Un Agosto di Emozioni! Cosa è successo sui Mercati
Consueto episodio dedicato al recap degli eventi di un mese decisamente inconsueto! Agosto ci ha regalato un sell-off globale, un rimbalzo lampo, l'inflazione finalmente sotto il 3% e l'annuncio della Fed che taglierà i tassi. Investire è una delle cose più belle del mondo. Ma a volte non è per cuori deboli.

137. Un Agosto di Emozioni! Cosa è successo sui Mercati
Risorse
Punti Chiave
Agosto: forte volatilità, rapido recupero.
Tagli Fed: prospettive positive per S&P 500, ma impatto cambio Euro/Dollaro cruciale per investitori europei.
La volatilità rivela la tolleranza al rischio; asset allocation deve assicurare serenità.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Ci sono decenni in cui non accade niente e settimane in cui accadono decenni!
La frase è di Lenin, non esattamente un personaggio modello per un podcast di finanza vista la leggera inclinazione al comunismo ma che volete, purtroppo sta roba la detta lui e non John Maynard Keynes.
E nessuno meglio di Lenin avrebbe potuto descrivere l’agosto che abbiamo appena vissuto, almeno dal punto di vista finanziario.
Settimane pazze in cui è successo letteralmente di tutto e mandato in fibrillazione milioni di cuori di investitori di tutto il mondo che si sono trovati su una tale e tanta montagna russa emotiva che non si vedeva dai tempi del Volmageddon del 2018.
Per chi non se lo ricorda, il Volmageddon è stato un celebre flash crash del mercato avvenuto nel Febbraio 2018, dovuto fondamentalmente al fatto che molti investitori stavano facendo palate di soldi durante i precedenti anni molto tranquilli e positivi dei mercati investendo in prodotti come lo XIV, ossia un Exchange Traded Product che in pratica era l’inverso del VIX, l’indice della volatilità dell’S&P 500, basato sulle opzioni put e call sull’indice.
Quando c’è tensione il VIX va su, quando il mercato cresce tranquillo va giù, e il XIV ovviamente fa il contrario.
XIV era il nome simpaticamente inventato da Credit Suisse invertendo le lettere di VIX.
Poi cosa è successo.
Di colpo sono successe una serie cose tra cui un dato sul mercato del lavoro americano, tanto per cambiare, che ha fatto subito pensare che un aumento eccessivo dei salari avrebbe portato ad un aumento dell’inflazione e quindi dei tassi della Fed. O forse Jerome Powell annunciò proprio un po’ a sorpresa che avrebbe alzato i tassi, non mi ricordo, vado a memoria.
Sta di fatto che il mercato si è preso male, l’S&P perse tipo il 6% il solo 5 di febbraio e complessivamente oltre il 10% in circa una settimana.
E voi che vi eravate preoccupati quando lo scorso 5 agosto ha perso il 3%!
Pensate che ridere se foste stati investitori 6 anni fa.
Comunque allora male male per gli investitori long-term come noi, invece malissimo al cubo per quelli che avevano comprato lo XIV.
Perché infatti di colpo il VIX, chiamato non a caso l’indice della paura, è andato alle stelle appena l’S&P ha iniziato a crollare perché molti investitori sono corsi a coprirsi con opzioni put, quelle che ti proteggono quando l’asset sottostante perde valore.
Come sempre avviene in questi casi, però, si creano dei circoli viziosi o delle profezie che si autoavverano.
Quando è scoppiato il casino infatti il VIX è andato su alle stelle e tutti si sono messi a liquidare posizioni che scommettevano contro il VIX.
Ma più vendi posizioni che scommettono contro il VIX, ossia posizioni che sono si dice “short” il VIX, più il VIX continua a salire.
Ricordatevi sempre che, come logica, comprare un certo asset o vendere una posizione short verso quell’asset ha lo stesso effetto sul mercato, ossia fa crescere il valore dell’asset.
Comprare futures sul VIX oppure vendere un prodotto che scommette contro il VIX fa andare su il VIX.
Insomma, nello spazio di una drammatica giornata in borsa lo XIV perse il 94% del suo valore.
E il girono dopo Credit Suisse annunciò che avrebbe liquidato il prodotto e che sarebbe stato chiuso per sempre.
Rest in vix…
Perché ho riesumato sta cosa?
Eh perché quel che è successo a inizio mese, pur in ambiti diversi, ha rievocato in molti la memoria di quel flash crash.
Se escludiamo il marzo del 2020, quando l’esplosione del Covid fece impazzire i mercati per motivi concreti e non per eccessi speculativi, lo scorso 5 agosto il mercato si è a tal punto cagato addosso per il tracollo della borsa di tokyo successivo alla pubblicazione, il venerdì prima, di dati inaspettatamente negativi sull’occupazione americana, che il VIX ha addirittura superato i livelli di quel flash crash e praticamente da 10 anni non si toccavano picchi così elevati.
Ricordiamo cosa è successo.
Venerdì 2 agosto esce il consueto dato sui non farm payroll negli Stati Uniti, quindi nuovi assunti.
Il dato è particolarmente sotto le attese, con il senno di poi, forse, per via di un tornado sulla costa est cha ha chiuso temporaneamente alcune attività ma questa cosa non l’ha voluta tenere in considerazione nessuno, comunque dicevo, dato sotto le attese, paura improvvisa che una recessione sia alle porte e i mercati cominciano a prenderla male.
Quando però ci sono brutte notizie di venerdì, poi il lunedì non comincia mai con il piede giusto, perché durante il weekend la gente si prende male e non aspetta altro che la riapertura dei mercati per sfogare tutta la propria frustrazione.
E chi apre per primo?
Ovviamente tokyo, per chiare motivazioni di fuso orario.
Come noto, i Giapponesi hanno una spiccata propensione al dramma.
Non è un caso che abbiano inventato loro la nobile pratica dell’harakiri.
Così, era il mio primo giorno di ferie, stavo partendo con bagagli, moglie, figlia e gatto per il maro, e il Nikkei pensa bene di segnare il secondo peggior crollo di tutta la sua storia, con un tonfo leggendario di quasi il 13%.
Si sarebbe capito qualche ora dopo che il motivo principale non era tanto la paura di recessione negli Stati Uniti.
Quello è stato il detonatore, unito al fatto che la Banca Centrale Giapponese, dopo aver lasciato i tassi d’interesse negativi mentre tutto il mondo occidentale li aveva alzati con gli steroidi, aveva appena annunciato un rialzo di 0,25 punti dei tassi.
Ciò che ha scatenato la tragedia di quel memorabile 5 agosto è stata a quel punto la liquidazione di miliardi di dollari di posizioni sul carry trade con lo yen.
Per chi non se lo ricordasse, il carry trade è una pratica secondo la quale ci si indebita in una valuta debole, di solito di un paese con tassi di interesse bassi, e la si usa per investire in titoli denominati in una valuta forte.
Molti investitori da tempo prendevano in prestito Yen, che nel frattempo avevano raggiunto un livello record di debolezza verso il dollaro, 165 a 1, e utilizzavano questi Yen per investire soprattutto in Treasury, in titoli di Stato francesi e in azioni tech americane.
Nel momento in cui è stato annunciato il rialzo dei tassi della Bank of Japan, lo Yen si è velocemente apprezzato fino a 145 e quindi sono dovuti tutti correre a liquidare le proprie posizioni fatte con Yen presi in prestito.
Perché?
Perché se io prendo in prestito 100 milioni di Yen quando lo yen vale 165 per un dollaro, posso investire l’equivalente di circa 600.000 dollari in, che ne so, Nvidia.
Ma nel momento in cui lo Yen va a 145, il mio investimento Nvidia che fa da collaterale per il prestito, non basta più per garantire il mio debito, perché ora i 100 milioni di Yen che avevo preso in prestito valgono quasi 690.000 dollari.
In questa situazione partono le cosiddette margin call in cui la banca che ti ha prestato i soldi ti dice: o metti più soldi, o ti vendo i titoli per coprirmi.
Nell’arco di quella giornata drammatica miliardi di dollari di posizioni sono state liquidate e quindi un sacco di gente ha dovute vendere i propri asset acquistati con Yen prestito e questo ha fatto crollare soprattutto le azioni ameircane e come da copione tutto il mondo gli è andato dietro.
Sembrava l’inizio dell’apocalisse.
Anche se tutti voi ricorderete che il buon The Bull vostro, per voce del sottoscritto, fece uscire un episodio in fretta e furia due giorni dopo per dire a tutti voi: “ah ragà, keep calm. Ogni tanto il mercato va giù. Non è un’anomalia. È la normalità. Non esiste uno sciatore che non sia mai caduto o un avvocato che non abbia mai perso una causa. Fa parte del gioco. Tornate pure in spiaggia e mollate giù lo smartphone che vi rovina le vacanze”.
Beh non dissi proprio queste parole, ma il concetto era questo.
Poi senza nemmeno il tempo di farsi passare la strizza, anche se in realtà mi stavo già fregando le mani all’idea di comprare a prezzi un po’ più bassi a fine mese una volta arrivato lo stipendio di agosto, niente, è bastato un mezzo reportino insignificante che diceva che le richieste di sussidi di disoccupazione della settimana prima, sempre negli USA, erano state inferiore alle attese che il mercato improvvisamente ha deciso che la recessione era di nuovo scongiurata e i mercati hanno rimbalzato.
Ci si è messa anche la banca del giappone che ha detto: “ma no, ero uno scherzo, quando abbiamo detto che avremmo rialzato i tassi non intendevamo proprio rialzare i tassi. Volevamo solo dire che forse, ma con calma, avremmo alzato un pelino i tassi dello spessore di un pezzo si sashimi, niente di che, però tranquilli che se non volete non lo facciamo”.
Tutti di nuovo sereni e ottimisti.
Vix nuovamente a livelli rasoterra.
Mercato che in una settimana ha recuperato tutte le perdite (in dollari perlomeno, non in euro come vedremo dopo) e la Terra ha ricominciato a girare nel senso giusto.
Già gli eventi di questa prima settimana sarebbero bastati per la quantità di emozioni che uno è disposto a sopportare in un mese come investitore.
E invece no!
Perché la settimana successiva, mentre io, moglie, bambina e gatto ci siamo spostati in montagna, festa grande!
Prezzi di produzione e inflazione più bassi delle attese, dati sugli acquisti retail migliori del previsto e di nuovo ci siamo riproiettati nel migliore dei mondi possibili, con un’economia americana che resta forte e resiliente e l’aumento dei prezzi che per la prima volta dalla fine della pandemia è tornato sotto il 3%, esattamente ciò che aspettava la Fed per poter cominciare a tagliare i tassi.
Come da tradizione di fine agosto c’è stato poi il congresso di Jackson Hole, dove si riuniscono i principali banchieri centrali del mondo tra le montagne del Wyoming.
E lì, finalmente, dopo due anni, sono arrivate le tanto attese parole di Jerome Powell: “Time has come for policy to adjust”.
È giunto il momento di riadattare la policy della Fed.
Tradotto: non è più la lotta all’inflazione il nostro problema principale, bensì quello opposto, proteggere l’occupazione ed evitare recessioni.
Tradotto in maniera ancora più semplice: durante il meeting del Federal Open Market Committee di metà settembre la Fed comincerà a tagliare i tassi di interesse.
Sicuramente di 25 basis point, che vuol dire 0,25%, forse di 50, ossia 0,5%.
A inizio mese, freschi ancora della strizza per i megacrolli globali, sembrava molto probabile un super taglio di 50 basis point.
Ad oggi, con il mercato che è rimbalzato, l’economia che continua a sembrare forte e con il PIL americano che è cresciuto del 3% nel secondo trimestre rispetto al 2,8% della prima misurazione, sembra meno urgente un taglio di 0,5, mentre ormai è dato per certo un taglio di 0,25%.
Perché sono tutti contenti se la Fed taglia i tassi?
In teoria, con tassi più bassi l’economia ha più slancio, le obbligazioni si apprezzano perché gli interessi scendono, dovrebbero scendere i mutui, i prestiti, ecc.
Ora, PRIMA DOMANDA: il mercato, storicamente, ha fatto sempre bene dopo il primo taglio dei tassi?
E poi, SECONDA DOMANDA: che impatto ha per noi, Euroinvestitori sfigati che non prendono lo stipendio in dollari, il taglio dei tassi?
Partiamo dalla prima — e qui inizia quella parte tipica negli episodi di The Bull in cui vi sparo una serie di numeri.
Da una parte sono noiosi, dall’altra in mezzo al fiume di parole inutili che pronuncio, i numeri sono l’unica cosa oggettiva a cui attaccarsi.
E attenzione che i numeri sono interessanti.
Come sempre parliamo solo di S&P 500, perché dell’impatto dei tagli della Fed sui mercati extra US, comprensibilmente, non frega un tubo a nessuno.
Cominciamo con il dire che dal 1970 ad oggi il total return dell’S&P 500, quindi inclusi i dividendi, ad un anno dal primo taglio dei tassi è stato in media del 13% mentre il ritorno mediano è stato il 16%.
Media vuol dire “media aritmetica”, mediana vuol dire il valore centrale una volta che sono stati messi in fila in ordine crescente tutti i risultati dal 1970 ad oggi.
Al di là delle medie, però, bisogna distinguere tra gli anni in cui dopo i tagli c’è stata una recessione e anni invece di “soft landing”, ossia di allentamento della politica monetaria senza recessione economica.
Nel caso di anni senza recessione, la crescita media ad un anno del S&P 500 è stata del 18%, mentre in anni di recessione è stata del -4,6%, almeno secondo i conti di JP Morgan, perché ho visto altri report con dati leggermente diversi.
In generale è interessante notare come solo 3 volte la crescita a 3 anni dell’S&P 500 a tre anni dal primo taglio sia stata negativa.
Questa cosa è successa nel 1971, nel 2001 e nel 2007, ossia in coincidenza di tre mezze catastrofi finanziarie.
Non è invece mai accaduto che l’S&P 500 fosse in negativo 5 anni dopo il primo taglio dei tassi.
Il caso peggiore si è verificato nel gennaio 2006, ossia 5 anni dopo il primo taglio dei tassi iniziato nel gennaio 2001, con l’S&P leggermente in positivo dell’1%, è andata un po’ meglio nel 1975 e nel 2012, in entrambi casi con 8% di crescita rispetto al primo taglio 5 anni prima, mentre il risultato migliore è stato nel 1987, con una crescita del 220%, quasi 18% all’anno, dopo il primo taglio del 1982.
Curiosamente il 1987 è stato anche l’anno nel quale, il 19 ottobre, si sarebbe verificato il Black Monday, il peggior giorno di sempre della storia dei mercati con l’S&P crollato di oltre il 20% in un giorno.
Per quanto la statistica del passato valga per il futuro, certamente il taglio dei tassi è una prospettiva incoraggiante.
Non sappiamo se ci troveremo in una situazione di soft landing o hard landing, ma l’idea di avere una prospettiva a 5 media del 89% da settembre 2024 a settembre 2029 è incoraggiante.
Mmmh aspettate un attimo.
Fatemi fare due conti.
Dunque, 89% in 5 anni significa circa 13,6% all’anno, come media geometrica.
Interessante.
Avete presente quella stronzata che dico sempre secondo la quale l’S&P 500 deve fare in media poco meno del 12% all’anno da qui al 2029 solo per pareggiare il peggior trentennio di tutti tempi, quello tra il 1929-1958?
Questo 13,58% da settembre 2024 a settembre 2029 sembra coerente e farebbe del trentennio che stiamo vivendo un trentennio leggermente sotto la media del rendimento trentennale dell’S&P.
Sta a vedere che alla fine ci prendo…
Ci ritroveremo allora per un episodio speciale il 30 settembre del 2029, segnatevelo, in cui certificheremo insieme se avrò vinto la scommessa o se il primo trentennio degli anni 2000 sarà stato il meno redditizio della storia del mercato americano.
Prima di passare alla seconda domanda, però, vediamo velocemente hanno cosa hanno fatto le altre asset class un anno dopo il primo taglio, in media, dal 1984 ad oggi.
Perché dall’84?
Perché non ho trovato dati più vecchi, se volete cercateveli da soli.
Le azioni globali ex Stati Uniti, perlomeno dalla prospettiva di un investitore in dollari, hanno fatto in media il 16% in anni non recessivi, mentre addirittura il -14% in media con una recessione di mezzo.
I treasury a 10 anni sono andati molto bene in entrambi i casi: 6,2% negli anni di soft landing e addirittura 8,8% in anni di recessione, per ovvi motivi come il fatto che durante una recessione è probabile che la Fed tagli più volte i tassi.
Le materie prime, infine, sono cresciute in media del 9,3% in anni di soft landing, mentre hanno preso in media il 13% in anni di recessione.
Veniamo ora alla seconda domanda: è un bene per noi che la Fed tagli?
Sì e no.
Sì per i motivi che abbiamo esposto e per il fatto che in generale un dollaro più debole è una situazione gradita sia per l’economia americana che per l’economia europea, quest’ultima in particolare per via della sua dipendenza energetica da paesi stranieri.
No perché le maggiori possibilità di taglio dei tassi della Fed, rispetto alla banca centrale europea, delineano una traiettoria di indebolimento del dollaro che, come visto nell’episodio precedente, avrà un impatto negativo sui rendimenti di un europeo con investe in asset denominati in dollari.
Possiamo farci qualcosa? No.
Possiamo utilizzare strumenti a cambio coperto? Sì, ma se devo pagare 1-1,5% all’anno di costi di copertura per proteggermi magari da un 1-1,5% di effetto netto del cambio euro-dollaro tanto vale.
Mi prendo un costo certo per un rischio incerto e con basso beneficio.
Resta il fatto, comunque, che chi per qualche motivo ha un orizzonte di investimento breve-medio e ciononostante una significativa esposizione azionaria verso il dollaro, allora potrebbe comunque preferire volersi coprire sul piano valutario.
Sulla nostra paranoia sull’effetto cambio con il dollaro vi consiglio di leggere l’ultimo pezzo di Nick Protasoni nel suo blog theitalianleathersofa.
Ah, prima di passare al consueto recap sui vari indici, menzione speciale per Nvidia.
L’azione più amata di wall street ha pubblicato i suoi dati trimestrali il 27 di agosto e quella sera c’era gente nei pub a seguire la CNBC manco fosse il superbowl.
La cosa ironica è che Nvidia ha riportato un +200% di crescita di fatturato rispetto ad un anno fa e un raddoppio anno su anno del fatturato è una cosa che avrebbe fatto decollare il titolo di qualunque azione del mondo.
Il problema è che Nvidia però ha talmente abituato a performance stellari che questa, che stellare lo sarebbe davvero, ha fatto pensare a molti che forse la crescita infinita verso il cielo di Nvidia possa essere arrivata alla fine.
Morale, il titolo ha perso oltre l’8% per aver SOLO raddoppiato il fatturato rispetto ad un anno fa.
Molto peggio è andata a Super Micro Computer, altro colosso tech che produce server legati all’intelligenza artificiale e i cui destini sono legati a doppio filo a quelli di Nvidia.
Dopo aver triplicato il suo valore in borsa nei primi 3 mesi dell’anno — sì: triplicato! +300% in tre mesi, roba da pazzi — da allora il titolo ha perso il 67% del suo valore, con un bel tonfo del 19% il giorno dopo i dati di Nvidia.
Vedremo se l’euforia da intelligenza artificiale stia cominciando a raffreddarsi o altro…
Bene, diamo i numeri su tutti i vari ETF europei che replicano gli indici in cui tutti noi, più o meno, avidamente investiamo i nostri sudati frutti dei nostri risparmi.
Come sempre, partiamo dall’indice più amato da tutti sua maestà lo
Standard and Poors’ 500: dopo la tranvata di inizio mese, costata in un paio di giorni quasi il 7%, il mese si è chiuso praticamente flat con uno 0,3% di crescita rispetto al 31/07.
Attenzione però, perché se prendiamo il total return dell’S&P 500, dividendi inclusi, ad agosto è stato del 2,4%.
Questo significa che le aspettative sui tagli della Fed hanno avuto un impatto significativo sul cambio con l’Euro.
In particolare, dal 31/7 al 30/08 il cambio Euro/Dollaro è passato da poco più di 1,08 a poco meno di 1,11.
Il dollaro ha quindi perso circa il 2,2% nei confronti della nostra valuta comunitaria e questa cosa ha determinato il minor rendimento ad agosto di prodotti in Euro con sottostanti in dollari.
Credo che torneremo spesso nei prossimi mesi a parlare di tematiche di cambio valutario perché il corso del dollaro in effetti potrebbe intraprendere delle dinamiche significative per le nostre tasche.
Andiamo all’indice globale, pezzo classico dello starter pack di qualunque neoinvestitore in ETF, l’indice MSCI World, che ad agosto ha fatto 0,57% e da inizio anno è di oltre il 16,5%.
Perché l’MSCI World, che è fatto al 70% da Stati Uniti, ha fatto meglio dell’S&P?
Probabilmente per la minore esposizione al dollaro.
Il Nasdaq 100 invece è stato l’indice più tormentato del mese, ovviamente condizionato dal peso esorbitante che singole mega realtà come Nvidia occupano al suo interno, che nella fattispecie è stata abbastanza ballerina ad agosto.
Morale, -0,9%, sempre in Euro, e +16,5% da inizio anno.
In Europa c’è stata prima tanta paura e poi una decisa ripresa, tanto che sia lo Stoxx 600 che l’Eurostoxx 50 sono cresciuti di circa il 2% ad agosto, portando il loro guadagno cumulativo da gennaio ad oggi a 12,9% per l’indice paneuropeo e 12,6% per quello ristretto alle blue chip dell’area euro.
Non ha fatto eccezione il nostro FTSE Mib che con il suo +1,8% ad agosto si conferma miglior borsa europea, aggiornando il dato da inizio anno ad un +18%, leggermente dietro solo all’S&P.
Possiamo non parlare del Giappone, il mercato più pazzo tra tutti i Paesi sviluppati?
Per una volta vale le pena prendere i dati in valuta locale e guardare cosa ha fatto il principale indice nipponico, il Nikkei, che nei soli primi 3 giorni di agosto ha perso quasi il 20% del suo valore per poi chiudere il mese con appena 1,2% di perdita.
Se prendiamo invece un ETF in euro sull’indice MSCI Japan, abbiamo una perdita simile per il mese, circa 1,5%, ma complessivamente un guadagno da inizio anno che resta solido quasi al 13%, in linea con i mercati europei.
Passando ai mercati emergenti invece il mese è stato piuttosto flat, -0,5% ad agosto e circa +9% da inizio anno.
Tra questi, mentre la Cina continua a stentare, l’India è la grande protagonista anche quest’anno.
L’indice MSCI India è infatti cresciuto del 22% da inizio anno ad oggi, il migliore tra tutti i grandi indici internazionali.
Fine della carrellata sulle azioni, vediamo il versante obbligazionario.
Il Bloomberg Euro Aggregate Treasury ha fatto un più 0,6% nel mese, che tanto corrisponde alla sua crescita da inizio anno.
Sulle scadenze più lunghe, invece, il Bloomberg Euro Government Bond 15-30, quindi obbligazioni governative oltre i 15 anni, è stato flat nel mese ed è ancora negativo da inizio anno, -1,5%.
Il motivo lo ricordiamo spesso: quest’indice aveva fatto un mega rally negli ultimi due mesi dello scorso anno, con l’aspettativa di 6-7 tagli dei tassi nel 2024.
Quando è diventato chiaro che i tagli sarebbero stati molti di meno, l’indice si è riprezzato per incorporare questa nuova aspettativa e quindi ha dovuto limare un po’ di crescita immotivata dell’anno prima.
Avendo duration lunghe, questo tipo di obbligazioni sono molto sensibili alle aspettative sulle variazioni dei tassi di interesse.
Hanno però fatto il loro a inizio mese.
Nei primi 3 giorni di agosto, mentre l’azionario veniva svenduto a man bassa, questo indice aveva guadagnato velocemente circal’1,5%, dimostrando di fare quello che le obbligazioni lunghe devono fare: ossia apprezzarsi quando i pericoli di una recessione fanno crollare le azioni.
Poi ha ritracciato nel mese, ma sembra che, con l’inflazione quasi normalizzata, si sia ripristinata in parte la tradizionale decorrelazione tra stock e bond, funzionale ad una buona diversificazione del portafoglio, come il buon Harry Markowitz avrebbe voluto.
Lato Treasury, invece, abbiamo avuto un effetto netto neutro dovuto, da un lato alla discesa dei rendimenti che hanno iniziato a scontare i tre tagli da qui a fine anno, mentre dall’altro l’indebolimento del dollaro ha pesato sulle valutazioni degli ETF in euro che tracciano i treasury.
Morale, +0,2% ad agosto, che fa +3% da inizio anno.
Concludiamo come sempre con l’oro.
Il biondo metallo più ambito della storia dell’uomo ha guadagnato un altro 1,3% ad agosto, sfondando nettamente i 2.550 dollari l’oncia e portando il risultato da inizio anno ad un +21%.
Su questo tema vi ricordo l’episodio 133, a cui vi rimando prima di prendere ogni eventuale decisione sul fatto di aggiungere oro oggi al portafoglio oppure no.
Per chi vuole consiglio anche la puntata del 27 agosto del podcast Unhedged, del Financial Times, dedicato appunto al rally dell’oro, alle motivazioni sottostanti e alla sollevazione di qualche perplessità sul fatto che questa crescita possa continuare fino a fine anno.
Come sempre, ogni previsione è buona per le chiacchiere, ma il punto di vista è interessante.
E anche a sto giro il mese l’abbiamo raccontato.
Abbiamo fatto il recap di quel che è successo, abbiamo dato i numeri, cosa manca ora?
Beh intanto i prossimi momenti clue di settembre saranno:
– Il 6 settembre, con la pubblicazione dei dati occupazionali americani di Agosto e considerato cos’è successo con l’ultima versione di questo report, tenere le cinture bene allacciate;
– E poi naturalmente il 18 settembre l’appuntamento è intorno alle 20 ora italiana per la consueta conferenza in cui Jerome Powell dirà se e di quanto la Fed taglierà i tassi. Sul se ci sono pochi dubbi. Sul quanto probabilmente inciderà anche il report occupazionale del 6 settembre: timori di recessione potrebbero portare ad un taglio importante di 50 basis point, mentre un mercato del lavoro solido potrebbe invece confermare il taglio di 25.
Vedremo.
Qual è la morale di tutto quel che è successo?
Beh, non è che ci sia qualche grande lezione di fondo.
Sul piano finanziario c’è stato un po’ di casino, ma alla fine come se nulla fosse accaduto.
Per molti di voi che mi stanno seguendo invece, forse si è trattato del primo microtest sulla propria reazione di fronte a situazione di volatilità.
Questo è stato un assaggino, come quegli entrée che vi portano nei ristoranti stellati prima ancora di cominciare con gli antipasti, giusto per preparare la bocca.
Ecco, qui avete gustato un primo assaggio dei sapori della casa.
Quando arriveranno le altre portate l’esperienza sarà ben più intensa.
In situazione come questa scoprite come siete fatti e qual è la vostra reale predisposizione al rischio.
Come abbiamo detto tante volte, investire è forse più una roba di psicologia che di finanza.
Nel nostro comportamento quando investiamo, scopriamo come siamo fatti davvero.
Il problema è che i mercati sono un pessimo posto per fare questa scoperta.
Pertanto, se nei primi giorni di agosto vi si è gelato il sangue nelle vene forse è il caso di rivedere la vostra asset allocation.
Non perché sia sbagliata.
Ma perché in primis il vostro portafoglio non deve farvi morire d’infarto.
Non serve fare un backtest per capire che un portafoglio fortemente spinto sull’azionario sarà andato giù pesantemente nei primi giorni di agosto, mentre un portafoglio stile permanent o golden butterfly, con poche azioni, bond lunghi e oro, sicuramente avrà mostrato una volatilità più contenuta.
Il portafoglio giusto, come spesso abbiamo detto, non è quello che tra trent’anni avrà reso di più, ma quello che per i prossimi trent’anni sarete in grado di sostenere.
Una volta si diceva che la scelta è tra mangiare bene (ossia puntare al rendimento) o dormire bene (ossia ridurre il rischio).
Nei primi di agosto probabilmente avrete capito se preferite la pancia piena o un buon riposo notturno senza pensieri.
Se invece mangiare bene vi piace e la notte dormite benissimo anche con il vostro portafoglio che capicolla giù, allora avete fatto bingo!
Però su questa cosa, solo nel profondo della vostra dimensione emotiva troverete la risposta.
Ascoltate quella voce interiore.
Rispetto a quel che vi dirà, non c’è Sharpe Ratio che tenga.
È lei che ha ragione.
E con questo, buon inizio settembre a tutti voi, splendido pubblico di questo bislacco podcast!
E settembre sarà un mese speciale.
Non perdetevi il prossimo episodio perché, oltre a parlare di un modello di approccio universale all’asset allocation, in quell’occasione darò un annuncio importante.
Qualcuno di voi magari un’idea se l’è già fatta, a qualcuno in privato l’ho anticipato, in centinaia nei vari mesi me l’avevate chiesto … insomma, ricordatevi mercoledì prossimo di ascoltare il nuovo episodio di The Bull, first thing in the morning, perché partiremo con una grande notizia.
Vi piacerebbe saperlo subito?
E invece no, aspettate mercoledì.
Nel frattempo invece, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che per dirvi cos’hanno fatto in un mese 4 indici in croce partono con Lenin e finiscono con Cracco sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento insieme e soprattutto per condividere tutti assieme l’annuncio più importante della storia di The Bull.
Cazzo mi sa che ho alzato un po’ l’asticella.
Moh la gente si aspetta che tipo il prossimo ospite sarà Warren Buffett e invece quando dirò di cosa si tratta penseranno “ah tutto qua …?”
Eh va beh, ormai è andata così,
sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Ci sono decenni in cui non accade niente e settimane in cui accadono decenni!
La frase è di Lenin, non esattamente un personaggio modello per un podcast di finanza vista la leggera inclinazione al comunismo ma che volete, purtroppo sta roba la detta lui e non John Maynard Keynes.
E nessuno meglio di Lenin avrebbe potuto descrivere l’agosto che abbiamo appena vissuto, almeno dal punto di vista finanziario.
Settimane pazze in cui è successo letteralmente di tutto e mandato in fibrillazione milioni di cuori di investitori di tutto il mondo che si sono trovati su una tale e tanta montagna russa emotiva che non si vedeva dai tempi del Volmageddon del 2018.
Per chi non se lo ricorda, il Volmageddon è stato un celebre flash crash del mercato avvenuto nel Febbraio 2018, dovuto fondamentalmente al fatto che molti investitori stavano facendo palate di soldi durante i precedenti anni molto tranquilli e positivi dei mercati investendo in prodotti come lo XIV, ossia un Exchange Traded Product che in pratica era l’inverso del VIX, l’indice della volatilità dell’S&P 500, basato sulle opzioni put e call sull’indice.
Quando c’è tensione il VIX va su, quando il mercato cresce tranquillo va giù, e il XIV ovviamente fa il contrario.
XIV era il nome simpaticamente inventato da Credit Suisse invertendo le lettere di VIX.
Poi cosa è successo.
Di colpo sono successe una serie cose tra cui un dato sul mercato del lavoro americano, tanto per cambiare, che ha fatto subito pensare che un aumento eccessivo dei salari avrebbe portato ad un aumento dell’inflazione e quindi dei tassi della Fed. O forse Jerome Powell annunciò proprio un po’ a sorpresa che avrebbe alzato i tassi, non mi ricordo, vado a memoria.
Sta di fatto che il mercato si è preso male, l’S&P perse tipo il 6% il solo 5 di febbraio e complessivamente oltre il 10% in circa una settimana.
E voi che vi eravate preoccupati quando lo scorso 5 agosto ha perso il 3%!
Pensate che ridere se foste stati investitori 6 anni fa.
Comunque allora male male per gli investitori long-term come noi, invece malissimo al cubo per quelli che avevano comprato lo XIV.
Perché infatti di colpo il VIX, chiamato non a caso l’indice della paura, è andato alle stelle appena l’S&P ha iniziato a crollare perché molti investitori sono corsi a coprirsi con opzioni put, quelle che ti proteggono quando l’asset sottostante perde valore.
Come sempre avviene in questi casi, però, si creano dei circoli viziosi o delle profezie che si autoavverano.
Quando è scoppiato il casino infatti il VIX è andato su alle stelle e tutti si sono messi a liquidare posizioni che scommettevano contro il VIX.
Ma più vendi posizioni che scommettono contro il VIX, ossia posizioni che sono si dice “short” il VIX, più il VIX continua a salire.
Ricordatevi sempre che, come logica, comprare un certo asset o vendere una posizione short verso quell’asset ha lo stesso effetto sul mercato, ossia fa crescere il valore dell’asset.
Comprare futures sul VIX oppure vendere un prodotto che scommette contro il VIX fa andare su il VIX.
Insomma, nello spazio di una drammatica giornata in borsa lo XIV perse il 94% del suo valore.
E il girono dopo Credit Suisse annunciò che avrebbe liquidato il prodotto e che sarebbe stato chiuso per sempre.
Rest in vix…
Perché ho riesumato sta cosa?
Eh perché quel che è successo a inizio mese, pur in ambiti diversi, ha rievocato in molti la memoria di quel flash crash.
Se escludiamo il marzo del 2020, quando l’esplosione del Covid fece impazzire i mercati per motivi concreti e non per eccessi speculativi, lo scorso 5 agosto il mercato si è a tal punto cagato addosso per il tracollo della borsa di tokyo successivo alla pubblicazione, il venerdì prima, di dati inaspettatamente negativi sull’occupazione americana, che il VIX ha addirittura superato i livelli di quel flash crash e praticamente da 10 anni non si toccavano picchi così elevati.
Ricordiamo cosa è successo.
Venerdì 2 agosto esce il consueto dato sui non farm payroll negli Stati Uniti, quindi nuovi assunti.
Il dato è particolarmente sotto le attese, con il senno di poi, forse, per via di un tornado sulla costa est cha ha chiuso temporaneamente alcune attività ma questa cosa non l’ha voluta tenere in considerazione nessuno, comunque dicevo, dato sotto le attese, paura improvvisa che una recessione sia alle porte e i mercati cominciano a prenderla male.
Quando però ci sono brutte notizie di venerdì, poi il lunedì non comincia mai con il piede giusto, perché durante il weekend la gente si prende male e non aspetta altro che la riapertura dei mercati per sfogare tutta la propria frustrazione.
E chi apre per primo?
Ovviamente tokyo, per chiare motivazioni di fuso orario.
Come noto, i Giapponesi hanno una spiccata propensione al dramma.
Non è un caso che abbiano inventato loro la nobile pratica dell’harakiri.
Così, era il mio primo giorno di ferie, stavo partendo con bagagli, moglie, figlia e gatto per il maro, e il Nikkei pensa bene di segnare il secondo peggior crollo di tutta la sua storia, con un tonfo leggendario di quasi il 13%.
Si sarebbe capito qualche ora dopo che il motivo principale non era tanto la paura di recessione negli Stati Uniti.
Quello è stato il detonatore, unito al fatto che la Banca Centrale Giapponese, dopo aver lasciato i tassi d’interesse negativi mentre tutto il mondo occidentale li aveva alzati con gli steroidi, aveva appena annunciato un rialzo di 0,25 punti dei tassi.
Ciò che ha scatenato la tragedia di quel memorabile 5 agosto è stata a quel punto la liquidazione di miliardi di dollari di posizioni sul carry trade con lo yen.
Per chi non se lo ricordasse, il carry trade è una pratica secondo la quale ci si indebita in una valuta debole, di solito di un paese con tassi di interesse bassi, e la si usa per investire in titoli denominati in una valuta forte.
Molti investitori da tempo prendevano in prestito Yen, che nel frattempo avevano raggiunto un livello record di debolezza verso il dollaro, 165 a 1, e utilizzavano questi Yen per investire soprattutto in Treasury, in titoli di Stato francesi e in azioni tech americane.
Nel momento in cui è stato annunciato il rialzo dei tassi della Bank of Japan, lo Yen si è velocemente apprezzato fino a 145 e quindi sono dovuti tutti correre a liquidare le proprie posizioni fatte con Yen presi in prestito.
Perché?
Perché se io prendo in prestito 100 milioni di Yen quando lo yen vale 165 per un dollaro, posso investire l’equivalente di circa 600.000 dollari in, che ne so, Nvidia.
Ma nel momento in cui lo Yen va a 145, il mio investimento Nvidia che fa da collaterale per il prestito, non basta più per garantire il mio debito, perché ora i 100 milioni di Yen che avevo preso in prestito valgono quasi 690.000 dollari.
In questa situazione partono le cosiddette margin call in cui la banca che ti ha prestato i soldi ti dice: o metti più soldi, o ti vendo i titoli per coprirmi.
Nell’arco di quella giornata drammatica miliardi di dollari di posizioni sono state liquidate e quindi un sacco di gente ha dovute vendere i propri asset acquistati con Yen prestito e questo ha fatto crollare soprattutto le azioni ameircane e come da copione tutto il mondo gli è andato dietro.
Sembrava l’inizio dell’apocalisse.
Anche se tutti voi ricorderete che il buon The Bull vostro, per voce del sottoscritto, fece uscire un episodio in fretta e furia due giorni dopo per dire a tutti voi: “ah ragà, keep calm. Ogni tanto il mercato va giù. Non è un’anomalia. È la normalità. Non esiste uno sciatore che non sia mai caduto o un avvocato che non abbia mai perso una causa. Fa parte del gioco. Tornate pure in spiaggia e mollate giù lo smartphone che vi rovina le vacanze”.
Beh non dissi proprio queste parole, ma il concetto era questo.
Poi senza nemmeno il tempo di farsi passare la strizza, anche se in realtà mi stavo già fregando le mani all’idea di comprare a prezzi un po’ più bassi a fine mese una volta arrivato lo stipendio di agosto, niente, è bastato un mezzo reportino insignificante che diceva che le richieste di sussidi di disoccupazione della settimana prima, sempre negli USA, erano state inferiore alle attese che il mercato improvvisamente ha deciso che la recessione era di nuovo scongiurata e i mercati hanno rimbalzato.
Ci si è messa anche la banca del giappone che ha detto: “ma no, ero uno scherzo, quando abbiamo detto che avremmo rialzato i tassi non intendevamo proprio rialzare i tassi. Volevamo solo dire che forse, ma con calma, avremmo alzato un pelino i tassi dello spessore di un pezzo si sashimi, niente di che, però tranquilli che se non volete non lo facciamo”.
Tutti di nuovo sereni e ottimisti.
Vix nuovamente a livelli rasoterra.
Mercato che in una settimana ha recuperato tutte le perdite (in dollari perlomeno, non in euro come vedremo dopo) e la Terra ha ricominciato a girare nel senso giusto.
Già gli eventi di questa prima settimana sarebbero bastati per la quantità di emozioni che uno è disposto a sopportare in un mese come investitore.
E invece no!
Perché la settimana successiva, mentre io, moglie, bambina e gatto ci siamo spostati in montagna, festa grande!
Prezzi di produzione e inflazione più bassi delle attese, dati sugli acquisti retail migliori del previsto e di nuovo ci siamo riproiettati nel migliore dei mondi possibili, con un’economia americana che resta forte e resiliente e l’aumento dei prezzi che per la prima volta dalla fine della pandemia è tornato sotto il 3%, esattamente ciò che aspettava la Fed per poter cominciare a tagliare i tassi.
Come da tradizione di fine agosto c’è stato poi il congresso di Jackson Hole, dove si riuniscono i principali banchieri centrali del mondo tra le montagne del Wyoming.
E lì, finalmente, dopo due anni, sono arrivate le tanto attese parole di Jerome Powell: “Time has come for policy to adjust”.
È giunto il momento di riadattare la policy della Fed.
Tradotto: non è più la lotta all’inflazione il nostro problema principale, bensì quello opposto, proteggere l’occupazione ed evitare recessioni.
Tradotto in maniera ancora più semplice: durante il meeting del Federal Open Market Committee di metà settembre la Fed comincerà a tagliare i tassi di interesse.
Sicuramente di 25 basis point, che vuol dire 0,25%, forse di 50, ossia 0,5%.
A inizio mese, freschi ancora della strizza per i megacrolli globali, sembrava molto probabile un super taglio di 50 basis point.
Ad oggi, con il mercato che è rimbalzato, l’economia che continua a sembrare forte e con il PIL americano che è cresciuto del 3% nel secondo trimestre rispetto al 2,8% della prima misurazione, sembra meno urgente un taglio di 0,5, mentre ormai è dato per certo un taglio di 0,25%.
Perché sono tutti contenti se la Fed taglia i tassi?
In teoria, con tassi più bassi l’economia ha più slancio, le obbligazioni si apprezzano perché gli interessi scendono, dovrebbero scendere i mutui, i prestiti, ecc.
Ora, PRIMA DOMANDA: il mercato, storicamente, ha fatto sempre bene dopo il primo taglio dei tassi?
E poi, SECONDA DOMANDA: che impatto ha per noi, Euroinvestitori sfigati che non prendono lo stipendio in dollari, il taglio dei tassi?
Partiamo dalla prima — e qui inizia quella parte tipica negli episodi di The Bull in cui vi sparo una serie di numeri.
Da una parte sono noiosi, dall’altra in mezzo al fiume di parole inutili che pronuncio, i numeri sono l’unica cosa oggettiva a cui attaccarsi.
E attenzione che i numeri sono interessanti.
Come sempre parliamo solo di S&P 500, perché dell’impatto dei tagli della Fed sui mercati extra US, comprensibilmente, non frega un tubo a nessuno.
Cominciamo con il dire che dal 1970 ad oggi il total return dell’S&P 500, quindi inclusi i dividendi, ad un anno dal primo taglio dei tassi è stato in media del 13% mentre il ritorno mediano è stato il 16%.
Media vuol dire “media aritmetica”, mediana vuol dire il valore centrale una volta che sono stati messi in fila in ordine crescente tutti i risultati dal 1970 ad oggi.
Al di là delle medie, però, bisogna distinguere tra gli anni in cui dopo i tagli c’è stata una recessione e anni invece di “soft landing”, ossia di allentamento della politica monetaria senza recessione economica.
Nel caso di anni senza recessione, la crescita media ad un anno del S&P 500 è stata del 18%, mentre in anni di recessione è stata del -4,6%, almeno secondo i conti di JP Morgan, perché ho visto altri report con dati leggermente diversi.
In generale è interessante notare come solo 3 volte la crescita a 3 anni dell’S&P 500 a tre anni dal primo taglio sia stata negativa.
Questa cosa è successa nel 1971, nel 2001 e nel 2007, ossia in coincidenza di tre mezze catastrofi finanziarie.
Non è invece mai accaduto che l’S&P 500 fosse in negativo 5 anni dopo il primo taglio dei tassi.
Il caso peggiore si è verificato nel gennaio 2006, ossia 5 anni dopo il primo taglio dei tassi iniziato nel gennaio 2001, con l’S&P leggermente in positivo dell’1%, è andata un po’ meglio nel 1975 e nel 2012, in entrambi casi con 8% di crescita rispetto al primo taglio 5 anni prima, mentre il risultato migliore è stato nel 1987, con una crescita del 220%, quasi 18% all’anno, dopo il primo taglio del 1982.
Curiosamente il 1987 è stato anche l’anno nel quale, il 19 ottobre, si sarebbe verificato il Black Monday, il peggior giorno di sempre della storia dei mercati con l’S&P crollato di oltre il 20% in un giorno.
Per quanto la statistica del passato valga per il futuro, certamente il taglio dei tassi è una prospettiva incoraggiante.
Non sappiamo se ci troveremo in una situazione di soft landing o hard landing, ma l’idea di avere una prospettiva a 5 media del 89% da settembre 2024 a settembre 2029 è incoraggiante.
Mmmh aspettate un attimo.
Fatemi fare due conti.
Dunque, 89% in 5 anni significa circa 13,6% all’anno, come media geometrica.
Interessante.
Avete presente quella stronzata che dico sempre secondo la quale l’S&P 500 deve fare in media poco meno del 12% all’anno da qui al 2029 solo per pareggiare il peggior trentennio di tutti tempi, quello tra il 1929-1958?
Questo 13,58% da settembre 2024 a settembre 2029 sembra coerente e farebbe del trentennio che stiamo vivendo un trentennio leggermente sotto la media del rendimento trentennale dell’S&P.
Sta a vedere che alla fine ci prendo…
Ci ritroveremo allora per un episodio speciale il 30 settembre del 2029, segnatevelo, in cui certificheremo insieme se avrò vinto la scommessa o se il primo trentennio degli anni 2000 sarà stato il meno redditizio della storia del mercato americano.
Prima di passare alla seconda domanda, però, vediamo velocemente hanno cosa hanno fatto le altre asset class un anno dopo il primo taglio, in media, dal 1984 ad oggi.
Perché dall’84?
Perché non ho trovato dati più vecchi, se volete cercateveli da soli.
Le azioni globali ex Stati Uniti, perlomeno dalla prospettiva di un investitore in dollari, hanno fatto in media il 16% in anni non recessivi, mentre addirittura il -14% in media con una recessione di mezzo.
I treasury a 10 anni sono andati molto bene in entrambi i casi: 6,2% negli anni di soft landing e addirittura 8,8% in anni di recessione, per ovvi motivi come il fatto che durante una recessione è probabile che la Fed tagli più volte i tassi.
Le materie prime, infine, sono cresciute in media del 9,3% in anni di soft landing, mentre hanno preso in media il 13% in anni di recessione.
Veniamo ora alla seconda domanda: è un bene per noi che la Fed tagli?
Sì e no.
Sì per i motivi che abbiamo esposto e per il fatto che in generale un dollaro più debole è una situazione gradita sia per l’economia americana che per l’economia europea, quest’ultima in particolare per via della sua dipendenza energetica da paesi stranieri.
No perché le maggiori possibilità di taglio dei tassi della Fed, rispetto alla banca centrale europea, delineano una traiettoria di indebolimento del dollaro che, come visto nell’episodio precedente, avrà un impatto negativo sui rendimenti di un europeo con investe in asset denominati in dollari.
Possiamo farci qualcosa? No.
Possiamo utilizzare strumenti a cambio coperto? Sì, ma se devo pagare 1-1,5% all’anno di costi di copertura per proteggermi magari da un 1-1,5% di effetto netto del cambio euro-dollaro tanto vale.
Mi prendo un costo certo per un rischio incerto e con basso beneficio.
Resta il fatto, comunque, che chi per qualche motivo ha un orizzonte di investimento breve-medio e ciononostante una significativa esposizione azionaria verso il dollaro, allora potrebbe comunque preferire volersi coprire sul piano valutario.
Sulla nostra paranoia sull’effetto cambio con il dollaro vi consiglio di leggere l’ultimo pezzo di Nick Protasoni nel suo blog theitalianleathersofa.
Ah, prima di passare al consueto recap sui vari indici, menzione speciale per Nvidia.
L’azione più amata di wall street ha pubblicato i suoi dati trimestrali il 27 di agosto e quella sera c’era gente nei pub a seguire la CNBC manco fosse il superbowl.
La cosa ironica è che Nvidia ha riportato un +200% di crescita di fatturato rispetto ad un anno fa e un raddoppio anno su anno del fatturato è una cosa che avrebbe fatto decollare il titolo di qualunque azione del mondo.
Il problema è che Nvidia però ha talmente abituato a performance stellari che questa, che stellare lo sarebbe davvero, ha fatto pensare a molti che forse la crescita infinita verso il cielo di Nvidia possa essere arrivata alla fine.
Morale, il titolo ha perso oltre l’8% per aver SOLO raddoppiato il fatturato rispetto ad un anno fa.
Molto peggio è andata a Super Micro Computer, altro colosso tech che produce server legati all’intelligenza artificiale e i cui destini sono legati a doppio filo a quelli di Nvidia.
Dopo aver triplicato il suo valore in borsa nei primi 3 mesi dell’anno — sì: triplicato! +300% in tre mesi, roba da pazzi — da allora il titolo ha perso il 67% del suo valore, con un bel tonfo del 19% il giorno dopo i dati di Nvidia.
Vedremo se l’euforia da intelligenza artificiale stia cominciando a raffreddarsi o altro…
Bene, diamo i numeri su tutti i vari ETF europei che replicano gli indici in cui tutti noi, più o meno, avidamente investiamo i nostri sudati frutti dei nostri risparmi.
Come sempre, partiamo dall’indice più amato da tutti sua maestà lo
Standard and Poors’ 500: dopo la tranvata di inizio mese, costata in un paio di giorni quasi il 7%, il mese si è chiuso praticamente flat con uno 0,3% di crescita rispetto al 31/07.
Attenzione però, perché se prendiamo il total return dell’S&P 500, dividendi inclusi, ad agosto è stato del 2,4%.
Questo significa che le aspettative sui tagli della Fed hanno avuto un impatto significativo sul cambio con l’Euro.
In particolare, dal 31/7 al 30/08 il cambio Euro/Dollaro è passato da poco più di 1,08 a poco meno di 1,11.
Il dollaro ha quindi perso circa il 2,2% nei confronti della nostra valuta comunitaria e questa cosa ha determinato il minor rendimento ad agosto di prodotti in Euro con sottostanti in dollari.
Credo che torneremo spesso nei prossimi mesi a parlare di tematiche di cambio valutario perché il corso del dollaro in effetti potrebbe intraprendere delle dinamiche significative per le nostre tasche.
Andiamo all’indice globale, pezzo classico dello starter pack di qualunque neoinvestitore in ETF, l’indice MSCI World, che ad agosto ha fatto 0,57% e da inizio anno è di oltre il 16,5%.
Perché l’MSCI World, che è fatto al 70% da Stati Uniti, ha fatto meglio dell’S&P?
Probabilmente per la minore esposizione al dollaro.
Il Nasdaq 100 invece è stato l’indice più tormentato del mese, ovviamente condizionato dal peso esorbitante che singole mega realtà come Nvidia occupano al suo interno, che nella fattispecie è stata abbastanza ballerina ad agosto.
Morale, -0,9%, sempre in Euro, e +16,5% da inizio anno.
In Europa c’è stata prima tanta paura e poi una decisa ripresa, tanto che sia lo Stoxx 600 che l’Eurostoxx 50 sono cresciuti di circa il 2% ad agosto, portando il loro guadagno cumulativo da gennaio ad oggi a 12,9% per l’indice paneuropeo e 12,6% per quello ristretto alle blue chip dell’area euro.
Non ha fatto eccezione il nostro FTSE Mib che con il suo +1,8% ad agosto si conferma miglior borsa europea, aggiornando il dato da inizio anno ad un +18%, leggermente dietro solo all’S&P.
Possiamo non parlare del Giappone, il mercato più pazzo tra tutti i Paesi sviluppati?
Per una volta vale le pena prendere i dati in valuta locale e guardare cosa ha fatto il principale indice nipponico, il Nikkei, che nei soli primi 3 giorni di agosto ha perso quasi il 20% del suo valore per poi chiudere il mese con appena 1,2% di perdita.
Se prendiamo invece un ETF in euro sull’indice MSCI Japan, abbiamo una perdita simile per il mese, circa 1,5%, ma complessivamente un guadagno da inizio anno che resta solido quasi al 13%, in linea con i mercati europei.
Passando ai mercati emergenti invece il mese è stato piuttosto flat, -0,5% ad agosto e circa +9% da inizio anno.
Tra questi, mentre la Cina continua a stentare, l’India è la grande protagonista anche quest’anno.
L’indice MSCI India è infatti cresciuto del 22% da inizio anno ad oggi, il migliore tra tutti i grandi indici internazionali.
Fine della carrellata sulle azioni, vediamo il versante obbligazionario.
Il Bloomberg Euro Aggregate Treasury ha fatto un più 0,6% nel mese, che tanto corrisponde alla sua crescita da inizio anno.
Sulle scadenze più lunghe, invece, il Bloomberg Euro Government Bond 15-30, quindi obbligazioni governative oltre i 15 anni, è stato flat nel mese ed è ancora negativo da inizio anno, -1,5%.
Il motivo lo ricordiamo spesso: quest’indice aveva fatto un mega rally negli ultimi due mesi dello scorso anno, con l’aspettativa di 6-7 tagli dei tassi nel 2024.
Quando è diventato chiaro che i tagli sarebbero stati molti di meno, l’indice si è riprezzato per incorporare questa nuova aspettativa e quindi ha dovuto limare un po’ di crescita immotivata dell’anno prima.
Avendo duration lunghe, questo tipo di obbligazioni sono molto sensibili alle aspettative sulle variazioni dei tassi di interesse.
Hanno però fatto il loro a inizio mese.
Nei primi 3 giorni di agosto, mentre l’azionario veniva svenduto a man bassa, questo indice aveva guadagnato velocemente circal’1,5%, dimostrando di fare quello che le obbligazioni lunghe devono fare: ossia apprezzarsi quando i pericoli di una recessione fanno crollare le azioni.
Poi ha ritracciato nel mese, ma sembra che, con l’inflazione quasi normalizzata, si sia ripristinata in parte la tradizionale decorrelazione tra stock e bond, funzionale ad una buona diversificazione del portafoglio, come il buon Harry Markowitz avrebbe voluto.
Lato Treasury, invece, abbiamo avuto un effetto netto neutro dovuto, da un lato alla discesa dei rendimenti che hanno iniziato a scontare i tre tagli da qui a fine anno, mentre dall’altro l’indebolimento del dollaro ha pesato sulle valutazioni degli ETF in euro che tracciano i treasury.
Morale, +0,2% ad agosto, che fa +3% da inizio anno.
Concludiamo come sempre con l’oro.
Il biondo metallo più ambito della storia dell’uomo ha guadagnato un altro 1,3% ad agosto, sfondando nettamente i 2.550 dollari l’oncia e portando il risultato da inizio anno ad un +21%.
Su questo tema vi ricordo l’episodio 133, a cui vi rimando prima di prendere ogni eventuale decisione sul fatto di aggiungere oro oggi al portafoglio oppure no.
Per chi vuole consiglio anche la puntata del 27 agosto del podcast Unhedged, del Financial Times, dedicato appunto al rally dell’oro, alle motivazioni sottostanti e alla sollevazione di qualche perplessità sul fatto che questa crescita possa continuare fino a fine anno.
Come sempre, ogni previsione è buona per le chiacchiere, ma il punto di vista è interessante.
E anche a sto giro il mese l’abbiamo raccontato.
Abbiamo fatto il recap di quel che è successo, abbiamo dato i numeri, cosa manca ora?
Beh intanto i prossimi momenti clue di settembre saranno:
– Il 6 settembre, con la pubblicazione dei dati occupazionali americani di Agosto e considerato cos’è successo con l’ultima versione di questo report, tenere le cinture bene allacciate;
– E poi naturalmente il 18 settembre l’appuntamento è intorno alle 20 ora italiana per la consueta conferenza in cui Jerome Powell dirà se e di quanto la Fed taglierà i tassi. Sul se ci sono pochi dubbi. Sul quanto probabilmente inciderà anche il report occupazionale del 6 settembre: timori di recessione potrebbero portare ad un taglio importante di 50 basis point, mentre un mercato del lavoro solido potrebbe invece confermare il taglio di 25.
Vedremo.
Qual è la morale di tutto quel che è successo?
Beh, non è che ci sia qualche grande lezione di fondo.
Sul piano finanziario c’è stato un po’ di casino, ma alla fine come se nulla fosse accaduto.
Per molti di voi che mi stanno seguendo invece, forse si è trattato del primo microtest sulla propria reazione di fronte a situazione di volatilità.
Questo è stato un assaggino, come quegli entrée che vi portano nei ristoranti stellati prima ancora di cominciare con gli antipasti, giusto per preparare la bocca.
Ecco, qui avete gustato un primo assaggio dei sapori della casa.
Quando arriveranno le altre portate l’esperienza sarà ben più intensa.
In situazione come questa scoprite come siete fatti e qual è la vostra reale predisposizione al rischio.
Come abbiamo detto tante volte, investire è forse più una roba di psicologia che di finanza.
Nel nostro comportamento quando investiamo, scopriamo come siamo fatti davvero.
Il problema è che i mercati sono un pessimo posto per fare questa scoperta.
Pertanto, se nei primi giorni di agosto vi si è gelato il sangue nelle vene forse è il caso di rivedere la vostra asset allocation.
Non perché sia sbagliata.
Ma perché in primis il vostro portafoglio non deve farvi morire d’infarto.
Non serve fare un backtest per capire che un portafoglio fortemente spinto sull’azionario sarà andato giù pesantemente nei primi giorni di agosto, mentre un portafoglio stile permanent o golden butterfly, con poche azioni, bond lunghi e oro, sicuramente avrà mostrato una volatilità più contenuta.
Il portafoglio giusto, come spesso abbiamo detto, non è quello che tra trent’anni avrà reso di più, ma quello che per i prossimi trent’anni sarete in grado di sostenere.
Una volta si diceva che la scelta è tra mangiare bene (ossia puntare al rendimento) o dormire bene (ossia ridurre il rischio).
Nei primi di agosto probabilmente avrete capito se preferite la pancia piena o un buon riposo notturno senza pensieri.
Se invece mangiare bene vi piace e la notte dormite benissimo anche con il vostro portafoglio che capicolla giù, allora avete fatto bingo!
Però su questa cosa, solo nel profondo della vostra dimensione emotiva troverete la risposta.
Ascoltate quella voce interiore.
Rispetto a quel che vi dirà, non c’è Sharpe Ratio che tenga.
È lei che ha ragione.
E con questo, buon inizio settembre a tutti voi, splendido pubblico di questo bislacco podcast!
E settembre sarà un mese speciale.
Non perdetevi il prossimo episodio perché, oltre a parlare di un modello di approccio universale all’asset allocation, in quell’occasione darò un annuncio importante.
Qualcuno di voi magari un’idea se l’è già fatta, a qualcuno in privato l’ho anticipato, in centinaia nei vari mesi me l’avevate chiesto … insomma, ricordatevi mercoledì prossimo di ascoltare il nuovo episodio di The Bull, first thing in the morning, perché partiremo con una grande notizia.
Vi piacerebbe saperlo subito?
E invece no, aspettate mercoledì.
Nel frattempo invece, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che per dirvi cos’hanno fatto in un mese 4 indici in croce partono con Lenin e finiscono con Cracco sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento insieme e soprattutto per condividere tutti assieme l’annuncio più importante della storia di The Bull.
Cazzo mi sa che ho alzato un po’ l’asticella.
Moh la gente si aspetta che tipo il prossimo ospite sarà Warren Buffett e invece quando dirò di cosa si tratta penseranno “ah tutto qua …?”
Eh va beh, ormai è andata così,
sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024