Investire in Oro per proteggere e diversificare il Portafoglio (a volte…)

Con il prezzo dell'oro ai massimi storici non possiamo non fermarci a ragionare su come e quando la sua presenza possa aiutare a proteggere e diversificare il nostro portafoglio.Parleremo di performance storiche sorprendenti dell'oro e del suo potenziale ruolo nella nostra asset allocation.

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133. Investire in Oro per proteggere e diversificare il Portafoglio (a volte…)

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Risorse

Punti Chiave

L'oro agisce da inflation/currency hedge con rendimenti storici molto variabili e sensibili al timing d'investimento.

Inserire il 10-25% di oro in portafogli bilanciati migliora diversificazione, stabilità e riduce i drawdown, offrendo resilienza nelle crisi.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Appuntamento post Ferragosto di The Bull che vi aiuta a smaltire gli eccessi delle grigliate e vi prepara al rientro a settembre insinuandovi nuovi dubbi ora che pensavate che il vostro portafoglio fosse a posto così per sempre.

Patti chiari e amicizia lunga.

Più andrete avanti ad ascoltare questo podcast, maggiori saranno le vostre competenze, maggiore sarà la vostra consapevolezza e maggiori saranno, sempre di più e sempre più spinosi, i vostri dubbi.

Questa è la misura definitiva della conoscenza.

Farsi venire più dubbi possibili.

Le persone più competenti non sono quelle che sanno più cose, ma sono quelle che sanno così tante cose che non possono più smettere di farsi nuove domande.

E siccome la mia situazione è proprio questa, ossia che più cose imparo sul mondo della finanza, più interrogativi mi sorgono, mi sembra giusto trascinare anche tutti voi giù con me nel baratro del dubbio e dell’incertezza per costringervi a ragionare vostro malgrado e a prendere decisioni sempre più ponderate per gestire i vostri corposi patrimoni.

Intanto devo dire che ho un po’ di strizza mentre sto scrivendo quest’episodio con qualche giorno di anticipo rispetto a quando uscirà perché di sti tempi, dopo l’assurda settimana dal 5 al 9 di agosto in cui è successo letteralmente di tutto sui mercati. Ormai temo sempre che ci sia qualche evento clamoroso nel frattempo e che poi mi tocca fare episodi non previsti, come nel caso del numero 130 della settimana scorsa, fatto in fretta e furia per spiegare cosa fosse successo durante il nostro piccolo lunedì nero e perché fosse importante mantenere la calma e starsene tutti buoni al mare.

Se invece non crolla il mondo un’altra volta, ci sarebbe un tema che tormenta più del caldo i miei sonni inquieti, ossia quello del ruolo dell’ORO nel portafoglio.

Non è un tema nuovo di questo podcast, avevamo già dedicato l’ormai antico episodio 35 al biondo metallo, ma allora chi mi ascoltava era alle prime armi e quindi lo abbiamo toccato in maniera introduttiva, dicendo qualche cazzata qua e là come l’accostamento tra Warren Buffett e Zio Paperone, giusto per tratteggiare i concetti principali dell’argomento in maniera leggera.

100 episodi dopo, invece, che la pesantezza prenda il sopravvento! Il tempo è infin giunto per fare un episodio nettamente più approfondito e analitico, perché se mi state ancora ascoltando e non sto parlando al muro della casa in montagna in cui mi trovo, avete ormai tutti i mezzi per comprendere ciò di cui parleremo.

Prima di cominciare però, concedetemi un minuto per ricordarvi che se alla fine di quest’episodio doveste decidere che inserire oro nel portafoglio faccia al caso vostro, uno dei modi più convenienti per farlo è tramite il nostro partner Scalable Capital, broker tedesco tra i leader in Europa per investire in azioni, ETF e ovviamente ETC (visto l’argomento di oggi).

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Allora, chiusa la sezione pensioni per giovani che sono nati già vecchi, perché voglio parlare di oro e da cosa derivano le mie paturnie.

Un motivo è strettamente contingente.

Nel momento in cui sto scrivendo quest’episodio, il metallo prezioso più famoso di sempre ha sfondato la vertiginosa cifra di 2.500 dollari l’oncia.

Per i non avvezzi alle bizzarre misure anglosassoni, parliamo di oltre 80.000 dollari al chilo.

E di per sé questa cosa vorrebbe dire poco, ma come abbiamo raccontato in tutti i recap che facciamo nel primo episodio di ogni mese, quest’anno l’oro, bitcoin a parte, è l’asset class regina, con quasi il 21% di crescita da inizio gennaio ad oggi.

Giusto per fare un confronto, l’S&P 500 total return, quindi dividendi inclusi, al momento è su di circa il 17%, almeno alla chiusura di Ferragosto e grazie al filotto positivo di dati sull’inflazione (in discesa) e sulle vendite retail (in leggera crescita) anche se questo dato potrebbe cambiare parecchio prima dell’uscita dell’episodio, visto l’andazzo di questo euforico agosto pieno di colpi di scena.

Comunque, primo motivo è che siamo in una fase in cui l’oro è andato su tanto, la sua corsa sembra inarrestabile e pertanto, giusto o sbagliato che sia — sbagliato probabilmente — continua a frullarmi in testa la domanda: “che faccio? Compro o non compro?”.

Fear of missing out sicuramente…

Mai comprare un asset per paura di perdersi un treno.

Però è normale che il dubbio venga.

L’altro e più fondamentale motivo di riflessione riguarda invece il ruolo a lungo termine dell’oro nel portafoglio, come elemento di protezione e diversificazione.

Partiamo da questi due concetti, ossia in che senso l’oro può fungere da “safe haven”, da porto sicuro, e in che misura contribuisce al livello di diversificazione del portafoglio.

In linea generale, diciamo che l’oro ha tradizionalmente due funzioni, a livello finanziario.

Da una parte conserva il suo valore nel tempo al netto dell’inflazione, quindi può essere considerato un inflation hedge.

Se prendiamo i dati in dollari di Jeremy Siegel o di Damodaran, l’oro è cresciuto dal 1928 alla fine del 2023 ad un ritmo di circa il 4,9% all’anno, quindi un buon punto e mezzo in più dell’inflazione media americana e uno 0,3% all’anno in più rispetto ai Treasury.

L’oro, in linea di principio e in media — e questo “in media” è molto importante per quel che diremo tra poco — batte l’inflazione.

Inoltre ha una funzione sul piano valutario.

Oltre che essere inflation hedge è currency hedge.

O almeno in parte, visto che ad oggi e finché in futuro non dovesse verificarsi una reale destituzione del dollaro come moneta di riserva globale, l’oro è prezzato in dollari e se noi investiamo in oro di fatto stiamo investendo in una cosa esposta al rischio di cambio.

Però è verosimile che se un domani il dollaro cesserà di godere del suo stato iperprivilegiato, l’oro probabilmente continuerà a mantenere il suo valore rispetto alle più importanti valute globali.

Va inoltre detto che l’apprezzamento dell’oro tende spesso ad essere inversamente proporzionale al ciclo dei tassi di interesse, perlomeno nel breve-medio termine.

Ad esempio l’oro ha avuto un fortissimo periodo di rialzi dal 2000 al 2011 in concomitanza con il decennio nero per i mercati azionari e con le massicce operazioni della federal reserve e delle altre banche centrali per tagliare i tassi di interesse e dare stimolo all’economia.

Al contrario, il prezzo dell’oro ha visto una discesa fino al 2019, durante il decennio brillante dell’azionario americano e il leggero e graduale rialzo dei tassi di quel periodo, per poi impennare nuovamente con il covid e il nuovo taglio dei tassi a zero. Negli ultimi anni, poi, ha avuto una nuova risalita nei primi mesi del 2022, per l’esplosione dell’inflazione alimentata anche dell’invasione russa dell’Ucraina, una ridiscesa in concomitanza con l’aumento monstre dei tassi di interesse fino ad ottobre dell’anno scorso e poi, vi ricorderete, a fine ottobre in pratica si è cominciato a parlare del fatto che i tassi sarebbero stati tagliati massicciamente — anche se poi questa cosa non è esattamente avvenuta come previsto — ma da lì l’oro ha iniziato un rally che ancora non è terminato.

Certo, sicuramente i massicci acquisti di oro soprattutto da parte della Cina hanno sospinto al rialzo le quotazioni di recente.

In generale però l’oro tende ad apprezzarsi in due circostanze:

– All’inizio delle fasi ad alta inflazione, per via del suo ruolo naturale e universalmente riconosciuto di inflation hedge: cioè, quando c’è puzza di inflazione che sale, la gente compra oro;

– E poi quando le banche centrali tagliano i tassi o comunque c’è aria di politica monetaria espansiva. Il motivo? Beh il motivo è che quando hai tassi alti e puoi portarti a casa il 4-5% dai titoli di stato o addirittura dai fondi monetari a zero rischio, l’oro, che non paga cedole, è meno attrattivo. Quando invece gli asset risk-free vedono i loro rendimenti futuri ridursi — che è quello che succede quando le banche centrali riducono i tassi di interesse, soprattutto durante le recessioni — allora i bond sono meno interessanti e l’oro invece si apprezza.

Più o meno va così.

Più o meno.

Dico più o meno perché uno dei motivi di tormento è che l’oro è uno degli asset più schizofrenici sui mercati e il suo comportamento è davvero più imprevedibile di un tiro di dadi.

Ok, allora, come strumento di protezione ci siam capiti.

L’altro fatto riguarda la diversificazione — e questo è probabilmente il più importante.

Ad oggi l’oro è forse l’unica asset class, tra quelle più grandi e consolidate, a fornire una reale diversificazione di un portafoglio azionario.

Come sappiamo tutti molto bene, il cuore di ogni portafoglio che si rispetti è fatto di azioni e obbligazioni e l’allocazione 60/40 è il classicum classicorum degli investimenti finanziari dei risparmiatori privati.

Ma sappiamo altrettanto bene che non sempre le obbligazioni diversificano adeguatamente il portafoglio.

In contesti di recessione le obbligazioni tendono a fare meglio delle azioni perché gli investitori si rifugiano nei più sicuri titoli di stato e contestualmente perché le banche centrali allentano i tassi, ma in fasi caratterizzate da un aumento dell’inflazione abbiamo ormai perfettamente chiaro che sia azioni che obbligazioni vanno giù.

L’oro, invece, insieme a poche altre cose come i bond indicizzati all’inflazione e alle materie prime, tende invece a funzionare bene soprattutto quando le altre due asset class regine se la passano male.

Il tema da capire — e di qui il senso dell’episodio — è quando e in che misura ha senso inserire oro in portafoglio.

Perché da una parte effettivamente avere un’asset class che tiene botta mentre le altre due van giù fa bene allo sharpe ratio, che come sappiamo è l’indicatore del rapporto tra rischio e rendimento, e in generale alla stabilità del portafoglio, onde evitare, come nel 2022, che uno si fa un portafoglio moderato come il 60/40 e in un anno magari perde il 15% di botto.

Dall’altra, però, nel lungo termine l’inserimento di oro in portafoglio, soprattutto se la quota di oro va ad erodere quella azionaria, potrebbe mangiarsi via del rendimento, dato che fino a prova contraria il mercato azionario globale ha un rendimento storico maggiore di quello dell’oro.

E qui però bisogna fare dei grandissimi distinguo, perché dire che al 1928 ad oggi l’azionario americano ha fatto il 10% all’anno mentre l’oro meno del 5% racconta una verità molto parziale, come spesso succede quando si parla di medie.

Le medie sono una cosa bellissima.

Ma se prendiamo l’altezza media delle persone che si trovano in questo momento dalle parti di Capri e del resto della costiera otterremo un valore piuttosto coerente con l’altezza media di qualunque altra parte del mondo.

Se invece prendiamo la ricchezza media delle persone che stanno facendo lì le vacanze, sapendo che dovremo mettere dentro Mark Zuckerberg, Leonardo di Caprio, Jennifer Lopez, Michael Jordan e via dicendo, probabilmente avremo un dato piuttosto sovradimensionato su quanto “in media” sono ricche le persone che si trovano a Capri, perché pochi giganteschi “outlier” come quelli citati sballerebbero la media di svariati ordini di grandezza.

Quindi attenzione alle medie perché un conto è prendere il rendimento medio dell’oro su 100 anni e un altro è vedere cosa ha fatto l’oro lungo le varie decadi, con risultati assolutamente strabilianti, perché quel 5% è la media di lunghissimo termine tra valori distantissimi tra di loro.

Seguitemi, così capite perché sta cosa dell’oro mi fa andare fuori di matto.

Allora, dal 1928 al 2023 l’oro ha reso in media poco meno del 5% all’anno abbiamo detto.

Ok, se mi baso su questo potrei dire: “perfetto mi metto nel portafoglio una roba che diversifica le altre asset class e che in media mi rende un po’ di più delle obbligazioni investment grade, a posto”.

Ci sta no?

Però attenzione: dal 1928 al 1970, ossia finché è rimasto in vigore il gold standard con la convertibilità aurea del dollaro, l’oro ha reso un misero 1,4% all’anno.

Da lì in poi invece è successo di tutto.

Dal 1971 ad oggi l’oro ha reso il 7,7% all’anno, in media, davvero un rendimento altissimo quasi paragonabile a quello azionario.

Peccato che, come per la ricchezza media di Capri quando c’è Marc Zuckerberg con il suo yacht da 300 milioni di dollari, questo 7,7% all’anno è frutto di un andamento che definire isterico è un eufemismo.

Infatti, durante gli anni ’70 l’oro ha avuto una crescita del 34% all’anno, 1300% in totale.

1.000 dollari investiti in oro nel 1971, nove anni dopo sarebbero diventati quasi 14 volte tanto.

E questo è coerente con il decennio di iperinflazione che ha falcidiato i mercati in quel decennio.

Dal 1980 al 1999, invece, l’oro ha attraversato una lunghissima discesa che gli ha fatto perdere quasi il 3% all’anno.

Per la precisione, -2,8% all’anno per 20 anni tondi.

Negli anni 80 e 90 è stato come se dell’oro ce ne si fosse completamente dimenticati.

E si capisce.

È stato il ventennio migliore di sempre sia per azioni che per obbligazioni.

L’S&P 500 in quel ventennio è cresciuto di oltre il 16% all’anno, mentre i Treasury decennali hanno reso oltre il 10% all’anno, grazie alla lunga fase di allentamento dei tassi dopo il picco raggiunto nel 1981 con i tassi di interesse della federal reserve arrivati a oltre il 19% (vi ricordo che oggi parliamo di tassi “alti” al 5%).

Quindi anni 80 e 90, l’oro uno schifo.

Poi è arrivato il decennio perduto.

Dal 2000 al 2009, mentre l’S&P perdeva praticamente l’1% in media all’anno, l’oro ha fatto ben il 14% di crescita ogni 12 mesi.

Dal 2010 al 2019 invece, c’è stata un’inversione, con l’S&P che ha fatto quasi il 14% all’anno e l’oro meno del 3%.

Dal 2020 al 2024 entrambi stanno invece correndo: S&P sempre 14% all’anno, oro quasi 11%.

Se guardiamo l’intero periodo dal 2000 ad oggi, sorpresa sorpresa! nonostante diciamo sempre che nel lungo termine le azioni sono l’asset class più performante a volte non è così.

Lungo questi primi 24 anni del terzo millennio l’oro ha reso più dell’S&P 500.

8,7% l’oro contro 7,6% l’S&P.

Capite quindi che quando si parla di oro, può succedere al portafoglio tutto e il contrario di tutto in base al timing dell’investimento.

Cioè quando si inizia ad investire in oro o comunque quando si compra una certa quota di oro ciò fa una differenza madornale sul risultato finale, anche per lunghissimi periodi di tempo.

Puoi beccarti un ventennio come quello alle nostre spalle con l’oro che ha battuto l’azionario, oppure un ventennio come il precedente, in cui avresti perso oltre il 40% del valore del tuo investimento.

Quindi il rendimento medio dell’oro, purtroppo, dato che dobbiamo considerare orizzonti di investimento adatti ad essere umani e non a testuggini bicentenarie, non è affatto un valore attendibile.

Prendi un decennio a caso e puoi fare tanto il +1300% quando il -100%.

E non è solo una questione di decenni.

Ci sono addirittura singoli anni che cambiano tutto.

Sentite questa.

Dal 1979 al 2024 l’oro avrebbe reso un po’ meno del 6% all’anno.

Se però invece di partire nel 1979 partiamo dal 1980, quindi solo un anno dopo, il rendimento dell’oro crolla a circa 3,3% e questo perché nel solo 1979 l’oro era cresciuto del 129%. Quindi basta sbagliare di un solo anno è il suo rendimento medio dei successivi 44 anni si può quasi dimezzare.

Capite quindi che un investimento in oro si porta con sé un rischio madornale legato al timing — e per rischio, come sempre, intendiamo sia la sua versione negativa che positiva.

Ma qual è il punto di avere o meno oro in portafoglio?

Il punto è capire che tipo di portafoglio vogliamo avere con noi nel corso della nostra vita.

Cosa è più importante per me, come investitore?

– Massimizzare il rendimento a lungo termine?

– Ridurre al minimo i drawdown che sennò smatto e non dormo la notte come lo scorso 5 agosto?

– Minimizzare il rischio di sequenza?

Nello scorso episodio abbiamo avuto Stefano Serafini, trader professionista e campione del mondo di trading nel 2017.

Uno dei suoi ragionamenti più interessanti, che lui incorpora nella propria strategia d’investimento, riguarda appunto il fatto di trovare un punto di equilibro che bilanci nel modo migliore per ciascun investire l’aspettativa di rendimento e il rischio di drawdown che si può sopportare, motivo per cui lui ha scelto una versione un po’ articolata del golden butterlfy che combina azionario, obbligazionario e oro.

Ora, per cercare di dare un po’ di concretezza a tutti questi ragionamenti ho fatto un po’ di backtest, così da capire in vari periodi storici come si sarebbero comportati diversi portafogli, con più o meno azioni e più o meno oro, nella speranza di capire in quale situazione mi sarei trovato meglio.

Allora come ho impostato il backtest, seguitemi un secondo.

Per evitare di avere i soliti dati in dollari che non sono applicabili per noi ho creato dei semplici portafogli di ETF che hanno dati che risalgono fino al 1985.

Non è il massimo, ma avere quasi 40 anni di dati è meglio che niente.

E se devo dirla tutta, sono sempre un po’ scettico sui backtest che risalgono a prima degli anni ’70, perché obiettivamente l’insieme delle condizioni economiche e di mercato, per non parlare del gap tecnologico tra allora ed ora, non so quanto attendibili renda i confronti.

Comunque, i portafogli che ho usato hanno dentro ETF che replicano i seguenti indici:

– MSCI World, quindi azionario globale paesi sviluppati;

– FTSE World Government Bond Developed Markets, obbligazioni governative dei paesi sviluppati;

– E per l’oro l’indice gold spot price.

Usando questi indici ho creato 4 portafogli.

– PRIMO PORTAFOGLIO: il classico 60% Msci World e 40% obbligazioni governative globali, senza oro, che farà da benchmark nel test;

– Il SECONDO PORTAFOGLIO introduce un po’ di oro: 60% azioni, 30% obbligazioni e 10% oro appunto.

– Il TERZO PORTAFOGLIO è quello che un po’ di mesi fa avevamo chiamato No Regret portfolio: 50% azioni, 25% obbligazioni e 25% di oro. In realtà il No Regret avrebbe metà obbligazioni intermedie e metà obbligazioni a lunga scadenza, mentre qui per semplicità abbiamo preso solo obbligazioni governative a scadenza intermedia.

– Il QUARTO PORTAFOGLIO è una versione semplificata del golden butterfly, quindi 40% azioni globali (senza small caps), 40% obbligazioni governative intermedie (quindi niente obbligazioni lunghe, né obbligazioni brevi) e 20% di oro.

In questo modo abbiamo 4 portafogli composti dagli stessi asset in proporzioni diverse ed è interessante vedere come si sono comportati nelle diverse fasi.

Quando si fanno queste cose di solito si prende l’andamento passato di un portafoglio composto in un certo modo nel quale l’investimento viene fatto tutto all’inizio e poi il portafoglio non viene più toccato.

Senza flussi di cassa né in ingresso né in uscita quindi.

In realtà però questo è un modo un po’ irreale di investire, mentre è più probabile che uno investa un po’ per volta mese per mese.

Per questa ragione vedremo sia la performance di mercato dei 4 portafogli, sia la performance dei portafogli con 10.000 € di investimento iniziale e poi 500 € di risparmio aggiunto mensilmente al portafoglio.

In entrambi i casi, comunque, la simulazione tiene conto di un ribilanciamento annuale, così da mantenere inalterate le asset allocation.

Sono considerati i costi degli ETF ma non i costi di transazione, supponiamo quindi di usare broker con zero costi per i piani di accumulo.

Allora partiamo considerando tutto il periodo: dal 1985 a luglio 2024.

La miglior performance assoluta ce l’avrebbero avuta il portafoglio 60/40 e il 60/30/10, con minime differenze.

Entrambi, come da manuale, avrebbero reso circa il 7% in media all’anno.

Poco dietro il No Regret Portfolio, 6,7% e ancora più indietro il Golden Butterfly, con il 6,3%.

Attenzione però già alla prima sorpresa.

Se facciamo il backtest considerando un percorso in accumulo, quindi 10.000 € subito e poi 500 € al mese lungo questi 39 anni e mezzo, la classifica cambia.

Il portafoglio migliore sarebbe stato il No Regret, seguito dal 60/30/10, quindi 60/40 e infine Golden Butterfly.

Anche qui le differenze non sono esorbitanti, però parliamo di un capitale finale di 1.350.000 € con il No Regret, contro 1.150.000 € con il Golden.

Vista così, poco da dire.

Effettivamente l’oro sembra portare un certo contributo positivo nei portafogli in cui è inserito, paradossalmente facendo performare meglio un portafoglio con meno azioni, ma obiettivamente uno qualunque di questi 4 avrebbe fatto più che bene come veicolo per far crescere i nostri risparmi nel tempo.

Però questi sono 40 anni.

Un’intera vita.

Vediamo invece come sarebbero andate le cose in alcuni sottoperiodi.

Prendiamo una situazione che qualcuno considera simile a quella attuale, ossia l’inizio della dot.com bubble del 2000 e vediamo nei 24 anni successivi come sarebbero andate le cose.
Cioè immaginiamo di cominciare ad investire fondamentalmente al picco di una bolla, prenderci due crisi epiche nell’arco di 10 anni, attraversare una nuova crisi di diversa natura segnata da un picco inflazionistico e chiudere con un anno di ripresa.

Quindi gennaio 2000 — dicembre 2023.

Partiamo dal risultato di un investimento one shot a gennaio 2000.

La classifica in questo caso direbbe:

– Al primo posto il No Regret Portfolio, con il 5,64% di rendimento medio annuo;

– Segue il Golden Butterfly con il 5,06%

– Quindi 60/30/10 e all’ultimo posto il 60/40 entrambi con il 4,33%.

In anni segnati da gravi crisi per l’azionario chiaramente i portafogli con meno azioni e più oro fanno vedere tutta la loro forza.

Se sembra poco quell’1,3% di rendimento medio annuo in più del No Regret rispetto al 60/40, non è poco per niente, perché significa che in 24 anni il capitale con il 60/40 si sarebbe quasi triplicato, mentre con il NO Regret quasi quadruplicato.

Per esempio un investimento secco di 10.000 € nel gennaio 2000 a dicemebre 2023 si sarebbe trasformato in 27.000 con il 60/40 e 37.000 con il No Regret.

In caso di piano di accumulo invece cosa succederebbe?

Succederebbe che il No Regret Portfolio si confermerebbe ancora il portafoglio migliore, seguito dal 60/30/10, quindi dal Golden e infine dal 60/40.

Anche qui, la distanza tra i diversi portafogli in termini di rendimento è piuttosto compatta, poiché l’investimento progressivo smussa i picchi positivi e soprattutto quelli negativi.

Con il No Regret si arrierebbe a 400.000 € in 24 anni, mentre con il 60/40 a 350.000.

Quel che colpisce, in questo orizzonte temporale, è che il 60/40 è il portafoglio che rende meno e che subisce i drawdown peggiori, arrivando a perdere in un anno fino al 13%, nel 2009.

Il Golden Butterfly è invece quello con lo Sharpe Ratio migliore e con i drawdown più contenuti, mai in doppia cifra, soprattutto in questa versione semplificata che, non avendo obbligazioni a lungo termine, non si prenderebbe la scoppola dei bond lunghi del 2022.

E nel decennio perduto invece?

Se prendiamo il worst scenario per eccellenza, quindi 2000-2009, avremmo un risultato piuttosto prevedibile, ossia che solo Golden e No Regret avrebbero riportato un risultato positivo, entrambi con poco più del 2% all’anno, mentre il 60/30/10 avrebbe chiuso il decennio in pari e il 60/40 addirittura leggermente in negativo.

Risultato simile anche con il modello a piano di accumulo, stessa classifica con tutti i portafogli leggermente in positivo.

Ultimo scenario, come fatto anche in passato, prendiamo un orizzonte di 30 anni, il caso classico di una tipica vita di investimenti iniziata in età adulta, e facciamo partire il backtest nel 1994 e lo concludiamo nel dicembre 2023.

In questi 30 anni abbiamo avuto praticamente di tutto: 2 grandissimi bull market, quello dal 94 al 99 e dal 2009 di fatto ad oggi (con le parentesi del 2018, del Covid e del 2022), ma anche 2 gravissime crisi finanziarie (nei primi 2000 e nel 2007-2009), l’11 settembre, la crisi del debito europeo, la brexit, una pandemia globale, l’invasione dell’Ucraina, eterni conflitti in Medioriente, un periodo di iperinflazione, insomma… non ci siamo fatti mancare niente.

In questi 30 anni abbiamo avuto diverse configurazioni politiche, economiche e finanziarie, quindi sembrerebbe una base discretamente attendibile per formulare qualche considerazione di carattere generale.

Generale, pur sempre con la consapevolezza che quando si fanno queste cose è come guidare la macchina guardando lo specchietto retrovisore.

Sappiamo perfettamente com’è stata la strada dietro di noi e possiamo formularci qualche attendibile previsione su quella davanti a noi, ma il rischio di imbatterci in una curva imprevista che ci manda fuori strada c’è e ci sarà sempre…

Detto questo, comunque, vediamo come è andata.

In questi trent’anni la classifica basata su un investimento secco all’inizio è:

– No Regret al primo posto con un rendimento medio annuo del 6,5%

– 60/30/10 al secondo posto, 6,4%

– 60/40 al terzo, 6% e infine

– Golden Butterfly in coda, 5,9%.

Otterremmo la stessa identica classifica investendo tramite piano d’accumulo, con il terzo posto ex aequo 60/40 e Golden.

In media, comunque, tutti e 4 portafogli avrebbero riflesso la regola del 1000 che abbiamo introdotto in questo podcast, ossia che un investimento periodico mensile per 30 anni con un rendimento medio annuo intorno al 6% diventa circa mille volte tanto la quota mensile.

500 € al mese investiti sin dal 1994 (ok non c’era l’euro allora, usate un po’ di fantasia), dicevo 500 € al mese investiti dal 94 al 2023 sarebbero diventati circa 500.000 € con il 60/40 e il Golden fino a 570.000 con il No Regret.

Anche in queto scenario il No Regret si è rivelato il portafoglio più performante mentre il Golden quello con la deviazione standard più bassa e i minori drawdown.

Prima di tirare qualche conclusione ho voluto fare un’ultima simulazione.

Mi sono detto, ok questi scenari sono tutti mediamente bilanciati, non abbiamo considerato nessun portafoglio aggressivo, con una forte trazione azionaria.

Allora vedendo la significativa resilienza del portafoglio No Regret l’ho confrontato con un portafoglio con la stessa quota di obbligazioni, 25%, e il resto in azioni, quindi 75/25.

Avrei dato per scontato che un portafoglio con il 75% di azioni avrebbe vinto a man bassa una “partita” con uno composto solo al 50% da azioni e al 25% da oro.

Invece il risultato è stato parzialmente inatteso.

Considerando sempre lo stesso timeframe, quindi gennaio 1994 — dicembre 2023, trent’anni tondi, la performance dei due portafogli è sorprendentemente simile:

– 6,56% il 75/25

– 6,47% il No Regret.

La grande differenza è che il No Regret ha una deviazione standard nettamente inferiore, 8,6% contro 11%, e questa cosa mostra tutta la sua importanza nei momenti più neri dell’ultimo trentennio.

Giusto per fare un esempio, quando nel marzo del 2009 la Grande Crisi Finanziaria ha toccato il suo fondo il 75/25 sarebbe arrivato a perdere addirittura il 40% del suo valore. Il no regret appena, si fa per dire, il 15%.

Avere un portafoglio che rende il 6,5% per trent’anni e che durante un’apocalisse finanziaria perde solo il 15%, ragazzi ditemi dove mettere la firma.

Per non parlare del fatto che invece con un investimento progressivo mensile il No Regret avrebbe fatto addirittura leggermente meglio del 75/25.

Ora, che conclusioni spicciole e alla buona ho tirato fuori da queste simulazioni.

– La PRIMA è che effettivamente significative quantità di oro nel portafoglio avrebbero dato un importante contributo sia alla stabilità che alla performance generale del portafoglio, soprattutto nelle fasi più critiche. Certo, non ho fatto il backtest usando portafogli 100% azionari, è chiaro che su qualunque orizzonte trentennale avrebbero vinto. Ma il motivo è che quasi nessuno investe 100% in azioni per tutta la vita. Finché restiamo nell’ambito di portafogli bilanciati che rispecchiano l’approccio all’investimento della maggior parte degli investitori privati, effettivamente un portafoglio diversificato con azioni, obbligazioni e oro sembrerebbe la combinazione migliore per garantire sia rendimenti interessanti che, soprattutto, minori oscillazioni.

– La SECONDA conclusione, però, è che il timing conta molto, anche in simulazioni così lunghe.
Come abbiamo raccontato all’inizio, negli anni 80 e 90 il prezzo dell’oro è andato in picchiata per 20 anni. Solo dal 2000 ha ripreso la sua impressionante corsa, arrivando addirittura a battere l’S&P 500 negli ultimi 24 anni.
Quindi qualunque backtest che termini nel 1999 farebbe vedere i portafogli senza oro stravincere rispetto a quelli con l’oro.
Ad ogni modo, comunque, se uno vuole avere oro in portafoglio è statisticamente meglio mantenerlo e ribilanciarlo con regolarità piuttosto che provare a fare ribilanciamenti tattici, perché il rischio di sbagliare il timing giusto è elevatissimo, come dimostrato da un paper del 2023 dal titolo “How to use gold as safe haven” che vi linko in descrizione.

– La TERZA conclusione è un po’ un mix delle due precedenti.
L’oro tende a non performare particolarmente bene durante le fasi positive del mercato azionario, oppure durante forti rialzi dei tassi d’interesse. Infatti ha spaccato dal 2000 al 2011, dal 2018 al 2020 e nuovamente dalla fine del 22 ad oggi. Ha fatto invece molto male durante il lunghissimo bull market degli anni 80 e 90, così come durante il bull market successivo alla Great Financial Crisis, dal 2011 al 2017.
In tutte queste fasi, tuttavia, sarebbe stato così importante avere un 25% del portafoglio che sottoperformava? Eh, sì e no.
Qui diventa più una questione psicologica che non strettamente di asset allocation.

È un po’ la teoria di Nicola Protasoni di Dennis Rodman, il controverso, indisciplinato, tecnicamente discutibile e ciononostante fondamentale difensore dei Chicago Bulls invincibili di Michael Jordan.

Jordan ha vinto 6 campionati MBA perché era il più forte giocatore di basket di tutti i tempi e per sempre lo resterà. Sorry LeBron. Niente di personale.

Ma Dennis Rodman era quello che si è preso i pugni per tutti e che ha dato pugni per tutti, permettendo a Jordan e Scottie Pippen di dipingere i loro capolavori sul parquet.

A volte nel portafoglio serve avere asset che vanno male — e che possono andare male anche per tanto tempo — proprio perché ci torneranno utili nei momenti più difficili.

Certo, per uno che ha iniziato ad investire all’inizio degli anni ’90 è dura accettare il fatto che un quarto del proprio portafoglio avrebbe fatto schifo praticamente per quasi 20 anni su oltre 30.

Però poi mentre il mondo finanziario collassava durante il decennio perduto essere stato uno dei pochi ad avere il portafoglio in profitto probabilmente non avrebbe avuto prezzo.

Guardando al passato mi vien da dire:

– L’oro tende ad andare peggio quando le azioni vanno molto bene e quindi in fondo mi interessa il giusto avere una parte del portafoglio sottoperformante durante un bull market.

– Va invece spesso bene quando le azioni sono in sofferenza e in certi casi quando sia azioni che obbligazioni sono in sofferenza.

Se dovessi puntare ad un portafoglio più stabile che profittevole in senso assoluto, effettivamente i portafogli con meno azioni e una quota significativa di oro sarebbero la scelta da fare, almeno stando ai dati del passato.

Se invece sono disposto ad accettare grandi fluttuazioni del portafoglio, allora su lunghi orizzonti temporali certamente l’oro va a ridurre la quota di rendimento che altrimenti la componente azionaria porterebbe.

Anche qui, sempre sulla base dei dati del passato, in futuro vai a saperlo.

Quel che mi porto a casa è comunque che l’oro assume un ruolo rilevante nel portafoglio solo se ha un certo peso.

Sotto al 10% la sua influenza tende a diventare marginale.

Dal 10% al 25% sembrerebbe collocarsi il suo sweet spot.

Tiriamo le considerazioni finali:

– Ha senso investire in oro una certa quota del portafoglio? Decisamente sì, almeno in termini di miglioramento complessivo dello Sharpe Ratio, di riduzione dei drawdown e di diversificazione in generale.

– E’ una scommessa certa investire in oro? Assolutamente no. E qui viene la mia principale fonte di perplessità.
Investire in azioni significa investire in migliaia di società, in decine di Paesi, il cui valore è ancorato all’economia reale, all’innovazione, all’avidità e all’inesauribile desiderio di arricchimento dell’uomo inserito in un sistema capitalista. Giusto o sbagliato che sia, la crescita di valore del mercato azionario globale è legato a cose tangibili.
L’oro no.
L’oro è un asset puramente speculativo.
La sua crescita di valore si regge sull’idea comune che sia un “safe haven”, un porto sicuro. È stato così per millenni, ma nulla vieta che sarà così per sempre. Nulla vieta che tutto ciò che oggi diciamo dell’oro, domani lo diremo di Bitcoin o di qualcos’altro ancora.
E poi è uno.
Un solo asset.
Zero diversificazione.
E quando do ad un solo asset un grosso peso nel portafoglio, devo tenerne conto.

Quindi mi dispiace ma una risposta definitiva non ce l’ho.

Probabilmente non ce l’ho perché non esiste.

E allo stesso tempo, come detto in altre circostanze, potremo prendere decisioni migliori altre, ma finché i nostri risparmi vanno in un portafoglio bilanciato e diversificato, con o senza oro, probabilmente vedremo il nostro capitale crescere con differenze non sostanziali.

Magari alcune scelte renderanno il nostro portafoglio meno stressante.

Altri lo renderanno più profittevole.

Ma nel grande schema delle cose, in vista dei motivi per cui uno investe a lungo termine, probabilmente qualunque scelta, nei limiti del buon senso, andrà bene.

Bene, care amiche e cari amici di questo podcast che vi accompagna anche sul bagnasciuga e nei rifugi, negli agriturismi in collina e nei musei in città, senza sosta e sfidando il caldo infernale di questo agosto mefistofelico, ci avviamo alla fine di questo dorato episodio sperando che i suoi contenuti siano stati di vostra utilità.

Ringrazio Scalable, il nostro long time partner, per essere stato sponsor dell’episodio di oggi e per permettere, a chi lo ritenesse utile per il proprio portafoglio, di fare piani di accumulo in ETC sull’oro, oltre che su tutti gli ETF in generale, a zero costi d’ordine già con il piano gratuito Free Broker Mentre con Prime Plus avete singoli ETF a zero commissioni per acquisti di almeno 250 €, l’accesso al tool di analisi del portafoglio Scalable Insights, realizzato in partnership con Blackrock e il 2,6% di interessi sulla liquidità non investita.

Come sempre, trovate in descrizione in link per aprire un account su Scalable, usando il quale verrà generata una commissione per il sottoscritto talmente corposa che l’anno prossimo sarò io a far schizzare la ricchezza media dei turisti di Capri e quel panzone di Di Caprio muto.
Altrimenti potete andare sul sito Scalable.capital e l’anno prossimo invece che a Capri si prende un Bed and Breakfast in Liguria.

Grazie invece ancora una volta a tutta questa fantastica community che in un anno abbondante ha sfondato gli oltre 230.000 singoli ascoltatori che in questo podcast hanno riposto l’aspettativa di trovare spunti utili per meglio gestire i propri patrimoni.

Grazie, grazie e sempre soltanto grazie.

Per continuare il nostro viaggio insieme vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che cercano di capire insieme a voi quanto oro vada messo nel portafoglio ma soprattutto come farvi andare a Capri tra un tot di anni ad alzare la ricchezza media con i vostri corposi patrimoni sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con una nuova sessione del nostro infinito corso di crossfit finanziario sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025
Facile.it
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