10 Principi Universali dell’Investimento

Il miglior portafoglio è quello che funziona meglio per te! Contro il rischio di sovracomplicare i nostri portafogli, nell'ossessiva ricerca del portafoglio perfetto, ripercorriamo 10 principi inviolabili degli investimenti e della pianificazione finanziaria.

Difficoltà
41 minuti
The Bull - No Thumb

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Punti Chiave

Umiltà: non sei più smart del mercato.

Le previsioni sono inutili; il tempo investito batte il timing.

La maggior parte dei fondi attivi non batte l'indice.

Prioritizza pianificazione, risparmio e costi bassi.

Rischio e rendimento sono legati.

Non esiste strategia ottimale, solo quella adatta ai tuoi obiettivi personali.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Rieccoci qua, care amiche e cari amici di questo variegato podcast, parco giochi dei miei pensieri e delle mie riflessioni sugli investimenti, sul risparmio, sul senso dei soldi e della vita in generale, inframezzato qua e là da qualche scemenza per ricordare sempre a tutti che la finanza non è una scienza, ma un’arte un po’ bislacca inutilmente complicata da buffe parole come volatilità e duration e da un sofisticato armamentario matematico in grado di prevedere cose sbagliate con grandissima precisione.

Negli ultimi episodi abbiamo messo sul tavolo un po’ di ragionamenti, addentrandoci anche in qualche concetto leggermente più complicato che in passato.

Però del resto, oh, siete qua da mesi a seguirmi no? Eh mica posso dirvi sempre le stesse quattro fregnacce su risparmia e investimenti in generale.

È un po’ come quando abbiamo scoperto il sushi anni fa.

All’inizio tutti abbiamo pensato che fosse una merda, ma non lo dicevamo altrimenti sembravi sfigato.

Poi ha cominciato a piacerci.

Gli all you can eat ci sembravano il paradiso sulla terra.

Col tempo siamo diventati più sofisticati e pretenziosi e adesso ci mettiamo anche a misurare lo spessore delle righe bianche del salmone per giudicare la qualità del pesce del ristorante, manco fossimo cresciuti a Osaka, preparando sushi di giorno e forgiando micidiali katane di sera.

Ah tra l’altro: tre cose che forse non tutti sanno.

Uno: quando il creatore si è inventato il Salmone, beh, non l’ha fatto di quel colore che tutti avete in mente. Il vero salmone, quello che sguazza nei torrenti nordici contromano, non è mai stato arancione con le righe bianche. Il vero salmone è rosso e non ha neanche quel sapore di plastica che avete in mente. Quello che tutti mangiamo è invece un’orrenda deformazione di allevamento.

Due: in Giappone il sushi non si fa con il salmone, anzi è rarissimo proprio trovarlo il salmone, perché il pesce per antonomasia usato nel Sol Levante è il tonno, soprattutto un tonno che non mangereste mai perché la qualità più pregiata è estremamente grassa e di un colore rosa pallido che sembra andato a male.

Tre: gli Uramaki, i roll e tutte quelle altre schifezze che mangiamo qui, stanno al vero sushi come la pizza con l’ananas sta alla pizza napoletana.

Perché vi sto parlando di questa cosa?

Forse perché il sushi è una grandissima metafora della finanza.

Ad una certa tutti si sono inventati il rainbow roll con quattro tipi diversi di pesce, il tartufo, l’uovo di quaglia, l’avocado, il topping croccante e una spolverata di plutonio per soddisfare l’umana aspirazione alla sovracomplicazione, quando in realtà, probabilmente, il sushi migliore di tutti, quello che per 30-40.000 yen potete degustare in minuscoli ristoranti a Tokyo o Kyoto, è fatto di due cose: riso e pesce. Punto. E se lo chef vi vede inzuppare il pesce nella soya prende la catana e vi amputa un braccio (non posso escludere che dopo aver visto Kill Bill uno svariato numero di volte mi sia convinto che tutti i cuochi di sushi producano anche spade per samurai, ma questa correlazione potrebbe non essere corretta).

Cmq.

Pesce e riso.

Semplice.

Come azioni e obbligazioni.

Easy.

Negli ultimi episodi abbiamo fatto un po’ di ragionamenti, abbiamo visto i portafogli con poche azioni e un po’ di oro, abbiamo citato portafogli che usano lo spread delle obbligazioni high-yield o quelli che usano la leva per mettere più asset di quanto la matematica consentirebbe, abbiamo parlato di come cambia la correlazione tra azioni e obbligazioni nelle varie fasi dei cicli economici, insomma, ci siamo immersi in tante riflessioni nel tentativo di trovare la formula magica del portafoglio perfetto.

Però il portafoglio perfetto è molto più probabilmente un semplice nigiri fatto di riso e tonno, non un dragon roll con il gambero fritto e i tacos sbricolati sopra.

Comprendere la complessità della finanza, serve solo per acquisire quella consapevolezza che ci deve portare alla semplicità dei nostri investimenti.

E quindi, dopo alcuni episodi immersivi in tematiche un po’ più “pro”, diciamo così, oggi allarghiamo lo sguardo, facciamo un passo indietro e per evitare il rischio di metterci a cucinare l’equivalente finanziario di un uramaki nippo-giapponese fushion con il mango e il philadelphia, l’episodio di oggi sarà dedicato ai principi universali e immutabili dell’investimento.

Così, giusto per ricordarsi quali sono davvero le cose che contano quando si investe e quanto dannoso invece possa essere sovracomplicare nel tentativo di inseguire rendimenti irrealistici.

Ora, potrei mettermi qui, sforzarmi, pensarci, formulare in maniera originale la cosa e spiegarvi il tutto.

Però qualche mese fa l’episodio 299 del podcast Rational Reminder di Ben Felix e Cameron Passmore ha apparecchiato tutto quanto e cosa faccio? Faccio il creator originale e scrivo tutto da zero o copio bellamente?

Copio.

Anzi non proprio copio, diciamo che prendo liberamente spunto, riformulo e semplifico, perché Ben Felix ha parlato di 20 principi, qua facciamo un po’ di taglia e cuci e li condensiamo in 10 altrimenti non finiamo più.

Quindi, ladies and gentlemen, mettetevi comodi perché per i prossimi 30 minuti parleremo dei 10 Principi Universali dell’investimento, le regole d’oro perché il vostro portafoglio sia più simile al nigiri di Sukiyabashi Jiro a Tokyo che non ai dragon roll di Bomaki.

Cominciamo.

PRINCIPIO UNO: Ricordati che non sei così smart come pensi, perlomeno rispetto al mercato.

Non sto parlando di te, Laura o Giovanni di turno che mi stai ascoltando, sto parlando di chiunque non faccia Warren o Ray o Peter o Jim di nome e che di lavoro non faccia l’investitore leggendario.

Il mercato, nel suo complesso, è fondamentalmente efficiente, almeno secondo la cosiddetta Efficient Market Hypotesis del premio Nobel Eugene Fama, ossia i prezzi riflettono già tutte le informazioni disponibili e quindi non è possibile sfruttare in maniera sistematica le inefficienze nelle valutazioni degli asset per ottenere dei profitti superiori al rendimento medio del mercato.

Detto altrimenti: ogni volta che vi sembrerà di aver avuto un’intuizione geniale e che comprare questo o quell’asset vi farà fare più soldi che non copiando il mercato, oppure ogni volta che vi comparirà su Instagram qualcuno che vi racconta come il suo formidabile sistema di trading vi farà guadagnare entrate passive stabili con 10 minuti al giorno, ecco fatevi sempre questa domanda: chi c’è dall’altra parte del trade?

Per uno che guadagna ci vuole sempre uno che perde.

Quanto è probabile che voi siate più smart della media di tutti gli altri investitori e che quindi abbiate intuito qualcosa che nessun altro ha intuito?

Quanto è probabile che voi sappiate qualcosa che gli altri non sanno?

Ecco: poco probabile.

Questo è il motivo più semplice del mondo alla base del fatto che avere sistematicamente successo attraverso specifiche scommesse sul mercato è praticamente impossibile.

Conoscete qualcuno che sta facendo un botto di soldi con qualche magico e misterioso sistema?

Le opzioni sono solo due: o non ha ANCORA perso soldi, ma prima o poi accadrà, oppure vi sta mentendo.

Morale: stay humble, siate umili, quasi nessuno è più smart del mercato nel suo aggregato, puntate alla media e la media sarebbe già tanta roba.

PRINCIPIO DUE: Smettila di pensare che “questa volta è diverso”

Ogni crisi, ogni bolla, ogni evento più o meno rilevante che segna una fase dei mercati è sistematicamente accompagnato da qualche portavoce della teoria secondo la quale “questa volta è diverso”, intendendo che ciò è accaduto in passato non si ripeterà in futuro.

E questa cosa vale tanto in positivo quanto in negativo.

Per esempio si è pensato che “questa volta fosse diverso” nel 1999, quando i mercati di tutto il mondo erano gonfiati all’estremo sull’onda della internet bubble e che sarebbero cresciuti per sempre.

Rimarrà per sempre un epic fail spettacolare un libro pubblicato nel 1999 dal titolo Dow 36.000, in cui in pratica si sosteneva che i prezzi delle azioni americane, che nel frattempo avevano raggiunto un price earning ratio di 40 e passa, fossero a buon mercato e che entro 5 anni il Dow Jones avrebbe raggiunto i 36.000 punti, dagli 11.000 circa in cui si trovava.

In poco tempo, il Dow sprofondò di quasi il 50% e sappiamo bene come è andato il decennio perduto.

A onor del vero alla fine i due autori hanno avuto ragione. Solo che invece che arrivare a 36.000 nel 2004, come profetizzato, si dovette aspettare addirittura il 2021.

Il “questa volta è diverso” vale anche nella sua versione pessimistica, con i sistematici perma-bear, come vengono chiamati i perenni pessimisti, tipo Robert Kyiosaki, quello di padre ricco e padro povero, il libro di finanza personale più sopravvalutato di sempre, o Michael Burry, il genio protagonista del libro e del film la Grande Scommessa, The Big Short, che previde la crisi del 2008 e poi previde altre 7-8 crisi di magnitudine ancora superiore che però non si sono mai verificate.

Tutte le stagioni dei mercati sono diverse tra loro.

Ma quel che non cambia sono le logiche a lungo termine che le caratterizzano.

I mercati tendono a crescere.

Dopo le crisi i rendimenti attesi sono superiori.

Ai picchi i rendimenti attesi sono inferiori.

E la legge universale della gravità finanziaria dice che più il mercato va su più ad un certo punto sarà attratto verso il basso, così come più va giù, più sarà portato a risalire.

Difficile sfuggire a questa semplice legge.

Tutto ciò che succede in mezzo è rumore di sottofondo.

E la prossima volta che prenderete una decisione nella convinzione che “questa volta è diverso”, beh, probabilmente non lo sarà.

PRINCIPIO TRE: Il mercato guarda in avanti, anche se rende meglio in inglese la formula: market is forward-looking.

Che significa?

Significa che i prezzi e i valori che vedete oggi sul mercato non riflettono la situazione economica attuale ma “scontano”, come si dice, le aspettative future.

C’è quindi sempre una certa asincronia tra quel che succede nel mondo e come si comportano i mercati.

Per questo molto spesso “bad news is good news”, cattive notizie per l’economia, come la diminuzione dell’occupazione o il calo dei consumi, può essere una buona notizia dei mercati che in questo modo prevedono e scontano situazioni future favorevoli (come ad esempio un taglio dei tassi di interesse).

Mentre l’economia tende a registrare le cose che sono accadute nel passato, la finanza tende a scommettere sulle cose che accadranno nel futuro.

È importante ricordarsi questa cosa, perché nella misura in cui dovesse venirvi in mente di scommettere su un certo trend in ascesa o sull’aspettativa che una certa economia cresca nel futuro, beh, sappiate che i prezzi di determinati asset stanno già riflettendo tutto ciò.

A questo punto tipicamente gli scenari sono due:

– Se l’aspettativa si rivela corretta, il guadagno non sarà granché perché si partiva già da prezzi proporzionali ad essa;

– Se l’aspettativa invece dovesse essere disattesa, ci perderete soldi.

Scommettere quindi su cose dove c’è già una diffusa aspettativa è sempre molto problematico perché tale aspettativa viene automaticamente incorporata nei prezzi e pertanto le valutazioni che vedete oggi non riflettono la situazione attuale, ma già la previsione futura del mercato.

Per fare delle vere scommesse dovreste teoricamente puntare su ciò su cui non punta nessuno.

Ma prima di fare questo vi ricordo il principio UNO, ossia che non siete così smart come pensate e che se nessuno sta scommettendo su quel qualcosa, il più delle volte c’è un buon motivo.

Se pensate invece di essere tra i pochi eletti ad aver capito quello che nessun altro ha capito, o siete dei geni — buon per voi – o state peccando di quel che i greci chiamavano hybris e che oggi tradurrei con “menatela anche meno che non abiti a Omaha, Nebraska, ma a Paderno Dugnano”.

Un saluto a Marco e Stefania se mi stanno ascoltando e agli altri amici di Paderno Dugnano.

PRINCIPIO QUATTRO: Le previsioni sull’andamento dei mercati sono inutili.

E questo, amici miei, come sapete è uno dei miei argomenti preferiti in assoluto.

Non solo sono inutili, come giustamente dice il buon Ben, ma sono proprio impossibili.

Non è assolutamente possibile prevedere l’andamento futuro del mercato, soprattutto sul breve termine e sappiamo bene che il track record delle più grandi istituzioni finanziarie nel tentativo di indovinare la performance dell’anno successivo di questo o quell’indice è imbarazzante.

E quando invece si parla di lungo termine non è che le capacità divinatorie migliorano, semplicemente i rendimenti dei mercati sono fenomeni statistici fondamentalmente casuali e quindi tendono a regredire verso la loro media storica.

In un singolo anno l’azionario dei paesi sviluppati può benissimo fare -50% come +50%, chiaramente con una probabilità gradualmente inferiore man mano che ci si allontana dalla media.

Se la media storica del MSCI World è circa 8% e la sua deviazione standard è 15%, allora la statistica dice che 2 volte su tre il rendimento di ogni singolo anno sarà compreso tra -7% e + 23%, mentre circa 19 volte su 20 il rendimento sarà incluso tra -22% e + 38%. E così via se uno si vuole calcolare le deviazioni standard successive.

In teoria.

Poi nulla vieta che in ogni singolo anno possa davvero succedere di tutto.

Dato che le previsioni sono inutili, nonostante l’irrefrenabile impulso di chiunque si occupi di finanza di lanciarsi costantemente in slanci profetici utili come le posate al Mc Donalds, non bisognerebbe MAI, MAI, MAI e poi MAI prendere alcuna decisione di investimento basandosi su previsioni ma ciò che deve guidare è SEMPRE, SEMPRE, SEMPRE e ancora SEMPRE l’asset allocation che viene impostata in base ai propri obiettivi, al proprio orizzonte temporale e alla propria propensione al rischio.

La lezione qui è: non cercate di prendere decisioni finanziarie basate su previsioni di mercato, ma impostare l’asset allocation del portafoglio sapendo che nel lungo termine i rendimenti tenderanno a convergere verso determinati range intorno ai valori medi. Oltre a questo, ogni ulteriore tentativo di prevedere in maniera più sofisticata è destinato a fallire.

PRINCIPIO CINQUE: un grandissimo classico: Time in the market beats timing the market, quindi il tempo che si resta investiti nel mercato batte il tempismo con cui si cerca di fare investimenti sperando di beccare il momento giusto.

Ehhhh io lo so che voi in teoria questa cosa la sapete ma poi?

Poi 20 dei 100 messaggi che ricevo in media ogni giorno sono tutti: “mmmhhh però il mercato è un po’ alto, forse aspetto un attimo ed entro quando scende un po’”.

Oppure

“dunque allora adesso la BCE taglia i tassi, quindi compro quell’ETF obbligazionario con quella duration lì così sale, poi lo vendo, compro quell’altro lì ecc.”.

Me lo fate apposta allora!

Cioè se il concetto è stare investiti dentro al mercato, bisogna stare investiti dentro al mercato!

Ma non state neanche a spaccarvi il cervello per cercare di capire quando è il momento migliore per fare cosa.

Fatemi una cortesia, andate su Google, scrivete S&P 500, vi esce il grafico, allargate il periodo e guardate per esempio l’inizio del 2014.

Allora il mercato era al suo massimo storico.

Se aveste fatto il ragionamento “mmmhhh, aspetto che il mercato scenda un po’ prima di investirci” stareste ancora qui ad aspettare.

Questo chiaramente non significa che se buttate tutti i vostri soldi oggi dentro il mercato azionario, allora sicuramente andranno su.

E che ne so?

Significa solo che, nel lungo termine, stare costantemente investiti senza cercare di fare dentro e fuori o senza provare a indovinare il timing giusto per fare operazioni tattiche è statisticamente la cosa che dà maggiori probabilità di ottenere rendimenti significativi.

Ci sono una serie di motivi tecnici per cui vi dico questa cosa:

– Intanto come sapete perdere una manciata di buoni giorni di rialzi rischia di compromettere il rendimento di anni, anche perché spesso il mercato vive di brevi e intensi momenti di rialzi (e la stessa cosa succede ovviamente anche con i ribassi); quindi sbagliare anche di poco l’ingresso e l’uscita dal mercato può essere fatale.

– Inoltre, ogni volta che fate operazioni di dentro e fuori pagate commissioni e tasse. Sul lungo termine l’impatto di questi due fattori può diventare spropositato ed erodere i vostri guadagni.

PRINCIPIO SEI: la maggior parte dei fondi comuni d’investimento non batte il mercato di riferimento.

L’avevo mai detta questa cosa?

Nei 106 episodi precedenti non vorrei essermi perso questo passaggio.

Nel caso mi fosse sfuggito, ecco, è uscito giusto giusto da qualche settimana lo SPIVA Scorecard Europe, ossia lo Standard and Poors’ Index Versus Active report che tiene il conto di quanti fondi gestiti attivamente in Europa ha battuto il rispettivo indice di riferimento.

I dati sono come sempre molto divertenti.

Prendo quello Europe e non quello US così vediamo proprio quei fondi in cui noi andremmo ad investire, tenuto conto del cambio valutario e tutto il resto.

Prendiamo come Benchmark lo Standard and Poor’s World Index, che in pratica è la stessa cosa dell’MSCI World, e vediamo come sono andate le cose ultimamente.

Dunque:

– Nel 2023 il numero di fondi attivi europei sull’Azionario Globale che non ha conseguito il rendimento dell’azionario globale è stato dell’84%;

– Negli ultimi 3 anni è stato del 92%;

– Negli ultimi 5 anni è stato del 94%;

– Negli ultimi 10 anni è stato quasi del 98%.

Ora, se al netto delle fee, solo il 2% dei fondi riesce a battere l’indice, mi spiegate qual è il senso di investire in fondi attivi avendo la certezza che quasi sicuramente il rendimento che conseguirete sarà inferiore rispetto al corrispondente ETF che tracca l’indice senza troppe storie?

Ci sono tanti consulenti che lavorano presso banche e assicurazioni che mi seguono e che mi scrivono e devo dire che la maggior parte di loro è anche molto fair nel riconoscere che c’è poco da obiettare a quel che dico.

Però comunque c’è sempre qualcuno che ribatte: “si ok, tutto giusto, però in realtà, ehhh, se investi nei fondi giusti è possibile battere il benchmark, altrimenti se fosse sempre come dici tu neanche Warren Buffett riuscirebbe a battere il mercato, eppure ci riesce”.

Storia vera.

Un consulente mi ha davvero scritto questa cosa.

Allora amico mio:

– UNO: tu non sei e non sarai mai neanche l’ombra di Warren Buffett, esattamente come me e come tutte le decine di migliaia di persone che stanno ascoltando;

– DUE: Warren Buffett non batte l’S&p 500 da 20 anni e la sua superperformance che ne ha fatto una leggenda risale ai numeri pazzeschi realizzati dagli anni ’60 al 2000. Lui peraltro è il primo a consigliare a chiunque di investire in index fund ed è noto che anni fa scommise 1 milione di dollari con degli hedge fund che non avrebbero battuto l’S&P 500 e 10 anni dopo vinse alla grande quella scommessa.

– TRE: cazzo c’entra Warren Buffett con il fondo comune d’investimento impacchettato dalla banca di turno? Qual è la probabilità che il gestore di quel fondo sia il più grande investitore di tutti i tempi? Non altissima suppongo.

Risposta classica: eh no perché ci sono alcuni fondi che performano meglio — e tutti citano sempre roba tipo il Morgan Stanley Global Brands.

Tra l’altro, proprio su questo fondo, è vero che dalla sua data di lancio, intorno al 2000, ha sovraperformato l’MSCI World, e neanche di poco.

Ma tutta questa sovraperformance è dovuta ad una casuale combinazione di scelte fatte dal gestore durante i primi anni 2000, quando il mercato in generale è andato giù di brutto e invece il fondo ha fatto bene.

Da 10 anni a questa parte, invece, il fondo è sotto l’MSCI World, quindi chiunque abbia investito dal 2014 ad oggi in questo superfondo pazzesco, che pur rappresenta l’eccezione virtuosa in mezzo a migliaia di fondi disastrosi, avrebbe performato peggio che non comprando un classico ETF sull’azionario globale.

Ancora una volta, per chi se lo fosse dimenticato.

Il rendimento passato non è minimamente indicativo dei rendimenti futuri.

Eugene Fama, il Nobel di prima, scrisse un paper con Kenneth French nel 2010 in cui dimostrava che l’eventuale sovraperformance di un fondo attivo rispetto al suo indice è del tutto casuale, impossibile distinguere la competenza dalla fortuna.

E infatti prendere oggi il fondo di Morgan Stanley e dire che batte il mercato perché dieci anni fa lo ha battuto, e pure di tanto, è assolutamente lo stesso che pescare qualunque altro fondo a caso sull’azionario globale.

Per la cronaca, nel 2023 l’MSCI World ha fatto, in dollari, quasi il 25% di rendimento; questo fondo il 14%.

Mancato di un pelo.

Perché succede questa cosa?

Non è che i gestori siano scemi, anzi.

Ne sanno più di me e tutti voi messi assieme.

Il punto è che il rendimento atteso di un qualunque fondo è lo stesso rendimento atteso dell’indice di riferimento.

Una volta che togli le spese di gestione del 2-3% all’anno, basta, la stragrande maggioranza dei fondi finiscono per avere un rendimento inferiore al benchmark.

Morale della questione:

– Piuttosto che non investire, meglio investire in un fondo comune d’investimento, ci mancherebbe;

– Ma potendo spendere di meno e guadagnare di più, forse con un po’ di preparazione su quelle quattro cose di cui parliamo qui dovremmo riuscire a cavarcela con degli strumenti più efficienti e a basso costo.

A voi la difficile decisione e prima di prenderla ricordatevi questa cosa: gli incentivi contano.

Se di fronte ad una scelta di investimento, chi vi propone un certo prodotto ha un incentivo affinché voi compriate tale prodotto piuttosto che un altro, questo è sempre un cattivo segno circa la bontà della vostra decisione.

Prima di investire chiedetevi: chi ci guadagna se investo i miei soldi? Se c’è qualcuno dall’altro lato che guadagnerà a prescindere dalle mie performance, probabilmente quel guadagno andrà a discapito del mio rendimento.

PRINCIPIO NUMERO SETTE: Una buona gestione del portafoglio non compensa una cattiva pianificazione finanziaria.

Beh, che dire?

Cos’altro si potrebbe aggiungere ad un principio tanto chiaro?

Quante volte ne abbiamo parlato?

Focalizzare il 90% dei propri sforzi sulla costruzione del portafoglio perfetto, con il massimo sharpe ratio possibile, dimenticandosi poi la fondamentale importanza del risparmio, del budgeting, dell’investimento sulla propria carriera professionale, dei propri obiettivi e del proprio orizzonte temporale è tempo sprecato.

Riprendendo un vecchio tema di The Bull, tra i pilastri del nostro discorso lungo oltre 100 episodi, l’equazione fondamentale della ricchezza è composta da tre variabili: il tempo, il risparmio e il rendimento.

Concentrarsi per massimizzare l’ultimo, dimenticandosi dell’importanza di piegare il tempo a nostro favore per far crescere la capitalizzazione composta dei rendimenti e del risparmio che riusciamo ad investire, il vero carburante della macchina che fa metaforicamente crescere i nostri soldi, significa mancare inesorabilmente il bersaglio grosso nel lungo termine.

PRINCPIO NUMERO OTTO: la relazione tra rischio e rendimento è una legge inviolabile di qualunque investimento.

Vuoi ottenere un rendimento maggiore dai tuoi investimenti?

Devi correre un rischio maggiore.

Impossibile sottrarsi a questa legge inviolabile e fondamentale.

Chiaramente quando parliamo di rischio parliamo di rischio sistematico, ossia di quel rischio non ulteriormente diversificabile legato al fatto di investire in una determinata categoria di asset caratterizzato da una certa volatilità, che è la misura finanziaria per antonomasia del rischio.

Il fatto che il rischio specifico, invece, possa e probabilmente debba essere fondamentalmente eliminato dal portafoglio è ciò che fa della diversificazione, l’unico pasto gratis in finanza.

Ma noi non diversifichiamo solo per eliminare il rischio specifico, ma anche per adattare il rischio sistematico alla nostra specifica situazione.

Il nostro livello di diversificazione tra diversi asset è ciò che ci porta a massimizzare il rendimento del nostro investimento, dato un certo livello di rischio che siamo disposti a prenderci.

Il rendimento atteso di un certo investimento è dato infatti dalla somma tra il rendimento risk-free, tipicamente quello dei titoli di stato, e il risk premium, ossia il rendimento supplementare che il mercato paga per il fatto che ci assumiamo il rischio di perdere i nostri soldi.

Più rischio, maggiore in teoria il risk premium.

E meglio diversifichiamo, sempre in teoria, maggiore sarà il risk premium a parità di rischio (o minore il rischio a parità di risk premium).

Non bisogna mai dimenticare questa cosa per due motivi:

– Il primo riguarda il fatto che devo sempre essere consapevole che il raggiungimento di determinati risultati in termini di rendimento presuppone che mi assuma determinati rischi e che questi siano compatibili con la mia situazione finanziaria e personale generale;

– Il secondo riguarda il fatto di non fare la fine del pollo da spennare. Nel poker c’è un modo dire secondo il quale se nei primi minuti seduto al tavolo non hai capito chi è il “sucker”, quello a cui spillare i soldi, il “sucker” probabilmente sei tu.
Se ad un certo punto ti dovessi imbattere in un certo investimento e venissi persuaso dal suo rendimento atteso, stai sereno che c’è sicuramente un rischio corrispondente che ti stai assumendo.
Se pensi che non ci sia rischio, sappi che non hai trovato un investimento vantaggioso. Sei semplicemente il pollo che qualcun altro spennerà.

Ora, come sappiamo il punto di equilibrio tra rischio e rendimento atteso è legato al tempo.

Tra tutte le asset class, l’investimento azionario è quello più tipicamente “mean reverting”, ossia quello che più tende sistematicamente ad una regressione verso i suoi valori medi.

La sua alta volatilità nel breve tende quindi ad essere compensata, almeno in termini probabilistici, da una convergenza di lungo termine verso i suoi rendimenti storici, perlomeno entro un certo range.

Questo non significa che esista qualche matematica certezza che l’azionario globale farà sempre e per sempre 8% in media all’anno.

Anzi, abbiamo detto più volte che la combinazione degli ultimi 3 decenni tra crescita delle valutazioni e riduzione del rischio percepito nell’investimento azionario, probabilmente comprimerà il premio al rischio nel lungo termine.

La stima della società di Ben Felix è che l’azionario globale si posizionerà più vicino ad un 7% che non ad un 8% (per non parlare del 10 e fischia dell’S&P 500).

Ma comunque parliamo di rendimento atteso positivo e probabilmente rilevante, tanto più se l’inflazione si attesterà mediamente nell’ordine del 2%.

Qualunque esso sia, ad ogni modo, il rendimento reale tende tanto più a convergere, quanto più l’orizzonte temporale è lungo, chiaramente al netto del rischio di sequenza e di significative quote di risparmio aggiunte o tolte dal portafoglio che possono alterare in positivo o in negativo il rendimento effettivo. Se non vi ricordate perché vi rimando all’episodio 99.

Vi rimando invece all’episodio 89 per ragionare su come adattare l’asset allocation ai vostri obiettivi nelle varie fasi della vita, tenendo sempre in considerazione che a breve termine è molto difficile puntare a rendimenti significativi, per via dell’alta volatilità e incertezza che necessariamente li deve contraddistinguere; ed è per questo che se ho bisogno dei miei risparmi da qui ai prossimi 2, 5, anche 8 anni, forse gli asset obbligazionari restano la soluzione migliore. Sul lungo termine, invece, il rendimento atteso dei vostri investimenti azionari tenderà a convergere verso range molto più prevedibili (tra molte virgolette).

È quindi vitale allineare la vostra asset allocation in maniera dinamica con i vari obiettivi nelle varie fasi della vita che vi troverete a dover soddisfare.

PRINCPIO NUMERO NOVE: le commissioni e le tasse contano.

Proprio perché i rendimenti futuri sono incerti come gli orari dei treni italiani quando piovono più di 2 millimetri d’acqua, i costi certi assumono un’importanza decisiva sul risultato netto dei vostri investimenti.

Breve vademecum per ottimizzare questi aspetti:

– Va beh, utilizzare strumenti a basso costo come gli ETF manco ve lo sto a dire, sono 106 episodi che non parlo d’altro; del resto quando il costo di gestione medio del mio portafoglio è 0,13% del patrimonio, meno dell’imposta di bollo, mentre quello di un analogo portafoglio di fondi sarebbe da 10 a 20 volte tanto, ma di cosa stiamo parlando?

– Poi, ottimizzare i costi del vostro broker. Ogni volta che fate una transazione, pagate delle commissioni. Quindi i due consigli più sensati che mi vengono in mente sono:

– Fare meno transazioni possibile e

– Utilizzare broker con bassi costi. Se un broker vi fa pagare 20€ ogni volta che comprate qualche centinaio di euro di ETF NO! Non è lo strumento giusto

– Evitare di fare troppe transazioni per non pagare le tasse sulle plusvalenze, che sono soldi sbattuti via, così come preferire strumenti ad accumulazione, dato che la distribuzione di cedole e dividendi comporta ogni volta un 26% dell’importo che se ne va all’erario italiano;

– Ridurre all’essenziale gli strumenti in portafoglio: più roba avete, più roba dovete muovere, più costi alla fine dovrete sostenere.

– Infine ricordate che, in attesa che il governo renda effettiva la riforma fiscale degli investimenti finanziari, le minusvalenze, quando cioè vendete in perdita un asset finanziario, possono essere compensate fiscalmente con la vendita di in profitto di asset come: ETC (ad esempio sull’oro o materie prime), ETN (per chi investe in criptovalute), oppure obbligazioni acquistate sotto la pari. Volendo si può fare anche con i certificati, ma poi li ci si imbatte in prodotti complicati e non sempre il gioco vale la candela.

– Ah ricordate inoltre che la parte dei vostri investimenti che va in un fondo pensione gode di tutta una serie di benefici, di cui abbiamo parlato già in passato e riparleremo in grande dettaglio tra qualche episodio con un ospite super speciale.

PRINCIPIO NUMERO DIECI: non esiste una strategia di investimento ottimale. La migliore strategia di investimento è quella che funziona meglio per te.

Sembra un po’ uno di quei consigli del menga tipo “segui le tue passioni” e tutto andrà bene.

Ovviamente qui la cosa è più sottile.

Che non esista una strategia di investimento ottimale lo sappiamo.

Ultimamente abbiamo visto mille impostazioni di portafoglio completamente diverse tra loro e, sotto vari punti di vista, ciascuna funziona e nessuna è esente da possibili problematiche.

60/40, 100% azioni, il no regret portfolio (50 azioni, 25 obbligazioni e 25 oro per chi non se lo ricordasse), l’All Weather, il Golden Butterfly, lo Swensen, il Permanent, il Core Four, il No brainer, insomma, le strade dell’asset allocation sono infinite.

Sulla carta tutto funziona bene, poi la cosa importante è che funzioni bene per te, mia cara ascoltatrice o mio caro ascoltatore che hai deciso di prendere tutti i tuoi risparmi e da qui alla notte dei tempi imbarcarti nei tumultuosi mari dei mercati.

“Funzionare bene per te” significa che il tuo portafoglio riflette correttamente il profilo di rischio e rendimento più adatto alla tua situazione personale, ai tuoi obiettivi, alla tua sensibilità e al tuo orizzonte temporale.

Se sei una persona che va in sbattimento ogni volta che il mercato fa -1%, allora investire in azioni sarà sempre una sofferenza per te.

Se invece hai poche spese, pochi debiti, un buon reddito e tanto sangue freddo, teoricamente nessuno ti vieta di investire il 100% in azioni.

In mezzo c’è tutto l’ambio spettro di possibilità per costruire il tuo portafoglio in maniera più o meno rischiosa.

Sempre nell’episodio 89 avevamo fatto un recap di tutto The Bull e avevamo spiegato che l’idea è partire da una certa allocazione di azioni e obbligazioni basata sulla tua età e gli attuali tassi di interesse e da lì proiettare nel futuro come il portafoglio si sarebbe evoluto usando il rendimento atteso.

Se da qui ai prossimi anni prevedo di aver bisogno spesso di liquidità, allora dovrò fare un portafoglio con una minore volatilità e quindi un minor rendimento atteso, viceversa farò il contrario e mi accollerò maggior rischio per avere maggiori rendimenti.

In teoria almeno.

Dico questo perché non vale la pena spaccarsi la testa per identificare il portafoglio ottimale, dato che un portafoglio ottimale — semplicemente — non esiste.

Quello che vi permette di restare investiti e continuare a investire per tutta la vostra vita E’ il portafoglio ottimale.

Ricordatevi inoltre quel che abbiamo detto tante volte nel passato.

A volte ci arrovelliamo per cercare di capire se sia meglio fare 70% azioni, o forse 65 o forse 72, se la duration delle obbligazioni deve essere 5, 7, 10, e l’oro e mica l’oro e così via.

Tutto giusto.

Ma irrilevante nel grande schema delle cose.

L’equazione fondamentale della ricchezza ha tre variabili.\
Il rendimento del portafoglio è solo una di queste e, se posso dire, una volta che il ritorno reale atteso è positivo (ossia è numero tendenzialmente da 4% in su, ragionevolmente al di sopra del tasso medio di inflazione), ok, da lì in poi tutto grasso che cola.

Le altre due variabili sono il tempo e il risparmio.

Mettere più soldi possibili prima possibile in un portafoglio che alla fine in media rende il 5% è meglio che perdere tempo e mettere pochi risparmi in un portafoglio che rende il 7-8%.

Pensare che raggiungere la libertà finanziaria sia solo questione di come investire è una follia e un’illusione.

Il portafoglio è il mezzo.

Il risparmio invece che accumuliamo tramite una gestione intelligente delle nostre spese e massimizzando il reddito derivante dalla nostra professione, ecco, quella è la sua linfa vitale.

Sarà che faccio l’head hunter e quindi ho un bias verso il mondo del lavoro, però questa cosa fa molto più la differenza che indovinare l’asset allocation con il milgior Sharpe Ratio di sempre.

Citando Nick Maggiulli: soprattutto all’inizio, la cosa che conta di più sono i soldi che fate nel vostro lavoro dalle 9:00 alle 18:00, non quelli che fate in borsa dalle

9:00 alle 17:30.

Per questo è importante che il portafoglio vada bene per voi.

Deve essere il portafoglio che vi fa stare ragionevolmente tranquilli e soddisfatti mentre ogni singolo maledetto mese spremete il vostro reddito famigliare al massimo, tirandoci fuori più risparmio possibile (al netto di tutte le accortezze solite su fondo di emergenza e spese a breve) e alimentando i vostri investimenti.

Se va bene per voi, è quello giusto.

Ci sarà sempre qualcuno che farà meglio di voi, almeno in un determinato momento.

Ma questa cosa non deve toccare minimamente ciascuno di noi.

In America si usa l’espressione “keeping up with the Jonses”, che significa qualcosa tipo “non essere da meno dei vicini di casa”.

Molto spesso ci si ossessiona vedendo i nostri amici, parenti, vicini o conoscenti con una macchina più figa, una casa più grande, un lavoro meglio retribuito o, appunto, un portafoglio di investimento che rende di più.

Siamo in una società che negli ultimi 20 anni ha gradualmente portato all’esasperazione quest’ostentazione, vera o presunta tale, di ricchezza.

E’ veleno.

Ed è irrilevante.

Intanto perché voi vedete sempre una singola fotografia della situazione degli altri, non la loro vita complessiva.

Non sapete mai se la loro apparenza di successo relativo, ciò che vi suscita invidia, sarà la stessa anche tra 10 anni.

Quindi non conta nulla.

Inoltre il successo dei Jonses, vero o no che sia, non deve avere alcun impatto sulle nostre decisioni finanziarie, perché rischiamo di applicare delle cose che funzionano per altri in un contesto, il nostro, che potrebbe essere diverso e rispondere in maniera tale da disattendere le nostre aspettative.

Se conoscete qualcuno che ha messo tutti i suoi soldi in bitcoin e ultimamente ha raddoppiato la sua ricchezza, buon per lui.

Qualcuno che ha comprato Nvidia l’anno scorso? Buon per lui.

Qualcuno che ha comprato un corso di trading sulle opzioni e da due anni sta facendo un sacco di soldi? Buon per lui.

Niente dura per sempre.

E più rischio ci si prende, più salato sarà il conto che presto o tardi arriverà.

Farsi il fegato amaro vedendo solo uno fotogramma della vita di qualcun altro è uno dei peggiori errori che si possano commettere.

Scegliere il portafoglio che invece è più adatto per me e “stick with it”, mantenerlo con costanza per tutta la vita, al netto degli adattamenti che specifiche situazioni richiedono, sarà la decisione finanziaria più di successo che potrete mai prendere.

Così come il più semplice nigiri di qualità sarà sempre meglio degli uramaki ordinati al tavolo di fianco, fatti di pesce di plastica e con 43 ingredienti ficcati dentro a forza che manco mi ci stanno in bocca e mi fanno salire la nausea.

That’s All Folks.

Questi erano i 10 Principi Universali dell’investimento, che dovete stamparvi, incorniciare e appendere su qualche muro ben visibile del salotto, così che non vi vengano mai idee del cazzo tipo quella di comprare miracolosi certificati che promettono rendimenti del 14% all’anno garantito, come ho letto l’altro giorno su un’autorevole rivista finanziaria e che dopo che ne ho parlato con Costantino Forgione chiedendogli cosa ne pensasse credo che sia ancora lì che ride.

Tra l’altro, visto il grandissimo successo dell’episodio con lui, Costantino tornerà a trovarci tra qualche settimana e insieme faremo la guida definitiva per sempre su obbligazioni e etf obbligazionari.

Tenere a mente questo decalogo e usarlo come checklist per il vostro portafoglio di investimento probabilmente farà l’80% del lavoro.

I singoli asset su cui investirete potranno ottimizzare le performance e lo Sharpe ratio.

Ma qualunque semplice portafoglio usiate che si armonizzi con questi 10 principi, sono fiducioso che sarà sufficiente per realizzare i vostri obiettivi.

Oltre a Costantino invece avremo a breve una serie di appuntamenti con un po’ di ospiti.

Si parte mercoledì prossimo con la quarta partecipazione a The Bull di Nick Protasoni con il quale racconteremo la storia del più spettacolare fallimento di tutti i tempi di un hedge fund, il clamoroso caso di Long Term Capital Management che tanto ha da insegnare su quanto: successo finanziario, genialità e matematica non sempre vadano d’accordo tra loro.

Avremo poi due ospiti d’eccezione che ci parleranno rispettivamente di Fondi Pensione, così fughiamo davvero tutti i dubbi possibili e immaginabili, e di come dare un boost alla propria carriera professionale.

E poi ci sarà anche un’altra chiacchierata con Mr Rip.

Insomma, menu ricco da qui alla fine della primavera, state con noi che da The Bull si mangia sempre bene e a prezzi modici e soprattutto non serviamo uramaki con i nachos sbriciolati sopra.

Come sempre invece vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove volete e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi insegnano che il miglior portafoglio del mondo probabilmente è più simile ad una buona fetta di pesce su del riso bollito e che il Philadelphia nel sushi è come le commissioni al 2% dei fondi comuni a gestione attiva: entrambi semplicemente non ci devono essere, sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì per capire insieme come diavolo hanno fatto dei premi nobel per l’economia e geni della finanza e della matematica a perdere l’equivalente odierno di 9 miliardi di dollari in pochi mesi sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast d finanza personale

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025
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