117. Come Ribilanciare il Portafoglio (e Previsioni per i prossimi 10 Anni)
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Il ribilanciamento serve a controllare il rischio e ad allineare il portafoglio agli obiettivi di vita, non a prevedere i mercati.
La frequenza è importante: ribilanciare ogni 1-3 anni o con un drift del 10% è più efficace di ribilanciare troppo spesso.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
E anche i primi 6 mesi di questo 2024 sta per terminare, care amiche e cari amici investitori che lo so che non aspettavate alto che il consueto appuntamento di metà anno per capire come ribilanciare i portafogli, manco fosse il momento di fare il cambio dell’armadio.
Cosa peraltro che buona parte del pubblico maschile di The Bull non capirà dato che nel proprio armadio — e per armadio intendo 2 ripiani e mezzo di spazi concessi dalla propria metà — ha sempre quelle quattro cose in croce e proprio il concetto di cambio dell’armadio ci sembra astruso come quando Galileo andava in giro a dire che era la Terra che eppur si muove intorno al sole e non il contrario.
Parlando di finanza e lasciando invece da parte attività di decluttering e dispute tra copernicani e tolemaici, siamo qua a fine giugno e ogni buona testata giornalistica, ogni buon canale YouTube e ogni buon podcast di finanza che si rispetti deve fare l’episodio su come ribilanciare il portafoglio alla luce degli scenari macroeconomici e dell’andamento dei mercati.
Eh sì eh?
Perché se non lo sapete a fine giugno c’è questa imperdibile congiunzione astrale di tutti i pianeti per cui se non ribilanci il portafoglio sei fottuto per tutto il resto dell’anno.
Infatti i mercati stan lì buoni fino al 30 giugno e poi pem! Quelli impazziscono e se non hai ribilanciato te lo prendi in quel p… cioè, volevo dire, potresti subire dei pesanti drawdown.
Nel caso non si fosse capito, c’era un velo di ironia in questa premessa.
Però siccome mi avete sfrantumando i cosiddetti in centinaia per chiedermi come ribilanciare il portafoglio, attività che sembra molto figa ma in realtà è fortemente sopravvalutata, cogliamo l’hype del momento e parliamo anche noi di ribilanciamento del portafoglio.
Quello che però sicuramente non faremo sarà dire “dunque siccome i mercati hanno fatto così, le azioni stanno qui, le obbligazioni lì, i tassi questo e sta cippa quello, allora il consiglio dei gestori è di ribilanciare il portafoglio in questo modo e sti gran cazzi pure”.
No va beh ne ho sentite davvero di ogni, tra cui una in un canale di per sé molto autorevole — che però non vi cito perché mi sto facendo troppi nemici e già di mio non sono particolarmente simpatico — e in quel contenuto si parlava di tre portafogli ideali, dal più aggressivo al più conservativo e tra i brillanti suggerimenti che ho potuto ascoltare segnalo:
– Per chi vuole essere aggressivo, una super aggressiva allocazione azionaria di ben il 55% del portafoglio!
Ammazza 55% e chi fa un 60/40 lo prenderanno per un pazzo trader di meme stock alla Roaring Kitty e Gamestop!
Ma poi 55% perché e per chi? Capite che siamo qua in decine di migliaia a sentire sta roba e la probabilità che il 55% di azioni sia l’allocazione migliore per tutti è assai improbabile?
Aspetta non me lo dire non me lo dire! Perché l’azionario è caro mentre i bond di qualità hanno buoni rendimenti?
Ma no!
Ma davvero!
Il giorno che troverò un’intervista ad un gestore che dirà “premesso che come tutti i gestori non so un cazzo di niente, se hai un orizzonte di lungo termine ha senso investire in azioni; se invece tra tre anni devi comprare casa no, allora hanno senso le obbligazioni” ecco, quello sarà un giorno di Epifania per me.
Invece no, la tiritera tipica è: “azioni eehhh, un po’ altine, mmmhhh, bond invece uuuu!!! Va che rendimenti e che qualità”.
Ovvio, perché se dici di investire in azioni ogni giorno quelle possono crollare del 50% e ti prendono per un pirla, invece se dici bond che rendono il 3-4% non sbagli mai e grazie anche a sto c***o.
– Se invece vuoi essere conservativo — e anche questa è interessante — BTP e BUND.
allora, ero in palestra, mi sono fermato un attimo, ho messo in pausa, sono tornato indietro di 30 secondi e ho riascoltato.
No no: proprio BTP e BUND.
Ma che consiglio è ribilanciare il portafoglio prendendo BTP e Bund?
Perché i Btp rendono di più mentre i Bund sono più sicuri?
Ammazza che rivelazione e Fatima con i suoi segreti mutissima!
è come Studio Aperto che a breve ricomincerà a consigliare di proteggersi dal caldo bevendo acqua e non abbandonando tuo nonno sul cemento alle deu del pomeriggio.
Ora, lungi dal voler dare consigli di tale e tanta utilità, vediamo invece di fare un episodio in cui ci occupiamo del vero senso del ribilanciamento, che in ultima istanza nulla, ma proprio nulla a che fare con gli interventi di giugno in vista della seconda parte dell’anno e alla luce dei dati di mercato.
Nel caso non fosse ancora chiaro:
– UNO: Disinvestire la parte azionaria perché i multipli sono alti non è una prescrizione medica! Nessuno sa cosa farà il mercato e il fatto che i multipli siano alti non è di per sé predittivo di eventi futuri.
– DUE: il fatto che i bond hanno buoni rendimenti e che l’aspettativa sia che le Banche Centrali taglieranno i tassi d’interesse non è di per sé un buon motivo per riempirsi di obbligazioni, sempre per lo stesso motivo: ossia che nessuno sa cosa succederà nei prossimi anni e il fatto che i tassi verranno tagliati è tutt’altro che roba scontata.
Il ribilanciamento, a meno che non siate un gestore che deve rifare il trucco al portafoglio ogni sei mesi altrimenti i suoi clienti gli portano via i soldi e vanno da un’altra parte, ha decisamente altri scopi — e di questo parleremo nell’episodio di oggi.
Intanto, cosa significa ribilanciare?
Ribilanciare significa modificare la composizione del portafoglio e in particolare i pesi dei diversi asset che lo compongono in base a certi criteri e in funzione di determinati obiettivi.
Cominciamo col dire la cosa più importante di tutte: il più delle volte non si ribilancia per cercare di migliorare le performance del portafoglio, anche se ciò potrebbe essere un positivo effetto collateralle, quanto piuttosto per controllare il livello di rischio del portafoglio e allinearlo alle proprie esigenze o a nuovi obiettivi che ci si volesse prefiggere.
Quindi: ribilanciare di per sé non migliora le performance del portafoglio. Ribilanciare serve innanzitutto per continuare a far sì che il portafoglio risponda agli obiettivi per cui lo sto costruendo.
Ricordiamo infatti che non si investe unicamente allo scopo, tra 40 anni, di avere creato un corposo patrimonio da accarezzare come zio Paperone nel suo deposito di monete.
Lo scopo del gioco è costruire gradualmente un patrimonio che possa servire i vari obiettivi della nostra vita.
Siano essi:
– Comprare la casa dei vostri sogni;
– Smettere di lavorare;
– Finanziare un progetto imprenditoriale;
– Mandare i figli in prestigiose università
O più banalmente vivere una vita normale ma senza quella fastidiosa spina nel culo rappresentata dalle preoccupazioni economiche.
Che già sarebbe tanta roba.
Di conseguenza il portafoglio va ribilanciato per assicurarci che il rapporto tra rischio e rendimento che lo definisce sia armonizzato agli obiettivi che abbiamo.
In generale, ragionandoci un po’, probabilmente i motivi per ribilanciare un portafoglio sono quattro, che vi vado testé a illustrare.
MOTIVO UNO: per ripristinare l’asset allocation.
Allora anche senza andare a prendere situazioni estreme in cui il vostro portafoglio era per metà composto da Nvidia e ora avete 10% ETF e 90% Nvidia o altri mostri di questo genere, tipicamente un banale portafoglio fatto di azioni e obbligazioni tende — attenzione che sto per usare una parola orribile — a driftare via dall’asset allocation originaria, che in qualche modo significa andare alla deriva, da to drift in Inglese.
Un normale portafoglio fatto di stocks and bonds, azioni e obbligazioni, tende infatti ad avere due “Drift”.
Il primo è più frequente riguarda la progressiva crescita della parte azionaria.
Dato che i rendimenti medi delle azioni sono superiori a quelle delle obbligazioni è inevitabile che ad un certo punto il bilanciamento scelto tra le due asset class vada progressivamente a sovrappesare l’azionario.
Per esempio, se a gennaio del 2010, ancora scosso dai traumi della great financial crisis, avessi deciso di investire con un portafoglio fatto al 50% da azionario globale e al 50% da obbligazioni governative europee e non avessi più ribilanciato fino al dicembre 2023, all’inizio di quest’anno mi sarei trovato con un portafoglio fatto al 74% da azioni e solo al 26% da obbligazioni — e questo senza aver mai aggiunto un solo euro in 13 anni al mio investimento iniziale.
È chiaro che se, per qualunque motivo, l’allocazione giusta per me è metà azioni e metà obbligazioni e dopo 13 anni mi trovo con tre quarti azioni e un quarto obbligazioni, evviva evviva per tutti i soldi extra che ho fatto, ma il mio portafoglio si è fatto nettamente più rischioso di quello che avevo pianificato.
Il secondo caso è invece più tipico in presenza di una crisi del mercato azionario.
Dal 2000 in poi, come sapete, abbiamo avuto 4 grandi bear market, ossia tonfi del mercato che hanno superato il 20%.
La dot.com bubble del 2000-2002, la Great Financial Crisi del 2007-2009, il breve crash durante l’esplosione della pandemia tra Marzo e Aprile del 2020 e infine il lento stillicidio del 2022.
Nei primi 3 casi l’azionario ha avuto un crollo pesante mentre le obbligazioni hanno fatto da parziale contrappeso, perché in quelle circostanze la Fed e le altre Banche Centrali hanno abbassato i tassi di interesse per sostenere l’economia e quindi, come noto, tassi giù, obbligazioni su.
In queste situazioni, quindi, avviene l’inverso del primo caso e ci troviamo con la parte azionaria del portafoglio che si riduce e la parte obbligazionaria che cresce.
Così come nel primo caso aveva senso ribilanciare il portafoglio per ridurre l’esposizione azionaria e ripristinare quella obbligazionaria per evitare un livello di rischio che non desideriamo, allo stesso modo nel secondo caso potrebbe aver senso reinvestire in azionario per riportare il portafoglio alla composizione che vogliamo, peraltro con l’opportunità di comprare azioni a prezzi scontati.
Ora, easier said than done, più facile a dirsi che ha farsi.
Quando il mercato fa oltre -30% in un mese, come nel marzo 2020, prendere la decisione di vendere l’unica cosa che sta andando bene, cioè le obbligazioni, per comprare azioni mentre sembra che il mondo stia andando incontro all’Apocalisse, beh, non è esattamente un’esperienza per cuori deboli.
Inoltre c’è il solito problema, che vi ricordo sempre ogni volta che mi scrivete “ah guarda mi tengo dei soldi da parte così appena il mercato va giù traaaan! Entro nel mercato e compro tutto in saldo”.
Se… come no…
Non funziona proprio così.
Fosse così semplice, qualcuno lo starebbe già facendo da un pezzo e si saprebbe che la strategia funziona.
Invece perché funzioni serve una precisione chirurgica per indovinare il timing, ossia quando il mercato ha davvero toccato fondo e da lì comincia a risalire.
Sfido chiunque a giurarmi che a fine marzo 2020 sapeva che da lì in poi sarebbe iniziato un bull run durato fino a gennaio 2022.
Il ribilanciamento in questi casi però ci viene in soccorso come un automatismo che ci sgrava dall’onere di dover indovinare dove sta il mercato e dove va.
Se io parto con un’asset allocation di un certo tipo, diciamo 70% azioni 30% obbligazioni, posso per esempio decidere di dare un occhio al mio portafoglio ogni sei mesi per vedere come sta messo e in generale ribilanciare ogni volta che l’asset allocation sballa — che ne so — di un 10%.
10% vuol dire che se parto 70/30, allora appena il mio portafoglio diventa 75/25 oppure 65/35 lo riporto alla sua allocazione originaria.
20% vuol dire intervenire, per esempio, quando diventa 80/20 oppure 60/40 — e così via.
Non è che tutti i giorni bisogna star lì a fare i conti eh.
In circostanze normali, probabilmente dare un occhio al portafoglio una volta ogni 6-12 mesi tanto basta.
In una situazione tipo Lehman Brothers o Covid-19, tranquilli che sarete talmente bombardati di news catastrofistiche che vi verrà automaticamente in mente di dare un’occhiata al portafoglio.
Ecco, nota molto importante: ribilanciare il portafoglio di solito significa fare l’esatto opposto di quel che il nostro cervello ci suggerirebbe, ossia:
– Comprare a manetta presi da FOMO, da Fear of Missing Out, mentre il mercato sta correndo sempre più su o al contrario
– Vendere in preda a Panic Selling mentre tutto sta crollando.
Diciamo che quindi il ribilanciamento del portafoglio è più una disciplina comportamentale che non una vera e propria operazione finanziaria.
Bene, veniamo al
MOTIVO NUMERO DUE per cui si ribilancia: Cambio di obiettivi.
Sappiamo bene che la vita non è un diagramma di Gannt dove tutto è bello pianificato step by step e in ogni momento sappiamo cosa fare.
Le cose cambiano, eventi inaspettati accadono e gli obiettivi si modificano.
Avere un portafoglio che sia armonizzato rispetto a questi obiettivi variabili è fondamentale.
Per esempio, ammettiamo che oggi abbia un portafoglio di 100.000 € fortemente esposto sulla sua quota azionaria, magari 80%.
E immaginiamo che, per una serie di motivi che solo qualche mese non erano preventivabili, oggi decida di voler comprare un certo tipo di casa da qui ai prossimi anni, oppure di voler lasciare il mio lavoro per intraprendere una carriera imprenditoriale.
In entrambi i casi, probabilmente avrò bisogno di un portafoglio che mi dia determinate certezze.
Ecco se quest’idea mi dovesse venire nel settembre 2008, quando è fallita Lehman, o nel marzo 2020, forse è meglio che me la faccia passare e me ne stia buono.
Ma in circostanze normali potrei appunto decidere che è giunto il momento di fare scelte importanti e dovrò quindi assicurare il futuro del mio portafoglio.
Escludiamo soluzioni complesse e potenzialmente costose come comprare opzioni PUT a nastro per tutelare la parte azionaria in caso di crollo, che come sapete sono quei prodotti derivati che danno il diritto ma non l’obbligo di vendere il sottostante (che può essere ad esempio l’S&P 500) ad un certo prezzo prefissato a fronte del pagamento di un premio.
Non è esattamente una roba semplice da implementare per un investitore non professionale.
Più semplicemente, modificare l’asset allocation per meglio allinearla ai propri obiettivi di breve-medio termine è probabilmente la strada migliore per la maggior parte degli investitori.
Il metodo da usare è lo stesso che abbiamo suggerito varie volte partendo dalla regola % azioni = 125 — anni — tassi d’interesse per 5, e poi da lì prendere la composizione del proprio portafoglio e proiettare nei prossimi anni il rendimento di azioni e obbligazioni. Userei come rendimento atteso un 7-8% per le azioni e un 3% per le obbligazioni ma mi concentrerei soprattutto su queste ultime, che il più delle volte saranno la parte meno volatile del portafoglio.
Torniamo all’esempio dei 100.000 €.
Se ho 80.000 € in azioni e 20.000 € in obbligazioni e da qui ai prossimi anni mi aspetto di dover affrontare delle incertezze, allora in base all’urgenza che ho valuterò o di investire da qui in poi solo nella parte obbligazionaria, oppure di vendere parte dell’azionario e reinvestire in obbligazionario.
Ovvio che dal punto di vista fiscale e in termini di rendimento atteso questa cosa non porta benefici al portafoglio.
Anzi.
Ma massimizzare il rendimento del portafoglio non è sempre il suo unico obiettivo.
Supportare al meglio i nostri obiettivi invece sì: questo è il suo obiettivo ultimo.
E in prima istanza la cosa più importante di tutte è proteggersi dai rischi estremi.
Essere costretti a mettere mano al portafoglio in un momento inaspettato e magari proprio quando si sta attraversando un bear market è esattamente uno di questi rischi da evitare.
Se ho 20.000 € in obbligazioni e verso 500 € al mese nel portafoglio di cui appunto 100, ossia il 20%, nella parte obbligazionaria, sarò sereno tra un paio d’anni quando verosimilmente avrò circa 23.700 €?
E tra 5 anni sarò sereno con circa 30.000 €?
Se la risposta è sì il mio portafoglio va bene, altrimenti va ribilanciato il portafoglio fino a raggiungere la quota desiderata.
Buona norma, secondo me, sarebbe fare quest’esercizio comunque ogni 6 mesi, a prescindere da pazze idee che vi venissero in testa per stravolgere la vostra vita.
Vi mettete lì 10 minuti, file Excel, formula del valore futuro, fate qualche stima, vi assicurate che il capitale è allocato correttamente rispetto a ciò che vi serve, fate quello che dovete fare e poi per i 6 mesi successivi non ci pensate più.
Un’altra circostanza tipica in cui potrebbe capitare di dover ribilanciare è quando si passa dalla fase di accumulo a quella di mantenimento o addirittura di decumulo.
Un investitore può infatti decidere che, che ne so, arrivato a 50 anni dopo 20 anni di investimento vuole utilizzare il proprio portafoglio per generare delle rendite che andranno ad integrare il proprio reddito.
In questo caso normalmente si cerca di ridurre la componente speculativa del portafoglio aumentando invece le parti conservative o comunque più focalizzate sull’income.
Bond governativi, bond corporate, azioni da dividendo e roba simile andranno forse a sostituire una parte della porzione di azionario puro del portafoglio in un momento della vita in cui mantenere il valore del portafoglio conta più che massimizzarne il rendimento.
Veniamo quindi al
MOTIVO NUMERO TRE per ribilanciare: cambio significativo dello scenario macroeconomico.
E qui probabilmente l’indicatore più importante sono i tassi d’interesse.
Se io ho costruito un certo portafoglio mentre i tassi di interessi erano molto bassi e poi questi sono stati alzati per qualunque motivo (e di solito il motivo è perché è salita l’inflazione), allora forse vale la pena fare qualche aggiustamento.
Di solito tassi di interessi elevati non piacciono tantissimo alle azioni e offrono invece buoni rendimenti per le obbligazioni, soprattutto alla fine del ciclo di rialzi e in vista poi del cosiddetto pivot, ossia quando le banche centrali scollinano e cominciano il ciclo di tagli.
In base a questa logica ha probabilmente più senso, in media, avere più obbligazioni in portafoglio in fasi di tassi alti che non con tassi bassi (e in particolare con tassi prossimi a zero).
Viceversa, una volta che per qualche ragione i tassi vengono nettamente abbattuti, allora può valere la pena fare un ribilanciamento che tenga conto anche di questo fatto.
Se parlando del motivo uno abbiamo detto che ripristinare l’asset allocation originaria ci permette di tenere il nostro livello di rischio desiderato sotto controllo, qui aggiungiamo che se cambia lo scenario macro, in particolare il contesto dei tassi d’interesse, il ribilanciamento dovrebbe tenerne conto.
Anche qui.
Buon senso.
Se uno si basa sulla formula di The Bull, un punto percentuale di variazione dei tassi di interessi — che non è poco per niente — impatta sul 5% della composizione del portafoglio.
Non è detto che sposti così tanto.
Già 2 punti percentuali porterebbero a mettere un 10% in più o in meno di azioni e 10% in meno o in più di obbligazioni e quindi già parliamo di un portafoglio molto diverso.
Però in generale i microaggiustamenti sono abbastanza inutili.
Quando parliamo di adattamenti più significativi, allora val la pena fermarsi a fare qualche ragionamento sulla configurazione che più preferiamo per il nostro portafoglio.
Infine abbiamo il MOTIVO NUMERO QUATTRO, che è già più una roba da gestione semi attiva del portafoglio.
Potrei infatti voler ribilanciare per modificare:
– L’esposizione geografica;
– L’esposizione settoriale o
– L’esposizione fattoriale.
O qualche altra esposizione ancora più sottile che ora non mi viene in mente perché mia figlia ha l’influenza e stanotte mi ha fatto dormire poco.
Ribilanciare l’esposizione geografica significa, per esempio: sento di aver troppa esposizione agli Stati Uniti, voglio aumentare quella sull’Europa o sugli Emergenti.
Ribilanciare l’esposizione settoriale significa, sempre per esempio: mi sento troppo esposto alle big tech, preferisco aumentare l’esposizione alle utilities e agli altri settori difensivi.
Ribilanciare l’esposizione fattoriale significa, ancora una volta puramente per fare un esempio: decidere di modificare il tilt fattoriale del portafoglio e decidere che magari ora momentum ha fatto quel che doveva fare e che per i prossimi anni mi sento più sereno ad avere più società value.
Mentre il ribilanciamento per i primi 3 motivi rientra nella logica di una sana gestione del portafoglio, quest’ultimo è molto soggettivo ed è difficile dire quando tutto ciò porti dei benefici in termini di miglioramento del profilo di rischio/rendimento, oppure no.
Perché allora uno dovrebbe in generale voler fare questa cosa?
Beh, se credete alle stime a dieci anni che le principali società d’investimento sfornano ogni due per tre, magari ha senso prendere delle decisioni di conseguenza.
Per esempio, il Vanguard Capital Market Model è un modello di Vanguard che formula previsioni sul rendimento atteso a 10 anni delle principali asset class.
La cosa bella è che un modellone super sofisticato, ma poi se vai a confrontare le stime di quest’anno rispetto a quelle dell’anno scorso già sono cambiate.
Ma come?
Ma scusa era un modello a 10 anni e dopo un anno già cambi idea?
Va beh…
Cmq se per gioco vogliamo dargli retta, la stima dei rendimenti annualizzati per i prossimi 10 anni delle principali asset class sono le seguenti.
– S&P 500: tra il 3,5 e il 5,5%, una discreta schifezza rispetto al 10% e fischia a cui siamo abituati, però ci può anche stare se considerate che veniamo da 15 anni di corsa sfrenata e che il grosso della crescita del mercato è dovuto alla crescita delle valutazioni e non ad una corrispondente crescita degli utili.
Inoltre mettici che oggi la sola Nvidia è stata responsabile di oltre il 40% della crescita dell’S&P 500 da inizio 2022 ad oggi, quindi dire che il mercato americano è in una situazione un po’ ballerina è tutt’altro che un eufemismo.
Dall’altra parte, mi piace ricordare (soprattutto a me stesso) che se l’S&P non fa almeno l’11-12% all’anno da qui al 2029 compreso, il primo trentennio di questo secolo sarà stato il peggiore di tutti i tempi.
Non che non possa accadere, ma giusto per ricordare che ci stati periodi nettamente più euforici di questo.
Inoltre, secondo Vanguard dovrebbero fare un po’ meglio le Small Caps e le società Value, tra il 4 e il 6,3%.
– Molto meglio invece i mercati sviluppati ex US, quindi soprattutto Europa e Giappone, e qui Vanguard azzarda addirittura una stima tra il 6,7 e addirittura l’8,7% all’anno, che peraltro sarebbe abbastanza in linea con la media storica dell’MSCI World.
Motivi?
I soliti: valutazioni inferiori e lungo periodo di sottoperformance negli ultimi anni.
Prima di smontare il vostro portafoglio e disinvestire tutto l’S&P 500 per comprare Europa e Giappone, attenzione ad una cosa.
La stima di Vanguard considera il fatto che il dollaro inizierà una traiettoria di indebolimento, rispetto alla posizione di estrema forza che ha assunto negli ultimi anni — e questo verosimilmente quando la Fed inizierà a tagliare i tassi.
Quindi la stima di Vanguard è che di quel 7-8% di rendimento medio annuo per i mercati sviluppati, 1-2 punti percentuali sarebbero dovuti al cambio favorevole, perché chiaramente se un americano investe in cose quotate in Euro, Sterline, Franchi o Yen, se il dollaro si indebolisce il valore dei suoi asset sale dal suo punto di vista, così come al contrario i nostri ETF salgono quando il dollaro si rafforza.
Vero?
Boh.
Se l’economia americana continua a correre molto di più di quella Europea è possibile che qui si tagli di più che là, dove altrimenti tagli eccessivi farebbero risorgere l’inflazione, quindi non è del tutto scontato che il dollaro sicuramente si indebolirà.
Comunque sia, la stima è che anche al netto del cambio i mercati ex US faranno meglio di sua maestà S&P 500.
(oh so’ 10 anni che si dice, che sia la volta buona? Oppure anche questo decennio rinviamo al prossimo? Mah…)
– Anche sui mercati emergenti stessa roba: 6-8% di rendimento annualizzato medio e una buona fetta dovuta al dollaro che si svaluta.
Passiamo alle obbligazioni
– Qui senza stare a fare troppe distinzioni tra Treasury, Bond governativi dei paesi sviluppati e un mix di governativi e corporate, sulla fascia investment grade la stima gira attorno al 4-5% e in questo caso si parla sempre di currency hedged, quindi non viene considerato l’effetto del cambio.
Questa cosa non è banale.
In pratica Vanguard dice che i bond sovraperformeranno l’S&P 500.
Da una parte è coerente con il nostro modellino, che dice di sovrappesare un po’ le obbligazioni con i tassi alti perché danno buoni rendimenti e in caso di tagli hanno un ulteriore boost.
Dall’altro, sempre un gran boh…
– Invece sugli High Yield e soprattutto sui mercati emergenti, la stima è tra 5,5 e 6,5%.
Sugli emergenti in particolare la scommessa è anche qui di natura valutaria. I bond dei governi dei mercati emergenti hanno sofferto molto di un dollaro forte negli ultimi anni, quindi un indebolimento del dollaro potrebbe far apprezzare nettamente il loro valore.
A me però l’idea di avere in mano il debito cinese, indiano o brasiliano non è che proprio mi scaldi il cuore, ma per i temerari amanti di scenari esotici consiglio di andare sul sito dell’hedge fund GMO che sono fissati con sta cosa.
– Anche i fondi monetari americani hanno delle buone prospettive nonostante la stima di un qualche taglio dei tassi d’interesse. Qui Vanguard punta su un 3-4% di rendimento.
– Infine sulle materie prime Vanguard si butta in un’altra stima bella aggressiva: tra il 6 e l’8% all’anno per l’indice Bloomberg Commodites, il benchmark per eccellenza.
Insomma se si dovesse dar retta a Vanguard, che non sono esattamente gli ultimi 4 scemi, oggi il portafoglio ideale dovrebbe:
– Sottopesare gli Stati Uniti
– Sovrappesare mercati sviluppati ed emergenti, con un tilt verso small caps e value;
– Sovrappesare bond, soprattutto governativi e corporate investment grade, ma pure una punta di high-yield e governativi emergenti e infine
– Considerare una quota di commodities.
È uscito anche un report di Invesco, altro mega colosso americano, che fa delle stime abbastanza simili.
Se per voi hanno senso queste stime, allora ciascuno può decidere come ribilanciare il portafoglio di conseguenza.
Io … boh … sono sempre dell’idea che se fossi un gestore di soldi altrui a queste stime darei retta, almeno per pararmi il fondoschiena se qualcosa va male.
Come investitore individuale, invece, il mio punto di vista è che l’asset allocation basata sulla pianificazione personale è nettamente più importante della stima a 10 anni del mercato.
Detto tutto questo.
Quanto impatta realmente il ribilanciamento?
Vediamo qualche esempio e, sempre per mantenere le cose semplici, ho preso un classico portafoglio benchmark, partendo da un 70% MSCI World e 30% FTSE World Government Bond, quindi obbligazioni governative paesi sviluppati, giusto per essere originali.
Consideriamo i 35 anni dal 1988 alla fine del 2023, quindi iniziamo ad avere già un orizzonte temporale piuttosto significativo.
Cominciamo a vedere come avrebbe performato ribilanciando una volta all’anno.
Il risultato sarebbe stato un più che lodevole 7,22% all’anno per 35 anni.
10.000 euro all’inizio, 153.000 alla fine.
Senza mai ribilanciare invece avrebbe fatto … rullo di tamburi … il 7,3%.
Cioè capito?
Tutto sto casino per stare a fare i ribilanciamenti e poi la differenza è uno 0,08 all’anno?
Per qualche strano motivo la miglior frequenza di ribilanciamento in questo caso è quando un’asset class supera di oltre il 10% dall’allocation di partenza.
Quindi fino al 10% c’è tolleranza e non si fa nulla, oltre si ribilancia.
E questo metodo avrebbe fatto fare il 7,38%.
La frequenza peggiore sarebbe stata invece ribilanciare ogni 3 mesi e nell’analisi non ho considerato i costi di transazione e le tasse.
7,1% per la precisione.
Come è facile ipotizzare se fossi partito da un portafoglio 60/40, invece che 70/30, ribilanciare una volta superato il 10% di drift dall’allocazione originaria avrebbe portato addirittura a quasi uno 0,3% di extra rendimento che non ribilanciando annualmente e addirittura 0,4% rispetto al ribilanciamento trimestrale.
Questo probabilmente perché si sarebbe lasciato più tempo alla parte azionaria di portare il suo extra rendimento che non ribilanciando in continuazione.
Curiosamente, però, ribilanciare quando il drift supera il 15 o il 20% dà un risultato peggiorativo.
In questo scenario, quindi, tenere il 10% di tolleranza sembra lo sweet spot ideale per ribilanciare.
Insomma, meno mettete mano al portafoglio, meglio è.
Attenzione invece che se investo un po’ per volta, come farebbe la maggior parte di noi, il ribilanciamento migliore sarebbe quello ogni 3 anni, mentre ribilanciare annualmente, mai o oltre il 10 di drift non farebbe praticamente nessuna differenza.
Pertanto, care amiche e cari amici paccari, non nel senso che paccate gli appuntamenti ma che fate i PAC, sembrerebbe che prima dei 3 anni ribilanciare sia addirittura controproducente per il portafoglio.
Anche in questo caso, però, il ribilanciamento trimestrale resta la scelta peggiore, mentre quella annuale o oltre il 10% di drift ha perfettamente senso.
Questo però è ciò che è avvenuto considerando tutti i 35 anni.
Allora sono andato a vedere cosa succede su orizzonti più ristretti e soprattutto in momenti tumultuosi e ho considerato questi 20 anni: i 5 prima del decennio perduto, il decennio perduto e 5 dopo il decennio perduto, quindi complessivamente dal 1995 al 2014.
In totale due periodi esterni molto buoni e la parte centrale disastrosa.
Qui, sia investendo one shot che facendo il pac, c’è qualche differenza.
Il momento migliore per ribilanciare sarebbe ogni due anni, ma anche annualmente o quando c’è un drift del 10% il portafoglio ne beneficia.
La scelta peggiore è invece non ribilanciare mai.
E la differenza è tanta.
Tra ribilanciare ogni 2 anni e non ribilanciare mai in questo periodo si perde lo 0,75% di rendimento in ciascun anno in media.
Tanta roba.
Se comprimo ulteriormente lo scenario e prendo solo i 10 anni tra il 2005 e il 2014, con in mezzo la great financial crisis, anche qui ribilanciare ogni 2 anni, ogni anno o quando c’è un drift del 10% dà un risultato migliore che non lasciando correre il portafoglio.
Il motivo è probabilmente legato al fatto che durante le grandi crisi finanziarie del 2000, reinvestire i guadagni delle obbligazioni in azioni, che nel frattempo avevano valutazioni basse, avrebbe dato un boost alla performance di lungo termine dei portafogli.
Al contrario, invece, se faccio un ultimo test prendendo solo gli ultimi 5 anni e quindi inglobando sia il tonfo del covid che soprattutto l’ultimo bear market del 2022, abbiamo uno scenario un po’ diverso ancora.
Fondamentalmente i risultati migliori arrivano ribilanciando quando l’asset allocation ha un drift superiore al 20% o non ribilanciando proprio.
Mentre invece la scelta peggiore è ribilanciare ogni anno o sotto l’anno.
Perché?
Mi viene da pensare che qui entri in gioco la caratteristica tutta particolare del bear market del 2022 rispetto a quelli del 2000, del 2008 e quello lampo del 2020.
Soprattutto nel 2000 e 2008 azioni e obbligazioni avevano una bassa correlazione, se non addirittura negativa, e quindi succedeva la classica cosa prevista dal meccanismo noto come Fed Put.
Crisi economica, crollo delle azioni, taglio dei tassi, rally dei bond.
Il 2022, invece, è stato un annus horribilis non per una recessione economica ma per gli effetti dell’inflazione.
Essendo già a zero i tassi, la politica restrittiva delle banche centrali ha tirato giù sia azioni che obbligazioni:
– Le azioni perché hanno scontato una futura recessione;
– Le obbligazioni perché hanno scontato tassi futuri più alti.
Chi quindi aveva un portafoglio a trazione azionaria e tra 2022 e 2023 e avesse ribilanciato non avrebbe avuto alcun beneficio immediato, anzi, avrebbe probabilmente ridotto la componente azionaria a favore di quella obbligazionaria perdendosi poi parte del recupero nel 2023.
È vero che la formula di The Bull tende a sovrappesare i bond rispetto alle azioni quando i tassi sono più alti, ma questa cosa ha probabilmente senso:
– O nel momento in cui uno inizia a costruirsi il primo portafoglio e parte da zero, oppure
– Nel momento in cui il ciclo di rialzi raggiunge il pivot.
Detto questo, la formula di The Bull non è uno strumento per fare market timing ma per impostare un portafoglio usando criteri di buon senso, non è una ricetta magica per ottimizzare il rendimento.
Da queste analisi spicciole non vorrei tirar fuori una teoria sistematica del ribilanciamento, che se naturalmente esistesse qualcuno più intelligente di me l’avrebbe già fatta, ma semplicemente trarre alcuni suggerimenti di buon senso, su cui peraltro ho trovato conferma in alcuni paper, tra i quali uno prodotto da Ycharts e pubblicato sul sito del Nasdaq, un white paper di Vanguard e uno studio di David Smith sulla frequenza ottimale di ribilanciamento pubblicata sul Journal of Financial Planning del 2006, che vi linko tutti negli shownote dell’episodio.
– SUGGERIMENTO UNO: bilanciare il portafoglio troppo di frequente nella maggior parte dei casi è una strategia subottimale. Al di sotto dell’anno non ha quasi mai senso ribilanciare.
Ovviamente parliamo di ribilanciare l’asset allocation, non di fare modifiche al portafoglio di natura attiva, basate sull’idea di anticipare il corso dei mercati.
– SUGGERIMENTO DUE: per portafogli composti ad azioni e obbligazioni tipo 60/40 o simili, ribilanciare quando c’è un drift del 10% dall’allocazione originaria risulta una delle strategie con i migliori risultati sia in termini di rendimento in senso assoluto che di Sharpe Ratio, ossia di rapporto tra rischio e rendimento. Anche ribilanciamenti da uno fino addirittura a ogni 3-4 anni possono essere efficaci.
– SUGGERIMENTO TRE: quando la politica delle Banche Centrali è restrittiva, ossia ci si trova durante un ciclo di rialzo dei tassi di interessi, il periodo di ribilanciamento apparentemente migliore è intorno all’anno/anno e mezzo, mentre invece un ribilanciamento troppo frequente risulta ancor più controproducente.
In generale il takeaway principale dell’episodio di oggi è che ribilanciare è sicuramente molto importante, ma non così tanto come può sembrare.
Se parliamo solo di ottimizzazione del rapporto tra rischio e rendimento e non di adattamento del portafoglio a mutate circostanze della vita, mettere mano al portafoglio una volta all’anno o appunto quando c’è un drift di almeno 10%, che non è esattamente un evento che capita ogni 3 giorni, è più che sufficiente per una buona manutenzione del portafoglio.
Perché, a quanto sembra, ribilanciare meno — e quindi lasciando correre il portafoglio per periodi di tempo più lunghi — sembra una strategia migliore che non ribilanciare in continuazione?
Forse il motivo è dovuto al fatto che, come già avevano scoperto i soliti Fama e French nell’88, le azioni tendono ad avere un’autocorrelazione positiva nel breve termine e negativa nel lungo termine.
**zzo vuol dire sta roba?
In parole povere significa che l’andamento delle azioni tende a condizionare il loro stesso comportamento nel breve mentre ad essere “mean-reverting”, ossia a regredire verso i loro valori medi, nel lungo termine.
In parole ancora più povere ma così povere che tra un po’ mi danno il reddito di cittadinanza, nel breve termine se il mercato va bene tende a continuare ad andare bene, mentre quando va male tende ad andare peggio.
Nel lungo termine invece quando il mercato va bene per troppo tempo poi torna giù, mentre quando va male per troppo tempo poi torna su, per riallinearsi alla sua media storica, più o meno.
Per questo motivo, considerato che le fasi positive sono molto più lunghe di quelle negative, lasciar driftare il portafoglio nel breve ha mediamente effetti benefici sul portafoglio, mentre su orizzonti più lunghi conviene ribilanciare per vai della tendenza regressiva delle azioni.
Sempre tutto in teoria e in media.
In pratica e nel singolo caso di ciascuno, che vi devo dire, va anche un po’ a culo.
Bene, care amiche e cari amici di The Bull, ci accingiamo alla fine di questo cento diciassettesimo episodio, voi non state bene davvero che ancora non mollate l’osso e continuate ad ascoltarmi.
Grazie, grazie, grazie!
È davvero un onore dire cose e sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che le ascolta con interesse.
E anche senza interesse va bene lo stesso, basta che ascoltiate.
Avreste poi anche la mia imperitura stima se metteste segui e attivaste le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e lasciaste una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi insegnano come si ribilanciano i portafogli con i metodi più scientifici di questa Terra anche se alla fine ribilancia un po’ quando cazzo ti pare è forse l’indicazione più sensata che esista sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un episodio dedicato a degli ETF che so che vi piacciono tanto e su cui ricevo domande almeno 3 volte a settimana quindi non mancate sempre qui, naturalmente, con The Bull Il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
E anche i primi 6 mesi di questo 2024 sta per terminare, care amiche e cari amici investitori che lo so che non aspettavate alto che il consueto appuntamento di metà anno per capire come ribilanciare i portafogli, manco fosse il momento di fare il cambio dell’armadio.
Cosa peraltro che buona parte del pubblico maschile di The Bull non capirà dato che nel proprio armadio — e per armadio intendo 2 ripiani e mezzo di spazi concessi dalla propria metà — ha sempre quelle quattro cose in croce e proprio il concetto di cambio dell’armadio ci sembra astruso come quando Galileo andava in giro a dire che era la Terra che eppur si muove intorno al sole e non il contrario.
Parlando di finanza e lasciando invece da parte attività di decluttering e dispute tra copernicani e tolemaici, siamo qua a fine giugno e ogni buona testata giornalistica, ogni buon canale YouTube e ogni buon podcast di finanza che si rispetti deve fare l’episodio su come ribilanciare il portafoglio alla luce degli scenari macroeconomici e dell’andamento dei mercati.
Eh sì eh?
Perché se non lo sapete a fine giugno c’è questa imperdibile congiunzione astrale di tutti i pianeti per cui se non ribilanci il portafoglio sei fottuto per tutto il resto dell’anno.
Infatti i mercati stan lì buoni fino al 30 giugno e poi pem! Quelli impazziscono e se non hai ribilanciato te lo prendi in quel p… cioè, volevo dire, potresti subire dei pesanti drawdown.
Nel caso non si fosse capito, c’era un velo di ironia in questa premessa.
Però siccome mi avete sfrantumando i cosiddetti in centinaia per chiedermi come ribilanciare il portafoglio, attività che sembra molto figa ma in realtà è fortemente sopravvalutata, cogliamo l’hype del momento e parliamo anche noi di ribilanciamento del portafoglio.
Quello che però sicuramente non faremo sarà dire “dunque siccome i mercati hanno fatto così, le azioni stanno qui, le obbligazioni lì, i tassi questo e sta cippa quello, allora il consiglio dei gestori è di ribilanciare il portafoglio in questo modo e sti gran cazzi pure”.
No va beh ne ho sentite davvero di ogni, tra cui una in un canale di per sé molto autorevole — che però non vi cito perché mi sto facendo troppi nemici e già di mio non sono particolarmente simpatico — e in quel contenuto si parlava di tre portafogli ideali, dal più aggressivo al più conservativo e tra i brillanti suggerimenti che ho potuto ascoltare segnalo:
– Per chi vuole essere aggressivo, una super aggressiva allocazione azionaria di ben il 55% del portafoglio!
Ammazza 55% e chi fa un 60/40 lo prenderanno per un pazzo trader di meme stock alla Roaring Kitty e Gamestop!
Ma poi 55% perché e per chi? Capite che siamo qua in decine di migliaia a sentire sta roba e la probabilità che il 55% di azioni sia l’allocazione migliore per tutti è assai improbabile?
Aspetta non me lo dire non me lo dire! Perché l’azionario è caro mentre i bond di qualità hanno buoni rendimenti?
Ma no!
Ma davvero!
Il giorno che troverò un’intervista ad un gestore che dirà “premesso che come tutti i gestori non so un cazzo di niente, se hai un orizzonte di lungo termine ha senso investire in azioni; se invece tra tre anni devi comprare casa no, allora hanno senso le obbligazioni” ecco, quello sarà un giorno di Epifania per me.
Invece no, la tiritera tipica è: “azioni eehhh, un po’ altine, mmmhhh, bond invece uuuu!!! Va che rendimenti e che qualità”.
Ovvio, perché se dici di investire in azioni ogni giorno quelle possono crollare del 50% e ti prendono per un pirla, invece se dici bond che rendono il 3-4% non sbagli mai e grazie anche a sto c***o.
– Se invece vuoi essere conservativo — e anche questa è interessante — BTP e BUND.
allora, ero in palestra, mi sono fermato un attimo, ho messo in pausa, sono tornato indietro di 30 secondi e ho riascoltato.
No no: proprio BTP e BUND.
Ma che consiglio è ribilanciare il portafoglio prendendo BTP e Bund?
Perché i Btp rendono di più mentre i Bund sono più sicuri?
Ammazza che rivelazione e Fatima con i suoi segreti mutissima!
è come Studio Aperto che a breve ricomincerà a consigliare di proteggersi dal caldo bevendo acqua e non abbandonando tuo nonno sul cemento alle deu del pomeriggio.
Ora, lungi dal voler dare consigli di tale e tanta utilità, vediamo invece di fare un episodio in cui ci occupiamo del vero senso del ribilanciamento, che in ultima istanza nulla, ma proprio nulla a che fare con gli interventi di giugno in vista della seconda parte dell’anno e alla luce dei dati di mercato.
Nel caso non fosse ancora chiaro:
– UNO: Disinvestire la parte azionaria perché i multipli sono alti non è una prescrizione medica! Nessuno sa cosa farà il mercato e il fatto che i multipli siano alti non è di per sé predittivo di eventi futuri.
– DUE: il fatto che i bond hanno buoni rendimenti e che l’aspettativa sia che le Banche Centrali taglieranno i tassi d’interesse non è di per sé un buon motivo per riempirsi di obbligazioni, sempre per lo stesso motivo: ossia che nessuno sa cosa succederà nei prossimi anni e il fatto che i tassi verranno tagliati è tutt’altro che roba scontata.
Il ribilanciamento, a meno che non siate un gestore che deve rifare il trucco al portafoglio ogni sei mesi altrimenti i suoi clienti gli portano via i soldi e vanno da un’altra parte, ha decisamente altri scopi — e di questo parleremo nell’episodio di oggi.
Intanto, cosa significa ribilanciare?
Ribilanciare significa modificare la composizione del portafoglio e in particolare i pesi dei diversi asset che lo compongono in base a certi criteri e in funzione di determinati obiettivi.
Cominciamo col dire la cosa più importante di tutte: il più delle volte non si ribilancia per cercare di migliorare le performance del portafoglio, anche se ciò potrebbe essere un positivo effetto collateralle, quanto piuttosto per controllare il livello di rischio del portafoglio e allinearlo alle proprie esigenze o a nuovi obiettivi che ci si volesse prefiggere.
Quindi: ribilanciare di per sé non migliora le performance del portafoglio. Ribilanciare serve innanzitutto per continuare a far sì che il portafoglio risponda agli obiettivi per cui lo sto costruendo.
Ricordiamo infatti che non si investe unicamente allo scopo, tra 40 anni, di avere creato un corposo patrimonio da accarezzare come zio Paperone nel suo deposito di monete.
Lo scopo del gioco è costruire gradualmente un patrimonio che possa servire i vari obiettivi della nostra vita.
Siano essi:
– Comprare la casa dei vostri sogni;
– Smettere di lavorare;
– Finanziare un progetto imprenditoriale;
– Mandare i figli in prestigiose università
O più banalmente vivere una vita normale ma senza quella fastidiosa spina nel culo rappresentata dalle preoccupazioni economiche.
Che già sarebbe tanta roba.
Di conseguenza il portafoglio va ribilanciato per assicurarci che il rapporto tra rischio e rendimento che lo definisce sia armonizzato agli obiettivi che abbiamo.
In generale, ragionandoci un po’, probabilmente i motivi per ribilanciare un portafoglio sono quattro, che vi vado testé a illustrare.
MOTIVO UNO: per ripristinare l’asset allocation.
Allora anche senza andare a prendere situazioni estreme in cui il vostro portafoglio era per metà composto da Nvidia e ora avete 10% ETF e 90% Nvidia o altri mostri di questo genere, tipicamente un banale portafoglio fatto di azioni e obbligazioni tende — attenzione che sto per usare una parola orribile — a driftare via dall’asset allocation originaria, che in qualche modo significa andare alla deriva, da to drift in Inglese.
Un normale portafoglio fatto di stocks and bonds, azioni e obbligazioni, tende infatti ad avere due “Drift”.
Il primo è più frequente riguarda la progressiva crescita della parte azionaria.
Dato che i rendimenti medi delle azioni sono superiori a quelle delle obbligazioni è inevitabile che ad un certo punto il bilanciamento scelto tra le due asset class vada progressivamente a sovrappesare l’azionario.
Per esempio, se a gennaio del 2010, ancora scosso dai traumi della great financial crisis, avessi deciso di investire con un portafoglio fatto al 50% da azionario globale e al 50% da obbligazioni governative europee e non avessi più ribilanciato fino al dicembre 2023, all’inizio di quest’anno mi sarei trovato con un portafoglio fatto al 74% da azioni e solo al 26% da obbligazioni — e questo senza aver mai aggiunto un solo euro in 13 anni al mio investimento iniziale.
È chiaro che se, per qualunque motivo, l’allocazione giusta per me è metà azioni e metà obbligazioni e dopo 13 anni mi trovo con tre quarti azioni e un quarto obbligazioni, evviva evviva per tutti i soldi extra che ho fatto, ma il mio portafoglio si è fatto nettamente più rischioso di quello che avevo pianificato.
Il secondo caso è invece più tipico in presenza di una crisi del mercato azionario.
Dal 2000 in poi, come sapete, abbiamo avuto 4 grandi bear market, ossia tonfi del mercato che hanno superato il 20%.
La dot.com bubble del 2000-2002, la Great Financial Crisi del 2007-2009, il breve crash durante l’esplosione della pandemia tra Marzo e Aprile del 2020 e infine il lento stillicidio del 2022.
Nei primi 3 casi l’azionario ha avuto un crollo pesante mentre le obbligazioni hanno fatto da parziale contrappeso, perché in quelle circostanze la Fed e le altre Banche Centrali hanno abbassato i tassi di interesse per sostenere l’economia e quindi, come noto, tassi giù, obbligazioni su.
In queste situazioni, quindi, avviene l’inverso del primo caso e ci troviamo con la parte azionaria del portafoglio che si riduce e la parte obbligazionaria che cresce.
Così come nel primo caso aveva senso ribilanciare il portafoglio per ridurre l’esposizione azionaria e ripristinare quella obbligazionaria per evitare un livello di rischio che non desideriamo, allo stesso modo nel secondo caso potrebbe aver senso reinvestire in azionario per riportare il portafoglio alla composizione che vogliamo, peraltro con l’opportunità di comprare azioni a prezzi scontati.
Ora, easier said than done, più facile a dirsi che ha farsi.
Quando il mercato fa oltre -30% in un mese, come nel marzo 2020, prendere la decisione di vendere l’unica cosa che sta andando bene, cioè le obbligazioni, per comprare azioni mentre sembra che il mondo stia andando incontro all’Apocalisse, beh, non è esattamente un’esperienza per cuori deboli.
Inoltre c’è il solito problema, che vi ricordo sempre ogni volta che mi scrivete “ah guarda mi tengo dei soldi da parte così appena il mercato va giù traaaan! Entro nel mercato e compro tutto in saldo”.
Se… come no…
Non funziona proprio così.
Fosse così semplice, qualcuno lo starebbe già facendo da un pezzo e si saprebbe che la strategia funziona.
Invece perché funzioni serve una precisione chirurgica per indovinare il timing, ossia quando il mercato ha davvero toccato fondo e da lì comincia a risalire.
Sfido chiunque a giurarmi che a fine marzo 2020 sapeva che da lì in poi sarebbe iniziato un bull run durato fino a gennaio 2022.
Il ribilanciamento in questi casi però ci viene in soccorso come un automatismo che ci sgrava dall’onere di dover indovinare dove sta il mercato e dove va.
Se io parto con un’asset allocation di un certo tipo, diciamo 70% azioni 30% obbligazioni, posso per esempio decidere di dare un occhio al mio portafoglio ogni sei mesi per vedere come sta messo e in generale ribilanciare ogni volta che l’asset allocation sballa — che ne so — di un 10%.
10% vuol dire che se parto 70/30, allora appena il mio portafoglio diventa 75/25 oppure 65/35 lo riporto alla sua allocazione originaria.
20% vuol dire intervenire, per esempio, quando diventa 80/20 oppure 60/40 — e così via.
Non è che tutti i giorni bisogna star lì a fare i conti eh.
In circostanze normali, probabilmente dare un occhio al portafoglio una volta ogni 6-12 mesi tanto basta.
In una situazione tipo Lehman Brothers o Covid-19, tranquilli che sarete talmente bombardati di news catastrofistiche che vi verrà automaticamente in mente di dare un’occhiata al portafoglio.
Ecco, nota molto importante: ribilanciare il portafoglio di solito significa fare l’esatto opposto di quel che il nostro cervello ci suggerirebbe, ossia:
– Comprare a manetta presi da FOMO, da Fear of Missing Out, mentre il mercato sta correndo sempre più su o al contrario
– Vendere in preda a Panic Selling mentre tutto sta crollando.
Diciamo che quindi il ribilanciamento del portafoglio è più una disciplina comportamentale che non una vera e propria operazione finanziaria.
Bene, veniamo al
MOTIVO NUMERO DUE per cui si ribilancia: Cambio di obiettivi.
Sappiamo bene che la vita non è un diagramma di Gannt dove tutto è bello pianificato step by step e in ogni momento sappiamo cosa fare.
Le cose cambiano, eventi inaspettati accadono e gli obiettivi si modificano.
Avere un portafoglio che sia armonizzato rispetto a questi obiettivi variabili è fondamentale.
Per esempio, ammettiamo che oggi abbia un portafoglio di 100.000 € fortemente esposto sulla sua quota azionaria, magari 80%.
E immaginiamo che, per una serie di motivi che solo qualche mese non erano preventivabili, oggi decida di voler comprare un certo tipo di casa da qui ai prossimi anni, oppure di voler lasciare il mio lavoro per intraprendere una carriera imprenditoriale.
In entrambi i casi, probabilmente avrò bisogno di un portafoglio che mi dia determinate certezze.
Ecco se quest’idea mi dovesse venire nel settembre 2008, quando è fallita Lehman, o nel marzo 2020, forse è meglio che me la faccia passare e me ne stia buono.
Ma in circostanze normali potrei appunto decidere che è giunto il momento di fare scelte importanti e dovrò quindi assicurare il futuro del mio portafoglio.
Escludiamo soluzioni complesse e potenzialmente costose come comprare opzioni PUT a nastro per tutelare la parte azionaria in caso di crollo, che come sapete sono quei prodotti derivati che danno il diritto ma non l’obbligo di vendere il sottostante (che può essere ad esempio l’S&P 500) ad un certo prezzo prefissato a fronte del pagamento di un premio.
Non è esattamente una roba semplice da implementare per un investitore non professionale.
Più semplicemente, modificare l’asset allocation per meglio allinearla ai propri obiettivi di breve-medio termine è probabilmente la strada migliore per la maggior parte degli investitori.
Il metodo da usare è lo stesso che abbiamo suggerito varie volte partendo dalla regola % azioni = 125 — anni — tassi d’interesse per 5, e poi da lì prendere la composizione del proprio portafoglio e proiettare nei prossimi anni il rendimento di azioni e obbligazioni. Userei come rendimento atteso un 7-8% per le azioni e un 3% per le obbligazioni ma mi concentrerei soprattutto su queste ultime, che il più delle volte saranno la parte meno volatile del portafoglio.
Torniamo all’esempio dei 100.000 €.
Se ho 80.000 € in azioni e 20.000 € in obbligazioni e da qui ai prossimi anni mi aspetto di dover affrontare delle incertezze, allora in base all’urgenza che ho valuterò o di investire da qui in poi solo nella parte obbligazionaria, oppure di vendere parte dell’azionario e reinvestire in obbligazionario.
Ovvio che dal punto di vista fiscale e in termini di rendimento atteso questa cosa non porta benefici al portafoglio.
Anzi.
Ma massimizzare il rendimento del portafoglio non è sempre il suo unico obiettivo.
Supportare al meglio i nostri obiettivi invece sì: questo è il suo obiettivo ultimo.
E in prima istanza la cosa più importante di tutte è proteggersi dai rischi estremi.
Essere costretti a mettere mano al portafoglio in un momento inaspettato e magari proprio quando si sta attraversando un bear market è esattamente uno di questi rischi da evitare.
Se ho 20.000 € in obbligazioni e verso 500 € al mese nel portafoglio di cui appunto 100, ossia il 20%, nella parte obbligazionaria, sarò sereno tra un paio d’anni quando verosimilmente avrò circa 23.700 €?
E tra 5 anni sarò sereno con circa 30.000 €?
Se la risposta è sì il mio portafoglio va bene, altrimenti va ribilanciato il portafoglio fino a raggiungere la quota desiderata.
Buona norma, secondo me, sarebbe fare quest’esercizio comunque ogni 6 mesi, a prescindere da pazze idee che vi venissero in testa per stravolgere la vostra vita.
Vi mettete lì 10 minuti, file Excel, formula del valore futuro, fate qualche stima, vi assicurate che il capitale è allocato correttamente rispetto a ciò che vi serve, fate quello che dovete fare e poi per i 6 mesi successivi non ci pensate più.
Un’altra circostanza tipica in cui potrebbe capitare di dover ribilanciare è quando si passa dalla fase di accumulo a quella di mantenimento o addirittura di decumulo.
Un investitore può infatti decidere che, che ne so, arrivato a 50 anni dopo 20 anni di investimento vuole utilizzare il proprio portafoglio per generare delle rendite che andranno ad integrare il proprio reddito.
In questo caso normalmente si cerca di ridurre la componente speculativa del portafoglio aumentando invece le parti conservative o comunque più focalizzate sull’income.
Bond governativi, bond corporate, azioni da dividendo e roba simile andranno forse a sostituire una parte della porzione di azionario puro del portafoglio in un momento della vita in cui mantenere il valore del portafoglio conta più che massimizzarne il rendimento.
Veniamo quindi al
MOTIVO NUMERO TRE per ribilanciare: cambio significativo dello scenario macroeconomico.
E qui probabilmente l’indicatore più importante sono i tassi d’interesse.
Se io ho costruito un certo portafoglio mentre i tassi di interessi erano molto bassi e poi questi sono stati alzati per qualunque motivo (e di solito il motivo è perché è salita l’inflazione), allora forse vale la pena fare qualche aggiustamento.
Di solito tassi di interessi elevati non piacciono tantissimo alle azioni e offrono invece buoni rendimenti per le obbligazioni, soprattutto alla fine del ciclo di rialzi e in vista poi del cosiddetto pivot, ossia quando le banche centrali scollinano e cominciano il ciclo di tagli.
In base a questa logica ha probabilmente più senso, in media, avere più obbligazioni in portafoglio in fasi di tassi alti che non con tassi bassi (e in particolare con tassi prossimi a zero).
Viceversa, una volta che per qualche ragione i tassi vengono nettamente abbattuti, allora può valere la pena fare un ribilanciamento che tenga conto anche di questo fatto.
Se parlando del motivo uno abbiamo detto che ripristinare l’asset allocation originaria ci permette di tenere il nostro livello di rischio desiderato sotto controllo, qui aggiungiamo che se cambia lo scenario macro, in particolare il contesto dei tassi d’interesse, il ribilanciamento dovrebbe tenerne conto.
Anche qui.
Buon senso.
Se uno si basa sulla formula di The Bull, un punto percentuale di variazione dei tassi di interessi — che non è poco per niente — impatta sul 5% della composizione del portafoglio.
Non è detto che sposti così tanto.
Già 2 punti percentuali porterebbero a mettere un 10% in più o in meno di azioni e 10% in meno o in più di obbligazioni e quindi già parliamo di un portafoglio molto diverso.
Però in generale i microaggiustamenti sono abbastanza inutili.
Quando parliamo di adattamenti più significativi, allora val la pena fermarsi a fare qualche ragionamento sulla configurazione che più preferiamo per il nostro portafoglio.
Infine abbiamo il MOTIVO NUMERO QUATTRO, che è già più una roba da gestione semi attiva del portafoglio.
Potrei infatti voler ribilanciare per modificare:
– L’esposizione geografica;
– L’esposizione settoriale o
– L’esposizione fattoriale.
O qualche altra esposizione ancora più sottile che ora non mi viene in mente perché mia figlia ha l’influenza e stanotte mi ha fatto dormire poco.
Ribilanciare l’esposizione geografica significa, per esempio: sento di aver troppa esposizione agli Stati Uniti, voglio aumentare quella sull’Europa o sugli Emergenti.
Ribilanciare l’esposizione settoriale significa, sempre per esempio: mi sento troppo esposto alle big tech, preferisco aumentare l’esposizione alle utilities e agli altri settori difensivi.
Ribilanciare l’esposizione fattoriale significa, ancora una volta puramente per fare un esempio: decidere di modificare il tilt fattoriale del portafoglio e decidere che magari ora momentum ha fatto quel che doveva fare e che per i prossimi anni mi sento più sereno ad avere più società value.
Mentre il ribilanciamento per i primi 3 motivi rientra nella logica di una sana gestione del portafoglio, quest’ultimo è molto soggettivo ed è difficile dire quando tutto ciò porti dei benefici in termini di miglioramento del profilo di rischio/rendimento, oppure no.
Perché allora uno dovrebbe in generale voler fare questa cosa?
Beh, se credete alle stime a dieci anni che le principali società d’investimento sfornano ogni due per tre, magari ha senso prendere delle decisioni di conseguenza.
Per esempio, il Vanguard Capital Market Model è un modello di Vanguard che formula previsioni sul rendimento atteso a 10 anni delle principali asset class.
La cosa bella è che un modellone super sofisticato, ma poi se vai a confrontare le stime di quest’anno rispetto a quelle dell’anno scorso già sono cambiate.
Ma come?
Ma scusa era un modello a 10 anni e dopo un anno già cambi idea?
Va beh…
Cmq se per gioco vogliamo dargli retta, la stima dei rendimenti annualizzati per i prossimi 10 anni delle principali asset class sono le seguenti.
– S&P 500: tra il 3,5 e il 5,5%, una discreta schifezza rispetto al 10% e fischia a cui siamo abituati, però ci può anche stare se considerate che veniamo da 15 anni di corsa sfrenata e che il grosso della crescita del mercato è dovuto alla crescita delle valutazioni e non ad una corrispondente crescita degli utili.
Inoltre mettici che oggi la sola Nvidia è stata responsabile di oltre il 40% della crescita dell’S&P 500 da inizio 2022 ad oggi, quindi dire che il mercato americano è in una situazione un po’ ballerina è tutt’altro che un eufemismo.
Dall’altra parte, mi piace ricordare (soprattutto a me stesso) che se l’S&P non fa almeno l’11-12% all’anno da qui al 2029 compreso, il primo trentennio di questo secolo sarà stato il peggiore di tutti i tempi.
Non che non possa accadere, ma giusto per ricordare che ci stati periodi nettamente più euforici di questo.
Inoltre, secondo Vanguard dovrebbero fare un po’ meglio le Small Caps e le società Value, tra il 4 e il 6,3%.
– Molto meglio invece i mercati sviluppati ex US, quindi soprattutto Europa e Giappone, e qui Vanguard azzarda addirittura una stima tra il 6,7 e addirittura l’8,7% all’anno, che peraltro sarebbe abbastanza in linea con la media storica dell’MSCI World.
Motivi?
I soliti: valutazioni inferiori e lungo periodo di sottoperformance negli ultimi anni.
Prima di smontare il vostro portafoglio e disinvestire tutto l’S&P 500 per comprare Europa e Giappone, attenzione ad una cosa.
La stima di Vanguard considera il fatto che il dollaro inizierà una traiettoria di indebolimento, rispetto alla posizione di estrema forza che ha assunto negli ultimi anni — e questo verosimilmente quando la Fed inizierà a tagliare i tassi.
Quindi la stima di Vanguard è che di quel 7-8% di rendimento medio annuo per i mercati sviluppati, 1-2 punti percentuali sarebbero dovuti al cambio favorevole, perché chiaramente se un americano investe in cose quotate in Euro, Sterline, Franchi o Yen, se il dollaro si indebolisce il valore dei suoi asset sale dal suo punto di vista, così come al contrario i nostri ETF salgono quando il dollaro si rafforza.
Vero?
Boh.
Se l’economia americana continua a correre molto di più di quella Europea è possibile che qui si tagli di più che là, dove altrimenti tagli eccessivi farebbero risorgere l’inflazione, quindi non è del tutto scontato che il dollaro sicuramente si indebolirà.
Comunque sia, la stima è che anche al netto del cambio i mercati ex US faranno meglio di sua maestà S&P 500.
(oh so’ 10 anni che si dice, che sia la volta buona? Oppure anche questo decennio rinviamo al prossimo? Mah…)
– Anche sui mercati emergenti stessa roba: 6-8% di rendimento annualizzato medio e una buona fetta dovuta al dollaro che si svaluta.
Passiamo alle obbligazioni
– Qui senza stare a fare troppe distinzioni tra Treasury, Bond governativi dei paesi sviluppati e un mix di governativi e corporate, sulla fascia investment grade la stima gira attorno al 4-5% e in questo caso si parla sempre di currency hedged, quindi non viene considerato l’effetto del cambio.
Questa cosa non è banale.
In pratica Vanguard dice che i bond sovraperformeranno l’S&P 500.
Da una parte è coerente con il nostro modellino, che dice di sovrappesare un po’ le obbligazioni con i tassi alti perché danno buoni rendimenti e in caso di tagli hanno un ulteriore boost.
Dall’altro, sempre un gran boh…
– Invece sugli High Yield e soprattutto sui mercati emergenti, la stima è tra 5,5 e 6,5%.
Sugli emergenti in particolare la scommessa è anche qui di natura valutaria. I bond dei governi dei mercati emergenti hanno sofferto molto di un dollaro forte negli ultimi anni, quindi un indebolimento del dollaro potrebbe far apprezzare nettamente il loro valore.
A me però l’idea di avere in mano il debito cinese, indiano o brasiliano non è che proprio mi scaldi il cuore, ma per i temerari amanti di scenari esotici consiglio di andare sul sito dell’hedge fund GMO che sono fissati con sta cosa.
– Anche i fondi monetari americani hanno delle buone prospettive nonostante la stima di un qualche taglio dei tassi d’interesse. Qui Vanguard punta su un 3-4% di rendimento.
– Infine sulle materie prime Vanguard si butta in un’altra stima bella aggressiva: tra il 6 e l’8% all’anno per l’indice Bloomberg Commodites, il benchmark per eccellenza.
Insomma se si dovesse dar retta a Vanguard, che non sono esattamente gli ultimi 4 scemi, oggi il portafoglio ideale dovrebbe:
– Sottopesare gli Stati Uniti
– Sovrappesare mercati sviluppati ed emergenti, con un tilt verso small caps e value;
– Sovrappesare bond, soprattutto governativi e corporate investment grade, ma pure una punta di high-yield e governativi emergenti e infine
– Considerare una quota di commodities.
È uscito anche un report di Invesco, altro mega colosso americano, che fa delle stime abbastanza simili.
Se per voi hanno senso queste stime, allora ciascuno può decidere come ribilanciare il portafoglio di conseguenza.
Io … boh … sono sempre dell’idea che se fossi un gestore di soldi altrui a queste stime darei retta, almeno per pararmi il fondoschiena se qualcosa va male.
Come investitore individuale, invece, il mio punto di vista è che l’asset allocation basata sulla pianificazione personale è nettamente più importante della stima a 10 anni del mercato.
Detto tutto questo.
Quanto impatta realmente il ribilanciamento?
Vediamo qualche esempio e, sempre per mantenere le cose semplici, ho preso un classico portafoglio benchmark, partendo da un 70% MSCI World e 30% FTSE World Government Bond, quindi obbligazioni governative paesi sviluppati, giusto per essere originali.
Consideriamo i 35 anni dal 1988 alla fine del 2023, quindi iniziamo ad avere già un orizzonte temporale piuttosto significativo.
Cominciamo a vedere come avrebbe performato ribilanciando una volta all’anno.
Il risultato sarebbe stato un più che lodevole 7,22% all’anno per 35 anni.
10.000 euro all’inizio, 153.000 alla fine.
Senza mai ribilanciare invece avrebbe fatto … rullo di tamburi … il 7,3%.
Cioè capito?
Tutto sto casino per stare a fare i ribilanciamenti e poi la differenza è uno 0,08 all’anno?
Per qualche strano motivo la miglior frequenza di ribilanciamento in questo caso è quando un’asset class supera di oltre il 10% dall’allocation di partenza.
Quindi fino al 10% c’è tolleranza e non si fa nulla, oltre si ribilancia.
E questo metodo avrebbe fatto fare il 7,38%.
La frequenza peggiore sarebbe stata invece ribilanciare ogni 3 mesi e nell’analisi non ho considerato i costi di transazione e le tasse.
7,1% per la precisione.
Come è facile ipotizzare se fossi partito da un portafoglio 60/40, invece che 70/30, ribilanciare una volta superato il 10% di drift dall’allocazione originaria avrebbe portato addirittura a quasi uno 0,3% di extra rendimento che non ribilanciando annualmente e addirittura 0,4% rispetto al ribilanciamento trimestrale.
Questo probabilmente perché si sarebbe lasciato più tempo alla parte azionaria di portare il suo extra rendimento che non ribilanciando in continuazione.
Curiosamente, però, ribilanciare quando il drift supera il 15 o il 20% dà un risultato peggiorativo.
In questo scenario, quindi, tenere il 10% di tolleranza sembra lo sweet spot ideale per ribilanciare.
Insomma, meno mettete mano al portafoglio, meglio è.
Attenzione invece che se investo un po’ per volta, come farebbe la maggior parte di noi, il ribilanciamento migliore sarebbe quello ogni 3 anni, mentre ribilanciare annualmente, mai o oltre il 10 di drift non farebbe praticamente nessuna differenza.
Pertanto, care amiche e cari amici paccari, non nel senso che paccate gli appuntamenti ma che fate i PAC, sembrerebbe che prima dei 3 anni ribilanciare sia addirittura controproducente per il portafoglio.
Anche in questo caso, però, il ribilanciamento trimestrale resta la scelta peggiore, mentre quella annuale o oltre il 10% di drift ha perfettamente senso.
Questo però è ciò che è avvenuto considerando tutti i 35 anni.
Allora sono andato a vedere cosa succede su orizzonti più ristretti e soprattutto in momenti tumultuosi e ho considerato questi 20 anni: i 5 prima del decennio perduto, il decennio perduto e 5 dopo il decennio perduto, quindi complessivamente dal 1995 al 2014.
In totale due periodi esterni molto buoni e la parte centrale disastrosa.
Qui, sia investendo one shot che facendo il pac, c’è qualche differenza.
Il momento migliore per ribilanciare sarebbe ogni due anni, ma anche annualmente o quando c’è un drift del 10% il portafoglio ne beneficia.
La scelta peggiore è invece non ribilanciare mai.
E la differenza è tanta.
Tra ribilanciare ogni 2 anni e non ribilanciare mai in questo periodo si perde lo 0,75% di rendimento in ciascun anno in media.
Tanta roba.
Se comprimo ulteriormente lo scenario e prendo solo i 10 anni tra il 2005 e il 2014, con in mezzo la great financial crisis, anche qui ribilanciare ogni 2 anni, ogni anno o quando c’è un drift del 10% dà un risultato migliore che non lasciando correre il portafoglio.
Il motivo è probabilmente legato al fatto che durante le grandi crisi finanziarie del 2000, reinvestire i guadagni delle obbligazioni in azioni, che nel frattempo avevano valutazioni basse, avrebbe dato un boost alla performance di lungo termine dei portafogli.
Al contrario, invece, se faccio un ultimo test prendendo solo gli ultimi 5 anni e quindi inglobando sia il tonfo del covid che soprattutto l’ultimo bear market del 2022, abbiamo uno scenario un po’ diverso ancora.
Fondamentalmente i risultati migliori arrivano ribilanciando quando l’asset allocation ha un drift superiore al 20% o non ribilanciando proprio.
Mentre invece la scelta peggiore è ribilanciare ogni anno o sotto l’anno.
Perché?
Mi viene da pensare che qui entri in gioco la caratteristica tutta particolare del bear market del 2022 rispetto a quelli del 2000, del 2008 e quello lampo del 2020.
Soprattutto nel 2000 e 2008 azioni e obbligazioni avevano una bassa correlazione, se non addirittura negativa, e quindi succedeva la classica cosa prevista dal meccanismo noto come Fed Put.
Crisi economica, crollo delle azioni, taglio dei tassi, rally dei bond.
Il 2022, invece, è stato un annus horribilis non per una recessione economica ma per gli effetti dell’inflazione.
Essendo già a zero i tassi, la politica restrittiva delle banche centrali ha tirato giù sia azioni che obbligazioni:
– Le azioni perché hanno scontato una futura recessione;
– Le obbligazioni perché hanno scontato tassi futuri più alti.
Chi quindi aveva un portafoglio a trazione azionaria e tra 2022 e 2023 e avesse ribilanciato non avrebbe avuto alcun beneficio immediato, anzi, avrebbe probabilmente ridotto la componente azionaria a favore di quella obbligazionaria perdendosi poi parte del recupero nel 2023.
È vero che la formula di The Bull tende a sovrappesare i bond rispetto alle azioni quando i tassi sono più alti, ma questa cosa ha probabilmente senso:
– O nel momento in cui uno inizia a costruirsi il primo portafoglio e parte da zero, oppure
– Nel momento in cui il ciclo di rialzi raggiunge il pivot.
Detto questo, la formula di The Bull non è uno strumento per fare market timing ma per impostare un portafoglio usando criteri di buon senso, non è una ricetta magica per ottimizzare il rendimento.
Da queste analisi spicciole non vorrei tirar fuori una teoria sistematica del ribilanciamento, che se naturalmente esistesse qualcuno più intelligente di me l’avrebbe già fatta, ma semplicemente trarre alcuni suggerimenti di buon senso, su cui peraltro ho trovato conferma in alcuni paper, tra i quali uno prodotto da Ycharts e pubblicato sul sito del Nasdaq, un white paper di Vanguard e uno studio di David Smith sulla frequenza ottimale di ribilanciamento pubblicata sul Journal of Financial Planning del 2006, che vi linko tutti negli shownote dell’episodio.
– SUGGERIMENTO UNO: bilanciare il portafoglio troppo di frequente nella maggior parte dei casi è una strategia subottimale. Al di sotto dell’anno non ha quasi mai senso ribilanciare.
Ovviamente parliamo di ribilanciare l’asset allocation, non di fare modifiche al portafoglio di natura attiva, basate sull’idea di anticipare il corso dei mercati.
– SUGGERIMENTO DUE: per portafogli composti ad azioni e obbligazioni tipo 60/40 o simili, ribilanciare quando c’è un drift del 10% dall’allocazione originaria risulta una delle strategie con i migliori risultati sia in termini di rendimento in senso assoluto che di Sharpe Ratio, ossia di rapporto tra rischio e rendimento. Anche ribilanciamenti da uno fino addirittura a ogni 3-4 anni possono essere efficaci.
– SUGGERIMENTO TRE: quando la politica delle Banche Centrali è restrittiva, ossia ci si trova durante un ciclo di rialzo dei tassi di interessi, il periodo di ribilanciamento apparentemente migliore è intorno all’anno/anno e mezzo, mentre invece un ribilanciamento troppo frequente risulta ancor più controproducente.
In generale il takeaway principale dell’episodio di oggi è che ribilanciare è sicuramente molto importante, ma non così tanto come può sembrare.
Se parliamo solo di ottimizzazione del rapporto tra rischio e rendimento e non di adattamento del portafoglio a mutate circostanze della vita, mettere mano al portafoglio una volta all’anno o appunto quando c’è un drift di almeno 10%, che non è esattamente un evento che capita ogni 3 giorni, è più che sufficiente per una buona manutenzione del portafoglio.
Perché, a quanto sembra, ribilanciare meno — e quindi lasciando correre il portafoglio per periodi di tempo più lunghi — sembra una strategia migliore che non ribilanciare in continuazione?
Forse il motivo è dovuto al fatto che, come già avevano scoperto i soliti Fama e French nell’88, le azioni tendono ad avere un’autocorrelazione positiva nel breve termine e negativa nel lungo termine.
**zzo vuol dire sta roba?
In parole povere significa che l’andamento delle azioni tende a condizionare il loro stesso comportamento nel breve mentre ad essere “mean-reverting”, ossia a regredire verso i loro valori medi, nel lungo termine.
In parole ancora più povere ma così povere che tra un po’ mi danno il reddito di cittadinanza, nel breve termine se il mercato va bene tende a continuare ad andare bene, mentre quando va male tende ad andare peggio.
Nel lungo termine invece quando il mercato va bene per troppo tempo poi torna giù, mentre quando va male per troppo tempo poi torna su, per riallinearsi alla sua media storica, più o meno.
Per questo motivo, considerato che le fasi positive sono molto più lunghe di quelle negative, lasciar driftare il portafoglio nel breve ha mediamente effetti benefici sul portafoglio, mentre su orizzonti più lunghi conviene ribilanciare per vai della tendenza regressiva delle azioni.
Sempre tutto in teoria e in media.
In pratica e nel singolo caso di ciascuno, che vi devo dire, va anche un po’ a culo.
Bene, care amiche e cari amici di The Bull, ci accingiamo alla fine di questo cento diciassettesimo episodio, voi non state bene davvero che ancora non mollate l’osso e continuate ad ascoltarmi.
Grazie, grazie, grazie!
È davvero un onore dire cose e sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che le ascolta con interesse.
E anche senza interesse va bene lo stesso, basta che ascoltiate.
Avreste poi anche la mia imperitura stima se metteste segui e attivaste le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e lasciaste una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi insegnano come si ribilanciano i portafogli con i metodi più scientifici di questa Terra anche se alla fine ribilancia un po’ quando cazzo ti pare è forse l’indicazione più sensata che esista sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un episodio dedicato a degli ETF che so che vi piacciono tanto e su cui ricevo domande almeno 3 volte a settimana quindi non mancate sempre qui, naturalmente, con The Bull Il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025