Il vero Portafoglio passivo

Il Global Market Portfolio è il portafoglio "passivo" per definizione che riproduce tutte le asset class investibili a livello globale, ponderate per la loro capitalizzazione di mercato. Nell'episodio di oggi parliamo della sua performance storica, della sua volatilità e delle sue caratteristiche in quanto "punto di partenza naturale per ogni investitore".

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148. Il vero Portafoglio passivo

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GMP: il vero benchmark passivo globale, non il 60/40, riflettendo l'allocazione media del capitale.

Composizione media GMP: Azioni (~50%), Obbligazioni (~43%), Real Estate (~5%), Commodities (~5%).

Offre un buon Sharpe Ratio, guida l'asset allocation, ma non il migliore in rendimento o volatilità.

Trascrizione Episodio

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Lo so cosa stai pensando, mio caro diffidente ascoltatore, che ti chiedi perché in un podcast che parla fondamentalmente di investimento passivo un episodio sul vero portafoglio passivo lo faccio solo dopo un anno e mezzo.

Le cose sono due, ti starai dicendo:

– O che sarà na stronzata delle sue e alla fine il titolo dell’episodio non corrisponde al contenuto;

– Oppure chissà da dove salta fuori sta roba del vero portafoglio passivo, proprio adesso che ti eri deciso ad investire dopo un anno di tentennamento e finalmente avevi trovato l’asset allocation che più si confaceva alla tua situazione.

Andiamo con ordine.

Non è una stronzata.

Oggi parleremo davvero del Portafoglio passivo per definizione, del benchmark ultimo che uno proprio dice “più passivo di così sono un cadavere”.

E voi direte, va beh, sarà il 60/40 no?

Ogni volta che facciamo un backtest o che comunque viene fatto qualche ragionamento, qui o nel 99% degli articoli che parlano di finanza, il portafoglio composto al 60% da S&P 500 e 40% US global aggregate bond — o la sua versione europea: Azionario globale + obbligazionario europeo o globale, ecco, sapete bene che quello fa di solito da benchmark di riferimento.

Il 60/40, come dire, dovrebbe essere la quintessenza della teoria moderna del portafoglio di Markowitz.

Vi ricordate come funziona no?

Si prende il rendimento storico delle asset class.

La loro volatilità storia.

E infine il livello di correlazione storica tra di esse.

Decidere il proprio rendimento atteso o il livello di rischio che si è disposti ad assumersi, mescolare tutto per bene, infornare ed ecco che il portafoglio collocato sulla frontiera efficiente è servito.

60/40 per decenni è stato considerato il portafoglio per definizione, che massimizzerebbe il rendimento atteso per unità di rischio.

In realtà sappiamo che non è proprio così.

O non sempre.

Cioè il 60/40 non è sempre il portafoglio con lo Sharpe ratio migliore.

Sharpe Ratio, ricordo per chi ha la memoria corta, UGUALE quanto rende un certo portafoglio rispetto al suo livello di rischio, che come sapete bene in finanza, giusto o sbagliato che sia, viene misurato come volatilità.

Si prende il rendimento nominale del portafoglio, gli si sottrae il rendimento risk-free, tipicamente quello dei Treasury Bills o in Europa quello dell’Euribor a tre mesi, e si divide per la deviazione standard del portafoglio, che è la misura tecnica della sua volatilità.

Più o meno.

Ora noi abbiamo sempre detto che sul lunghissimo termine, in teoria, un investimento 100% azionario è meglio di un qualunque portafoglio multiasset, perlomeno se parliamo di rendimento atteso.

Che però sia il migliore secondo la teoria di Markowitz e tutto quel che ne è venuto dopo in realtà non è del tutto corretto.

Se vogliamo parlare di risk-adjusted return, cioè di rendimento rapportato al rischio che mi assumo per ottenerlo, l’investimento al 100% in azioni raramente è quello con il miglior Sharpe Ratio, perché infatti comporta una considerevole dose di rischio.

La cosa ha senso se pensiamo a come siamo fatti a livello di incentivi psicologici nella nostra vita.

Magari noi non ce ne rendiamo conto ma, quando non siamo confusi dai nostri bias o condizionati da deformazioni della nostra razionalità, tipo al terzo negroni i bias prendono il sopravvento definitivo, ecco noi decidiamo spesso ragionando in termini di risk-adjusted return.

Ammettiamo che vado pazzo per gli hamburger.

Che tra l’altro non è un’ipotesi, ne vado pazzo davvero, anche se 9 su 10 di quelli che mangio in giro non sono fatti come dico io.

Chi avesse visto la celebre puntata di How I met your Mother in cui Marshall va fuori di testa perché chiude il posto in cui fanno il suo hamburger preferito e gira tutta new york per ritrovare l’hamburger perfetto, ecco, sono io.

Nota a margine e spoiler del finale dell’episodio e sticazzi: alla fine Marshall ritrova l’hamburger e quella scena è una parodia di Wolfgang, il film su Mozart in cui all’inizio Salieri descrive colmo di rassegnata invidia e ammirazione il genio del suo rivale, con la differenza che l’oboe citato da Salieri divenne una cipollina nel panino di Marshall.

Torniamo a noi.

Dicevo, se mi piacciono da morire gli hamburger ne vorrei mangiare il più possibile.

Però in economia c’è quel principio che si chiama utilità marginale decrescente.

Cioè se una cosa mi piace, la voglio tantissimo quando non ce l’ho, ma poi la voglio sempre meno man mano che ne ho in una certa quantità.

Il mio consumo di Hamburger, quindi, non mira solo alla soddisfazione del piacere gastronomico, ma a quel punto di equilibrio tale per cui inizierei a pensare che un ulteriore hamburger potrebbe farmi passare la notte a ingurgitare una bustina gaviscon dietro l’altra.

Quindi se in termini lineari potrei dire: più hamburger, meglio è.

In realtà, se non sono un ragazzino di 14 anni con la capacità metabolica di una centrale nucleare e il senso di responsabilità di un equilibrista senza rete, questa affermazione è vera e mi scofano quanti più hamburger riesco.

Da adulto, so che troppi fanno male, che fanno ingrassare, la carne rossa cotta sulla piastra non esattamente un toccasana per il nostro corpo, per non parlare di cheddar, bacon e quant’altro. Quindi sarò naturalmente portato a massimizzare il mio livello di soddisfazione (che fuor di metafora è il rendimento atteso) minimizzando il livello di rischio.

Cioè mangio il massimo numero di hamburger possibili rispetto al massimo rischio di non starci nel costume l’estate prossima che sono disposto a sopportare.

Chiaramente è tutta una roba soggettiva.

Magari per me quel numero è un Hamburger a settimana, per qualcun’altro è un hamburger al giorno e per qualcun altro ancora è un hamburger all’anno.

Lo Sharpe ratio va visto un po’ così: come il numero massimo di hamburger che voglio mangiarmi per soddisfare il mio desiderio diviso il massimo rischio che sono disposto a correre.

Se confrontiamo il 60/40 americano classico con l’S&P 500 negli ultimi 50 anni, il primo ha uno Sharpe ratio più alto: 0,52 contro 0,45.

Tradotto, per come sono impostati la teoria del portafoglio efficiente, il CAPM, l’idea di Fama dei mercati efficienti e tutto il resto, il maggior rendimento dell’azionario non sarebbe compensato in maniera proporzionale al maggiore rischio che mi devo accollare.

È come se mangiare quell’ulteriore hamburger mi provocasse potenzialmente più danni rispetto al piacere supplementare che mi darebbe.

Ma perché mi son messo a fare sta metafora alle 11:00 del mattino che adesso mi mangerei pure il microfono…

Per la cronaca, in termini di rendimento storico, il 60/40 fatto di S&P e Treasury intermedi, su cui ho più dati rispetto allo US aggregate bond, dal 1972 a oggi ha reso la bellezza di 9,41% in dollari, contro un 100% S&P 500 che avrebbe fatto 10,76%.

Tra l’altro, i rendimenti futuri non li sa nessuno. Ma mi sento sereno ad assicurarvi con totale certezza che 9,41% non lo vedremo mai nemmeno con il binocolo, soprattutto noi Europei.

Ah e per chiudere su questo confronto, sembra poco 1,35 punti percentuali di differenza, ma lungo 52 anni tanto basta perché 10.000 € diventino oltre 2 milioni e 100 mila dollari contro il milione e 150 mila scarso del 60/40.

1,35% guarda che differenza assurda fa.

Ora, dopo tutto sto pippone fatto di hamburger, sharpe ratio e sopravvalutate sitcom degli anni 2000, veniamo al dunque.

Il 60/40 è stato da sempre considerato un portafoglio benchmark, ma non è un vero benchmark.

Gli americani si sono innamorati di questa allocation perché dal 1981 al 2011, 30 anni tondi, investire in un relativamente bilanciato 60/40 avrebbe reso esattamente come investire 100% in azioni, senza tutto lo stress dell’azionario.

Anzi, anche investire 100% in Treasury a 10 anni avrebbe reso tanto quanto l’azionario americano.

Sembra sorprendente, ma ricordatevi che nel 1981 i Tassi della fed erano al 19% e da lì sono scesi quasi ininterrottamente fino al 2022, come tutti sapete bene.

Il 60/40 è stato quindi considerato il portafoglio delle meraviglie grazie a questo lunghissimo contesto storico di ampia decorrelazione tra azioni e obbligazioni e costante discesa dei tassi di interesse.

Durante quel trentennio era davvero il portafoglio più sensato del mondo in cui investire.

Anzi, come avevamo raccontato in passato, forse un 40/60 sarebbe stato ancora meglio sia in termini di risk-adjusted return che di rendimento assoluto.

Già dal 2011 in poi, con i tassi zero, il 40% di bond lasciava un po’ il tempo che trovava, ma con le big tech americane che crescevano del 20% all’anno, nessuno si è preoccupato più di tanto vedendo i portafogli andare su praticamente per un decennio ininterrotti.

Poi è arrivato il 2022, l’inflazione, la guerra in Ucraina e tutto il resto, rialzo dei tassi, azioni e obbligazioni giù in picchiata.

Oggi siamo nuovamente in una fase in cui i tassi sono moderatamente alti e, teoricamente, in una fase discendente — e questo dovrebbe essere un “tailwind”, un vento in poppa, per le obbligazioni.

Ma sappiamo anche che il portafoglio si può fare in tanti altri modi.

Nel modello di Markowitz, per esempio, l’oro non avrebbe avuto senso, avendo rendimenti inferiori all’azionario e una volatilità altissima.

Eppure, gente come Ray Dalio mostrò che oltre alla mean variance optimization, ossia l’ottimizzazione della varianza media, che la metodologia per costruire il portafoglio efficiente di Markowitz, si potevano usare altri approcci, come ad esempio quello basato su risk parity.

Il suo famoso portafoglio All Weather non avrebbe senso dal punto di vista del modello classico.

Però per lunghi periodi di tempo ha funzionato, sottopesando le azioni, sovrappesando i bond lunghi e inserendo oro e materie prime.

Insomma il 60/40 non è IL portafoglio di riferimento.

È un portafoglio di riferimento piuttosto comune, ma non è in alcun modo il benchmark oggettivo, perlomeno nella misura in cui il benchmark dovrebbe riflettere la media di come sono allocati i capitali globalmente sui mercati finanziari.

Cos’è è che ho appena detto?

A volte mi segno le cose da dire, le leggo e poi sono il primo che non capisce cosa ha letto.

Allora semplifichiamo.

Nel 2014 esce un paper scritto da tre tizi credo olandesi dai nomi un po’ strani, Doeswijk, Lam and Swinkels, cioè Lam e Swinkels sono abbastanza sicuro che si pronuncino così, Doeswijk non lo so.

Se fosse stato un calciatore dell’Ajax degli anni ’90 avrei saputo di per certo come pronunciarlo.

Autori di paper accademici, invece, mmhhh, sono meno preparato.

Ora, non sono certo che loro siano stati i primi a parlare di questa cosa, anzi probabilmente no.

Però sono stati i primi a mettersi farsi questo sbattimento colossale di fare tutti i conti.

Dicevo nel 2014 esce questo paper dal titolo The Global Multi-Asset Portfolio, in cui i tre calcolano rendimenti, volatilità, drawdown e altre cose di quello che dovrebbe essere considerato il portafoglio passivo per antonomasia, ossia il portafoglio che riflette come “in media” un dollaro viene allocato sulle 5 principali asset class quotate sui mercati, ossia: azioni, obbligazioni governative, obbligazioni societarie, real estate e commodities.

È come dire lo screenshot, in ogni momento, di come in media viene investito il capitale su queste 5 asset class principali.

Questo è, mettiamola così, il benchmark dei benchmark, o come viene scritto nel paper “il naturale punto di partenza di qualunque investitore”.

Ne parliamo oggi per tre motivi:

– Il primo è che se ne avessi parlato all’episodio 5, nessuno avrebbe capito una cippa. Sarebbero servite mille premesse che oggi possiamo dare per scontato. In realtà non è la prima volta che ne parlo, l’avevo citato anche nell’episodio 115 sulla sofferenza della diversificazione, ma oggi lo spacchettiamo per bene.

– Il secondo motivo è che a settembre i 3 amici hanno pubblicato un update dello studio, quindi molto meglio parlare ora di una cosa su cui abbiamo i dati fino alla fine del 2022, rispetto al paper del 2014 che aveva i dati sino al 2012.

– Il terzo motivo è che questo portafoglio — udite udite — è l’unica raccomandazione di investimento che posso dare senza che sia una raccomandazione di investimento, dato che oggettivamente questo sarebbe il vero portafoglio passivo per definizione, quindi scevro, in teoria, da qualunque decisione decisione soggettiva.

Cioè in confronto il FTSE All World o l’MSCI All Country sono indici viziati da una serie di decisioni soggettive.

Il Global Market Portfolio invece è la media delle medie degli investimenti globali.

Dopo questa lunghissima premessa, vediamo come è fatto, come è andato negli anni, cosa comporta e come provare a ricrearne una versione Europea per chi ci si volesse cimentare.

Nella versione del 2014, in realtà, le asset class considerate non includevano le commodities, mentre in quella del 2024 sì.

Prenderemo quella attuale come riferimento, specificando che dentro le commodities il peso largamente maggioritario c’è l’ha l’oro e che c’è pure una piccola componente di criptovalute.

Ora, rispetto al 60/40 che gode di molta popolarità anche perché resta sempre 60% azioni e 40% obbligazioni, il global market portfolio fluttua, quindi la sua allocation di un dato anno non è la stessa di un altro, perché segue la capitalizzazione delle varie asset class.

E questo perché questo portafoglio non è un vero portafoglio, è piuttosto un’idea teorica che può valere da base di rif

Per fare un esempio su tutti: al picco pre dot-com bubble di inizio 2000 il portafoglio globale aveva oltre il 60% di azioni, mentre nel marzo del 2009, al fondo della grande crisi finanziaria, la quota di azioni era scesa ben sotto il 40%.

Oggi prendo i dati del paper del 2024, che arriva sino alla fine del 2022 e considera i valori medi storici.

Se invece devo prendere i dati aggiornati al momento in cui stiamo parlando, dove “aggiornati” significa ponderando ad oggi la quota di ciascuna asset class all’interno dell’universo investibile, probabilmente la quota azionaria sarebbe più alta.

Non dico vicina a quella del 2000 ma in quella direzione.

Bando alle ciance, che è un quarto d’oro che vi tengo sulle spine e non vi ho ancora detto come è fatto, IN MEDIA, il portafoglio dei portafogli.

– Azioni: circa 50% (e come dicevo probabilmente oggi siamo più verso 55%). Ah una cosa. Tecnicamente nella quota “azioni” rientrano sia le azioni listate in borsa che il private equity, quindi azioni di società private. La proporzione è circa 85% azioni quotate e 15% private, per semplicità assumiamo che siano solo società quotate.

– Obbligazioni governative globali: circa 28%.

– Obbligazioni societarie: circa 15%, di cui grosso modo c’è un 1% di high-yield e un 1,5% di obbligazioni indicizzate all’inflazione.

– Real Estate: 4,5%

– E infine commodities: 2,5% e anche qui possiamo semplificare e dire che si tratta solo di oro.

Signore e signori, questo è il global market portfolio.

Il benchmark di riferimento assoluto del mercato.

Se un investitore crede fortemente nella teoria dei mercati efficienti, nel Capital Asset Pricing Model, nel fatto che il mercato non si batte, in teoria il portafoglio con il miglior rapporto tra rischio e rendimento è questo qua.

Lo è davvero?

Dipende.

Non proprio e non sempre.

I mercati sono fondamentalmente efficienti, ma non perfettamente efficienti.

Attenzione: miglior rapport tra rischio e rendimento! Non miglior rendimento.

Ricordatevi il discorso degli hamburger.

Il massimo numero di hamburger che potete mangiare per soddisfare i vostri desideri PRIMA che l’ulteriore hamburger vi faccia tirar su l’anima alle 3 di notte.

Come note le 3 di notte è chiamato l’ora del diavolo perché sarebbe in quella in cui in media capiterebbero più casi di fantomatiche apparizioni.

Senza nulla togliere al forte significato simbolico del numero tre nella tradizione greco-latino-cristiana, molto più probabilmente le tre di notte sono quell’orario in cui mediamente convergono la fine del processo digestivo se abbiamo finito di mangiare roba pesante alle 8-9 di sera e il picco di melatonina nel nostro corpo.

Torniamo al Global Portfolio e parliamo delle 3 cose più succose, ossia:

– Performance storica;

– Volatilità e

– Drawdown, cioè quanto va giù quando va giù.

Nel paper il rendimento non viene espresso in termini nominali, ma si usa il concetto di excess return, cioè di rendimento in eccesso rispetto a quello risk-free.

Per i conti in dollari usano il treasury bill a 3 mesi, usano il Bund come proxy per l’euro e così via.

Inoltre il paper è figo perché si sono messi a fare i conti mese per mese, non solo anno per anno.

Cioè figo però poi io mi sono dovuto rimettere a fare tutti i conti per annualizzare, va beh.

Dunque, il rendimento in eccesso medio mensile composto storico del Global market portfolio è di 0,3%, con lo 0,41% delle azioni e lo 0,18% dei bond governativi.

Traduciamo in termini annualizzati.

0,3% al mese in anno fa in media 3,7%.

3,7% è l’excess return, quindi il rendimento oltre il cash.

Il rendimento medio storico dei Treasury bills negli ultimi 50 anni è stato in media di poco oltre il 4%, però bisogna ricordare che tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni ’80 abbiamo avuto tassi di interesse a doppia cifra e il rendimento del cash ne è una diretta conseguenza.

Per semplicità diciamo che i t-bills in media rendono il 3-3,5%, che in effetti è quel che è stato negli ultimi 40 anni e così abbiamo il rendimento medio annuo composto nominale del portafoglio dei portafogli.

3,7 + 3-3,5 fa tra il 6,7 e il 7,2% all’anno.

Gira che ti rigira, alla fine si casa sempre da quelle parti.

Per confronto, le azioni globali hanno reso in media 0,41% al mese (oltre al cash naturalmente), che fa 5% all’anno Più 3-3,5% dei treasury bills TOTALE 8-8,5% all’anno, che in effetti è perfettamente coerente con quel che sappiamo già, ossia che un indice come l’MSCI All Country ha reso tra l’8 e l’8,5% negli ultimi 40 anni.

Bond governativi?

0,18% al mese, che fa 2,2% all’anno + il cash UGUALE dal 5,2 al 5,7% all’anno come rendimento medio composto complessivo.

Ci sta.

I titoli di Stato Americani a scadenza intermedia hanno reso in media il 6% all’anno, quelli europei e giapponesi sicuramente qualcosa in meno, 5,2-5,7% è un buon benchmark per i bond, perlomeno per uno che investe in dollari.

Poi alla fine spiego quest’ultima precisazione.

Ora, io ho un po’ semplificato e preso il rendimento medio composto mensile e l’ho annualizzato, facendo intendere che questo sia il rendimento medio annuo atteso per questo portafoglio.

Attenzione però che i rendimenti finanziari delle asset class più ballerine, come azioni, real estate, bond high yield eccetera non sono normalmente distribuiti, cioè non seguono la classica forma a campana perfettamente simmetrica della curva di Gauss.

Ogni tanto ne parliamo.

Senza entrare troppo nel tecnico.

Quanto ci sono una serie di dati statistici è utile guardare se i valori medi coincidono con i valori mediani, oppure se la media è inferiore alla mediana (e in questo caso si parla di negative skewness, di asimmetria negativa) o al contrario se la mediana è inferiore alla media (positive skewness, asimmetria positiva).

Facciamo un esempio.

Se prendiamo l’altezza di tutti i maschi Italiani tra 20 e 40 anni probabilmente il valore medio e quello mediano saranno molto simili.

Che ne so, saranno tutti e due più o meno intorno al metro e settantacinque suppongo.

In questo caso probabilmente la distribuzione delle altezze dei 20 milioni di Italiani maschi di quell’età seguirà la curva a campana abbastanza simmetrica.

Se andiamo a guardare i patrimoni, invece, discorso molto diverso.

Secondo lo UBS Global Wealth Report del 2023, il patrimonio medio degli Italiani è di 221.370 dollari.

La retribuzione mediana, però, è 107.315 dollari.

Cosa significa.

Allora media significa, banalmente: metà degli Italiani ha un patrimonio sotto i 107 mila. L’altra metà sopra.

Se la media però è più del doppio, ciò significa che c’è una concentrazione di ricchezza in poche persone che alza la media. Quindi poche persone relativamente ricche alzano la media complessiva, anche se la maggior parte delle persone è nettamente sotto quel livello.

In questo caso c’è quindi un’asimmetria positiva.

Se vogliamo ragionare su come sta finanziariamente l’italiano medio è molto più attendibile il valore mediano, non quello medio.

E questa non è un’anomalia Italiana, anzi, la distribuzione della ricchezza è disomogenea per definizione.

Secondo la legge di Pareto il 20% più ricco possiede l’80% della ricchezza.

Che a sua volta significa, se fate i conti, che l’1% più ricco possiede quasi il 50% della ricchezza.

Ingiusto?

Forse.

Prendetevela con Pareto.

Tra l’altro l’Italia, assieme a Grecia e Spagna, è l’unico tra i paesi sviluppati ad avere una decrescita della ricchezza mediana dal 2008 ad oggi.

Cioè la ricchezza media è leggerissimamente aumentata, siamo penultimi davanti alla Grecia, mentre la ricchezza mediana è diminuita.

Cioè la maggior parte degli Italiani è più povera del 2008.

Capite perché dovete obbligare chiunque consciate ad ascoltare sto podcast?

Va beh…

I rendimenti azionari, invece, sono un classico esempio di asimmetria negativa.

Il rendimento medio è inferiore al rendimento mediano.

Il che significa che i rendimenti sono il più delle volte positivi, ma ogni tanto arrivan giù delle legnate epocali in cui il mercato fa -40 o 50%.

Mentre il rendimento dei titoli di Stato ha una distribuzione abbastanza simmetrica (media 0,18%, mediana 0,21%), il portafoglio globale, in cui azioni, reit e in minima parte obbligazioni high-yield pesano per la maggior parte, ha a sua volta un’asimmetria negativa: quasi il 60% dei mesi ha rendimenti in eccesso positivi, quindi non che fa più di 0 ma che fa di più del rendimento del cash, mentre nel restante 40% fa meno del cash e in ogni tanto crolla in concomitanza di qualche severo bear merket.

Interessante anche il caso delle commodities e si vi ricordate il comportamento dell’oro questa cosa non vi stupirà.

Le commodities hanno un’asimmetria positiva, cioè: fanno mediamente cagare quasi sempre, ma ogni tanto hanno degli exploit clamorosi che alzano la media.

Penso non serva precisare perché, da un punto di vista squisitamente psicologico, viviamo molto meglio con un portafoglio con rendimenti che hanno una distribuzione con asimmetria negativa che non positiva.

È come avere una relazione in cui stai sempre bene con il tuo partner ma una volta ogni 4-5 anni fai una litigata memorabile che sentono anche i vicini, oppure litigare quotidianamente su ogni minima cazzata e poi magari una volta ogni 4-5 anni passare un’indimenticabile settimana di luna di miele.

Quale scenario scegliereste?

Bene, chiuso il momento: facciamo di tutto per convincere gli ascoltatori a chiudere The Bull e andare ad ascoltare Geopop.

Andiamo avanti e passiamo alla cosa più interessante secondo me: lo Sharpe Ratio, ossia il numero magico che dice il rapporto tra rischio e rendimento, il numero ottimale di hamburger senza stare male.

Il Global Market Portfolio ha storicamente uno Sharpe Ratio migliore di tutti i suoi componenti presi singolarmente, con eccezione fatta per le obbligazioni societarie.

0,41 il portafoglio globale, 0,46 i corporate bond.

Tutte le altre asset class, azioni, obbligazioni governative, real estate e commodities sono nettamente dietro.

Le commodities poi sono nettamente le peggiori da questo punto di vista, 0,23.

Tanto rischio, poco rendimento.

Questo per un purista del modello dei mercati efficienti dovrebbe portare a dire: ok allora meglio investire solo in obbligazioni societarie.

Sì e no.

C’è un’ampia discussione che gira attorno alla battuta “con lo Sharpe Ratio non ci puoi mangiare. Alla fine quello che ti dà da mangiare è il rendimento”.

Per ora non ci addentriamo nel tema, cui è molto affezionato Nicola Protasoni e che magari gli chiederemo di raccontare in un futuro episodio, ma basti dire che qui entra in gioco quella cosa soggettiva di cui dicevamo all’inizio.

Dipende dai nostri obiettivi.

Se per noi il rendimento delle obbligazioni societarie è adeguato rispetto ai nostri obiettivi e alle nostre ambizioni, allora ok.

Se invece vogliamo puntare ad un rendimento superiore, pur sapendo che ci sarà un rischio più che proporzionale da mettere in conto, allora è legittimo alzare l’asticella del rischio a patto di avere piena consapevolezza del suo significato.

E veniamo appunto al significato.

Cioè: prendermi più rischio, cosa comporta?

Comporta che il mercato ogni tanto va giù parecchio e ora cerchiamo di quantificare il “parecchio”.

Anche qui, dati mensili.

Il peggior drawdown degli ultimi 50 anni per il portafoglio globale sarebbe stato del 36%, nel Febbraio del 2009 naturalmente, stesso mese in cui l’azionario globale naufragò fino al 57,7% in dollari.

Il peggior momento per le obbligazioni governative fu invece nel settembre 81, all’apice del rialzo dei tassi di quel periodo, dove i bond governativi intermedi arrivarono a perdere anche il 29%. Nel 2022, comunque, i bond a lunga duration non ci sono andati troppo lontani.

A proposito di schizofrenia delle materie prime, nell’agosto del 99 il benchmark di commodities utilizzato in questo studio arrivò a perdere il 91,1%.

Al di là di questo, comunque, cioè dell’impatto del momento peggiore, secondo me è più interessante vedere la frequenza con cui questi brutti momenti accadono.

In questo caso definiamo drawdown ogni volta che il portafoglio entra in territorio di correzione, ossia ogni volta che perde almeno il 10%, e lo studio suddivide tra perdite superiori al 10, 20, 30, 40 e 50% e conta quante volte è successo.

Giusto per la cronaca, il portafoglio globale ha perso più del 10% per 13 volte.

Più del 20% 5 volte.

Più del 30% 2 volte.

Mai ha toccato una perdita con il 4 davanti.

È inoltre interessante che il più lungo periodo in drawdown è durato 78 mesi, nella seconda metà degli anni ’70.

L’azionario globale, invece, è stato in drawdown al massimo per 91 mesi. 93 i Reit. 92 i bond societari, 88 i bond globali e, udite udite, 515 le commodities.

In pratica, quindi, il peggior drawdown del portafoglio globale è stato più breve di quello dei suoi componenti presi singolarmente.

L’ultima cosa di cui parla il paper riguarda le valute.

In realtà ci sono altri mille dati interessanti e vi consiglio di leggervi il paper che vi lascio nella descrizione dell’episodio se avete le mie stesse perverse passioni.

Ci tengo solo a parlare di un’ultima cosa che è il discorso su come cambiano appunto le performance nelle varie valute.

Quello che abbiamo visto sinora era in dollari.

Il rendimento mensile in eccesso medio composto del portafoglio globale abbiamo detto che è stato 0,3%. In Euro scendiamo allo 0,22%.

In termini annualizzati, significa lasciare per strada circa 1 punto percentuale all’anno di rendimento.

Non poca roba.

Poi, c’è da dire che fino al 1999 non esisteva l’Euro e fino al 2001 non ce l’abbiamo avuto fisicamente in mano.

Quindi tutti i dati dal 1970 al 1999 lasciano un po’ il tempo che trovano perché sono calcolati usando il marco tedesco come benchmark.

Va sicuramente considerato il fatto che c’è un impatto sui rendimenti dettato dalla valuta in cui investiamo, ma come sempre è un rischio simmetrico che in diverse circostanza può invece favorire l’euro rispetto al dollaro, o qualsiasi altra moneta.

Prima di chiudere ho provato a creare un portafoglio di ETF che replica il Global Market Portfolio — mazza che originalità, non ci aveva mai pensato nessuno…

Dunque:

– 50% MSCI All Country World (o anche FTSE All World va bene), quindi azionario globale compresi i paesi Emergenti;

– 28% FTSE World Government Bond; che probabilmente sono solo obbligazioni governative del G7, ma questo

– 15% Bloomberg Global Aggregate Corporate;

– 4% FTSE EPRA/NAREIT Developed Dividend, quindi REIT dei paesi sviluppati;

– 2,5% Oro.

Non è che ho tantissimi dati perché dovendo usare Reit e bond societari ho trovato prodotti che risalgono al massimo sino al 2012.

Non che 14 anni siano irrilevanti per un backtest, ma nemmeno particolarmente significativi.

Il risultato è comunque coerente con il rendimento medio del Global Market Portfolio calcolato del paper.

Da settembre 2012 a quasi oggi (per qualche motivo il backtest arriva fino a luglio, poi mancano i dati degli ultimi mesi), questa versione Europeizzata del Global Market Portfolio avrebbe reso esattamente il 7% medio composto all’anno.

Per confronto, il solito 60/40 fatto da azionario all world e obbligazionario governativo globale avrebbe reso leggermente di più, circa 7,4%.

Con le valutazioni attuali molto alte e il ritorno dei rendimenti sui bond, tuttavia, non è da escludersi che negli anni a venire il portafoglio globale potrebbe avere la meglio.

Tra un hamburger e una curva di Gauss, comunque, l’obiettivo di oggi era raccontarvi dell’esistenza di un portafoglio benchmark per definizione, il punto di riferimento fondamentale di qualunque modello di asset allocation.

All’interno di un portafoglio diversificato, come dire, questa è l’opzione più passiva che esista.

È il modo per investire i propri soldi perfettamente in media — o quasi — a come vengono allocati globalmente i capitali su questie 5 asset class principali.

Come abbiamo visto non è il portafoglio con lo Sharpe ratio migliore in assoluto, non è quello con il rendimento atteso più alto in assoluto, non è quello che balla di meno in assoluto. Per esempio il golden butterfly, 40% azioni, 40% obbligazioni e 20% oro, negli ultimi 12 anni ha avuto una deviazione standard più contenuta e uno sharpe ratio leggermente più alto.

Insomma, proprio perché è nella media, il global market portfolio non è il migliore in niente.

Ma proprio per questo, ora che mi state seguendo da quasi 150 episodi e iniziate a farmi domande estremamente evolute sulla vostra asset allocation, ecco ogni decisione che prenderete potrà tenere questo benchmark come riferimento e aiutarvi a orientarvi nelle vostre decisioni sapendo “in media” come nel mondo vengono investiti i soldi.

Capite che sto discorso non si poteva fare troppo tempo fa.

Ormai per voi Sharpe ratio è un concetto chiaro tanto quanto lo è il fuorigioco.

150 episodi fa Sharpe ratio era solo la storpiatura di una razza di cane dalla pelle penzolante.

E su questa, chiudiamo anche l’episodio numero 148.

Se qualcuno lo sta ascoltando — beh — non so come ringraziarti per il fatto che sei ancora qui con me dopo tutto questo percorso.

E la cosa figa è che abbiamo ancora un saaaccco di roba di cui parlare.

Capite che quando mi avevano detto che non potevo scrivere un libro oltre le 240 pagine mi era preso un colpo.

La finanza personale da una parte e il suo aspetto più sexy, cioè tutto ciò che è gestione del portafoglio e asset allocation, sono un argomento sconfinato.

Le basi sono quelle.

Ma i dettagli una montagna.

E soprattutto non sono statici, perché si adattano sia alle circostanze di mercato che alle fasi e agli obiettivi della nostra vita.

Per questo io torno costantemente a studiare le stesse cose, perché ogni volta mi insegnano qualcosa di diverso nel rapporto con i miei soldi in base a dove mi trovo, con chi e dove sto andando.

Spero quindi che continueremo insieme anche lungo i prossimi numerosi passi di questo viaggio.

Nel frattempo vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano il rapporto tra rischio e rendimento come quello tra manzo, bacon, cheddar e citrosodina sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima a parlare di come raddoppiare o dimezzare il valore del nostro portafoglio, sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025
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