Perché Diversificare richiede Coraggio e Pazienza (Lezioni dagli ultimi 10 anni)

Diversificare il portafoglio, bilanciare i rischi, esporsi a diverse regioni del mondo e investire in asset class decorrelate.Quel che sembra la ricetta del portafoglio perfetto richiede coraggio, pazienza e sangue freddo quando anche per interi decenni i mercati sembrano dirci che abbiamo sbagliato tutto. Torniamo indietro al 2014, diamo uno sguardo ai consigli che venivano dati allora e ripercorriamo come sono andate le cose per arrivare al 2024 in cui la storia sembra decisamente ripetersi.

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115. Perché Diversificare richiede Coraggio e Pazienza (Lezioni dagli ultimi 10 anni)

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Le previsioni di Meb Faber sul basso rendimento S&P 500 nel 2014 furono smentite da un decennio eccezionale, trainato da poche azioni "star".

La diversificazione, pur con rendimenti inferiori, è fondamentale per stabilità e protezione contro i rischi (deflazione, iperinflazione, concentrazione) a lungo termine.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Che il secondo anno di The Bull abbia ufficialmente inizio! care amiche e cari amici di questo podcast che ormai, messi insieme tutti i minuti che ho registrato, ha occupato complessivamente almeno 3 o 4 interi giorni delle vostre vite.

Oggi inizia il nostro secondo anno insieme eh, beh, non è che cambi granché.

Parleremo di Portafogli, mercati, risparmio, buone abitudini di finanza personale, un po’ di cose legate al mondo della carriera e, soprattutto, diremo un sacco di cretinate che sono la parte più importante dei miei episodi.

Ormai però siete tutti super pro, quindi chi è arrivato all’episodio 115 senza saltarne troppi dei precedenti sarà ben attrezzato per fare discorsi sempre più approfonditi senza che ogni volta debba stare a spiegare ciascuna cosa sin dalle sue basi.

L’episodio di oggi è liberamente ispirato — e per liberamente intendo che non ho chiesto a nessuno se potevo farlo — ad un recente episodio del podcast di Meb Faber, dal titolo The Bear Market of Diversification, che potete comodamente ascoltarvi attraversi il link che vi lascio nella descrizione.

Ebbene sì, dopo avergli scopiazzato l’idea di usare ChatGPT per far confrontare un suo ospite con la sua controparte avatar, come ho fatto nello scorso episodio con Paolo Coletti (ciao Paolo, grazie ancora per esserti prestato), gli copio un’altra cosa senza ritegno alcuno, dato che è 100 volte più intelligente e brillante di me e quindi le sue opinioni vi saranno certamente più utili delle mie.

Per chi non lo conoscesse Meb Faber è fondatore e Chief Investment Officer di Cambria, una società americana di asset management con idee un po’ particolari, creatori di ETF che qua in Europa ancora non esistono come i cosiddetti Trend-Following (almeno che io sappia qua non c’è niente del genere).

Meb produce una tonnellata di contenuti tra video, podcast, paper, libri e via dicendo e bisogna dire che spesso, nonostante la sua faccia tutt’altro che amichevole, è piuttosto simpatico e ha una sottile ironia che capiscono solo i nerd esperti di Finanza alla Protasoni, ma a volte fa ridere pure un cazzaro come me che non capisce quasi niente.

Noi oggi prendiamo spunto da quest’episodio in cui in pratica ripercorre come sono andate le cose per chi ha investito negli ultimi 10 anni e quanto deve aver sofferto chia ha fatto le cose per bene, diversificando a regola d’arte e tutto il resto, in confronto al più scemo del villaggio che buttando soldi a caso nell’S&P 500, o magari peggio ancora nelle Magnifiche 7, è forse diventato milionario.

Nel fare questo, però, facciamo un salto indietro nel tempo e prendiamo un libretto che sempre Meb Faber ha scritto 10 anni fa e che è disponibile gratuitamente da scaricare sul suo sito, che anch’esso vi linko nella descrizione di quest’episodio, in cui in pratica faceva un po’ il punto sulla situazione del mercato nel 2014 e faceva qualche stima su come sarebbero potute andare le cose nei successivi 10 anni.

Spoiler alert: le sue analisi, giustissime, e le sue previsioni, robustissime, si sono rivelate sbagliatissime.

E Meb Faber è un cazzo di genio brillante della finanza.

Ma vedrete che prendere le previsioni di 10 anni fa, guardare come sono andate le cose, fare il punto sull’oggi e gettare uno sguardo al futuro può essere un esercizio davvero interessante ed estremamente utile per la salute dei nostri portafogli, così per una volta la smettiamo di basarci su quel che è successo negli ultimi 6 mesi e impariamo ad avere una visione un po’ più ampia per capire davvero come funzionano i macro-cicli dei mercati.

Tra l’altro questo libretto, che è la controparte diciamo tecnica dell’episodio citato, è fighissimo perché fa una carrellata di una decina abbondante di modelli di portafoglio, dal 60/40, all’All Weather, allo Swensen, al Permament, al No Brainr di Bernstein, al Buffett e chi più ne ha più ne metta e fa vedere davvero tante cose interessanti su come impostare l’asset allocation in base a diverse prospettive, con tutti i pro e i contro annessi.

Non potremo vederli tutti sennò sto episodio dura più della serata finale di Sanremo, però faremo qualche esempio emblematico e se volete il resto prendete il ditino, aprite la descrizione di quest’episodio, cliccate sul link che vi ho messo e vi leggete le 109 pagine del libretto del buon MEB.

Prima di cominciare con questo fondamentale episodio che spero infonda tanta saggezza in tutti voi, permettetemi di ringraziare Turleneck, l’assicurazione sulla vita di Squarelife, sponsor di questa puntata.

Come avevamo raccontato nell’episodio 103, Turtleneck è una delle assicurazioni sulla vita più convenienti disponibili in Italia (oltre che in Germania, Svizzera, Olanda e Lichtenstein), controllata dalla Financial Market Autority del Lichtenstein (e comunque faccio la collaborazione con loro soprattutto perché così ho l’occasione di dire Lichtenstein) e regolarmente autorizzata da IVASS, l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni.

Chi fosse interessato a garantire alla propria famiglia, figli, eredi o simpatizzanti un futuro finanziario sereno il giorno che dovesse tirare le cuoia anzitempo, può andare sul sito di Turtleneck, che trovate negli shownote di questo episodio, fare un preventivo online ed eventualmente sottoscrivere la polizza in meno di 10 minuti.

Potete assicurare fino a 400.000 € ad un costo mensile che se la gioca con il vostro abbonamento ad Amazon prime, senza stronzate quali fantasiosi prodotti di investimento o simpatiche penali di uscita che dovete vendervi un rene per svincolarvi dall’assicurazione non la volete più.

No, compilate il questionario sul vostro stato di salute, fate il preventivo, attivate l’assicurazione, se schiattate i vostri beneficiari si prendono l’indennizzo e se invece doveste un giorno diventare immortali e l’assicurazione non vi serve più la interrompete in pochi click.

Ogni anno il premio tende ad aumentare in base all’età che avanza, ma Turleneck vi avviserà per tempo sul nuovo prezzo e deciderete voi se rinnovare o no.

Ovviamente il questionario sullo stato di salute lo fate solo all’inizio e poi non vi verrà mai più richiesto, neanche se dovessero insorgere nuove malattie.

Siccome poi in Turtleneck sono tutti matematici e ingegneri e non hanno capito che vendere un’assicurazione serve per fare profitti, hanno anche messo questa cosa che ogni anno, se muoiono meno persone del previsto, vi restituiscono indietro una parte del premio che avete pagato.

Mah contenti loro.

Per qualunque altra informazione rivolgetevi direttamente ai ragazzi di Turleneck e ovviamente accertatevi di aver compreso correttamente il suo funzionamento prima di decidere eventualmente di sottoscrivere un’assicurazione con loro.

Un’assicurazione sulla vita è un tassello fondamentale della pianificazione finanziaria.

Considerate quindi di stipularne una al più presto e valutate il prodotto più idoneo alle vostre esigenze.

Se pensate che Turtleneck abbia queste caratteristiche, negli shownote trovate un link cliccando il quale potete atterrare sul loro sito, ottenere tutte le informazioni di cui avete bisogno per una decisione consapevole ed eventualmente sottoscrivere l’assicurazione sulla vostra vita.

Ok, ora siamo sereni che anche il problema di una morte che si presenta troppo in anticipo rispetto ai nostri piani è risolto.

Resta invece il problema di come impostare il nostro portafoglio al meglio per far crescere la nostra ricchezza lungo tutto il tempo che abbiamo da qui a quando la gentile signora con cappuccio nero e falce dovesse suonarci il campanello.

Torniamo quindi a Meb Faber.

Correva l’anno 2014, in che situazione ci trovavamo?

Beh, le cose si stavano finalmente rimettendo a posto dopo i disastri del primo decennio degli anni 2000.

Come ricordiamo spesso, con il 1999 si era concluso il più felice ventennio di sempre per un investitore azionario, con il mercato azionario americano che sarebbe cresciuto di oltre il 16% all’anno in media, trasformando un investimento di 10.000 dollari nel 1980 in oltre 200.000 alla fine del millennio.

Poi sappiamo come è andata: dot.com bubble, 11 settembre, guerre in Medio Oriente, Great Financial Crisis e recessione globale, crisi del debito dei paesi europei che tra un po’ pure noi finivamo in default come la Grecia, insomma, na gioia dietro l’altra.

La mia adolescenza e l’ingresso nella vita adulta non è che siano stati contornati da uno scenario di grande ottimismo in effetti.

Comunque nel 2014 le cose stavano tornando a posto.

La crisi finanziaria globale era stata faticosamente arginata, i debiti sovrani dei paesi del sud Europa erano stati puntellati anche grazie al celeberrimo Whatever it takes di Mario Draghi, allora capo della Banca Centrale Europea, che in pratica disse che avrebbe fatto qualunque cosa fosse necessaria per proteggere la situazione debitoria dell’Eurozona (tradotto: avrebbe inondato con il quantitative easing i mercati europei con centinaia di miliardi e azzerato i tassi di interesse) e il mercato azionario era tornato sui massimi che non si vedevano dall’inizio del 2000.

So far so good.

Quando le cose vanno bene, però, scatta lo starter pack del profeta della sventura, composto da: previsione di imminenti scoppi di bolle, prezzi delle azioni sopravvalutate, proiezione di rendimenti futuri deludenti e ogni altra forma di pessimismo cosmico che in confronto il buon Leopardi aveva gli occhi pieni di speranza.

Meb Faber in realtà è sempre stato molto equilibrato ed estremamente analitico, però se andiamo a vedere le sue stime alla fine del 2014, insomma, non è che ci fosse molto di che star tranquilli.

Come giustamente fanno in tanti, Meb allora partì dallo Shiller Cyclically Adjusted Price Earnings Ratio, ossia il rapporto tra i prezzi delle azioni e gli utili delle società dell’S&P 500 degli ultimi 10 anni aggiustati per inflazione che è l’indicatore più utilizzato al mondo per stimare il rendimento dei successivi 10 anni del mercato azionario Americano.

IL principio alla base di questa metrica inventata dal premio Nobel Robert Shiller è che maggiore è il suo valore, minore sono i rendimenti attesi del decennio successivo, banalmente perché valori alti significa che stiamo pagando a caro prezzo le azioni rispetto alla loro capacità di generare utili.

La media storica dello Shiller CAPE Ratio nel 2014 era intorno a 16 (oggi è un po’ più alta) e Meb ci spiega che il rendimento annuo reale mediano quando questo valore è tra 15 e 20 è intorno al 5% all’anno. Parliamo di rendimenti reali eh, quindi al netto dell’inflazione. Se consideriamo un 3-4% di inflazione abbiamo un 8-9% nominale.

Con un valore di Shiller sotto i 15 andiamo dall’8 a oltre il 10% reale, quindi diciamo 11-15% nominale, mentre con valori sopra i 20 scendiamo ad un meno entusiasmante 3% reale, quindi 6-7%.

Alla fine del 2014 lo Shiller CAPE Ratio era a 27.

Stando al modello, ci dice Meb, la previsione a fine 2014 per i 10 anni successivi, ossia esattamente il decennio che si sta per concludere mentre sto parlando, era che l’azionario americano avrebbe reso un misero 3,5% nominale all’anno e un ancor più misero 1% in valore reale aggiustato per inflazione.

Un modo direttamente collegato al price/earning ratio e comunemente usato per stimare i rendimenti attesi è usare l’inverso, ossia l’earning yield, il rapporto tra utili e prezzi.

Con un price earning ratio tra 25 e 30, se fate l’inverso, ossia elevate 25 e 30 alla -1, il risultato è intorno al 3,5%.

Questa la ripeto che forse non è troppo chiara.

Se il rapporto tra prezzi e utili è un certo valore X, l’earning yield si ottiene facendo 1 diviso X, oppure — il che è la stessa cosa naturalmente — elevano X alla -1.

Comunque, ripetizioni di matematica a parte, Meb scriveva dieci anni fa — e come lui Cliff Asness di AQR, Ray Dalio, GMO e tanti altri eminenti investitori, non esattamente un gruppetto di 4 pirla presi a caso — che l’aspettativa del mercato azionario americano sarebbe stata davvero mediocre, appunto 3,5% all’anno di rendimento medio.

Meno di quanto oggi rende un BTP che è pure tassato meno.

E poi lì inizia a fare tutto un discorso che vi spiego tra poco.

Ecco, prima di proseguire e giusto per ricordarci di quanto siano utili le previsioni finanziarie, permettetemi di ricordarvi come è effettivamente andato il decennio successivo alla pubblicazione del libretto di Meb.

Dunque abbiamo detto che la previsione per il periodo 2015-2024 era 3,5% all’anno.

Oggi sappiamo che in quel periodo l’S&P 500 ha fatto oltre il 12% all’anno.

Secondo le previsioni del 2014, 10.000 dollari investiti allora, oggi sarebbero diventati 14.000.

Nella realtà sarebbero diventati oltre 31.000.

Un investitore che se ne fosse sbattuto dello Shiller CAPE Ratio e avesse investito nell’S&P 500 senza farsi troppe menate avrebbe quindi fatto quasi il triplo del profitto.

Ora, l’obiettivo estremo di questo episodio è provare a capire insieme per quale motivo, ciononostante, Meb Faber aveva ragione a mettere in guardia da un mercato che sembrava molto sopravvalutato.

Cioè intendiamoci: ha sbagliato la sua previsione di una distanza siderale.

Ma il suo suggerimento di non fare all in un azionario così caro e di costruire invece portafogli diversificati continua ad essere un suggerimento di buon senso, nonostante a posteriori sembri che abbia preso un palo clamoroso stimando un rendimento misero per l’S&P proprio in uno dei suoi decenni più brillanti.

Nel suo recente episodio sul Bear Market della diversificazione, Meb ironizza un po’ su come stavano le cose allora e di come sarebbe stato doloroso far tutto per bene e impostare un portafoglio sano, correttamente diversificato e adatto a tenere botta in diversi scenari di mercato, visto che poi al primo Mr. Jones che passava per strada sarebbe bastato mettere i suoi soldi in SPY o VOO, i ticker dei più grandi ETF del mondo sull’S&P 500, e avrebbe sovraperformato qualunque portafoglio fatto anche dal più brillante degli asset manager.

Tra l’altro la cosa agghiacciante non è solo questa.

È che dal 2014 al 2024 un ETF sull’S&P 500 avrebbe battuto un portafoglio ben diversificato come quelli proposti nel suo libro non solo in generale, ma in OGNI SINGOLO ANNO.

Quindi:

– Rendimenti più stabili;

– Volatilità inferiore;

– Performance superiore.

Insomma, il sacro Graal degli investimenti!

Ovviamente la cosa va messa nel suo contesto storico.

I dieci anni astronomici dal 2014 al 2024 (anzi i 15 anni astronomici dal 2009 al 2024 per essere precisi) sono venuti subito dopo i 10 disastrosi anni dal 2000 al 2009.

E i fantastici anni 80 e 90 sono venuti subito dopo i terribili anni tra la fine degli anni ’60 e la fine dei ’70.

Così come i ruggenti anni ’20, i roaring twenties, e i fantastici anni ’50, avevano abbracciato i devastanti anni della grande depressione e della Seconda guerra mondiale.

Insomma.

Regressione verso la media come sempre.

Decenni buoni.

Decenni meno buoni.

Il mercato non cresce per sempre.

Tutto ciò che va su, prima o poi va giù. E viceversa.

Il problema è che la cosa straordinariamente difficile da fare è indovinare quando un decennio terribile sta per iniziare.

Dal punto di vista tecnico, Meb Faber aveva tutte le buone ragioni del mondo per dire che a fine 2014 niente faceva presagire che l’azionario avrebbe fatto bene, viste le altissime valutazioni delle azioni americane.

Eppure così non è stato.

Un manipolo di società, le solite note che prima si chiamavano FAANG, ossia Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google e poi le Magnificent Seven, ossia quelle di prima senza Netflix più Microsoft, Tesla e Nvidia avrebbero prodotto il grosso della crescita dell’azionario a stelle e strisce e di buona parte dell’azionario globale.

Solo che questa non è un’anomalia.

È piuttosto la normalità.

Come ha dimostrato il prof. Hendirk Bessembinder, dal 1926 ad oggi solo il 4% tra tutte le migliaia di azioni della storia del mercato americano sono state responsabili del fatto che l’azionario ha reso più dei Treasury Bills.

Un misero 4% di società è stato responsabile del fatto che l’S&P 500 abbia restituito ai suoi investitori in media oltre il 10% all’anno.

È quindi inevitabile che il grosso delle azioni non faccia granché e che un minuscolo gruppetto di super star si faccia carico del risultato generale.

Ora, prima di provare a rifare l’esercizio di Meb Faber 10 anni dopo, quando la situazione sembra assolutamente identica ad allora, cominciamo a vedere il portafoglio modello che Faber ha in mente quando parla di Global Asset Allocation Portfolio, ossia il portafoglio benchmark globalmente diversificato che confronta con il potente S&P 500, come lo chiama lui — the mighty S&P 500.

Il Global Asset Allocation portfolio è una sua rivisitazione di ciò che è diventato noto come Global Market Portfolio a partire da un paper del 2012 dal titolo Strategic Asset Allocation: The Global Multi-Asset Market Portfolio e focalizzato sull’analisi di quel che dovrebbe essere il portafoglio ottimale per l’investitore medio.

La versione di Faber è fatta così, abbiate pazienza che la ricetta è un po’ lunga:

– S&P 500 18%

– Paesi Sviluppati 13%

– Mercati Emergenti 5%

– Obbligazioni Corporate 20%

– Titoli di Stato Americani a 30 anni 13%

– Titoli di Stato Internazionali a 10 anni 14%

– Titoli di Stato Americani indicizzati all’inflazione 2%

– Materie prime 5%

– Oro 5%

– REIT 5%

Questo, dal punto di vista del Meb Faber del 2014, doveva essere in qualche modo il portafoglio ideale per l’investitore medio.

Dal 2009 al 2024 un portafoglio di questo tipo avrebbe fatto ogni anno tra il 6 e il 7%.

Metà dell’S&P 500.

Intorno a questo risultato si attestano anche altri portafogli analizzati da Faber.

L’All Weather lo conosciamo tutti, così come anche il Permanent Portfolio (che in realtà avrebbe fatto un po’ meno).

Un altro portafoglio molto famoso negli Stati Uniti, di cui non parliamo dal lontano episodio 28 dedicato a Ramit Sethi, che in effetti l’aveva proposto nel suo libro I Will Teach you to be rich, è il portafoglio di Yale di David Swensen, il leggendario gestore dell’Endowment, ossia dei fondi dell’università di Yale.

Dal 1985 al 2019, Swensen riuscì nella ragguardevole impresa di trasformare il miliardo di dollari del fondo che trovò il giorno che assunse l’incarico in oltre 30 miliardi il giorno che se ne andò in pensione circa 35 anni dopo.

Not bad.

A dire il vero, il reale portafoglio di Yale era molto complesso, con una grossa parte allocata in private equity, hedge fund e altri asset alternativi.

Nel suo libro del 2005 Unconventional Success, tuttavia, Swensen ha semplificato il suo famoso portafoglio per farne una versione per poveri stron… cioè volevo dire per investitori individuali come noi.

La composizione è questa:

– 30% S&P 500

– 15% Mercati Sviluppati

– 5% Mercati Emergenti

– 15% Titoli di Stato Americani a lungo termine

– 15% Titoli di Stato indicizzati all’inflazione

– 20% di REIT.

Faber ci dice che dal 1973 al 2013 questo portafoglio avrebbe fatto circa lo stesso risultato dell’S&P 500, circa 10% all’anno, ma con minore volatilità, ossia una deviazione standard dell’11% contro un quasi 16% di un portafoglio 100% azionario.

Anche negli ultimi 20 anni se l’è giocata alla grande con l’azionario e bisogna dire che lo avrebbe quasi sempre sovraperformato, se non fosse che l’exploit azionario degli ultimi anni ha avuto alla fine la meglio.

Se guardiamo però i 20 anni dal 2001 al 2021, in pratica lo Swensen sarebbe sempre stato davanti e si sarebbero ricongiunti solo all’ultimo grazie alla corsa straordinaria delle azioni americane nel 2019, 2020 e 2021.

La cosa affascinante, tuttavia, è che se prendiamo un periodo terribile come il decennio perduto, lì sappiamo che un portafoglio 100% azionario avrebbe avuto un rendimento medio negativo per tutto il decennio.

Lo Swensen Portfolio avrebbe invece continuato a dare il suo circa 6% all’anno.

Da qui derivano due considerazioni:

– La PRIMA è che chiaramente se uno guarda al rendimento complessivo di questo portafoglio rispetto a quello dell’S&P 500, su lunghi orizzonti temporali — diciamo almeno 20 anni — è difficile che trovare una situazione in cui l’S&P non abbia battuto qualunque portafoglio non 100% azionario.
Però allo stesso tempo bisogna immaginarsi di vivere l’esperienza di un portafoglio che va giù e mantenere il sangue freddo e la pazienza necessaria per poi godere dei benefici quando risale.
Un anno come il 2022 era già stato una mezza sofferenza — e alla fine si è trattato di un anno scarso, dato che a ottobre aveva cominciato a risalire e non si è più fermato.
Ma vivere 10 anni di sberle deve essere un’esperienza davvero impegnativa.
Quindi è vero che un portafoglio diversificato rende meno, probabilmente, di un portafoglio azionario, ma il 90% delle persone probabilmente sono più felici con un portafoglio che non ha mai grossi tracolli, pur al costo di un rendimento complessivo finale inferiore.

– La SECONDA considerazione riguarda quel fenomeno noto di cui parliamo sempre che è il rischio di sequenza.
In teoria un portafoglio 100% azionario rende di più. Ma dipende molto anche dalla sequenza dei rendimenti e quindi dal periodo storico in cui investite e da quando e quanto denaro aggiungete o togliete dal portafoglio.
Più un portafoglio è volatile, più alta è la sua deviazione standard, maggiore tenderà ad essere la differenza tra la performance del mercato e la performance del singolo investitore.
Come sempre il rischio è sia in negativo che in positivo. La sequenza dei rendimenti può anche farci ottenere una performance superiore al mercato se ci gira bene.
Ma chiaramente tutta la nostra pianificazione finanziaria e la costruzione del nostro portafoglio è innanzitutto guidata dalla premura di proteggerci dai disastri, più che dall’ambizione di ottenere un risultato eccezionale.

Ora, lungi da me suggerirvi di investire in un portafoglio come quello di Swensen.

È un portafoglio interessante, come interessanti e validi sono mille altri.

Questo però è un esempio emblematico di un portafoglio fatto con tutti i sacri crismi che ciò nonostante avrebbe realizzato una performance umiliante rispetto a quella del più scemo dei piani di accumulo in un ETF sull’MSCI World dal 2014 ad oggi.

Eppure, come dicevamo prima mettendoci dalla parte del povero Meb Faber che ha sbagliato in maniera macroscopica le sue stime dieci anni fa, probabilmente la cosa giusta da fare nel 2014 sarebbe stata, anche col senno di poi, scegliere un portafoglio tipo quello di Swensen o tipo il Global Asset Allocation portfoglio o tipo l’All Weather o tipo un semplice 60/40 invece che fare all in sull’azionario globale o sull’S&P 500.

Certo, una cosa che con il senno di poi nel 2014 sicuramente non avrei fatto sarebbe stato riempirmi il portafoglio di bond con i tassi a zero.

Forse una combinazione di obbligazioni a breve e lunga scadenza più inflation-linked avrebbero avuto un qualche senso, ma con quello che è successo con il rialzo dei tassi degli ultimi due anni davvero pochi investimenti obbligazionari si sono salvati.

Una persona di 35 anni che avesse applicato la regola di The Bull, azioni = 125 — età — tassi fed * 5, nel 2014 avrebbe scelto un portafoglio fortemente azionario, circa 85% — e avrebbe avuto ragione.

Così come nel 2000, invece, una persona della stessa età avrebbe optato per un portafoglio con meno del 60% di azioni e il resto in obbligazioni, cosa che lo avrebbe parzialmente protetto dal disastro della dot.com bubble.

Chi avesse avuto un portafoglio alla Swensen, invece, o un portafoglio come il No Regret che abbiamo citato in passato, fatto con il 50% di azioni, 25% di obbligazioni e 25% di oro, avrebbe attraversato piuttosto serenamente tutti gli ultimi 25 anni, con un 6-7% di rendimento medio annuo ANCHE durante il decennio perduto, quando il 60/40 si è difeso ma non ha brillato e il 100% azionario ci ha messo addirittura 14 anni a ritornare a dove si trovava nel 2000.

Purtroppo, è una questione più psicologica che finanziaria in senso stretto.

Hai davvero lo stomaco per sopportare tutto e vedere il tuo portafoglio andare sulle montagne russe? Allora sovrappesare le azioni sarà decisamente ciò che ti darà il rendimento atteso più alto.

Preferisci un portafoglio che in teoria se la cava sempre piuttosto bene, pur al costo di un rendimento complessivo inferiore? Allora devi diversificare.

Ora, a che punto siamo oggi?

Non siamo certamente in una situazione di sopravvalutazione folle come all’inizio del 2000, quando società sgangherate avevano raggiunto valutazioni multimiliardarie solo perché avevano .com nel loro fantasioso nome.

Oggi abbiamo un azionario americano molto costoso, il P/E ratio medio dell’S&P 500 è intorno a 26 con lo Shiller CAPE Ratio intorno a 33-35, a seconda di chi fa i calcoli; inoltre è molto concentrato, tanto che per la prima volta nella storia le tre società più grandi dell’S&P 500, Microsoft, Apple e Nvidia, da sole fanno il 20% di tutto l’indice.

Ripeto per chi non avesse colto la nuance di questa situazione impressionante: 3 società, da sole, pesano un quinto di un mercato azionario del valore di oltre 45 mila miliardi di dollari.

Ciascuna di queste ha un market cap superiore al pil di Paesi come Francia o Regno Unito.

E ciascuna ha un rapporto tra prezzi utili astronomico.

Circa 38 Microsoft, 33 Apple e addirittura 77 Nvidia.

In generale, poi, se guardiamo all’Earning Yield dell’S&P 500, siamo intorno al 4%.

Ricordo, l’Earning Yield è il rendimento atteso di un certo mercato, calcolato facendo l’inverso del price earning ratio.

Se il rapporto prezzi utili dell S&P 500 è intorno a 26 mentre il rapporto tra prezzi e utili dei prossimi 12 mesi e intorno a 22, si fa presto a fare calcoli — basta fare 1 diviso 26 o 1 diviso 22 — e abbiamo un valore che gira intorno al 4%.

4% è meno del rendimento dei Treasury a 10 anni.

Se il rendimento atteso delle azioni è inferiore a quello dei titoli di Stato il risk premium è negativo. Cioè oggi, sempre in teoria, siamo nella situazione tutt’altro che ottimale per cui un investitore viene remunerato di meno per assumersi un rischio maggiore, dato che investire in azioni è per definizione più rischioso che investire in obbligazioni.

Gli altri mercati sviluppati, come Europa e Giappone, sono certamente più a buon mercato, idem i mercati emergenti.

Ma come sempre è difficile dire se siano a buon mercato perché non ci stiamo accorgendo del loro potenziale o semplicemente perché proprio non hanno un grande potenziale da esprimere.

Teoricamente comprare azioni con p/e ratio più bassi ha rendimenti attesi superiori — almeno questa è la base del value investing — ma allo stesso tempo i mercati sono piuttosto efficienti e se prezzano poco una certa società, beh, qualche motivo il più delle volte c’è.

Ad ogni modo, sulla base di tutte queste considerazioni, avevamo già visto in passato che qualunque istituzione finanziaria ha espresso stime piuttosto mediocri sul rendimento a 10 anni dell’azionario americano.

Esattamente come Meb Faber fece, giustamente, 10 anni fa.

Società come Vanguard, Blackrock, JP Morgan, Schwab e tante altre hanno tutte formulato una stima sul rendimento medio dei prossimi 10 anni dell’S&P tra il 3,5% e il 6% (solo JP Morgan forse ha ipotizzato un 7%).

Cmq 3,5-6% è lontano anni luce dalla media storica dell’S&P che è poco più del 10% e ancor più lontano dal 12 e fischia per cento dell’ultimo straordinario decennio.

C’è da fidarsi?

Boh.

Io continuo a raccontarmi ogni mattina che l’S&P deve fare almeno l’11% all’anno da qui al 2029 compreso solo per fare in modo che l’intero trentennio 2000-2029 pareggi il peggior trentennio di tutti i tempi, quello del 1929-1958.

Però ovviamente quello che dico io sono solo stronzate quindi non dovete ascoltarle e fare di testa volta.

Inoltre, è vero che siamo solo a giugno e tutto può ancora succedere.

Ma è bello ricordare che a gennaio tutte le super mega banche di Wall Street avevano espresso una stima sulla chiusura dell’S&P a fine 2024 tra i 4.200 e i 5.100 punti mentre io avevo detto 5.200.

Oggi siamo oltre i 5.400, quindi al momento la previsione migliore l’ho fatta io.

E come ricorderete, saputa questa cosa, un paio di mesi fa Goldman Sachs ha adeguato la sua previsione alla mia perché non voleva correre il rischio di essere da meno dell’ultimo pirla che fa podcast che passa per strada.

Eh lo so ragazzi, è difficile.

È difficile perché siamo in una situazione in cui tutto sta correndo alla grande e teoricamente abbiamo ancora il jolly del taglio dei tassi d’interesse a sostenere i mercati.

Dall’altra, azioni veramente così costose prima o poi DEVONO venire giù.

E’ possibile che un domani sia normale che le azioni vengano scambiate, che so?, a prezzi 30 volte superiori agli utili per azione? A 40 volte superiori? A 50 volte superiori?

Teoricamente è possibile, ma d’altra parte il buon senso vorrebbe che quando qualcosa finisce per costare troppo, il mercato smette di comprarla e fa andare giù il prezzo.

Perché i valori delle azioni continuino a salire serve che continui ad esserci più gente che compra rispetto alla gente che vende.

E la cosa bella della finanza è che entrambi, sia chi compra che chi vende, sono convinti di aver ragione.

Ma allo stesso tempo questa cosa non può durare all’infinito, proprio perché ad un certo punto comincerà ad esserci più gente che vende di chi compra, invertendo il ciclo di rialzo ultradecennale che le azioni stanno vivendo.

Comunque sia, il ragionamento che fa oggi Meb Faber, traendo spunto dai 10 anni di sottoperformance dei suoi intelligentissimi portafogli contro l’onnipotente S&P 500 è il seguente.

Se tu investi in un portafoglio diversificato gli scenari sono due:

– Se il mercato continua a correre, magari il tuo rendimento atteso sarà un 6-7% all’anno e in generale dovresti passartela piuttosto bene, al netto della sofferenza nel vedere la tua vicina che si compra una borsa di Hermes al mese o il tuo amico che ormai fa la pausa pranzo solo da Cracco grazie al fatto che entrambi hanno investito nell’S&P500, o comunque in un portafoglio fortemente azionario;

– Se invece questi anni di gloria terminano e si ripresenta un nuovo decennio perduto, beh, sarai felice di essere stato più conservativo dei due spregiudicati spendaccioni di cui sopra.

Se invece continui a credere nell’onnipotenza del mercato azionario guidato da Microsoft, Apple, Nvidia e compagnia bella, allora può andarti molto bene o decisamente molto male.

Almeno per un po’.

Poi sappiamo che nel lunghissimo termine i divoratori di uova stellate e le appassionate di buste arancioni e via Monte Napoleone avranno un rendimento atteso superiore perché, in the long run, le azioni battono le altre asset class.

Dipende dal viaggio che volete fare e da quanto siete disposti a ballare lungo il tragitto.

Tipicamente i bear market, quelle fasi in cui i mercati crollano di oltre il 20% e che si presentano in media ogni 6-7 anni (l’ultimo è stato nel 2022), minacciano il portafoglio in tre modi diversi:

– PRIMA MINACCIA: la Deflazione, tipicamente quando c’è una recessione e tutta l’economia va in contrazione. Esempi classici sono stati: la grande depressione dopo il 1929, la recessione dei primi 2000 e ovviamente la Great Financial Crisis del 2007-2009.

 In questo tipo di situazione, ovviamente le azioni vanno male mentre di solito funzionano bene le obbligazioni a lunga scadenza, per via del fatto che vengono tagliati i tassi di interesse e quindi i bond si apprezzano, e pure l’oro se la cava abbastanza.

– SECONDA MINACCIA: l’IperInflazione. Dico iper perché l’inflazione c’è sempre. Quando aumenta troppo però sono cazzi di solito. Esempi classici: i drammatici anni ’70 e pure il 2022.
Qui neanche i bond ti salvano perché uno scenario ad alta inflazione non lo curi tagliando i tassi, anzi, tipicamente devi alzare i tassi per raffreddare l’economia altrimenti i prezzi di ogni cosa crescono fuori controllo. Il duplice effetto è che le azioni vanno giù perché scontano una futura recessione e le obbligazioni vanno giù perché scontano i futuri aumenti dei tassi. In questi scenari di solito se la cavicchiano Materie Prime, Oro ed eventualmente obbligazioni indicizzate all’inflazione, le cui cedole seguono il rialzo dei tassi d’interesse.

– TERZA MINACCIA: la Concentrazione. Singoli mercati possono andare male. Gli Stati Uniti sono stati il super mega ultra big winner degli ultimi 15 anni. Ma hanno fatto cagare nel primo decennio del 2000. Al contrario invece i mercati emergenti hanno fatto piuttosto bene mentre il mondo occidentale cadeva in frantumi, per poi rallentare nettamente negli ultimi anni.
Allo stesso modo negli anni 70 e 80 il mercato azionario giapponese è cresciuto di 17 volte, contro il più modesto x4 fatto dal mercato americano. Poi sappiamo che nel 1989 la bolla del mercato azionario giapponese è scoppiata e ci sono voluti 35 anni solo perché il Nikkei tornasse al punto in cui si trovava allora.
Ogni decennio ha i suoi winner e i suoi loser.
Essere concentrati in un solo mercato è sempre molto rischioso.
Tenere il piede in più mercati evita invece il rischio di disastro e permette di avere sempre qualche area del portafoglio che fa meglio di altre.

I suggerimenti di Meb Faber, a prescindere dal portafoglio che uno vuole utilizzare, sono i seguenti:

– UNO: diversificare il portafoglio a livello globale; è un consiglio più per gli Americani che fanno fatica a vedere al di là dell’S&P 500. Per noi già è un po’ più semplice perché i nostri benchmark di default di solito sono l’MSCI World, il FTSE All World o altri indici internazionali;

– DUE: diversificare gli asset usando azioni, obbligazioni e quel che lui chiama “real asset”, ossia obbligazioni indicizzate all’inflazione, oro e materie prime.

– TRE: implementare l’allocazione desiderata usando ETF a basso costo — e va beh, dato che la sua società vende ETF non è che potevo aspettarmi altro;

– QUATTRO: ribilanciare il portafoglio periodicamente e in linea con l’asset allocation desiderata;

– CINQUE: dare un “tilt”, un’inclinazione del portafoglio, verso fattori come Value e Momentum e per chi non sappia di cosa sto parlando può ascoltarsi l’episodio 113 dedicato all’investimento fattoriale.

Ovviamente quest’ultima cosa è assolutamente arbitraria, ma chi ha ascoltato quell’episodio sa che Value e Momentum sono due fattori piuttosto decorrelati tra loro, quindi ha certamente senso inserirli entrambi nel portafoglio.

Anche Value e Quality dovrebbero andare bene in quest’ottica.

Ci sarebbe anche un sesto consiglio sull’inserimento di ETF che replicano i cosiddetti managed futures, noti anche come trend-following, ma sono una roba che in Europa non è disponibile, che io sappia almeno, quindi non starei a dilungarmi su cosa sono.

Giusto?

Sbagliato?

Restiamo fedeli ad un semplice portafoglio Stocks and Bonds?

Lo seguiamo a mettiamo 50 asset class in portafoglio?

Facciamo all-in sull’azionario che alla fine, probabilmente, batterà tutti?

Per ciascun investitore, c’è un approccio giusto.

Non ce n’è uno giusto in assoluto.

Quello giusto è quello che meglio si adatta a come siamo fatti e ai nostri obiettivi e in ultima istanza è quello che saremo in grado di mantenere più a lungo senza troppi patemi.

Come vedete, ci vogliono coraggio e pazienza quando si investe.

Sia quando si investe in portafogli aggressivi, per sopportare i mercati che vanno giù, sia in portafogli diversificati, per sopportare i nostri vicini quando fanno più soldi di noi.

Una soluzione semplice, one fits all, valida per tutti, purtroppo non c’è.

Ciascuno scelga il tipo di sofferenza che preferirà vivere e buon investimento!

Care amiche e cari amici di The Bull, eccoci infin giunti anche alla fine di questo primo episodio del secondo anno di questo nostro podcast, diventato ormai il luogo in cui una manciata di Italiani — oddio ormai una bella manciata di Italiani che vogliono trasformare la propria vita e le proprie finanze si ritrovano per ascoltare un tizio che dice cose su portafogli, mercati, risparmio, asset allocation e altra roba strana.

Non sapete quanto sia felice di ospitare gli oltre 150.000 di voi che più o meno spesso passate di qua ad ascoltare i parti semiseri della mia mente e del coraggio che avete a consigliare questo podcast in giro.

Prima di chiudere, permettetemi di ringraziare Squarelife, sponsor di quest’episodio, e i ragazzi di Turtlenck, l’assicurazione sulla vita di Squarelife fatta per ciò che dovrebbe essere fatta un’assicurazione e che molto spesso un’assicurazione non fa ossia: semplicemente unire persone per aiutare chi di volta in volta subisce qualche spiacevole eventualità, tipo che la tira le cuoia senza preavviso.

Nella descrizione di quest’episodio trovate un link per atterrare sul sito di Turtleneck e valutare se possa essere la soluzione giusta per voi per assicurare a basso costo il futuro finanziario delle persone a voi care.

Prima che però qualcuno dovesse lasciare questa terra e non avesse amici disposti a cercare 7 sfere dorate che evocano un burbero drago che fa resuscitare la gente — cazzata che solo chi è stato adolescente nei primi anni 2000 avrà capito — vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che l’investimento è una bellissima sofferenza comunque lo giriate sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con una nuova puntata dedicata a non lo so ancora perché sono in dubbio tra un paio di cose ma adesso vedo di darmi una mossa sempre qui, naturalmente con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025
Facile.it
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