Lifestrategy e Roboadvisor: Confronto tra Portafogli preconfezionati
In quest'episodio confrontiamo le soluzioni in ETF dei Vanguard Lifestrategy, con 4 diversi bilanciamenti tra azioni e obbligazioni in base al profilo di rischio/rendimento, e le soluzioni di "roboadvisory" di Moneyfarm, per chi necessità di prodotti di investimento pronti all'uso che non richiedono ribilanciamenti.

118. Lifestrategy e Roboadvisor: Confronto tra Portafogli preconfezionati
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Punti Chiave
Confronto dettagliato tra Vanguard Lifestrategy (ETF pre-pacchettizzati, auto-ribilanciati) e Moneyfarm (robo-advisor con gestione attiva).
Valutazione di pro, contro, costi e liquidità per ciascuno, con focus su implicazioni di rendimento e fiscali.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Non ve l’aspettavate questo episodio lo so, avevo resistito centodiciassette episodi prima di parlarne, nonostante le ventordici milia richieste che mi sono arrivate ma niente, alla fine ho dovuto desistere.
Eh sì perché una buona fetta di voi almeno una volta mi ha chiesto cosa ne pensi dei Vanguard Lifestrategy, le soluzioni di Vanguard preimpacchettate che vi danno in un colpo solo un bel mix di ETF azionari e obbligazionari, voi scegliete uno delle 4 allocation che vanno da 20% azionario a 80% azionario e da lì in poi potete anche non pensare mai più una sola volta nella vostra vita al portafoglio.
In teoria.
Nell’episodio di oggi cerchiamo di capire se anche in pratica le cose stanno così.
Appunto, siccome me l’avete chiesto veramente in tanti, al millesimo messaggio mi sono chiesto: “ma sarà mica che sta cosa interessa davvero?”.
Va beh, parliamone allora!
Tra l’altro uno di voi di recente mi ha fatto una domanda del tipo “ma è meglio un Vanguard Life Strategy o Moneyfarm?”.
Lì per lì ho pensato: “che c’entra? Uno è di fatto è un ETF, l’altro è una società che si occupa di gestione patrimoniale attraverso una piattaforma che automatizza il processo di investimento”, sono due cose molto diverse tra loro, no?
Però poi in effetti, ripensandoci, sono sì due cose diverse ma rispondono probabilmente alla medesima esigenza, quella di avere un prodotto semplice — one fits all — dove un investitore sceglie più o meno cosa vuole, imposta la regola automatica e poi non deve fare più assolutamente niente.
Nello scorso episodio abbiamo parlato a lungo di ribilanciamento e nonostante abbia cercato di dirvi in tutte le salse “ah ragà, keep calm. Il ribilanciamento non è un’operazione di trapianto di cuore e comunque non è nemmeno così fondamentale”, sono certo che molti vanno in sbattimento proprio all’idea ogni tot di dover prendere decisioni per il proprio portafoglio.
Effettivamente, i Lifestrategy e le soluzioni impropriamente chiamate di Roboadvisory come Moneyfarm, possono essere un’alternativa.
Come potete immaginare non sono esattamente il tipo di strumento che uso per investire ma comprendo che chi non condivide il mio stesso fanatismo per le tematiche che tratto in questo podcast, avere una soluzione semplice e relativamente “sicura” per investire, possa essere un’opzione da non sottovalutare.
Per “sicura” intendo il fatto che, come vedremo, con entrambe le soluzioni uno si affida a persone indubitabilmente esperte che gestiranno sicuramente al meglio i suoi investimenti senza fare cazzate.
Che poi sia anche la cosa migliore, beh, vedremo…
A scanso di equivoci, questo non è un contenuto sponsorizzato, quindi non sto promuovendo alcuna soluzione d’investimento, il contenuto di questo episodio è puramente descrittivo e riflette unicamente la mia inutilissima opinione.
Vi invito a prestare 100% di attenzione ai fatti oggettivi di cui vi parlerò oggi e 0% alle opinioni soggettive del sottoscritto che trapeleranno, che chiaramente non valgono una beata fava.
Partiamo dalla descrizione di questi due prodotti e cominciamo con i Lifestrategy.
Da pochi anni Vanguard ha lanciato in Europa questa linea di 4 prodotti che in qualche modo dovrebbero essere la soluzione definitiva per investire a lunghissimo termine, idealmente per tutta la vita, senza doversi curare dei propri investimenti perché questi verrebbero automaticamente ribilanciati da Vanguard e uno non deve fare altro che metterci in soldi.
I 4 prodotti, come noto, sono:
– Lifestrategy 20%
– Lifestrategy 40%
– Lifestrategy 60% e colpo di scena:
– Lifestrategy 80%
dove la percentuale si riferisce alla quantità di azioni nel portafoglio, mentre chiaramente la parte restante sono obbligazioni.
Come da tradizione di Vanguard, che tra tutte le società che fanno ETF è rimasta la più pura e ferma sui principi fondamentali del suo fondatore John Bogle, solo azioni e obbligazioni: niente materie prime, niente high-yield, niente real estate.
Non è un caso, tra l’altro, che per via della sua posizione ortodossa Vanguard sia rimasta l’unica grande casa a non lanciarsi nella corsa agli ETF su Bitcoin, ritenendo che Bitcoin non sia uno strumento adatto a fare gli interessi dei risparmiatori americani.
Per loro solo azioni e obbligazioni, come sua eminenza John Bogle avrebbe voluto.
Semplice come Pane e Nutella.
Ora, io non compro un vasetto di Nutella probabilmente dal ’97, però diciamoci la verità: come puoi migliorare Pane e Nutella? Certe cose sono fatte per essere perfette così.
Se qualcuno vuole investire nei Vanguard Lifestrategy in pratica deve solo scegliere la quantità di Nutella da mettere sul pane, che fuor di metafora significa quante azioni e quante obbligazioni, ossia il portafoglio che meglio riflette il suo profilo di rischio/rendimento come investitore.
Non c’è bisogno che puntualizzi più di tanto che il Lifestrategy 80% sarà il prodotto con il maggior expected return, ossia con il rendimento atteso più alto e allo stesso tempo con la maggiore volatilità, quindi il maggior rischio in termini finanziari.
All’estremo opposto abbiamo invece il prodotto per cagasot… cioè volevo dire per investitori conservativi, con minor rendimento atteso e teoricamente maggiore stabilità.
Ironia della sorte questi prodotti sono stati lanciati in Italia nel gennaio del 2021 e chi avesse investito nel lifestrategy 80 non sarebbe mai andato in negativo neanche per un minuto e oggi si sarebbe portato a casa un onesto +37%, equivalente a circa 9,4% all’anno, abbastanza in linea con un 80/20 fatto con un etf azionario globale e un etf obbligazionario governativo globale.
Chi invece, per non correre rischi — detto giusto con una punta di ironia — avesse scelto il 20/80, oggi sarebbe ancora sotto del 5% e ci sarebbe stato un momento, dal picco del 2021 al baratro di ottobre 22, in cui avrebbe fatto anche -20%.
Questi prodotti sono sicuri e gestiti da gente competente.
Non ci sono dubbi.
Ma se gli dite di investire l’80% in obbligazioni in un momento in cui i tassi di interesse sono a zero, cosa vi aspettate?
Quelli di Vanguard sono competenti, mica fanno i miracoli.
Applicando la formula di The Bull 125 — bla bla bla solo un venerando investitore nato negli anni ’20 del 900 avrebbe potuto pensare di mettere l’80% di obbligazioni in portafoglio nel 2021.
Il quarantenne medio del 2021 invece avrebbe probabilmente trovato molto più sensato un 80/20 (o al limite un 60/40, se trattasi di quarantenne medio timoroso).
Comunque, nel caso non l’avessimo mai detto ma ho come il sospetto di averlo fatto, le obbligazioni sono strumenti mediamente sicuri “tranne” quando i tassi di interesse sono molto bassi e si viene da un ciclo di ribasso da parte delle banche centrali.
In quel caso metti pure la mano sul fuoco che prima o poi l’inflazione riparte, i tassi salgono e le tue obbligazioni sprofondano sotto terra.
Ridetta questa cosa per l’ennesima volta in questo podcast, vediamo come è composto un Lifestrategy e, in onore del più famoso portafoglio della storia dell’umanità tutta, prendiamo a modello il 60/40, che potrebbe essere il ragionevole pacchetto che oggi potrei comprare io, inesperto neoinvestitore di 38 anni che non so un tubo di niente di come si fa ad investire ma ho sentito un tizio che fa podcast che dice che investire in ETF potrebbe essere una saggia idea.
125 meno 38 meno 26 (un’approssimazione dei Fed Funds Rate moltiplicato per 5), fa 61% azioni e 39% obbligazioni.
Diciamo 60/40, che faccio? lascio?
Lasciamo.
I Lifestrategy sono ETF di ETF, ossia ETF che hanno come sottostanti altri ETF, tutti di Vanguard, che a loro volta hanno come sottostanti azioni e obbligazioni globali, tutti a replica fisica.
Vediamo come è composto il 60/40, poi gli altri sono tutti piuttosto simili, cambiano invece i pesi delle componenti azionarie e obbligazionarie.
In ordine di peso abbiamo, sulla parte azionaria:
– FTSE Developed World 19%
– FTSE All World, sempre 19%
– FTSE North America 13%
– FTSE Emerging Markets 3,8%
– FTSE Developed Europe 3,2%
– E un altro 2% tra FTSE Japan e Asia Pacific ex Japan
Come avrete notato Vanguard usa gli indici del Financial Times Stock Exchenge, FTSE per gli amici, e non quelli di MSCI usati dagli arcinemici di Ishares.
Il 40% obbligazionario è invece fatto da:
– Global Aggregate Bond con copertura in euro, 19%
– Treasury sempre con copertura in euro, 7,3%
– Corporate bond americani con copertura in euro, 5,3%
– Bond governativi dell’Eurozona, 5,2%
– Bond corporate europei 1,8%
– E infine una puntina di Gilts, che sono i BTP inglese, 0,7%.
Se la somma non fa esattamente 40 è perché ho arrotondato un po’.
13 ETF in totale.
La prima domanda che uno si potrebbe porre è: “ma sono davvero necessari 13 ETF per fare un 60/40?”
Allora ho fatto un backtest da quando esistono in Italia confrontandoli con un portafoglio fatto con la stessa allocation usando solo il FTSE All World, quindi tutto l’azionario globale compresi gli emergenti, e un ETF sul Bloomberg global Aggregate Bonds.
I risultati, dal loro lancio ad oggi sono stati:
– Lifestrategy 4,78% all’anno;
– 60/40 fatto in casa, 4,74% all’anno.
Praticamente la stessa identica cosa.
C’è da dire che i Lifestrategy hanno una volatilità leggermente inferiore e quindi, avendo fondamentalmente lo stesso rendimento, hanno un Sharpe Ratio migliore.
Nel lungo termine si può pensare che i Lifestrategy, essendo maggiormente diversificati, dovrebbero avere un rendimento atteso assolutamente in linea con un 60/40 fatto allo stesso modo, ma con drawdown un po’ più contenuti.
Ovviamente anche la composizione geografica ricalca abbastanza fedelmente quella di un indice azionario globale con il 58% agli Stati Uniti e via via le solite briciole a Giappone, Cina, Regno Unito, Svizzera, Francia e così via.
Se guardate il prospetto e vedete percentuali diverse è perché chiaramente si riferiscono all’intero portafoglio che contiene anche la parte obbligazionaria, con proporzioni piuttosto simili.
La cosa importante dei Lifestrategy — e forse il loro tratto distintivo principale — è che vengono ribilanciati automaticamente.
Come spiegavamo nell’episodio scorso, qualunque allocazione scegli per il tuo portafoglio questa si modificherà nel tempo per una serie di motivi, dal drift verso l’azionario durante le fasi di crescita alla contrazione della parte azionaria durante le crisi non inflazionistiche.
Ribilanciare non è un’attività che richiede un dottorato all’MIT ma comunque un minimo di manutenzione il portafoglio lo richiede.
Aggiungiamo inoltre il fatto che in certi casi ribilanciare implica vendere quote di alcuni prodotti e comprarne altri, con conseguenti costi di transazione e tasse.
Non è che i costi di transazione Vanguard ve li regala e ricordate che non sono inclusi nel TER, però ovviamente il ribilanciamento fatto da Vanguard di un portafoglio di 13 ETF ha costi probabilmente inferiori che se dovessi farmelo io da solo.
Veniamo infine ai costi.
Il TER di questi prodotti è dello 0,25%.
Non tra i più bassi in effetti, ma neanche una roba tragica.
È vero che prendere ETF con costi di gestione inferiori allo 0,2% sarebbe meglio, ma stiamo davvero parlando di differenze marginali.
C’è un però sui costi.
Questi prodotti sono sicuramente ben fatti e niente da dire tutto quello che volete.
Ma la liquidità dei grandi ETF di cui parliamo sempre se la sognano.
E questa cosa ha un impatto sullo spread, ossia sulla differenza tra il prezzo di compravendita delle loro quote rispetto la prezzo di quotazione sul mercato.
Nel momento in cui sto registrando lo spread medio di un Lifestrategy 60 è di 0,8%; quello di un Lifestrategy 80 è addirittura 1,2%.
Non è pochissimo, soprattutto se pensate che quello dell’ETF sempre di Vanguard sull’S&P 500 è dello 0,2% e un ETF di IShares sull’MSCI World ha lo 0,09.
Questo è un dettaglio non da poco perché se faccio un PAC, cosa piuttosto tipica con questo genere di strumenti, ad ogni transazione devo mettere in conto uno spread dello 0,4 o 0,6% (circa la metà dello spread tra prezzo bid e ask).
Poi stiamo sempre parlando in media dello 0,5% su acquisti che magari sono nell’ordine di qualche centinaio di euro al mese.
Se uno fa un pac da 500 € al mese, lo 0,5% sono 2 euro e mezzo a transazione, che in un anno sono 30 €.
C’è di peggio nella vita.
Cmq sappiatelo.
Sempre a proposito di liquidità.
Una cosa che forse non ho mai spiegato nel corso di questo podcast è come vedere quanto è liquido un certo ETF.
Ogni borsa, quindi Borsa Italiana, Xetra, Gettex, Euronext o quella che volete vi dà i volumi degli scambi giornalieri per ogni asset quotato.
Se prendiamo Borsa Italiana, per esempio, un ETF come il Lifestrategy 60 scambia in media ultimamente circa mezzo milione di euro al giorno, per un totale di circa 10-12 milioni al mese.
SWDA, l’ETF di Ishares sull’MSCI World scambia in media 7-8 milioni al giorno e fa tranquillamente 150 milioni in un singolo mese.
Ora, che un ETF scambi mezzo milione al giorno va benissimo.
Anche scambiasse qualche centinaio di migliaia di euro sarebbe accettabile.
Però ci sono due cose da tenere in considerazione:
– Più un ETF è liquido, minore sarà generalmente lo spread a cui lo acquisterete o venderete; inoltre
– Inoltre più è liquido, maggiore sarà la facilità di liquidarne anche parti importanti il giorno che voleste rientrare in possesso del capitale.
Se oggi aveste 200.000 € da liquidare immediatamente perché, che ne so, volete comprare una casa, un conto è se quei 200.000 sono in un ETF che scambia 10 milioni in un giorno.
Si noterà che state muovendo grossi volumi, ma non avrete sicuramente difficoltà a portarvi a casa il cash.
Ecco magari non fate tutto in un giorno solo altrimenti finite per vendere anche ai prezzi più alti del book, fate piuttosto in qualche giorno.
Se però dovete liquidare 200.000 € investiti in un asset che ne scambia poco più del doppio ogni giorno, è chiaro che la cosa sarà sempre fattibile, ma con più difficoltà e a prezzi maggiori.
Per non parlare del fatto che se l’idea di liquidare vi viene in un momento in cui c’è tanta volatilità dovuta a qualche tensione sul mercato.
Prima di passare a Moneyfarm, vediamo qualche conclusione sui PRO e CONTRO dei Lifestrategy di Vanguard.
Tra i PRO annovererei:
– UNO: sono estremamente semplici e intuitivi. Uno sceglie quello che preferisce in base al proprio orizzonte temporale e alle proprie esigenze e investe in un portafoglio di buon senso e ben strutturato (anche se obiettivamente 60 e 80 mi sembrano gli unici davvero sensati, se uno ha bisogno di fare invece un 20/80, forse si trova in una particolare situazione in cui pure quel 20% di azionario lì mi chiedo a cosa serva. In un passato episodio avevamo parlato del cucchiaino di panna nella carbonara. Non si mette. Se sei in una situazione in cui ti puoi permettere al massimo il 20% di azioni, forse non dovresti investire in azioni punto).
– DUE: si ribilanciano da soli — e questo è sicuramente un grande vantaggio se uno vuole adottare un approccio “lazy” all’estremo e tenere lo stesso portafoglio a vita.
– TRE: si prestano molto bene ai PAC. Se voleste investire 200 € al mese in 13 ETF probabilmente sarà una cosa un po’ complicata da attuare. Qui invece questi 200 € al mese vanno in un comodissimo prodotto.
Veniamo ai contro:
– UNO: sono estremamente rigidi. Una volta che scegli il 60/40, il 60/40 ti tieni. Se nella vita cambiano le tue esigenze non puoi modificare l’asset allocation del portafoglio. Puoi solo vendere e comprare altro, oppure semplicemente comprare altro, se basta, per arrivare all’allocazione desiderata. Altre cose che non puoi fare direttamente con quel prodotto è cambiare la composizione geografica, inserire asset diversi da azioni e obbligazioni e via dicendo.
Allo stesso tempo sono vere due cose:
– La prima è che se uno si orienta su un prodotto di questo tipo, probabilmente non è nemmeno il tipo di investitore che vuole più di tanto mettere mano ai propri investimenti. Dirà, per esempio: “60/40 è un portafoglio con un rendimento atteso positivo nel lungo termine? Sicuramente sì e probabilmente un 5-6% al netto dei costi dovrei portarmelo a casa. Tanto basta per me”.
– La seconda è invece che nulla vieta di costruire il core del proprio portafoglio con questo e poi aggiungerci quel che vuole. Oro, altre materie prime, obbligazioni high-yield, REIT, fattoriali, settoriali e compagnia bella.
In realtà ci sarebbe un gioco di prestigio matematico per cambiare asset allocation con i Lifestrategy.
Se ho un 80/20 e ad un certo punto volessi un 60/40, mi basterebbe investire la stessa identica quota che ho investito nell’80/20 in un 40/60.
Fate i conti e provate anche altre combinazioni.
Certo, devo avere altrettanti soldi da investire, ma magari si può pianificare che, ad esempio, per i primi 10 anni investo solo in 80/20 e poi dal 11° inizio a investire solo in 40/60, così pian piano vado ad attenuare l’esposizione azionaria.
In pratica è un modo per creare in maniera artigianale ciò che Vanguard fa in automatico in America con i target date fund.
– Contro numero DUE: il giorno che voglio liquidare una parte perché mi servono soldi sul conto, qua c’è poco da fare. Si vende tutto in blocco in proporzione 60/40 (o quella che ho scelto). Ragionamenti tipo vendo le obbligazioni e non le azioni, oppure vendo gli emergenti e non gli sviluppati o qualunque altra decisione tattica che possa venirmi in mente qui non si può fare.
– Contro numero TRE: costi e liquidità, come abbiamo visto, non al livello di ciò che uno vorrebbe da un investimento standard in ETF, benché anche qui nulla di grave.
A domanda “se io investirei in questi prodotti”, la risposta — che ricordo è assolutamente irrilevante — è sicuramente più no che sì, anche perché mi precluderei tutto l’immenso divertimento che deriva dal cesellare il mio portafoglio esattamente come lo voglio.
Detto questo, una persona che non ascolterebbe nemmeno un minuto di questo podcast senza svenire dalla noia, why not?, per lei potrebbe essere un’idea solida.
Resto sempre convinto che prendere un ETF azionario globale e un ETF obbligazionario globale o Europeo non sia complesso come risolvere un cubo di Rubik bendato.
Se però proprio uno non vuole fare da sé, allora si prenda il Lifestrategy che più lo aggrada e tanti saluti.
Passiamo quindi alla seconda parte dell’episodio e vediamo come funziona il più celebre roboadvisor che c’è in Italia, che poi roboadvisor in senso stretto non è, ossia Moneyfarm.
Diciamo subito che il confronto è un po’ tirato per i capelli, perché i Lifestrategy sono degli ETF che compri attraverso un broker, mentre Moneyfarm, almeno nel suo servizio principale, offre una gestione patrimoniale basata sull’investimento in uno dei loro sette portafogli modello.
In realtà oggi sono più di 7, perché hanno anche le versioni ESG e i tematici, però stiamo sul core.
Come funziona?
Ancora più semplice forse dei Lifestrategy, immagino che ci sia da fare l’apertura di un conto attraverso il loro sito, si sceglie il portafoglio più adatto previa compilazione dei soliti moduli Mifid e si investe tramite cifre secche oppure attraverso piano d’accumulo.
Indubbio pregio di Moneyfarm è che investe prevalentemente in ETF.
I 7 portafogli modello hanno la stessa logica dei Lifestrategy, ossia offrono diverse asset allocation in base al profilo di rischio/rendimento che si vuole conseguire.
Andiamo dal portafoglio 1 che, ad oggi, è praticamente un 100% obbligazionario, al portafoglio 7 che invece è composto al 75% da azioni, mentre la parte che non è azioni è fatta da materie prime, REIT, bond high-yield, emergenti e giusto un 10% di obbligazioni investment grade, quindi in generale molto aggressivo.
La composizione dei portafogli comunque è pubblicata sul loro sito e se volete potete vedervi nel dettaglio quello che preferite.
Per esempio prendiamo il portafoglio numero 5, che forse è quello che più si avvicina al 60/40 come livello di rischio e rendimento atteso, anche se probabilmente è un po’ più spinto.
Qui abbiamo:
– 47% di azionario dei paesi sviluppati
– 7% di paesi emergenti
– 12% di obbligazioni high-yield e emergenti
– 25% di obbligazioni investment grade e infine
– 7% di materie prime e REIT e 2% di liquidità per i ribilanciamenti vari.
Sul sito è possibile fare un backtest e ci viene detto che questo portafoglio avrebbe reso, dal 2013 al 2023, il 64,8% in totale, equivalente al 5,2% all’anno.
Attenzione che, come scritto sul sito, quel 5,2% all’anno è al netto dei costi degli strumenti ma al lordo delle tasse e dei costi di gestione di Moneyfarm, che sono:
– 1% del patrimonio sotto i 20.000 €
– 0,75%, tra 20.000 e 200.000 €
– 0,5% tra 200.00 e 500.000 €
– 0,4% oltre i 500.000 €.
Se consideriamo la seconda fascia, che è quella in cui probabilmente cascherà dentro la maggior parte degli investitori, da quel 5,2% bisogna quindi detrarre 75 basis points e quindi andiamo intorno al 4,5% all’anno.
Ora, io ho fatto un backtest cercando di copiare quest’allocation usando banali ETF che replicano quelle asset class.
Ovviamente non so esattamente in cosa investa Moneyfarm, quindi sono andato un po’ a intuito basandomi sulle asset class dichiarate.
Sempre al netto dei costi di gestione, il rendimento annualizzato che è venuto fuori per un portafoglio fatto in quel modo nello stesso periodo di tempo è stato del 7% esatto. Quindi c’è un gap importante di quasi 2 punti percentuali di rendimento ogni anno in media.
È invece nettamente più simile il risultato del portafoglio 7, fatto al 75% da azioni, che avrebbe fatto nello stesso periodo l’8,2% contro l’8,5% di un analogo portafoglio di ETF.
Tra i vari motivi che possono aver portato alla sottoperformance del portafoglio 5 rispetto ad un analogo portafoglio di ETF, che invece è stata nettamente più contenuta nel portafoglio 7, ne immagino almeno 2:
– Il Primo è che mentre il portafoglio 7 sembra aver seguito più fedelmente il market cap, con un’importante esposizione agli Stati Uniti, come noto l’unico vero market mover che conta degli ultimi 15 anni, il portafoglio 5 sembra averli un po’ sottopesati, attribuendo al contrario una sovraesposizione sui mercati dell’Eurozona, che non hanno certamente avuto un decennio d’oro.
Non è semplicissimo capire l’esatta allocazione geografica, perché sul sito è indicata quella complessiva, comprensiva della parte obbligazionaria, e inoltre l’esposizione di oggi non è detto che fosse quella scelta da Moneyfarm nel 2013.
Però il portafoglio 7 assegna agli Stati Uniti il 58% e solo il 13% all’Eurozona.
Il fatto che il portafoglio 5 assegni invece rispettivamente il 50% e il 21% è ciò che mi fa pensare quanto appena detto.
– Il secondo motivo è che il portafoglio 7 ha fatto tanto quanto un portafoglio di ETF perché, oltre ad aver seguito in larga parte l’esposizione del mercato agli Stati Uniti, è venuta meno la componente, diciamo così, di gestione attiva. Il 5 invece, che sembra aver preso decisioni diverse da una pura replica dei Market cap, ha sottoperformato nettamente.
Moneyfarm da una parte ha un modello di gestione fondamentalmente passiva degli investimenti, dato che molto saggiamente utilizza molti ETF per la sua offerta — e in questo bisogna dire che è stata un pioniere in Italia.
Allo stesso tempo cerca però un approccio di natura attiva, con frequenti ribilanciamenti e con una visione più tipica da società di asset management, che imposta i portafogli in funzione degli scenari più probabili che il suo comitato di investimento arriva a formulare.
Leggendo il white paper sul loro sito che definisce l’approccio d’investimento si evince che due componenti guidano le decisioni sui portafogli.
– Quella strategica segue più o meno alla lettera Harry Markowitz e William Sharpe, quindi Model Portfolio Theory, CAPM, frontiera efficiente, tutto beta e niente alfa e via.
– Quella tattica invece è decisamente più attiva.
Salto tutto l’ambaradan sui 4 pilastri su cui si basano ma la cosa che più mi ha colpito è che in media il portafoglio è sottoposto ad un 50% di turnover annuo, che diventa 100% considerando acquisti e vendite.
Turnover 100% significa che ogni anno il portafoglio viene rivoltato come un calzino da cima a fondo.
Sicuramente gli interventi saranno mirati ad ottimizzare costi e a massimizzare l’efficienza del portafoglio ma se in un anno cambi il 100% dei suoi componenti, beh, proprio tutto il discorso dell’investimento passivo viene un po’ meno.
Anche qui non ho modo per dar risposte definitive sul perché Moneyfarm investa così, generando di fatto una sottoperformance rispetto a prendere una manciata di ETF e starsene ferma — e non è un caso che il portafoglio più vicino alle performance reali sia il 7, fortemente azionario e più vicino ad una logica market cap weighted (che comunque dal dicembre 2011 ad oggi si è preso quasi 1 punto percentuale di sottorendimento rispetto ad un banale portafoglio fatto solo con 75% di azioni e 25% di obbligazioni governative, senza materie prime, oro, reit, high yield e altre pizzi e merletti).
Anzi, se qualcuno di Moneyfarm mi seguisse, siete i benvenuti se volete venire a spiegare qui a The Bull la vostra filosofia di investimento.
Comunque, le mie ipotesi sono queste:
– La prima è che, come scritto nel White paper, l’obiettivo principale di Moneyfarm non è massimizzare il rendimento ma tutelare il capitale e il potere di acquisto degli investitori.
Tradotto: fare portafogli che tutto sommato abbiano dei rendimenti accettabili e cerchino di comprimere il rischio per l’investitore.
Per gli ingegneri e gli statistici all’ascolto: l’idea è tagliare le code della distribuzione normale dei rendimenti, almeno in teoria.
Nell’ultimo ribilanciamento che hanno fatto ad esempio hanno dichiarato di aver sottopesato un po’ gli Stati Uniti per i soliti motivi, valutazioni care, CAPE ratio bla bla bla e di aver aumentato Europa e Giappone per i motivi opposti.
Inoltre, hanno aumentato un po’ di gli High Yield. Loro dicono perché sono un’asset class attraente, altri in realtà sostengono proprio il contrario, ossia che dato che il credit spread tra high yield e investment grade è praticamente ai minimi storici, investire in high yield ora lascia quanto meno dei dubbi concettuali.
Comunque in generale l’idea è di provare a compattare il rischio sistematico. Tolgo un po’ di Stati Uniti che sono cresciuti tantissimo, aggiungo mercati sviluppati che hanno valutazioni più basse, prendo high-yield per portare a casa un po’ di rendimento extra rispetto a quello obbligazionario ma con un rischio minore rispetto all’azionario.
Comprensibilmente, è più probabile che un loro cliente li lasci durante un severo drawdown (e tra l’altro sbaglierebbe) che per il fatto che Moneyfarm poteva fare il 7% e invece ha fatto il 5,2%.
Figuriamoci se il cliente medio si mette a fare i backtest e quello che abbiamo fatto qui oggi.
Quindi proteggere il capitale dei clienti e farglielo aumentare è probabilmente la prima missione di Moneyfarm, anche a costo di perdere rendimento per strada.
– La seconda ipotesi è legata a questa, cioè che sia più un fatto commerciale che non finanziario.
Ribilanciare, formulare delle vision e impostare i portafogli di conseguenza, comunque fare cose in generale dà la sensazione che le commissioni che il cliente paga siano ben spese per avvalersi di un team di persone competenti.
E che quelli di Moneyfarm lo siano, è assolutamente fuori discussione.
Che poi tutto ciò porti valore aggiunto, beh, questo è tutt’altro che scontato e saranno magari i ragazzi di Moneyfarm a raccontarcelo qui.
Comunque oh vi immaginate che uno lancia una piattaforma, la chiama, che ne so, dico un nome a caso: Moneybull e offre 7 portafogli fatti ciascuno al massimo da 4 o 5 ETF, 7 asset allocation da molto conservativa a molto aggressiva, uno sceglie quella che pù gli piace, io gli investo i soldi lì dentro, il cliente mi paghi una commissione annua dello 0,75% e poi io non faccio più assolutamente un cazzo di niente?
Il cliente medio direbbe: Ma scusa cosa ti pago a fare allora?
Risposta: Mi paghi per non fare niente!
Tu caro cliente preferiresti pagarmi per non fare niente, quindi non ribilanciare il 100% del portafoglio ogni anno, non prendere decisioni attive, copiare il mercato e basta e farti avere un rendimento mediamente superiore OPPURE preferiresti pagarmi per fare cose che tanto nemmeno capisci e farti ottenere un rendimento inferiore?
Per quanto assurda questa cosa possa sembrare, probabilmente il 99% dei clienti preferirebbe pagare per ottenere meno performance, ma sapendo che c’è qualcuno dietro che gli muove i fondi a destra e a sinistra.
L’idea di pagare e non vedere dall’altra parte qualcuno che lavora, eh lo so, è difficile da digerire.
Moneybull non avrebbe successo perché nessuno vuole pagare gente pigra che con i soldi dei clienti non fa niente dalla mattina alla sera.
A proposito di performance e costi di gestione, veniamo qui al punto più dolente di Moneyfarm.
Premessa.
Piuttosto che investire con una banca, Moneyfarm (o altre soluzioni di questo tipo) tutta la vita eh, sia chiaro!
0,75% di costi di gestione, che diventano 0,4% sopra il mezzo milione, in banca li vedete con il binocolo.
Presentatevi con mezzo milione ad un consulente finanziario e magicamente puff! cominciano a saltar fuori come funghi entry fee, management fee, fondi con TER al 2,5% se non di più e altra roba strana.
Qui se non altro, 0,5-0,75% all’anno, più giustamente i costi di gestione degli ETF e gli spread che più o meno paghereste anche investendo singolarmente, stiamo parlando di una commissione onesta.
Sono d’accordo che meno di così, sarebbe proprio difficile tenere in piedi la baracca.
Il problema però, e non è un problema di Moneyfarm ma un problema legato all’efficienza dei mercati, è che impossibile sovraperformare il mercato a lungo termine abbastanza da poter sovracompensare anche solo uno 0,5% di fee + 0,28% tra TER dei fondi e spread.
Il risparmiatore medio che ha meno di 200 mila euro deve mettere in conto:
– 0,75% di fee;
– 0,28% di costi
– Totale: praticamente 1% di deficit ogni anno rispetto al mercato.
Aggiungi che, come visto nei backtest, è più probabile che il portafoglio di Moneyfarm sottoperformi per motivazioni legate alle decisioni attive, è inevitabile che il tuo rendimento sarà un po’ zoppo per effetto di tutte queste cose.
E poi c’è un altro fatto, come già visto in passato.
Moneyfarm è un servizio di gestione patrimoniale, pertanto le tasse vanno pagate ogni anno e vengono quindi trattenute dal patrimonio investito.
Qui la gestione patrimoniale ha pro e contro:
– Il pro è che consente di compensare plusvalenze e minusvalenze, cosa che io autonomamente non posso fare tra ETF, ma ho bisogno di ETC, azioni o obbligazioni singole, certificati o altra roba.
Che può essere anche un altro dei motivi per cui Moneyfarm ribilancia così spesso.
– Il contro — e non è un contro da poco — è che se ogni anno viene sottratto dal valore del capitale investito un importo equivalente alla tassazione sul capital gain non realizzato, questa è una discreta mazzata sul rendimento composto.
Facciamo un esempio semplice.
Se prendo i rendimenti dell’ultimo decennio dell’MSCI World, sappiamo che ha fruttato quasi un 9% all’anno, tali che 10.000 € nel 2014 a fine 2023 sarebbero diventati circa 23.000.
Se a quel punto decido di disinvestire tutto, pagherò il 26% sulla differenza tra 23.000 e 10.000, che è appunto il mio capital gain.
Il mio risultato al netto delle tasse sarà circa 19.640 €.
Se però avessi dovuto pagare le tasse ogni anno, a parità di rendimento, il mio risultato finale al netto delle tasse sarebbe poco più di 19.000 €.
Quindi circa 640 € si sarebbero volatilizzati solo per una questione di diversa gestione fiscale.
E ben di più sarebbe con importi più corposi e su più lunghi periodi di tempo.
Certo, questa simulazione non tiene conto di possibili effetti benefici derivanti dalle compensazioni fiscali, ma dal punto di vista matematico è noto che differire il più possibile il pagamento delle tasse ha un effetto netto positivo sul rendimento di un investimento che cresce a capitalizzazione composta.
Anche per Moneyfarm, come abbiamo fatto per Vanguard, PRO e CONTRO.
– Il grande PRO è, che ancora di più che con i Lifestrategy, qui davvero zero sbattimenti, zero pensieri, zero di tutto. Non devi neanche aprire un conto con un broker. Set it and forget it e il team di Moneyfarm si occupa a vita del tuo portafoglio.
L’unica cosa che devi fare è dirgli di cambiare il portafoglio se decidi di modificare il tuo profilo di rischio.
Per il resto puoi anche dimenticartene.
Un altro PRO, forse, è che Moneyfarm cercherà sempre di minimizzare i drawdown, ossia di ridurre gli eventi estremi negativi del tuo portafoglio.
– Il grande CONTRO sono i costi e i rendimenti.
Il rendimento atteso di un Lifestrategy 60/40 sarà con ogni probabilità superiore a quello di un portafoglio di Moneyfarm con un profilo di rischio e rendimento paragonabile.
Perché per quanto bravi saranno a cercare di ottimizzarlo al meglio, costi, tasse ed effetti collaterali della gestione attiva, che chiameremo sindrome di Markowitz-Sharpe-Fama-French, si mangeranno via ogni anno una bella fetta del rendimento.
Conclusione.
Per gli investitori più pigri della Terra che non se la sentono di metterci la testa e farsi un portafoglio per gli affari propri cosa consiglierei?
– Se un minimo te la senti di fare da solo, direi i Lifestrategy, che fai sempre in tempo poi a liquidare, integrare o semplicemente tenerli finché vuoi.
– Se invece la sola idea di gestirti da solo i soldi ti fa impazzire e temi di fare una cagata dietro l’altra e perdere tutto, allora che ti devo dire amico mio o amica mia, usa un roboadvisor come Moneyfarm e non ci pensi più.
Oh, nulla vieta di fare anche metà e metà eh?
O di mixare tutto e fare un po’ di Lifestrategy, un po’ di Moneyfarm e un po’ di quello che vi pare, con quest’ultima che spesso risulterà la strategia di asset allocation vincente.
Bene! care amiche e cari amici di questo podcast, eccoci giunti alla fine di questo centodiciottesimo appuntamento bisettimanale all’interno della nostra lunghissima sessione di psicoterapia volta a curare le vostre ansie da investimento autonomo e ossessione verso le soluzioni preimpacchettate.
Cosa vi dovreste portare a casa da questa chiacchierata:
– Allora, chi si è sparato 118 episodi di The Bull e, ciò nonostante, ancora non se la sente, può partire con queste soluzioni, che sicuramente sono molto meglio che lasciare i soldi sul conto o peggio ancora affidarli a qualche consulente di una banca armato di buonissime intenzioni ma cattivissimi fondi comuni d’investimento.
– Chi invece già si era creato un portafoglio per i fatti propri può comunque andare a guardarsi queste soluzioni perché, come dicevo all’inizio, conoscere le cose è fondamentale prima di prendere decisioni. Quindi il fatto che non siano strumenti che IO metterei nel mio portafoglio, non implica affatto che abbia ragione o che non possa essere un’idea vincente inserirli nella vostra pianificazione finanziaria in generale.
Inoltre andare a vedere come Vanguard o Moneyfarm costruiscono i loro portafogli e cosa ci mettono dentro può essere comunque un utile esercizio per fare un confronto con il modo in cui voi state costruendo il vostro.
E comunque sta puntata me l’avete chiesta voi a gran voce, quindi non sia mai che non dia peso alle richieste di questa straordinaria community che, ridendo e scherzando, annovera ormai oltre 170.000 persone che almeno una volta nella loro vita hanno deciso che il loro tempo valeva l’ascolto delle mie parole.
Grazie
come sempre
soprattutto
a ciascuno di voi.
Il vero motivo per cui The Bull esiste.
Per continuare a farlo esistere anche in futuro invece, invito chi non l’avesse ancora fatto e mi chiedo cosa state aspettando a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi spiegano come districarvi tra un lifestrategy e un roboadvisor cercano di convincervi che pagare dei soldi per vedere qualcuno che fa cose per generare rendimenti peggiori non è meglio che pagare per vedere qualcuno che non fa niente ma porta rendimenti migliori sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con il tradizionale appuntamento di fine mese con il recap dei mercati di Giugno, un altro mese che ha riservato grandi sorprese, Inflazione che va giù, Nvidia che per un attimo è stata la società più grande del mondo e poi ha perso quasi mezzo miliardo in tre giorni, le elezioni europee che hanno sconquassato l’azionario di casa nostra e tanto altro ancora sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Non ve l’aspettavate questo episodio lo so, avevo resistito centodiciassette episodi prima di parlarne, nonostante le ventordici milia richieste che mi sono arrivate ma niente, alla fine ho dovuto desistere.
Eh sì perché una buona fetta di voi almeno una volta mi ha chiesto cosa ne pensi dei Vanguard Lifestrategy, le soluzioni di Vanguard preimpacchettate che vi danno in un colpo solo un bel mix di ETF azionari e obbligazionari, voi scegliete uno delle 4 allocation che vanno da 20% azionario a 80% azionario e da lì in poi potete anche non pensare mai più una sola volta nella vostra vita al portafoglio.
In teoria.
Nell’episodio di oggi cerchiamo di capire se anche in pratica le cose stanno così.
Appunto, siccome me l’avete chiesto veramente in tanti, al millesimo messaggio mi sono chiesto: “ma sarà mica che sta cosa interessa davvero?”.
Va beh, parliamone allora!
Tra l’altro uno di voi di recente mi ha fatto una domanda del tipo “ma è meglio un Vanguard Life Strategy o Moneyfarm?”.
Lì per lì ho pensato: “che c’entra? Uno è di fatto è un ETF, l’altro è una società che si occupa di gestione patrimoniale attraverso una piattaforma che automatizza il processo di investimento”, sono due cose molto diverse tra loro, no?
Però poi in effetti, ripensandoci, sono sì due cose diverse ma rispondono probabilmente alla medesima esigenza, quella di avere un prodotto semplice — one fits all — dove un investitore sceglie più o meno cosa vuole, imposta la regola automatica e poi non deve fare più assolutamente niente.
Nello scorso episodio abbiamo parlato a lungo di ribilanciamento e nonostante abbia cercato di dirvi in tutte le salse “ah ragà, keep calm. Il ribilanciamento non è un’operazione di trapianto di cuore e comunque non è nemmeno così fondamentale”, sono certo che molti vanno in sbattimento proprio all’idea ogni tot di dover prendere decisioni per il proprio portafoglio.
Effettivamente, i Lifestrategy e le soluzioni impropriamente chiamate di Roboadvisory come Moneyfarm, possono essere un’alternativa.
Come potete immaginare non sono esattamente il tipo di strumento che uso per investire ma comprendo che chi non condivide il mio stesso fanatismo per le tematiche che tratto in questo podcast, avere una soluzione semplice e relativamente “sicura” per investire, possa essere un’opzione da non sottovalutare.
Per “sicura” intendo il fatto che, come vedremo, con entrambe le soluzioni uno si affida a persone indubitabilmente esperte che gestiranno sicuramente al meglio i suoi investimenti senza fare cazzate.
Che poi sia anche la cosa migliore, beh, vedremo…
A scanso di equivoci, questo non è un contenuto sponsorizzato, quindi non sto promuovendo alcuna soluzione d’investimento, il contenuto di questo episodio è puramente descrittivo e riflette unicamente la mia inutilissima opinione.
Vi invito a prestare 100% di attenzione ai fatti oggettivi di cui vi parlerò oggi e 0% alle opinioni soggettive del sottoscritto che trapeleranno, che chiaramente non valgono una beata fava.
Partiamo dalla descrizione di questi due prodotti e cominciamo con i Lifestrategy.
Da pochi anni Vanguard ha lanciato in Europa questa linea di 4 prodotti che in qualche modo dovrebbero essere la soluzione definitiva per investire a lunghissimo termine, idealmente per tutta la vita, senza doversi curare dei propri investimenti perché questi verrebbero automaticamente ribilanciati da Vanguard e uno non deve fare altro che metterci in soldi.
I 4 prodotti, come noto, sono:
– Lifestrategy 20%
– Lifestrategy 40%
– Lifestrategy 60% e colpo di scena:
– Lifestrategy 80%
dove la percentuale si riferisce alla quantità di azioni nel portafoglio, mentre chiaramente la parte restante sono obbligazioni.
Come da tradizione di Vanguard, che tra tutte le società che fanno ETF è rimasta la più pura e ferma sui principi fondamentali del suo fondatore John Bogle, solo azioni e obbligazioni: niente materie prime, niente high-yield, niente real estate.
Non è un caso, tra l’altro, che per via della sua posizione ortodossa Vanguard sia rimasta l’unica grande casa a non lanciarsi nella corsa agli ETF su Bitcoin, ritenendo che Bitcoin non sia uno strumento adatto a fare gli interessi dei risparmiatori americani.
Per loro solo azioni e obbligazioni, come sua eminenza John Bogle avrebbe voluto.
Semplice come Pane e Nutella.
Ora, io non compro un vasetto di Nutella probabilmente dal ’97, però diciamoci la verità: come puoi migliorare Pane e Nutella? Certe cose sono fatte per essere perfette così.
Se qualcuno vuole investire nei Vanguard Lifestrategy in pratica deve solo scegliere la quantità di Nutella da mettere sul pane, che fuor di metafora significa quante azioni e quante obbligazioni, ossia il portafoglio che meglio riflette il suo profilo di rischio/rendimento come investitore.
Non c’è bisogno che puntualizzi più di tanto che il Lifestrategy 80% sarà il prodotto con il maggior expected return, ossia con il rendimento atteso più alto e allo stesso tempo con la maggiore volatilità, quindi il maggior rischio in termini finanziari.
All’estremo opposto abbiamo invece il prodotto per cagasot… cioè volevo dire per investitori conservativi, con minor rendimento atteso e teoricamente maggiore stabilità.
Ironia della sorte questi prodotti sono stati lanciati in Italia nel gennaio del 2021 e chi avesse investito nel lifestrategy 80 non sarebbe mai andato in negativo neanche per un minuto e oggi si sarebbe portato a casa un onesto +37%, equivalente a circa 9,4% all’anno, abbastanza in linea con un 80/20 fatto con un etf azionario globale e un etf obbligazionario governativo globale.
Chi invece, per non correre rischi — detto giusto con una punta di ironia — avesse scelto il 20/80, oggi sarebbe ancora sotto del 5% e ci sarebbe stato un momento, dal picco del 2021 al baratro di ottobre 22, in cui avrebbe fatto anche -20%.
Questi prodotti sono sicuri e gestiti da gente competente.
Non ci sono dubbi.
Ma se gli dite di investire l’80% in obbligazioni in un momento in cui i tassi di interesse sono a zero, cosa vi aspettate?
Quelli di Vanguard sono competenti, mica fanno i miracoli.
Applicando la formula di The Bull 125 — bla bla bla solo un venerando investitore nato negli anni ’20 del 900 avrebbe potuto pensare di mettere l’80% di obbligazioni in portafoglio nel 2021.
Il quarantenne medio del 2021 invece avrebbe probabilmente trovato molto più sensato un 80/20 (o al limite un 60/40, se trattasi di quarantenne medio timoroso).
Comunque, nel caso non l’avessimo mai detto ma ho come il sospetto di averlo fatto, le obbligazioni sono strumenti mediamente sicuri “tranne” quando i tassi di interesse sono molto bassi e si viene da un ciclo di ribasso da parte delle banche centrali.
In quel caso metti pure la mano sul fuoco che prima o poi l’inflazione riparte, i tassi salgono e le tue obbligazioni sprofondano sotto terra.
Ridetta questa cosa per l’ennesima volta in questo podcast, vediamo come è composto un Lifestrategy e, in onore del più famoso portafoglio della storia dell’umanità tutta, prendiamo a modello il 60/40, che potrebbe essere il ragionevole pacchetto che oggi potrei comprare io, inesperto neoinvestitore di 38 anni che non so un tubo di niente di come si fa ad investire ma ho sentito un tizio che fa podcast che dice che investire in ETF potrebbe essere una saggia idea.
125 meno 38 meno 26 (un’approssimazione dei Fed Funds Rate moltiplicato per 5), fa 61% azioni e 39% obbligazioni.
Diciamo 60/40, che faccio? lascio?
Lasciamo.
I Lifestrategy sono ETF di ETF, ossia ETF che hanno come sottostanti altri ETF, tutti di Vanguard, che a loro volta hanno come sottostanti azioni e obbligazioni globali, tutti a replica fisica.
Vediamo come è composto il 60/40, poi gli altri sono tutti piuttosto simili, cambiano invece i pesi delle componenti azionarie e obbligazionarie.
In ordine di peso abbiamo, sulla parte azionaria:
– FTSE Developed World 19%
– FTSE All World, sempre 19%
– FTSE North America 13%
– FTSE Emerging Markets 3,8%
– FTSE Developed Europe 3,2%
– E un altro 2% tra FTSE Japan e Asia Pacific ex Japan
Come avrete notato Vanguard usa gli indici del Financial Times Stock Exchenge, FTSE per gli amici, e non quelli di MSCI usati dagli arcinemici di Ishares.
Il 40% obbligazionario è invece fatto da:
– Global Aggregate Bond con copertura in euro, 19%
– Treasury sempre con copertura in euro, 7,3%
– Corporate bond americani con copertura in euro, 5,3%
– Bond governativi dell’Eurozona, 5,2%
– Bond corporate europei 1,8%
– E infine una puntina di Gilts, che sono i BTP inglese, 0,7%.
Se la somma non fa esattamente 40 è perché ho arrotondato un po’.
13 ETF in totale.
La prima domanda che uno si potrebbe porre è: “ma sono davvero necessari 13 ETF per fare un 60/40?”
Allora ho fatto un backtest da quando esistono in Italia confrontandoli con un portafoglio fatto con la stessa allocation usando solo il FTSE All World, quindi tutto l’azionario globale compresi gli emergenti, e un ETF sul Bloomberg global Aggregate Bonds.
I risultati, dal loro lancio ad oggi sono stati:
– Lifestrategy 4,78% all’anno;
– 60/40 fatto in casa, 4,74% all’anno.
Praticamente la stessa identica cosa.
C’è da dire che i Lifestrategy hanno una volatilità leggermente inferiore e quindi, avendo fondamentalmente lo stesso rendimento, hanno un Sharpe Ratio migliore.
Nel lungo termine si può pensare che i Lifestrategy, essendo maggiormente diversificati, dovrebbero avere un rendimento atteso assolutamente in linea con un 60/40 fatto allo stesso modo, ma con drawdown un po’ più contenuti.
Ovviamente anche la composizione geografica ricalca abbastanza fedelmente quella di un indice azionario globale con il 58% agli Stati Uniti e via via le solite briciole a Giappone, Cina, Regno Unito, Svizzera, Francia e così via.
Se guardate il prospetto e vedete percentuali diverse è perché chiaramente si riferiscono all’intero portafoglio che contiene anche la parte obbligazionaria, con proporzioni piuttosto simili.
La cosa importante dei Lifestrategy — e forse il loro tratto distintivo principale — è che vengono ribilanciati automaticamente.
Come spiegavamo nell’episodio scorso, qualunque allocazione scegli per il tuo portafoglio questa si modificherà nel tempo per una serie di motivi, dal drift verso l’azionario durante le fasi di crescita alla contrazione della parte azionaria durante le crisi non inflazionistiche.
Ribilanciare non è un’attività che richiede un dottorato all’MIT ma comunque un minimo di manutenzione il portafoglio lo richiede.
Aggiungiamo inoltre il fatto che in certi casi ribilanciare implica vendere quote di alcuni prodotti e comprarne altri, con conseguenti costi di transazione e tasse.
Non è che i costi di transazione Vanguard ve li regala e ricordate che non sono inclusi nel TER, però ovviamente il ribilanciamento fatto da Vanguard di un portafoglio di 13 ETF ha costi probabilmente inferiori che se dovessi farmelo io da solo.
Veniamo infine ai costi.
Il TER di questi prodotti è dello 0,25%.
Non tra i più bassi in effetti, ma neanche una roba tragica.
È vero che prendere ETF con costi di gestione inferiori allo 0,2% sarebbe meglio, ma stiamo davvero parlando di differenze marginali.
C’è un però sui costi.
Questi prodotti sono sicuramente ben fatti e niente da dire tutto quello che volete.
Ma la liquidità dei grandi ETF di cui parliamo sempre se la sognano.
E questa cosa ha un impatto sullo spread, ossia sulla differenza tra il prezzo di compravendita delle loro quote rispetto la prezzo di quotazione sul mercato.
Nel momento in cui sto registrando lo spread medio di un Lifestrategy 60 è di 0,8%; quello di un Lifestrategy 80 è addirittura 1,2%.
Non è pochissimo, soprattutto se pensate che quello dell’ETF sempre di Vanguard sull’S&P 500 è dello 0,2% e un ETF di IShares sull’MSCI World ha lo 0,09.
Questo è un dettaglio non da poco perché se faccio un PAC, cosa piuttosto tipica con questo genere di strumenti, ad ogni transazione devo mettere in conto uno spread dello 0,4 o 0,6% (circa la metà dello spread tra prezzo bid e ask).
Poi stiamo sempre parlando in media dello 0,5% su acquisti che magari sono nell’ordine di qualche centinaio di euro al mese.
Se uno fa un pac da 500 € al mese, lo 0,5% sono 2 euro e mezzo a transazione, che in un anno sono 30 €.
C’è di peggio nella vita.
Cmq sappiatelo.
Sempre a proposito di liquidità.
Una cosa che forse non ho mai spiegato nel corso di questo podcast è come vedere quanto è liquido un certo ETF.
Ogni borsa, quindi Borsa Italiana, Xetra, Gettex, Euronext o quella che volete vi dà i volumi degli scambi giornalieri per ogni asset quotato.
Se prendiamo Borsa Italiana, per esempio, un ETF come il Lifestrategy 60 scambia in media ultimamente circa mezzo milione di euro al giorno, per un totale di circa 10-12 milioni al mese.
SWDA, l’ETF di Ishares sull’MSCI World scambia in media 7-8 milioni al giorno e fa tranquillamente 150 milioni in un singolo mese.
Ora, che un ETF scambi mezzo milione al giorno va benissimo.
Anche scambiasse qualche centinaio di migliaia di euro sarebbe accettabile.
Però ci sono due cose da tenere in considerazione:
– Più un ETF è liquido, minore sarà generalmente lo spread a cui lo acquisterete o venderete; inoltre
– Inoltre più è liquido, maggiore sarà la facilità di liquidarne anche parti importanti il giorno che voleste rientrare in possesso del capitale.
Se oggi aveste 200.000 € da liquidare immediatamente perché, che ne so, volete comprare una casa, un conto è se quei 200.000 sono in un ETF che scambia 10 milioni in un giorno.
Si noterà che state muovendo grossi volumi, ma non avrete sicuramente difficoltà a portarvi a casa il cash.
Ecco magari non fate tutto in un giorno solo altrimenti finite per vendere anche ai prezzi più alti del book, fate piuttosto in qualche giorno.
Se però dovete liquidare 200.000 € investiti in un asset che ne scambia poco più del doppio ogni giorno, è chiaro che la cosa sarà sempre fattibile, ma con più difficoltà e a prezzi maggiori.
Per non parlare del fatto che se l’idea di liquidare vi viene in un momento in cui c’è tanta volatilità dovuta a qualche tensione sul mercato.
Prima di passare a Moneyfarm, vediamo qualche conclusione sui PRO e CONTRO dei Lifestrategy di Vanguard.
Tra i PRO annovererei:
– UNO: sono estremamente semplici e intuitivi. Uno sceglie quello che preferisce in base al proprio orizzonte temporale e alle proprie esigenze e investe in un portafoglio di buon senso e ben strutturato (anche se obiettivamente 60 e 80 mi sembrano gli unici davvero sensati, se uno ha bisogno di fare invece un 20/80, forse si trova in una particolare situazione in cui pure quel 20% di azionario lì mi chiedo a cosa serva. In un passato episodio avevamo parlato del cucchiaino di panna nella carbonara. Non si mette. Se sei in una situazione in cui ti puoi permettere al massimo il 20% di azioni, forse non dovresti investire in azioni punto).
– DUE: si ribilanciano da soli — e questo è sicuramente un grande vantaggio se uno vuole adottare un approccio “lazy” all’estremo e tenere lo stesso portafoglio a vita.
– TRE: si prestano molto bene ai PAC. Se voleste investire 200 € al mese in 13 ETF probabilmente sarà una cosa un po’ complicata da attuare. Qui invece questi 200 € al mese vanno in un comodissimo prodotto.
Veniamo ai contro:
– UNO: sono estremamente rigidi. Una volta che scegli il 60/40, il 60/40 ti tieni. Se nella vita cambiano le tue esigenze non puoi modificare l’asset allocation del portafoglio. Puoi solo vendere e comprare altro, oppure semplicemente comprare altro, se basta, per arrivare all’allocazione desiderata. Altre cose che non puoi fare direttamente con quel prodotto è cambiare la composizione geografica, inserire asset diversi da azioni e obbligazioni e via dicendo.
Allo stesso tempo sono vere due cose:
– La prima è che se uno si orienta su un prodotto di questo tipo, probabilmente non è nemmeno il tipo di investitore che vuole più di tanto mettere mano ai propri investimenti. Dirà, per esempio: “60/40 è un portafoglio con un rendimento atteso positivo nel lungo termine? Sicuramente sì e probabilmente un 5-6% al netto dei costi dovrei portarmelo a casa. Tanto basta per me”.
– La seconda è invece che nulla vieta di costruire il core del proprio portafoglio con questo e poi aggiungerci quel che vuole. Oro, altre materie prime, obbligazioni high-yield, REIT, fattoriali, settoriali e compagnia bella.
In realtà ci sarebbe un gioco di prestigio matematico per cambiare asset allocation con i Lifestrategy.
Se ho un 80/20 e ad un certo punto volessi un 60/40, mi basterebbe investire la stessa identica quota che ho investito nell’80/20 in un 40/60.
Fate i conti e provate anche altre combinazioni.
Certo, devo avere altrettanti soldi da investire, ma magari si può pianificare che, ad esempio, per i primi 10 anni investo solo in 80/20 e poi dal 11° inizio a investire solo in 40/60, così pian piano vado ad attenuare l’esposizione azionaria.
In pratica è un modo per creare in maniera artigianale ciò che Vanguard fa in automatico in America con i target date fund.
– Contro numero DUE: il giorno che voglio liquidare una parte perché mi servono soldi sul conto, qua c’è poco da fare. Si vende tutto in blocco in proporzione 60/40 (o quella che ho scelto). Ragionamenti tipo vendo le obbligazioni e non le azioni, oppure vendo gli emergenti e non gli sviluppati o qualunque altra decisione tattica che possa venirmi in mente qui non si può fare.
– Contro numero TRE: costi e liquidità, come abbiamo visto, non al livello di ciò che uno vorrebbe da un investimento standard in ETF, benché anche qui nulla di grave.
A domanda “se io investirei in questi prodotti”, la risposta — che ricordo è assolutamente irrilevante — è sicuramente più no che sì, anche perché mi precluderei tutto l’immenso divertimento che deriva dal cesellare il mio portafoglio esattamente come lo voglio.
Detto questo, una persona che non ascolterebbe nemmeno un minuto di questo podcast senza svenire dalla noia, why not?, per lei potrebbe essere un’idea solida.
Resto sempre convinto che prendere un ETF azionario globale e un ETF obbligazionario globale o Europeo non sia complesso come risolvere un cubo di Rubik bendato.
Se però proprio uno non vuole fare da sé, allora si prenda il Lifestrategy che più lo aggrada e tanti saluti.
Passiamo quindi alla seconda parte dell’episodio e vediamo come funziona il più celebre roboadvisor che c’è in Italia, che poi roboadvisor in senso stretto non è, ossia Moneyfarm.
Diciamo subito che il confronto è un po’ tirato per i capelli, perché i Lifestrategy sono degli ETF che compri attraverso un broker, mentre Moneyfarm, almeno nel suo servizio principale, offre una gestione patrimoniale basata sull’investimento in uno dei loro sette portafogli modello.
In realtà oggi sono più di 7, perché hanno anche le versioni ESG e i tematici, però stiamo sul core.
Come funziona?
Ancora più semplice forse dei Lifestrategy, immagino che ci sia da fare l’apertura di un conto attraverso il loro sito, si sceglie il portafoglio più adatto previa compilazione dei soliti moduli Mifid e si investe tramite cifre secche oppure attraverso piano d’accumulo.
Indubbio pregio di Moneyfarm è che investe prevalentemente in ETF.
I 7 portafogli modello hanno la stessa logica dei Lifestrategy, ossia offrono diverse asset allocation in base al profilo di rischio/rendimento che si vuole conseguire.
Andiamo dal portafoglio 1 che, ad oggi, è praticamente un 100% obbligazionario, al portafoglio 7 che invece è composto al 75% da azioni, mentre la parte che non è azioni è fatta da materie prime, REIT, bond high-yield, emergenti e giusto un 10% di obbligazioni investment grade, quindi in generale molto aggressivo.
La composizione dei portafogli comunque è pubblicata sul loro sito e se volete potete vedervi nel dettaglio quello che preferite.
Per esempio prendiamo il portafoglio numero 5, che forse è quello che più si avvicina al 60/40 come livello di rischio e rendimento atteso, anche se probabilmente è un po’ più spinto.
Qui abbiamo:
– 47% di azionario dei paesi sviluppati
– 7% di paesi emergenti
– 12% di obbligazioni high-yield e emergenti
– 25% di obbligazioni investment grade e infine
– 7% di materie prime e REIT e 2% di liquidità per i ribilanciamenti vari.
Sul sito è possibile fare un backtest e ci viene detto che questo portafoglio avrebbe reso, dal 2013 al 2023, il 64,8% in totale, equivalente al 5,2% all’anno.
Attenzione che, come scritto sul sito, quel 5,2% all’anno è al netto dei costi degli strumenti ma al lordo delle tasse e dei costi di gestione di Moneyfarm, che sono:
– 1% del patrimonio sotto i 20.000 €
– 0,75%, tra 20.000 e 200.000 €
– 0,5% tra 200.00 e 500.000 €
– 0,4% oltre i 500.000 €.
Se consideriamo la seconda fascia, che è quella in cui probabilmente cascherà dentro la maggior parte degli investitori, da quel 5,2% bisogna quindi detrarre 75 basis points e quindi andiamo intorno al 4,5% all’anno.
Ora, io ho fatto un backtest cercando di copiare quest’allocation usando banali ETF che replicano quelle asset class.
Ovviamente non so esattamente in cosa investa Moneyfarm, quindi sono andato un po’ a intuito basandomi sulle asset class dichiarate.
Sempre al netto dei costi di gestione, il rendimento annualizzato che è venuto fuori per un portafoglio fatto in quel modo nello stesso periodo di tempo è stato del 7% esatto. Quindi c’è un gap importante di quasi 2 punti percentuali di rendimento ogni anno in media.
È invece nettamente più simile il risultato del portafoglio 7, fatto al 75% da azioni, che avrebbe fatto nello stesso periodo l’8,2% contro l’8,5% di un analogo portafoglio di ETF.
Tra i vari motivi che possono aver portato alla sottoperformance del portafoglio 5 rispetto ad un analogo portafoglio di ETF, che invece è stata nettamente più contenuta nel portafoglio 7, ne immagino almeno 2:
– Il Primo è che mentre il portafoglio 7 sembra aver seguito più fedelmente il market cap, con un’importante esposizione agli Stati Uniti, come noto l’unico vero market mover che conta degli ultimi 15 anni, il portafoglio 5 sembra averli un po’ sottopesati, attribuendo al contrario una sovraesposizione sui mercati dell’Eurozona, che non hanno certamente avuto un decennio d’oro.
Non è semplicissimo capire l’esatta allocazione geografica, perché sul sito è indicata quella complessiva, comprensiva della parte obbligazionaria, e inoltre l’esposizione di oggi non è detto che fosse quella scelta da Moneyfarm nel 2013.
Però il portafoglio 7 assegna agli Stati Uniti il 58% e solo il 13% all’Eurozona.
Il fatto che il portafoglio 5 assegni invece rispettivamente il 50% e il 21% è ciò che mi fa pensare quanto appena detto.
– Il secondo motivo è che il portafoglio 7 ha fatto tanto quanto un portafoglio di ETF perché, oltre ad aver seguito in larga parte l’esposizione del mercato agli Stati Uniti, è venuta meno la componente, diciamo così, di gestione attiva. Il 5 invece, che sembra aver preso decisioni diverse da una pura replica dei Market cap, ha sottoperformato nettamente.
Moneyfarm da una parte ha un modello di gestione fondamentalmente passiva degli investimenti, dato che molto saggiamente utilizza molti ETF per la sua offerta — e in questo bisogna dire che è stata un pioniere in Italia.
Allo stesso tempo cerca però un approccio di natura attiva, con frequenti ribilanciamenti e con una visione più tipica da società di asset management, che imposta i portafogli in funzione degli scenari più probabili che il suo comitato di investimento arriva a formulare.
Leggendo il white paper sul loro sito che definisce l’approccio d’investimento si evince che due componenti guidano le decisioni sui portafogli.
– Quella strategica segue più o meno alla lettera Harry Markowitz e William Sharpe, quindi Model Portfolio Theory, CAPM, frontiera efficiente, tutto beta e niente alfa e via.
– Quella tattica invece è decisamente più attiva.
Salto tutto l’ambaradan sui 4 pilastri su cui si basano ma la cosa che più mi ha colpito è che in media il portafoglio è sottoposto ad un 50% di turnover annuo, che diventa 100% considerando acquisti e vendite.
Turnover 100% significa che ogni anno il portafoglio viene rivoltato come un calzino da cima a fondo.
Sicuramente gli interventi saranno mirati ad ottimizzare costi e a massimizzare l’efficienza del portafoglio ma se in un anno cambi il 100% dei suoi componenti, beh, proprio tutto il discorso dell’investimento passivo viene un po’ meno.
Anche qui non ho modo per dar risposte definitive sul perché Moneyfarm investa così, generando di fatto una sottoperformance rispetto a prendere una manciata di ETF e starsene ferma — e non è un caso che il portafoglio più vicino alle performance reali sia il 7, fortemente azionario e più vicino ad una logica market cap weighted (che comunque dal dicembre 2011 ad oggi si è preso quasi 1 punto percentuale di sottorendimento rispetto ad un banale portafoglio fatto solo con 75% di azioni e 25% di obbligazioni governative, senza materie prime, oro, reit, high yield e altre pizzi e merletti).
Anzi, se qualcuno di Moneyfarm mi seguisse, siete i benvenuti se volete venire a spiegare qui a The Bull la vostra filosofia di investimento.
Comunque, le mie ipotesi sono queste:
– La prima è che, come scritto nel White paper, l’obiettivo principale di Moneyfarm non è massimizzare il rendimento ma tutelare il capitale e il potere di acquisto degli investitori.
Tradotto: fare portafogli che tutto sommato abbiano dei rendimenti accettabili e cerchino di comprimere il rischio per l’investitore.
Per gli ingegneri e gli statistici all’ascolto: l’idea è tagliare le code della distribuzione normale dei rendimenti, almeno in teoria.
Nell’ultimo ribilanciamento che hanno fatto ad esempio hanno dichiarato di aver sottopesato un po’ gli Stati Uniti per i soliti motivi, valutazioni care, CAPE ratio bla bla bla e di aver aumentato Europa e Giappone per i motivi opposti.
Inoltre, hanno aumentato un po’ di gli High Yield. Loro dicono perché sono un’asset class attraente, altri in realtà sostengono proprio il contrario, ossia che dato che il credit spread tra high yield e investment grade è praticamente ai minimi storici, investire in high yield ora lascia quanto meno dei dubbi concettuali.
Comunque in generale l’idea è di provare a compattare il rischio sistematico. Tolgo un po’ di Stati Uniti che sono cresciuti tantissimo, aggiungo mercati sviluppati che hanno valutazioni più basse, prendo high-yield per portare a casa un po’ di rendimento extra rispetto a quello obbligazionario ma con un rischio minore rispetto all’azionario.
Comprensibilmente, è più probabile che un loro cliente li lasci durante un severo drawdown (e tra l’altro sbaglierebbe) che per il fatto che Moneyfarm poteva fare il 7% e invece ha fatto il 5,2%.
Figuriamoci se il cliente medio si mette a fare i backtest e quello che abbiamo fatto qui oggi.
Quindi proteggere il capitale dei clienti e farglielo aumentare è probabilmente la prima missione di Moneyfarm, anche a costo di perdere rendimento per strada.
– La seconda ipotesi è legata a questa, cioè che sia più un fatto commerciale che non finanziario.
Ribilanciare, formulare delle vision e impostare i portafogli di conseguenza, comunque fare cose in generale dà la sensazione che le commissioni che il cliente paga siano ben spese per avvalersi di un team di persone competenti.
E che quelli di Moneyfarm lo siano, è assolutamente fuori discussione.
Che poi tutto ciò porti valore aggiunto, beh, questo è tutt’altro che scontato e saranno magari i ragazzi di Moneyfarm a raccontarcelo qui.
Comunque oh vi immaginate che uno lancia una piattaforma, la chiama, che ne so, dico un nome a caso: Moneybull e offre 7 portafogli fatti ciascuno al massimo da 4 o 5 ETF, 7 asset allocation da molto conservativa a molto aggressiva, uno sceglie quella che pù gli piace, io gli investo i soldi lì dentro, il cliente mi paghi una commissione annua dello 0,75% e poi io non faccio più assolutamente un cazzo di niente?
Il cliente medio direbbe: Ma scusa cosa ti pago a fare allora?
Risposta: Mi paghi per non fare niente!
Tu caro cliente preferiresti pagarmi per non fare niente, quindi non ribilanciare il 100% del portafoglio ogni anno, non prendere decisioni attive, copiare il mercato e basta e farti avere un rendimento mediamente superiore OPPURE preferiresti pagarmi per fare cose che tanto nemmeno capisci e farti ottenere un rendimento inferiore?
Per quanto assurda questa cosa possa sembrare, probabilmente il 99% dei clienti preferirebbe pagare per ottenere meno performance, ma sapendo che c’è qualcuno dietro che gli muove i fondi a destra e a sinistra.
L’idea di pagare e non vedere dall’altra parte qualcuno che lavora, eh lo so, è difficile da digerire.
Moneybull non avrebbe successo perché nessuno vuole pagare gente pigra che con i soldi dei clienti non fa niente dalla mattina alla sera.
A proposito di performance e costi di gestione, veniamo qui al punto più dolente di Moneyfarm.
Premessa.
Piuttosto che investire con una banca, Moneyfarm (o altre soluzioni di questo tipo) tutta la vita eh, sia chiaro!
0,75% di costi di gestione, che diventano 0,4% sopra il mezzo milione, in banca li vedete con il binocolo.
Presentatevi con mezzo milione ad un consulente finanziario e magicamente puff! cominciano a saltar fuori come funghi entry fee, management fee, fondi con TER al 2,5% se non di più e altra roba strana.
Qui se non altro, 0,5-0,75% all’anno, più giustamente i costi di gestione degli ETF e gli spread che più o meno paghereste anche investendo singolarmente, stiamo parlando di una commissione onesta.
Sono d’accordo che meno di così, sarebbe proprio difficile tenere in piedi la baracca.
Il problema però, e non è un problema di Moneyfarm ma un problema legato all’efficienza dei mercati, è che impossibile sovraperformare il mercato a lungo termine abbastanza da poter sovracompensare anche solo uno 0,5% di fee + 0,28% tra TER dei fondi e spread.
Il risparmiatore medio che ha meno di 200 mila euro deve mettere in conto:
– 0,75% di fee;
– 0,28% di costi
– Totale: praticamente 1% di deficit ogni anno rispetto al mercato.
Aggiungi che, come visto nei backtest, è più probabile che il portafoglio di Moneyfarm sottoperformi per motivazioni legate alle decisioni attive, è inevitabile che il tuo rendimento sarà un po’ zoppo per effetto di tutte queste cose.
E poi c’è un altro fatto, come già visto in passato.
Moneyfarm è un servizio di gestione patrimoniale, pertanto le tasse vanno pagate ogni anno e vengono quindi trattenute dal patrimonio investito.
Qui la gestione patrimoniale ha pro e contro:
– Il pro è che consente di compensare plusvalenze e minusvalenze, cosa che io autonomamente non posso fare tra ETF, ma ho bisogno di ETC, azioni o obbligazioni singole, certificati o altra roba.
Che può essere anche un altro dei motivi per cui Moneyfarm ribilancia così spesso.
– Il contro — e non è un contro da poco — è che se ogni anno viene sottratto dal valore del capitale investito un importo equivalente alla tassazione sul capital gain non realizzato, questa è una discreta mazzata sul rendimento composto.
Facciamo un esempio semplice.
Se prendo i rendimenti dell’ultimo decennio dell’MSCI World, sappiamo che ha fruttato quasi un 9% all’anno, tali che 10.000 € nel 2014 a fine 2023 sarebbero diventati circa 23.000.
Se a quel punto decido di disinvestire tutto, pagherò il 26% sulla differenza tra 23.000 e 10.000, che è appunto il mio capital gain.
Il mio risultato al netto delle tasse sarà circa 19.640 €.
Se però avessi dovuto pagare le tasse ogni anno, a parità di rendimento, il mio risultato finale al netto delle tasse sarebbe poco più di 19.000 €.
Quindi circa 640 € si sarebbero volatilizzati solo per una questione di diversa gestione fiscale.
E ben di più sarebbe con importi più corposi e su più lunghi periodi di tempo.
Certo, questa simulazione non tiene conto di possibili effetti benefici derivanti dalle compensazioni fiscali, ma dal punto di vista matematico è noto che differire il più possibile il pagamento delle tasse ha un effetto netto positivo sul rendimento di un investimento che cresce a capitalizzazione composta.
Anche per Moneyfarm, come abbiamo fatto per Vanguard, PRO e CONTRO.
– Il grande PRO è, che ancora di più che con i Lifestrategy, qui davvero zero sbattimenti, zero pensieri, zero di tutto. Non devi neanche aprire un conto con un broker. Set it and forget it e il team di Moneyfarm si occupa a vita del tuo portafoglio.
L’unica cosa che devi fare è dirgli di cambiare il portafoglio se decidi di modificare il tuo profilo di rischio.
Per il resto puoi anche dimenticartene.
Un altro PRO, forse, è che Moneyfarm cercherà sempre di minimizzare i drawdown, ossia di ridurre gli eventi estremi negativi del tuo portafoglio.
– Il grande CONTRO sono i costi e i rendimenti.
Il rendimento atteso di un Lifestrategy 60/40 sarà con ogni probabilità superiore a quello di un portafoglio di Moneyfarm con un profilo di rischio e rendimento paragonabile.
Perché per quanto bravi saranno a cercare di ottimizzarlo al meglio, costi, tasse ed effetti collaterali della gestione attiva, che chiameremo sindrome di Markowitz-Sharpe-Fama-French, si mangeranno via ogni anno una bella fetta del rendimento.
Conclusione.
Per gli investitori più pigri della Terra che non se la sentono di metterci la testa e farsi un portafoglio per gli affari propri cosa consiglierei?
– Se un minimo te la senti di fare da solo, direi i Lifestrategy, che fai sempre in tempo poi a liquidare, integrare o semplicemente tenerli finché vuoi.
– Se invece la sola idea di gestirti da solo i soldi ti fa impazzire e temi di fare una cagata dietro l’altra e perdere tutto, allora che ti devo dire amico mio o amica mia, usa un roboadvisor come Moneyfarm e non ci pensi più.
Oh, nulla vieta di fare anche metà e metà eh?
O di mixare tutto e fare un po’ di Lifestrategy, un po’ di Moneyfarm e un po’ di quello che vi pare, con quest’ultima che spesso risulterà la strategia di asset allocation vincente.
Bene! care amiche e cari amici di questo podcast, eccoci giunti alla fine di questo centodiciottesimo appuntamento bisettimanale all’interno della nostra lunghissima sessione di psicoterapia volta a curare le vostre ansie da investimento autonomo e ossessione verso le soluzioni preimpacchettate.
Cosa vi dovreste portare a casa da questa chiacchierata:
– Allora, chi si è sparato 118 episodi di The Bull e, ciò nonostante, ancora non se la sente, può partire con queste soluzioni, che sicuramente sono molto meglio che lasciare i soldi sul conto o peggio ancora affidarli a qualche consulente di una banca armato di buonissime intenzioni ma cattivissimi fondi comuni d’investimento.
– Chi invece già si era creato un portafoglio per i fatti propri può comunque andare a guardarsi queste soluzioni perché, come dicevo all’inizio, conoscere le cose è fondamentale prima di prendere decisioni. Quindi il fatto che non siano strumenti che IO metterei nel mio portafoglio, non implica affatto che abbia ragione o che non possa essere un’idea vincente inserirli nella vostra pianificazione finanziaria in generale.
Inoltre andare a vedere come Vanguard o Moneyfarm costruiscono i loro portafogli e cosa ci mettono dentro può essere comunque un utile esercizio per fare un confronto con il modo in cui voi state costruendo il vostro.
E comunque sta puntata me l’avete chiesta voi a gran voce, quindi non sia mai che non dia peso alle richieste di questa straordinaria community che, ridendo e scherzando, annovera ormai oltre 170.000 persone che almeno una volta nella loro vita hanno deciso che il loro tempo valeva l’ascolto delle mie parole.
Grazie
come sempre
soprattutto
a ciascuno di voi.
Il vero motivo per cui The Bull esiste.
Per continuare a farlo esistere anche in futuro invece, invito chi non l’avesse ancora fatto e mi chiedo cosa state aspettando a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi spiegano come districarvi tra un lifestrategy e un roboadvisor cercano di convincervi che pagare dei soldi per vedere qualcuno che fa cose per generare rendimenti peggiori non è meglio che pagare per vedere qualcuno che non fa niente ma porta rendimenti migliori sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con il tradizionale appuntamento di fine mese con il recap dei mercati di Giugno, un altro mese che ha riservato grandi sorprese, Inflazione che va giù, Nvidia che per un attimo è stata la società più grande del mondo e poi ha perso quasi mezzo miliardo in tre giorni, le elezioni europee che hanno sconquassato l’azionario di casa nostra e tanto altro ancora sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025