Tre Motivi per (non) prendersi Rischi e cosa è successo a Ottobre sui Mercati
Ottobre mese di grandi incertezze alla vigilia delle elezioni presidenziali negli USA. L'S&P 500 sfonda nuovi massimi, Europa in chiaroscuro, rendimenti obbligazionari che salgono e oro alle stelle. Ma in qualunque contesto ci sono solo 3 cose che contano per impostare il proprio portafoglio.

155. Tre Motivi per (non) prendersi Rischi e cosa è successo a Ottobre sui Mercati
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L'asset allocation si decide sulla base di fattori personali (capacità, volontà, necessità di rischio), non sul market timing o le valutazioni di mercato.
Analisi dei mercati di ottobre: S&P500 e Oro positivi (in Euro), Europa e Giappone negativi.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Io la devo smettere di fare questi post su Instagram che portano sfiga.
Per chi non mi segue, tra l’altro thebull_finance per chi volesse correggere questa brutta abitudine, in pratica ho fatto questo post sull’Halloween effect, che è il contrario del noto “Sell in May and go away”.
Storicamente il mercato americano performa meglio da novembre ad aprile, mentre in media ha riportato rendimenti peggiori tra maggio e ottobre, con settembre tradizionalmente mese nero per le borse.
Ho fatto uscire il podcast il 31 dicendo “eh evviva evvia, il mercato da Halloween in poi dà il meglio di sé” e sbaaam, S&P 500 fa tipo la sua peggiore giornata da 2 mesi, -2%, Nasdaq pure peggio e praticamente in un giorno solo il mese di Ottobre è passato da essere fin lì in verde ad una chiusura in rosso.
Era successa la stessa cosa prima di Natale l’anno scorso quando feci praticamente lo stesso post sul Santa Claus Rally.
Quest’anno, consiglio a chi mi segue su instagram di shortare il mercato in prossimità del natale perché appena rifarò il post sul Santa Rally dio solo sa cosa potrà capitare.
Scemenze a parte, Ottobre è stato un mese di difficile interpretazione.
Piuttosto negativo in Europa e Giappone come vedremo, abbastanza flat negli Stati Uniti anche perché Novembre si sarebbe aperto con il botto.
Venerdì 1° novembre, come da prassi ogni primo del mese, c’è stato il dato sui non farm payrolls, che dice dello stato di salute del mercato del lavoro americano.
Come sappiamo la Fed fa l’equilibrista con i tassi di interesse per tenere giù l’inflazione da una parte ma allo stesso tempo non far crollare l’economia.
Il dato è ambiguo, perché nel frattempo c’è stato in Florida il più devastante uragano dai tempi del famigerato Kathrina, quindi vai a capire se il dato particolarmente basso è dovuto agli effetti temporanei dell’uragano o a qualche rallentamento strutturale dell’economia.
Comunque il mercato sembra aver preso questi 12.000 nuovi posti di lavoro creati, ben di meno dei 100.000 attesi, come un’eccezione dovuta all’uragano.
Anzi, forse il mercato è tornato per un attimo nel mood “bad news is good news”, perché un dato così basso dovrebbe spianare la strada alla Fed per i prossimi tagli dei tassi di interesse.
La parziale buona notizia, invece, è che il dato sulla disoccupazione è rimasto piuttosto stabile al 4.1%.
Poi una cosuccia da niente succederà martedì 5 novembre.
Le elezioni presidenziali più isteriche della storia americana.
Allo stato attuale dei sondaggi il consensus è: Kamala Harris dovrebbe prendere più voti, ma sticazzi perché per come funziona il sistema americano, Trump sembra più avanti negli Stati chiave, i 7 “swing states” in cui non c’è una chiara preferenza per democratici o repubblicani.
La Pennsylvania è lo Stato più importante da vincere. Poi ci sono Michigan, Wisconsin, Georgia, Arizona, Nevada e North Carolina.
Kamala parte in vantaggio 225 voti già praticamente sicuri contro i 220 di Trump.
Il primo che arriva a 270 vince.
Trump è in vantaggio nei sondaggi, ma tutti i dati sono dentro il cosiddetto “margine di errore”, il che significa che se uno è avanti di un valore percentuale più piccolo del margine di errore, in pratica il sondaggio è inutile perché potrebbe benissimo vincere anche l’altro.
Il giorno dopo l’election day, così, giusto per stare sereni, ci sarà il FOMC, il solito comitato del Fed che dovrà decidere il nuovo taglio dei tassi di interesse. Nel momento in cui sto scrivendo i Futures prezzano una probabilità del 90% di un taglio di 25 punti base, 0,25%, e c’è un altro 70% di probabilità che un ulteriore taglio sempre di 0,25 arrivi a dicembre.
Insomma, nervosismo come ridere.
In tutto ciò c’è il mercato obbligazionario americano in fibrillazione e cominciano a girare meme del tipo “ok è di nuovo quel momento dell’anno in cui iniziamo a sbroccare perché il rendimento del decennale sale”.
In effetti i rendimenti dei Treasury sono saliti in maniera significativa nell’ultimo mese.
In concomitanza del primo taglio della Fed di metà settembre, il rendimento del decennale americano era intorno al 3,6%.
Ora siamo a quasi 4,3%.
Perché il rendimento sale anche se i tassi scendono?
Questo è uno dei motivi per cui mesi fa vi dicevo: occhio a non fare scommesse tipo “ah compro un bel BTP con scadenza 2045 o altri titoli di stato con duration elevate, così quando tagliano i tassi traaaac! Faccio er botto!”.
Eh fate “er botto” sì.
I tassi, perlomeno in questo scenario di mercato, hanno impatto sulla parte breve della curva dei rendimenti, visto che era invertita da 2 anni.
Quindi sulle obbligazioni a breve e media scadenza, così come sugli strumenti monetari e i depositi, il taglio dei tassi avrà degli effetti tangibili (anzi in buona parte sono già incorporati da tempo).
Sulla parte lunga invece non è detto.
E infatti il mercato sta dicendo… beh in realtà non lo sa nessuno cosa stia dicendo.
Diciamo che le opinioni più accreditate sul perché i rendimenti dei titoli di stato a più lunga scadenza stanno salendo sono:
– UNO: l’economia è molto forte, quindi è possibile che in futuro la Fed debba rimettere mano alla politica monetaria per contrastare un’eventuale risalita dell’inflazione se il tutto si surriscalda;
– DUE: c’è chi dice che questo è un “Trump trade”, ciò il mercato sta prezzando la vittoria di Trump, nel cui programma c’è un aumento ulteriore del deficit americano, che graverà sul livello del suo debito pubblico, che costringerà ad aumentare l’emissione di Treasury, che quindi vedranno i prezzi scendere e i rendimenti salire, che al mercato mio padre comprò… (boh, su questa sinceramente non c’è un parere unanime)
– La terza ipotesi, che in realtà fa bene il paio con la prima, è che cmq è anche un po’ il compito dei bond. Quando le azioni corrono e l’economia non dà segni di cedimento, i prezzi dei bond scendono. Ricordiamo sempre che i prezzi delle obbligazioni sono inversamente proporzionali ai rendimenti. Dire che i rendimenti obbligazionari salgono o che i prezzi delle obbligazioni scendono è la stessa cosa.
Dopo che per due anni azioni e obbligazioni hanno avuto uno dei più alti livelli di correlazione di tutti i tempi — cioè: andavano giù tutti e due insieme o salivano tutti e due insieme — oggi il livello di correlazione è tornato leggermente negativo.
Azioni van su. Bond vanno giù. Fine. E’ anche per questo che diversifichiamo il portafoglio.
Al di là di questo, comunque, dicevo che il 31 ottobre è stato un giorno piuttosto horror sui mercati e il sell-off di turno ha riguardato ancora una volta soprattutto i titoli tech, per via di risultati trimestrali deludenti da parte di Microsoft, Apple e Meta.
Un po’ meglio Amazon e Alphabet Google.
Attenzione, deludenti vuol dire che hanno battuto le stime degli analisti, ma non abbastanza.
Ciò che poi sta un po’ innervosendo sono i costi sempre più esorbitanti sugli investimenti in intelligenza artificiale e ancora non è chiaro se a questi investimenti corrisponderanno dei guadagni più che proporzionali.
Film già visto.
Come sempre Nvidia sarà tra gli ultimi a presentare i suoi dati, a Novembre inoltrato — e lì ci sarà da ridere.
Perché? Beh da inizio anno l’S&P 500 è su del 21%, cosa per altro fa del 2024 praticamente il miglior anno della storia dei mercati, perlomeno fino a Ottobre, poi vediamo a fine anno.
Dicevo, +21%, senza contare i dividendi.
Di questo +21%, 7 punti percentuali sono Nvidia.
Togli Nvidia è l’S&P sarebbe cresciuto di circa il 14%.
Altri 6 punti percentuali arrivano da Apple, Microsoft, Google, Meta e Amazon.
Senza queste 6 società, l’S&P sarebbe su da inizio anno di un ben più modesto 8% o giù di lì.
E quindi se il report di Nvidia sarà deludente — e date le aspettative che ci sono ad ogni trimestre facile che sarà così, è un attimo che attorno a quel report girerà il finale d’anno dell’S&P.
Continuerà la sua corsa spettacolare fino a Capodanno o invertirà pericolosamente il suo tragitto?
Continuate a seguire the bull e lo scoprirete.
Cioè in realtà basta che seguiate le notizie, non serve The Bull.
The Bull però ve le dice assieme a 2 o 3 cazzate qua e là che fan sempre un po’ di colore.
In questo clima di mercato comunque ipereuforico, valutazioni sempre più alte, mercato sempre più concentrato, rendimento dei Treasury superiore all’Earning Yield delle azioni, Shiller CAPE ratio quasi al più alto livello della storia e minacciose elezioni all’orizzonte, mi sono imbattuto qualche giorno fa su LinkedIn nell’ennesima discussione sul tema: “ha senso alleggerire la parte azionaria del portafoglio perché in questo momento i dati dicono questo e quello?”.
In pratica ho commentato un post fatto da una persona piuttosto autorevole che da tempo suggerisce di ridurre la quota azionaria dei portafogli perché le valutazioni sono alte e bla bla bla le solite metriche che conosciamo.
Io gli ho chiesto: “ma ha senso prendere decisioni sul portafoglio sulla base del “momento” in cui ci troviamo e delle valutazioni? Cioè che il mercato è caro lo sanno tutti, ma ormai sono quasi 10 anni di fila che l’S&P 500 è considerato caro. Queste informazioni non possono dare un vantaggio competitivo all’investitore perché lo sanno tutti. Come si fa a sapere quando il mercato diventa TROPPO caro. Era caro nel 2014 con il Cape ratio a 27. È stramega caro oggi con il Cape ratio a 35-36 quello che è. Con il senno di poi sarebbe stato un delitto alleggerire l’azionario 10 anni fa. Eppure il mercato poteva dirsi oggettivamente sopravvalutato anche allora. Chi dice che oggi queste valutazioni sono il segnale definitivo che bisogna vendere”.
Insomma, il mio era un commento indirizzato al solito punto.
Non si può fare timing in maniera sistematica.
A volte la imbrocchi, a volte no. Ma fondamentalmente è una questione di culo, non di analisi del mercato.
Comunque la discussione è stata un breve e cordiale scambio — e tra l’altro se l’autore mi sta ascoltando le porte di questo podcast sono aperte per continuare la conversazione — tra la mia convinzione che per il 99% degli investitori sia meglio considerare i mercati efficienti e non provare a fare timing e la sua replica che in realtà sia opportuno seguire le metriche del mercato per ottimizzare il rischio del portafoglio e contenere eventuali tracolli dei portafogli.
Credo però che questa sia una risposta giusta alla domanda sbagliata.
Cioè tu non ottimizzi il rischio del portafoglio perché là fuori il mercato si è fatto caro.
Se il tuo orizzonte temporale è di 5 anni, non investi in azioni né se il mercato è caro, né se è sottovalutato (sottovalutato poi secondo te, perché solo a posteriori scopriamo se era sottovalutato davvero o se poi è andato avanti a crollare per un decennio).
La questione — che poi è forse il tema principale di tutto questo mastodontico podcast — riguarda solo ed esclusivamente l’asset allocation del tuo portafoglio, non il momento di mercato.
Un conto, per esempio, è adattare l’asset allocation ai tassi di interesse, come nella nota formula di cui spesso parliamo qui, perché quelli hanno un impatto sui bond abbastanza meccanico. E comunque senza mai andare a suggerire di fare dentro e fuori dal mercato.
Un altro conto è dire: “se hai 60 anni, in questo momento è rischioso predersi uno storno importante perché la valutazioni sono alte, quindi meglio vendere un po’ di equity”.
No, se hai 60 anni e per te prenderti ad un certo punto un -30, -40% dell’azionario è un problema, non investi in azioni a prescindere dal price earning ratio del mercato.
Ora la prosecuzione di questa discussione non è particolarmente interessante, chi mi segue da 154 episodi sa bene come la pensi e sa anche che il mio pensiero non è un pensiero soggettivo, ma semplicemente il riflesso di tutto quell’enorme filone di accademici e investitori che negli ultimi 60 anni è andato avanti a ribadire: “ragazzi smettetela di provare a battere i mercati e fare timing per tanto non si può fare. Fatevene una ragione e imparate a soffrire”.
I soliti nomi no? Markowitz, Sharpe, Eugene Fama, John Bogle, Burton Malkiel, William Bernstein, Charles Ellis e compagnia bella, ma pure lo stesso Warren Buffett darebbe a chiunque non sia Warren Buffett lo stesso consiglio: non provare a battere il mercato né fare timing. Stai investito il più a lungo possibile e prenditi la tua quota della crescita del mercato in generale. Fine.
La discussione però mi ha fatto capire ancora una volta quanto sia seducente quest’idea di provare a capire quando è “il momento” di fare qualcosa con il portafoglio.
Quando è il momento di rischiare di più.
Quando è il momento di rischiare di meno.
Stampatevi bene in testa questa roba: NON LO SAPRETE MAI.
O meglio: lo saprete solo dopo.
Ma non c’è un modo per sapere se oggi “convenga” esser bullish, spingere sull’azionario, o essere bearish e adottare un approccio più conservativo.
Non è il mercato a dirti sta cosa.
È la tua pianificazione personale, fatto del tuo lavoro, dei tuoi debiti, delle tue spese, della tua psicologia, dei tuoi obiettivi e del tuo orizzonte temporale.
Di qui veniamo al titolo dell’episodio di oggi, ossia quali sono i tra fattori in base ai quali uno deve decidere se aumentare la propria quota azionaria (ossia il proprio livello generale di rischio sistematico) o ridurla.
Come potete facilmente immaginare: nessuno di questi fattori ha a che fare con il mercato.
È irrilevante il fatto che in media le azioni costino 22 volte gli utili dei prossimi 12 mesi.
È irrilevante il fatto che il Treasury Yield sia superiore all’Earning Yield.
È irrilevante il fatto che più di un decimo dell’intero mercato azionario globale sia fatto dalla capitalizzazione di sole tre aziende: Apple, Microsoft e Nvidia.
Questi possono essere tutti segnali d’allarme sul mercato.
Ma, come dire, è come avere un antifurto che suona ogni volta che pensa che ci possa essere un malintenzionato in giro, non quando effettivamente c’è un’infrazione.
È inutile come lo sono le previsioni del tempo di settimana prossima.
Pioverà con un 50% di probabilità — e grazie mille, utile.
I tre fattori realmente importanti sono i seguenti:
– La mia capacità di prendermi rischi;
– La mia volontà di prendermi rischi e infine
– La mia necessità di prendermi rischi.
L’idea, formulata in questi termini, è del grande Larry Swedrow.
Larry Swedrow è un personaggio pazzesco.
Ha scritto tipo 18 libri su tematiche finanziarie.
E’ il Chief Research Officer di Buckingham Strategic Wealth, un’importante società di wealth management.
Scrive degli articoli fantastici su Morningstar e Alpha Architect.
Si è pure inventano un famoso lazy portfolio, molto conservativo, fatto soprattutto di bond e small caps.
Cerco sempre di non diventare invasato per nessuno.
Però devo dire che ogni volta che Swedrow scrive qualcosa, io la leggo e il minuto dopo capisco qualcosa in più.
Sarà perché forse ha quella straordinaria capacità di farti vedere cose note sotto una luce diversa, oltre ad un non banale talento nel riuscire a spiegare cose complesse in maniera relativamente semplice.
Posto che lui è comunque uno piuttosto conservativo, non uno di quelli 100% stocks e via all’avventura, il suo modello di asset allocation basato su questi tre fattori è estremamente potente.
Questo è, tra i vari metodi che ci sono, un modo secondo me perfettamente corretto di pensare all’asset allocation del portafoglio.
Non lo stato del mercato.
Non quale settore sta andando su e quale giù.
Non come è messo Saturno rispetto a Venere o dio solo sa quale altro proxy vogliamo usare per cercare di prevedere il futuro.
Il suo punto di partenza è abbastanza classico — e da lì non si scappa.
Il tuo orizzonte temporale.
Lui in pratica propone uno schemino che associa l’orizzonte temporale alla quantità di azioni da avere in portafoglio.
– Il tuo orizzonte temporale va da qui a 3 anni? Allora la % di azioni da avere in portafoglio è ZERO.
– Da 20 anni in su può essere anche 100%
– Ovviamente in mezzo ci sono diverse gradazioni: sui 10 anni lui suggerisce 60%.
Attenzione una cosa.
Se io faccio un pac da qui al 2045, quindi per i prossimi 20 virgola qualcosa anni, questo non significa che ho un orizzonte temporale di 20 anni.
Solo i soldi che metto nel primo anno hanno un orizzonte di 20 anni.
Quando mi trovo nel secondo anno l’orizzonte sarà di 19.
Quando mi trovo al decimo anno, l’orizzonte sarà di 10.
Quando mi trovo al 19esimo anno, se davvero tutti i soldi nel mio portafoglio per qualche motivo mi servono l’anno dopo, il mio orizzonte temporale è 1 anno.
L’asset allocation va quindi sempre adattata di conseguenza.
Chiarito questo, lui dice: il patrimonio che vuoi investire oggi ti sta bene che resti allocato per i prossimi 20 e passa anni? Benissimo, 100% azionario, altrimenti cala in base come abbiamo detto.
E fin qui niente di che.
A questo punto subentrano i tre criteri.
PRIMO CRITERIO: la tua capacità di prenderti rischi.
Questo ha tanto a che fare con la tua situazione finanziaria in generale e in particolare con la tua fonte primaria di reddito.
Sei un dipendente a tempo indeterminato in una solida società, con una buona retribuzione su cui puoi contare a lungo termine? In questo caso il tuo lavoro è prevedibile come se fosse un bond e tu puoi permetterti di confermare l’asset allocation del punto precedente, o forse addirittura aumentarla.
Sei un imprenditore o un libero professionista?
Ecco in questo caso i tuoi redditi saranno estremamente variabili, esattamente come il rendimento azionario.
Pertanto dovrai attenuare la tua assunzione di rischio perché c’è già il tuo lavoro che si porta dietro un certo livello di instabilità e volatilità.
Larry non dice di quanto.
Lo chiamo per nome perché dire ogni volta Swedrow mi fa male la mascella.
Non dice quanto.
Dice: valuta la situazione, quanto sono instabili i tuoi redditi e attenua il profilo di rischio del tuo portafoglio di conseguenza.
A questo si va aggiungere naturalmente il livello di debito e il costo generale della vita.
Se abiti a Milano, ogni mese la tua famiglia spende 10.000 € e hai due mutui sopra la testa, chiaramente la situazione è molto esposta. Finché guadagni bene nessun problema, se si chiude il rubinetto del reddito il problema si presenta immediatamente
Se invece vivi in una città meno cara, avete uno stile di vita frugale e non hai neanche un mutuo, l’impatto di una riduzione del reddito sarà minore — e quindi maggiore il rischio che il tuo portafoglio può permettersi.
SECONDO CRITERIO: la volontà di prendersi rischi.
Lui dice: ammettiamo anche che tu abbia una fonte di reddito stabile e un costo della vita basso, poche esigenze di liquidità nell’immediato e tutto messo al posto giusto per avere un portafoglio con una forte esposizione azionaria.
Ma siamo sicuri che tu psicologicamente te lo puoi permettere?
Il punto qui sta nel bilanciamento tra l’ottimizzazione del tuo rendimento a lungo termine e la qualità del tuo sonno la notte.
Il suo suggerimento quindi, che è una versione un po’ più conservativa di un’idea proposta anche da William Bernstein, è di prendere la perdita massima del tuo portafoglio, in termini percentuali, che sei disposto a tollerare senza sbroccare e adattare l’equity allocation di conseguenza.
Non dà una vera e propria formula fissa, però la sua idea più o meno è questo:
– Se al massimo puoi tollerare una perdita del 10%, non mettere più del 10% del portafoglio in azioni;
– Se puoi sopportare una perdita anche del 60%, allora 100% in azioni va bene.
– Se il massimo che puoi tollerare è una perdita del 30%, allora 50% in azioni.
Vedete che non c’è proprio un coefficiente fisso, la scala sarebbe leggermente esponenziale, perché il coefficiente sarebbe 1 all’inizio (10% di perdita 10% di azioni) e poi 1,66 alla fine (60% di perdita, 100% azioni).
In mezzo andate un po’ a occhio.
Il tutto si basa sui dati storici.
Quando ha perso al massimo l’azionario nel dopoguerra?
Più del 50% durante la great financial crisis, benissimo, sappiamo che quella, ad oggi è la perdita massima che ti dovrai accollare, quindi fino a 60% di perdita sopportabile va bene investire solo in azioni.
Un portafoglio 60/40 quanto ha perso al massimo?
Più del 30%, anche questo tra 2008 e 2009.
Ottimo, allora sappi che se puoi sopportare fino al 40% di perdita, il 60/40 va bene per te.
E così via.
TERZO CRITERIO: la necessità di prendersi rischi.
La necessità è chiaramente legata ai tuoi obiettivi.
Spieghiamola con un esempio.
Ammettiamo che tu possa investire 500 € al mese e che tra 10 anni vuoi avere un patrimonio investito di 100.000 €.
Per semplicità di calcolo escludiamo che tu possa aumentare il tuo investimento mensile e ignoriamo il rischio di sequenza.
Non è che hai molte alternative.
Devi per forza investire il 100% dei tuoi soldi nel mercato azionario, probabilmente nell’S&P 500 e farti il segno della croce, perché ti serve un rendimento medio annualizzato del 10% perché il tuo PAC raggiunga 100.000 € nel 2034.
Se usi un 60/40 che dovesse rendere, che so, 6% in media, mi spiace ma ti fermerai ad 82.000 €, più o meno.
Quindi se per i tuoi obiettivi è necessario raggiungere un certo traguardo in un certo tempo, sarai chiamato a fare due cose:
– O a prenderti maggiori rischi; oppure
– Ad aumentare il tuo reddito.
Nell’esempio precedente, infatti, arriveresti sempre a 100.000 € con un portafoglio più conservativo solo aumentando la quota di investimento mensile di appena 110 € al mese.
Se trovassi il modo di passare da 500 € al mese a 610 € al mese arriveresti allo stesso risultato finale con una frazione del rischio.
Se però questa possibilità non ce l’hai perché hai già saturato al massimo ogni possibilità di spremere ulteriormente il tuo risparmio, ti prenderai tanto rischio quanto per te sarà necessario prenderne in funzione dei tuoi obiettivi.
Capito?
In funzione dei tuoi obiettivi?
Non in funzione del price-earning ratio?
Okie dokie?
Mettiamo insieme i pezzi:
– Abbiamo il punto di partenza, la percentuale di asset azionari in base all’orizzonte temporale;
– Poi abbiamo il primo criterio, la mia capacità di prendermi più o meno rischi in base alle fonti di reddito che ho, alle spese che devo sostenere e al livello generale di indebitamento;
– Abbiamo quindi la mia capacità di sopportazione del rischio e infine
– Abbiamo le mie esigenze di prendermi certi rischi rispetto agli obiettivi.
Il rischio che mi posso prendere, che mi voglio prendere e che mi devo prendere.
Questi tre criteri possono però essere in conflitto tra loro.
Potrei avere un lavoro stabile che mi consente tanto rischio, ma una bassa sopportazione della volatilità.
Oppure potrei avere un’alta sopportazione della volatilità ma nessun particolare motivo per prendermi grossi rischi.
Oppure ancora potrei avere un lavoro instabile, ma ciononostante uno stomaco di ferro e l’esigenza di far correre i miei investimenti il più velocemente possibile.
Qualunque combinazione venga fuori, la regola d’oro di Larry è che comanda il criterio che porta alla minor assunzione di rischio.
Ho un lavoro instabile ma me la sento? Fa niente, poche azioni.
Ho un lavoro stabile ma non me la sento? Poche azioni.
Ho bisogno di raggiungere un certo risultato di patrimonio tra 10 anni ma mi cago addosso se il mercato fa -20%? Poche azioni.
Ho un lavoro stabile, la volatilità mi fa una pippa e voglio diventare ricco il prima possibile costi quel che costi? Dio ti benedica 100% in azioni e sii felice.
Chiaro il meccanismo.
Ecco.
Adesso parliamo di cosa hanno fatto i vari indici a ottobre e di quel che ci può aspettare.
Ma il 90% delle decisioni che prenderete sempre sul vostro portafoglio devono seguire uno schema di questo tipo e sti gran cazzi che il mercato è caro, economico, sopravvalutato, sottovalutato, in bolla o quant’altro.
La vostra situazione personale, psicologica, professionale e i vostri obiettivi contano infinitamente di più di qualsiasi altra metrica.
Veniamo a cosa è successo nel mondo della finanza in questo caldo ottobre che sembra più maggio in realtà, visto che sto scrivendo quest’episodio da Milano in pantaloncini.
Come di consueto, ci baseremo sugli ETF europei ad accumulazione che tracciano i vari indici, salvo dove diversamente specificato.
S&P 500: +2,65% a ottobre, per un totale quasi commovente di +23,43% da inizio anno. Bisogna però dire che la crescita a ottobre è tutta dovuta al cambio, perché con il rendimento dei Treasury che è salito, il dollaro si è rafforzato (o vai sapere per quale altro motivo). In dollari, invece, l’S&P ha lasciato per strada un punto percentuale tondo tondo.
A sto giro, investire in Euro ci ha fatto gioco.
Tra l’altro dopo la batosta di giovedì 31, venerdì c’è stato un mezzo rimbalzo, quindi il dato year to date se includiamo anche il 1° novembre è pure più alto.
Andiamo al mondo sviluppato.
MSCI World: +1,35% ad ottobre, +19% da inizio anno.
In pratica l’MSCI World è un S&P 500 che deve prendersi cura dei danni che fanno i mercati europei e il Giappone come vedremo subito.
Cmq anche qui, a volte strappa una lacrima vedere la bellezza di una crescita di questo tipo.
Nulla dura per sempre, sia chiaro, ma finché dura eh godiamocela.
L’MSCI World, in euro, è cresciuto di oltre l’80% in 5 anni, 5 anni peraltro con dentro una pandemia globale è quel disastro che è stato il 2022.
Dal 2009 ad oggi, invece, siamo praticamente a +500%. Un rendimento medio annuo del 12,5%.
Dicevamo l’Europa.
Non è stato decisamente un buon mese.
Non che sia successo qualcosa di particolare, ma soprattutto i mercati Francese e Tedesco hanno avuto un mese sottotono, con un pesante tonfo il 31 ottobre in scia, tanto per cambiare, a quel che stava succedendo a Wall Street.
Morale:
– Lo Stoxx 600 ha lasciato giù un punto percenutale, portando il risultato dell’anno a +11%
– L’eurostoxx 50 ha fatto particolarmente schifo, -3,48% a Ottobre, dove cali piuttosto marcati come quello del colosso del lusso LVMH si sono fatti piuttosto sentire e +10% da inizio anno
– Per una volta non è l’italia la responsabile dei mali d’europa, anzi. Il FTSE MIB conferma la sua grande annata, forte soprattutto del fatto che l’indice ha molti titoli bancari, e siamo a +17% da inizio anno, contro il +2 e mezzo percento scarso del CAC 40 francese.
– Anche il Giappone non ha brillato e qui ha pesato un po’ anche un indebolimento dello Yen, comunque quasi -3% a Ottobre e risultato da inizio anno a circa +7 e mezzo percento.
– Sui mercati emergenti per il momento l’effetto Cina non ha dato altri sussulti, -1,7% a ottobre, +13% da inizio anno.
Spostiamoci sul fronte obbligazionario.
– Bloomberg Euro Aggregate Treasury, titoli governativi area euro, -1% a ottobre, +1% da inizio anno; e il motivo si capisce più chiaramente parlando dell’indice successivo che è
– Bloomberg Euro Government Bond 15-30 anni, -1,59% a ottobre, per via del fatto che i rendimenti sulla parte lunga della curva obbligazionaria sono saliti, e -1,21% da inizio anno.
Ricordiamoci sempre che le obbligazioni governative, in particolare quelle di area euro, sono praticamente flat quest’anno perché avevano fatto una grande corsa in particolare negli ultimi 3 mesi del 2023, quando il mercato di botto aveva prezzato tutta una serie di tagli dei tassi di interesse.
Per esempio il Bloomberg Euro Aggregate, cioè obbligazioni governative in Euro a scadenza intermedia, come abbiamo detto sono praticamente piatte da inizio anno, ma negli ultimi 12 mesi, quindi da novembre 2023 a ottobre 2024, sono su di quasi l’8%.
L’altro, quello sulle lunghe scadenze, è su nei 12 mesi addirittura del 14%, anche se nell’anno solare 2024 è leggermente in negativo.
Dei Treasury abbiamo già detto in apertura.
Chiudiamo, come da tradizione, con il biondo metallo, sempre più superstar.
È quasi imbarazzante dire che anche a ottobre è cresciuto — ed è cresciuto, grazie al boost del cambio euro dollaro, del 7,52%, portando il risultato da inizio anno a +35%.
Negli ultimi 12 mesi, S&P 500 e oro hanno avuto la stessa identica crescita.
+35% entrambi.
Se guardiamo però gli ultimi 3 anni, l’oro batte l’S&P 500 +65% contro +39%.
Se andiamo indietro fino al 2011 invece, da allora l’S&P è cresciuto di quasi il 600%, mentre l’oro di un ben più modesto + 140%.
È interessante notare, tuttavia, che mentre oro e azioni hanno una correlazione praticamente nulla e hanno avuto sorti praticamente sempre alternate, questi ultimi 12 mesi sono probabilmente l’unico anno nella storia in cui S&P 500 e oro hanno avuto la stessa crescita, peraltro estremamente vigorosa.
Questo per dire, ancora una volta, che per quanto studi la storia di ciascuna asset class, alla fine ogni anno il mercato fa un po’ il cazzo che gli pare senza particolari motivi esplicativi.
Abbiamo detto tutto no.
Ragazzi che dire?
Mercoledì 6, oltre che con il nuovo episodio di The Bull, ci sveglieremo con un nuovo presidente degli Stati Uniti — e lì si aprirà un nuovo capitolo della storia del mondo.
Vi ringrazio per l’ultima volta durante l’era di sua anzianità Joe Biden, ci mancherai vecchio nonnetto squinternato che ha pensato bene di dire che gli elettori di Trump sono “garbage”, spazzatura, salvo poi il suo staff che ha corretto il tiro chiamando in causa il genitivo sassone e dicendo che lui intendeva che il discorso di Trump era “garbage” non gli elettori…
Se va beh…
Care amiche e cari amici, mi si riempie il cuore di gioia pensando che in meno di un anno e mezzo sono stati ascoltati oltre 5 milioni di episodi e che oltre 300.000 persone hanno ascoltato almeno una volta nella loro vita la mia voce.
Eh lo so, ci sarebbe di meglio, ma che volete.
Tra l’altro qualcuno mi ha scritto che ho la stessa voce di Marco Casario e che l’episodio con lui sembrava un monologo… mah…
Considerazioni timbriche a parte, grazi mille a ciascuno di voi per l’affetto con cui mi seguite per i fiumi di messaggi con cui mi intasate instagram e LinkedIn, però per ora ce la sto ancora facendo a rispondervi, basta che non mi mandate vocali da 10 minuti o pipponi più lunghi di una tesi di laurea.
Come sempre, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che come suggerisce il buon Larry potete ascoltare, volete ascoltare e dovete ascoltare sempre nuovi!
Per questo episodio è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo episodio dedicato ad un tema che non vi spoilero ma molto interessante soprattutto per gli appassionati di dividenti, sempre qui naturalmente con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Io la devo smettere di fare questi post su Instagram che portano sfiga.
Per chi non mi segue, tra l’altro thebull_finance per chi volesse correggere questa brutta abitudine, in pratica ho fatto questo post sull’Halloween effect, che è il contrario del noto “Sell in May and go away”.
Storicamente il mercato americano performa meglio da novembre ad aprile, mentre in media ha riportato rendimenti peggiori tra maggio e ottobre, con settembre tradizionalmente mese nero per le borse.
Ho fatto uscire il podcast il 31 dicendo “eh evviva evvia, il mercato da Halloween in poi dà il meglio di sé” e sbaaam, S&P 500 fa tipo la sua peggiore giornata da 2 mesi, -2%, Nasdaq pure peggio e praticamente in un giorno solo il mese di Ottobre è passato da essere fin lì in verde ad una chiusura in rosso.
Era successa la stessa cosa prima di Natale l’anno scorso quando feci praticamente lo stesso post sul Santa Claus Rally.
Quest’anno, consiglio a chi mi segue su instagram di shortare il mercato in prossimità del natale perché appena rifarò il post sul Santa Rally dio solo sa cosa potrà capitare.
Scemenze a parte, Ottobre è stato un mese di difficile interpretazione.
Piuttosto negativo in Europa e Giappone come vedremo, abbastanza flat negli Stati Uniti anche perché Novembre si sarebbe aperto con il botto.
Venerdì 1° novembre, come da prassi ogni primo del mese, c’è stato il dato sui non farm payrolls, che dice dello stato di salute del mercato del lavoro americano.
Come sappiamo la Fed fa l’equilibrista con i tassi di interesse per tenere giù l’inflazione da una parte ma allo stesso tempo non far crollare l’economia.
Il dato è ambiguo, perché nel frattempo c’è stato in Florida il più devastante uragano dai tempi del famigerato Kathrina, quindi vai a capire se il dato particolarmente basso è dovuto agli effetti temporanei dell’uragano o a qualche rallentamento strutturale dell’economia.
Comunque il mercato sembra aver preso questi 12.000 nuovi posti di lavoro creati, ben di meno dei 100.000 attesi, come un’eccezione dovuta all’uragano.
Anzi, forse il mercato è tornato per un attimo nel mood “bad news is good news”, perché un dato così basso dovrebbe spianare la strada alla Fed per i prossimi tagli dei tassi di interesse.
La parziale buona notizia, invece, è che il dato sulla disoccupazione è rimasto piuttosto stabile al 4.1%.
Poi una cosuccia da niente succederà martedì 5 novembre.
Le elezioni presidenziali più isteriche della storia americana.
Allo stato attuale dei sondaggi il consensus è: Kamala Harris dovrebbe prendere più voti, ma sticazzi perché per come funziona il sistema americano, Trump sembra più avanti negli Stati chiave, i 7 “swing states” in cui non c’è una chiara preferenza per democratici o repubblicani.
La Pennsylvania è lo Stato più importante da vincere. Poi ci sono Michigan, Wisconsin, Georgia, Arizona, Nevada e North Carolina.
Kamala parte in vantaggio 225 voti già praticamente sicuri contro i 220 di Trump.
Il primo che arriva a 270 vince.
Trump è in vantaggio nei sondaggi, ma tutti i dati sono dentro il cosiddetto “margine di errore”, il che significa che se uno è avanti di un valore percentuale più piccolo del margine di errore, in pratica il sondaggio è inutile perché potrebbe benissimo vincere anche l’altro.
Il giorno dopo l’election day, così, giusto per stare sereni, ci sarà il FOMC, il solito comitato del Fed che dovrà decidere il nuovo taglio dei tassi di interesse. Nel momento in cui sto scrivendo i Futures prezzano una probabilità del 90% di un taglio di 25 punti base, 0,25%, e c’è un altro 70% di probabilità che un ulteriore taglio sempre di 0,25 arrivi a dicembre.
Insomma, nervosismo come ridere.
In tutto ciò c’è il mercato obbligazionario americano in fibrillazione e cominciano a girare meme del tipo “ok è di nuovo quel momento dell’anno in cui iniziamo a sbroccare perché il rendimento del decennale sale”.
In effetti i rendimenti dei Treasury sono saliti in maniera significativa nell’ultimo mese.
In concomitanza del primo taglio della Fed di metà settembre, il rendimento del decennale americano era intorno al 3,6%.
Ora siamo a quasi 4,3%.
Perché il rendimento sale anche se i tassi scendono?
Questo è uno dei motivi per cui mesi fa vi dicevo: occhio a non fare scommesse tipo “ah compro un bel BTP con scadenza 2045 o altri titoli di stato con duration elevate, così quando tagliano i tassi traaaac! Faccio er botto!”.
Eh fate “er botto” sì.
I tassi, perlomeno in questo scenario di mercato, hanno impatto sulla parte breve della curva dei rendimenti, visto che era invertita da 2 anni.
Quindi sulle obbligazioni a breve e media scadenza, così come sugli strumenti monetari e i depositi, il taglio dei tassi avrà degli effetti tangibili (anzi in buona parte sono già incorporati da tempo).
Sulla parte lunga invece non è detto.
E infatti il mercato sta dicendo… beh in realtà non lo sa nessuno cosa stia dicendo.
Diciamo che le opinioni più accreditate sul perché i rendimenti dei titoli di stato a più lunga scadenza stanno salendo sono:
– UNO: l’economia è molto forte, quindi è possibile che in futuro la Fed debba rimettere mano alla politica monetaria per contrastare un’eventuale risalita dell’inflazione se il tutto si surriscalda;
– DUE: c’è chi dice che questo è un “Trump trade”, ciò il mercato sta prezzando la vittoria di Trump, nel cui programma c’è un aumento ulteriore del deficit americano, che graverà sul livello del suo debito pubblico, che costringerà ad aumentare l’emissione di Treasury, che quindi vedranno i prezzi scendere e i rendimenti salire, che al mercato mio padre comprò… (boh, su questa sinceramente non c’è un parere unanime)
– La terza ipotesi, che in realtà fa bene il paio con la prima, è che cmq è anche un po’ il compito dei bond. Quando le azioni corrono e l’economia non dà segni di cedimento, i prezzi dei bond scendono. Ricordiamo sempre che i prezzi delle obbligazioni sono inversamente proporzionali ai rendimenti. Dire che i rendimenti obbligazionari salgono o che i prezzi delle obbligazioni scendono è la stessa cosa.
Dopo che per due anni azioni e obbligazioni hanno avuto uno dei più alti livelli di correlazione di tutti i tempi — cioè: andavano giù tutti e due insieme o salivano tutti e due insieme — oggi il livello di correlazione è tornato leggermente negativo.
Azioni van su. Bond vanno giù. Fine. E’ anche per questo che diversifichiamo il portafoglio.
Al di là di questo, comunque, dicevo che il 31 ottobre è stato un giorno piuttosto horror sui mercati e il sell-off di turno ha riguardato ancora una volta soprattutto i titoli tech, per via di risultati trimestrali deludenti da parte di Microsoft, Apple e Meta.
Un po’ meglio Amazon e Alphabet Google.
Attenzione, deludenti vuol dire che hanno battuto le stime degli analisti, ma non abbastanza.
Ciò che poi sta un po’ innervosendo sono i costi sempre più esorbitanti sugli investimenti in intelligenza artificiale e ancora non è chiaro se a questi investimenti corrisponderanno dei guadagni più che proporzionali.
Film già visto.
Come sempre Nvidia sarà tra gli ultimi a presentare i suoi dati, a Novembre inoltrato — e lì ci sarà da ridere.
Perché? Beh da inizio anno l’S&P 500 è su del 21%, cosa per altro fa del 2024 praticamente il miglior anno della storia dei mercati, perlomeno fino a Ottobre, poi vediamo a fine anno.
Dicevo, +21%, senza contare i dividendi.
Di questo +21%, 7 punti percentuali sono Nvidia.
Togli Nvidia è l’S&P sarebbe cresciuto di circa il 14%.
Altri 6 punti percentuali arrivano da Apple, Microsoft, Google, Meta e Amazon.
Senza queste 6 società, l’S&P sarebbe su da inizio anno di un ben più modesto 8% o giù di lì.
E quindi se il report di Nvidia sarà deludente — e date le aspettative che ci sono ad ogni trimestre facile che sarà così, è un attimo che attorno a quel report girerà il finale d’anno dell’S&P.
Continuerà la sua corsa spettacolare fino a Capodanno o invertirà pericolosamente il suo tragitto?
Continuate a seguire the bull e lo scoprirete.
Cioè in realtà basta che seguiate le notizie, non serve The Bull.
The Bull però ve le dice assieme a 2 o 3 cazzate qua e là che fan sempre un po’ di colore.
In questo clima di mercato comunque ipereuforico, valutazioni sempre più alte, mercato sempre più concentrato, rendimento dei Treasury superiore all’Earning Yield delle azioni, Shiller CAPE ratio quasi al più alto livello della storia e minacciose elezioni all’orizzonte, mi sono imbattuto qualche giorno fa su LinkedIn nell’ennesima discussione sul tema: “ha senso alleggerire la parte azionaria del portafoglio perché in questo momento i dati dicono questo e quello?”.
In pratica ho commentato un post fatto da una persona piuttosto autorevole che da tempo suggerisce di ridurre la quota azionaria dei portafogli perché le valutazioni sono alte e bla bla bla le solite metriche che conosciamo.
Io gli ho chiesto: “ma ha senso prendere decisioni sul portafoglio sulla base del “momento” in cui ci troviamo e delle valutazioni? Cioè che il mercato è caro lo sanno tutti, ma ormai sono quasi 10 anni di fila che l’S&P 500 è considerato caro. Queste informazioni non possono dare un vantaggio competitivo all’investitore perché lo sanno tutti. Come si fa a sapere quando il mercato diventa TROPPO caro. Era caro nel 2014 con il Cape ratio a 27. È stramega caro oggi con il Cape ratio a 35-36 quello che è. Con il senno di poi sarebbe stato un delitto alleggerire l’azionario 10 anni fa. Eppure il mercato poteva dirsi oggettivamente sopravvalutato anche allora. Chi dice che oggi queste valutazioni sono il segnale definitivo che bisogna vendere”.
Insomma, il mio era un commento indirizzato al solito punto.
Non si può fare timing in maniera sistematica.
A volte la imbrocchi, a volte no. Ma fondamentalmente è una questione di culo, non di analisi del mercato.
Comunque la discussione è stata un breve e cordiale scambio — e tra l’altro se l’autore mi sta ascoltando le porte di questo podcast sono aperte per continuare la conversazione — tra la mia convinzione che per il 99% degli investitori sia meglio considerare i mercati efficienti e non provare a fare timing e la sua replica che in realtà sia opportuno seguire le metriche del mercato per ottimizzare il rischio del portafoglio e contenere eventuali tracolli dei portafogli.
Credo però che questa sia una risposta giusta alla domanda sbagliata.
Cioè tu non ottimizzi il rischio del portafoglio perché là fuori il mercato si è fatto caro.
Se il tuo orizzonte temporale è di 5 anni, non investi in azioni né se il mercato è caro, né se è sottovalutato (sottovalutato poi secondo te, perché solo a posteriori scopriamo se era sottovalutato davvero o se poi è andato avanti a crollare per un decennio).
La questione — che poi è forse il tema principale di tutto questo mastodontico podcast — riguarda solo ed esclusivamente l’asset allocation del tuo portafoglio, non il momento di mercato.
Un conto, per esempio, è adattare l’asset allocation ai tassi di interesse, come nella nota formula di cui spesso parliamo qui, perché quelli hanno un impatto sui bond abbastanza meccanico. E comunque senza mai andare a suggerire di fare dentro e fuori dal mercato.
Un altro conto è dire: “se hai 60 anni, in questo momento è rischioso predersi uno storno importante perché la valutazioni sono alte, quindi meglio vendere un po’ di equity”.
No, se hai 60 anni e per te prenderti ad un certo punto un -30, -40% dell’azionario è un problema, non investi in azioni a prescindere dal price earning ratio del mercato.
Ora la prosecuzione di questa discussione non è particolarmente interessante, chi mi segue da 154 episodi sa bene come la pensi e sa anche che il mio pensiero non è un pensiero soggettivo, ma semplicemente il riflesso di tutto quell’enorme filone di accademici e investitori che negli ultimi 60 anni è andato avanti a ribadire: “ragazzi smettetela di provare a battere i mercati e fare timing per tanto non si può fare. Fatevene una ragione e imparate a soffrire”.
I soliti nomi no? Markowitz, Sharpe, Eugene Fama, John Bogle, Burton Malkiel, William Bernstein, Charles Ellis e compagnia bella, ma pure lo stesso Warren Buffett darebbe a chiunque non sia Warren Buffett lo stesso consiglio: non provare a battere il mercato né fare timing. Stai investito il più a lungo possibile e prenditi la tua quota della crescita del mercato in generale. Fine.
La discussione però mi ha fatto capire ancora una volta quanto sia seducente quest’idea di provare a capire quando è “il momento” di fare qualcosa con il portafoglio.
Quando è il momento di rischiare di più.
Quando è il momento di rischiare di meno.
Stampatevi bene in testa questa roba: NON LO SAPRETE MAI.
O meglio: lo saprete solo dopo.
Ma non c’è un modo per sapere se oggi “convenga” esser bullish, spingere sull’azionario, o essere bearish e adottare un approccio più conservativo.
Non è il mercato a dirti sta cosa.
È la tua pianificazione personale, fatto del tuo lavoro, dei tuoi debiti, delle tue spese, della tua psicologia, dei tuoi obiettivi e del tuo orizzonte temporale.
Di qui veniamo al titolo dell’episodio di oggi, ossia quali sono i tra fattori in base ai quali uno deve decidere se aumentare la propria quota azionaria (ossia il proprio livello generale di rischio sistematico) o ridurla.
Come potete facilmente immaginare: nessuno di questi fattori ha a che fare con il mercato.
È irrilevante il fatto che in media le azioni costino 22 volte gli utili dei prossimi 12 mesi.
È irrilevante il fatto che il Treasury Yield sia superiore all’Earning Yield.
È irrilevante il fatto che più di un decimo dell’intero mercato azionario globale sia fatto dalla capitalizzazione di sole tre aziende: Apple, Microsoft e Nvidia.
Questi possono essere tutti segnali d’allarme sul mercato.
Ma, come dire, è come avere un antifurto che suona ogni volta che pensa che ci possa essere un malintenzionato in giro, non quando effettivamente c’è un’infrazione.
È inutile come lo sono le previsioni del tempo di settimana prossima.
Pioverà con un 50% di probabilità — e grazie mille, utile.
I tre fattori realmente importanti sono i seguenti:
– La mia capacità di prendermi rischi;
– La mia volontà di prendermi rischi e infine
– La mia necessità di prendermi rischi.
L’idea, formulata in questi termini, è del grande Larry Swedrow.
Larry Swedrow è un personaggio pazzesco.
Ha scritto tipo 18 libri su tematiche finanziarie.
E’ il Chief Research Officer di Buckingham Strategic Wealth, un’importante società di wealth management.
Scrive degli articoli fantastici su Morningstar e Alpha Architect.
Si è pure inventano un famoso lazy portfolio, molto conservativo, fatto soprattutto di bond e small caps.
Cerco sempre di non diventare invasato per nessuno.
Però devo dire che ogni volta che Swedrow scrive qualcosa, io la leggo e il minuto dopo capisco qualcosa in più.
Sarà perché forse ha quella straordinaria capacità di farti vedere cose note sotto una luce diversa, oltre ad un non banale talento nel riuscire a spiegare cose complesse in maniera relativamente semplice.
Posto che lui è comunque uno piuttosto conservativo, non uno di quelli 100% stocks e via all’avventura, il suo modello di asset allocation basato su questi tre fattori è estremamente potente.
Questo è, tra i vari metodi che ci sono, un modo secondo me perfettamente corretto di pensare all’asset allocation del portafoglio.
Non lo stato del mercato.
Non quale settore sta andando su e quale giù.
Non come è messo Saturno rispetto a Venere o dio solo sa quale altro proxy vogliamo usare per cercare di prevedere il futuro.
Il suo punto di partenza è abbastanza classico — e da lì non si scappa.
Il tuo orizzonte temporale.
Lui in pratica propone uno schemino che associa l’orizzonte temporale alla quantità di azioni da avere in portafoglio.
– Il tuo orizzonte temporale va da qui a 3 anni? Allora la % di azioni da avere in portafoglio è ZERO.
– Da 20 anni in su può essere anche 100%
– Ovviamente in mezzo ci sono diverse gradazioni: sui 10 anni lui suggerisce 60%.
Attenzione una cosa.
Se io faccio un pac da qui al 2045, quindi per i prossimi 20 virgola qualcosa anni, questo non significa che ho un orizzonte temporale di 20 anni.
Solo i soldi che metto nel primo anno hanno un orizzonte di 20 anni.
Quando mi trovo nel secondo anno l’orizzonte sarà di 19.
Quando mi trovo al decimo anno, l’orizzonte sarà di 10.
Quando mi trovo al 19esimo anno, se davvero tutti i soldi nel mio portafoglio per qualche motivo mi servono l’anno dopo, il mio orizzonte temporale è 1 anno.
L’asset allocation va quindi sempre adattata di conseguenza.
Chiarito questo, lui dice: il patrimonio che vuoi investire oggi ti sta bene che resti allocato per i prossimi 20 e passa anni? Benissimo, 100% azionario, altrimenti cala in base come abbiamo detto.
E fin qui niente di che.
A questo punto subentrano i tre criteri.
PRIMO CRITERIO: la tua capacità di prenderti rischi.
Questo ha tanto a che fare con la tua situazione finanziaria in generale e in particolare con la tua fonte primaria di reddito.
Sei un dipendente a tempo indeterminato in una solida società, con una buona retribuzione su cui puoi contare a lungo termine? In questo caso il tuo lavoro è prevedibile come se fosse un bond e tu puoi permetterti di confermare l’asset allocation del punto precedente, o forse addirittura aumentarla.
Sei un imprenditore o un libero professionista?
Ecco in questo caso i tuoi redditi saranno estremamente variabili, esattamente come il rendimento azionario.
Pertanto dovrai attenuare la tua assunzione di rischio perché c’è già il tuo lavoro che si porta dietro un certo livello di instabilità e volatilità.
Larry non dice di quanto.
Lo chiamo per nome perché dire ogni volta Swedrow mi fa male la mascella.
Non dice quanto.
Dice: valuta la situazione, quanto sono instabili i tuoi redditi e attenua il profilo di rischio del tuo portafoglio di conseguenza.
A questo si va aggiungere naturalmente il livello di debito e il costo generale della vita.
Se abiti a Milano, ogni mese la tua famiglia spende 10.000 € e hai due mutui sopra la testa, chiaramente la situazione è molto esposta. Finché guadagni bene nessun problema, se si chiude il rubinetto del reddito il problema si presenta immediatamente
Se invece vivi in una città meno cara, avete uno stile di vita frugale e non hai neanche un mutuo, l’impatto di una riduzione del reddito sarà minore — e quindi maggiore il rischio che il tuo portafoglio può permettersi.
SECONDO CRITERIO: la volontà di prendersi rischi.
Lui dice: ammettiamo anche che tu abbia una fonte di reddito stabile e un costo della vita basso, poche esigenze di liquidità nell’immediato e tutto messo al posto giusto per avere un portafoglio con una forte esposizione azionaria.
Ma siamo sicuri che tu psicologicamente te lo puoi permettere?
Il punto qui sta nel bilanciamento tra l’ottimizzazione del tuo rendimento a lungo termine e la qualità del tuo sonno la notte.
Il suo suggerimento quindi, che è una versione un po’ più conservativa di un’idea proposta anche da William Bernstein, è di prendere la perdita massima del tuo portafoglio, in termini percentuali, che sei disposto a tollerare senza sbroccare e adattare l’equity allocation di conseguenza.
Non dà una vera e propria formula fissa, però la sua idea più o meno è questo:
– Se al massimo puoi tollerare una perdita del 10%, non mettere più del 10% del portafoglio in azioni;
– Se puoi sopportare una perdita anche del 60%, allora 100% in azioni va bene.
– Se il massimo che puoi tollerare è una perdita del 30%, allora 50% in azioni.
Vedete che non c’è proprio un coefficiente fisso, la scala sarebbe leggermente esponenziale, perché il coefficiente sarebbe 1 all’inizio (10% di perdita 10% di azioni) e poi 1,66 alla fine (60% di perdita, 100% azioni).
In mezzo andate un po’ a occhio.
Il tutto si basa sui dati storici.
Quando ha perso al massimo l’azionario nel dopoguerra?
Più del 50% durante la great financial crisis, benissimo, sappiamo che quella, ad oggi è la perdita massima che ti dovrai accollare, quindi fino a 60% di perdita sopportabile va bene investire solo in azioni.
Un portafoglio 60/40 quanto ha perso al massimo?
Più del 30%, anche questo tra 2008 e 2009.
Ottimo, allora sappi che se puoi sopportare fino al 40% di perdita, il 60/40 va bene per te.
E così via.
TERZO CRITERIO: la necessità di prendersi rischi.
La necessità è chiaramente legata ai tuoi obiettivi.
Spieghiamola con un esempio.
Ammettiamo che tu possa investire 500 € al mese e che tra 10 anni vuoi avere un patrimonio investito di 100.000 €.
Per semplicità di calcolo escludiamo che tu possa aumentare il tuo investimento mensile e ignoriamo il rischio di sequenza.
Non è che hai molte alternative.
Devi per forza investire il 100% dei tuoi soldi nel mercato azionario, probabilmente nell’S&P 500 e farti il segno della croce, perché ti serve un rendimento medio annualizzato del 10% perché il tuo PAC raggiunga 100.000 € nel 2034.
Se usi un 60/40 che dovesse rendere, che so, 6% in media, mi spiace ma ti fermerai ad 82.000 €, più o meno.
Quindi se per i tuoi obiettivi è necessario raggiungere un certo traguardo in un certo tempo, sarai chiamato a fare due cose:
– O a prenderti maggiori rischi; oppure
– Ad aumentare il tuo reddito.
Nell’esempio precedente, infatti, arriveresti sempre a 100.000 € con un portafoglio più conservativo solo aumentando la quota di investimento mensile di appena 110 € al mese.
Se trovassi il modo di passare da 500 € al mese a 610 € al mese arriveresti allo stesso risultato finale con una frazione del rischio.
Se però questa possibilità non ce l’hai perché hai già saturato al massimo ogni possibilità di spremere ulteriormente il tuo risparmio, ti prenderai tanto rischio quanto per te sarà necessario prenderne in funzione dei tuoi obiettivi.
Capito?
In funzione dei tuoi obiettivi?
Non in funzione del price-earning ratio?
Okie dokie?
Mettiamo insieme i pezzi:
– Abbiamo il punto di partenza, la percentuale di asset azionari in base all’orizzonte temporale;
– Poi abbiamo il primo criterio, la mia capacità di prendermi più o meno rischi in base alle fonti di reddito che ho, alle spese che devo sostenere e al livello generale di indebitamento;
– Abbiamo quindi la mia capacità di sopportazione del rischio e infine
– Abbiamo le mie esigenze di prendermi certi rischi rispetto agli obiettivi.
Il rischio che mi posso prendere, che mi voglio prendere e che mi devo prendere.
Questi tre criteri possono però essere in conflitto tra loro.
Potrei avere un lavoro stabile che mi consente tanto rischio, ma una bassa sopportazione della volatilità.
Oppure potrei avere un’alta sopportazione della volatilità ma nessun particolare motivo per prendermi grossi rischi.
Oppure ancora potrei avere un lavoro instabile, ma ciononostante uno stomaco di ferro e l’esigenza di far correre i miei investimenti il più velocemente possibile.
Qualunque combinazione venga fuori, la regola d’oro di Larry è che comanda il criterio che porta alla minor assunzione di rischio.
Ho un lavoro instabile ma me la sento? Fa niente, poche azioni.
Ho un lavoro stabile ma non me la sento? Poche azioni.
Ho bisogno di raggiungere un certo risultato di patrimonio tra 10 anni ma mi cago addosso se il mercato fa -20%? Poche azioni.
Ho un lavoro stabile, la volatilità mi fa una pippa e voglio diventare ricco il prima possibile costi quel che costi? Dio ti benedica 100% in azioni e sii felice.
Chiaro il meccanismo.
Ecco.
Adesso parliamo di cosa hanno fatto i vari indici a ottobre e di quel che ci può aspettare.
Ma il 90% delle decisioni che prenderete sempre sul vostro portafoglio devono seguire uno schema di questo tipo e sti gran cazzi che il mercato è caro, economico, sopravvalutato, sottovalutato, in bolla o quant’altro.
La vostra situazione personale, psicologica, professionale e i vostri obiettivi contano infinitamente di più di qualsiasi altra metrica.
Veniamo a cosa è successo nel mondo della finanza in questo caldo ottobre che sembra più maggio in realtà, visto che sto scrivendo quest’episodio da Milano in pantaloncini.
Come di consueto, ci baseremo sugli ETF europei ad accumulazione che tracciano i vari indici, salvo dove diversamente specificato.
S&P 500: +2,65% a ottobre, per un totale quasi commovente di +23,43% da inizio anno. Bisogna però dire che la crescita a ottobre è tutta dovuta al cambio, perché con il rendimento dei Treasury che è salito, il dollaro si è rafforzato (o vai sapere per quale altro motivo). In dollari, invece, l’S&P ha lasciato per strada un punto percentuale tondo tondo.
A sto giro, investire in Euro ci ha fatto gioco.
Tra l’altro dopo la batosta di giovedì 31, venerdì c’è stato un mezzo rimbalzo, quindi il dato year to date se includiamo anche il 1° novembre è pure più alto.
Andiamo al mondo sviluppato.
MSCI World: +1,35% ad ottobre, +19% da inizio anno.
In pratica l’MSCI World è un S&P 500 che deve prendersi cura dei danni che fanno i mercati europei e il Giappone come vedremo subito.
Cmq anche qui, a volte strappa una lacrima vedere la bellezza di una crescita di questo tipo.
Nulla dura per sempre, sia chiaro, ma finché dura eh godiamocela.
L’MSCI World, in euro, è cresciuto di oltre l’80% in 5 anni, 5 anni peraltro con dentro una pandemia globale è quel disastro che è stato il 2022.
Dal 2009 ad oggi, invece, siamo praticamente a +500%. Un rendimento medio annuo del 12,5%.
Dicevamo l’Europa.
Non è stato decisamente un buon mese.
Non che sia successo qualcosa di particolare, ma soprattutto i mercati Francese e Tedesco hanno avuto un mese sottotono, con un pesante tonfo il 31 ottobre in scia, tanto per cambiare, a quel che stava succedendo a Wall Street.
Morale:
– Lo Stoxx 600 ha lasciato giù un punto percenutale, portando il risultato dell’anno a +11%
– L’eurostoxx 50 ha fatto particolarmente schifo, -3,48% a Ottobre, dove cali piuttosto marcati come quello del colosso del lusso LVMH si sono fatti piuttosto sentire e +10% da inizio anno
– Per una volta non è l’italia la responsabile dei mali d’europa, anzi. Il FTSE MIB conferma la sua grande annata, forte soprattutto del fatto che l’indice ha molti titoli bancari, e siamo a +17% da inizio anno, contro il +2 e mezzo percento scarso del CAC 40 francese.
– Anche il Giappone non ha brillato e qui ha pesato un po’ anche un indebolimento dello Yen, comunque quasi -3% a Ottobre e risultato da inizio anno a circa +7 e mezzo percento.
– Sui mercati emergenti per il momento l’effetto Cina non ha dato altri sussulti, -1,7% a ottobre, +13% da inizio anno.
Spostiamoci sul fronte obbligazionario.
– Bloomberg Euro Aggregate Treasury, titoli governativi area euro, -1% a ottobre, +1% da inizio anno; e il motivo si capisce più chiaramente parlando dell’indice successivo che è
– Bloomberg Euro Government Bond 15-30 anni, -1,59% a ottobre, per via del fatto che i rendimenti sulla parte lunga della curva obbligazionaria sono saliti, e -1,21% da inizio anno.
Ricordiamoci sempre che le obbligazioni governative, in particolare quelle di area euro, sono praticamente flat quest’anno perché avevano fatto una grande corsa in particolare negli ultimi 3 mesi del 2023, quando il mercato di botto aveva prezzato tutta una serie di tagli dei tassi di interesse.
Per esempio il Bloomberg Euro Aggregate, cioè obbligazioni governative in Euro a scadenza intermedia, come abbiamo detto sono praticamente piatte da inizio anno, ma negli ultimi 12 mesi, quindi da novembre 2023 a ottobre 2024, sono su di quasi l’8%.
L’altro, quello sulle lunghe scadenze, è su nei 12 mesi addirittura del 14%, anche se nell’anno solare 2024 è leggermente in negativo.
Dei Treasury abbiamo già detto in apertura.
Chiudiamo, come da tradizione, con il biondo metallo, sempre più superstar.
È quasi imbarazzante dire che anche a ottobre è cresciuto — ed è cresciuto, grazie al boost del cambio euro dollaro, del 7,52%, portando il risultato da inizio anno a +35%.
Negli ultimi 12 mesi, S&P 500 e oro hanno avuto la stessa identica crescita.
+35% entrambi.
Se guardiamo però gli ultimi 3 anni, l’oro batte l’S&P 500 +65% contro +39%.
Se andiamo indietro fino al 2011 invece, da allora l’S&P è cresciuto di quasi il 600%, mentre l’oro di un ben più modesto + 140%.
È interessante notare, tuttavia, che mentre oro e azioni hanno una correlazione praticamente nulla e hanno avuto sorti praticamente sempre alternate, questi ultimi 12 mesi sono probabilmente l’unico anno nella storia in cui S&P 500 e oro hanno avuto la stessa crescita, peraltro estremamente vigorosa.
Questo per dire, ancora una volta, che per quanto studi la storia di ciascuna asset class, alla fine ogni anno il mercato fa un po’ il cazzo che gli pare senza particolari motivi esplicativi.
Abbiamo detto tutto no.
Ragazzi che dire?
Mercoledì 6, oltre che con il nuovo episodio di The Bull, ci sveglieremo con un nuovo presidente degli Stati Uniti — e lì si aprirà un nuovo capitolo della storia del mondo.
Vi ringrazio per l’ultima volta durante l’era di sua anzianità Joe Biden, ci mancherai vecchio nonnetto squinternato che ha pensato bene di dire che gli elettori di Trump sono “garbage”, spazzatura, salvo poi il suo staff che ha corretto il tiro chiamando in causa il genitivo sassone e dicendo che lui intendeva che il discorso di Trump era “garbage” non gli elettori…
Se va beh…
Care amiche e cari amici, mi si riempie il cuore di gioia pensando che in meno di un anno e mezzo sono stati ascoltati oltre 5 milioni di episodi e che oltre 300.000 persone hanno ascoltato almeno una volta nella loro vita la mia voce.
Eh lo so, ci sarebbe di meglio, ma che volete.
Tra l’altro qualcuno mi ha scritto che ho la stessa voce di Marco Casario e che l’episodio con lui sembrava un monologo… mah…
Considerazioni timbriche a parte, grazi mille a ciascuno di voi per l’affetto con cui mi seguite per i fiumi di messaggi con cui mi intasate instagram e LinkedIn, però per ora ce la sto ancora facendo a rispondervi, basta che non mi mandate vocali da 10 minuti o pipponi più lunghi di una tesi di laurea.
Come sempre, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che come suggerisce il buon Larry potete ascoltare, volete ascoltare e dovete ascoltare sempre nuovi!
Per questo episodio è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo episodio dedicato ad un tema che non vi spoilero ma molto interessante soprattutto per gli appassionati di dividenti, sempre qui naturalmente con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025