La Svolta della Fed e il Risveglio del Dragone – Cosa è successo a Settembre sui Mercati
La svolta monetaria della Fed che ha tagliato di 50 bps i tassi d'interesse, la mossa a sorpresa del governo cinese che ha fatto voltare la borsa di Shanghai, nuovo tonfo del Nikkei e la crisi dell'auto in Europa. Un settembre da serie TV che alla fine ha visto i mercati crescere ancora.

146. La Svolta della Fed e il Risveglio del Dragone – Cosa è successo a Settembre sui Mercati
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Punti Chiave
Exploit mercati cinesi a settembre per stimoli; persistono dubbi su crisi immobiliare.
Fed taglia i tassi, S&P 500 positivo.
Obbligazioni in rialzo con taglio tassi.
Oro a nuovi massimi (+26% YTD), comportamento schizofrenico e difficile da prevedere.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Chi l’avrebbe mai detto che il recap del mese di Settembre, del mese in cui la Fed ha finalmente dato il via a quel che viene chiamato “pivot”, ossia lo scollinamento del percorso di salita dei tassi d’interesse da cui comincia la discesa, forse la notizia più clamorosa è stata il pazzesco exploit dei mercati Cinesi!
Certo, ci sarà da capire se l’effetto doping di una svolta nella politica sia monetaria che fiscale del cordiale Xi Jinping avrà le gambe lunghe o se si sarà trattato dell’ennesimo fuoco paglia, dell’ennesimo colpo di reni di un’economia però che non si sa bene fino a che punto riesca a far fronte ad una enorme crisi interna dettata in primis dal collasso del suo insostenibile settore immobiliare.
Come sapete bene, la Cina per due decenni ha pompato la sua crescita economica spingendo soprattutto sulla parte di offerta, ossia sullo stimolo alla produzione e alla costruzione.
Eh sono così, ai Cinesi piace costruire le cose, non c’è niente da fare.
A loro basta fabbricare e costruire e sono contenti.
Il problema è che da una parte c’è stato il ridimensionamento della globalizzazione, il ritorno del protezionismo negli Stati Uniti e in Europa e tutta una serie di motivazioni geopolitiche che gradualmente ridimensioneranno il ruolo della Cina come fabbrica del mondo.
Dall’altro, gli amici compagni del governo del popolo in questi anni si sono dimenticati che se i cinesi non c’hanno na lira, o meglio, uno Yuan, se oltre alla produzione non vengono sostenuti anche i consumi il meccanismo s’incricchia.
L’anno scorso poi è esploso quell’enorme bubbone chiamato Evergrande, un colosso immobiliare enorme che è fallito creando una voragine nel bilancio dello Stato ma soprattutto è stato l’emblema di un’economia che si era retta fino a quel punto costruendo immobili all’infinito, in cui molti Cinesi avevano messo tutti i propri soldi e che in molti casi nemmeno sono stati terminati. Ma ovviamente ai cittadini cinesi che avevano versato lauti acconti nessuno ha restituito più nulla.
Con il grosso del risparmio privato — oddio “privato”… privato in Cina è un concetto tutto sui generis… – cmq dicevo con il grosso del risparmio privato messo quasi esclusivamente in un mercato immobiliare in forte crisi, la domanda interna è letteralmente collassata negli ultimi anni — e con essa l’economia Cinese ha subito un brusco ridimensionamento rispetto alla sua ambizione di diventare la prima potenza mondiale.
Almeno per ora.
Comunque sia, un po’ a sorpresa a fine settembre c’è stato questo pacchetto di misure varato da Xi Jinping che comprende: taglio dei tassi d’interesse, riduzione della quantità di cash che le banche devono detenere nelle proprie riserve, così da stimolare maggiori prestiti, riduzione degli interessi sui mutui già in essere e riduzione dell’acconto da pagare per comprare seconde case.
Sembrerebbe inoltre che la Banca Centrale cinese avrebbe offerto l’equivalente di circa 70 miliardi di dollari a fondi, broker e assicurazioni per comprare azioni cinesi nel tentativo di rianimare il suo moribondo mercato azionario, oltre ad altri 40 miliardi per finanziare i buyback.
Come sapete tutti molto bene se ascoltate questo podcast, il buyback è quell’operazione per cui una società riacquista parte delle proprie azioni, artificiosamente aumenta l’utile per azione perché riduce il numero di azioni disponibili e più o meno meccanicamente ne alza la valutazione azionaria.
Questa roba è stata festeggiata dai mercati in una maniera pazzesca.
Lunedì 30 settembre ci siamo svegliati con lo Shanghai Composite Index, che è il principale indice nazionale cinese, rispetto all’Hang Seng di Hong Kong che invece è un indice più internazionale e meno rappresentativo dell’economia della repubblica popolare, dicevo la borsa Shanghai ha fatto +8% in un giorno solo, la miglior performance dai tempi del 2008.
Tanto per intenderci.
Da inizio anno al 13 settembre lo Shanghai Composite era sotto dell’8,5%.
Grazie a questa svolta nella politica economica, la performance da inizio anno è addirittura balzata a oltre il 12%.
Poi vediamo la prospettiva di un investitore europeo, ma certamente quest’ultima settimana ha impresso un forte slancio per chiunque avesse asset esposti sui mercati emergenti, di cui chiaramente la Cina fa la parte del leone — o del dragone, se preferite.
Ora, sicuramente sarà stato un caso, però questa svolta nella politica monetaria e fiscale cinese, è arrivata subito dopo che il WSJ ha pubblicato la notizia che un economista Cinese sarebbe sparito nel nulla dopo aver criticato tramite messaggi su WeChat la politica economica di Xi Jinping.
Ripeto sicuramente sarà una coincidenza, però anche tu amico mio: e mi critichi il più autoritario presidente della Repubblica Popolare dai tempi di quel panzerotto di Mao Zedong, su WeChat che è praticamente come andare a mettere i manifesti in piazza Tienanmen, poi non ti stupire che quello lo viene a sapere.
Oh da noi queste non succedono eh, sia chiaro.
Nessuno spia nessuno.
Oddio.
Non è che ci metterei proprio la mano sul fuoco.
Però nel dubbio, sai che c’è? Il povero economista cinese sicuramente non aveva questa possibilità… ah! ma solo se avesse potuto usare uno strumento per criptare il suo device, se solo avesse potuto proteggere la sua connessione da interferenze esterne, se solo avesse avuto un password manager che gli custodiva tutti i codici d’accesso a prova di Hacker.
Ma in Cina ste cose non te le fanno usare — chissà perché…
Qui da noi invece puoi usare NordVPN, che manco a farlo apposta è proprio lo sponsor dell’episodio di oggi e che ci teneva a far sapere che con NordVPN attivo sui tuoi device puoi criticare la strategia economica del tuo dittatore preferito senza evaporare come una granita a luglio qui a Milano.
E sempre senza farlo apposta, c’abbiamo il coupon all’indirizzo www.nordvpn.com/thebull con uno sconto che pure Xi Jinping quando l’ha visto avrebbe dichiarato “ammazza quanto è popolare questo prezzo, costa talmente poco che è proprio la VPN del popolo, così possiamo guardarci tutti Tale e quale show sui Raiplay che altrimenti in Cina non si vede”.
Poi però si è ricordato che non avrebbe più potuto controllare il suo miliardo e fischia di adorati cittadini di cui si prende amorevole cura facendosi i cazzi loro h24 e ha ritirato la dichiarazione.
Comunque dicevo: Sarà vera gloria o resterà un fuoco di paglia?
E che ne so…
Con la Cina non si sa mai.
Non si sa mai in generale, ma nei Paesi caratterizzati da un’informazione non esattamente supertrasparente e in cui il mercato dei capitali non è — diciamo — proprio libero libero, è sempre molto complicato capire se sia il Partito che sta cercando di sparare tutte le cartucce per sostenere un’economia svuotata dei suoi fondamentali o se effettivamente questo pacchetto di stimoli possa rianimare il più grande mercato del mondo.
E non è cosa da poco, perché la salute della Cina, volente o nolente, ci riguarda.
Chiedere in primis alla Germania.
Come avevamo già detto in passato la sua gloria degli ultimi anni si reggeva su un modello industriale molto semplice: comprare gas a basso costo dagli amici Russi e vendere auto e altri prodotti tendenzialmente di alta qualità tecnologica in Cina.
Non solo, però il mercato cinese, soprattutto per l’auto tedesca, è uno sbocco enorme.
Mettici poi che ora il gas non russo costa molto di più per i tedeschi e voilà la recessione in Germania è servita
L’auto però sta vivendo un periodo nero, dopo i fasti del post Covid.
Volkswagen, per la prima volta in quasi un secolo, sta prospettando di chiudere una fabbrica in Germania.
E persino le lussuose Mercedes e BMW hanno abbassato le stime sul 2024.
Tanto per cambiare, quando si tratta di eccellere in qualcosa di negativo, arriviamo noi Italiani — o meglio Italo-Francesi in questo caso.
Sì, perché nel giorno degli exploit Cinesi, Stellantis (alias: Fiat Chrysler Peugeot) ha a sua volta ridotto le stime sugli utili del 2024, oltre che sul free cash flow, cosa che sta facendo tremare gli azionisti all’ipotesi che possano venir tagliati i dividendi, e il titolo di Stellantis è ormai dimezzato rispetto al picco che aveva raggiunto a marzo.
Eh mala tempora currunt per una dei settori industriali più strategici per l’economia europea, schiantata dall’impossibilità di competere sull’auto elettrica con le rivali cinesi a bassissimo costo e dalle non sempre condivisibili imposizioni normative dell’Unione Europea.
Non entro nel merito, ma sapete bene quanto sia dibattuto e discutibile il divieto imposto dall’unione europea a partire dal 2035 di produrre auto alimentate da carburanti fossili.
Andiamo però dall’altra parte dell’Atlantico, che alla fine è il posto in cui più ci piace stare.
Va bene la Cina, va bene parlare delle tragicomiche vicende dell’economia europea, ma alla fine ci interessano a tutti quanti i pesi massimi, gli USA!
Ne abbiamo già parlato a profusione.
Il 18 settembre Jerome Powell ha tirato fuori il coniglio dal cilindro e sbam, 50 basis points di taglio dei tassi e il mercato ha accolto con caviale e Ruinart questa decisione, tanto che il mese di Settembre, tradizionalmente negativo per i mercati, è stato il più positivo dal 2017.
Vedete, non ci si annoia mai.
Seguire i mercati è incredibilmente avvincente: volenti o nolenti ve ne starete accorgendo, altrimenti non capisco che problemi avete ad ascoltarvi quasi 150 episodi di un podcast che parla quasi solo di questo.
Per me è come seguire una serie che prende il meglio di Breaking Bad, Lost e il Trono di Spade, ma con più morti, feriti e spargimenti di sangue.
Sperando chiaramente che il finale, o perlomeno il finale della nostra vita da investitori, non faccia cagare come il finale di Lost e del Trono di Spade che, al di là di ogni ragionevole dubbio, sono stati forse il modo più terrificante e demenziali di terminare delle saghe che di per sé erano state epiche e mi avevano incollato alla tv per anni.
Breaking Bad invece è forse l’unica serie che abbia visto in cui il finale di stagione è, per distanza, il più bell’episodio di tutte le 5 stagioni di una serie che è forse la più bella mai realizzata.
Così, cose mie di nessun interesse per chi mi ascolta, ma lo sapete che ogni tanto mi parte un pensiero per la tangente e devo andargli dietro.
Ma lasciamo le vicende di un professore di chimica sfigato malato di cancro che diventa il più importante produrre e spacciatore di metamfetamina e vediamo invece, come di consueto, l’altrettanto avvincente andamento a settembre degli gli indici principali dal punto di vista di un investitore europeo e poi proviamo a tirare qualche conclusione in vista dei mesi futuri.
Partiamo da sua onnipotenza l’S&P 500.
Lo danno per finito, scoppiato, sopravvalutato, gonfiato e drogato ad ogni piè sospinto ma lui, niente, continua da 15 anni la sua marcia trionfale che, ridendo e scherzando, lo sta avvicinando alla sua performance degli anni ’80 e ’90, il più grande bull market di tutti i tempi.
Il sempre eccellente Ben Carlson ha fatto notare come la corsa iniziata dalle ceneri della Great Financial Crisis nel marzo 2009 abbia generato sino ad oggi una crescita per l’S&P del 17% all’anno, contro il quasi 20% all’anno di media del periodo 1982-1999.
17% all’anno è grossomodo quel che ha fatto l’S&P dal 1982 al 1995 e poi la media è salita grazie allo straordinario periodo, che spesso citiamo, che ha preceduto la dot-com bubble, ossia 1995-1999, quando per 5 anni l’indice è cresciuto di quasi il 30% all’anno.
Magari resta un pour parler quel che sto per dire, però in effetti Ben Carlson non ha tutti i torti a vederci un certo parallelismo.
Esattamente come allora, quel bull run è stato inframezzato da un crollo epocale. Allora, nel 1987, il mercato perse il 34% in una settimana. Ai giorni nostri, invece, durante gli allegri mesi del Covid il mercato americano perse il 34% in circa un mese, tra marzo e aprile del 2020.
Come allora, un momento di svolta primo taglio dei tassi della Fed nel 1995, dopo che nel 94 erano stati alzati per contrastare una risalita dell’inflazione.
Come allora, forse, il taglio dei tassi permise all’economia di realizzare un soft landing, ossia fermare la crescita dell’inflazione senza andare in recessione.
Sai mai che anche a sto giro va così.
Certo, sappiamo tutti come è finita: dot-com bubble nel 2000 e 14 anni prima che l’S&P tornasse sui massimi.
Ad un certo punto, tutto finisce e anche la roboante crescita di un mercato che sembra non avere più ostacoli, deve infrangersi contro l’ineluttabile realtà dei principi di gravità finanziaria e di regressione verso la media.
Del resto disse il leggendario investitore Sir John Templeton: “le quattro parole più pericolose per chi investe sono: QUESTA VOLTA E’ DIVERSO”.
Lo stesso Templeton però disse anche: “c’è un 20% di situazioni in cui le cose sono effettivamente diverse”.
Chissà se ci troveremo nel quinto più fortunato o se la storia si ripeterà come l’eterno ritorno dell’uguale di Friedrich Nietzsche che tutti abbiamo studiato al liceo ma nessuno ha mai capito un cazzo di cosa volesse dire.
Vedremo.
Forse, in un momento di poca lucidità potrei dire che per vivere l’emozione di 5 anni in cui il mercato fa in media più 30% all’anno, un decennio perduto sono disposto a prendermelo.
Tornando al presente, nel mese di settembre l’S&P, in euro, è cresciuto di circa l’1%, mentre in dollari il suo total return del mese è stato di oltre il 4%.
Questo porta il risultato totale da inizio anno per noi eurosfigati ad un commovente +20,10%, che invece fa quasi +23% per quelli che nel portafogli hanno banconote verdi.
Di solito non parlo mai della differenza tra il rendimento di un ETF sull’S&P in euro e sul reale ritorno in dollari, perché sticazzi, noi qua siamo e sempre in euro possiamo investire.
Però val la pena far notare l’effetto macroscopito che in alcune situazioni può avere il cambio tra Euro e Dollaro.
Con la svolta espansiva della politica monetaria della Fed, come è naturale che sia il dollaro si è indebolito rispetto all’euro e questo ha avuto un impatto negativo per un investitore in euro con sottostanti in dollari.
Oddio “negativo” tra virgolette.
In realtà la questione è sempre simmetrica.
Se sei in una fase di accumulo, in realtà il fatto che con gli stessi euro puoi comprare più roba in dollari è positivo.
È negativo solo quanto al valore nominale.
Poi come sappiamo, nel lungo termine il rapporto tra due valute forti come dollaro ed euro tende ad essere ciclico.
Nei prossimi 10 anni più o meno chiunque sconta un dollaro che si indebolisce al ritmo di circa 1-1,5% all’anno rispetto all’euro, ma anche qui stiamo parlando di aria fritta perché prevedere il comportamento di una coppia di valute è ancora più complicato che indovinare l’andamento dei mercati azionari.
Già che siamo negli Stati Uniti, Nasdaq 100.
Quest’anno il muscoloso indice delle super realtà tech (che poi non è solo tech, dato che esclude solo i titoli finanziari) non è così esuberante come lo scorso anno e da un po’ di mesi sta un po’ scontando quella che alcuni, forse un po’ frettolosamente, già da luglio avevano cominciato a chiamare Great Rotation, ossia una rotazione dei portafogli istituzionali verso società più sottovalutate nei settori difensivi, come i consumi ciclici, le utilities ma in realtà anche nel real estate, che è tipicamente un settore che può beneficiare di un contesto a tassi più bassi.
A settembre però ha ripreso smalto, +1,72% in euro, quasi +6% in dollari e da inizio anno siamo a +18,2% in euro e +21,25 nella pregiata valuta a stelle strisce.
Passiamo ai mercati sviluppati, che come prevedibile si muovono piuttosto in tandem con il loro socio di maggioranza americano.
MSCI World a settembre è cresciuto di circa 1%, per un totale di 17,5% da inizio anno.
Anche qui sarebbe un po’ di più in dollari, però l’effetto è inferiore perché un 30% dell’indice non è prezzato in dollari ma in Euro, Sterline, Franchi e via dicendo.
Andiamo in Europa.
L’indice paneuropeo, lo Stoxx 600, è stato poco più che flat a settembre, +0,25% e quindi siamo poco sopra al 12,5% da inizio anno.
Meglio ha fatto l’indice delle blue chip dell’area euro.
L’eurostoxx 50 ha segnato un +1,1%, aggiornando il suo risultato da inizio anno a quasi +14%.
Il nostro FTSE MIB invece, che comunque è sugli scudi da dopo il Covid, a Settembre ha un po’ arretrato, certamente penalizzato dal -16 e fischia percento di Stellantis.
Nel frattempo ci sarebbe tutta una storia da raccontare sul fatto che Unicredit stia cercando di comprarsi Commerzbank, la seconda più grande banca tedesca.
Berlino ha più o meno imposto un veto su questa cosa, non trovando tollerabile che la banca italiana si possa appropriare del suo disgraziato istituto di credito, suscitando lo sconcerto soprattutto dall’altro lato dell’Atlantico, dove tutti ci guardano esterrefatti perché evidentemente noi europei non capiamo che abbiamo delle banchette ridicole in confronto ai colossi globali e che delle fusioni sarebbero necessarie per creare dei forti player europei per poter competere su scala internazioale.
Torneremo a parlarne quando sarà successo davvero qualcosa.
Andiamo dall’altra parte del mondo, là dove sorge il sole e dove di solito cominciano i casini.
Dopo averci regalato un’estate memorabile, con quell’indimenticabile mattina del 5 agosto in cui Nikkei è tracollato di quasi il 13%, anche a settembre non è mancato un boato proveniente dalla terra dei samurai.
Nel giorno in cui la Cina giocava il jolly, le elezioni politiche giapponesi hanno visto vincere — va beh il nome potrei dirvelo ma tanto tra un secondo ve lo dimentichereste — cmq ha vinto sto tizio che si sa che ha una visione “hawkish”, ossia “da falco” su tematiche di politica monetaria.
Come sapete Falco vuol dire che tenderà ad alzare i tassi di interesse invece che abbassarli.
Lo yen, l’avete toccato con mano ad Agosto, è una moneta importante negli equilibri globali.
Quando lo yen si rafforza, succedono cose.
Intanto le azioni giapponesi soffrono, perché essendo grandi esportatori ovviamente vedono i loro utili contrarsi se la valuta locale di apprezza verso dollaro e euro.
È chiara sta cosa?
Come regola generale: i paesi la cui economia dipende fortemente dall’esportazione di prodotti vogliono che la propria valuta sia debole, entro certi limiti.
In questo modo possono vendere agli stessi prezzi di prima, ma il loro utile, denominano nella propria valuta, sarà più alto.
Se Apple vende gli iPhone in Italia a 1.000 €, il fatturato reale di Apple sarà 1.100 dollari se il cambio euro dollaro è 1,10, mentre sarà di 1.200 dollari se il cambio diventa 1,20.
Quindi, come regola generale, chi esporta, preferisce una moneta debole.
Moneta locale forte UGUALE le azioni perdono valore perché sconteranno utili futuri inferiori.
E infatti un bel -5% il 30 settembre giusto per chiudere il trimestre più pazzo degli ultimi 5 anni con i fuochi d’artificio.
Gli altri due temi rilevanti su scala internazionale sono un po’ più tecnici.
Uno riguarda la pratica del carry-trade, che abbiamo già spiegato ad Agosto.
Molti investitori guadagnano prendendo in prestito una valuta debole per investire in una valuta forte, traendo profitto dalla differenza di tassi di interesse.
Se però lo yen si rafforza, le posizioni in carry trade possono andare in perdita.
Ad agosto è successo un macello con questa roba, molte posizioni ormai sono state liquidate, ma non tutto.
L’altra questione riguarda il debito americano.
Il Giappone è il più grande foreign holder, cioè lo stato estero che ha in tasca più titoli di stato americani.
È naturale, il decennale giapponese rende 0,8% mentre il Treasury 3,7.
Se però salgono i tassi giapponesi, sale il rendimento dei titoli domestici, e poche cose piacciono ad un giapponese più del ramen, dei manga e dei propri titoli di Stato, tanto che come noto il Giappone detiene il più alto debito pubblico del mondo in rapporto al pil, 263%.
Se quindi lo yen si apprezza troppo potrebbe diventare un problema perché teoricamente il rischio è un sell-off, una svendita di titoli americani per comprarsi i titoli di casa propria, quindi il rendimento dei treasury salirebbe e quando quello aumenta l’economia e i mercati americani non la prendono mai troppo bene, dato che comunque neanche il bilancio americano scherza e oggi il governo di Washington paga la bellezza di, udite udite, 3 miliardi di dollari al giorno di soli interessi sui treasury, cioè sulle obbligazioni governative che ci sono in giro.
L’ultima cosa che vuole è che gli vengano a mancare quei 1000 miliardi di dollari in mano ai giapponesi e doverne emettere altrettanti ad interessi più alti.
E anche il Giappone ce lo siamo levati.
Mercati Emergenti!
Di solito questi non ce li filiamo mai più di tanto, ma come si fa a questo giro a non apprezzare il +5% che ha fatto l’MSCI Emerging Markets, in euro, nel mese di settembre.
Oh, zitto zitto, quatto quatto, l’MSCI Emerging ha fatto quasi il +15% da inizio anno, meglio degli indici europei.
Chiaramente il grosso qua viene dal contributo del mercato Cinese, esploso nell’ultima settimana.
Tra l’altro sto exploit l’hanno fatto capitare a fine settembre, così poi fino al 4 ottobre i mercati cinesi sono chiusi e per una settimana si godono la bonanza, sperando nel frattempo che i cinesi si convincano di essere tornati benestanti, spendano, alimentino la domanda interna e tutto si rianimi.
Altrimenti aspettiamoci l’ennesimo fuoco di paglia.
Sugli emergenti stanno scommettendo in tanti.
Sia sull’equity che sulle obbligazioni.
Sulla parte azionaria, le bassissime valutazioni soprattutto in Cina sono alla base della stima della maggior parte di banche e gestori vari secondo la quale le performance più interessanti nei prossimi anni saranno qui, a discapito di Stati Uniti e altri mercati sviluppati.
Sulla parte credito, invece, cioè obbligazioni, potrebbe esserci un supporto forte dall’indebolimento del dollaro, in cui è prezzata buona parte delle emissioni di titoli di stato nei paesi emergenti.
Ovviamente nessuno ha la benché minima idea se ciò si materializzerà davvero oppure no, ma tant’è, questo è il base scenario un po’ per tutti.
S&P 500 al palo, tra il 3 e il 5% all’anno.
Europa e Giappone un po’ meglio, 5-7%.
Emergenti in crescita tra il 7 e il 9% all’anno.
Lato bond, anche qui c’è un’aspettativa intorno al 5-6% di rendimento sulle obbligazioni di quei mercati.
A proposito di bond, passiamo alla parte obbligazionaria.
Tra l’altro mi fate spaccare perché come vi mandano in sbattimento le obbligazioni niente.
Mi toccherà fare un ALTRO episodio di recap sulle obbligazioni e soprattutto sugli ETF obbligazionari.
Poi adesso che hanno tagliato i tassi sia in US che in Europa, poi ogni giorno c’è qualche dato sull’inflazione che muove tutto, insomma, vi vedo davvero in difficoltà.
Non tutti eh, però 10 messaggi al giorno sugli ETF obbligazionari ormai non me li toglie nessuno.
Breve bigino sugli ETF obbligazionari:
1) il rendimento dell’etf dipende dalla somma tra gli interessi pagati dalle cedole sottostanti e la variazione del prezzo dell’etf che sconta l’andamento futuro dei tassi d’interesse. Quando comprate un ETF, comprate un tot di obbligazioni che hanno quelle cedole. Il prezzo invece fluttua. Aumenta se i tassi futuri sono attesi in diminuzione; scende se invece ci si aspetta tassi futuri in aumento.
2) non tutte le scadenze si comportano allo stesso modo. Le scadenze brevi seguono più fedelmente i tassi d’interesse vigenti e la prospettiva ad un paio d’anni sul loro andamento, mentre le scadenze più lunghe sono più legate a scenari futuri. Quando la curva dei rendimenti è dritta, le due cose vanno più o meno insieme. Quando la curva è invertita, come è oggi, cioè le scadenze brevi rendono più di quelle lunghe, allora può essere che le obbligazioni a scadenza breve si apprezzino mentre contemporaneamente quelle lunghe no, o addirittura scendano di prezzo, qualora ci sia un timore di una futura recrudescenza dell’inflazione se oggi i tassi vengono abbassati troppo.
Ok?
Ma detto questo.
Non fate i gestori.
Non è che ogni trimestre dovete spiegare al vostro capo e ai vostri clienti come il profit and loss del portafoglio.
Con gli ETF volete avere un’esposizione alla parte obbligazionaria fondamentalmente per due motivi:
– Per avere un rendimento, inferiore all’azionario, ma relativamente prevedibile e
– Per avere un contrappeso in caso una forte recessione devasti il vostro portafoglio azionario per un po’ di tempo.
Non fatevi troppe menate.
Se volete divertirvi andate a scegliervi tutte le scadenze che volete, altrimenti esistono ETF che hanno già dentro un mix di tutte le scadenze, che in media fa un’esposizione ad obbligazioni a scadenza intermedia e buona notte al secchio come si suol dire, okie?
Anche in questo caso, conta più la vostra asset allocation e l’esposizione che volete avere.
La ponderazione chirurgica delle singole scadenze o peggio ancora dei singoli emittenti non è così importante.
Certo, qualcuno di voi mi ha chiesto cosa ne penso di un micro etf sui bond australiani.
E cosa vuoi che ne pensi?
Se ci tieni, chi sono per dirti di no?
Detto questo… boh, vedi un po’ tu se è il caso di complicarsi la vita.
Veniamo ai numeri dai.
Euro Aggregate Treasury, quindi obbligazioni governative intermedie: +1,3% a settembre e +1,95% sull’anno.
Euro Aggregate Treasury oltre i 15 anni invece, circa +1,5% a settembre e praticamente in pari da inizio anno, ma attenzione perché ne parleremo nel prossimo recap.
Il 1° ottobre sono usciti dati particolarmente positivi sull’inflazione in Europa e l’indice è andato su di quasi il 2% in un solo giorno.
Se non vi è chiaro il motivo, riavvolgete il nastro a circa 3-4 minuti fa.
Il mitico Treasury a 10 anni americano invece ha un po’ ballato su e giù questo mese, con il rendimento che complessivamente è sceso da 3,83% a circa 3,78%.
Un ETF europeo sui Treasury intermedi avrebbe guadagnato circa lo 0,74% a settembre e sarebbe in positivo del 3,34% nell’intero 2024.
Chiudiamo infine come sempre con l’oro.
Anche qui, non so più che dire perché la cavalcata dell’oro non si ferma più e anche a Settembre ha sfondato nuovi record abbattendo la soglia dei 2.700 $ l’oncia.
In euro, l’oro è cresciuto a settembre del 4%, mentre da inizio anno siamo addirittura a +26%.
Nessun indice azionario, perlomeno tra quelli più grandi, gli si avvicina.
In molti mi state chiedendo: ma cosa faccio? Compro oro? È troppo alto? Aspetto? Compro perché andrà su ancora per via di tensioni geopolitiche bla bla bla?
Ragà, non lo so.
L’oro, come sapete, non ha nessuna logica.
Teoricamente sale quando sale l’inflazione, ma a volte sale pure quando l’inflazione scende perché con essa scendono i tassi reali.
E a volte sale perché è un asset rifugio e in tempi di incertezza molti lo accumulano.
Come vi avevo raccontato nell’episodio 133, però, l’oro ha un comportamento schizofrenico.
Può fare anche più del 100% in un solo anno, come nel 1979, oppure avere un rendimento negativo per un ventennio come negli anni 80 e 90.
Dal 2000 ad oggi, per quanto strano possa sembrare, l’oro ha reso più dell’S&P 500.
8,90% vs 7,7%.
Se invece allargo di soli 6 anni e parto dal 94, S&P batte oro 10,6% contro 6%.
Vedete, bastano pochi anni di differenza e cambia tutto.
Fare le medie con l’oro ha poco senso perché ha una volatilità altissima rispetto al rendimento medio storico che porta.
Detto questo, vale un po’ sempre la solita risposta.
Se ha senso per la vostra pianificazione e per l’impostazione del portafoglio a lungo termine ha sempre senso.
Se volete comprarlo per salire sul carro finché ce n’è, magari vi va bene, magari per i prossimi 20 anni si svaluta e basta.
Bene.
E con questo abbiamo chiuso anche la carrellata di questo mese.
Dove siamo oggi.
Sull’azionario e sull’oro praticamente ai massimi storici.
Sull’obbligazionario decisamente no e il ciclo espansivo delle banche centrali potrebbe sicuramente sostenere un rally dei bond.
In generale, però, come sempre non prenderei alcuna decisione sul “momento” in cui ci troviamo quanto casomai sull’adeguatezza del nostro portafoglio rispetto, da una parte, alla nostra pianificazione e dall’altra alla corretta gestione del rischio.
Come vi avevo già detto in passato — e poi giuro sto studio di Vanguard non lo cito più per almeno un mese — nei contesti a tassi alti e soprattutto in fasi espansive, il rendimento di bond e azioni si avvicina molto.
Se uno per qualche motivo vuole ridurre il livello di rischio del portafoglio, certamente le obbligazioni oggi offrono opportunità che nel 2021 erano inesistenti.
Per chi invece: “diamoci dentro e ci vediamo tra vent’anni”, stay the course, continua con il portafoglio che hai e concentra tutti i tuoi sforzi nella tua vita professionale per metterci dentro più soldi che puoi.
Così, raccomandazioni a caso generiche al punto giusto perché il prossimo episodio non lo debba registrare dalla stanza con vista su Viale Papiniano nella ridente residenza di San Vittore.
Care amiche e cari amici di The Bull, grazie per avermi dedicato ancora oggi il vostro tempo e per aver riposto nella mia voce la discutibile speranza di ottenere informazioni che meglio vi possano aiutare a gestire i vostri investimenti.
Continuiamo ad essere nella top 10 dei podcast più ascoltati di Spotify ormai da un bel pezzo e noi, Elisa, la Zanzara, Indagini e Gazzoli siamo praticamente i residenti fissi in questo 2024 e più o meno lo stesso su apple.
Se mi fate la gentilezza, chi non l’avesse ancora fatto, di mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate, sai mai che magari raggiungiamo la vetta almeno per un giorno entro la fine dell’anno.
Utile alla causa sarebbe anche mettere una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che dureranno più di Lost e di Game of Thrones messi insiemi e alla fine scoprirete che l’isola in realtà “bip” mentre invece deneris “bip” sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un bell’episodio dedicato ad un tema nuovo: il crowdfunding immobiliare con un grande ospite, sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Chi l’avrebbe mai detto che il recap del mese di Settembre, del mese in cui la Fed ha finalmente dato il via a quel che viene chiamato “pivot”, ossia lo scollinamento del percorso di salita dei tassi d’interesse da cui comincia la discesa, forse la notizia più clamorosa è stata il pazzesco exploit dei mercati Cinesi!
Certo, ci sarà da capire se l’effetto doping di una svolta nella politica sia monetaria che fiscale del cordiale Xi Jinping avrà le gambe lunghe o se si sarà trattato dell’ennesimo fuoco paglia, dell’ennesimo colpo di reni di un’economia però che non si sa bene fino a che punto riesca a far fronte ad una enorme crisi interna dettata in primis dal collasso del suo insostenibile settore immobiliare.
Come sapete bene, la Cina per due decenni ha pompato la sua crescita economica spingendo soprattutto sulla parte di offerta, ossia sullo stimolo alla produzione e alla costruzione.
Eh sono così, ai Cinesi piace costruire le cose, non c’è niente da fare.
A loro basta fabbricare e costruire e sono contenti.
Il problema è che da una parte c’è stato il ridimensionamento della globalizzazione, il ritorno del protezionismo negli Stati Uniti e in Europa e tutta una serie di motivazioni geopolitiche che gradualmente ridimensioneranno il ruolo della Cina come fabbrica del mondo.
Dall’altro, gli amici compagni del governo del popolo in questi anni si sono dimenticati che se i cinesi non c’hanno na lira, o meglio, uno Yuan, se oltre alla produzione non vengono sostenuti anche i consumi il meccanismo s’incricchia.
L’anno scorso poi è esploso quell’enorme bubbone chiamato Evergrande, un colosso immobiliare enorme che è fallito creando una voragine nel bilancio dello Stato ma soprattutto è stato l’emblema di un’economia che si era retta fino a quel punto costruendo immobili all’infinito, in cui molti Cinesi avevano messo tutti i propri soldi e che in molti casi nemmeno sono stati terminati. Ma ovviamente ai cittadini cinesi che avevano versato lauti acconti nessuno ha restituito più nulla.
Con il grosso del risparmio privato — oddio “privato”… privato in Cina è un concetto tutto sui generis… – cmq dicevo con il grosso del risparmio privato messo quasi esclusivamente in un mercato immobiliare in forte crisi, la domanda interna è letteralmente collassata negli ultimi anni — e con essa l’economia Cinese ha subito un brusco ridimensionamento rispetto alla sua ambizione di diventare la prima potenza mondiale.
Almeno per ora.
Comunque sia, un po’ a sorpresa a fine settembre c’è stato questo pacchetto di misure varato da Xi Jinping che comprende: taglio dei tassi d’interesse, riduzione della quantità di cash che le banche devono detenere nelle proprie riserve, così da stimolare maggiori prestiti, riduzione degli interessi sui mutui già in essere e riduzione dell’acconto da pagare per comprare seconde case.
Sembrerebbe inoltre che la Banca Centrale cinese avrebbe offerto l’equivalente di circa 70 miliardi di dollari a fondi, broker e assicurazioni per comprare azioni cinesi nel tentativo di rianimare il suo moribondo mercato azionario, oltre ad altri 40 miliardi per finanziare i buyback.
Come sapete tutti molto bene se ascoltate questo podcast, il buyback è quell’operazione per cui una società riacquista parte delle proprie azioni, artificiosamente aumenta l’utile per azione perché riduce il numero di azioni disponibili e più o meno meccanicamente ne alza la valutazione azionaria.
Questa roba è stata festeggiata dai mercati in una maniera pazzesca.
Lunedì 30 settembre ci siamo svegliati con lo Shanghai Composite Index, che è il principale indice nazionale cinese, rispetto all’Hang Seng di Hong Kong che invece è un indice più internazionale e meno rappresentativo dell’economia della repubblica popolare, dicevo la borsa Shanghai ha fatto +8% in un giorno solo, la miglior performance dai tempi del 2008.
Tanto per intenderci.
Da inizio anno al 13 settembre lo Shanghai Composite era sotto dell’8,5%.
Grazie a questa svolta nella politica economica, la performance da inizio anno è addirittura balzata a oltre il 12%.
Poi vediamo la prospettiva di un investitore europeo, ma certamente quest’ultima settimana ha impresso un forte slancio per chiunque avesse asset esposti sui mercati emergenti, di cui chiaramente la Cina fa la parte del leone — o del dragone, se preferite.
Ora, sicuramente sarà stato un caso, però questa svolta nella politica monetaria e fiscale cinese, è arrivata subito dopo che il WSJ ha pubblicato la notizia che un economista Cinese sarebbe sparito nel nulla dopo aver criticato tramite messaggi su WeChat la politica economica di Xi Jinping.
Ripeto sicuramente sarà una coincidenza, però anche tu amico mio: e mi critichi il più autoritario presidente della Repubblica Popolare dai tempi di quel panzerotto di Mao Zedong, su WeChat che è praticamente come andare a mettere i manifesti in piazza Tienanmen, poi non ti stupire che quello lo viene a sapere.
Oh da noi queste non succedono eh, sia chiaro.
Nessuno spia nessuno.
Oddio.
Non è che ci metterei proprio la mano sul fuoco.
Però nel dubbio, sai che c’è? Il povero economista cinese sicuramente non aveva questa possibilità… ah! ma solo se avesse potuto usare uno strumento per criptare il suo device, se solo avesse potuto proteggere la sua connessione da interferenze esterne, se solo avesse avuto un password manager che gli custodiva tutti i codici d’accesso a prova di Hacker.
Ma in Cina ste cose non te le fanno usare — chissà perché…
Qui da noi invece puoi usare NordVPN, che manco a farlo apposta è proprio lo sponsor dell’episodio di oggi e che ci teneva a far sapere che con NordVPN attivo sui tuoi device puoi criticare la strategia economica del tuo dittatore preferito senza evaporare come una granita a luglio qui a Milano.
E sempre senza farlo apposta, c’abbiamo il coupon all’indirizzo www.nordvpn.com/thebull con uno sconto che pure Xi Jinping quando l’ha visto avrebbe dichiarato “ammazza quanto è popolare questo prezzo, costa talmente poco che è proprio la VPN del popolo, così possiamo guardarci tutti Tale e quale show sui Raiplay che altrimenti in Cina non si vede”.
Poi però si è ricordato che non avrebbe più potuto controllare il suo miliardo e fischia di adorati cittadini di cui si prende amorevole cura facendosi i cazzi loro h24 e ha ritirato la dichiarazione.
Comunque dicevo: Sarà vera gloria o resterà un fuoco di paglia?
E che ne so…
Con la Cina non si sa mai.
Non si sa mai in generale, ma nei Paesi caratterizzati da un’informazione non esattamente supertrasparente e in cui il mercato dei capitali non è — diciamo — proprio libero libero, è sempre molto complicato capire se sia il Partito che sta cercando di sparare tutte le cartucce per sostenere un’economia svuotata dei suoi fondamentali o se effettivamente questo pacchetto di stimoli possa rianimare il più grande mercato del mondo.
E non è cosa da poco, perché la salute della Cina, volente o nolente, ci riguarda.
Chiedere in primis alla Germania.
Come avevamo già detto in passato la sua gloria degli ultimi anni si reggeva su un modello industriale molto semplice: comprare gas a basso costo dagli amici Russi e vendere auto e altri prodotti tendenzialmente di alta qualità tecnologica in Cina.
Non solo, però il mercato cinese, soprattutto per l’auto tedesca, è uno sbocco enorme.
Mettici poi che ora il gas non russo costa molto di più per i tedeschi e voilà la recessione in Germania è servita
L’auto però sta vivendo un periodo nero, dopo i fasti del post Covid.
Volkswagen, per la prima volta in quasi un secolo, sta prospettando di chiudere una fabbrica in Germania.
E persino le lussuose Mercedes e BMW hanno abbassato le stime sul 2024.
Tanto per cambiare, quando si tratta di eccellere in qualcosa di negativo, arriviamo noi Italiani — o meglio Italo-Francesi in questo caso.
Sì, perché nel giorno degli exploit Cinesi, Stellantis (alias: Fiat Chrysler Peugeot) ha a sua volta ridotto le stime sugli utili del 2024, oltre che sul free cash flow, cosa che sta facendo tremare gli azionisti all’ipotesi che possano venir tagliati i dividendi, e il titolo di Stellantis è ormai dimezzato rispetto al picco che aveva raggiunto a marzo.
Eh mala tempora currunt per una dei settori industriali più strategici per l’economia europea, schiantata dall’impossibilità di competere sull’auto elettrica con le rivali cinesi a bassissimo costo e dalle non sempre condivisibili imposizioni normative dell’Unione Europea.
Non entro nel merito, ma sapete bene quanto sia dibattuto e discutibile il divieto imposto dall’unione europea a partire dal 2035 di produrre auto alimentate da carburanti fossili.
Andiamo però dall’altra parte dell’Atlantico, che alla fine è il posto in cui più ci piace stare.
Va bene la Cina, va bene parlare delle tragicomiche vicende dell’economia europea, ma alla fine ci interessano a tutti quanti i pesi massimi, gli USA!
Ne abbiamo già parlato a profusione.
Il 18 settembre Jerome Powell ha tirato fuori il coniglio dal cilindro e sbam, 50 basis points di taglio dei tassi e il mercato ha accolto con caviale e Ruinart questa decisione, tanto che il mese di Settembre, tradizionalmente negativo per i mercati, è stato il più positivo dal 2017.
Vedete, non ci si annoia mai.
Seguire i mercati è incredibilmente avvincente: volenti o nolenti ve ne starete accorgendo, altrimenti non capisco che problemi avete ad ascoltarvi quasi 150 episodi di un podcast che parla quasi solo di questo.
Per me è come seguire una serie che prende il meglio di Breaking Bad, Lost e il Trono di Spade, ma con più morti, feriti e spargimenti di sangue.
Sperando chiaramente che il finale, o perlomeno il finale della nostra vita da investitori, non faccia cagare come il finale di Lost e del Trono di Spade che, al di là di ogni ragionevole dubbio, sono stati forse il modo più terrificante e demenziali di terminare delle saghe che di per sé erano state epiche e mi avevano incollato alla tv per anni.
Breaking Bad invece è forse l’unica serie che abbia visto in cui il finale di stagione è, per distanza, il più bell’episodio di tutte le 5 stagioni di una serie che è forse la più bella mai realizzata.
Così, cose mie di nessun interesse per chi mi ascolta, ma lo sapete che ogni tanto mi parte un pensiero per la tangente e devo andargli dietro.
Ma lasciamo le vicende di un professore di chimica sfigato malato di cancro che diventa il più importante produrre e spacciatore di metamfetamina e vediamo invece, come di consueto, l’altrettanto avvincente andamento a settembre degli gli indici principali dal punto di vista di un investitore europeo e poi proviamo a tirare qualche conclusione in vista dei mesi futuri.
Partiamo da sua onnipotenza l’S&P 500.
Lo danno per finito, scoppiato, sopravvalutato, gonfiato e drogato ad ogni piè sospinto ma lui, niente, continua da 15 anni la sua marcia trionfale che, ridendo e scherzando, lo sta avvicinando alla sua performance degli anni ’80 e ’90, il più grande bull market di tutti i tempi.
Il sempre eccellente Ben Carlson ha fatto notare come la corsa iniziata dalle ceneri della Great Financial Crisis nel marzo 2009 abbia generato sino ad oggi una crescita per l’S&P del 17% all’anno, contro il quasi 20% all’anno di media del periodo 1982-1999.
17% all’anno è grossomodo quel che ha fatto l’S&P dal 1982 al 1995 e poi la media è salita grazie allo straordinario periodo, che spesso citiamo, che ha preceduto la dot-com bubble, ossia 1995-1999, quando per 5 anni l’indice è cresciuto di quasi il 30% all’anno.
Magari resta un pour parler quel che sto per dire, però in effetti Ben Carlson non ha tutti i torti a vederci un certo parallelismo.
Esattamente come allora, quel bull run è stato inframezzato da un crollo epocale. Allora, nel 1987, il mercato perse il 34% in una settimana. Ai giorni nostri, invece, durante gli allegri mesi del Covid il mercato americano perse il 34% in circa un mese, tra marzo e aprile del 2020.
Come allora, un momento di svolta primo taglio dei tassi della Fed nel 1995, dopo che nel 94 erano stati alzati per contrastare una risalita dell’inflazione.
Come allora, forse, il taglio dei tassi permise all’economia di realizzare un soft landing, ossia fermare la crescita dell’inflazione senza andare in recessione.
Sai mai che anche a sto giro va così.
Certo, sappiamo tutti come è finita: dot-com bubble nel 2000 e 14 anni prima che l’S&P tornasse sui massimi.
Ad un certo punto, tutto finisce e anche la roboante crescita di un mercato che sembra non avere più ostacoli, deve infrangersi contro l’ineluttabile realtà dei principi di gravità finanziaria e di regressione verso la media.
Del resto disse il leggendario investitore Sir John Templeton: “le quattro parole più pericolose per chi investe sono: QUESTA VOLTA E’ DIVERSO”.
Lo stesso Templeton però disse anche: “c’è un 20% di situazioni in cui le cose sono effettivamente diverse”.
Chissà se ci troveremo nel quinto più fortunato o se la storia si ripeterà come l’eterno ritorno dell’uguale di Friedrich Nietzsche che tutti abbiamo studiato al liceo ma nessuno ha mai capito un cazzo di cosa volesse dire.
Vedremo.
Forse, in un momento di poca lucidità potrei dire che per vivere l’emozione di 5 anni in cui il mercato fa in media più 30% all’anno, un decennio perduto sono disposto a prendermelo.
Tornando al presente, nel mese di settembre l’S&P, in euro, è cresciuto di circa l’1%, mentre in dollari il suo total return del mese è stato di oltre il 4%.
Questo porta il risultato totale da inizio anno per noi eurosfigati ad un commovente +20,10%, che invece fa quasi +23% per quelli che nel portafogli hanno banconote verdi.
Di solito non parlo mai della differenza tra il rendimento di un ETF sull’S&P in euro e sul reale ritorno in dollari, perché sticazzi, noi qua siamo e sempre in euro possiamo investire.
Però val la pena far notare l’effetto macroscopito che in alcune situazioni può avere il cambio tra Euro e Dollaro.
Con la svolta espansiva della politica monetaria della Fed, come è naturale che sia il dollaro si è indebolito rispetto all’euro e questo ha avuto un impatto negativo per un investitore in euro con sottostanti in dollari.
Oddio “negativo” tra virgolette.
In realtà la questione è sempre simmetrica.
Se sei in una fase di accumulo, in realtà il fatto che con gli stessi euro puoi comprare più roba in dollari è positivo.
È negativo solo quanto al valore nominale.
Poi come sappiamo, nel lungo termine il rapporto tra due valute forti come dollaro ed euro tende ad essere ciclico.
Nei prossimi 10 anni più o meno chiunque sconta un dollaro che si indebolisce al ritmo di circa 1-1,5% all’anno rispetto all’euro, ma anche qui stiamo parlando di aria fritta perché prevedere il comportamento di una coppia di valute è ancora più complicato che indovinare l’andamento dei mercati azionari.
Già che siamo negli Stati Uniti, Nasdaq 100.
Quest’anno il muscoloso indice delle super realtà tech (che poi non è solo tech, dato che esclude solo i titoli finanziari) non è così esuberante come lo scorso anno e da un po’ di mesi sta un po’ scontando quella che alcuni, forse un po’ frettolosamente, già da luglio avevano cominciato a chiamare Great Rotation, ossia una rotazione dei portafogli istituzionali verso società più sottovalutate nei settori difensivi, come i consumi ciclici, le utilities ma in realtà anche nel real estate, che è tipicamente un settore che può beneficiare di un contesto a tassi più bassi.
A settembre però ha ripreso smalto, +1,72% in euro, quasi +6% in dollari e da inizio anno siamo a +18,2% in euro e +21,25 nella pregiata valuta a stelle strisce.
Passiamo ai mercati sviluppati, che come prevedibile si muovono piuttosto in tandem con il loro socio di maggioranza americano.
MSCI World a settembre è cresciuto di circa 1%, per un totale di 17,5% da inizio anno.
Anche qui sarebbe un po’ di più in dollari, però l’effetto è inferiore perché un 30% dell’indice non è prezzato in dollari ma in Euro, Sterline, Franchi e via dicendo.
Andiamo in Europa.
L’indice paneuropeo, lo Stoxx 600, è stato poco più che flat a settembre, +0,25% e quindi siamo poco sopra al 12,5% da inizio anno.
Meglio ha fatto l’indice delle blue chip dell’area euro.
L’eurostoxx 50 ha segnato un +1,1%, aggiornando il suo risultato da inizio anno a quasi +14%.
Il nostro FTSE MIB invece, che comunque è sugli scudi da dopo il Covid, a Settembre ha un po’ arretrato, certamente penalizzato dal -16 e fischia percento di Stellantis.
Nel frattempo ci sarebbe tutta una storia da raccontare sul fatto che Unicredit stia cercando di comprarsi Commerzbank, la seconda più grande banca tedesca.
Berlino ha più o meno imposto un veto su questa cosa, non trovando tollerabile che la banca italiana si possa appropriare del suo disgraziato istituto di credito, suscitando lo sconcerto soprattutto dall’altro lato dell’Atlantico, dove tutti ci guardano esterrefatti perché evidentemente noi europei non capiamo che abbiamo delle banchette ridicole in confronto ai colossi globali e che delle fusioni sarebbero necessarie per creare dei forti player europei per poter competere su scala internazioale.
Torneremo a parlarne quando sarà successo davvero qualcosa.
Andiamo dall’altra parte del mondo, là dove sorge il sole e dove di solito cominciano i casini.
Dopo averci regalato un’estate memorabile, con quell’indimenticabile mattina del 5 agosto in cui Nikkei è tracollato di quasi il 13%, anche a settembre non è mancato un boato proveniente dalla terra dei samurai.
Nel giorno in cui la Cina giocava il jolly, le elezioni politiche giapponesi hanno visto vincere — va beh il nome potrei dirvelo ma tanto tra un secondo ve lo dimentichereste — cmq ha vinto sto tizio che si sa che ha una visione “hawkish”, ossia “da falco” su tematiche di politica monetaria.
Come sapete Falco vuol dire che tenderà ad alzare i tassi di interesse invece che abbassarli.
Lo yen, l’avete toccato con mano ad Agosto, è una moneta importante negli equilibri globali.
Quando lo yen si rafforza, succedono cose.
Intanto le azioni giapponesi soffrono, perché essendo grandi esportatori ovviamente vedono i loro utili contrarsi se la valuta locale di apprezza verso dollaro e euro.
È chiara sta cosa?
Come regola generale: i paesi la cui economia dipende fortemente dall’esportazione di prodotti vogliono che la propria valuta sia debole, entro certi limiti.
In questo modo possono vendere agli stessi prezzi di prima, ma il loro utile, denominano nella propria valuta, sarà più alto.
Se Apple vende gli iPhone in Italia a 1.000 €, il fatturato reale di Apple sarà 1.100 dollari se il cambio euro dollaro è 1,10, mentre sarà di 1.200 dollari se il cambio diventa 1,20.
Quindi, come regola generale, chi esporta, preferisce una moneta debole.
Moneta locale forte UGUALE le azioni perdono valore perché sconteranno utili futuri inferiori.
E infatti un bel -5% il 30 settembre giusto per chiudere il trimestre più pazzo degli ultimi 5 anni con i fuochi d’artificio.
Gli altri due temi rilevanti su scala internazionale sono un po’ più tecnici.
Uno riguarda la pratica del carry-trade, che abbiamo già spiegato ad Agosto.
Molti investitori guadagnano prendendo in prestito una valuta debole per investire in una valuta forte, traendo profitto dalla differenza di tassi di interesse.
Se però lo yen si rafforza, le posizioni in carry trade possono andare in perdita.
Ad agosto è successo un macello con questa roba, molte posizioni ormai sono state liquidate, ma non tutto.
L’altra questione riguarda il debito americano.
Il Giappone è il più grande foreign holder, cioè lo stato estero che ha in tasca più titoli di stato americani.
È naturale, il decennale giapponese rende 0,8% mentre il Treasury 3,7.
Se però salgono i tassi giapponesi, sale il rendimento dei titoli domestici, e poche cose piacciono ad un giapponese più del ramen, dei manga e dei propri titoli di Stato, tanto che come noto il Giappone detiene il più alto debito pubblico del mondo in rapporto al pil, 263%.
Se quindi lo yen si apprezza troppo potrebbe diventare un problema perché teoricamente il rischio è un sell-off, una svendita di titoli americani per comprarsi i titoli di casa propria, quindi il rendimento dei treasury salirebbe e quando quello aumenta l’economia e i mercati americani non la prendono mai troppo bene, dato che comunque neanche il bilancio americano scherza e oggi il governo di Washington paga la bellezza di, udite udite, 3 miliardi di dollari al giorno di soli interessi sui treasury, cioè sulle obbligazioni governative che ci sono in giro.
L’ultima cosa che vuole è che gli vengano a mancare quei 1000 miliardi di dollari in mano ai giapponesi e doverne emettere altrettanti ad interessi più alti.
E anche il Giappone ce lo siamo levati.
Mercati Emergenti!
Di solito questi non ce li filiamo mai più di tanto, ma come si fa a questo giro a non apprezzare il +5% che ha fatto l’MSCI Emerging Markets, in euro, nel mese di settembre.
Oh, zitto zitto, quatto quatto, l’MSCI Emerging ha fatto quasi il +15% da inizio anno, meglio degli indici europei.
Chiaramente il grosso qua viene dal contributo del mercato Cinese, esploso nell’ultima settimana.
Tra l’altro sto exploit l’hanno fatto capitare a fine settembre, così poi fino al 4 ottobre i mercati cinesi sono chiusi e per una settimana si godono la bonanza, sperando nel frattempo che i cinesi si convincano di essere tornati benestanti, spendano, alimentino la domanda interna e tutto si rianimi.
Altrimenti aspettiamoci l’ennesimo fuoco di paglia.
Sugli emergenti stanno scommettendo in tanti.
Sia sull’equity che sulle obbligazioni.
Sulla parte azionaria, le bassissime valutazioni soprattutto in Cina sono alla base della stima della maggior parte di banche e gestori vari secondo la quale le performance più interessanti nei prossimi anni saranno qui, a discapito di Stati Uniti e altri mercati sviluppati.
Sulla parte credito, invece, cioè obbligazioni, potrebbe esserci un supporto forte dall’indebolimento del dollaro, in cui è prezzata buona parte delle emissioni di titoli di stato nei paesi emergenti.
Ovviamente nessuno ha la benché minima idea se ciò si materializzerà davvero oppure no, ma tant’è, questo è il base scenario un po’ per tutti.
S&P 500 al palo, tra il 3 e il 5% all’anno.
Europa e Giappone un po’ meglio, 5-7%.
Emergenti in crescita tra il 7 e il 9% all’anno.
Lato bond, anche qui c’è un’aspettativa intorno al 5-6% di rendimento sulle obbligazioni di quei mercati.
A proposito di bond, passiamo alla parte obbligazionaria.
Tra l’altro mi fate spaccare perché come vi mandano in sbattimento le obbligazioni niente.
Mi toccherà fare un ALTRO episodio di recap sulle obbligazioni e soprattutto sugli ETF obbligazionari.
Poi adesso che hanno tagliato i tassi sia in US che in Europa, poi ogni giorno c’è qualche dato sull’inflazione che muove tutto, insomma, vi vedo davvero in difficoltà.
Non tutti eh, però 10 messaggi al giorno sugli ETF obbligazionari ormai non me li toglie nessuno.
Breve bigino sugli ETF obbligazionari:
1) il rendimento dell’etf dipende dalla somma tra gli interessi pagati dalle cedole sottostanti e la variazione del prezzo dell’etf che sconta l’andamento futuro dei tassi d’interesse. Quando comprate un ETF, comprate un tot di obbligazioni che hanno quelle cedole. Il prezzo invece fluttua. Aumenta se i tassi futuri sono attesi in diminuzione; scende se invece ci si aspetta tassi futuri in aumento.
2) non tutte le scadenze si comportano allo stesso modo. Le scadenze brevi seguono più fedelmente i tassi d’interesse vigenti e la prospettiva ad un paio d’anni sul loro andamento, mentre le scadenze più lunghe sono più legate a scenari futuri. Quando la curva dei rendimenti è dritta, le due cose vanno più o meno insieme. Quando la curva è invertita, come è oggi, cioè le scadenze brevi rendono più di quelle lunghe, allora può essere che le obbligazioni a scadenza breve si apprezzino mentre contemporaneamente quelle lunghe no, o addirittura scendano di prezzo, qualora ci sia un timore di una futura recrudescenza dell’inflazione se oggi i tassi vengono abbassati troppo.
Ok?
Ma detto questo.
Non fate i gestori.
Non è che ogni trimestre dovete spiegare al vostro capo e ai vostri clienti come il profit and loss del portafoglio.
Con gli ETF volete avere un’esposizione alla parte obbligazionaria fondamentalmente per due motivi:
– Per avere un rendimento, inferiore all’azionario, ma relativamente prevedibile e
– Per avere un contrappeso in caso una forte recessione devasti il vostro portafoglio azionario per un po’ di tempo.
Non fatevi troppe menate.
Se volete divertirvi andate a scegliervi tutte le scadenze che volete, altrimenti esistono ETF che hanno già dentro un mix di tutte le scadenze, che in media fa un’esposizione ad obbligazioni a scadenza intermedia e buona notte al secchio come si suol dire, okie?
Anche in questo caso, conta più la vostra asset allocation e l’esposizione che volete avere.
La ponderazione chirurgica delle singole scadenze o peggio ancora dei singoli emittenti non è così importante.
Certo, qualcuno di voi mi ha chiesto cosa ne penso di un micro etf sui bond australiani.
E cosa vuoi che ne pensi?
Se ci tieni, chi sono per dirti di no?
Detto questo… boh, vedi un po’ tu se è il caso di complicarsi la vita.
Veniamo ai numeri dai.
Euro Aggregate Treasury, quindi obbligazioni governative intermedie: +1,3% a settembre e +1,95% sull’anno.
Euro Aggregate Treasury oltre i 15 anni invece, circa +1,5% a settembre e praticamente in pari da inizio anno, ma attenzione perché ne parleremo nel prossimo recap.
Il 1° ottobre sono usciti dati particolarmente positivi sull’inflazione in Europa e l’indice è andato su di quasi il 2% in un solo giorno.
Se non vi è chiaro il motivo, riavvolgete il nastro a circa 3-4 minuti fa.
Il mitico Treasury a 10 anni americano invece ha un po’ ballato su e giù questo mese, con il rendimento che complessivamente è sceso da 3,83% a circa 3,78%.
Un ETF europeo sui Treasury intermedi avrebbe guadagnato circa lo 0,74% a settembre e sarebbe in positivo del 3,34% nell’intero 2024.
Chiudiamo infine come sempre con l’oro.
Anche qui, non so più che dire perché la cavalcata dell’oro non si ferma più e anche a Settembre ha sfondato nuovi record abbattendo la soglia dei 2.700 $ l’oncia.
In euro, l’oro è cresciuto a settembre del 4%, mentre da inizio anno siamo addirittura a +26%.
Nessun indice azionario, perlomeno tra quelli più grandi, gli si avvicina.
In molti mi state chiedendo: ma cosa faccio? Compro oro? È troppo alto? Aspetto? Compro perché andrà su ancora per via di tensioni geopolitiche bla bla bla?
Ragà, non lo so.
L’oro, come sapete, non ha nessuna logica.
Teoricamente sale quando sale l’inflazione, ma a volte sale pure quando l’inflazione scende perché con essa scendono i tassi reali.
E a volte sale perché è un asset rifugio e in tempi di incertezza molti lo accumulano.
Come vi avevo raccontato nell’episodio 133, però, l’oro ha un comportamento schizofrenico.
Può fare anche più del 100% in un solo anno, come nel 1979, oppure avere un rendimento negativo per un ventennio come negli anni 80 e 90.
Dal 2000 ad oggi, per quanto strano possa sembrare, l’oro ha reso più dell’S&P 500.
8,90% vs 7,7%.
Se invece allargo di soli 6 anni e parto dal 94, S&P batte oro 10,6% contro 6%.
Vedete, bastano pochi anni di differenza e cambia tutto.
Fare le medie con l’oro ha poco senso perché ha una volatilità altissima rispetto al rendimento medio storico che porta.
Detto questo, vale un po’ sempre la solita risposta.
Se ha senso per la vostra pianificazione e per l’impostazione del portafoglio a lungo termine ha sempre senso.
Se volete comprarlo per salire sul carro finché ce n’è, magari vi va bene, magari per i prossimi 20 anni si svaluta e basta.
Bene.
E con questo abbiamo chiuso anche la carrellata di questo mese.
Dove siamo oggi.
Sull’azionario e sull’oro praticamente ai massimi storici.
Sull’obbligazionario decisamente no e il ciclo espansivo delle banche centrali potrebbe sicuramente sostenere un rally dei bond.
In generale, però, come sempre non prenderei alcuna decisione sul “momento” in cui ci troviamo quanto casomai sull’adeguatezza del nostro portafoglio rispetto, da una parte, alla nostra pianificazione e dall’altra alla corretta gestione del rischio.
Come vi avevo già detto in passato — e poi giuro sto studio di Vanguard non lo cito più per almeno un mese — nei contesti a tassi alti e soprattutto in fasi espansive, il rendimento di bond e azioni si avvicina molto.
Se uno per qualche motivo vuole ridurre il livello di rischio del portafoglio, certamente le obbligazioni oggi offrono opportunità che nel 2021 erano inesistenti.
Per chi invece: “diamoci dentro e ci vediamo tra vent’anni”, stay the course, continua con il portafoglio che hai e concentra tutti i tuoi sforzi nella tua vita professionale per metterci dentro più soldi che puoi.
Così, raccomandazioni a caso generiche al punto giusto perché il prossimo episodio non lo debba registrare dalla stanza con vista su Viale Papiniano nella ridente residenza di San Vittore.
Care amiche e cari amici di The Bull, grazie per avermi dedicato ancora oggi il vostro tempo e per aver riposto nella mia voce la discutibile speranza di ottenere informazioni che meglio vi possano aiutare a gestire i vostri investimenti.
Continuiamo ad essere nella top 10 dei podcast più ascoltati di Spotify ormai da un bel pezzo e noi, Elisa, la Zanzara, Indagini e Gazzoli siamo praticamente i residenti fissi in questo 2024 e più o meno lo stesso su apple.
Se mi fate la gentilezza, chi non l’avesse ancora fatto, di mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate, sai mai che magari raggiungiamo la vetta almeno per un giorno entro la fine dell’anno.
Utile alla causa sarebbe anche mettere una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che dureranno più di Lost e di Game of Thrones messi insiemi e alla fine scoprirete che l’isola in realtà “bip” mentre invece deneris “bip” sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un bell’episodio dedicato ad un tema nuovo: il crowdfunding immobiliare con un grande ospite, sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025