanza per poter abbandonare il mio modello 125 — sapete cosa per questo.
Diciamo che il mio ha un approccio più dinamico del 60/40 classico, quindi probabilmente se la giocherebbe in termini di rendimenti e sharpe ratio.
E’ solo molto più difficile fare i backtest perché non resta sempre uguale e si modifica in base ai tassi di interesse.
Però per esempio se immaginassi di aver fatto un investimento secco a gennaio 2016, quando avevo esattamente 30 anni e i tassi erano quasi a zero, e avessi applicato la regola del 125, cosa averi fatto?
– Probabilmente avrei avuto un portafoglio 90/10 fino alla fine del 2022;
– E lì poi sarei passato ad un 68% azioni e 32% obbligazioni, visto che io avrei avuto 37 anni e i tassi erano intorno al 4,2.
Questa combinazione avrebbe reso sicuramente di più che non usando un classico 60/40, più in linea con il rendimento del No Regret Portfolio.
Un portafoglio che invece cerca di seguire le quattro fasi del ciclo economico usando un’idea tipo la mia, ma molto più raffinata (e di complessa applicazione devo dire) è quello elaborato da Verdad, una società di asset management, che appunto usa una variabile macroeconomica per adattare l’impostazione del portafoglio.
Però invece che usare i tassi di interesse usa lo spread tra i tassi delle obbligazioni high-yield, quelle cioè considerate sub investment grade, e il Treasury americano.
La cosa è molto più complicata perché non si tratta solo di azioni e obbligazioni, ma quelli di Verdad suggeriscono un’allocazione di portafoglio che si muove tra Small Cap Value, S&P 500, Obbligazioni investment grade, Treasury, oro e petrolio.
In pratica loro suddividono il ciclo economico nelle classiche 4 fasi, che sono appunto CRESCITA, INFLAZIONE, RECESSIONE E RIPRESA, e utilizzano il valore dello spread degli high-yield per capire in quale fase ci si trova e switchare il portafoglio di conseguenza.
Dal loro backtest escono risultati spettacolari.
Ma tanto spettacolari.
Che poi sia una cosa fattibile nella realtà è tutto un altro discorso,
– Perché è meno semplice di quel sembra capire in che fase del ciclo economico effettivamente ci troviamo,
– perché questa correlazione tra tassi high-yield e cicli di mercato non è detto che funzioni anche in futuro,
– perché non è detto che small cap value, oro e petrolio si comportino sempre allo stesso modo
– e infine perché questa strategia richiede tanta compravendita di asset per fare i ribilanciamenti, quindi non è chiaro se l’impatto di costi di transazione e tasse non vada ad erodere i potenziali benefici.
Quindi sulla carta fighissima al quadrato, ho però la sensazione che richieda tanto market timing per funzionare bene.
Un’altra idea ancora più brillante e ancora più complessa è il Model Portfolio del nostro Nicola Protasoni, che in pratica, grazie alla leva, è fatto così:
– 60% di azionario
– 40% di obbligazionario tramite futures
– 20% di trend following
– 10% di commodites
– 4% di tail risk
– E per far tornare i conti -34% di cash, che cioè è la parte presa in prestito per investire a leva.
In buona sostanza è un modo per introdurre altre asset class oltre ad azioni e obbligazioni senza ridurne il peso.
Fatta in questo modo la leva paradossalmente riduce la volatilità complessiva del portafoglio, perché aumenta sì quella di azioni e obbligazioni, ma allo stesso tempo permette di introdurre asset non correlati che compensano la volatilità complessiva del portafoglio.
La cosa complicata qui è gestire i costi della leva.
Io non uso Interactive Broker, ma immagino che poco che costi sarà il tasso risk-free più un spread.
4? 4,5% in totale?
Non che sia una tragedia, visto che questo costo è applicato su un terzo del valore del portafoglio, quindi avrà un impatto dell’1-1,5 sul rendimento totale.
Anche in questo caso l’idea è di avere un portafoglio che sia in grado di adattarsi alle 4 stagioni del ciclo economico senza compromettere la potenza di fuoco delle azioni durante le fasi di crescita.
Cioè se il buon Nick ha ragione, ha indovinato un portafoglio che prende il meglio da tutte le asset class.
Non state però a spaccarvi la testa per provare a rifarlo perché gli strumenti che servono, soprattutto trend following e tail, in Europa non sono ancora disponibili.
Allora tiriamo un po’ le somme di quest’episodio in cui siamo passati di palo in frasca, ma con l’obiettivo di sollevare una serie di tematiche che dovrebbero essere alla base di una decisione consapevole sull’impostazione del proprio portafoglio.
Il takeaway principale è che non esiste UN modo corretto per costruire il portafoglio ma chiaramente possono essere prese diverse strade a seconda dei propri obiettivi, della propria predisposizione alla volatilità dei mercati e in ultima istanza del punto di vista soggettivo di ciascuno.
Da una parte sono tormentato dal fatto che non potendo identificare un chiaro vincitore mi arrovello ogni giorno cercando di risolvere l’intricato enigma del portafoglio perfetto.
Dall’altra è pur sempre vero che se iniziassi oggi a investire e dovessi pescare a caso un portafoglio tra quelli citati (a parte magari gli ultimi due che vanno un po’ al di là delle capacità dell’investitore medio) probabilmente tra 30 anni sarei felice di aver fatto crescere il mio patrimonio, di qualunque cifra si parli.
Sarà stata la scelta ottimale in senso assoluto?
E chi può dirlo.
Ma in fondo: chissene frega.
60/40, Permanent Portfolio, All Season, No Regret, Regola del 125, così come anche altre impostazioni del portafoglio probabilmente faranno il loro.
Non posso prevedere il futuro ma quasi con certezza posso dirvi che nessun portafoglio vi farà fare in 30 anni il 10% all’anno di rendimento, neanche un 100% azionario, ed è altrettanto improbabile che un portafoglio bilanciato vi porti ad avere un rendimento reale negativo.
Non è impossibile in senso assoluto, ma diciamo che ad oggi la probabilità di perdere soldi con un portafoglio multiasset esposto a livello internazionale è forse nell’ordine delle 3 deviazioni standard, quindi meno di una probabilità su 100.
Quindi il mio consiglio non è usare la regola del 125 o un altro portafoglio X.
Il mio consiglio è scegliere l’impostazione che meglio vi fa dormire la notte e più a lungo vi permette di rimanere investiti senza patemi.
Citando nuovamente il grande Ben Felix, the best portfolio is the one you can stick with.
Il portafoglio che vi permette di rimanere investiti tutta la vita E’ il portafoglio giusto per voi.
Il resto è fuffa buona per i paper.
Bene care amiche e cari amici di The Bull.
Oggi abbiamo fatto qualche ragionamento sull’asset allocation da usare per fare crescere il nostro patrimonio, mentre non abbiamo detto molto sul miglior portafoglio da usare per conservare il nostro patrimonio, quando raggiungeremo quel magico momento in cui diremo: “OK GUYS, Ho raggiunto il mio target, da qui in poi sarà il mio portafoglio a sostenere il grosso delle mie spese, tanti saluti a tutti e che nessuno mi venga più a rompere i ************”.
Il retirement portofolio, quindi il portafoglio che mi permette di vivere di rendita o quasi, e il cosiddetto Safe Withdrawal Rate, ossia il tasso di prelievo sicuro dal mio portafoglio, sicuro nel senso che mi lascia sereno che non finisco senza soldi prima di schiattare, saranno invece oggetto di un prossimo episodio.
Grazie invece a tutti voi per essere ancora qui con me dopo 100 episodi e per aver inaugurato tutti insieme la nuova corsa verso i prossimi 100.
Grazie per essere sempre qui, per essere sempre più numerosi e per la responsabilità che vi prendete a raccomandare a parenti, amici e forse anche nemici questo podcast, con la sincera speranza che possa essere per ciascuno di voi utile di qualche ispirazione.
Per continuare il nostro viaggio insieme vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che cercando di farvi capire il dosaggio degli ingredienti per la ricetta definitiva del portafoglio perfetto, anche se vincere la mistery box a Masterchef con gli occhi bendati e le mani legate sarebbe più semplice sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì primo Maggio con il consueto recap di quel che è successo sui mercati ad Aprile — e di cose ne sono successe davvero — sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Scollinati i primi 100 episodi di questo allegro ritrovo bisettimanale tra appassionati di risparmio e investimenti — e soprattutto di appassionati che un anno fa manco sapevano di esserlo e ora in alcuni casi sono diventati degli invasati cronici che prima o poi, io ve lo dico, finite per dormire sul divano sfrattati dal talamo nuziale — voi pensavate di avere finalmente tutte le idee chiare vero?
Eh-eh! E invece no, ora si scombinano tutte le carte in tavola!
La domanda del provocatorio titolo un po’ clickbait di oggi dovrebbe aver risposta facile tra tutti voi, che in decine di migliaia mi rispondereste in un unisono corale “NO! Certo che NO”.
Il portafoglio con più azioni è quello che, alla fine, rende più di tutti nel lungo termine.
Nessun dubbio su questo.
Nessun dubbio?
Ehhhh… più o meno…
A llora cominciamo col dire che non è che mi sono sbagliato per 100 episodi e che mo vi tocca rifarvi i portafogli da capo.
Però diciamo che, oggi che siete tutti grandi, adulti e finanziariamente vaccinati, è giunto il momento che cominciate a ragionare in maniera un po’ più strutturata su come funziona l’asset allocation di un portafoglio e valutare poi se prendere specifiche decisioni per la vostra particolare situazione.
Oggi mi è venuto in mente di parlarvi di questa cosa perché tra i mille articoli, paper, contenuti, post, newsletter e via dicendo che ogni settimana fagocito con la stessa voracità di Canavacciuolo davanti a un piatto di spaghetti con le vongole, devo dire che è da un po’ di tempo che stanno uscendo riflessioni, fatte da persone immensamente più intelligenti e competenti di me, che mettono in discussione il cosiddetto “conventional wisdom”, quel buon senso comune alla base della costruzione di un buon portafoglio.
E tra l’altro la cosa divertente, sempre perché la finanza è scientifica quasi quanto il fantacalcio, è che ultimamente ho letto sia articoli che valorizzano i portafogli con relativamente poche azioni che articoli che invece al contrario pretendono di aver dimostrato che l’allocation migliore, più a prova di bomba per un futuro sereno, sia 100% azionario.
Mai una volta che uno può star tranquillo, c’è sempre qua qualcuno che dice tutto e il contrario di tutto.
Allora di cosa parliamo oggi.
Il menu del giorno a prezzo fisso prevede quanto segue:
– Dirò due cose sulla formula di asset allocation di cui parliamo sempre qui a The Bull, mica che poi sembra che mi sono rincoglionito e che mi contraddico da solo.
– Poi farò qualche accenno ad uno dei paper di finanza più letti, se non il più letto in assoluto, negli ultimi mesi che si intitola “Beyond the Status quo: a critical assessment of lifcycle investment advice”, che in pratica è un paper scritto dal professor Scott Cederburg e altri due e che arriva a sostenere che il portafoglio migliore una volta che sei in pensione è 100% azionario, mettendo in completa discussione l’idea classica che più invecchi più bond dovresti avere in portafoglio.
– Dopo aver velocemente illustrato pro e contro delle tesi di questo paper, ci spostiamo invece dalla parte opposta, ossia a vedere qualche portafoglio che invece, fa esattamente la cosa inversa e cioè limita l’esposizione azionaria, con risultati abbastanza sorprendenti.
Cominciamo intanto dalla cosa di cui parliamo sempre qui.
Lo sapete bene, lo ripeto con una frequenza ormai al limite della paranoia: quando uno deve partire e non sa da che parte girarsi un approccio piuttosto solido per impostare la propria asset allocation consiste nell’assegnare alla quota di azioni una percentuale del capitale uguale a
125 meno i propri anni meno i tassi di interesse della Fed moltiplicati per 5.
In pratica quest’idea si rifà ad modello superclassico di asset allocation, molto caro al compianto John Bogle, il fondatore di Vanguard e inventore degli index fund, che diceva: percentuale di azioni = 100 meno gli anni.
Come noto io ho trasformato il 100 in 125 e ho aggiunto il discorso dei tassi di interesse non perché sta cosa sia la formula magica del portafoglio perfetto — cazzo ne so quale sia tra l’altro — ma perché nella maggior parte dei casi produce un’impostazione di buon senso.
Tipicamente chi inizia ad investire ha grossomodo tra i 20 e i 60 anni e la concentrazione maggiore si ha soprattutto nella fascia 35-50.
Applicare questa regola, nella maggior parte dei casi vuol dire avere un portafoglio fatto da una quota di azioni che va dal 65 al 50%, almeno ai tassi attuali.
In circostanza con tassi di interesse prossimi allo zero, come poteva essere stato dopo la grande crisi finanziaria del 2008 o durante il Covid, gli stessi portafogli avrebbero avuto tra il 90 e il 75% di azioni.
Tra l’altro, per come sono andate le cose del 2008 in poi, aver avuto così tante azioni in portafoglio, soprattutto se sbilanciate verso gli Stati Uniti avrebbe prodotto dei risultati spettacolari.
Il coefficiente Fed, cioè quella roba “tassi della Fed (o della BCE) per 5”, serve fondamentalmente per evitare di ritrovarsi con una manica di obbligazioni in portafoglio nel momento in cui i tassi di interesse sono molto bassi.
Il motivo è duplice:
– Da una parte quando i tassi di interesse sono bassi, le azioni storicamente tendono a correre perché aumenta il premio al rischio, ossia il rendimento in eccesso rispetto a quello senza rischio di un’obbligazione governativa;
– Dall’altra con tassi prossimi allo zero le obbligazioni non rendono una cippa e al primo risveglio dell’inflazione, come abbiamo visto nel 2022, le banche centrali alzano i tassi e tutto ciò che è obbligazionario sprofonda.
Quando invece, come oggi, le obbligazioni governative rendono in media il 3% in Europa e oltre il 4% negli Stati Uniti, allora sovrappesare le obbligazioni in portafoglio può aver senso perché:
– Intanto il premio al rischio è, teoricamente, più assottigliato;
– In secondo luogo ci si porta a casa un 3-4% di rendimento quasi senza rischio e a tassazione agevolata;
– E infine se le banche centrali tagliano i tassi gli ETF obbligazionari vanno su per ogni punto percentuale di taglio di tanti punti percentuali quanto è la loro duration modificata media. Per esempio un ETF con duration 7, andrà su di circa il 7% a fronte di un taglio di un punto percentuale dei tassi di interesse; se invece va tutto a ramengo nella lotta all’inflazione e i tassi vengono ulteriormente alzati, il danno entro certi limiti è contenuto perché la perdita di valore dell’ETF obbligazionario viene compensato dal rendimento interno delle cedole, cosa che era impossibile quando i tassi erano a zero.
Ora fare un backtest su sta cosa è complicato.
Non serve però un backtest per sapere che un portafoglio molto spinto sull’azionario dal 2009 alla fine del 2021 avrebbe fatto molto meglio di un 60/40 e che allo stesso modo un progressivo aumento della quota obbligazionaria da metà del 2023 in poi, una volta che si è capito che con gli aumenti di tassi più o meno si era giunti al termine, sarebbe stata un’idea migliore che non avere il 40% del portafoglio in obbligazioni durante il 2022, anno che è stato un vero e proprio Bondageddon, forse il peggiore di sempre per il mercato obbligazionario.
Detto questo, non ho la pretesa di dire che questo sia il portafoglio più performante di sempre o che abbia il miglior Sharpe ratio che si sia mai visto.
Vi ricordo che lo Sharpe ratio, il rapporto di Sharpe, in onore del premio nobel William Sharpe, tra i padri del Capital Asset Pricing Model, è il rapporto tra il rendimento di un portafoglio oltre il rendimento risk-free delle obbligazioni governative e la sua deviazione standard.
In pratica l’indice di Sharpe è un modo comodo per capire quale portafoglio, a parità di rendimento, balla meno e quindi è meno “rischioso”, perlomeno laddove in Finanzia si definisce il rischio come volatilità.
È però un modello di buon senso che, su base storica perlomeno, avrebbe sempre dato dei risultati soddisfacenti.
Quando uno deve partire e non sa che fare, può partire da qua.
Abbiamo poi sempre aggiunto che una volta che viene impostato il portafoglio in questo modo, buona cosa sarebbe proiettare sui prossimi 2, 5, 8 e 10 anni la crescita attesa di questo portafoglio.
Se stimiamo un 3% sulla parte obbligazionaria e un 7-8% su quella azionaria, vediamo anno dopo anno come cresce il nostro patrimonio e mentre la parte azionaria sappiamo che è inaffidabile su orizzonti così brevi, quella obbligazionaria dovrebbe essere abbastanza attendibile.
Prendo i miei obiettivi nei prossimi anni, cerco di capire di quanti soldi ho bisogno per star sereno, verifico se la parte obbligazionaria del mio portafoglio è coerente con questi obiettivi e poi adatto il portafoglio di conseguenza:
– Se sono tirato, aumento la quota obbligazionaria del portafoglio, soprattutto se mi trovo in un momento come questo in cui i bond hanno buoni rendimenti;
– Se invece sono largo, posso valutare di aumentare la quota azionaria, assumendomi maggiore rischio.
Questo è il modo in cui io, più o meno, ragiono con il mio portafoglio.
A guardar bene, molto spesso si avvicina ad un 60/40 nei fatti.
A volte si sposta più vero un 70/30.
Altre volte 50/50.
Più o meno siamo lì però.
Ci sono però altri modi di impostare il portafoglio e sempre più di frequente leggo articoli di persone brillanti che provano a costruire portafogli in modo differente e con della asset allocation che a prima vista mi hanno lasciato perplesso, ma poi una volta capito il senso in effetti mi danno da pensare.
Prima però di arrivare a questi, partiamo da Cederburg e dal suo dibattutissimo paper, che contro ogni apparente principio di buon senso cerca di stravolgere quasi un secolo di convinzioni su come costruire portafogli bilanciati.
Per riassumere in breve un mattonazzo di articolo accademico da 70 pagine, la tesi di fondo di Cederburg è che non è vero che uno deve investire tanto in azioni quando è giovane e poi gradualmente ridurre la sua esposizione azionaria a favore delle obbligazioni.
Questa cosa è invece più o meno quella di cui ho sempre parlato io con la formula 125 — età — eccetera, anche se poi viene adattata in base agli obiettivi di spesa e quindi non è così rigida come il classico azioni = 100 — anni, che invece è grossomodo come sono costruiti i Target Date Funds, ossia quei portafogli preimpacchettati soprattutto da Vanguard e Blackrock che riducono progressivamente l’esposizione azionaria man mano che l’età avanza.
Cederburg e altri due hanno invece fatto una monumentale ricerca, analizzando oltre 2.500 anni di dati mensili sulla performance azionaria di 38 paesi.
Hanno inoltre considerato tassi di mortalità, tassi di risparmio, abitudini di consumo, insomma uno st udio monumentale per cercare di tirare fuori il portafoglio ideale per quando uno va in retirement, ossia per quando deve vivere del proprio portafoglio e fare in modo che questo non si esaurisca finché campa.
Il suo risultato, apparentemente, è che il portafoglio ideale è fatto di sole azioni, 50% domestic stocks, 50% international stocks e zero bond.
Domestic stocks vuol dire che se sei Americano investi metà nell’S&P 500 e l’altra metà in un ETF World, se invece sei Italiano dovresti investire metà non nel FTSE MIB ma nell’Euro Stoxx 50, dato che il tema dell’investimento domestico è limitare il rischio di valuta.
Ora, è chiaro che questo studio è scioccante, perché chiaramente l’idea di avere il 100% dei propri soldi in azioni sembra tutto fuorché il portafoglio più sicuro del mondo.
Il suo ragionamento però è la saggezza comune che suggerisce di sovrappesare i bond man mano che la vita ava nza non tiene conto del fatto che durante periodi ad alta inflazione i bond possono avere dei crolli irrecuperabili, mentre invece le azioni funzionano meglio perché le aziende possono semplicemente alzare i prezzi dei propri prodotti ottenendo degli utili nominali più alti.
Se invece sei in pensione, hai magari l’80% in obbligazioni e ti becchi un 2022 con un’impennata di inflazione e tassi di interesse che schizzano da 0 a 5%, eh, è dura perché tu magari hai un duration media delle tue obbligazioni di 7-8 anni e una roba del genere può anche farti sprofondare il portafoglio del 20-30%.
Solo che un -30% delle azioni può essere recuperato anche in pochi mesi — vedi quello che è successo nel 2020 — mentre un -30% sulla parte obbligazionaria potrebbe richiedere anni di recovery e tu tutti quegli anni potresti anche non averceli.
Sulla carta il paper è perfetto e sembra funzionare benissimo.
Poi in realtà sono arrivate svariate critiche che hanno messo in discussione la reale fattibilità di un portafoglio del genere, oltre all’enorme e mediamente insostenibile livello di volatilità a cui espone.
Alcuni eminenti esponenti del mondo finanziario hanno ironicamente commentato che in pratica Cederburg avrebbe fatto una scoperta un po’ da grazie al cazzo, e cioè che se investi nell’asset class con l’aspettava di rendimento maggiore ottieni … l’aspettativa di rendimento maggiore.
Ma che investire in azioni fosse la cosa migliore per puntare al massimo rendimento possibile lo sanno anche i sassi.
Il punto è capire se vada bene per tutti un portafoglio che, capitasse un altro decennio perduto, resterebbe sott’acqua per quasi 14 anni prima di tornare a nuovi massimi.
Ora su questo articolo non voglio spendermi più di tanto nell’analisi, anche perché sono il primo a dire “NO: un portafoglio 100% azionario non può essere dove metto tutti i miei soldi e ciò a cui affido il futuro mio e della mia famiglia”. Anche a costo di lasciar già tanto rendimento nel lungo termine.
Tanto rendimento in teoria, perché qualcuno ha fatto notare che, contrariamente a quel che sostiene Cederburg, non è detto che ci siano triliardi di dollari di potenziali guadagni per i pensionati da portarsi a casa con un portafoglio 100% equity.
Cliff Asness di AQR è uno di quelli che l’ha preso più per il culo facendo notare che se tutti gli americani si riversassero su un portafoglio 100% azionario, non è che queste azioni che tutti vanno a comparare vengono create dal nulla, ma devono essere vendute da qualcun altro.
L’effetto sarebbe quindi di valutazioni delle azioni che schizzano alle stelle e come sapete bene più i prezzi a compro le azioni sono alti rispetto agli utili delle società che rappresentano, minore è il rendimento atteso.
Quindi Asness dice: l’applicazione pratica della teoria di Cederburg sarebbe proprio la causa principale del suo fallimento perché lui si basa su rendimenti passati che sarebbero molto più alti dei reali rendimenti futuri.
Se volete però altre infomrazioni sull’argomento ha fatto un lungo video Mr. Rip qualche giorno fa e giurin giurella questa coincidenza è stata del tutto casuale.
Se volete invece un’analisi con i controcazzi di questo paper, qualche settimana fa il nostro Nicola Protasoni aveva scritto un bel post nel suo The Italian Leather Sofa.
Vi lascio il link del video di Mr Rip e del post di Nicola negli shownote dell’episodio.
Dicevo, rispetto al mio modello 125 — bla bla bla, questo paper di Cederburg è il primo che mi ha dato un po’ da pensare e mi ha fatto chiedere: “ma non è che forse sto sbagliando e dovrei investire 50% in Euro Stoxx 50 e 50% in un mix market cap weighted di azionario internazionale?”.
Tra l’altro sarebbe facile perché dato che l’Euro Stoxx 50 pesa meno del 10% nell’MSCI World, probabilmente otterrei l’allocation suggerita da Cederburg facendo:
– 45% in un ETF sull’Euro Stoxx 50 (o su un altro indice che replica solo azioni dell’Eurozona) e
– 55% in un ETF sull’MSCI World.
Però no, come dicevo, non è il mio.
100% azionario non è una cosa che sono in grado di sostenere.
Si lo so non è molto intelligente come analisi, ma sono fermamente convinto che per come sono fatto preferisco avere un portafoglio con una prospettiva di rendimento inferiore, ma con una maggior stabilità.
Ed è così che, all’estremo opposto, mi sono imbattuto in una serie di studi che fanno il ragionamento opposto, ossia che riprendono alcuni modelli di asset allocation molto datati come il Permanent Portfolio di Harry Browne o l’All Weather di Ray Dalio che, come noto, non hanno più del 25-30% investito in azioni, e provano a elaborare versioni più evolute per cercare di trovare il sacro graal, ossia portafogli che rendono tanto e ballano poco.
Non sarebbe un po’ il sogno di tutti avere un portafoglio che garantisce, che so, il 7-8% quasi ogni anno e che non ha praticamente mai dei tracolli?
Fosse così, investire sarebbe una passeggiata.
Allora per capire come possa esserci una logica dietro all’idea che un portafoglio con poche azioni possa rendere meglio, sotto certe condizioni, di uno con tante azioni, dobbiamo prima capire come funziona il ciclo economico.
Per farla breve, la premessa dei portafogli permanenti è che il ciclo di mercato è solitamente contraddistinto da quattro fasi, che sono:
– La fase di CRESCITA: in cui l’economia si espande, le azioni corrono grazie alla crescita degli utili ma allo stesso tempo sale anche l’inflazione che porta le banche centrali ad alzare i tassi; a quel punto inizia la
– Fase di RALLENTAMENTO: in cui l’economia, raggiunto un punto di surriscaldamento, rallenta per effetto dei tassi alti, necessari a frenare l’inflazione, fino al punto da entrare nella
– Fase di RECESSIONE: con l’economia in contrazione e l’inflazione che, solitamente, rallenta, a meno che ci siano altri fattori come “shock sulle materie prime” che portano alla Stagflazione, quel male assoluto in cui l’economia ristagna e l’inflazione continua a salire. Tolta questa situazione, comunque, la recessione viene solitamente contrastata abbassando i tassi di interesse e dando così uno stimolo monetario all’economia che entra quindi nella
– Fase di RECUPERO: in cui l’economia riparte, le azioni soprattutto growth spingono, le obbligazioni salgono per effetto del taglio dei tassi e il ciclo ricomincia.
In ciascuna di queste 4 fasi, alcune asset class performano meglio e altre invece soffrono.
Di qui l’idea basilare del Permanent Portfolio di Harry Browne, che come ricorderete è composto in parti uguali di azioni, obbligazioni a lungo termine, obbligazioni a breve termine (ciò che viene comunemente inteso come cash) e oro.
In teoria, durante le fasi di crescita le azioni saranno l’asset più performante.
Durante le fasi di inflazione sarà l’oro tendenzialmente a rendere di più.
Durante le fasi di declino e recessione sarà il cash a sostenere il portafoglio mentre infine durante le fasi di deflazione, la riduzione dei tassi di interesse sarà ciò che farà correre soprattutto le obbligazioni a lungo termine.
Per quanto strano possa sembrare, questo portafoglio ha la sua logica controintuitiva che si basa sul fatto che tende a fare quasi sempre peggio degli altri portafogli nelle fasi di crescita, ma mentre i portafogli tipo 60/40 prendono schiaffi nei periodi di inflazione e recessione, questo portafoglio tiene botta anche in questi casi e quindi produce un buon risultato medio con un livello di volatilità nettamente inferiore.
Sua eccellenza Ray Dalio, il fondatore del più grande hedge fund del mondo, Bridgewater Associates, ha creato negli anni ’90 se non sbaglio una versione più evoluta del permanent portfoglio, sempre guidato dalla stessa logica.
Il portafoglio All Weather è infatti così composto:
– 30% di azioni;
– 40% di obbligazioni a lungo termine;
– 15% di obbligazioni a medio termine;
– 7,5% di oro e
– 7,5% di materie prime.
Il principio è il medesimo: azioni per le fasi di crescita, obbligazioni lunghe per le fasi di deflazioni, oro e materie prime per le fasi di inflazione e obbligazioni intermedie per le fasi di recessione.
Ora, questi portafogli hanno davvero fatto meglio di un portafoglio 60/40?
Se facciamo dei backtest che arrivano sino ad oggi, è quasi impossibile che questi portafogli abbiano fatto meglio perché veniamo da 15 anni in cui, 2018 e 2022 a parte, le azioni hanno demolito qualunque altra asset class.
Vediamo infatti come sono andati.
Prendo i dati in dollari, perché così riesco ad arrivare sino agli anni ’70, altrimenti usando ETF in euro non riesco ad andare così indietro.
Dal 1978 ad oggi, ciò fin dove portfolio visualizer mi fa andare indietro, il 60/40 avrebbe disintegrato entrambi i portafogli permanenti.
10.000 dollari investiti nel 78 sarebbero diventati circa 400.000 con il portafoglio di Harry Browne, 500.000 con quello di Ray Dalio e oltre 800.000 con un banale 60/40.
Però… c’è un però…
Questo backtest parte con le fasi finali di quel periodo nero iniziato a metà anni 60 e terminato all’inizio degli anni ’80, falcidiato da recessioni e dai gravi picchi di iperinflazioni legati agli shock petroliferi in medio oriente, e poi si prende tutto il lunghissimo bull run azionario fino al ’99, attraversa il decennio perduto, e poi ha di nuovo 15 anni di gloria dell’azionario fino ad oggi.
Una bellissima favola con happy ending per chi investe in azioni.
Andiamo però a vedere cosa è successo, per esempio, durante il decennio perduto, dal 2000 al 2010.
Ragazzi parliamo di 10 anni.
10 anni sono una fetta significativa nella vita di ciascuno.
Avere pazienza che i propri investimenti fanno schifo per 10 anni è un’impresa titanica.
Durante quello sciagurato decennio il 60/40 avrebbe fatto un misero 3 e mezzo % di crescita media all’anno, praticamente un pelino sopra l’inflazione.
Gli altri due portafogli si sarebbero invece portati a casa un serenissimo 7% all’anno mentre tutto il resto del mondo crollava in rovina.
Se oggi iniziasse un nuovo decennio perduto vorreste avere un 60/40, o magari pure più azioni, o un bislacco portafoglio che rende poco mentre tutti intorno guadagnano, ma che poi mostra i muscoli nelle fasi più nere?
Eh attenzione che la scelta non è così scontata.
Da una parte tutti ci ricordano che alla fine sono le azioni a vincere e rendere più di tutti. Bond, Cash e Oro storicamente non hanno mai avuto una performance di lungo periodo minimamente paragonabile a quella delle azioni.
Però questo è il passato.
Nessuno può garantire che anche in futuro le cose stiano così.
Soprattutto perché, come abbiamo visto un paio di episodi fa, è opinione abbastanza diffusa che il premio al rischio dell’investimento azionario possa ridursi nei prossimi anni, per via delle valutazioni molto alte che l’azionario, soprattutto americano, ha ormai raggiunto e dal più semplice accesso a basso costo ai mercati che fa sì che lo stesso investimento in azioni sia percepito come meno rischioso che in passato.
Se la percezione generale del mercato è che investire in azioni sia “meno rischioso”, inevitabilmente le azioni finiranno per rendere meno.
Ed è qui che secondo me lo studio di Cederburg, validissimo nella teoria, smette di funzionare nella pratica.
Se tutti si mettono ad investire in portafogli 100% azionari convinti da Cederburg che questo sia l’investimento più sicuro di tutti, inevitabilmente viene meno il premio al rischio e a quel punto investire in azioni rischia di diventare meno redditizio che investire in titoli di stato.
Quindi si tratta di capire se nel nostro futuro vogliamo avere portafogli con rendimento atteso inferiore, ma maggiore stabilità e in generale un miglior risk adjusted return, eh, insomma forse vale la pena di fare qualche valutazione in merito.
Anche perché c’è sicuramente un tema “matematico”.
Come abbiamo visto molte volte la sequenza dei rendimenti conta se noi mettiamo o togliamo soldi rispetto al nostro portafoglio.
A parità di rendimento medio, se mi prendo prima un periodo negativo e poi un periodo positivo — e nel frattempo continuo a contribuire nel portafoglio — ottengo un risultato nettamente migliore che non se succede il contrario.
Il mio tasso interno di rendimento, il mio Money Weighted Rate of Return, può discostarsi tantissimo dal mercato rispetto a quanto metto o prelevo soldi dal portafoglio.
E questa cosa è impossibile da pianificare.
Quindi se ho un portafoglio meno volatile è più facile che il mio rendimento reale sia più simile al rendimento di mercato.
Con i Permanent Portfolio probabilmente sono meno esposto a queste fluttuazioni e quindi il timing dei miei versamenti e dei miei prelievi impatta meno.
Con un 60/40, per non parlare di un 100% azionario, il timing può fare una differenza abissale.
Come sempre, in finanza il rischio ha due facce.
Espormi a maggiore volatilità vuol dire sia che può andarmi incredibilmente bene che incredibilmente male.
Pensate se ricevete un grosso bonus o un’eredità da diverse decine di migliaia di euro.
Un conto è se questi soldi li investite nel marzo del 2009, al fondo della grande crisi da cui poi sarebbe partita una risalita straordinaria.
Un altro è se questi soldi li investiste nel gennaio del 2022, un secondo prima che Putin decidesse di invadere l’Ucraina.
Stesso mercato.
Stessa asset allocation.
Stesso ritorno medio.
Diversissimo rendimento reale dei due portafogli.
Con un permanent portfolio o un All Weather, invece, le varianza sarebbe nettamente inferiore.
Chiaramente questi due portafogli sono fatti da Americani per Americani.
Quindi se volete farne una versione Europa le modifiche potrebbero essere:
– Azionario Globale invece dell’azionario Americano e
– Obbligazionario Europeo o Aggregate invece dei soli Treasury.
Si apre però un tema sull’oro.
Perché per un Americano investire in oro significa investire in oro.
Punto.
Fino a prova contraria, il prezzo dell’oro, come di qualunque altra materia prima, è espresso globalmente in dollari.
Quindi per un Europeo comprare oro significa comunque avere un’esposizione al rischio cambio.
Il ritorno generato dall’investimento in oro è quindi molto più imprevibibile per noi di quanto già non lo sia per un americano.
Ammettiamo infatti che ci sia un momento di inflazione.
Tipicamente in quel caso l’oro si apprezza.
Ma se dovesse esserci un’inflazione in Europa più violenta che in America questo potrebbe portare la Banca Centrale Europa ad alzare maggiormente il costo del denaro rispetto alla Fed.
Questo porterebbe probabilmente il dollaro ad indebolirsi rispetto all’Euro e di conseguenza anche il nostro controvalore in Euro dell’oro che deteniamo si ridurrebbe.
Quindi, insomma, considerate che — rispetto a chi vi sventola il potere magico di questi portafogli — come Europei dovete tenere in conto di una variabile in più che potrebbe fare una certa differenza.
Sarò onesto, io mi sveglio un giorno che penso di avere poche azioni e un altro in cui penso di averne troppe.
A volte mi dico “ma che me ne faccio di questi soldi in obbligazioni che rendono quasi come l’inflazione, quando invece le azioni nel lungo termine hanno spaccato tutto”.
Altre dico: “eh sì però, meglio magari puntare a portarsi a casa un 5%-6% certo che non un 7-8% che magari non si realizza mai, oppure che per realizzarlo devo aspettare 30 anni”.
Investire è così.
Fateci l’abitudine.
All’inizio sembra tutto facile.
Poi più ne capite, più vi vengono dubbi su ogni cosa.
Detto questo, comunque è anche una questione emotiva.
Come mi sentirei io con un portafoglio con il 25% di azioni e il 25% di oro?
Male.
Non mi piacerebbe.
Non vorrei essere così nel mercato.
Avrebbe un miglior risk-adjusted return?
Forse, ma non corrisponde alla mia predisposizione verso il rischio.
Oggi sapere che ho un certo controvalore in azioni e un certo controvalore in obbligazioni mi sembra la cosa giusta per me.
Non è detto che lo sia per tutti però.
Inoltre non ho neanche mai vissuto un 2008.
Una sberla vera sui denti devo ancora provarla.
Forse al prossimo lungo bear market ripenserò a quest’episodio e mi maledirò per non avere investito in un permanent portoflio.
Però cosa vi devo dire.
Oggi sento che avere questa esposizione azionaria rappresenta l’abito giusto per me.
E affidare un quarto del mio portafoglio all’oro, boh, è pur sempre un metallo il cui valore è puramente speculativo.
Se non altro le azioni generano dividendi e le obbligazioni staccano cedole, sono asset che producono valore.
L’oro no.
Questo non vuol dire che non ci si possa fare i soldi investendo in esso.
Ma non è il modo in cui voglio investire.
Comunque, mentre con questi due portafogli ho un problema personale — ma non fidati di me, io sono un cazzaro che fa podcast — di recente ho letto un articolo del CFA Institute sul cosiddetto No Regret Portfolio, il Portafoglio senza rimpianti.
In realtà è più il Portafoglio che gestisce o che minimizza il rimpianto, ma in Italiano faceva cagare.
Comunque questo portafoglio è così costituito:
– 50% azioni
– 12,5% Obbligazioni a scadenza intermedia
– 12,5% Obbligazioni a scadenza lunga e
– 25% di oro.
L’articolo da cui l’ho preso sostiene che questo portafoglio batta il 60/40 negli ultimi 50 anni, anche se questa cosa è vera solo se teniamo dentro il disastro degli anni ’70 con l’inflazioni alle stelle, le azioni e i bond a picco e l’oro sugli scudi.
In generale hanno una performance simile ma il no regret portfolio ha uno sharp ratio migliore, quindi vuol dire che a parità di rendimento è meno volatile.
E questa cosa ha il suo peso soprattutto durante un decennio perduto, nel quale il 60/40 sappiamo che ha sofferto come una bestia, mentre il No Regret se la sarebbe cavata piuttosto bene.
Devo dire che questo portafoglio mi ha dato da pensare.
Ne ho fatto anche una versione Europea molto semplice, usando l’MSCI World sulla parte azionaria e Obbligazioni governative europee.
Non riesco a fare backtest troppo indietro nel tempo, ma dal dicembre 2006 al dicembre 2023 in effetti il No Regret avrebbe fatto nettamente meglio del 60/40, 7,3% di rendimento medio annuo contro 6,3.
Non solo: Sharpe Ratio di 0,79 contro 0,64.
Quindi rendimento migliore e volatilità inferiore.
Ora, perché questo portafoglio è andato meglio?
È andato meglio perché avendo meno bond ha sofferto meno il Bondageddon del 2022/23 e nel frattempo si è portato a casa il buon rendimento che l’oro ha fatto negli ultimi 15 anni, quasi il 6% all’anno.
Se invece facciamo finire il backtest a dicembre 2021, prima dell’impennata dell’inflazione e dell’inizio del rialzo dei tassi di interesse, allora il 60/40 vince.
Il 60/40, come avete capito, è un portafoglio che va quasi sempre bene perché dà il meglio nelle fasi di crescita del mercato, che sono la maggioranza.
Il problema è che nei momenti di crisi viene comunque giù, soprattutto se c’è alta inflazione.
Meno di un portafoglio tutto azionario.
Ma comunque le obbligazioni non riescono a controbilanciare le azioni quando c’è una fase di alta inflazione e rallentamento economico.
L’oro sì.
Questo è il motivo per cui può aver senso in un portafoglio.
Eh…
Questo no regret portfolio mi sta dando qualche grattacapo perché mi ha dato da pensare.
L’unico problema è che negli ultimi mesi l’oro ha fatto uno dei really più impressionanti della sua storia, quasi +20% da inizio anno ed è su massimi storici clamorosi.
Proprio adesso voglio smantellare il mio portafoglio e metterne un quarto in oro?
Boh…
E’ vero che fare market timing e decidere di investire in un certo asset in base al prezzo è un’idea del cazzo ed è proprio il tipo di ragionamento da NON fare, però l’oro per i motivi che dicevo prima è anche un asset particolare, non lo so.
Non ci ho ancora riflettuto abbastanza per poter abbandonare il mio modello 125 — sapete cosa per questo.
Diciamo che il mio ha un approccio più dinamico del 60/40 classico, quindi probabilmente se la giocherebbe in termini di rendimenti e sharpe ratio.
E’ solo molto più difficile fare i backtest perché non resta sempre uguale e si modifica in base ai tassi di interesse.
Però per esempio se immaginassi di aver fatto un investimento secco a gennaio 2016, quando avevo esattamente 30 anni e i tassi erano quasi a zero, e avessi applicato la regola del 125, cosa averi fatto?
– Probabilmente avrei avuto un portafoglio 90/10 fino alla fine del 2022;
– E lì poi sarei passato ad un 68% azioni e 32% obbligazioni, visto che io avrei avuto 37 anni e i tassi erano intorno al 4,2.
Questa combinazione avrebbe reso sicuramente di più che non usando un classico 60/40, più in linea con il rendimento del No Regret Portfolio.
Un portafoglio che invece cerca di seguire le quattro fasi del ciclo economico usando un’idea tipo la mia, ma molto più raffinata (e di complessa applicazione devo dire) è quello elaborato da Verdad, una società di asset management, che appunto usa una variabile macroeconomica per adattare l’impostazione del portafoglio.
Però invece che usare i tassi di interesse usa lo spread tra i tassi delle obbligazioni high-yield, quelle cioè considerate sub investment grade, e il Treasury americano.
La cosa è molto più complicata perché non si tratta solo di azioni e obbligazioni, ma quelli di Verdad suggeriscono un’allocazione di portafoglio che si muove tra Small Cap Value, S&P 500, Obbligazioni investment grade, Treasury, oro e petrolio.
In pratica loro suddividono il ciclo economico nelle classiche 4 fasi, che sono appunto CRESCITA, INFLAZIONE, RECESSIONE E RIPRESA, e utilizzano il valore dello spread degli high-yield per capire in quale fase ci si trova e switchare il portafoglio di conseguenza.
Dal loro backtest escono risultati spettacolari.
Ma tanto spettacolari.
Che poi sia una cosa fattibile nella realtà è tutto un altro discorso,
– Perché è meno semplice di quel sembra capire in che fase del ciclo economico effettivamente ci troviamo,
– perché questa correlazione tra tassi high-yield e cicli di mercato non è detto che funzioni anche in futuro,
– perché non è detto che small cap value, oro e petrolio si comportino sempre allo stesso modo
– e infine perché questa strategia richiede tanta compravendita di asset per fare i ribilanciamenti, quindi non è chiaro se l’impatto di costi di transazione e tasse non vada ad erodere i potenziali benefici.
Quindi sulla carta fighissima al quadrato, ho però la sensazione che richieda tanto market timing per funzionare bene.
Un’altra idea ancora più brillante e ancora più complessa è il Model Portfolio del nostro Nicola Protasoni, che in pratica, grazie alla leva, è fatto così:
– 60% di azionario
– 40% di obbligazionario tramite futures
– 20% di trend following
– 10% di commodites
– 4% di tail risk
– E per far tornare i conti -34% di cash, che cioè è la parte presa in prestito per investire a leva.
In buona sostanza è un modo per introdurre altre asset class oltre ad azioni e obbligazioni senza ridurne il peso.
Fatta in questo modo la leva paradossalmente riduce la volatilità complessiva del portafoglio, perché aumenta sì quella di azioni e obbligazioni, ma allo stesso tempo permette di introdurre asset non correlati che compensano la volatilità complessiva del portafoglio.
La cosa complicata qui è gestire i costi della leva.
Io non uso Interactive Broker, ma immagino che poco che costi sarà il tasso risk-free più un spread.
4? 4,5% in totale?
Non che sia una tragedia, visto che questo costo è applicato su un terzo del valore del portafoglio, quindi avrà un impatto dell’1-1,5 sul rendimento totale.
Anche in questo caso l’idea è di avere un portafoglio che sia in grado di adattarsi alle 4 stagioni del ciclo economico senza compromettere la potenza di fuoco delle azioni durante le fasi di crescita.
Cioè se il buon Nick ha ragione, ha indovinato un portafoglio che prende il meglio da tutte le asset class.
Non state però a spaccarvi la testa per provare a rifarlo perché gli strumenti che servono, soprattutto trend following e tail, in Europa non sono ancora disponibili.
Allora tiriamo un po’ le somme di quest’episodio in cui siamo passati di palo in frasca, ma con l’obiettivo di sollevare una serie di tematiche che dovrebbero essere alla base di una decisione consapevole sull’impostazione del proprio portafoglio.
Il takeaway principale è che non esiste UN modo corretto per costruire il portafoglio ma chiaramente possono essere prese diverse strade a seconda dei propri obiettivi, della propria predisposizione alla volatilità dei mercati e in ultima istanza del punto di vista soggettivo di ciascuno.
Da una parte sono tormentato dal fatto che non potendo identificare un chiaro vincitore mi arrovello ogni giorno cercando di risolvere l’intricato enigma del portafoglio perfetto.
Dall’altra è pur sempre vero che se iniziassi oggi a investire e dovessi pescare a caso un portafoglio tra quelli citati (a parte magari gli ultimi due che vanno un po’ al di là delle capacità dell’investitore medio) probabilmente tra 30 anni sarei felice di aver fatto crescere il mio patrimonio, di qualunque cifra si parli.
Sarà stata la scelta ottimale in senso assoluto?
E chi può dirlo.
Ma in fondo: chissene frega.
60/40, Permanent Portfolio, All Season, No Regret, Regola del 125, così come anche altre impostazioni del portafoglio probabilmente faranno il loro.
Non posso prevedere il futuro ma quasi con certezza posso dirvi che nessun portafoglio vi farà fare in 30 anni il 10% all’anno di rendimento, neanche un 100% azionario, ed è altrettanto improbabile che un portafoglio bilanciato vi porti ad avere un rendimento reale negativo.
Non è impossibile in senso assoluto, ma diciamo che ad oggi la probabilità di perdere soldi con un portafoglio multiasset esposto a livello internazionale è forse nell’ordine delle 3 deviazioni standard, quindi meno di una probabilità su 100.
Quindi il mio consiglio non è usare la regola del 125 o un altro portafoglio X.
Il mio consiglio è scegliere l’impostazione che meglio vi fa dormire la notte e più a lungo vi permette di rimanere investiti senza patemi.
Citando nuovamente il grande Ben Felix, the best portfolio is the one you can stick with.
Il portafoglio che vi permette di rimanere investiti tutta la vita E’ il portafoglio giusto per voi.
Il resto è fuffa buona per i paper.
Bene care amiche e cari amici di The Bull.
Oggi abbiamo fatto qualche ragionamento sull’asset allocation da usare per fare crescere il nostro patrimonio, mentre non abbiamo detto molto sul miglior portafoglio da usare per conservare il nostro patrimonio, quando raggiungeremo quel magico momento in cui diremo: “OK GUYS, Ho raggiunto il mio target, da qui in poi sarà il mio portafoglio a sostenere il grosso delle mie spese, tanti saluti a tutti e che nessuno mi venga più a rompere i ************”.
Il retirement portofolio, quindi il portafoglio che mi permette di vivere di rendita o quasi, e il cosiddetto Safe Withdrawal Rate, ossia il tasso di prelievo sicuro dal mio portafoglio, sicuro nel senso che mi lascia sereno che non finisco senza soldi prima di schiattare, saranno invece oggetto di un prossimo episodio.
Grazie invece a tutti voi per essere ancora qui con me dopo 100 episodi e per aver inaugurato tutti insieme la nuova corsa verso i prossimi 100.
Grazie per essere sempre qui, per essere sempre più numerosi e per la responsabilità che vi prendete a raccomandare a parenti, amici e forse anche nemici questo podcast, con la sincera speranza che possa essere per ciascuno di voi utile di qualche ispirazione.
Per continuare il nostro viaggio insieme vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che cercando di farvi capire il dosaggio degli ingredienti per la ricetta definitiva del portafoglio perfetto, anche se vincere la mistery box a Masterchef con gli occhi bendati e le mani legate sarebbe più semplice sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì primo Maggio con il consueto recap di quel che è successo sui mercati ad Aprile — e di cose ne sono successe davvero — sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024