I Pericoli e le Minacce degli ETF

Gli ETF generano bolle? Creano distorsioni e minacciano crisi mai viste? Compromettono l'efficienza dei mercati? In quest'episodio cerchiamo di capire quanto siano fondate queste idee e come approcciarle con buon senso.

Difficoltà
35 minuti
The Bull - No Thumb
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

143. I Pericoli e le Minacce degli ETF

00:00

Risorse

Punti Chiave

La Fed ha tagliato i tassi di 0,5%, influenzando azionario, obbligazionario e oro, segnando una nuova politica monetaria.

Analisi del dibattito se gli ETF causino bolle o distorcano il mercato; importanza di diversificazione e lungo termine.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale

Alla fine è successo davvero!

Contro ogni mia aspettativa — e sapete bene quanto irrilevanti siano le mie opinioni — la Federal Reserve of the United States ha calato l’asso: taglio di 50 basis points, 0,5%, dei tassi di interesse.

Negli ultimi giorni i futures prezzavano circa un 60% di probabilità che ciò potesse avvenire, ma il track record dei futures quanto a previsioni azzeccate sulle mosse della Fed non è esattamente da incorniciare.

Io ero scettico — anche se in cuor mio ci speravo naturalmente — perché la Fed è un’istituzione generalmente molto conservativa e un taglio da 0,5 è una mossa forte.

Dall’altra parte però potrebbe essere prevalsa l’idea, come si dice in gergo tecnico, di pararsi il culo. In fondo la Fed sembra che avesse meno da perdere con questa mossa che non facendo un più ponderato taglio di 0,25%.

Perché dico questo.

Perché tagliare di 0,5% vuol dire cercare di mettere un argine più forte al rallentamento dell’occupazione e della crescita economica in generale.

Tagliare di 0,25% vuol dire temere che l’inflazione non sia stata ancora domata del tutto e che allo stesso tempo l’economia non rischi alcuna recessione imminente.

Il punto però è che se avesse tagliato di 0,5% e poi l’economia dovesse deteriorarsi velocemente nei prossimi mesi, Jerome Powell, il capo della Fed, può sempre dire: “il nostro l’abbiamo fatto”. Con un taglio di 0,25, il rischio è che verrebbe accusato addirittura di essere la causa della recessione.

Ad ogni modo in questo momento, qualunque sia stata la ragione che ha portato 11 dei 12 membri del Federal Open Market Committee votare per un taglio di 0,5%, non posso che dare a tutti voi il benvenuto in questa nuova era della vostra vita da investitori.

Chiunque a iniziato ad investire negli ultimi 3 anni è entrato in un mercato segnato da una politica monetaria restrittiva e oggi si trova per la prima volta a doversi confrontare con una politica monetaria espansiva (o se non proprio espansiva, meno restrittiva).

Il giorno dopo il taglio i mercati hanno brindato a Don Perignon, l’S&P ha fatto +1,7%, il Nasdaq oltre il due e mezzo e oltre il 2% hanno fatto anche le Small Caps, che notoriamente beneficiano di tassi di interessi inferiori perché le piccole società hanno bisogno più di frequente di ricorrere a prestiti per mandare avanti le proprie attività.

Stessa solfa in Europa e Giappone, tutti contenti per questi tagli.

Perché, almeno secondo la teoria, le azioni dovrebbero andare su quando i tassi vengono tagliati?

Per due motivi collegati.

Il primo è che con tassi più bassi, il rendimento delle obbligazioni scende e quindi aumenta il premio al rischio per l’investimento azionario, ossia il differenziale di rendimento tra l’investimento in azioni e in obbligazioni aumenta e ciò rappresenta un incentivo per gli investitori a vendere bonds per comprare stocks.

L’altro motivo, più tecnico, è che, sempre in teoria, il prezzo di un’azione riflette il valore dei profitti futuri di una certa società attualizzato attraverso un tasso di sconto.

Tradotto: i profitti che mi porterà domani l’investimento nella società X domani varranno meno di oggi, perché oggi quei soldi potrebbero guadagnare interessi “gratis” se li mettessi in un fondo monetario o in obbligazioni a breve.

Quindi per sapere davvero quanto varranno i miei profitti nel futuro, devo chiedermi: quanto dovrebbero valere domani per compensare il fatto che non posso guadagnare interessi oggi?

Siccome fino a ieri in America potevi guadagnare il 5% annualizzato investendo in un fondo monetario, questo 5% può essere considerato un buon “discount rate”, un buon tasso di sconto per attualizzare il valore futuro dei profitti azionari.

Se questo “discount rate” oggi scende, per via del taglio dei tassi e dei tagli futuri che in teoria dovrebbero esserci da qui al 2026, allora i profitti futuri andranno attualizzati ad un tasso di sconto più basso, il che vuol dire che il valore presente di questi futuri profitti aumenta.

È una questione matematica no?

Se il profitto futuro di un certo investimento azionario è 100, chiaramente il valore presente di 100 è più alto se faccio 100 diviso 1,03 invece che 100 diviso 1,05 (dico 0,3 perché il target della Fed per il 2026 è intorno al 3%).

Se quindi il valore presente dei profitti futuri è maggiore, il prezzo delle azioni sale.

L’oro manco ve lo sto a dire, ormai oltre i 2.600 dollari l’oncia, che come da copione si è apprezzato per via della sua relazione inversa con i rendimenti obbligazionari.

Solito discorso: se gli investimenti risk free, come i titoli di stato a breve, rendono meno e pagheranno cedole più basse, l’oro tende ad apprezzarsi.

Caso mai è stata meno scontata la reazione della parte lunga della curva dei rendimenti obbligazionari, con il Treasury a 10 anni che ha visto i suoi rendimenti addirittura salire, probabilmente per un ragionamento di questo tipo: “se l’economia non va in recessione e si mantiene forte, in futuro i tassi non potranno scendere tanto e magari dovranno addirittura risalire per evitare un surriscaldamento che porti a una nuova fase inflazionistica”.

Dall’altra parte bisogna anche dire che il bond lunghi avevano già scontato da un pezzo un cambio di politica monetaria.

Se prendiamo TLT, un ETF americano di iShares sui Treasury a 20 anni, dal picco dello scorso ottobre a oggi era già salito di quasi il 20% (nonostante nell’ultimo anno i tassi praticamente siano rimasti invariati).
Solita storia: il mercato si muove sulle aspettative, non sui fatti.

Detto questo, che c’entra tutto ciò con quello di cui dobbiamo parlare oggi, ossia delle minacce incombenti su tutti noi investitori che tanto amiamo mettere i nostri soldi in ETF?

Da un lato, questo è il primo episodio registrato dopo il taglio della Fed, non si poteva far finta di niente, due cose mi sentivo di dirle visto che vi sto smartellando gli zebedei da mesi con questa storia.

D’altra parte c’è un potenziale collegamento diretto.

Il giorno dopo il taglio c’è chei sul Wall Street Journal ha già paragonato Powell al mitologico capo della Fed negli anni ’90 Alan Greenspam, che divenne leggenda quando orchestrò un soft landing nel 1995, ossia abbassare l’inflazione senza andare in recessione, che diede poi il via ai 4 anni più euforici di sempre per l’S&P 500, cresciuto al ritmo del 28,4% all’anno.

Una roba folle. 1 dollaro investito il primo gennaio del 95 si sarebbe quasi quadruplicato all’inizio del nuovo millennio.

Certo, quel quadriennio irripetibile sarebbe poi terminato con il tracollo della dot com bubble e avrebbe avuto il suo colpo di grazia con la grande crisi finanziaria del 2008.

Bisogna però dire che, nonostante le due grandi crisi, il mercato non sarebbe mai sceso oltre i valori toccati a metà 1997, quindi comunque l’investitore del 95, alla fine del 2008 avrebbe potuto dire di essersi portato a casa quasi il 7% all’anno di rendimento medio composto.

Scusate, ogni tanto mi parte il trip per le statistiche e i backtest che lo so che interessano solo a me ma che volete, ciascuno si diverte come può.

Oggi ovviamente tutto può succedere, non è possibile dire se il mercato continuerà a crescere oppure no.

L’unica cosa che sappiamo, come avevo già detto in un passato episodio che mo non mi ricordo più quale fosse, a 5 anni dal primo taglio della Fed il mercato americano è sempre cresciuto, quindi se questa non sarà la prima volta che la statistica fa cilecca, da qui al 18 settembre del 2029 il mercato sarà cresciuto rispetto a dove è oggi.

Di quanto?

Boh.

In media del 13% all’anno, un po’ meno se c’è una recessione in mezzo, un po’ di più se come nel ’95 c’è un soft landing.

E qui arriva l’aggancio al tema di oggi.

Se con i tassi che scendono il mercato azionario può godere di un boost di crescita, tutt’altro che scontato ma facciamo finta che sia così altrimenti l’episodio non regge e diciamo pure che sia alimentato dal fatto che chi ha soldi parcheggiati nei fondi monetari che renderanno sempre meno potrebbe volerli spostare in strumenti azionari, ci dobbiamo preoccupare di un crescente pericolo di bolla, a maggior ragione se questi nuovi flussi verso l’azionario finiscono dentro gli ETF?

Finisce così l’incipit dell’episodio e ci apprestiamo dunque a discutere se effettivamente quest’esplosione degli ETF negli ultimi anni possa porre qualche minaccia apocalittica a lungo termine al mercato azionario e, soprattutto, ai nostri sudati quattrini.

A proposito di minacce.

Prima di capire se gli ETF rappresentino o no questa minaccia, c’è una minaccia che non è solo è probabile, ma certa come la morte. Che è la morte.

La morte è il benchmark per eccellenza di tutte le misure di probabilità.

La cosa più probabile del mondo resta comunque meno probabile di quest’eventualità che, presto o tardi, si trasformerà per tutti in una certezza al 100%.

E come non approfittare di questa nota di allegria per ringraziare Turtleneck, sponsor dell’episodio di oggi?

Turtleneck è l’assicurazione sulla vita di Squarelife fatta per proteggere la serenità finanziaria dei nostri cari qualora noi dovessimo tirare le cuoia anzitempo.

Si sottoscrive direttamente online in pochi minuti, il suo costo mensile sarà probabilmente più basso di un aperitivo medio a Milano e poi ha questa cosa simpatica per cui se ci mettiamo tutti d’impegno e cerchiamo di non morire, ogni anno Turtleneck restituisce ai suoi assicurati la parte dei premi che non ha dovuto utilizzare per i risarcimenti.

Capito? Cioè meno gente muore, più si risparmia.

Un grandissimo incentivo a non schiattare.

In descrizione trovate un link per andare sul sito di Turtleneck dove potete trovare tutte le informazioni in merito, che vi invito a leggere attentamente.

Siate certi di averle comprese appieno prima di sottoscrivere l’assicurazione e rivolgetevi direttamente ai ragazzi di Turtleneck per ogni informazione.

Se poi la cosa vi piace e doveste decidere di sottoscriverla, fatemi la cortesia di non morire perché altrimenti: UNO non mi ascoltate più il podcast e soprattutto DUE mi si abbassa il rimborso l’anno prossimo grazie.

Ah tra l’altro, se dopo averla sottoscritta invitate altri amici o conoscenti (ma anche nemici e perfetti sconosciuti vanno benissimo) a sottoscrivere l’assicurazione di Turtleneck, 10€ di sconto per loro e 30€ per voi.

Bene, sistemata la minaccia più minacciosa, passiamo alla minaccia oggetto dell’odierno episodio: è vero che gli ETF scassano la struttura del mercato, causano bolle, possono provocare la più grande apocalisse finanziaria di tutti i tempi e aumentano la probabilità che piova per sempre a Pasquetta e Ferragosto sulle vostre grigliate?

Cerchiamo di capirlo insieme.

Parto dalla fine con tre considerazioni che è bene che teniate in mente:

– PRIMA CONSIDERAZIONE: è impossibile dare una risposta definitiva. Oggi parleremo solo di teorie e controteorie. Non c’è modo, che mi risulti, di dimostrare questa cosa, né di confutarla. Si tratterà solo di capire da che parte pende la maggiore probabilità.

– SECONDA CONSIDERAZIONE: anche se si dovesse dimostrare che gli ETF sono il peggiore dei mali finanziari, comunque questa paradossalmente non sarebbe una buona argomentazione per starvi alla larga, perché mentre gli ETF (forse) danneggiano il mercato, dall’altra parte continuerebbero a restare la migliore opzione per un investitore retail (almeno in termini di rapporto tra costi e rendimenti attesi).

– TERZA CONSIDERAZIONE: per quanto io abbia profuso tutte le mie forze per cercare di essere imparziale, sono ovviamente un grande fan dell’investimento passivo in generale e degli ETF in particolare, quindi non posso escludere al 100% che ogni tanto non peccherò di Confirmation Bias.
Lascio al vostro spirito critico scovare eventuali bias nel ragionamento e farmelo sapere se volete.
Cioè dato che sono sempre stato piuttosto convinto della virtuosità dell’investimento passivo, il mio cervello potrebbe essere naturalmente portato a cercare più le conferme di questa cosa che non accogliere pienamente le critiche agli ETF. Razionalmente ho cercato di evitare questo pericolo, ma sapete anche che la nostra razionalità fa acqua da tutte le parti.

Allora in breve cosa dice la teoria anti ETF, che peraltro vanta tra i suoi sostenitori investitori leggendari del calibro di Michael Burry, David Einhorn e Mike Green?

Prima di parlare della teoria, è interessante capire cosa ha fatto di questi investitori delle leggende viventi.

Perché la biografia di questi investitori non è irrilevante ai fini della posizione che hanno assunto.

Se aveste chiesto a John Bogle, il fondatore di Vanguard, se gli ETF creano bolle è chiaro che vi avrebbe detto di no.

Per motivi diametralmente opposti, che adesso spiego, questi tre eminenti superstar di Wall Street sostengono il contrario.

Tutti e tre hanno fatto il botto nella loro carriera sfruttando … delle bolle.

Cioè non hanno fatto solo quello, però il loro successo e la loro fama saranno per sempre legati all’aver indovinato che certe bolle stavano per esplodere e all’averne approfittato realizzando dei profitti astronomici.

Michel Burry, come noto, è l’ex medico diventato quell’asset manager piuttosto eccentrico impersonificato da Christian Bale nel film la Grande Scommessa, ed è uno di quelli che vide la crisi immobiliare del 2007-2008 arrivare, shortò il mercato e si portò a casa centinaia di milioni di dollari di profitto da quell’operazione.

La sua tesi allora fu: i prodotti derivati costruiti sui mutui subprime, ossia quei mutui concessi a cazzo a persone che non se li potevano permettere, avevano gonfiato enormemente il prezzo dei valori immobiliari creando una bolla, al punto che quando questi sono diventati insolventi, il mercato immobiliare è crollato, con esso i valori degli asset finanziari come i CDO che avevano i mutui come sottostanti e infine società come Lehman Brothers’ sono fallite perché piene di quella robaccia.

Quindi, intuì che c’era una bolla, vi scommise contro e fece una palata di soldi.

Non gli andò altrettanto bene con svariate altre chiamate, come quando l’estate scorsa mise su una posizione short da oltre un miliardo di dollari contro l’S&P 500 e il Nasdaq, chiusa nettamente in perdita.

David Einhorn deve a sua volta la sua fortuna a Lehman Brothers.

Non fu il suo unico grande colpo, ma sicuramente il più spettacolare, fosse anche solo perché nel 2007 dichiarò pubblicamente durante un evento di avere una grossa posizione short contro Lehman, che nel settembre di quell’anno sarebbe poi fallita come tutti noi ben sappiamo.

Anche in quel caso, la tesi di Einhorn fu che Lehman fosse esposta ad una bolla e le valutazioni del mercato fossero insostenibili rispetto ai valori fondamentali, da value investor convinto quale è sempre stato.

Scoppiata la bolla, lui fece il botto.

Non fu però di gran successo l’ultimo decennio della sua carriera da hedge fund manager, perché il suo approccio value, ossia long le società sottovalutate e short le società sopravvalutate, almeno secondo lui risultò fallimentare al cospetto della spettacolare crescita delle big tech del mercato americano.

E forse per questa coppia di motivi gli è venuto un po’ il dente avvelenato nei confronti dell’investimento passivo, per motivi che diremo tra poco.

Infine Mike Green, forse il più attivo evangelista anti ETF che va praticamente in qualunque canale a spiegare perché gli ETF distorcerebbero la struttura del mercato.

Su tutti vi consiglio il lungo, complesso e molto interessante dialogo con Barry Ritholtz, a Masters in Business, dove peraltro Ritholtz aveva intervistato qualche mese prima Einhorn sullo stesso tema.

Green deve il suo posto nella hall of fame dei più grandi hedge fund manager viventi ad una clamorosa giocata durante il Volmageddon del 2017.

Anche qui, un’altra storia di una bolla scovata in anticipo.

Per chi non se lo ricordasse, il Volmageddon è stata una breve crisi del mercato innescata da un piccolo dato inatteso sull’occupazione e i salari negli Stati Uniti che ha fatto ipotizzare un futuro aumento dei tassi d’interesse facendo salire in quei giorni la volatilità.

Molti investitori avevano accumulato miliardi in un prodotto di credit suisse chiamato XIV che in pratica guadagnava finché il mercato se ne stava tranquillo e la volatilità, misurata dall’indice VIX, se ne stava bassa.

Morale: il Volmageddon, che è questa crasi giornalistica che starebbe per Volatilty Armageddon, ha fatto crollare in pochi giorni di quasi il 100% il valore delle posizioni contro il VIX.

Green aveva intuito che quelle posizioni non fossero sostenibili e che potesse non esserci liquidità sufficiente a sostenere un’ondata massiva di vendite. Scommise contro questa cosa e portò a casa qualcosa come 250 milioni di dollari.

Vi ho raccontato questi tre aneddoti perché secondo me non è irrilevante tenere conto del fatto che i più grandi detrattori degli ETF devono la loro fortuna ad alcune bolle del passato e le loro recenti sfortune ad un comportamento del mercato che loro giudicano ingiustificato, dando la colpa all’investimento passivo che appunto distorcerebbe il mercato.

Veniamo alla teoria.

In sostanza i nostri tre amici e tutta la simpatica combriccola anti etf, chi più chi meno, sostengono che il problema principale sia legato al fatto che man mano che la componente passiva aumenta a discapito di quella attiva, che si basa su attività di ricerca e analisi dei valori fondamentali delle società, viene progressivamente meno l’efficienza del mercato e la sua capacità di prezzare correttamente le azioni.

In realtà il discorso vale un po’ per tutti gli asset, ma loro ce l’hanno con le azioni in particolare.

Cosa dicono: se tutti gli investitori del mondo si mettono lì a comprare o vendere azioni sulla base di un’analisi fondamentale dei valori sottostanti, cioè prezzano di più una società che ha certe caratteristiche virtuose e meno altre società che mostrano diversi valori, allora il mercato fa il suo bel lavoro di veicolare in maniera efficiente l’allocazione del capitale nell’economia.

Qual è secondo loro il problema degli index fund e degli ETF?

Il problema sarebbe che la iShares e la Vanguard di turno non sono esattamente “passive” nel senso che uno si immagina.

Per essere passive dovrebbero replicare il mercato SENZA avere un impatto sul mercato.

Ma evidentemente non è così, perché ogni volta che una di queste società riceve i vostri soldi — beh non proprio solo i vostri, ma quei centinaia di milioni di dollari, se non addirittura qualche miliardo che ogni giorno ricevono dagli investitori di tutto il mondo, retail e istituzionali — dicevo, ogni volta che ricevono soldi, queste non fanno come il gestore di un normale fondo di investimento che “decide” se e come allocare il capitale.

No.

Se tu dai a Vanguard 100.000 euro per investire nel suo ETF sull’S&P 500, Vanguard automaticamente prende il tuo investimento, lo spezzetta per i pesi che hanno le singole società nell’S&P 500, e usa il 7% per comprare Apple, un po’ meno per comprare Microsoft, poi Nvidia, poi Google, poi Amazon e via dicendo fino all’ultima società sfigata dell’S&P che non so quale sia.

In pratica l’ETF “trada” sempre.

Cioè fa sempre trading.

E — cosa più importante nel loro ragionamento — lo fa a qualunque prezzo.

Che Nvidia sia sopravvalutata o no, non importa, se tu metti soldi dentro un ETF e questo deve replicare Nvidia, questo compra Nvidia.

Così facendo, dicono i nostri amici, questo immenso flusso quotidiano di denaro che inonda il mercato attraverso gli ETF non viene allocato in base ai valori fondamentali delle società sottostanti, ma fondamentalmente in maniera proporzionale al peso che le singole società hanno negli indici.

Questo intanto farebbe sì che una società esclusa da un indice come l’S&P 500 o l’MSCI World, sicuramente riceverà molti meno capitali.

Inoltre — e forse qui è uno dei loro punti che più fanno breccia nei cuori degli osteggiatori degli ETF — gli ETF tenderebbero a creare un effetto “momentum”, per cui le società più grandi ricevono più capitali e quindi crescono di più in maniera artificiosa rispetto a quel che dovrebbero.

Ciò sarebbe alla base della motivazione per cui i value investor, che per definizione cercano di investire in società sottovalutate, ossia con basso price to book ratio, basso prezzo rispetto al valore netto contabile, fanno fatica a performare perché le società value sarebbero penalizzate in un contesto dove quasi tutti i soldi vanno alle società più grosse secondo il meccanismo del market cap weight tipico degli ETF.

Prima di commentare questa tesi, andiamo alla conclusione.

Se tutto il mercato compra “alla cieca”, buttando soldi dentro gli ETF e investendo passivamente senza curarsi troppo dei valori delle società, il rischio principale che loro vedono è che si possano creare delle bolle perché tutti investono senza basarsi su una reale valutazione della capacità delle società sottostanti di generare profitti nel futuro. E questa cosa farebbe sì che il mercato diventi sempre più inelastico si dice, cioè una situazione in cui piccole variazioni nella domanda determinerebbero variazioni di prezzo sempre più significative e in ultima istanza scoppi una liquidity trap, una trappola della liquidità, ossia una situazione in cui si creano troppe posizioni concentrate, tali per cui quando troppi investitori vogliono liquidarle non ci sono sufficienti controparti disposte a farlo a prezzi di mercato, facendo così crollare i valori.

Ora tutto ciò potrebbe anche essere fondamentalmente corretto e, sulla carta, ha la sua logica.

Sottolineiamo però due cose:

– PUNTO UNO: oggi meno del 15% delle azioni negli Stati Uniti e meno del 10% in Europa sono detenute da ETF, quindi come minimo c’è ancora un 85-90% delle azioni che è scambiata attivamente, mentre solo una quota minoritaria contribuirebbe a tutto sto discorso sulla passivizzazione — parola che nemmeno sapevo esistesse ma a quanto pare Word la conosce.
Mike Green risponderebbe: sì ok questa cosa è vera. Però una volta che escludi tutte le azioni possedute dai founder (che so, la quota di Meta detenuta da Zuckerberg, quella di Tesla da Musk, quella di Microsoft da Bill Gates e così via) e se escludi tutti i privati che investono in azioni e fanno buy and hold, che in America sono una quota maggioritaria degli shareholder, in realtà considerando solo le azioni che realmente vengono scambiate ogni giorno da retail e istituzionali, la % di ETF è nettamente più alta.

Buon punto.

– Però qui arriva l’altro punto. È veramente difficile dimostrare che l’effetto dei flussi di denaro che arrivano negli ETF spingendo le valutazioni verso l’alto sia superiore all’effetto delle valutazioni che gli investitori attivi attribuiscono ai vari titoli.
Cioè gli ETF possono anche comprare Nvidia all’infinito, ma se il prossimo report trimestrale di Nvidia è na chiavica, ci saranno investitori della domenica, gestori, hedge fund e quant’altri che si metteranno a scambiare le azioni di Nvidia ad un prezzo inferiore, incorporando così le nuove informazioni derivanti dal report.

Per fare un esempio estremo: ammettiamo che tutte le azioni di Nvidia si trovino dentro ETF tranne una e quell’unica azione venga scambiata ad un prezzo che è il 10% in meno del prezzo del giorno prima, automaticamente anche il valore di Nvidia dentro gli ETF scenderà del 10%.
Paradossalmente basta che ci siano pochi investitori attivi che fanno il loro lavoro di valutazione per fare funzionare tutto il meccanismo.

La critica di Burry, Einhorn, Green e gli altri è che se man mano diminuiscono gli investitori attivi che si mettono a fare tutta la fatica di analisi e ricerca, allora il mercato diventerà via via più inefficiente e sarà sempre meno in grado di prezzare accuratamente le azioni.

E qui sollevo altri due temi:

– Primo tema: dipende da chi sono queste persone che smettono di fare analisi. Se quegli scappati di casa che investono in base ai meme sui reddit smettono di fare gli stock pickers e cominciano ad investire in ETF, non credo che l’efficienza del mercato diminuisca, anzi. Se tutti i migliori gestori del mondo diventano passivi, allora magari è un altro tema, ma chiaramente non sono loro i principali indiziati a operare questa transizione.

– Il secondo tema invece è questo: il mercato è complessivamente efficiente in generale, ma questa cosa non ha mai impedito di creare delle aberrazioni collettive. Nel 1999 gli ETF a malapena esistevano, ciononostante sono stati creati dei mostri come l’azione di Cisco con un prezzo cento volte gli utili.
Quindi il fatto che ci siano più soggetti che cercano di prezzare in maniera attiva le azioni non significa necessariamente che il mercato funzioni meglio.

Detto questo, è possibile che gli ETF possano effettivamente avere avuto un ruolo nella crescita abnorme di quella manciata di mega caps che dominano gli indici azionari, ma non tanto come causa di questo fenomeno.

Come abbiamo visto anche nello scorso episodio, Apple, Microsoft e tutto il club delle società che valgono più di un trilione di dollari sono cresciute così tanto negli ultimi anni anche perché hanno prodotto dei guadagni astronomici ad un ritmo impareggiabile da qualsiasi altra large cap.

In questo senso, il mercato oggi potrà anche essere sopravvalutato, ma non c’è dubbio che dieci anni fa i prezzi di queste mega società fossero addirittura inferiori al loro fair value, dato che sono certamente cresciute di più di quanto il loro prezzo nel 2014 avesse anticipato.

Sicuramente ha un qualche impatto il fatto che ogni volta che qualcuno vende un fondo attivo per passare ad un ETF sullo stesso benchmark, di solito il fondo attivo non ha posizioni particolarmente concentrate e il più delle volte tenderà a sottopesare le maga caps, di conseguenza a parità di capitale che va da un fondo attivo ad uno passivo, in quello passivo arrivano più soldi alle mega caps.

Ma mentre è sicuramente vero che l’ascesa degli ETF possa aver contributo alla crescita delle valutazioni in generale, è difficile sostenere che abbiano avuto un ruolo significativo nella crescita relativa delle società più grosse.

Insomma: le società più grosse sono cresciute ad un ritmo superiore perché anche i loro utili sono cresciuti ad un ritmo superiore.

Dal 2014 ad oggi gli utili per azione delle magnifiche sette sono cresciuti in media del 19,4% all’anno, contro il 4,1% in media delle restanti 493 società dell’indice americano.

In proporzione, il rapporto prezzi/utili delle magnifiche sette non è neanche cresciuto così tanto, 5,3% all’anno contro il 2,9% delle altre società.

Detto questo, però, quando Vanguard o Ishares comprano nuove quote dell’S&P, non c’è un effetto diretto per cui quelle più grandi crescono di più, perché gli ETF comprano in proporzione ai pesi che le varie società hanno nell’indice in base alle valutazioni che il mercato gli attribuisce.

Discorso analogo si può fare anche rispetto al tema secondo il quale gli ETF favorirebbero logiche di momentum — quindi società che sono cresciute di recente continuano a crescere sempre di più — rispetto a small caps e value che invece tradizionalmente hanno sempre battuto il mercato, perlomeno nel lungo termine.

Lo sappiamo, ci sono fattori che restituiscono un extra rendimento sistematico rispetto al mercato e le società a bassa capitalizzazione e quelle con prezzo sottovalutato rispetto al book value tendono a rendere di più per compensare il maggiore rischio che l’investitore si dovrebbe accollare.

Sono però 15 anni che small caps e Value sottoperformano e quindi gli Einhorn di turno ritengono che la colpa sia degli ETF che non permettono alle società Value di raggiungere il prezzo che dovrebbero avere in base ai propri fondamentali.

Forse.

Forse più probabilmente le società growth, in particolare nel settore tecnologico, sono cresciute di più perché nell’ultimo decennio hanno potuto beneficiare di un lungo periodo a bassi tassi d’interesse e di un momento storico in cui la domanda di tecnologia è esplosa.

Comunque sia, come vedete è molto molto molto difficile arrivare a delle conclusioni definitive, fosse anche solo perché non si può fare un back test in cui si va a vedere come si sarebbe comportato il mercato se gli ETF non fossero mai stati inventati.

Proviamo però a tirare qualche conclusione e qualche spunto operativo.

La realtà, probabilmente, non è tanto che la crescita dell’investimento passivo rovini il mercato, quanto piuttosto che possa aver indotto certi cambiamenti.

Forse il mercato ora sarà soggetto a oscillazioni più brusche e più breve, nel breve alcuni fattori come momentum potrebbero vedere delle accelerazioni e magari i tempi per cui i prezzi regrediscano verso i loro valori fondamentali si allungano.

Può inoltre essere che aumenti la correlazione all’interno di una stessa asset class, come appunto nell’ambito azionario.

Questo però può semplicemente voler dire che il mercato, ancora una volta, ha parzialmente modificato alcune regole a cui risponde.

Ed è perfettamente accettabile che alcune regolarità che si possono desumere osservando il passato non funzionino nel presente e che cose funzionano nel presente non funzioneranno più in futuro.

È importante tenere a mente che qualunque effetto abbia la crescita dell’investimento passivo, questo non cambia il modo in cui l’investitore fa soldi investendo in azioni nel lungo termine.

Il primo driver di crescita del valore del mercato azionario nel lungo termine sono, come dicevamo all’inizio, i flussi di cassa futuri delle società sottostanti e il prezzo che gli investitori sono disposti a pagare anticipando questi flussi cassi, attualizzati in base ad un certo tasso di sconto.

Mentre nel breve termine ci può essere un enorme scollamento tra prezzi e valori fondamentali, nel lungo ad un certo punto deve verificarsi una convergenza tra il prezzo che un investitore paga per un certo asset e il profitto che quell’asset è in grado di ritornare.

Cito un paper di GMO per la chiusura di questo ragionamento: l’investimento passivo può certamente aver modificato il panorama dell’investimento, Ma non ha cambiato la matematica dell’investimento e alla fin della fiera è la matematica che conta di più.

Prima di chiudere, cosa ci dobbiamo portare a casa?

PRIMA COSA: no panic.

Ricevo spesso messaggi da parte vostra in cui mi chiedete quali sono le minacce e i pericoli dell’investire in ETF.

Come abbiamo visto, il fatto che creino bolle è tutto da dimostrare, sicuramente ci sono altri fattori che possono creare bolle con maggiore facilità: su tutti, fattori psicologici, come l’avidità, l’overconfidence o la sopravvalutazione del potenziale di qualche trend o di qualche innovazione.

Se gli ETF distorcono il mercato e fanno accadere tutte le cose brutte che Burry e amichetti paventano, comunque non è che ci possiamo fare molto.

Suppongo che se dovessero innescare la madre di tutte le crisi, come sempre molti investitori ritireranno quel che resta dei propri soldi nel momento peggiore, magari a quel punto torneranno ad investire in fondi attivi e nuovamente investire in ETF sarà un’opportunità per chi resta.

C’è anche un altro fatto.

Non è nell’indole umana essere “passivi”.

Starsene fermi, non fa per noi.

Non credo si arriverà mai ad un ecosistema finanziario prevalentemente passivo e ogni giorno l’industria finanziaria si ingegna per creare strumenti che di passivo hanno ben poco.

Gli Etf settoriali, i fattoriali, quelli tematici e ovviamente i sempre più numerosi ETF a gestione attiva in qualche modo vanno a diversificare quel che fanno i tradizionali etf market cap weighted e c’è da aspettarsi che in futuro si vedranno portafogli come sempre meno FTSE All World e sempre più variegati prodotti che cercano di generare alfa nelle maniere più disparate.

SECONDA COSA: dato che non si può investire in un mercato diverso da quello che eventualmente gli ETF andrebbero a distorcere, sempre con tutti i benefici del dubbio, il miglior consiglio universale resta sempre quello di avere un’esposizione diversificata.

Più il portafoglio è concentrato, maggiore e il rischio specifico di subire perdite devastanti.

Più invece è diversificato tra diverse asset class e all’interno delle stesse asset class, minore è il rischio che un cigno nero possa fare danni irrecuperabili.

Ci sono le azioni dei paesi sviluppati.

Ci sono le azioni dei paesi emergenti.

Ci sono i fattoriali.

Ci sono le obbligazioni governative.

Ci sono le obbligazioni corporate.

Ci sono le materie prime e quant’altro.

Insomma, diversificare il portafoglio oggi è tanto semplice quanto assolutamente necessario.

PUNTO TRE: il tempo è nostro alleato, così come la pazienza.

Nel breve tutto può succedere.

Ma nel lungo tempo il mercato trova la sua strada.

Gli ETF non sono un asset, sono solo un veicolo per investire.

È ciò che ci sta sotto quello che conta.

E se sotto ci stanno aziende la cui ragion d’essere è continuare a realizzare prodotti e servizi competitivi, prima o poi il mercato premierà i vincitori e punirà i perdenti.

Dato che non siamo Burry, Einhorn o Green, avere un’esposizione diversificata a lungo termine è con poche possibilità di obiezione la cosa più sensata per espormi alla crescita di valore che nel lungo termine il mercato tende a produrre.

E con questa profondissima riflessione, si conclude anche l’episodio di oggi.

Siamo passati un po’ di palo in frasca, ma alla fine abbiamo chiuso il cerchio.

Auguro a me e a tutti voi che dopo il taglio di Powell i prossimi 5 anni siano una versione reloaded della fine degli irripetibili anni ’90 e soprattutto che gli ETF non facciano scoppiare il mercato perché altrimenti sto episodio mi perseguiterà a vita!

Nel frattempo, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a cinque stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che in onore agli anni ’90 gonfiano e sgonfiano le bolle degli ETF come i coloratissimi e tossicissimi cristal ball sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo episodio gustoso che non vedo l’ora di registrare in cui vedremo come a volte i rendimenti passati SONO indicativi e predittivi dei rendimenti futuri sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant