Tre ETF “speciali” per investire nell’S&P 500
Tre ETF "avanzati" per investire in maniera innovativa nell'S&P 500 e diversificare la propria esposizione al mercato americano. Gli strumenti citati (a puro scopo divulgativo e senza che si voglia in alcun modo sottendere una qualsivoglia raccomandazione d'investimento in essi) sono:
- JPMorgan US Research Enhanced Index Equity (ESG) UCITS ETF USD (Acc) (Ticker: JREU; ISIN: IE00BF4G7076)
- Ossiam Shiller Barclays CAPE® US Sector Value TR UCITS ETF 1C (EUR) (Ticker: CAPU; ISIN: LU1079841273)
- WisdomTree US Efficient Core UCITS ETF USD Unhedged Acc (Ticker: NTSX; ISIN: IE000KF370H3)

121. Tre ETF “speciali” per investire nell’S&P 500
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Punti Chiave
Discussione sulla minore diversificazione dell'S&P 500 e presentazione di tre ETF "speciali" per affrontarla.
Analisi di JREU (attivo), CAPU (fattoriale Value) e NTSX (leva 90/60) con focus su strategie, performance e costi.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Oh non vedevo l’ora di fare quest’episodio perché va bene tutto, i concetti generali, i principi universali dell’investimento e tutta la roba intelligente di cui parliamo qui e che sapientemente arraffo in giro per il mondo.
Ma la verità è che io ho un piacere ai limiti della depravazione verso i prodotti d’investimento, avete presente? Andarli a spulciare, leggere i documenti informativi, guardare come sono fatti dentro con la stessa perversa curiosità di quelli che causano le code in autostrade perché rallentano per guardare le auto incidentate nell’altra corsia.
Poi aggiungete che parlare dell’S&P 500 per me è un po’ come per un bambino parlare dei regali che vuole per Natale, capite che oggi mi concedo un episodio in cui faccio la combo perfetta per soddisfare tutti i miei desideri!
Oggi parliamo di tre ETF strani, dietro ai quali c’è un bel po’ di roba da dire, e di sua maestà l’S&P 500, l’indice più amato da grandi e piccini in cui tanta speranza riponiamo tutti perché un domani ci faccia ricchi così come per generazioni ha fatto ricchi i cowboys al di là dell’Atlantico.
Non so se si nota l’eccitazione che trapela dalle mie parole, ma poche cose come un ETF sull’S&P 500 mi scaldano il cuore.
Occhio ad appassionarvi di finanza che questa è la fine che farete e tutti vi prenderanno per degli psicopatici.
Finita la consueta overture di stronzate, di cosa parliamo oggi.
Che parliamo di investimenti sull’S&P 500, l’indice delle 503 società più capitalizzate degli Stati Uniti si era capito (tra l’altro 503 perché Google ne ha due, le Alphabet A e le Alphabet C e poi non mi ricordo le altre due di troppo quali sono).
Però oggi non parliamo dei soliti ETF di Vanguard, di Ishares o di chi vi pare che replicano paro paro l’indice.
Oggi vediamo tre ETF speciali che in qualche modo si basano sull’S&P 500, o comunque sulle large cap americane, e che però fanno tutta una serie di cose particolari.
Proprio mentre sto scrivendo quest’episodio, manco a farlo apposta è uscito un articolo sul Wall Street Journal in cui viene spiegato che l’S&P 500 in effetti non è più quello di una volta e che in particolare non è più così diversificato come un tempo.
I punti di attenzione dell’articolo sono i seguenti:
– In primis la concentrazione nei settori Tech e Financial Services è ai massimi storici: in pratica il 42% dell’indice è concentrato in quei soli due settori, cosa che comporta una maggiore sensibilità dell’indice ai tassi di interesse, diversamente da quanto poteva accadere 50 anni fa quando il settore industriale era il principale e pesava per un terzo del totale.
Maggiore sensibilità ai tassi di interesse vuol dire, inevitabilmente, maggiore volatilità.
– Ad aggiungere volatilità ci si mette anche il fatto che soprattutto per via della concentrazione in realtà tech, tipicamente poco avvezze alla distribuzione di dividendi, il rendimento da dividendo medio dell’S&P è sceso da 4,11% negli anni ’70 a 1,45% oggi. Se è vero che i dividendi non sono fiscalmente molto efficienti, sono tuttavia uno strumento che riduce la volatilità perché mitiga le perdite nei momenti di down.
– Infine, è aumentata la correlazione con gli altri mercati sviluppati. Negli anni 70 era 0.24, mentre oggi è salita a 0.7. Questo non significa che diversificare globalmente sia inutile, anzi, però è probabile che avere un’esposizione azionaria internazionale non crei contrappesi nei momenti negativi di mercato. Oggi invece è più probabile che, pur con valori diversi, i mercati azionari vadano o tutti su o tutti giù all’unisono.
L’articolo si conclude con la raccomandazione di diversificare ulteriormente il portafoglio anche con asset class che vanno al di là di azioni e obbligazioni e in generale di considerare il fatto che avere un ETF che replica 500 aziende, in realtà, non significa essere particolarmente diversificati.
Non è un caso che stiano quindi crescendo gli ETF sull’S&P 500 che provano ad ottimizzarne le performance rispondendo a temi diversi tra quelli che abbiamo appena accennato ed è per questo che oggi vediamo tre strumenti che replicano il nostro indice del cuore con alcuni punti di vista tutti particolari.
Andando in ordine di difficoltà parleremo di questi tre prodotti:
– UNO: il JPMorgan US Research Enhanced Index Equity (ESG) UCITS ETF USD (acc), che però potete comodamente trovare con il ticker JREU
– DUE: l’Ossiam Shiller Barclays CAPE® US Sector Value TR UCITS ETF 1C (EUR), ticker CAPU e infine, dulcis in fundo e con una dedica ad un grande amico di The Bull San Nicola Protasoni da Zurigo parleremo del numero
– TRE: ossia del WisdomTree US Efficient Core UCITS ETF USD Unhedged Acc, ticker NTSX, che tra l’altro non è solo un ETF sull’S&P 500 ma un vero e proprio portafoglio 60/40 sotto steroidi.
Se non avete capito niente state tranquilli che tanto nel corso dell’episodio li ripeto 50 volte e poi li scrivo anche nella descrizione dell’episodio.
Disclaimer soprattutto per l’autorità di vigilanza.
Come per qualunque altro contenuto del podcast, ma a maggior ragione oggi, il fatto di parlare di questi tre strumenti NON RAPPRESENTA UNA QUALSIVOGLIA RACCOMANDAZIONE DI INVESTIMENTO.
Se volete investire in questi prodotti — e siete certi di averne compreso appieno il funzionamento e i rischi e ritenete che sia adatto alla vostra situazione finanziaria — allora investiteci, altrimenti lasciate perdere.
Lo scopo dell’episodio di oggi come del podcast tutto è di natura meramente descrittiva.
Oggi vedremo quindi questi tre prodotti molto particolari, che nella fattispecie sono un ETF attivo, un ETF fattoriale con delle regole tutte sue e un ETF che utilizza la leva per fare una serie di cose che diremo dopo.
Però…
Posso mai fare un episodio dedicato a tre specifici ETF e non dedicare neanche un minuto al momento sponsor?
Dai non scherziamo.
Infatti se per qualche motivo deciderete che possa essere una buona idea investire in questi prodotti, sicuramente un buon modo per farlo ai migliori costi che troverete in Europa è attraverso il nostro partner Scalable Capital, che ringrazio per essere sponsor dell’episodio di oggi.
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Nella descrizione dell’episodio trovate un link per aprire un account su Scalable il quale sarà felice di pagare al sottoscritto una commissione in natura composta da bancali di bratwurst e secchi di crauti.
Birra no invece perché come noto non bevo alcolici e ho con la birra la stessa reazione di un bambino quando gli dai un antibiotico.
Molto bene.
E anche oggi la pagnotta ce la siamo portata a casa.
Prima di cominciare la rassegna però vorrei subito consolare la delusione di chi si aspettava che avrei parlato del nuovissimo ETF di Ishares ma proprio nuovo nuovo di pacca che più nuovo non si può, quotato lo scorso 28 giugno, chiamato iShares Large Cap Max Buffer Jun.
Me l’avete segnalato in cinquanta uno dietro l’altro.
Ne ha parlato la Stampa, la Repubblica, altri giornali, tanto che mi chiedevo come avessi fatto a perdermelo.
Ragazzi io vi voglio bene, se volete ne parliamo, è un ETF simpatico sull’S&P 500 che cappa i rendimenti al 10% e garantisce il capitale secondo certe regole, però, non so come dire, non rimaneteci male ma … eh non lo potete comprare.
Non è un ETF UCITS, è quotato negli Stati Uniti e a meno che voi non siate Qualified Investor, ossia investitori qualificati con patrimoni investiti oltre 500.000 € e un’esperienza di almeno un anno nel settore finanziario, i non UCITS non li potete comprare e comunque anche se voleste non è così semplice trovare un broker che ve li venda.
Andiamo invece ai nostri magnifici 3.
PRIMO ETF SPECIALE: JPMorgan US Research Enhanced Index Equity (ESG) UCITS ETF USD (acc), ticker JREU, che è un ETF bello ciccione da 7,5 miliardi di dollari.
Partiamo da quello che fa e dal suo obiettivo.
Cito dal factsheet: Il fondo mira a conseguire un rendimento a lungo termine superiore a quello dello Standard & Poor’s (S&P) 500 Index (Total Return Net), investendo attivamente in prevalenza in un portafoglio di società statunitensi.
Chiaro no.
Trattasi di ETF a gestione attiva, quindi c’è un gestore più o meno umano che prende decisioni dietro, ma diversamente da un fondo comune d’investimento è quotato in borsa, come tutti gli ETF naturalmente.
Ora, come si propone di battere l’imbattibile S&P 500?
Sempre nel factsheet c’è tutta la supercazzola della metodologia utilizzata che vi riporto testé:
– Allora, segue un processo di selezione dei titoli bottom-up basato sull’analisi dei fondamentali.
– Sovrappesa i titoli con il maggiore potenziale di sovraperformance e sottopesa quelli ritenuti sopravvalutati.
– Mantiene un approccio disciplinato a rischio controllato e qui non so cosa intenda, poi cerchiamo di capirlo, e infine
– Applica uno screening basato su valori e norme e implementa soglie di investimento minimo per le società con caratteristiche ESG positive.
Comunque in pratica l’idea è di prendere fondamentalmente l’indice e di aggiustarlo leggermente in base a questi criteri cercando di creare un extra rendimento di tipo alpha, ossia basato sulle decisioni specifiche dei gestori.
Oh, c’è da dire che da quando il fondo è stato lanciato nell’ottobre del 2018, effettivamente ha battuto ogni singolo anno l’S&P 500.
Nel factsheet dichiara un alpha a 5 anni, ossia — diciamola male — una percentuale di extra rendimento non sistematico, dell’1,15% all’anno.
Se vediamo gli ultimi 5 anni ha fatto, rispetto all’S&P:
– Nel 2019 il 31% contro il 30,7
– Nel 2020 ha fatto il 19,94% contro il 17,75%
– Nel 2021 29,93% contro il 28,16
– Nel 2022 hanno fatto schifo entrambi, -18,76 contro -18,5 (quindi qui leggermente meglio l’indice) e infine
– Nel 2023 27,6% contro 25,67.
Insomma, giù il cappello.
A quanto pare gli amici di JP Morgan riescono a ottenere una performance leggermente superiore all’indice.
E leggermente poi mica tanto, perché 10.000 € investiti al lancio sarebbero diventati 20.300 nell’S&P e 21.500 con il fondo JP Morgan.
Difficile dire cosa abbia portato a questa sovraperformance e se sarà sistematica a lungo termine.
Certamente nella composizione degli asset sottostanti c’è qualche leggera differenza che a cui sembra imputabile l’extrarendimento.
Per esempio da gennaio a fine maggio, ultimi dati che abbiamo a disposizione sul factsheet, JREU ha fatto quasi un punto percentuale di extra rendimento in più rispetto ad un ETF standard sull’S&P.
Se andiamo a guardare le prime dieci posizioni nel portafoglio possiamo notare, per esempio,
– che Microsoft è sovrappesata di quasi mezzo punto, 7,4% contro 6,94%;
– stesso discorso per Nvidia, 6,6 contro 6,1
– idem Amazon, 4% contro 3,6%
– inoltre, se le prime 8 società sono le stesse, ossia le Magnifiche 6 più Berkshire e Eli lilly, JREU privilegia la società petrolifera Exxon Mobil a … beh questa fa un po’ ridere in effetti … a JP Morgan!
Alla fine stai a vedere che la genialata di JP morgan per battere l’S&P è stata sottopesare proprio JP Morgan.
Scherzi a parte comunque, il solo fatto che Nvidia da sola abbia contribuito per un terzo a tutta la crescita dell’S&P 500 quest’anno fa sì che anche solo uno 0,5% in più di peso attribuito a questa società sposti nettamente il risultato complessivo del fondo.
Anche i costi, bisogna dirlo, sono assolutamente nel range che uno si potrebbe aspettare da un ETF, visto che parliamo dello 0,2% all’anno.
Ammetto che ho cercato in tutti i modi di trovare qualcosa per screditare questo fondo ma non ci sono riuscito.
Visto così, niente da dire.
Poi è anche vera un’altra cosa.
5 anni di track record non sono niente, in particolare all’interno di un lungo periodo di bull market.
Durante l’unico anno negativo, il 2022, il fondo ha fatto leggermente peggio dell’indice e questo si potrebbe spiegare con il fatto che il fondo ha un Beta leggermente superiore a 1, per cui si va a prendere una maggiore volatilità positiva quando l’S&P cresce e una maggiore volatilità negativa quando va giù.
Nei prossimi anni vedremo come performerà e soprattutto come si comporterà alla prima crisi severa che l’azionario dovesse affrontare.
Non che il 2022 non lo sia stato, ma stiamo davvero parlando di un solo anno molto negativo dentro una sequenza di 15 anni spettacolari.
Già che siamo in argomento, comunque, è vero che oggi parliamo di ETF sull’S&P 500, ma vale la pena segnalare che sempre di questa famiglia di JP Morgan esiste anche la versione sull’azionario Globale.
Non che cambi molto, fondamentalmente tutti gli indicatori di performance (alfa, rendimento, volatilità e tutto il resto) sono praticamente gli stessi di quello sull’S&P.
Il motivo è molto semplice: rispetto al MSCI World, questo ETF sovrappesa ulteriormente gli Stati Uniti fino al 71%.
E’ naturale che la correlazione tra i due ETF sia pressoché totale.
Rispetto all’altro costa un pelino di più 0,25% contro 0,2%, ma siamo sempre dentro valori accettabili.
Comunque va beh, questo era facile, poco da dire.
ETF attivo, bravi i gestori che hanno sfruttato il momentum di alcune società che stanno crescendo a dismisura come Nvidia, ma per il resto si tratta semplicemente di ottimizzare l’S&P senza discostarvisi più di tanto.
Il prossimo invece è proprio tutta un’altra storia.
SECONDO ETF SPECIALE: l’Ossiam Shiller Barclays CAPE® US Sector Value TR UCITS ETF 1C (EUR), acquistabile con il ticker CAPU, ETF decisamente più piccolo del precedente, anche se di dimensioni
Ossiam è una società francese di asset management, non tra quelle più importanti che citiamo di solito come Ishares, Vanguard, o le europee Xtrackers e Amundi.
Però ha questa linea di prodotti molto particolari che di fatto cercano di ottenere un extra rendimento sfruttando fattori e altri criteri.
In particolare CAPE è un ETF che, come si legge dal factsheet,
utilizza un approccio sistematico di tipo Value che si basa sulle ricerche del Professor Robert Shiller.
Tale strategia offre un’esposizione al mercato azionario americano attraverso la rotazione settoriale basata sull’indice Cyclically Adjusted Price-to-Earnings (CAPE®) per selezionare quei settori potenzialmente sottovalutati.
Questa strategia è stata creata per offrire un’esposizione al mercato azionario ad alta capitalizzazione con uno stile Value ed è adatta agli investitori buy-and-hold con un orizzonte temporale pluriennale.
Sempre nel factsheet si dice che questa strategia avrebbe i seguenti vantaggi:
▪ Esposizione ai titoli americani attraverso un approccio di selezione di settori industriali basato sull’indicatore CAPE®
▪ Metrica di valutazione ampiamente utilizzata che si basa sui lavori del Professor Shiller
▪ Un processo di investimento che intende identificare quei settori potenzialmente sottovalutati nel lungo periodo.
Che in pratica è la stessa cosa che avevano detto prima, ma si vede che non sapevano come riempire il prospetto informativo.
Qui comunque ci sono due criteri in gioco:
– da una parte c’è il fattore Value, ossia l’idea di privilegiare l’investimento in società con alto book value rispetto al prezzo;
– dall’altra, però — e questo è il tratto più propriamente distintivo dell’ETF — viene utilizzato lo Shiller CAPE ratio per assegnare determinati pesi ai vari settori rappresentati nell’S&P, privilegiando quelli più sottovalutati e sottopesando quelli sopravvalutati.
Come sapete lo Shiller CAPE ratio è il rapporto tra prezzi e utili degli ultimi 10 anni aggiustato per inflazione, ad oggi considerato la migliore metrica predittiva sul rendimento futuro delle azioni americane.
CAPE alto, rendimento atteso basso.
CAPE basso, rendimento atteso alto.
Il fatto però che sia la migliore metrica predittiva, non significa che sia un’efficace metrica predittiva o che in generale sia utile per fare timing sul mercato.
Qui però tocca entrare in un dibattito complesso, che magari riprendo in un episodio dedicato.
Comunque, da una parte la correlazione storica del CAPE con il ritorno a 10 anni dell’S&P 500 è dello 0,43.
Tradotto: lo Shiller CAPE ratio è in grado di prevedere il rendimento dei dieci anni successivi con una probabilità del 43%, quindi meno di metà delle volte.
Se consideriamo solo il dopoguerra la correlazione sale a 0,7 e addirittura 0,9 dopo la Great Financial Crisis.
Da una parte sembra che sia una metrica molto precisa per stimare i rendimenti futuri.
Dall’altra parte c’è chi sostiene che i valori siano difficilmente confrontabili nel tempo, anche per via di come sono cambiate negli anni le regole contabili per determinare gli utili di una società.
Oggi il CAPE è a 34, quindi vuol dire che siamo oltre al 97° percentile.
Questo significa che la probabilità che l’S&P nei prossimi 10 anni produca ancora il suo rendimento storico di circa il 10% all’anno è nell’ordine di 3 deviazioni standard, ossia 0,3%.
Se vi chiedessi: “sareste disposti a scommettere su una cosa che ha lo 0,3% di probabilità di verificarsi” voi mi direste “ma sto cazzo”.
Però ci sono due però:
– primo però: dire che lo Shiller Cape ratio permetta di stimare i rendimenti a 10 anni non equivale a dire che grazie ad esso sia possibile prendere decisioni d’investimento di conseguenza; nel 2014 il CAPE ratio prospettava un rendimento medio dell’S&P nei 10 anni successivi intorno al 5% e poi ha fatto più del 12; prima o poi magari ci sarà una regressione verso la media che farà tornare tutti i conti, ma modificare il portafoglio di conseguenza e soprattutto sapere esattamente QUANDO farlo è tutto un altro discorso;
– il secondo però lo capiscono solo quelli che hanno studiato statistica: ossia tutto questo bel discorso funziona a condizione che i rendimenti del mercato seguano una distribuzione normale, ossia di distribuiscano con la forma della curva a campana di Gauss.
In realtà questa cosa è tutt’altro che certa.
Nassim Taleb per esempio è un noto critico dell’uso della curva di gauss in finanza che lui nel Cigno Nero chiama la Grande Frode Intellettuale, perché si baserebbe sull’utilizzo di uno strumento proprio degli ambiti scientifici per una roba assolutamente non scientifica come la finanza.
Cmq al di là di quel che dice Taleb, che è roba molto complicata, noi oggi sappiamo che i rendimenti annuali del mercato seguono più o meno la distribuzione normale, ma se prendiamo invece i rendimenti a dieci anni la distribuzione non è per niente normale e presenta un’evidente skewness, un’inclinazione verso destra.
Dato che lo Shiller CAPE cerca di prevedere i rendimenti a 10 anni, non è necessariamente vero che il fatto di avere multipli a 34 implichi una probabilità prossima a zero di avere rendimenti in linea con la media storica.
Magari sarà così, ma non è scontato.
E applicare le regole statistiche della distribuzione normale su delle variabili con NON seguono una distribuzione normale è come orientarsi con la cartina di Firenze mentre si gira per Roma…
Comunque, giusto o sbagliato che sia, sto ETF prende i settori dell’S&P con il CAPE ratio più basso e li sovrappesa e fa il contrario con quelli con il CAPE ratio più alto, più o meno.
Qui la differenza rispetto alla composizione dell’S&P è nettamente più marcata.
Per esempio:
– il settore principale dell’S&P è Information Technology, con oltre il 33% del peso. CAPU invece praticamente non investe in Information Technology, come ad esempio in Microsoft o Nvidia.
– I 4 settori privilegiati da CAPU sono invece:
– Communication Services, rappresentati in particolare da Google e Meta;
– Consumi discrezionali, in cui credo rientri Amazon come big name
– Servizi Finanziari
– Materiali e un pizzico di
– Real Estate
Se andiamo a vedere i primi 10 titoli abbiamo:
– Amazon, con il 6%
– Google con il 5,8%
– Meta con il 5,7% e poi la prima sorpresa
– Linde addirittura 10 volte più grande che nell’S&P, con il 5,19%
– Poi Tesla, Berkshire, Home Depot, Jp Morgan, Freeport Mcmoran che non so che cazzo faccia, così come Sherwin Williams
Anche in questo caso, niente da dire, la strategia ha pagato.
Il fondo è stato lanciato nel giugno del 2015 e da allora ad oggi ha realizzato una performance annualizzata del 14,24% contro il 13,24% dell’S&P.
Un punto percentuale all’anno per 9 anni è tanta roba; se avessimo investito i canonici 10.000 € all’inizio oggi avremmo circa 30.000 con l’S&P e oltre 33.000 con CAPU.
Nel prospetto si legge che il fondo ha un beta leggermente inferiore a 1, quindi dovrebbe avere un volatilità inferiore all’S&P, e un alpha di 1,2% all’anno, ossia di extra rendimento specifico.
Qui però abbiamo una sorpresa rispetto al fondo di JP Morgan, che anche quest’anno sta davanti all’S&P.
Da gennaio a fine giugno, mentre l’S&P ha macinato un impressionante 18,6%, l’Ossiam Barclays Shiller e tutto il resto ha fatto solo il 9,9%.
La metà praticamente.
Il motivo?
E chi lo sa.
Azzarderei che non avere Microsoft e soprattutto Nvidia in questa prima parte dell’anno non abbia pagato.
Bisogna inoltre aggiungere che è vero che il fondo in questi 9 anni ha fatto complessivamente meglio dell’S&P — e neanche di poco.
Ma questo extra rendimento è stato tutto concentrato nei primi 4 anni, dato che negli ultimi 5 anni l’S&P ha fatto il 15,8% di media all’anno contro il 15,2% dell’Ossiam.
Insomma, negli ultimi 5 anni la combinazione di fattore Value + selezione basata sullo Shiller CAPE ratio non ha pagato perché l’estrema concentrazione dell’S&P ha fatto sì che il grosso del ritorno dell’indice sia stato dovuto ad una manciata di mega tech company che, almeno dal punto di vista teorico, appiano piuttosto sopravvalutate con i loro multipli altissimi.
Possiamo aspettarci una regressione?
Cioè possiamo aspettarci che ad una certa Nvidia and friends si sgonfino e che le società Value si riprendano il loro posto?
Possibile, del resto sono più di 15 anni che le società Value sottoperformano il mercato, dominato com’è dalle mega big tech della west coast, prima o poi la ruota girerà anche dall’altra parte.
Nota dolente di questo ETF che comunque resta molto interessante, soprattutto per gli scettici che sono preoccupati dall’eccessiva concentrazione del mercato americano e che si aspettano un più o meno imminente crollo, sono i costi.
Il nostro bel CAPU costa la bellezza di 0,65% all’anno.
Tantissimo!
Sovraperformare l’S&P con 0,65% di costi da sostenere non è banale.
Diciamo che, per come la vedo, il motivo per cui uno dovrebbe investire in un prodotto come questo non dovrebbe essere l’aspettativa di ottenere un extra rendimento rispetto all’S&P.
Potrebbe ottenerlo, ma abbiamo visto che negli ultimi 5 anni così non sarebbe stato.
Può essere però una forma di diversificazione, rispetto ai tradizionali indici fatti tutti allo stesso modo che privilegiano tutti le stesse società.
La correlazione con il mercato è naturalmente molto alta, ma è possibile che in momenti di difficoltà del mercato questo indice possa reagire meglio.
Non è un caso che nel 2022, quando l’S&P ha perso oltre il 18%, tirato giù dal tonfo temporaneo delle Magnifiche 7, CAPU abbia perso solo il 9%.
Quindi lo vedo più come un diversifier sulla parte equity Stati Uniti che non come una scommessa per un extra performance.
Oh e anche qui tutto abbastanza semplice.
Oddio, per un attimo mi sono imbarcato in quella roba sulla curva di Gauss e c’è mancato un pelo che non cominciassi a dire bestemmie come Lognormale o Kurtosis, ma per fortuna mi sono fermato prima.
Veniamo invece al piatto forte della serata.
Il TERZO ETF SPECIALE è gentilmente offerto da Wisdomtree e si chiama US Efficient Core UCITS ETF USD Unhedged Acc, ticker NTSX.
Allora qui bisogna spiegare un po’ di cose.
Come dovreste sapere perché l’ho ripetuto fino alla nausea, il portafoglio modello diversificato per eccellenza che in qualche modo incarna i principi della Modern Portfolio Theory e del CAPM è il 60/40, che nella sua leggendaria versione americana è:
– 60% Total US Market, quindi non solo S&P ma tutto il Russell 3000 e poi
– 40% Treasury a scadenza intermedia.
Come noto l’idea è quello di ottenere un miglior risk-adjusted return rispetto ad un portafoglio 100% azionario, ossia di ottenere un rendimento ottimizzato per un certo livello di rischio che l’investitore medio è disposto ad assumersi.
Da una parte però il 60/40 ha una correlazione praticamente perfetta con il mercato, per via del suo equity beta.
Cioè il portafoglio 60/40 va su quando il mercato va su e va giù quando il mercato va giù.
Dall’altra però è vero che i Treasury hanno una correlazione variabile, che come abbiamo detto nell’episodio 106 è passata negli anni da essere positiva a negativa e nuovamente positiva come nel momento in cui sto parlando.
Però in generale le obbligazioni offrono una buona decorrelazione rispetto al mercato azionario e sul lungo termine la correlazione con le azioni è -0,07, quindi leggermente negativa, che in pratica significa che in media hanno un comportamento indipendente.
Però appunto non si può avere la celebre botte piena e la moglie ubriaca allo stesso tempo.
Se vogliamo mitigare il rischio dell’esposizione azionaria, l’inserimento di obbligazioni in portafoglio ci dà decorrelazione ma ci porta via anche la volatilità positiva, ossia i grossi ritorni derivanti dai momenti di bull run delle azioni.
Wisdomtree avrebbe un po’ trovato il Sacro Graal con la sua formula magica per portarsi a caso il meglio di entrambi i mondi ossia:
– Il rendimento monstre dell’S&P 500 e allo stesso tempo
– La diversificazione e la funzione di copertura che le obbligazioni garantiscono quando il mercato va giù (a meno che il mercato vada giù per un rialzo dell’inflazione come noto).
Come riuscire in quest’impresa?
Con la leva.
In pratica Wisdom Tree ha creato questo ETF multiasset composto in questo modo:
– 90% nell’S&P 500 mentre il
– 10% va in buoni del tesoro a breve termine che fanno da collaterale per avere un’esposizione al 60% verso futures sui Tresaury americani, costruendo una scaletta di bond con scadenze a 2, 5, 10 e 30 anni.
Quindi NTSX è a tutti gli effetti un portafoglio 90/60.
Come è possibile fare 90/60?
Con la leva.
Fondamentalmente NTSX investe il 90% del suo capitale in maniera standard nell’S&P e poi usa il 10% rimanente che investe in titoli di stato a breve che dà in garanzia per avere un’esposizione, tramite futures ai titoli di stato americani intermedi, per un controvalore equivalente al 60% del capitale dell’ETF.
Detto altrimenti, se voi investite 10.000 € in NTSX, 9.000 vanno nell’S&P 500 e con gli altri 1.000 si ottiene un’esposizione ai titoli di Stato USA per un valore di 6.000 €.
Ora, qual è il senso di questo strumento?
In sé e per sé l’idea è quella di creare un portafoglio con la volatilità positiva di un’esposizione quasi completamente azionaria, ma allo stesso tempo con la possibilità di diversificare attraverso la componente obbligazionaria.
In qualche modo credo che l’idea sia quella di tagliare la coda sinistra dei rendimenti (diciamo la volatilità negativa, quella che non ci piace perché il mercato sta andando già) e sfruttare invece quella positiva.
In questo modo è anche possibile creare portafogli che sfruttino il principio del Risk Parity, tra cui quello del nostro buon Nicola, che riescono ad introdurre anche altre asset class nel portafoglio senza dover compromettere l’esposizione azionaria.
Ammettiamo che uno abbia 100.000 euro e volesse investire come fa Nick.
Grazie a NTSX e ad un ulteriore uso della leva avrebbe:
– 90.000 € in azionario;
– 10.000 € in obbligazionario, che però danno esposizione a 60.000 € sui Treasury grazie ai futures;
– E poi ci sono altri 33.000 € disponibili da utilizzare su altri asset decorrelati dalla coppia stocks/bonds, come materie prime, inflation linked o come fa lui ETF trend following e tail hedging (che però in Europa non ci sono) grazie al ricorso ad una leva del 33% sul patrimonio.
In pratica è come avere un 60/40 pompato con in più ulteriore esposizione ad altri asset.
Quali sono gli aspetti negativi di questa cosa?
– Numero UNO: la leva non è gratis, né quella di NTSX, né quella che offre il broker con cui investi; poco che costi, parliamo del risk-free rate più uno spread (quindi siamo sopra al 4%, visto che l’Euribor a tre mesi e a 3,7%);
– Numero DUE: è prodotto 100% US, quindi rischio di mercato Stati Uniti e rischio valutario dollaro.
Dall’altra parte si potrebbe allo stesso tempo obiettare che la correlazione tra mercato US e il resto del mondo sviluppato è ormai altissima, 0.7-0.8 a seconda di dove prendete i dati, mentre dall’altra parte il dollaro è ancora ad oggi, fino a prova contraria, un bene rifugio, quindi è una sorta di hedge intrinseco del portafoglio.
– Numero TRE — e questo non è un problema da poco — questo è un ETF veramente minuscolo, con appena 11 milioni di asset under management.
Poi è vero che è stato lanciato ad Agosto con un solo milione e ha già decuplicato le dimensioni in un anno.
Sotto i 100 milioni però credo non mi sognerei di metterci dei soldi, più che altro per il rischio che Wisdomtree ad un certo punto lo reputi poco profittevole e lo chiuda.
Se dovesse aumentare significativamente il volume sarebbe sicuramente uno strumento interessante da valutare. Ad oggi è però ancora decisamente troppo di nicchia.
C’è da dire che NTSX fa tutta sta roba con appena lo 0,2% di costi, quindi se non altro da questo punto di vista è perfettamente in linea con gli standard di un buon ETF.
Peccato che sia ancora piccino.
Cresci bene piccolo NTSX e caso mai ci si rivede!
Comunque, questo ragionamento su NTSX si inserisce in un più ampio discorso sulla diversificazione dei portafogli e sulla loro armonizzazione alle quattro fasi dei cicli economici, ossia Crescita, Inflazione, Recessione, Reflazione e via di nuovo che la giostra ricomincia, che sarà oggetto, se non cambio idea, del prossimo capitolo della nostra saga epica nel mondo della finanza personale.
Bene, cari amici e care amiche di The Bull, anche oggi siamo giunti al termine dell’episodio che spero sia stato di vostro gradimento.
Di NTSX abbiamo parlato perché è un prodotto molto affascinante e perché risponde ad un più ampio e complesso problema legato a come costruire un portafoglio realmente diversificato in maniera evoluta.
Però obiettivamente mi riesce difficile immaginare che sia qualcosa di investibile per l’investitore europeo.
Negli Stati Uniti ha asset under management per oltre un miliardo di dollari.
Qua, con 11 milioni di Euro, obiettivamente è complicato.
Li altri 2 barra 3 sono invece prodotti interessanti che meritano qualche ragionamento in uno di questi due casi:
– Se si ritiene che una gestione attiva possa portare alpha all’investimento sull’S&P, pur senza sacrificare un’esposizione pressoché completa all’S&P — e in tal caso mi riferisco al fondo di JP Morgan, oppure
– Se si ritiene che si possa diversificare l’esposizione all’S&P, attenuando il peso del settore tecnologico che ormai è diventato stradominante — e in questo caso invece è l’Ossiam Barclay Shiller ecc. a fare il proprio lavoro.
A voi ora fare le vostre valutazioni e molto probabilmente investire solo nell’MSCI World senza troppe pippe mentali e tanti saluti.
Ringrazio intanto il nostro partner Scalable Capital per essere stato il nostro sponsor oggi e vi ricordo il link nella descrizione dell’episodio se volete aprire un account e investire in ETF a bassissimo costo tramite uno dei broker leader in Europa, cosa che naturalmente farà piacere al sottoscritto per la spontanea e disinteressata simpatia verso gli amici di Scalable, ma ancora di più perché ciò darà un contributo a mandare avanti la baracca di The Bull.
E sempre per mandare avanti la di cui sopra baracca vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi fanno conoscere prodotti straordinari che sfidano le leggi dell’aritmetica al punto che 90 + 60 può ancora fare 100 per poi dirvi che non potete investirci perché sono troppo piccoli sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo capitolo della nostra incredibile storia d’amore tra ormai quasi 200.000 persone, ammazza che ammucchiata che viene fuori, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Oh non vedevo l’ora di fare quest’episodio perché va bene tutto, i concetti generali, i principi universali dell’investimento e tutta la roba intelligente di cui parliamo qui e che sapientemente arraffo in giro per il mondo.
Ma la verità è che io ho un piacere ai limiti della depravazione verso i prodotti d’investimento, avete presente? Andarli a spulciare, leggere i documenti informativi, guardare come sono fatti dentro con la stessa perversa curiosità di quelli che causano le code in autostrade perché rallentano per guardare le auto incidentate nell’altra corsia.
Poi aggiungete che parlare dell’S&P 500 per me è un po’ come per un bambino parlare dei regali che vuole per Natale, capite che oggi mi concedo un episodio in cui faccio la combo perfetta per soddisfare tutti i miei desideri!
Oggi parliamo di tre ETF strani, dietro ai quali c’è un bel po’ di roba da dire, e di sua maestà l’S&P 500, l’indice più amato da grandi e piccini in cui tanta speranza riponiamo tutti perché un domani ci faccia ricchi così come per generazioni ha fatto ricchi i cowboys al di là dell’Atlantico.
Non so se si nota l’eccitazione che trapela dalle mie parole, ma poche cose come un ETF sull’S&P 500 mi scaldano il cuore.
Occhio ad appassionarvi di finanza che questa è la fine che farete e tutti vi prenderanno per degli psicopatici.
Finita la consueta overture di stronzate, di cosa parliamo oggi.
Che parliamo di investimenti sull’S&P 500, l’indice delle 503 società più capitalizzate degli Stati Uniti si era capito (tra l’altro 503 perché Google ne ha due, le Alphabet A e le Alphabet C e poi non mi ricordo le altre due di troppo quali sono).
Però oggi non parliamo dei soliti ETF di Vanguard, di Ishares o di chi vi pare che replicano paro paro l’indice.
Oggi vediamo tre ETF speciali che in qualche modo si basano sull’S&P 500, o comunque sulle large cap americane, e che però fanno tutta una serie di cose particolari.
Proprio mentre sto scrivendo quest’episodio, manco a farlo apposta è uscito un articolo sul Wall Street Journal in cui viene spiegato che l’S&P 500 in effetti non è più quello di una volta e che in particolare non è più così diversificato come un tempo.
I punti di attenzione dell’articolo sono i seguenti:
– In primis la concentrazione nei settori Tech e Financial Services è ai massimi storici: in pratica il 42% dell’indice è concentrato in quei soli due settori, cosa che comporta una maggiore sensibilità dell’indice ai tassi di interesse, diversamente da quanto poteva accadere 50 anni fa quando il settore industriale era il principale e pesava per un terzo del totale.
Maggiore sensibilità ai tassi di interesse vuol dire, inevitabilmente, maggiore volatilità.
– Ad aggiungere volatilità ci si mette anche il fatto che soprattutto per via della concentrazione in realtà tech, tipicamente poco avvezze alla distribuzione di dividendi, il rendimento da dividendo medio dell’S&P è sceso da 4,11% negli anni ’70 a 1,45% oggi. Se è vero che i dividendi non sono fiscalmente molto efficienti, sono tuttavia uno strumento che riduce la volatilità perché mitiga le perdite nei momenti di down.
– Infine, è aumentata la correlazione con gli altri mercati sviluppati. Negli anni 70 era 0.24, mentre oggi è salita a 0.7. Questo non significa che diversificare globalmente sia inutile, anzi, però è probabile che avere un’esposizione azionaria internazionale non crei contrappesi nei momenti negativi di mercato. Oggi invece è più probabile che, pur con valori diversi, i mercati azionari vadano o tutti su o tutti giù all’unisono.
L’articolo si conclude con la raccomandazione di diversificare ulteriormente il portafoglio anche con asset class che vanno al di là di azioni e obbligazioni e in generale di considerare il fatto che avere un ETF che replica 500 aziende, in realtà, non significa essere particolarmente diversificati.
Non è un caso che stiano quindi crescendo gli ETF sull’S&P 500 che provano ad ottimizzarne le performance rispondendo a temi diversi tra quelli che abbiamo appena accennato ed è per questo che oggi vediamo tre strumenti che replicano il nostro indice del cuore con alcuni punti di vista tutti particolari.
Andando in ordine di difficoltà parleremo di questi tre prodotti:
– UNO: il JPMorgan US Research Enhanced Index Equity (ESG) UCITS ETF USD (acc), che però potete comodamente trovare con il ticker JREU
– DUE: l’Ossiam Shiller Barclays CAPE® US Sector Value TR UCITS ETF 1C (EUR), ticker CAPU e infine, dulcis in fundo e con una dedica ad un grande amico di The Bull San Nicola Protasoni da Zurigo parleremo del numero
– TRE: ossia del WisdomTree US Efficient Core UCITS ETF USD Unhedged Acc, ticker NTSX, che tra l’altro non è solo un ETF sull’S&P 500 ma un vero e proprio portafoglio 60/40 sotto steroidi.
Se non avete capito niente state tranquilli che tanto nel corso dell’episodio li ripeto 50 volte e poi li scrivo anche nella descrizione dell’episodio.
Disclaimer soprattutto per l’autorità di vigilanza.
Come per qualunque altro contenuto del podcast, ma a maggior ragione oggi, il fatto di parlare di questi tre strumenti NON RAPPRESENTA UNA QUALSIVOGLIA RACCOMANDAZIONE DI INVESTIMENTO.
Se volete investire in questi prodotti — e siete certi di averne compreso appieno il funzionamento e i rischi e ritenete che sia adatto alla vostra situazione finanziaria — allora investiteci, altrimenti lasciate perdere.
Lo scopo dell’episodio di oggi come del podcast tutto è di natura meramente descrittiva.
Oggi vedremo quindi questi tre prodotti molto particolari, che nella fattispecie sono un ETF attivo, un ETF fattoriale con delle regole tutte sue e un ETF che utilizza la leva per fare una serie di cose che diremo dopo.
Però…
Posso mai fare un episodio dedicato a tre specifici ETF e non dedicare neanche un minuto al momento sponsor?
Dai non scherziamo.
Infatti se per qualche motivo deciderete che possa essere una buona idea investire in questi prodotti, sicuramente un buon modo per farlo ai migliori costi che troverete in Europa è attraverso il nostro partner Scalable Capital, che ringrazio per essere sponsor dell’episodio di oggi.
Con il piano gratuito Free Broker avete la possibilità di fare PAC in ETF a zero commissioni e non pagate le commissioni di transazione per acquisti singoli di ETF di IShares, Xtrackers e Invesco oltre i 250 €, altrimenti parliamo di 99 centesimi a transazione.
Con il piano Prime plus da 4,99 € al mese, invece, non pagherete alcun costo di transazione su qualunque ETF acquistato per importi superiori a 250 €, avrete pieno accesso alla piattaforma di intelligence Scalable Insights realizzata con Blackrock e 4% di interessi sulla liquidità depositata per 4 mesi e poi 2,6% all’anno.
Nella descrizione dell’episodio trovate un link per aprire un account su Scalable il quale sarà felice di pagare al sottoscritto una commissione in natura composta da bancali di bratwurst e secchi di crauti.
Birra no invece perché come noto non bevo alcolici e ho con la birra la stessa reazione di un bambino quando gli dai un antibiotico.
Molto bene.
E anche oggi la pagnotta ce la siamo portata a casa.
Prima di cominciare la rassegna però vorrei subito consolare la delusione di chi si aspettava che avrei parlato del nuovissimo ETF di Ishares ma proprio nuovo nuovo di pacca che più nuovo non si può, quotato lo scorso 28 giugno, chiamato iShares Large Cap Max Buffer Jun.
Me l’avete segnalato in cinquanta uno dietro l’altro.
Ne ha parlato la Stampa, la Repubblica, altri giornali, tanto che mi chiedevo come avessi fatto a perdermelo.
Ragazzi io vi voglio bene, se volete ne parliamo, è un ETF simpatico sull’S&P 500 che cappa i rendimenti al 10% e garantisce il capitale secondo certe regole, però, non so come dire, non rimaneteci male ma … eh non lo potete comprare.
Non è un ETF UCITS, è quotato negli Stati Uniti e a meno che voi non siate Qualified Investor, ossia investitori qualificati con patrimoni investiti oltre 500.000 € e un’esperienza di almeno un anno nel settore finanziario, i non UCITS non li potete comprare e comunque anche se voleste non è così semplice trovare un broker che ve li venda.
Andiamo invece ai nostri magnifici 3.
PRIMO ETF SPECIALE: JPMorgan US Research Enhanced Index Equity (ESG) UCITS ETF USD (acc), ticker JREU, che è un ETF bello ciccione da 7,5 miliardi di dollari.
Partiamo da quello che fa e dal suo obiettivo.
Cito dal factsheet: Il fondo mira a conseguire un rendimento a lungo termine superiore a quello dello Standard & Poor’s (S&P) 500 Index (Total Return Net), investendo attivamente in prevalenza in un portafoglio di società statunitensi.
Chiaro no.
Trattasi di ETF a gestione attiva, quindi c’è un gestore più o meno umano che prende decisioni dietro, ma diversamente da un fondo comune d’investimento è quotato in borsa, come tutti gli ETF naturalmente.
Ora, come si propone di battere l’imbattibile S&P 500?
Sempre nel factsheet c’è tutta la supercazzola della metodologia utilizzata che vi riporto testé:
– Allora, segue un processo di selezione dei titoli bottom-up basato sull’analisi dei fondamentali.
– Sovrappesa i titoli con il maggiore potenziale di sovraperformance e sottopesa quelli ritenuti sopravvalutati.
– Mantiene un approccio disciplinato a rischio controllato e qui non so cosa intenda, poi cerchiamo di capirlo, e infine
– Applica uno screening basato su valori e norme e implementa soglie di investimento minimo per le società con caratteristiche ESG positive.
Comunque in pratica l’idea è di prendere fondamentalmente l’indice e di aggiustarlo leggermente in base a questi criteri cercando di creare un extra rendimento di tipo alpha, ossia basato sulle decisioni specifiche dei gestori.
Oh, c’è da dire che da quando il fondo è stato lanciato nell’ottobre del 2018, effettivamente ha battuto ogni singolo anno l’S&P 500.
Nel factsheet dichiara un alpha a 5 anni, ossia — diciamola male — una percentuale di extra rendimento non sistematico, dell’1,15% all’anno.
Se vediamo gli ultimi 5 anni ha fatto, rispetto all’S&P:
– Nel 2019 il 31% contro il 30,7
– Nel 2020 ha fatto il 19,94% contro il 17,75%
– Nel 2021 29,93% contro il 28,16
– Nel 2022 hanno fatto schifo entrambi, -18,76 contro -18,5 (quindi qui leggermente meglio l’indice) e infine
– Nel 2023 27,6% contro 25,67.
Insomma, giù il cappello.
A quanto pare gli amici di JP Morgan riescono a ottenere una performance leggermente superiore all’indice.
E leggermente poi mica tanto, perché 10.000 € investiti al lancio sarebbero diventati 20.300 nell’S&P e 21.500 con il fondo JP Morgan.
Difficile dire cosa abbia portato a questa sovraperformance e se sarà sistematica a lungo termine.
Certamente nella composizione degli asset sottostanti c’è qualche leggera differenza che a cui sembra imputabile l’extrarendimento.
Per esempio da gennaio a fine maggio, ultimi dati che abbiamo a disposizione sul factsheet, JREU ha fatto quasi un punto percentuale di extra rendimento in più rispetto ad un ETF standard sull’S&P.
Se andiamo a guardare le prime dieci posizioni nel portafoglio possiamo notare, per esempio,
– che Microsoft è sovrappesata di quasi mezzo punto, 7,4% contro 6,94%;
– stesso discorso per Nvidia, 6,6 contro 6,1
– idem Amazon, 4% contro 3,6%
– inoltre, se le prime 8 società sono le stesse, ossia le Magnifiche 6 più Berkshire e Eli lilly, JREU privilegia la società petrolifera Exxon Mobil a … beh questa fa un po’ ridere in effetti … a JP Morgan!
Alla fine stai a vedere che la genialata di JP morgan per battere l’S&P è stata sottopesare proprio JP Morgan.
Scherzi a parte comunque, il solo fatto che Nvidia da sola abbia contribuito per un terzo a tutta la crescita dell’S&P 500 quest’anno fa sì che anche solo uno 0,5% in più di peso attribuito a questa società sposti nettamente il risultato complessivo del fondo.
Anche i costi, bisogna dirlo, sono assolutamente nel range che uno si potrebbe aspettare da un ETF, visto che parliamo dello 0,2% all’anno.
Ammetto che ho cercato in tutti i modi di trovare qualcosa per screditare questo fondo ma non ci sono riuscito.
Visto così, niente da dire.
Poi è anche vera un’altra cosa.
5 anni di track record non sono niente, in particolare all’interno di un lungo periodo di bull market.
Durante l’unico anno negativo, il 2022, il fondo ha fatto leggermente peggio dell’indice e questo si potrebbe spiegare con il fatto che il fondo ha un Beta leggermente superiore a 1, per cui si va a prendere una maggiore volatilità positiva quando l’S&P cresce e una maggiore volatilità negativa quando va giù.
Nei prossimi anni vedremo come performerà e soprattutto come si comporterà alla prima crisi severa che l’azionario dovesse affrontare.
Non che il 2022 non lo sia stato, ma stiamo davvero parlando di un solo anno molto negativo dentro una sequenza di 15 anni spettacolari.
Già che siamo in argomento, comunque, è vero che oggi parliamo di ETF sull’S&P 500, ma vale la pena segnalare che sempre di questa famiglia di JP Morgan esiste anche la versione sull’azionario Globale.
Non che cambi molto, fondamentalmente tutti gli indicatori di performance (alfa, rendimento, volatilità e tutto il resto) sono praticamente gli stessi di quello sull’S&P.
Il motivo è molto semplice: rispetto al MSCI World, questo ETF sovrappesa ulteriormente gli Stati Uniti fino al 71%.
E’ naturale che la correlazione tra i due ETF sia pressoché totale.
Rispetto all’altro costa un pelino di più 0,25% contro 0,2%, ma siamo sempre dentro valori accettabili.
Comunque va beh, questo era facile, poco da dire.
ETF attivo, bravi i gestori che hanno sfruttato il momentum di alcune società che stanno crescendo a dismisura come Nvidia, ma per il resto si tratta semplicemente di ottimizzare l’S&P senza discostarvisi più di tanto.
Il prossimo invece è proprio tutta un’altra storia.
SECONDO ETF SPECIALE: l’Ossiam Shiller Barclays CAPE® US Sector Value TR UCITS ETF 1C (EUR), acquistabile con il ticker CAPU, ETF decisamente più piccolo del precedente, anche se di dimensioni
Ossiam è una società francese di asset management, non tra quelle più importanti che citiamo di solito come Ishares, Vanguard, o le europee Xtrackers e Amundi.
Però ha questa linea di prodotti molto particolari che di fatto cercano di ottenere un extra rendimento sfruttando fattori e altri criteri.
In particolare CAPE è un ETF che, come si legge dal factsheet,
utilizza un approccio sistematico di tipo Value che si basa sulle ricerche del Professor Robert Shiller.
Tale strategia offre un’esposizione al mercato azionario americano attraverso la rotazione settoriale basata sull’indice Cyclically Adjusted Price-to-Earnings (CAPE®) per selezionare quei settori potenzialmente sottovalutati.
Questa strategia è stata creata per offrire un’esposizione al mercato azionario ad alta capitalizzazione con uno stile Value ed è adatta agli investitori buy-and-hold con un orizzonte temporale pluriennale.
Sempre nel factsheet si dice che questa strategia avrebbe i seguenti vantaggi:
▪ Esposizione ai titoli americani attraverso un approccio di selezione di settori industriali basato sull’indicatore CAPE®
▪ Metrica di valutazione ampiamente utilizzata che si basa sui lavori del Professor Shiller
▪ Un processo di investimento che intende identificare quei settori potenzialmente sottovalutati nel lungo periodo.
Che in pratica è la stessa cosa che avevano detto prima, ma si vede che non sapevano come riempire il prospetto informativo.
Qui comunque ci sono due criteri in gioco:
– da una parte c’è il fattore Value, ossia l’idea di privilegiare l’investimento in società con alto book value rispetto al prezzo;
– dall’altra, però — e questo è il tratto più propriamente distintivo dell’ETF — viene utilizzato lo Shiller CAPE ratio per assegnare determinati pesi ai vari settori rappresentati nell’S&P, privilegiando quelli più sottovalutati e sottopesando quelli sopravvalutati.
Come sapete lo Shiller CAPE ratio è il rapporto tra prezzi e utili degli ultimi 10 anni aggiustato per inflazione, ad oggi considerato la migliore metrica predittiva sul rendimento futuro delle azioni americane.
CAPE alto, rendimento atteso basso.
CAPE basso, rendimento atteso alto.
Il fatto però che sia la migliore metrica predittiva, non significa che sia un’efficace metrica predittiva o che in generale sia utile per fare timing sul mercato.
Qui però tocca entrare in un dibattito complesso, che magari riprendo in un episodio dedicato.
Comunque, da una parte la correlazione storica del CAPE con il ritorno a 10 anni dell’S&P 500 è dello 0,43.
Tradotto: lo Shiller CAPE ratio è in grado di prevedere il rendimento dei dieci anni successivi con una probabilità del 43%, quindi meno di metà delle volte.
Se consideriamo solo il dopoguerra la correlazione sale a 0,7 e addirittura 0,9 dopo la Great Financial Crisis.
Da una parte sembra che sia una metrica molto precisa per stimare i rendimenti futuri.
Dall’altra parte c’è chi sostiene che i valori siano difficilmente confrontabili nel tempo, anche per via di come sono cambiate negli anni le regole contabili per determinare gli utili di una società.
Oggi il CAPE è a 34, quindi vuol dire che siamo oltre al 97° percentile.
Questo significa che la probabilità che l’S&P nei prossimi 10 anni produca ancora il suo rendimento storico di circa il 10% all’anno è nell’ordine di 3 deviazioni standard, ossia 0,3%.
Se vi chiedessi: “sareste disposti a scommettere su una cosa che ha lo 0,3% di probabilità di verificarsi” voi mi direste “ma sto cazzo”.
Però ci sono due però:
– primo però: dire che lo Shiller Cape ratio permetta di stimare i rendimenti a 10 anni non equivale a dire che grazie ad esso sia possibile prendere decisioni d’investimento di conseguenza; nel 2014 il CAPE ratio prospettava un rendimento medio dell’S&P nei 10 anni successivi intorno al 5% e poi ha fatto più del 12; prima o poi magari ci sarà una regressione verso la media che farà tornare tutti i conti, ma modificare il portafoglio di conseguenza e soprattutto sapere esattamente QUANDO farlo è tutto un altro discorso;
– il secondo però lo capiscono solo quelli che hanno studiato statistica: ossia tutto questo bel discorso funziona a condizione che i rendimenti del mercato seguano una distribuzione normale, ossia di distribuiscano con la forma della curva a campana di Gauss.
In realtà questa cosa è tutt’altro che certa.
Nassim Taleb per esempio è un noto critico dell’uso della curva di gauss in finanza che lui nel Cigno Nero chiama la Grande Frode Intellettuale, perché si baserebbe sull’utilizzo di uno strumento proprio degli ambiti scientifici per una roba assolutamente non scientifica come la finanza.
Cmq al di là di quel che dice Taleb, che è roba molto complicata, noi oggi sappiamo che i rendimenti annuali del mercato seguono più o meno la distribuzione normale, ma se prendiamo invece i rendimenti a dieci anni la distribuzione non è per niente normale e presenta un’evidente skewness, un’inclinazione verso destra.
Dato che lo Shiller CAPE cerca di prevedere i rendimenti a 10 anni, non è necessariamente vero che il fatto di avere multipli a 34 implichi una probabilità prossima a zero di avere rendimenti in linea con la media storica.
Magari sarà così, ma non è scontato.
E applicare le regole statistiche della distribuzione normale su delle variabili con NON seguono una distribuzione normale è come orientarsi con la cartina di Firenze mentre si gira per Roma…
Comunque, giusto o sbagliato che sia, sto ETF prende i settori dell’S&P con il CAPE ratio più basso e li sovrappesa e fa il contrario con quelli con il CAPE ratio più alto, più o meno.
Qui la differenza rispetto alla composizione dell’S&P è nettamente più marcata.
Per esempio:
– il settore principale dell’S&P è Information Technology, con oltre il 33% del peso. CAPU invece praticamente non investe in Information Technology, come ad esempio in Microsoft o Nvidia.
– I 4 settori privilegiati da CAPU sono invece:
– Communication Services, rappresentati in particolare da Google e Meta;
– Consumi discrezionali, in cui credo rientri Amazon come big name
– Servizi Finanziari
– Materiali e un pizzico di
– Real Estate
Se andiamo a vedere i primi 10 titoli abbiamo:
– Amazon, con il 6%
– Google con il 5,8%
– Meta con il 5,7% e poi la prima sorpresa
– Linde addirittura 10 volte più grande che nell’S&P, con il 5,19%
– Poi Tesla, Berkshire, Home Depot, Jp Morgan, Freeport Mcmoran che non so che cazzo faccia, così come Sherwin Williams
Anche in questo caso, niente da dire, la strategia ha pagato.
Il fondo è stato lanciato nel giugno del 2015 e da allora ad oggi ha realizzato una performance annualizzata del 14,24% contro il 13,24% dell’S&P.
Un punto percentuale all’anno per 9 anni è tanta roba; se avessimo investito i canonici 10.000 € all’inizio oggi avremmo circa 30.000 con l’S&P e oltre 33.000 con CAPU.
Nel prospetto si legge che il fondo ha un beta leggermente inferiore a 1, quindi dovrebbe avere un volatilità inferiore all’S&P, e un alpha di 1,2% all’anno, ossia di extra rendimento specifico.
Qui però abbiamo una sorpresa rispetto al fondo di JP Morgan, che anche quest’anno sta davanti all’S&P.
Da gennaio a fine giugno, mentre l’S&P ha macinato un impressionante 18,6%, l’Ossiam Barclays Shiller e tutto il resto ha fatto solo il 9,9%.
La metà praticamente.
Il motivo?
E chi lo sa.
Azzarderei che non avere Microsoft e soprattutto Nvidia in questa prima parte dell’anno non abbia pagato.
Bisogna inoltre aggiungere che è vero che il fondo in questi 9 anni ha fatto complessivamente meglio dell’S&P — e neanche di poco.
Ma questo extra rendimento è stato tutto concentrato nei primi 4 anni, dato che negli ultimi 5 anni l’S&P ha fatto il 15,8% di media all’anno contro il 15,2% dell’Ossiam.
Insomma, negli ultimi 5 anni la combinazione di fattore Value + selezione basata sullo Shiller CAPE ratio non ha pagato perché l’estrema concentrazione dell’S&P ha fatto sì che il grosso del ritorno dell’indice sia stato dovuto ad una manciata di mega tech company che, almeno dal punto di vista teorico, appiano piuttosto sopravvalutate con i loro multipli altissimi.
Possiamo aspettarci una regressione?
Cioè possiamo aspettarci che ad una certa Nvidia and friends si sgonfino e che le società Value si riprendano il loro posto?
Possibile, del resto sono più di 15 anni che le società Value sottoperformano il mercato, dominato com’è dalle mega big tech della west coast, prima o poi la ruota girerà anche dall’altra parte.
Nota dolente di questo ETF che comunque resta molto interessante, soprattutto per gli scettici che sono preoccupati dall’eccessiva concentrazione del mercato americano e che si aspettano un più o meno imminente crollo, sono i costi.
Il nostro bel CAPU costa la bellezza di 0,65% all’anno.
Tantissimo!
Sovraperformare l’S&P con 0,65% di costi da sostenere non è banale.
Diciamo che, per come la vedo, il motivo per cui uno dovrebbe investire in un prodotto come questo non dovrebbe essere l’aspettativa di ottenere un extra rendimento rispetto all’S&P.
Potrebbe ottenerlo, ma abbiamo visto che negli ultimi 5 anni così non sarebbe stato.
Può essere però una forma di diversificazione, rispetto ai tradizionali indici fatti tutti allo stesso modo che privilegiano tutti le stesse società.
La correlazione con il mercato è naturalmente molto alta, ma è possibile che in momenti di difficoltà del mercato questo indice possa reagire meglio.
Non è un caso che nel 2022, quando l’S&P ha perso oltre il 18%, tirato giù dal tonfo temporaneo delle Magnifiche 7, CAPU abbia perso solo il 9%.
Quindi lo vedo più come un diversifier sulla parte equity Stati Uniti che non come una scommessa per un extra performance.
Oh e anche qui tutto abbastanza semplice.
Oddio, per un attimo mi sono imbarcato in quella roba sulla curva di Gauss e c’è mancato un pelo che non cominciassi a dire bestemmie come Lognormale o Kurtosis, ma per fortuna mi sono fermato prima.
Veniamo invece al piatto forte della serata.
Il TERZO ETF SPECIALE è gentilmente offerto da Wisdomtree e si chiama US Efficient Core UCITS ETF USD Unhedged Acc, ticker NTSX.
Allora qui bisogna spiegare un po’ di cose.
Come dovreste sapere perché l’ho ripetuto fino alla nausea, il portafoglio modello diversificato per eccellenza che in qualche modo incarna i principi della Modern Portfolio Theory e del CAPM è il 60/40, che nella sua leggendaria versione americana è:
– 60% Total US Market, quindi non solo S&P ma tutto il Russell 3000 e poi
– 40% Treasury a scadenza intermedia.
Come noto l’idea è quello di ottenere un miglior risk-adjusted return rispetto ad un portafoglio 100% azionario, ossia di ottenere un rendimento ottimizzato per un certo livello di rischio che l’investitore medio è disposto ad assumersi.
Da una parte però il 60/40 ha una correlazione praticamente perfetta con il mercato, per via del suo equity beta.
Cioè il portafoglio 60/40 va su quando il mercato va su e va giù quando il mercato va giù.
Dall’altra però è vero che i Treasury hanno una correlazione variabile, che come abbiamo detto nell’episodio 106 è passata negli anni da essere positiva a negativa e nuovamente positiva come nel momento in cui sto parlando.
Però in generale le obbligazioni offrono una buona decorrelazione rispetto al mercato azionario e sul lungo termine la correlazione con le azioni è -0,07, quindi leggermente negativa, che in pratica significa che in media hanno un comportamento indipendente.
Però appunto non si può avere la celebre botte piena e la moglie ubriaca allo stesso tempo.
Se vogliamo mitigare il rischio dell’esposizione azionaria, l’inserimento di obbligazioni in portafoglio ci dà decorrelazione ma ci porta via anche la volatilità positiva, ossia i grossi ritorni derivanti dai momenti di bull run delle azioni.
Wisdomtree avrebbe un po’ trovato il Sacro Graal con la sua formula magica per portarsi a caso il meglio di entrambi i mondi ossia:
– Il rendimento monstre dell’S&P 500 e allo stesso tempo
– La diversificazione e la funzione di copertura che le obbligazioni garantiscono quando il mercato va giù (a meno che il mercato vada giù per un rialzo dell’inflazione come noto).
Come riuscire in quest’impresa?
Con la leva.
In pratica Wisdom Tree ha creato questo ETF multiasset composto in questo modo:
– 90% nell’S&P 500 mentre il
– 10% va in buoni del tesoro a breve termine che fanno da collaterale per avere un’esposizione al 60% verso futures sui Tresaury americani, costruendo una scaletta di bond con scadenze a 2, 5, 10 e 30 anni.
Quindi NTSX è a tutti gli effetti un portafoglio 90/60.
Come è possibile fare 90/60?
Con la leva.
Fondamentalmente NTSX investe il 90% del suo capitale in maniera standard nell’S&P e poi usa il 10% rimanente che investe in titoli di stato a breve che dà in garanzia per avere un’esposizione, tramite futures ai titoli di stato americani intermedi, per un controvalore equivalente al 60% del capitale dell’ETF.
Detto altrimenti, se voi investite 10.000 € in NTSX, 9.000 vanno nell’S&P 500 e con gli altri 1.000 si ottiene un’esposizione ai titoli di Stato USA per un valore di 6.000 €.
Ora, qual è il senso di questo strumento?
In sé e per sé l’idea è quella di creare un portafoglio con la volatilità positiva di un’esposizione quasi completamente azionaria, ma allo stesso tempo con la possibilità di diversificare attraverso la componente obbligazionaria.
In qualche modo credo che l’idea sia quella di tagliare la coda sinistra dei rendimenti (diciamo la volatilità negativa, quella che non ci piace perché il mercato sta andando già) e sfruttare invece quella positiva.
In questo modo è anche possibile creare portafogli che sfruttino il principio del Risk Parity, tra cui quello del nostro buon Nicola, che riescono ad introdurre anche altre asset class nel portafoglio senza dover compromettere l’esposizione azionaria.
Ammettiamo che uno abbia 100.000 euro e volesse investire come fa Nick.
Grazie a NTSX e ad un ulteriore uso della leva avrebbe:
– 90.000 € in azionario;
– 10.000 € in obbligazionario, che però danno esposizione a 60.000 € sui Treasury grazie ai futures;
– E poi ci sono altri 33.000 € disponibili da utilizzare su altri asset decorrelati dalla coppia stocks/bonds, come materie prime, inflation linked o come fa lui ETF trend following e tail hedging (che però in Europa non ci sono) grazie al ricorso ad una leva del 33% sul patrimonio.
In pratica è come avere un 60/40 pompato con in più ulteriore esposizione ad altri asset.
Quali sono gli aspetti negativi di questa cosa?
– Numero UNO: la leva non è gratis, né quella di NTSX, né quella che offre il broker con cui investi; poco che costi, parliamo del risk-free rate più uno spread (quindi siamo sopra al 4%, visto che l’Euribor a tre mesi e a 3,7%);
– Numero DUE: è prodotto 100% US, quindi rischio di mercato Stati Uniti e rischio valutario dollaro.
Dall’altra parte si potrebbe allo stesso tempo obiettare che la correlazione tra mercato US e il resto del mondo sviluppato è ormai altissima, 0.7-0.8 a seconda di dove prendete i dati, mentre dall’altra parte il dollaro è ancora ad oggi, fino a prova contraria, un bene rifugio, quindi è una sorta di hedge intrinseco del portafoglio.
– Numero TRE — e questo non è un problema da poco — questo è un ETF veramente minuscolo, con appena 11 milioni di asset under management.
Poi è vero che è stato lanciato ad Agosto con un solo milione e ha già decuplicato le dimensioni in un anno.
Sotto i 100 milioni però credo non mi sognerei di metterci dei soldi, più che altro per il rischio che Wisdomtree ad un certo punto lo reputi poco profittevole e lo chiuda.
Se dovesse aumentare significativamente il volume sarebbe sicuramente uno strumento interessante da valutare. Ad oggi è però ancora decisamente troppo di nicchia.
C’è da dire che NTSX fa tutta sta roba con appena lo 0,2% di costi, quindi se non altro da questo punto di vista è perfettamente in linea con gli standard di un buon ETF.
Peccato che sia ancora piccino.
Cresci bene piccolo NTSX e caso mai ci si rivede!
Comunque, questo ragionamento su NTSX si inserisce in un più ampio discorso sulla diversificazione dei portafogli e sulla loro armonizzazione alle quattro fasi dei cicli economici, ossia Crescita, Inflazione, Recessione, Reflazione e via di nuovo che la giostra ricomincia, che sarà oggetto, se non cambio idea, del prossimo capitolo della nostra saga epica nel mondo della finanza personale.
Bene, cari amici e care amiche di The Bull, anche oggi siamo giunti al termine dell’episodio che spero sia stato di vostro gradimento.
Di NTSX abbiamo parlato perché è un prodotto molto affascinante e perché risponde ad un più ampio e complesso problema legato a come costruire un portafoglio realmente diversificato in maniera evoluta.
Però obiettivamente mi riesce difficile immaginare che sia qualcosa di investibile per l’investitore europeo.
Negli Stati Uniti ha asset under management per oltre un miliardo di dollari.
Qua, con 11 milioni di Euro, obiettivamente è complicato.
Li altri 2 barra 3 sono invece prodotti interessanti che meritano qualche ragionamento in uno di questi due casi:
– Se si ritiene che una gestione attiva possa portare alpha all’investimento sull’S&P, pur senza sacrificare un’esposizione pressoché completa all’S&P — e in tal caso mi riferisco al fondo di JP Morgan, oppure
– Se si ritiene che si possa diversificare l’esposizione all’S&P, attenuando il peso del settore tecnologico che ormai è diventato stradominante — e in questo caso invece è l’Ossiam Barclay Shiller ecc. a fare il proprio lavoro.
A voi ora fare le vostre valutazioni e molto probabilmente investire solo nell’MSCI World senza troppe pippe mentali e tanti saluti.
Ringrazio intanto il nostro partner Scalable Capital per essere stato il nostro sponsor oggi e vi ricordo il link nella descrizione dell’episodio se volete aprire un account e investire in ETF a bassissimo costo tramite uno dei broker leader in Europa, cosa che naturalmente farà piacere al sottoscritto per la spontanea e disinteressata simpatia verso gli amici di Scalable, ma ancora di più perché ciò darà un contributo a mandare avanti la baracca di The Bull.
E sempre per mandare avanti la di cui sopra baracca vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi fanno conoscere prodotti straordinari che sfidano le leggi dell’aritmetica al punto che 90 + 60 può ancora fare 100 per poi dirvi che non potete investirci perché sono troppo piccoli sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo capitolo della nostra incredibile storia d’amore tra ormai quasi 200.000 persone, ammazza che ammucchiata che viene fuori, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025