141. Come scegliere la Duration degli ETF Obbligazionari
Risorse
Punti Chiave
Impatto dei tagli dei tassi delle Banche Centrali su obbligazioni ed ETF.
Spiegata la Duration (sensibilità al tasso) e l'effetto su scadenze diverse.
Cruciale gestire il rischio (inflazione/recessione) tramite l'asset allocation, non il market timing.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Piccolo annuncio prima di fiondarci nell’episodio di oggi dal titolo che avrà già fatto scappare metà di voi.
Chi mi segue anche su instagram su thebull_finance lo sa già, per tutti gli altri approfitto di quest’occasione per comunicare che l’uscita del mio libro Sei già ricco ma non lo sai è stata posticipata al primo ottobre, invece che 24 settembre, perché in pratica sono stati fatti così tanti preordini che Rizzoli ha dovuto fare una terza stampa in due settimane e non sarebbe possibile rifornire le librerie in tempo, anche perché pare che Amazon ne abbia richieste così tante che Rizzoli ha dovuto disboscare il Trentino per recuperare la carta necessaria.
Scherzo, è tutto su carta riciclata naturalmente, non disboschiamo niente.
È però vero che le richieste hanno tipo triplicato la prima tiratura e quindi, da una parte, grazie di cuore per questa incredibile accoglienza a scatola chiusa, dato che il libro sinora l’ho letto solo io e quei 4 poveri cristi che hanno dovuto starmi dietro per correggere le bozze.
Dall’altro, abbiate una settimana in più di pazienza, poi sicuro che il 1° ottobre sarà nelle vostre mani.
Detto questo, era un bel po’ che qui a casa The Bull non si parlava del vostro argomento preferito: obbligazioni e etf obbligazionari.
Il momento è quanto mai caldo perché giovedì 12 settembre la BCE, come previsto, ha tagliato d 25 basis point, ossia 0,25%, i tassi di riferimento in Europa, che come sapete non incidono solo sulle vostre scelte d’investimento ma direttamente sui mutui, sui finanziamenti per le auto e per tutto il credito al consumo in generale (oltre che naturalmente per il credito alle imprese).
Il momento della verità sarà invece il 18 settembre verso le otto di sera qua da noi, quando Jerome Powell, il capo della Federal Reserve, svelerà di quanto verranno tagliati i tassi americani.
Oh è più di un anno è mezzo che non si aspetta altro che sto benedetto inizio del ciclo di tagli della Fed, manco la finale dei mondiali è un evento tanto atteso.
Ora, se volete sapere in tempo reale le cose più rilevanti su quel che fa (o forse farà) la Fed, dovete andarvi a guardare il CME Fedwatch, che è un tool online gestito dal Chicago Mercantile Exchange, la più grande borsa del mondo di futures e opzioni, che dà in tempo reale le stime del mercato sulle mosse future della Federal Reserve. Vi lascio il link nella descrizione dell’episodio.
Io, ancora ad oggi, continuo a mettere la mano sul fuoco che la Fed taglierà di 0,25, anche se l’opinione più diffusa è che con l’inflazione ormai annientata e la Cina che, con le sue difficoltà economiche, sta esportando deflazione in tutto il mondo, la Fed dovrebbe tagliare almeno di 0,5 per evitare di piombare velocemente in una recessione, dato che dall’altra parte il mercato del lavoro si è raffreddato e le assunzioni diminuiscono mese dopo mese.
Cosa vuol dire che la Cina sta esportando deflazione? Significa che per esempio sta facendo scendere i prezzi delle materie prime, perché se produce meno ne consuma meno, e in generale sta di fatto contribuendo alla discesa dei prezzi a livello globale, essendo la Cina ancora il più grande esportatore del mondo.
Dicevo, l’opinione più diffusa è che la Fed dovrebbe tagliare di 0,5 per ragioni di natura economica, ma per ragioni di natura, diciamo, politica probabilmente taglierà solo di 0,25.
Il motivo potrebbe essere che se taglia di 0,5 poi il mercato lo potrebbe vedere come un chiaro segnale di recessione in arrivo e sovrareagire, oppure potrebbe volersi tenere più margine per azioni più aggressive in futuro, insomma, non lo so… però la Fed per sua natura si muove con i piedi di piombo e un taglio di 0,5, senza gravi motivi, sarebbe comunque una decisione forte.
Guardando ai dati di venerdì 13, in effetti, il Fedwatch dice che il mercato stima un 50% di probabilità che la Fed faccia sto bel taglione.
Cosa che peraltro per ora ha fatto felicissimi i mercati che dopo la prima settimana nera di settembre sono tutti euforici.
Ripeto: la mia opinione da povero pirla senza nessuna autorità per esprimere opinioni è che la fed farà 0,25.
Ma è assolutamente possibile che mi sorprenda e che colpo di scena boom! Si inizia con il botto il ciclo di tagli dei tassi di interesse.
E qui, sullo sfondo di questo momento topico per il ciclo di politica monetaria della più importante Banca Centrale dell’Universo, torniamo a parlare di come diavolo funzionano ste benedette obbligazioni e perché oggi più che 6 mesi fa è importante capirne i meccanismi essenziali.
Ora, facciamo finta di non aver fatto 140 episodi di un podcast di finanza personale.
Cos’è un’obbligazione?
Un’obbligazione è un titolo di debito che uno stato o una società emette per finanziarsi.
Chiede soldi agli investitori e promette di restituirglieli nel futuro in una certa data stabilita a fronte del pagamento di determinati interessi periodici.
Quanti interessi?
Dipende dai tassi d’interesse vigenti al momento in cui l’obbligazione viene emessa, dato che come sapete tutti molto bene, i tassi d’interesse delle Banche centrali sono il riferimento del costo del denaro e quindi influenzano gli interessi su tutti i prestiti.
Il prezzo di un’obbligazione, però, si muove nel corso della sua vita sopra o sotto la pari si dice, ossia sopra o sotto il valore di 100, che è il prezzo di rimborso alla scadenza dell’obbligazione, a seconda di quel che succede ai tassi di interesse.
Nota regola che potete canticchiare ai vostri bambini come ninna nanna è: quando i tassi di interesse salgono, i prezzi delle obbligazioni scendono, viceversa quando i tassi scendono i prezzi delle obbligazioni salgono.
Motivo?
Il motivo è che se, come ci aspettiamo, i tassi di interesse scenderanno nei prossimi mesi, le obbligazioni che saranno emesse allora dovranno pagare interessi inferiori ai loro creditori. Di conseguenza le obbligazioni emesse in passato a tassi più alti vedranno il loro prezzo salire per pareggiare il rendimento che otterrebbe un investitore che se le comprasse domani e che deve essere lo stesso del rendimento di un’obbligazione dello stesso tipo ma di nuova emissione.
Va beh lo so che sta cosa la sapete.
Comunque se non fosse del tutto chiara fidatevi e basta del concetto di fondo.
I prezzi delle obbligazioni si muovono al contrario rispetto all’andamento dei tassi.
Tassi su prezzi giù, tassi giù prezzi su.
Ok.
Queste le obbligazioni singole.
Che succede agli ETF obbligazionari?
Stessa roba.
Il prezzo dell’ETF obbligazionario tende a salire quando i tassi scendono — anzi: quando il mercato pensa che i tassi scenderanno, mentre perderà valore nella situazione opposta.
Ricordatevi sempre che i mercati sono forward-looking, quindi anticipano il futuro.
Male di solito, però così funzionano.
Quindi i prezzi si muovono non tanto quando una banca centrale effettivamente modifica i tassi, quanto piuttosto quando il mercato SI ASPETTA che una modifica interverrà nel futuro.
Banalmente, se esce un dato sull’inflazione più alto del previsto i prezzi delle obbligazioni scendono subito, viceversa un dato negativo sull’occupazione ha spesso l’effetto opposto, ossia fa salire i prezzi delle obbligazioni perché anticipa un taglio dei tassi in risposta ad una possibile recessione economica.
Inflazione e occupazione sono i due driver principali dell’economia e la Federal Reserve ha il doppio mandato di tenere l’inflazione intorno al 2% e la disoccupazione intorno al 4% e quindi deve gestire i tassi di interesse con estrema cautela per tenere in sottile equilibrio queste due cose che spesso sbilanciano l’economia da una parte o dall’altra.
Qual è la differenza con le singole obbligazioni?
La differenza è che gli ETF obbligazionari non scadono, tranne quella manciata di etf particolari come gli ibonds di Ishares che sono a scadenza.
L’emittente dell’ETF compra e vende i titoli sottostanti con l’obiettivo di mantenere la duration dell’ETF costante.
Il rendimento di un ETF obbligazionario, quindi, è dato dalla combinazione di tre fattori:
– L’interesse pagato dalle cedole dei titoli sottostanti;
– Le variazioni di prezzo legate alle variazioni dei tassi di interesse; e infine, a meno che non siano in euro,
– I cambi valutari.
E qui veniamo alla parola chiave dell’episodio che è Duration.
Mi scrivete almeno 10 messaggi al giorno su come scegliere gli ETF obbligazionari rispetto alle diverse scadenze, quindi mi son detto, cià, facciamo un episodio su sta roba che ci torna comodo visto che il primo taglio della Fed avrà degli effetti sul mercato obbligazionario.
E comunque, sia che tagli di 0,25 che di 0,5, la traiettoria discendente dei tassi dei prossimi due anni comincia ad essere in buona parte incorporata dal mercato (e in particolare dal comportamento di bond e fondi obbligazionari).
Cos’è la duration.
La duration NON E’ la maturity, ciò non è la durata dell’obbligazione.
Non è tra quanto scade l’obbligazione.
I due valori sono collegati, ma duration è maturity sono due cose diverse.
Un ETF che investe in titoli di stato tra 7 e 10 anni, per esempio, ha una maturity media compresa tra 7 e 10 anni, ossia i titoli di stato sottostanti scadono tra 7 e 10 anni (e vengono sistematicamente venduti e comprati per mantenere sempre questa condizione).
La duration invece, in parole semplici, oddio semplici per noi psicopatici che stiam qua a parlare di finanza due volte a settimana, provate a parlare di duration durante il prossimo vostro aperitivo e vedrete come diventate l’anima della festa…
Dicevo, in parole semi semplici, la duration è la sensibilità dell’obbligazione alle variazioni dei tassi di interesse, cioè esprime il rischio che comporta investire in quell’obbligazione rispetto a quel che può succedere ai tassi.
Rischio sempre in entrambi i sensi: rischio che i tassi salgono e il prezzo vada giù o rischio che i tassi scendono e il prezzo vada su.
In termini di definizione, invece, la duration esprime il tempo che serve all’obbligazione per ripagare il capitale investito attraverso i suoi flussi di cassa.
Traducendo tutto ciò in termini pratici che significa? Significa che quando i tassi di interesse variano, si moltiplica il valore della variazione per il valore della duration diviso uno più il rendimento dell’obbligazione (detta duration modificata) e più o meno si ottiene la variazione di prezzo dell’obbligazione.
Comunque non state a farvi troppe pippe mentali con la duration modificata, perché tanto il suo valore è sempre molto simile a quello della duration.
Esempio pratico: se i tassi d’interesse scendono di un punto percentuale e io ho un bond con duration di 5 anni, il prezzo di quel bond salirà del 5%.
Se invece i tassi salgono di, che ne so, 2% e io ho un bond con duration 4 anni, allora 2 per 4 otto il prezzo del bond, più o meno, dovrebbe scendere di circa l’8%.
Ora, questa cosa è vera in teoria, in pratica ci sono tanti “dipende”.
Per una serie di motivi:
– Il primo motivo è che essendo forward looking, il mercato non prezza il singolo intervento della banca centrale, ma tendenzialmente tutto l’orizzonte prevedibile (e sappiamo bene quanto il mercato sia pessimo a prevedere sé stesso). Spesso l’orizzonte considerato prevedibile non va oltre i due anni e infatti i due anni sono un po’ un punto cardinale nella curva dei rendimenti dei bond e il rendimento dei titoli a 2 anni, soprattutto dei titoli di stato, è particolarmente osservato perché è il miglior indicatore che abbiamo sull’evoluzione a medio termine del mercato obbligazionario (che a sua volta riflette le stime sull’inflazione, l’occupazione, crescita economica o recessione e così via).
Quindi, dicevo, non è che il 18 la Fed taglia di 0,25 o 0,5 e un secondo dopo le obbligazioni cambiano prezzo, ma queste aspettative, così come quelle fino alla fine del 2025 o poco più, sono in qualche modo già incorporate nei prezzi attuali.
– Il secondo motivo è che non tutte le obbligazioni reagiscono allo stesso modo alle variazioni dei tassi. Per esempio oggi il mercato stima che da qui al dicembre 2025 il Fed Funds Rate scenderà dal 5,25% di oggi ad un certo intervallo grossomodo tra 2,25 e 3,25%. Quindi dovrebbe scendere tra 2 e tre punti percentuali. Questa cosa, sempre ammesso e non concesso che andrà così, avrà certamente un impatto sui rendimenti a breve, quindi sulle obbligazioni a breve termine e sugli strumenti monetari. Certamente avrà un impatto anche sui bond intermedi. Non è però detto che abbia un impatto proporzionale anche sui bond più lunghi, perché il rendimento delle obbligazioni a lungo termine è meno direttamente influenzato dalla variazioni dei tassi di interesse che per definizione hanno un impatto sul breve. E questo anche per il
– Terzo motivo, ossia la curva dei rendimenti.
Come sapete in situazioni normali le obbligazioni a breve pagano meno interessi, mentre quelle a lungo termine più interessi. Da un paio d’anni a questa parte però abbiamo la prima parte della curva dei rendimenti invertita, cioè i rendimenti a brevissimo termine sono paradossalmente superiori a quelli a medio e lungo termine.
Un treasury bill a 3 mesi rende circa il 5% annualizzato, mentre un Treasury a 2 anni rende il 3,5%.
Logicamente non avrebbe senso. Se io presto i soldi a Tizio, voglio più interessi se Tizio me li ridà tra 2 anni invece che tra 3 mesi, perché più passa il tempo, più i miei soldi perdono valore per via dell’inflazione e inoltre maggiore è il rischio che Tizio schiatti e non me li dia più.
Invece la curva è invertita nella prima parte, più o meno fino alle scadenze di 2-3 anni, perché è dal 2022 che il mercato si aspetta un recessione.
Come ragiona il mercato? Lui dice: se sta per arrivare una recessione, allora la Fed taglierà i tassi, come sempre. Quindi se io investo in obbligazioni a breve termine, diciamo a 6 mesi — 1 anno, invece che bloccare sin da subito un certo rendimento per i prossimi 5-10-20 anni, quando poi scadono i miei titoli a breve e devo reinvestire i soldi, mi troverò in un contesto in cui i tassi saranno più bassi e quindi i miei rendimenti inferiori. Di conseguenza oggi voglio essere maggiormente remunerato per investire in obbligazioni a breve per compensare il rischio di non trovare più interessi alti quando la recessione arriva.
Chiaro?
Si dice spesso che la curva invertita è il miglior indicatore che abbiamo sull’andamento a medio termine dell’economia. In realtà anche quest’indicatore ha i suoi enormi margini di errore.
Comunque, curva invertita, quindi se non succede un cataclisma tipo Covid che la Fed deve tagliare i tassi velocemente con la mannaia, il ciclo progressivo di tagli da qui a un paio d’anni dovrebbe impattare soprattutto sulla prima parte della curva, riportandola pian piano alla sua forma normale, ossia interessi bassi sulle scadenze breve e interessi alti sulle scadenze lunghe.
Chiaro.
Sta roba è un po’ un pippone, lo so, però quando mi chiedete quali ETF obbligazioni comprare, quali scadenze scegliere, eccetera, dovete sapere ste cose così capite come si muovono le obbligazioni sul mercato.
In estrema sintesi:
– Più è lunga la scadenza media delle obbligazioni di un ETF, più lo strumento si muove in maniera inversa al movimento dei tassi. Se i tassi scendono il suo rendimento sale, se i tassi salgono il suo rendimento scende.
– Più è breve la scadenza media invece, più lo strumento si muoverà insieme al movimento dei tassi. Cioè se i tassi scendono il suo rendimento scende, se i tassi salgono il suo rendimento sale.
Oggi gli ETF monetari, gli ultrashort o quelli 0-1 anno hanno un rendimento più o meno in linea con i tassi di interesse (3,5-4% in Europa, 5% negli Stati Uniti), perché essendo molto brevi si adattano subito ai tassi vigenti.
Lo stesso avverrà al contrario. Se i tassi scendono, anche i loro rendimenti scendono.
Ogni tanto qualcuno mi ha chiesto: “ma scusa, ma allora non conviene, a fianco alla parte azionaria, investire solo in ETF monetari? Così non ho il rischio dei tassi quando salgono”.
Eh no ciccio bello, mica tanto.
Questa cosa è giusta in un contesto di politica monetaria restrittiva, cioè era giusta a fine 2021 quando stava salendo l’inflazione e le banche centrale avrebbero cominciato ad alzare i tassi.
È invece sbagliata in un contesto di politica monetaria espansiva, quando i tassi scendono, perché in questo caso il tuo rendimento scende con quelli e non hai l’effetto dell’apprezzamento dei prezzi dei bond a scadenza più lunga.
L’ideale sarebbe sapere in anticipo come cambierà la politica monetaria e passare da bond brevi a bond lunghi con i tempi giusti.
Ma grazie al cazzo, questo si chiama prevedere il futuro e se fosse possibile saremmo tutti miliardari.
Ora, non è proprio la stessa cosa, però giusto per avere un termine di confronto pratico pensate ai mutui.
Se qualcuno di voi sta cercando casa in questo momento saprà certamente che i tassi variabili oggi sono molto più costosi di quelli fissi. Quelli variabili sono in genere superiori al 4%, mentre quelli fissi si trovano anche al 2,8%-3%, poi chiaramente a seconda dell’importo, della durata, del valore dell’immobile ecc.
Perché succede questo?
Eh perché la banca sa che il mercato prezza i tassi in discesa. Quindi dice: se ti faccio un tasso variabile come quello fisso, poi i tassi scendono e la tua rata scende.
Invece sul lungo termine so che i tassi scenderanno e posso aspettarmi che già da qui a 2 anni i tassi saranno sotto al 3%, quindi io ti blocco un 2,8-3% per 30 anni e sono contenta.
Ok?
Quindi:
– Gli ETF a breve rendono bene oggi, ma andranno in discesa man mano che i tassi van giù;
– Quelli intermedi, con duration intorno ai 5-6-7 anni, dovrebbero beneficiare maggiormente del progressivo taglio dei tassi, mentre infine
– Quelli lungi, con duration oltre i 10 anni, non reagiranno in maniera proporzionale a quelli intermedi, ma oltre ad avere comunque un parziale apprezzamento di prezzo svolgono un’altra funzione che diremo dopo.
Ora la domanda delle domande è: cosa fare oggi?
Risposta breve: non fare un cazzo, goditi la vita e stai con il tuo bel portafoglio diversificato, allocato come hai scelto, con dentro ETF aggregate che hanno un po’ tutte le scadenze e tanti saluti.
La risposta lunga invece per chi vuole giocare al piccolo asset manager è il resto dell’episodio.
Allora partiamo dicendo che tre cose da sapere sono intanto queste.
NUMERO UNO: il rendimento degli strumenti “cash”, quindi depositi, etf monetari, etf ultrashort, bot, treasury bills ecc. diminuisce rapidamente subito dopo che il ciclo dei tassi ha raggiunto il picco e comincia a scendere.
Se ci fate caso, rispetto alla fine dell’anno scorso non si trovano più, per esempio, conti deposito al 5%, ma oggi offrono già tutti interessi inferiori.
Anche la famosa BBVA che offriva il 4% di interesse sul conto corrente fino a gennaio del 2025, col cazzo che dopo continuerà ad offrire il 4%.
Chi vi parla a dicembre aveva messo parte del fondo di emergenza in un conto deposito svincolabile al 5%. Quello stesso conto deposito oggi paga il 3,25%.
E lo stesso accade con tutti gli strumenti per la liquidità.
NUMERO DUE: Capital Group ha fatto uscire un paper la settimana scorsa in cui ha calcolato che il rendimento medio dei bond corporate investment grade negli Stati Uniti è stato in media del 32% nei tre anni successi all’ultimo rialzo dei tassi da parte della Fed.
32% in tre anni è tanto tanto. È quanto rende, in media, l’S&P 500, ma con la sicurezza di essere bond di alta qualità.
Ora, qui da noi non sognatevi neanche minimamente questa roba.
In primis perché i bond corporate Europei non rendono come quelli americani, ma in media ci balla in mezzo un punto percentuale.
E poi perché la Fed ha più margine per tagliare i tassi della BCE.
Se volete esporvi a questa opportunità dovete investire in un indice come il Bloomberg US Aggregate Corporate o il Bloomberg Global Aggregate Corporate, che comunque è 75% Stati Uniti, ma dovete considerare che ciò che fa salire il valore dei bond americani è lo stesso fattore che fa scendere il dollaro. Se scendono i tassi, by definition, il dollaro si indebolisce rispetto all’euro ed è improbabile che la BCE tagli più della Fed.
Quindi da una parte il guadagno che potremmo avere da bond che rendono di più verrebbe eroso dall’effetto negativo del cambio.
Quanto? Conviene comunque? È più l’effetto del cambio o è maggiore l’effetto benefico dei rendimenti più alti?
Non lo so.
Nessuno lo sa.
Tirate i dadi.
Ad ogni modo, America o Europa, quando inizia una politica di espansione monetaria, soprattutto gli strumenti obbligazionari a duration intermedia, 5-7 anni, sono storicamente i maggiori beneficiari.
5-7 anni è chiamata la “pancia della curva” dei rendimenti, e i bond con quella scadenza dovrebbero essere quelli che possono più beneficiare della combinazione tra interessi alti che si portano dietro dagli anni passati e crescita del prezzo conseguente ai tagli.
Perlomeno questa è il punto di vista che ho sentito esprimere a Karen Veraa, responsabile della strategia obbligazionaria di iShares negli Stati Uniti.
Una parentesi: spiegare queste cose in Italiano è un casino, perché mi manca un termine.
In Inglese, quando si parla di obbligazioni, abbiamo:
– Interest: che è l’interesse pagato da un’obbligazione tramite le sue cedole;
– Yield: che è il rendimento dell’obbligazione, dato dal rapporto tra gli interessi che paga e il prezzo a cui la compro e infine c’è il
– Return: che il rendimento complessivo dell’investimento.
Il casino è che noi in Italiano chiamiamo rendimento sia quello che in Inglese si chiama Yield che quello che si chiamo Return, ma sono due cose diverse.
Questa cosa mi complica la vita anche quando parliamo di azioni.
Se un’azione paga il 5% di dividendi, in Italiano diciamo che ha un rendimento da dividendo del 5%.
Ma questo è il dividend yield, non è il “return” cioè il rendimento dell’azione.
Tu puoi avere benissimo un rendimento da dividendo positivo e il rendimento complessivo dell’azione negativo.
Forse è per colpa di questa ambiguità linguistica che la gente in Italia va pazza per i dividendi, convinta che il rendimento da dividendo sia quanto “rende” un’azione.
Invece i dividendi sono soldi già vostri.
Che vi paghino il 2% o il 46% di dividendo, sempre soldi vostri sono.
È come se uno di voi investe in The Bull, mi dà 100.000 euro e io ogni anno gli pago 7.000 € di dividendi.
Ok, però se tra 10 anni The Bull non vale niente, io gli ho dato il 7% all’anno dei suoi stessi soldi e lui alla fine si ritrova con niente.
Capito? yield è una cosa diversa da return.
Sono tutti e due rendimenti, ma il primo è relativo, mentre il secondo è assoluto.
Torniamo a noi.
Dicevamo, sembra che stiamo entrando in una nuova fase di tassi calanti.
Dal 1981 al 2021 praticamente ci sono stati tassi sistematicamente in discesa, cosa che ha portato ad un’epoca d’oro per i bond, con il passaggio da tassi a quasi il 20% a tassi a 0% che hanno garantito un apprezzamento costante agli investitori.
Tanto per intenderci.
Dall’81 al 2021 i Treasury intermedi hanno reso il 7,2% all’anno, un rendimento che ti aspetteresti dall’azionario globale.
E probabilmente i bond corporate americani hanno fatto pure meglio, anche se non ho dati che arrivano all’81.
Oggi non c’è la benché minima possibilità di vivere altri 40 anni di un simile rally dei bond, perché non partiamo da tassi così alti.
Però nel medio termine è sicuramente possibile attendersi una buona risposta dalla parte obbligazionaria del portafoglio.
Ora, uno ha tendenzialmente due alternative.
O può semplicemente investire in un ETF obbligazionario global aggregate (o Euro aggregate, se vogliamo toglierci dalle palle il rischio cambio).
Un ETF che segue il Bloomberg MSCI Euro Aggregate, per esempio, ha in genere una duration intorno a 6,5 e un rendimento medio a scadenza dei sottostanti intorno al 3%.
Negli ultimi 12 mesi, tuttavia, questo ETF si è portato a casa, zitto zitto, quatto quatto, quasi l’8%.
Un 3% possiamo attribuirlo al suo yield, al rendimento derivante dagli interessi pagati dai sottostanti, mentre il resto dall’apprezzamento successivo alla fine del ciclo di rialzi.
In particolare ci sono state due evidenti impennate.
A fine anno scorso, quando dati positivi sull’inflazione a novembre avevano messo la parola fine a nuovi rialzi delle banche centrali, e poi da luglio di quest’anno in poi, un po’ per l’ammorbidimento generale previsto per la BCE (che deve comunque sempre seguire la Fed) e un po’ in risposta ai sell-off di Agosto.
ETF come questi hanno dentro bond un po’ di tutte le scadenze, con il grosso compreso tra 2 e 10 anni, così da intercettare i diversi effetti delle politiche monetarie sulle varie maturity.
Come forse ho già detto in passato, perché onestamente non inizio a ricordarmi più tutte le cretinate che dico, è un po’ come montare le gomme 4 season sulla macchina.
Non avrai le prestazioni migliori in ciascuna stagione, ma se non devi gareggiare in formula uno vanno bene un po’ sempre.
Oppure in alternativa uno può scegliere di costruire un “bond ladder”, ossia una scala di prodotti obbligazionari scaglionando le scadenze e magari valutando di alzare un po’ la duration media del portafoglio.
E questa cosa può essere fatta facendo specifici investimenti su prodotti con duration più concentrate, come ad esempio gli ETF che investono solo in bond tra 5-7 anni.
Per quanto riguarda la tipologia, come sapete ci sono tre categorie principali.
– I titoli di stato
– I bond societari e infine
– I bond high-yield (mentre lasciamo da parte i paesi emergenti per oggi).
I titoli di stato seguono quasi perfettamente quello che stiamo dicendo oggi.
I bond corporate ad alto rating tendenzialmente seguono i titoli di stato, offrendo generalmente un rendimento un po’ più alto ma avendo una maggiore correlazione con le azioni, perché chiaramente una recessione impatta sulla salute delle aziende e quindi anche sulla capacità delle stesse di onorare i debiti contratti emettendo bond.
Infine in bond high yield sono tutta un’altra storia, perché seguono molto di più l’andamento dell’economia in generale e sono molto meno influenzati dai tassi di interesse.
La cosa a cui prestare attenzione è che mentre i titoli di stato con rating alto si muovono abbastanza in linea con la logica che abbiamo descritto oggi e in passato, più ci allontaniamo da questo livello più impatta il cosiddetto credit spread, che appunto è la differenza di rendimento di un’obbligazione rispetto ad un titolo di stato considerato senza rischio.
Facciamo un esempio: se c’è un improvviso deterioramento economico e la BCE sforbicia i tassi, il Bund tedesco tenderà ad apprezzarsi di conseguenza.
Il BTP Italiano invece, oppure un bond societario, potrebbero non apprezzarsi allo stesso modo, perché l’aumento di prezzo conseguente il taglio dei tassi potrebbe avere come contrappeso l’aumento del credit spread, dato che BTP e bond corporate saranno considerati dal mercato più rischiosi rispetto al Bund.
Come se non l’avessimo mai detto: occhio a giocare con i BTP, soprattutto con le scadenze lunghe, perché se ci sono cazzi questi invece di fare da protezione al portafoglio vanno giù peggio dell’azionario.
Nel nostro portafoglio, comunque, un ETF aggregate ha dentro già tutto.
Se uno vuole provare ad avere un extra rendimento supplementare sovrappesando la parte corporate, un ETF che segue il Bloomberg Euro Corporate oggi ha una duration media intorno a 4,5 e un rendimento di circa 3,5%, quindi mezzo punto in più dei governativi.
L’equivalente americano rende quasi il 5%.
Però, come detto, c’è da tenere conto del rischio cambio.
Ultime due riflessioni.
La prima: le obbligazioni a lunga scadenza.
Come sapete esistono ETF che replicano titoli governativi oltre i 15 anni.
Per esempio un ETF sul Bloomberg euro treasury 15-30 ha duration intorno a 17 e un rendimento medio a scadenza del 3,3%, solo leggermente di più dei governativi intermedi, a fronte però di una deviazione standard alta persino per l’azionario, 17%.
Questa tipologia di strumenti va maneggiata con cautela, perché sono sì obbligazioni, ma si portano dietro una componente di rischio notevole, visto che la loro sensibilità ai rialzi dei tassi è molto alta.
Da gennaio 2022 a ottobre 2023 un ETF su quell’indice è arrivato a perdere il 37% e nonostante sia risalito un po’ è ancora sotto del 30%.
Avere un asset che sta sotto del 30% dopo due anni è una cosa che non ti aspetti neanche da un ETF azionario.
Quindi, quando NON vanno messi in portafoglio e quando POSSONO essere messi in portafoglio.
NON vanno messi in portafoglio quando i tassi sono bassi. O meglio: non è che non si può, però a vostro rischio.
È vero che dal 2011 al 2021 un ETF sui governativi europei 15-30 è cresciuto di oltre l’80%, cedole incluse, però, come dire quando non c’è gatto i topi ballano.
E in questo caso il gatto si chiama inflazione e quando per troppo tempo manca, poi si ripresenta all’improvviso incazzato come iena e la festa finisce.
Morale della storia: il valore di un ETF come quello si trova oggi esattamente dove si trovava 10 anni fa.
0% di rendimento a fronte di quasi 20% di inflazione complessiva.
POSSONO invece essere messi in portafoglio nei cicli monetari espansivi, in particolare se si parte da tassi più alti.
Nel 2011 si partiva già da quasi zero, quindi tutto il rendimento veniva dal return, non dallo yield.
Se c’è invece un 3% di yield, un eventuale rialzo dei tassi sarebbe parzialmente attutito.
Al di là di questo sono poi un forte scudo per la componente azionaria, in particolare contro le recessioni.
Se arriva una sberla di inflazione crollano a picco, ma se c’è una recessione sono invece uno degli asset più forti, perché scontano meglio di altri i più bassi tassi del futuro e quindi si apprezzano velocemente.
Per esempio dal 2000 al 2009 l’S&P 500 ha perso l’1% all’anno in media per 10 anni, a causa delle due gravi recessioni di inizio 2000 e del 2007-2008.
I Long Treasury, invece, titoli di stato oltre i 20 anni, hanno invece fatto 7,4% all’anno.
Un portafoglio che invece che essere 100% azionario fosse stato 80% S&P 500 e 20% long treasury sarebbe passato da perdere soldi per 10 anni a guadagnare soldi per 10 anni. Pochi, 1,3% all’anno, ma tanto basta per passare dal rosso al verde.
Ora io ovviamente non voglio dare alcuna raccomandazione e sono l’ultimo scemo su questa terra a cui dovreste chiedere un’opinione.
Però in una fase come questa, con tassi di partenza sopra il 3%, inflazione in discesa e politica monetaria globale verso l’espansione, sembrerebbe che ci siano più pro che contro ad avere in portafoglio ANCHE delle lunghe scadenze.
La seconda riflessione riguarda il timing: se le obbligazioni scontano in anticipo i tagli futuri, uno potrebbe dire “ormai è tardi, dovevo pensarci un anno fa”.
Sì e no.
Sì, perché con il senno di poi ottobre 2023 era il momento migliore per fare il pieno di bond.
No, perché storicamente i cicli espansivi hanno tempi lunghi e generalmente conta di più, tanto per cambiare, il time in the market rispetto al timing the market.
Centrare il momento di ingresso ottimo, ma avere un’asset allocation preparata rispetto al contesto macroeconomico conta altrettanto, se non di più.
E quello che dicevamo nello scorso episodio.
Non si tratta di fare market timing, quanto di gestire il rischio.
Qual è il peggior nemico in assoluto per le obbligazioni? L’inflazione.
Oggi è più probabile che una minaccia al nostro portafoglio azionario arrivi dall’inflazione o da una recessione? Cioè è più probabile che le azioni vadano giù perché i prezzi dei beni di consumo aumentano o perché aumenta la disoccupazione?
Se oggi le minacce all’orizzonte sembrano più legate ad un rallentamento dell’economia che non ad una risalita dell’inflazione, allora in termini di gestione del rischio può aver senso avere un assetto obbligazionario che ne tiene conto.
Poi, come sempre, se sto investendo per mia figlia che non toccherà il suo portafoglio almeno per altri 25 anni, chissene al quadrato.
Se sono invece sensibile alle oscillazioni di breve-medio termine del portafoglio, allora è importante farsi trovare preparati.
E con ciò si conclude quest’ennesimo corso di ripetizione sul mondo obbligazionario.
Spero che lo abbiate trovato utile e che vi possa aiutare ad orientare meglio le vostre scelte con i vostri investimenti.
A questo punto giunti, vi ringrazio come sempre per lo straordinario affetto con cui mi seguite e ancora una volta per mandato in crisi la tipografia di Mondadori che non sta più dietro alla stampa del mio libro che avete ordinato in milioni, forse oserei dire in miliardi!
Abbiate pazienza, il 1° ottobre sarà nelle vostre mani e trovo di averlo scritto della lunghezza ideale per piantonare tavolini traballanti o sgabelli con una gamba più corta.
Come non dire poi che vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, dove siamo quasi 45.000 follower, oppure su Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che nonostante parlino di obbligazioni, duration, yield e altre bestialità mandano in sbattimento l’editoria italiana sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo per parlare probabilmente dei minacciosi pericoli dell’investimento in ETF che creano più bolle di un acquario in un ristorante cinese sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Piccolo annuncio prima di fiondarci nell’episodio di oggi dal titolo che avrà già fatto scappare metà di voi.
Chi mi segue anche su instagram su thebull_finance lo sa già, per tutti gli altri approfitto di quest’occasione per comunicare che l’uscita del mio libro Sei già ricco ma non lo sai è stata posticipata al primo ottobre, invece che 24 settembre, perché in pratica sono stati fatti così tanti preordini che Rizzoli ha dovuto fare una terza stampa in due settimane e non sarebbe possibile rifornire le librerie in tempo, anche perché pare che Amazon ne abbia richieste così tante che Rizzoli ha dovuto disboscare il Trentino per recuperare la carta necessaria.
Scherzo, è tutto su carta riciclata naturalmente, non disboschiamo niente.
È però vero che le richieste hanno tipo triplicato la prima tiratura e quindi, da una parte, grazie di cuore per questa incredibile accoglienza a scatola chiusa, dato che il libro sinora l’ho letto solo io e quei 4 poveri cristi che hanno dovuto starmi dietro per correggere le bozze.
Dall’altro, abbiate una settimana in più di pazienza, poi sicuro che il 1° ottobre sarà nelle vostre mani.
Detto questo, era un bel po’ che qui a casa The Bull non si parlava del vostro argomento preferito: obbligazioni e etf obbligazionari.
Il momento è quanto mai caldo perché giovedì 12 settembre la BCE, come previsto, ha tagliato d 25 basis point, ossia 0,25%, i tassi di riferimento in Europa, che come sapete non incidono solo sulle vostre scelte d’investimento ma direttamente sui mutui, sui finanziamenti per le auto e per tutto il credito al consumo in generale (oltre che naturalmente per il credito alle imprese).
Il momento della verità sarà invece il 18 settembre verso le otto di sera qua da noi, quando Jerome Powell, il capo della Federal Reserve, svelerà di quanto verranno tagliati i tassi americani.
Oh è più di un anno è mezzo che non si aspetta altro che sto benedetto inizio del ciclo di tagli della Fed, manco la finale dei mondiali è un evento tanto atteso.
Ora, se volete sapere in tempo reale le cose più rilevanti su quel che fa (o forse farà) la Fed, dovete andarvi a guardare il CME Fedwatch, che è un tool online gestito dal Chicago Mercantile Exchange, la più grande borsa del mondo di futures e opzioni, che dà in tempo reale le stime del mercato sulle mosse future della Federal Reserve. Vi lascio il link nella descrizione dell’episodio.
Io, ancora ad oggi, continuo a mettere la mano sul fuoco che la Fed taglierà di 0,25, anche se l’opinione più diffusa è che con l’inflazione ormai annientata e la Cina che, con le sue difficoltà economiche, sta esportando deflazione in tutto il mondo, la Fed dovrebbe tagliare almeno di 0,5 per evitare di piombare velocemente in una recessione, dato che dall’altra parte il mercato del lavoro si è raffreddato e le assunzioni diminuiscono mese dopo mese.
Cosa vuol dire che la Cina sta esportando deflazione? Significa che per esempio sta facendo scendere i prezzi delle materie prime, perché se produce meno ne consuma meno, e in generale sta di fatto contribuendo alla discesa dei prezzi a livello globale, essendo la Cina ancora il più grande esportatore del mondo.
Dicevo, l’opinione più diffusa è che la Fed dovrebbe tagliare di 0,5 per ragioni di natura economica, ma per ragioni di natura, diciamo, politica probabilmente taglierà solo di 0,25.
Il motivo potrebbe essere che se taglia di 0,5 poi il mercato lo potrebbe vedere come un chiaro segnale di recessione in arrivo e sovrareagire, oppure potrebbe volersi tenere più margine per azioni più aggressive in futuro, insomma, non lo so… però la Fed per sua natura si muove con i piedi di piombo e un taglio di 0,5, senza gravi motivi, sarebbe comunque una decisione forte.
Guardando ai dati di venerdì 13, in effetti, il Fedwatch dice che il mercato stima un 50% di probabilità che la Fed faccia sto bel taglione.
Cosa che peraltro per ora ha fatto felicissimi i mercati che dopo la prima settimana nera di settembre sono tutti euforici.
Ripeto: la mia opinione da povero pirla senza nessuna autorità per esprimere opinioni è che la fed farà 0,25.
Ma è assolutamente possibile che mi sorprenda e che colpo di scena boom! Si inizia con il botto il ciclo di tagli dei tassi di interesse.
E qui, sullo sfondo di questo momento topico per il ciclo di politica monetaria della più importante Banca Centrale dell’Universo, torniamo a parlare di come diavolo funzionano ste benedette obbligazioni e perché oggi più che 6 mesi fa è importante capirne i meccanismi essenziali.
Ora, facciamo finta di non aver fatto 140 episodi di un podcast di finanza personale.
Cos’è un’obbligazione?
Un’obbligazione è un titolo di debito che uno stato o una società emette per finanziarsi.
Chiede soldi agli investitori e promette di restituirglieli nel futuro in una certa data stabilita a fronte del pagamento di determinati interessi periodici.
Quanti interessi?
Dipende dai tassi d’interesse vigenti al momento in cui l’obbligazione viene emessa, dato che come sapete tutti molto bene, i tassi d’interesse delle Banche centrali sono il riferimento del costo del denaro e quindi influenzano gli interessi su tutti i prestiti.
Il prezzo di un’obbligazione, però, si muove nel corso della sua vita sopra o sotto la pari si dice, ossia sopra o sotto il valore di 100, che è il prezzo di rimborso alla scadenza dell’obbligazione, a seconda di quel che succede ai tassi di interesse.
Nota regola che potete canticchiare ai vostri bambini come ninna nanna è: quando i tassi di interesse salgono, i prezzi delle obbligazioni scendono, viceversa quando i tassi scendono i prezzi delle obbligazioni salgono.
Motivo?
Il motivo è che se, come ci aspettiamo, i tassi di interesse scenderanno nei prossimi mesi, le obbligazioni che saranno emesse allora dovranno pagare interessi inferiori ai loro creditori. Di conseguenza le obbligazioni emesse in passato a tassi più alti vedranno il loro prezzo salire per pareggiare il rendimento che otterrebbe un investitore che se le comprasse domani e che deve essere lo stesso del rendimento di un’obbligazione dello stesso tipo ma di nuova emissione.
Va beh lo so che sta cosa la sapete.
Comunque se non fosse del tutto chiara fidatevi e basta del concetto di fondo.
I prezzi delle obbligazioni si muovono al contrario rispetto all’andamento dei tassi.
Tassi su prezzi giù, tassi giù prezzi su.
Ok.
Queste le obbligazioni singole.
Che succede agli ETF obbligazionari?
Stessa roba.
Il prezzo dell’ETF obbligazionario tende a salire quando i tassi scendono — anzi: quando il mercato pensa che i tassi scenderanno, mentre perderà valore nella situazione opposta.
Ricordatevi sempre che i mercati sono forward-looking, quindi anticipano il futuro.
Male di solito, però così funzionano.
Quindi i prezzi si muovono non tanto quando una banca centrale effettivamente modifica i tassi, quanto piuttosto quando il mercato SI ASPETTA che una modifica interverrà nel futuro.
Banalmente, se esce un dato sull’inflazione più alto del previsto i prezzi delle obbligazioni scendono subito, viceversa un dato negativo sull’occupazione ha spesso l’effetto opposto, ossia fa salire i prezzi delle obbligazioni perché anticipa un taglio dei tassi in risposta ad una possibile recessione economica.
Inflazione e occupazione sono i due driver principali dell’economia e la Federal Reserve ha il doppio mandato di tenere l’inflazione intorno al 2% e la disoccupazione intorno al 4% e quindi deve gestire i tassi di interesse con estrema cautela per tenere in sottile equilibrio queste due cose che spesso sbilanciano l’economia da una parte o dall’altra.
Qual è la differenza con le singole obbligazioni?
La differenza è che gli ETF obbligazionari non scadono, tranne quella manciata di etf particolari come gli ibonds di Ishares che sono a scadenza.
L’emittente dell’ETF compra e vende i titoli sottostanti con l’obiettivo di mantenere la duration dell’ETF costante.
Il rendimento di un ETF obbligazionario, quindi, è dato dalla combinazione di tre fattori:
– L’interesse pagato dalle cedole dei titoli sottostanti;
– Le variazioni di prezzo legate alle variazioni dei tassi di interesse; e infine, a meno che non siano in euro,
– I cambi valutari.
E qui veniamo alla parola chiave dell’episodio che è Duration.
Mi scrivete almeno 10 messaggi al giorno su come scegliere gli ETF obbligazionari rispetto alle diverse scadenze, quindi mi son detto, cià, facciamo un episodio su sta roba che ci torna comodo visto che il primo taglio della Fed avrà degli effetti sul mercato obbligazionario.
E comunque, sia che tagli di 0,25 che di 0,5, la traiettoria discendente dei tassi dei prossimi due anni comincia ad essere in buona parte incorporata dal mercato (e in particolare dal comportamento di bond e fondi obbligazionari).
Cos’è la duration.
La duration NON E’ la maturity, ciò non è la durata dell’obbligazione.
Non è tra quanto scade l’obbligazione.
I due valori sono collegati, ma duration è maturity sono due cose diverse.
Un ETF che investe in titoli di stato tra 7 e 10 anni, per esempio, ha una maturity media compresa tra 7 e 10 anni, ossia i titoli di stato sottostanti scadono tra 7 e 10 anni (e vengono sistematicamente venduti e comprati per mantenere sempre questa condizione).
La duration invece, in parole semplici, oddio semplici per noi psicopatici che stiam qua a parlare di finanza due volte a settimana, provate a parlare di duration durante il prossimo vostro aperitivo e vedrete come diventate l’anima della festa…
Dicevo, in parole semi semplici, la duration è la sensibilità dell’obbligazione alle variazioni dei tassi di interesse, cioè esprime il rischio che comporta investire in quell’obbligazione rispetto a quel che può succedere ai tassi.
Rischio sempre in entrambi i sensi: rischio che i tassi salgono e il prezzo vada giù o rischio che i tassi scendono e il prezzo vada su.
In termini di definizione, invece, la duration esprime il tempo che serve all’obbligazione per ripagare il capitale investito attraverso i suoi flussi di cassa.
Traducendo tutto ciò in termini pratici che significa? Significa che quando i tassi di interesse variano, si moltiplica il valore della variazione per il valore della duration diviso uno più il rendimento dell’obbligazione (detta duration modificata) e più o meno si ottiene la variazione di prezzo dell’obbligazione.
Comunque non state a farvi troppe pippe mentali con la duration modificata, perché tanto il suo valore è sempre molto simile a quello della duration.
Esempio pratico: se i tassi d’interesse scendono di un punto percentuale e io ho un bond con duration di 5 anni, il prezzo di quel bond salirà del 5%.
Se invece i tassi salgono di, che ne so, 2% e io ho un bond con duration 4 anni, allora 2 per 4 otto il prezzo del bond, più o meno, dovrebbe scendere di circa l’8%.
Ora, questa cosa è vera in teoria, in pratica ci sono tanti “dipende”.
Per una serie di motivi:
– Il primo motivo è che essendo forward looking, il mercato non prezza il singolo intervento della banca centrale, ma tendenzialmente tutto l’orizzonte prevedibile (e sappiamo bene quanto il mercato sia pessimo a prevedere sé stesso). Spesso l’orizzonte considerato prevedibile non va oltre i due anni e infatti i due anni sono un po’ un punto cardinale nella curva dei rendimenti dei bond e il rendimento dei titoli a 2 anni, soprattutto dei titoli di stato, è particolarmente osservato perché è il miglior indicatore che abbiamo sull’evoluzione a medio termine del mercato obbligazionario (che a sua volta riflette le stime sull’inflazione, l’occupazione, crescita economica o recessione e così via).
Quindi, dicevo, non è che il 18 la Fed taglia di 0,25 o 0,5 e un secondo dopo le obbligazioni cambiano prezzo, ma queste aspettative, così come quelle fino alla fine del 2025 o poco più, sono in qualche modo già incorporate nei prezzi attuali.
– Il secondo motivo è che non tutte le obbligazioni reagiscono allo stesso modo alle variazioni dei tassi. Per esempio oggi il mercato stima che da qui al dicembre 2025 il Fed Funds Rate scenderà dal 5,25% di oggi ad un certo intervallo grossomodo tra 2,25 e 3,25%. Quindi dovrebbe scendere tra 2 e tre punti percentuali. Questa cosa, sempre ammesso e non concesso che andrà così, avrà certamente un impatto sui rendimenti a breve, quindi sulle obbligazioni a breve termine e sugli strumenti monetari. Certamente avrà un impatto anche sui bond intermedi. Non è però detto che abbia un impatto proporzionale anche sui bond più lunghi, perché il rendimento delle obbligazioni a lungo termine è meno direttamente influenzato dalla variazioni dei tassi di interesse che per definizione hanno un impatto sul breve. E questo anche per il
– Terzo motivo, ossia la curva dei rendimenti.
Come sapete in situazioni normali le obbligazioni a breve pagano meno interessi, mentre quelle a lungo termine più interessi. Da un paio d’anni a questa parte però abbiamo la prima parte della curva dei rendimenti invertita, cioè i rendimenti a brevissimo termine sono paradossalmente superiori a quelli a medio e lungo termine.
Un treasury bill a 3 mesi rende circa il 5% annualizzato, mentre un Treasury a 2 anni rende il 3,5%.
Logicamente non avrebbe senso. Se io presto i soldi a Tizio, voglio più interessi se Tizio me li ridà tra 2 anni invece che tra 3 mesi, perché più passa il tempo, più i miei soldi perdono valore per via dell’inflazione e inoltre maggiore è il rischio che Tizio schiatti e non me li dia più.
Invece la curva è invertita nella prima parte, più o meno fino alle scadenze di 2-3 anni, perché è dal 2022 che il mercato si aspetta un recessione.
Come ragiona il mercato? Lui dice: se sta per arrivare una recessione, allora la Fed taglierà i tassi, come sempre. Quindi se io investo in obbligazioni a breve termine, diciamo a 6 mesi — 1 anno, invece che bloccare sin da subito un certo rendimento per i prossimi 5-10-20 anni, quando poi scadono i miei titoli a breve e devo reinvestire i soldi, mi troverò in un contesto in cui i tassi saranno più bassi e quindi i miei rendimenti inferiori. Di conseguenza oggi voglio essere maggiormente remunerato per investire in obbligazioni a breve per compensare il rischio di non trovare più interessi alti quando la recessione arriva.
Chiaro?
Si dice spesso che la curva invertita è il miglior indicatore che abbiamo sull’andamento a medio termine dell’economia. In realtà anche quest’indicatore ha i suoi enormi margini di errore.
Comunque, curva invertita, quindi se non succede un cataclisma tipo Covid che la Fed deve tagliare i tassi velocemente con la mannaia, il ciclo progressivo di tagli da qui a un paio d’anni dovrebbe impattare soprattutto sulla prima parte della curva, riportandola pian piano alla sua forma normale, ossia interessi bassi sulle scadenze breve e interessi alti sulle scadenze lunghe.
Chiaro.
Sta roba è un po’ un pippone, lo so, però quando mi chiedete quali ETF obbligazioni comprare, quali scadenze scegliere, eccetera, dovete sapere ste cose così capite come si muovono le obbligazioni sul mercato.
In estrema sintesi:
– Più è lunga la scadenza media delle obbligazioni di un ETF, più lo strumento si muove in maniera inversa al movimento dei tassi. Se i tassi scendono il suo rendimento sale, se i tassi salgono il suo rendimento scende.
– Più è breve la scadenza media invece, più lo strumento si muoverà insieme al movimento dei tassi. Cioè se i tassi scendono il suo rendimento scende, se i tassi salgono il suo rendimento sale.
Oggi gli ETF monetari, gli ultrashort o quelli 0-1 anno hanno un rendimento più o meno in linea con i tassi di interesse (3,5-4% in Europa, 5% negli Stati Uniti), perché essendo molto brevi si adattano subito ai tassi vigenti.
Lo stesso avverrà al contrario. Se i tassi scendono, anche i loro rendimenti scendono.
Ogni tanto qualcuno mi ha chiesto: “ma scusa, ma allora non conviene, a fianco alla parte azionaria, investire solo in ETF monetari? Così non ho il rischio dei tassi quando salgono”.
Eh no ciccio bello, mica tanto.
Questa cosa è giusta in un contesto di politica monetaria restrittiva, cioè era giusta a fine 2021 quando stava salendo l’inflazione e le banche centrale avrebbero cominciato ad alzare i tassi.
È invece sbagliata in un contesto di politica monetaria espansiva, quando i tassi scendono, perché in questo caso il tuo rendimento scende con quelli e non hai l’effetto dell’apprezzamento dei prezzi dei bond a scadenza più lunga.
L’ideale sarebbe sapere in anticipo come cambierà la politica monetaria e passare da bond brevi a bond lunghi con i tempi giusti.
Ma grazie al cazzo, questo si chiama prevedere il futuro e se fosse possibile saremmo tutti miliardari.
Ora, non è proprio la stessa cosa, però giusto per avere un termine di confronto pratico pensate ai mutui.
Se qualcuno di voi sta cercando casa in questo momento saprà certamente che i tassi variabili oggi sono molto più costosi di quelli fissi. Quelli variabili sono in genere superiori al 4%, mentre quelli fissi si trovano anche al 2,8%-3%, poi chiaramente a seconda dell’importo, della durata, del valore dell’immobile ecc.
Perché succede questo?
Eh perché la banca sa che il mercato prezza i tassi in discesa. Quindi dice: se ti faccio un tasso variabile come quello fisso, poi i tassi scendono e la tua rata scende.
Invece sul lungo termine so che i tassi scenderanno e posso aspettarmi che già da qui a 2 anni i tassi saranno sotto al 3%, quindi io ti blocco un 2,8-3% per 30 anni e sono contenta.
Ok?
Quindi:
– Gli ETF a breve rendono bene oggi, ma andranno in discesa man mano che i tassi van giù;
– Quelli intermedi, con duration intorno ai 5-6-7 anni, dovrebbero beneficiare maggiormente del progressivo taglio dei tassi, mentre infine
– Quelli lungi, con duration oltre i 10 anni, non reagiranno in maniera proporzionale a quelli intermedi, ma oltre ad avere comunque un parziale apprezzamento di prezzo svolgono un’altra funzione che diremo dopo.
Ora la domanda delle domande è: cosa fare oggi?
Risposta breve: non fare un cazzo, goditi la vita e stai con il tuo bel portafoglio diversificato, allocato come hai scelto, con dentro ETF aggregate che hanno un po’ tutte le scadenze e tanti saluti.
La risposta lunga invece per chi vuole giocare al piccolo asset manager è il resto dell’episodio.
Allora partiamo dicendo che tre cose da sapere sono intanto queste.
NUMERO UNO: il rendimento degli strumenti “cash”, quindi depositi, etf monetari, etf ultrashort, bot, treasury bills ecc. diminuisce rapidamente subito dopo che il ciclo dei tassi ha raggiunto il picco e comincia a scendere.
Se ci fate caso, rispetto alla fine dell’anno scorso non si trovano più, per esempio, conti deposito al 5%, ma oggi offrono già tutti interessi inferiori.
Anche la famosa BBVA che offriva il 4% di interesse sul conto corrente fino a gennaio del 2025, col cazzo che dopo continuerà ad offrire il 4%.
Chi vi parla a dicembre aveva messo parte del fondo di emergenza in un conto deposito svincolabile al 5%. Quello stesso conto deposito oggi paga il 3,25%.
E lo stesso accade con tutti gli strumenti per la liquidità.
NUMERO DUE: Capital Group ha fatto uscire un paper la settimana scorsa in cui ha calcolato che il rendimento medio dei bond corporate investment grade negli Stati Uniti è stato in media del 32% nei tre anni successi all’ultimo rialzo dei tassi da parte della Fed.
32% in tre anni è tanto tanto. È quanto rende, in media, l’S&P 500, ma con la sicurezza di essere bond di alta qualità.
Ora, qui da noi non sognatevi neanche minimamente questa roba.
In primis perché i bond corporate Europei non rendono come quelli americani, ma in media ci balla in mezzo un punto percentuale.
E poi perché la Fed ha più margine per tagliare i tassi della BCE.
Se volete esporvi a questa opportunità dovete investire in un indice come il Bloomberg US Aggregate Corporate o il Bloomberg Global Aggregate Corporate, che comunque è 75% Stati Uniti, ma dovete considerare che ciò che fa salire il valore dei bond americani è lo stesso fattore che fa scendere il dollaro. Se scendono i tassi, by definition, il dollaro si indebolisce rispetto all’euro ed è improbabile che la BCE tagli più della Fed.
Quindi da una parte il guadagno che potremmo avere da bond che rendono di più verrebbe eroso dall’effetto negativo del cambio.
Quanto? Conviene comunque? È più l’effetto del cambio o è maggiore l’effetto benefico dei rendimenti più alti?
Non lo so.
Nessuno lo sa.
Tirate i dadi.
Ad ogni modo, America o Europa, quando inizia una politica di espansione monetaria, soprattutto gli strumenti obbligazionari a duration intermedia, 5-7 anni, sono storicamente i maggiori beneficiari.
5-7 anni è chiamata la “pancia della curva” dei rendimenti, e i bond con quella scadenza dovrebbero essere quelli che possono più beneficiare della combinazione tra interessi alti che si portano dietro dagli anni passati e crescita del prezzo conseguente ai tagli.
Perlomeno questa è il punto di vista che ho sentito esprimere a Karen Veraa, responsabile della strategia obbligazionaria di iShares negli Stati Uniti.
Una parentesi: spiegare queste cose in Italiano è un casino, perché mi manca un termine.
In Inglese, quando si parla di obbligazioni, abbiamo:
– Interest: che è l’interesse pagato da un’obbligazione tramite le sue cedole;
– Yield: che è il rendimento dell’obbligazione, dato dal rapporto tra gli interessi che paga e il prezzo a cui la compro e infine c’è il
– Return: che il rendimento complessivo dell’investimento.
Il casino è che noi in Italiano chiamiamo rendimento sia quello che in Inglese si chiama Yield che quello che si chiamo Return, ma sono due cose diverse.
Questa cosa mi complica la vita anche quando parliamo di azioni.
Se un’azione paga il 5% di dividendi, in Italiano diciamo che ha un rendimento da dividendo del 5%.
Ma questo è il dividend yield, non è il “return” cioè il rendimento dell’azione.
Tu puoi avere benissimo un rendimento da dividendo positivo e il rendimento complessivo dell’azione negativo.
Forse è per colpa di questa ambiguità linguistica che la gente in Italia va pazza per i dividendi, convinta che il rendimento da dividendo sia quanto “rende” un’azione.
Invece i dividendi sono soldi già vostri.
Che vi paghino il 2% o il 46% di dividendo, sempre soldi vostri sono.
È come se uno di voi investe in The Bull, mi dà 100.000 euro e io ogni anno gli pago 7.000 € di dividendi.
Ok, però se tra 10 anni The Bull non vale niente, io gli ho dato il 7% all’anno dei suoi stessi soldi e lui alla fine si ritrova con niente.
Capito? yield è una cosa diversa da return.
Sono tutti e due rendimenti, ma il primo è relativo, mentre il secondo è assoluto.
Torniamo a noi.
Dicevamo, sembra che stiamo entrando in una nuova fase di tassi calanti.
Dal 1981 al 2021 praticamente ci sono stati tassi sistematicamente in discesa, cosa che ha portato ad un’epoca d’oro per i bond, con il passaggio da tassi a quasi il 20% a tassi a 0% che hanno garantito un apprezzamento costante agli investitori.
Tanto per intenderci.
Dall’81 al 2021 i Treasury intermedi hanno reso il 7,2% all’anno, un rendimento che ti aspetteresti dall’azionario globale.
E probabilmente i bond corporate americani hanno fatto pure meglio, anche se non ho dati che arrivano all’81.
Oggi non c’è la benché minima possibilità di vivere altri 40 anni di un simile rally dei bond, perché non partiamo da tassi così alti.
Però nel medio termine è sicuramente possibile attendersi una buona risposta dalla parte obbligazionaria del portafoglio.
Ora, uno ha tendenzialmente due alternative.
O può semplicemente investire in un ETF obbligazionario global aggregate (o Euro aggregate, se vogliamo toglierci dalle palle il rischio cambio).
Un ETF che segue il Bloomberg MSCI Euro Aggregate, per esempio, ha in genere una duration intorno a 6,5 e un rendimento medio a scadenza dei sottostanti intorno al 3%.
Negli ultimi 12 mesi, tuttavia, questo ETF si è portato a casa, zitto zitto, quatto quatto, quasi l’8%.
Un 3% possiamo attribuirlo al suo yield, al rendimento derivante dagli interessi pagati dai sottostanti, mentre il resto dall’apprezzamento successivo alla fine del ciclo di rialzi.
In particolare ci sono state due evidenti impennate.
A fine anno scorso, quando dati positivi sull’inflazione a novembre avevano messo la parola fine a nuovi rialzi delle banche centrali, e poi da luglio di quest’anno in poi, un po’ per l’ammorbidimento generale previsto per la BCE (che deve comunque sempre seguire la Fed) e un po’ in risposta ai sell-off di Agosto.
ETF come questi hanno dentro bond un po’ di tutte le scadenze, con il grosso compreso tra 2 e 10 anni, così da intercettare i diversi effetti delle politiche monetarie sulle varie maturity.
Come forse ho già detto in passato, perché onestamente non inizio a ricordarmi più tutte le cretinate che dico, è un po’ come montare le gomme 4 season sulla macchina.
Non avrai le prestazioni migliori in ciascuna stagione, ma se non devi gareggiare in formula uno vanno bene un po’ sempre.
Oppure in alternativa uno può scegliere di costruire un “bond ladder”, ossia una scala di prodotti obbligazionari scaglionando le scadenze e magari valutando di alzare un po’ la duration media del portafoglio.
E questa cosa può essere fatta facendo specifici investimenti su prodotti con duration più concentrate, come ad esempio gli ETF che investono solo in bond tra 5-7 anni.
Per quanto riguarda la tipologia, come sapete ci sono tre categorie principali.
– I titoli di stato
– I bond societari e infine
– I bond high-yield (mentre lasciamo da parte i paesi emergenti per oggi).
I titoli di stato seguono quasi perfettamente quello che stiamo dicendo oggi.
I bond corporate ad alto rating tendenzialmente seguono i titoli di stato, offrendo generalmente un rendimento un po’ più alto ma avendo una maggiore correlazione con le azioni, perché chiaramente una recessione impatta sulla salute delle aziende e quindi anche sulla capacità delle stesse di onorare i debiti contratti emettendo bond.
Infine in bond high yield sono tutta un’altra storia, perché seguono molto di più l’andamento dell’economia in generale e sono molto meno influenzati dai tassi di interesse.
La cosa a cui prestare attenzione è che mentre i titoli di stato con rating alto si muovono abbastanza in linea con la logica che abbiamo descritto oggi e in passato, più ci allontaniamo da questo livello più impatta il cosiddetto credit spread, che appunto è la differenza di rendimento di un’obbligazione rispetto ad un titolo di stato considerato senza rischio.
Facciamo un esempio: se c’è un improvviso deterioramento economico e la BCE sforbicia i tassi, il Bund tedesco tenderà ad apprezzarsi di conseguenza.
Il BTP Italiano invece, oppure un bond societario, potrebbero non apprezzarsi allo stesso modo, perché l’aumento di prezzo conseguente il taglio dei tassi potrebbe avere come contrappeso l’aumento del credit spread, dato che BTP e bond corporate saranno considerati dal mercato più rischiosi rispetto al Bund.
Come se non l’avessimo mai detto: occhio a giocare con i BTP, soprattutto con le scadenze lunghe, perché se ci sono cazzi questi invece di fare da protezione al portafoglio vanno giù peggio dell’azionario.
Nel nostro portafoglio, comunque, un ETF aggregate ha dentro già tutto.
Se uno vuole provare ad avere un extra rendimento supplementare sovrappesando la parte corporate, un ETF che segue il Bloomberg Euro Corporate oggi ha una duration media intorno a 4,5 e un rendimento di circa 3,5%, quindi mezzo punto in più dei governativi.
L’equivalente americano rende quasi il 5%.
Però, come detto, c’è da tenere conto del rischio cambio.
Ultime due riflessioni.
La prima: le obbligazioni a lunga scadenza.
Come sapete esistono ETF che replicano titoli governativi oltre i 15 anni.
Per esempio un ETF sul Bloomberg euro treasury 15-30 ha duration intorno a 17 e un rendimento medio a scadenza del 3,3%, solo leggermente di più dei governativi intermedi, a fronte però di una deviazione standard alta persino per l’azionario, 17%.
Questa tipologia di strumenti va maneggiata con cautela, perché sono sì obbligazioni, ma si portano dietro una componente di rischio notevole, visto che la loro sensibilità ai rialzi dei tassi è molto alta.
Da gennaio 2022 a ottobre 2023 un ETF su quell’indice è arrivato a perdere il 37% e nonostante sia risalito un po’ è ancora sotto del 30%.
Avere un asset che sta sotto del 30% dopo due anni è una cosa che non ti aspetti neanche da un ETF azionario.
Quindi, quando NON vanno messi in portafoglio e quando POSSONO essere messi in portafoglio.
NON vanno messi in portafoglio quando i tassi sono bassi. O meglio: non è che non si può, però a vostro rischio.
È vero che dal 2011 al 2021 un ETF sui governativi europei 15-30 è cresciuto di oltre l’80%, cedole incluse, però, come dire quando non c’è gatto i topi ballano.
E in questo caso il gatto si chiama inflazione e quando per troppo tempo manca, poi si ripresenta all’improvviso incazzato come iena e la festa finisce.
Morale della storia: il valore di un ETF come quello si trova oggi esattamente dove si trovava 10 anni fa.
0% di rendimento a fronte di quasi 20% di inflazione complessiva.
POSSONO invece essere messi in portafoglio nei cicli monetari espansivi, in particolare se si parte da tassi più alti.
Nel 2011 si partiva già da quasi zero, quindi tutto il rendimento veniva dal return, non dallo yield.
Se c’è invece un 3% di yield, un eventuale rialzo dei tassi sarebbe parzialmente attutito.
Al di là di questo sono poi un forte scudo per la componente azionaria, in particolare contro le recessioni.
Se arriva una sberla di inflazione crollano a picco, ma se c’è una recessione sono invece uno degli asset più forti, perché scontano meglio di altri i più bassi tassi del futuro e quindi si apprezzano velocemente.
Per esempio dal 2000 al 2009 l’S&P 500 ha perso l’1% all’anno in media per 10 anni, a causa delle due gravi recessioni di inizio 2000 e del 2007-2008.
I Long Treasury, invece, titoli di stato oltre i 20 anni, hanno invece fatto 7,4% all’anno.
Un portafoglio che invece che essere 100% azionario fosse stato 80% S&P 500 e 20% long treasury sarebbe passato da perdere soldi per 10 anni a guadagnare soldi per 10 anni. Pochi, 1,3% all’anno, ma tanto basta per passare dal rosso al verde.
Ora io ovviamente non voglio dare alcuna raccomandazione e sono l’ultimo scemo su questa terra a cui dovreste chiedere un’opinione.
Però in una fase come questa, con tassi di partenza sopra il 3%, inflazione in discesa e politica monetaria globale verso l’espansione, sembrerebbe che ci siano più pro che contro ad avere in portafoglio ANCHE delle lunghe scadenze.
La seconda riflessione riguarda il timing: se le obbligazioni scontano in anticipo i tagli futuri, uno potrebbe dire “ormai è tardi, dovevo pensarci un anno fa”.
Sì e no.
Sì, perché con il senno di poi ottobre 2023 era il momento migliore per fare il pieno di bond.
No, perché storicamente i cicli espansivi hanno tempi lunghi e generalmente conta di più, tanto per cambiare, il time in the market rispetto al timing the market.
Centrare il momento di ingresso ottimo, ma avere un’asset allocation preparata rispetto al contesto macroeconomico conta altrettanto, se non di più.
E quello che dicevamo nello scorso episodio.
Non si tratta di fare market timing, quanto di gestire il rischio.
Qual è il peggior nemico in assoluto per le obbligazioni? L’inflazione.
Oggi è più probabile che una minaccia al nostro portafoglio azionario arrivi dall’inflazione o da una recessione? Cioè è più probabile che le azioni vadano giù perché i prezzi dei beni di consumo aumentano o perché aumenta la disoccupazione?
Se oggi le minacce all’orizzonte sembrano più legate ad un rallentamento dell’economia che non ad una risalita dell’inflazione, allora in termini di gestione del rischio può aver senso avere un assetto obbligazionario che ne tiene conto.
Poi, come sempre, se sto investendo per mia figlia che non toccherà il suo portafoglio almeno per altri 25 anni, chissene al quadrato.
Se sono invece sensibile alle oscillazioni di breve-medio termine del portafoglio, allora è importante farsi trovare preparati.
E con ciò si conclude quest’ennesimo corso di ripetizione sul mondo obbligazionario.
Spero che lo abbiate trovato utile e che vi possa aiutare ad orientare meglio le vostre scelte con i vostri investimenti.
A questo punto giunti, vi ringrazio come sempre per lo straordinario affetto con cui mi seguite e ancora una volta per mandato in crisi la tipografia di Mondadori che non sta più dietro alla stampa del mio libro che avete ordinato in milioni, forse oserei dire in miliardi!
Abbiate pazienza, il 1° ottobre sarà nelle vostre mani e trovo di averlo scritto della lunghezza ideale per piantonare tavolini traballanti o sgabelli con una gamba più corta.
Come non dire poi che vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, dove siamo quasi 45.000 follower, oppure su Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che nonostante parlino di obbligazioni, duration, yield e altre bestialità mandano in sbattimento l’editoria italiana sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo per parlare probabilmente dei minacciosi pericoli dell’investimento in ETF che creano più bolle di un acquario in un ristorante cinese sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024