I Rischi che vogliamo, possiamo e dobbiamo prenderci

Il rischio è croce e delizia dell'investimento. E il principale fondamento del rendimento e la sua minaccia più grande. Per il nostro successo finanziario a lungo termine è vitale capire quali rischi siamo disposti a, siamo in grado di e siamo obbligati a prenderci.

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I Rischi che vogliamo, possiamo e dobbiamo prenderci
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

178. I Rischi che vogliamo, possiamo e dobbiamo prenderci

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Risorse

Punti Chiave

Il rischio è centrale: è la probabilità di perdita o di non raggiungere obiettivi, non solo volatilità.

Senza rischio non c'è rendimento atteso.

La tua asset allocation deve bilanciare il rischio che vuoi, puoi e devi prendere per i tuoi obiettivi finanziari a lungo termine.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

Sarà che andando avanti con l’età uno comincia a diventare più pessimista, sarà la mia nuova dimensione professionale che da un po’ ha lasciato le certezze del dipendente a tempo indeterminato per le incognite imprenditoriali, insomma, sarà per quello che volete, ma se quando ho iniziato ad approfondire seriamente tutta sta pappardella qua della finanza il mio focus principale era il RENDIMENTO, quanto si potesse guadagnare nel lungo termine investendo correttamente, beh… più vado avanti, più la parola chiave della mia vita da investire è RISCHIO.

Ripeto spesso una cosa — tra le tante che ripeto spesso anche perché la memoria è quella che è e dopo quasi 180 episodi qualcosa me la dimentico — e questa cosa, che è anche il tema di un capitolo del mio libro, è che la ricchezza a lungo termine che riusciamo a costruire è una funzione di sole tre variabili:

– Tempo

– Risparmio e

– Rendimento.

Tante tante tante volte penso di aver detto che, puoi girarla come ti pare, ma alla fine il grosso della questione è investire il prima possibile (TEMPO), il più possibile (RISPARMIO) massimizzando il RENDIMENTO atteso.

Massimizzare il rendimento atteso però vuol dire farlo in relazione al RISCHIO che siamo disposti ad assumerci.

Il Rendimento e il rischio sono due facce imprescindibili della proverbiale medaglia.

Non c’è rendimento senza rischio.

Cioè è alla base di come funziona l’economia.

Se fosse possibile estrarre del rendimento da un capitale senza rischio tutti lo farebbero.

Se non ci fosse un rendimento derivante dall’impiego di capitale di rischio nessuno lo farebbe.

Serve invece un equilibrio tra rischio e rendimento per la struttura finanziaria di un’economia capitalistica funzioni.

Ora, poniamoci ancora una volta una domanda che spesso abbiamo sollevato: che cos’è il rischio?

Quando ho bisogno di punti fermi, di inquadrare certi concetti con una chiarezza cristallina e di una semplicità disarmante, spesso finisco sui memo di Howard Marks.

Qualche mese fa fece un video dal titolo “How to think about risk”, che vi consiglio caldamente e che vi linko in descrizione, nel quale ha sviscerato tutta una serie di considerazioni tanto semplici quanto fondamentali sul tema del rischio negli investimenti.

In sintesi, cosa dice.

Dice intanto che il rischio non è solo volatilità, come è diventato paradigma comune nella finanza classica, o perlomeno quello che ha le sue radici nell’Università di Chicago dove sono passati titani come Merton Miller, Franco Modigliani e ovviamente Eugene Fama.

Il rischio è anche volatilità, ma dal punto di vista dell’investitore è soprattutto la probabilità di incorrere in una perdita.

Quindi la prima cosa che dobbiamo avere in mente è che il rischio in cui ci imbattiamo quando investiamo non è solo quello di una “fluttuazione dei prezzi”, quanto piuttosto la possibilità di ritrovarci con meno soldi di prima — e questo deve portarci a prendere una serie di contromisure di buon senso.

E io aggiungerei.

Non è tanto il rischio di perdere soldi in senso assoluto. Diversamente da Marks, che ha fatto una fortuna investendo in obbligazioni high-yield, noi non investiamo in singoli titoli.

Investendo in ampi indici di mercato, è più probabile accusare perdite temporanee che non permanenti (a meno che uno venda durante un bear market).

Il rischio vero è quello di non raggiungere i nostri obiettivi, come nella teoria comportamentale di cui abbiamo parlato negli episodi sul goal based investing.

Se ho un portafoglio con rendimento atteso del 7% e da qui a 10 anni mi serve che come minimo renda il 6% per un certo obiettivo di vita, non posso escludere il rischio che a quel minimo non ci arrivi proprio.

E se fallisco quell’obiettivo, magari non ho perso soldi, ma ho comunque un grosso problema nella mia vita reale.

Ma il rischio non è solo questo, ci sono altre tipologie di rischio.

Per esempio, c’è il rischio di perdersi delle opportunità.

C’è il rischio di assumersi troppo poco rischio rispetto agli obiettivi della nostra pianificazione.

E c’è infine il rischio di avere un orizzonte temporale disallineato rispetto al tempo di investimento in cui ci siamo imbarcati — come dire: investimento giusto, tempi sbagliati.

Il rischio è sempre presente nell’investimento — e oserei dire nella vita in generale, anche se non ce ne accorgiamo perché noi, in quanto persone, non siamo quotati in una borsa pubblica ogni singolo giorno, quindi non conosciamo le nostre fluttuazioni di valore nel tempo.

Dicevo il rischio è sempre presente ed è una caratteristica ineliminabile dell’investimento.

Appunto: senza rischio, non c’è rendimento.

Convenzionalmente in finanza esiste un livello di rischio minimo chiamato risk-free-rate, che è il tasso di interesse senza rischio (benché non esista niente che sia in senso assoluto SENZA rischio) minimo a cui possiamo investire i nostri soldi.

Questo tipicamente è l’investimento in titoli di stato a breve scadenza.

Tutto ciò che presuppone invece un’assunzione di rischio superiore a questi, quindi Titoli di stato a lunga scadenza, obbligazioni societarie, obbligazioni high-yield, azioni di grandi società, azioni di piccole società, azioni di piccole società value e così via — tutti questi richiedono un rendimento in eccesso.

Tutta la baracca della finanza gira intorno al modo in cui provare ad ottenere questo excess return, questo rendimento in eccesso rispetto a ciò che convenzionalmente definiamo senza rischio.

Però allo stesso tempo la relazione tra rischio e rendimento non è esattamente biunivoca.

Se non può esserci rendimento senza rischio, e questo è verissimo, il contrario invece non è del tutto vero.

Il fatto di assumersi più rischio non significa necessariamente che conseguiremo un maggior rendimento.

E questa è una delle cose più fraintese quando uno pensa a come strutturare il proprio portafoglio.

Vi ci ritrovate?

Non vi capita mai di dire: “no, investo in questo invece che in quello. Mi prendo più rischio, ma così guadagno di più”.

Eh…

Sì e no.

Teoricamente sì.

In pratica… dipende.

A proposito di rischio — piccola parentesi — io oggi ho questo problema.

Dovevo fare la pubblicità al nostro sponsor NordVPN.
E allora mi sono detto, perfetto!

Oggi parlo di rischio, NordVPN serve per non correre rischi quando navighi, soprattutto quando devi connetterti in giro a reti pubbliche.
Inoltre ti protegge dal phishing, da siti fraudolenti, da malware e da un sacco di minacce che ci sono sul web, cioè praticamente il gancio con l’episodio si crea da solo.

Non so avrei potuto dire che se la navigazione sul web è come investire in azioni, NordVPN è come i titoli di stato che mitigano i rischi del portafoglio.

Avrei potuto dire che NordVPN ti avvisa se la tua e-mail finisce sul darkweb, che è una cosa pericolosa quasi quanto fissare un appuntamento in banca per una consulenza finanziaria.

A quel punto basterebbe dire di andare su www.nordvpn.com/thebull oppure sul link nella descrizione dell’episodio per attivare l’abbonamento a nordvpn con uno sconto atomico, 4 mesi in regalo e 30 giorni soddisfatti o rimborsati.

Però niente, oggi non mi è venuta l’ispirazione, quindi niente pubblicità, mi spiace la farò un’altra volta.

Quando si parla di azioni, in particolare, questa cosa qua per cui il fatto di rischiare di più richiede un maggior rendimento si chiama Equity Risk Premium, cioè il rendimento supplementare che mi aspetto di ottenere rispetto ad un investimento che posso considerare ragionevolmente risk-free.

Tecnicamente il risk-free-rate sarebbe il tasso di interesse a breve termine, che solitamente è legato direttamente ai tassi d’interessi definiti dalla banca centrale, ma quando si parla di azioni, che presuppongono un orizzonte d’investimento convenzionalmente più lungo, si usano spesso i titoli di stato decennali, per avere una duration grosso modo paragonabile.

Il grande e venerabile Ed Yardeni, che ogni tanto citiamo, è stato colui che ha popolarizzato il cosiddetto Fed Model, ossia l’idea di considerare la valutazione del mercato azionario confrontandola con il rendimento dei Treasury a 10 anni.

Si prende il rapporto medio ponderato tra gli utili e i prezzi delle società dell’S&P 500, che come sappiamo si chiama Earning Yield, che è l’inverso del price to earning ratio, e gli si sottrae il rendimento del decennale americano.

Ripeto:

– Si prende l’Earning Yield, cioè utili diviso prezzo, che è un modo per dire “quanto rende 1 dollaro investito nell’s&p ad un certo prezzo” e da questo

– Si sottrae il rendimento dei titoli a dieci anni.

Oggi L’S&P 500 ha un forward price to earning ratio, cioè un rapporto tra prezzo medio e utili per azione medi previsti nei prossimi 12 mesi di circa 22.

L’inverso, 1 diviso 22, ci dà l’earning yield, cioè il rendimento implicito dell’investimento nell’S&P 500, che fa 4,3%.

Siccome in questi giorni il decennale americano rende intorno al 4,6%, praticamente il premio al rischio azionario è negativo.

In realtà questa formula va presa un po’ con le pinze per due motivi:

– Il PRIMO è che l’earning yield non tiene conto dell’apprezzamento del valore capitale delle azioni, ma solo del rendimento che ne deriva se tutti gli utili fossero distribuiti come dividendi.

– Il SECONDO motivo è che siccome il rendimento dei bond è nominale, l’earning yield, che in qualche modo è una misura del rendimento REALE dell’investimento azionario, visto che i profitti futuri delle società vengono adeguati all’inflazione, andrebbe raffrontato ai tassi reali, non a quelli nominali.

Se è vera soprattutto questa seconda cosa, il premio al rischio oggi non è negativo. L’inflazione in America è intorno al 2,9%, quindi il rendimento reale dei Treasury è 4,6-2,9 uguale 1,7%.

L’earning yield è 4,5, quindi 4,5-1,7 uguale 2,8%, cioè il mercato, secondo questo ragionamento paga un premio di 2,8 punti percentuali per chi si accolla il rischio di investire in azioni invece che in titoli di stato.

È basso rispetto alla media storica perché le valutazioni sono molto alte, ma non negativo.

Comunque al di là di questo la cosa importante da ricordare qui è che Equity Risk Premium, il premio al rischio dell’investimento azionario, si chiama così perché cè il premio ma contempla un rischio.

E questo rischio non è un modo di dire.

Rischio è la possibilità che ci sia una divergenza tra il risultato atteso e il risultato reale.

Investire in azioni è rischioso.

Se non fosse rischioso, non avrebbe un rendimento atteso diverso da quello di un fondo monetario o di un titolo di stato tripla A.

E voi mi potreste dire: “sì però ci hai sempre detto che su orizzonti molto lunghi, oltre i 10 anni, l’investimento azionario è sempre stato positivo”.

Vero, però ci sono dei ma.

– Il PRIMO è che mi sono sempre riferito all’S&P 500, mentre ci sono mercati che hanno vissuto periodi anche molto più lunghi di depressione, si pensi al Giappone con il Nikkei che dal picco del 1990 è ritornato a quel livello NOMINALE, non reale, solo nel 2024, 35 anni dopo.

– Il SECONDO è appunto che se guardiamo i valori REALI, cioè considerando l’apprezzamento reale del nostro investimento azionario, la storia non è così positiva nemmeno per l’S&P 500.

Per esempio sono serviti all’S&P 500 14 anni, dal 2000 al 2014, per tornare ai valori reali raggiunti al picco della dot-com bubble.

Ed erano serviti ben 25 anni perché nel 1993 si ritornasse ai valori reali del 1968.

Per non parlare dei 30 necessari perché nel 1959 si ritornasse ai livelli del 1929, quando scoppiò la peggior crisi finanziaria di sempre.

E se proprio vogliamo farci del male, invece di guardare i massimi possiamo guardare i minimi.

Sempre in termini reali, il valore dell’S&P 500 durante il minimo del 1986 era lo stesso del 1929.

Sì, volevo deprimervi un po’ con quest’immagine per cui è possibile che i nostri investimenti azionari non vadano da nessuna parte per 57 anni.

Però adesso vi do anche le buone notizie e vi svelo il barbatrucco.

Le buone notizie sono 3:

– Prima buona notizia: queste brutte statistiche di cui vi ho parlato riguardano l’apprezzamento reale dell’S&P 500 senza considerare i dividendi. Se uno investe in ETF ad accumulazione, i dividendi sono reinvestiti e quindi se consideriamo il total return le cose sono andate sicuramente meglio. Oggi le società americane pagano pochi dividendi, circa l’1%, ma ci sono stati periodi in cui il dividend yield è stato anche del 5-6%, quindi se consideriamo anche i dividendi viene fuori tutta un’altra storia.

– Seconda buona notizia: questi ragionamenti presuppongono sempre che uno investa al picco assoluto di un massimo tutti i suoi soldi e poi non faccia più niente per sempre. In realtà nessuno investe così. Si investe in maniera continua, si fanno i pac, nessuno investe 100% azionario, si fanno i ribilanciamenti, insomma, il rischio di vivere davvero un 15ennio completamente in rosso non è così alto. C’è ma è uno scenario piuttosto estremo e anche in quel caso sarebbe comunque temporaneo.

– La terza buona notizia è che non investiamo in un solo mercato (o meglio, io ve lo dico sempre che bisogna diversificare, poi se volete investire solo negli Stati Uniti fate voi), dicevo non investiamo solo in un mercato, per quanto oggi questo sia molto pensante sul totale, e quindi diversificando limitiamo gli scenari più estremi.
Che so, mentre a inizio anni ’80 gli Stati Uniti non brillavano, il Giappone andava da Dio. Oppure a inizio 2000 quando i mercati sviluppati andavano a scatafascio gli emergenti brillavano.
Diversificare riduce la possibilità di fare performance astronomiche, ma anche il rischio di fare la frittata definitiva.

Detto questo, comunque, il rischio c’è.

Ha tante forme e insidie.

Se vuoi guadagnare di più devi rischiare di più, ma proprio per questo motivo il guadagno NON è garantito.

Abbiamo quindi un primo problema con l’investimento azionario, che appunto è fighissimo perché storicamente molto redditizio, ma lo è perché rischioso “by design”.

Il secondo problema è che è controintuitivo.

Cioè, mi spiego: il successo nell’investimento azionario dipende dal fatto di investire non solo in cose rischiose, ma in cose che sono rischiose in modo controintuitivo.

Questa cosa vi suonerà strana, ma l’abbiamo già detta in mille salse.

Riprendiamo le basi.

Cosa esprime il prezzo di un’azione?

Il prezzo di un’azione esprime il valore presente dei flussi di cassa futuri di una società.

Se voglio investire in una società mi devo chiedere: “che rendimento mi aspetto da questo investimento per compensare il rischio che mi sto assumendo?”.

Faccio tutti i miei conti, do un senso alla svagonata di soldi che ho speso per il mio MBA e tiro fuori un file excel con i fiocchi che mi dice che quel business dovrebbe generare, che ne so, 5 € di utile per ogni azione in mio possesso.

Ora però io potrei investire i miei soldi in un comodo e sicuro titolo di stato che mi rende il 4%.

Quindi per compensare il maggior rischio che mi devo prendere investendo in quel business io devo pretendere che il mio investimento renda almeno, sparo numeri a caso, il 10% – e questo è quel che solitamente viene chiamato tasso di sconto, discount rate.

Di conseguenza il fair value, il prezzo che posso considerare adeguato per acquistare le azioni di quella società è 5 (l’utile per azione) diviso 10%.

Ovviamente è una semplificazione perché sto supponendo che quella società farà per sempre 5 € di utile per azione.

Cmq 5 diviso 10% fa 50 €, quindi a 50 € sono risposto a comprare quell’azione.

Se invece fossi disposto ad accettare un rendimento inferiore, per esempio l’8%, allora sarei disposto a comprare l’azione anche a 5 diviso 8% 62,5 €.

Se infine mi bastasse un premio al rischio minimo, quindi mi va bene un rendimento del 5%, solo di un punto superiore a quello dei titoli di stato, allora sarei disposto a comprare quell’azione anche a 5 diviso 5% uguale 100 €.

È chiaro che questa è una semplificazione estrema, perché un analista fa valutazioni molto più complesse prima di decidere se una certa azione sia un “BUY” o un “SELL” — e comunque non ci prendono quasi mai neanche loro, però in sintesi diciamo che il ragionamento di base è questo.

Da qui capiamo due cose.

– La prima è perché diciamo spesso che con valutazioni molto alte il rendimento futuro, perlomeno quello atteso, è inferiore. Se il prezzo medio delle azioni dell’S&P rispetto agli utili è più elevato, implicitamente il rendimento atteso si abbassa, perché vuol dire che nelle valutazioni sono già prezzati degli utili futuri importanti e quindi servirà una crescita ancora più elevata degli utili futuri per vedere i prezzi salire ulteriormente.

– La seconda cosa è che il rendimento atteso, il tasso di sconto, non è che lo decido io, ma in qualche modo è una funzione del rischio. Se non sono una persona con curiose tendenze masochistiche, naturalmente mi aspetto di guadagnare di più da un rischio più elevato che non da uno inferiore.

Questa cosa è evidente per esempio nelle scommesse sportive.

Il mercoledì successivo all’uscita di quest’episodio il Real Madrid giocherà contro il Salisburgo.

Con tutto il rispetto per il Salisburgo, sono andato a guardare su un sito di scommesse a caso e non è sorprendente che la vittoria del Real Madrid sia pagata a 1,06 mentre quella del Salisburgo a 20.

Ora la cosa che bisogna capire è che, dal punto di vista di quello che in finanza chiameremmo risk-adjusted-return, scommettere sul Real Madrid o sul Salisburgo (o sul pari, che è dato a 9 e qualcosa) è assolutamente indifferente.

Cioè il mio guadagno, in proporzione al rischio che mi devo prendere (perlomeno rispetto all’opinione generale del mercato — e pure quello delle scommesse è piuttosto efficiente) — è identico.

Qual è la differenza?

Che scommettere sul Real Madrid è come comprare un’azione molto costosa, con un price / earning ratio molto elevato, perché nel prezzo è già inclusa l’idea comune che il Real Madrid sia immensamente più forte del Salisburgo, esattamente come il mercato pensa che Apple, Microsoft, Nvidia ecc. siano società talmente forti e profittevoli che il loro prezzo rispetto agli utili non può che essere elevatissimo.

Scommettere sul Salisburgo equivale invece a investire in una società Small Value, cioè una società che per definizione rappresenta un investimento rischioso perché è più piccola e perché ha un basso prezzo rispetto al suo valore contabile, e questo basso prezzo ce l’ha perché il mercato non gli attribuisce una prospettiva particolarmente rosea per quanto riguarda i profitti futuri?

Chiaro?

Una cosa che non è sempre evidente a tutti coloro che si approcciano al mondo degli investimenti e dato per assodato che in linea di principio i mercati sono efficienti — o che perlomeno sono efficienti per quel tanto che riguarda noi comuni mortali, nel senso che se ci sono delle inefficienze, quelle le sfruttano i migliori hedge fund e gestori del pianeta che investono milioni di dollari in ricerca e tecnologia, non io povero pirla dalla mia cameretta con l’app di trading online in mano — ecco dicevo, se i mercati sono efficienti ciò che molti non afferrano subito è che tutti gli investimenti che io posso fare hanno lo stesso risk-adjusted return.

Investo in cose più rischiose, mi aspetto un guadagno maggiore.

Investo in cose meno rischiose, mi aspetto un guadagno minore.

Questo ovviamente non significa che tutti gli investimenti rendono uguale.

Anzi!

Significa però che, per quello che ne sappiamo in un qualunque momento x, il mercato prezza equamente il rapporto tra rischio e rendimento di tutte le secruities quotate.

Questa cosa è dura da digerire, però ragazzi fatevene una ragione.

È così.

Se così non fosse, ci sarebbero degli investi più “ovvi” da fare, sarebbe come se la vittoria del Real e quella del Salisburgo fossero pagate allo stesso prezzo. Tutti scommetterebbero immediatamente sul Real e il prezzo si riallineerebbe immediatamente.

Ora perché dicevo che sta cosa del rischio è anche controintuitiva?

Perché se ci pensate, se io vi chiedessi di dirmi di pancia quali per voi sono le aziende migliori su cui puntare mi direste probabilmente le magnifiche 7 o magari Berkshire Hathaway, o JP Morgan, o Walmart o Exxon, oppure in Europa Ferrari, Novo Nordisk, ASML, Nestlé, SAP, Siemens HSBC o quello che volete.

Istintivamente siamo portati a pensare che le aziende migliori rappresentano gli investimenti migliori.

Invece non è così proprio per niente, almeno in termini di rendimento atteso.

Non è un caso che le prime 10 società dell’S&P 500 ogni decennio siano diverse.

Le società che sono cresciute di più per un certo periodo sono quelle destinate a sottoperformare nel periodo successivo.

Il successo di un’azione pianta contemporaneamente i semi del suo futuro insuccesso.

E questo perché non conta solo che una società sia solida, profittevole, con un business model invidiabile e a prova di competitor o qualsiasi altro vantaggio competitivo che vi viene in mente.

Conta il prezzo a cui si compra.

Un’azienda superfiga tipo Apple ha un prezzo elevatissimo rispetto agli utili che genera perché il mercato sa già che Apple è superfiga.

Sa già tutte quelle cose che ci porterebbero a ritenere che Apple sia un buon investimento.

Ma un buon investimento e una buona società sono due cose molto diverse.

Perché l’azione di Apple ha stramegaultra sovraperformato l’S&P 500 negli ultimi 20 anni?

Perché il mercato non aveva scontato ciò che non poteva scontare.

Non poteva anticipare che un’azienda che dagli anni ’70 faceva personal computer ad un certo punto stravolgesse il mondo della musica con l’iPod.

Non poteva anticipare che nel 2007 avrebbe rivoluzionato per sempre il mondo della telefonia, e non solo della telefonia, creando con l’iPhone il prodotto più iconico di un’intera generazione.

Non poteva anticipare che avrebbe lanciato un paio di auricolari che avrebbero fatturato più di interi colossi come Nintendo o eBay.

E via dicendo

Apple è stato una delle azioni più performanti della storia perché ha stupito gli investitori ogni volta, che non avevano prezzato a sufficienza le innovazioni che avrebbe portato.

E lo stesso dicasi per Microsoft, Nvidia, Netflix, Tesla e compagnia bella.

Buffett invece cosa ha scoperto prima di tutti?

Al di là che è un genio e che ha un fiuto straordinario, però Warren Buffett non è uno stock picker.

Semplicemente è stato il primo che ha capito che l’esposizione a certi fattori di rischio, a determinate condizioni, paga un rendimento supplementare.

Buffett investe in realtà che oggi definiremmo a metà strada tra value e quality.

Società con prezzi bassi rispetto al valore contabile ma con utili in crescita, fondamentali forti, elevato ritorno sul capitale e basso debito.

Dagli anni ’50 almeno fa così.

Bisognò aspettare invece fino agli anni ’90 perché Eugene Fama sviluppasse con Ken French il 5 factor model, spiegando che il rendimento azionario è una funzione di beta, il rischio di mercato, e dei fattori Size, Value, Profitability e Investment.

Perché storicamente la Large Cap Growth hanno reso meno delle Small Cap Value, o in generale perché Growth ha reso meno di Value?

Perché il mercato ha prezzato la “crescita” delle realtà growth.

Una volta che viene incorporata l’idea che una società abbia solide prospettive di crescita, il prezzo si allinea esattamente come quando il Real Madrid incontra il Salisburgo.

Non sarà una sorpresa se vince.

Sarà una sorpresa, invece, se vincerà 10 a zero.

Ecco, questo il mercato non lo può scontare — sempre per restare nella metafora calcistica.

Per quanto forte, è comunque improbabile che in una partita di Champions una squadra pur fenomenale come il Real vinca 10 a zero e quindi il mercato prezza di conseguenza questa improbabilità.

Per farla breve, l’essenza dell’investimento in asset di rischio, in azioni in primis, è come abbiamo detto tante volte proprio questa sorpresa.

Lo dico in un altro modo: per avere successo quando si investe uno dovrebbe puntare su ciò che si ritiene abbia basse probabilità di successo.

Ma appunto se ha basse probabilità di successo, sarà molto difficile che lo avrà.

Prendersi rischi non basta.

Il rischio è l’unica cosa certa che mi prendo.

Il rendimento invece è tutto da vedere.

Per questa ragione — mi rivolgo a molti tra voi che hanno delle idee dure a morire in testa — dire cose del tipo “credo che la tecnologia, l’AI, la robotica, quel che ti pare sia il futuro, quindi investo in questo o in quello” è un ragionamento che lascia il tempo che trova.

Se tu pensi che le società tech americane siano il futuro, amico mio, mettiti in fila perché sei il 100 milionesimo che ci ha pensato.

Sai chi ci ha già pensato?

Il mercato.

E il mercato ha già prezzato questa cosa.

Too late.

Forse.

Stesso discorso anche per gli amanti dei fattoriali.

Ogni tanto mi sparate dei portafogli pieni zeppi di ETF fattoriali Momentum, Value, Quality, Small Caps, e via dicendo.

E mi dite: “eh guarda cos’hanno fatto negli ultimi 30 anni, hanno spaccato di brutto e sovraperformato il mercato”.

Eh sì, certo.

Altrimenti MSCI non si prendeva la briga di crearli e markettarli affinché tutti vi ci si buttassero.

Ma ricordiamoci sempre che l’esposizione ad un certo fattore ha un rendimento ATTESO superiore perché comporta un RISCHIO superiore.

E rischio non vuol dire solo che l’ETF balla un po’.

Rischio vuol dire rischio.

Vuol dire che quel rendimento extra potrebbe non arrivare mai, a maggior ragione se tutti ci si buttano e il mercato prezza al rialzo quel maggior rendimento atteso.

Se vi ricordate, Fama ci disse che dopo che lui scrisse i paper con French, tutti si sono buttati su Value e da allora l’effetto Value si è diluito.

È ovvio no?

Se tutti pensano che investire in una certa cosa renda di più, automaticamente si riduce la percezione di rischio e quindi il tasso di sconto.

Di conseguenza si sarà disposti a comprare a prezzi più elevati e così facendo l’extra rendimento sistematico che dovrebbe derivarne viene meno.

Bene.

Ora, noi oggi abbiamo due potenziali fonti di rischio.

La PRIMA riguarda il punto a cui siamo arrivati, le valutazioni elevate, insomma tutta quella sensazione di fine ciclo in cui sembriamo trovarci.

Abbiamo detto una miriade di volte che l’S&P 500 ha reso il 10% all’anno, anzi il 10,16% dal 1928 al 2024, secondo i calcoli del professor Damodaran della New York Stern University, che tiene tutti i conti.

Quanto è probabile che questa performance abnorme continui anche nel futuro?

Molto difficile da dire.

Da un lato c’è chi dice: storicamente il rapporto medio tra prezzo e utili dell’S&P 500 è stato intorno a 15 per lungo tempo.

Oggi il rapporto tra prezzo e utili attesi è 23.

Se fai l’inverso del rapporto prezzo utili ottieni l’earning yield di cui parlavamo prima no?

Quindi fai 1/15 e ottieni circa 6,6%, che è il rendimento “da utili” dell’investimento azionario, che peraltro è perfettamente in linea con il rendimento reale, al netto dell’inflazione, dell’indice.

Per arrivare dal 6,6% al 10%, la differenza viene colmata dalla crescita delle valutazioni, ossia da quel US premium, dal fatto che il mercato ha attribuito all’eccezionalismo americano un premio supplementare (vuoi perché è la prima economia del mondo, ha il primato dell’innovazione tecnologica, capitali enormi, il dollaro, mettici tu il mix che preferisci).

Cioè anno dopo anno i prezzi delle azioni sono cresciuti proporzionalmente di più risetto agli utili.

Se oggi però siamo a 23, 1 diviso 23 fa 4,3%.

Hai voglia ad arrivare a 10!

Ad una certa, così sostengono in molti, questa cosa deve convergere indietro, perché le valutazioni non possono crescere all’infinito e perché appunto partiamo già da molto in alto.

Dall’altra parte però c’è anche chi dice.
Tutto vero, ma bisogna anche considerare come è cambiato il mercato.

Siamo passati da un mercato fatto prevalentemente di società capital intensive e con profittabilità relativamente basse, come i colossi dell’auto, dell’industria pesante, dell’energia, a realtà tech e di servizi, con margini di profitto molto più elevati, costi strutturali inferiori e capacità di scalare più velocemente a livello globale.

Sarebbe quindi normale che le valutazioni siano così elevate oggi perché riflettono una corretta aspettativa di una crescita futura che nel passato ci sognavamo.

Allora, a dire il vero, il 95% dei report che trovate in giro vi parleranno della prima ipotesi.

Che è quella per non sbagliare e per non prendersi il rischio di dire una cazzata e passare per il più scemo di Wall Street.

Avrò visto almeno 100 volte solo quest’anno il solito grafichino dove si fa vedere la correlazione tra valutazioni di partenza e rendimenti dei 10 anni successivi e il trend è abbastanza chiaro.

L’Earning yield, o l’inverso del CAPE ratio che si chiama Excess Cape Yield, che è 1 diviso il CAPE ratio, sono i migliori indicatori che abbiamo sui rendimenti di lungo termine.

Perfettamente inutili per fare market timing, perché non ci dicono mai QUANDO il mercato sta per cambiare direzione, ma storicamente attendibili nel lungo.

Sotto questo punto di vista, no good news.

Dall’altra parte c’è sempre il solito discorso che le previsioni funzionano finché non funzionano.

Se consideriamo gli ultimi 100 anni abbiamo solo 10 finestre di 10 anni che non si sovrappongono.

Quindi al massimo abbiamo 10 osservazioni, come si chiamano in statistica.

Purtroppo questo rende l’affidabilità statistica di queste metriche quello che è.

Può essere che abbiano ragione. Può essere che no.

Può essere che stiamo raschiando il fondo del barile, o può essere che in realtà appunto il mercato è cambiato, la composizione dei settori è cambiata, l’AI salverà il mondo ecc. ecc.

Chi lo sa…

Ad ogni modo, la prima fonte di rischio è che, comunque la giriate, le valutazioni sono alte.

E tanto più sono alte e continuano a salire, tanto più aumenta il rischio che vengano giù.

L’altra fonte di rischio è che siamo tutti affetti da recency bias.

Negli ultimi 15 anni hanno dominato in lungo e in largo le large cap tech americane.

Per noi questo è il punto di partenza ovvio.

Allontanarci da qui ci sembra una follia.

Eppure, per tutto il discorso che abbiamo fatto sino ad ora, forse questo è il posto più pericoloso in cui trovarci, proprio perché ci sembra il posto più sicuro in cui parcheggiare i nostri investimenti.

Attenzione!

Non sto dicendo di NON investire nelle azioni tech americane.

Se avete un ETF azionario globale, questo ha il 70% negli stati uniti e il 20% in una manciata di quelle aziende tech.

Lo so benissimo e pure il mio portafoglio ha una bella concentrazione da quelle parti.

Sto solo dicendo che bisogna consapevoli dei motivi per cui certe cose ci sembrano ovvie e anche del rischio in cui potremmo imbatterci, soprattutto per chi decide di concentrare ulteriormente i propri investimenti lì reputandoli la cosa più sensata di questa terra.

Fatto tutto sto giro, vengo al punto dell’episodio.

Il concetto che volevo passare è che il RISCHIO è croce e delizia dell’investimento.

È il motore fondamentale del rendimento, nel senso che il rendimento per definizione arriva proprio là dove viene percepito il rischio maggiore.

Dall’altra parte è la sua minaccia più grande, perché mentre devi prenderti rischi per avere dei rendimenti, allo stesso tempo questi non sono garantiti proprio per niente.

E qui veniamo all’aspetto comportamentale nella composizione del nostro portafoglio.

Credo di aver parlato in passato di quest’idea prendendo le parole del grande Larry Swedroe e vorrei rimarcarla oggi prendendo spunto anche da una cosa che ha detto Christine Benz nello scorso episodio e che non vorrei passasse sottotraccia.

Quando pensiamo al nostro portafoglio ci sono solo TRE tipi di rischio.

– Il Rischio che VOGLIO prendermi, quindi la mia Risk tolerance;

– Il Rischio che POSSO prendermi, quindi la mia Risk capacity, come l’ha chiamato Christine rispetto al mio orizzonte temporale;

– E infine il Rischio che DEVO prendermi, il Risk necessity, rispetto ai miei obiettivi.

Credo che questo schema mentale funzioni meglio di qualunque analisi fondamentale che possiate fare sullo stato dei mercati e degli asset nei vostri portafogli.

PRIMA DOMANDA: quanto rischio sono disposto a prendermi? Se sono disposto a vedere il mio portafoglio scendere al massimo del 20%, difficilmente potrò permettermi più di un 40% di azionario.

Se sono invece disposto a perdere anche il 50% del suo valore, allora anche 100% teoricamente funziona.

SECONDA DOMANDA: quanto rischio posso prendermi, rispetto all’orizzonte temporale dei miei obiettivi? Potrei usare l’approccio goal based e dire: entro quando devo realizzare l’obiettivo X? Ed entro quando l’obiettivo Y? Se l’obiettivo X è da qui ai prossimi 5 anni, probabilmente la quota d’azionario che posso permettermi è zero. Se l’obiettivo Y è tra 10 anni, probabilmente posso osare di avere più di metà in azionario. E così via.

TERZA DOMANDA: quanto rischio devo prendermi per realizzare i miei obiettivi. Se investo 1.000 € al mese per 25 anni quanto deve rendere il mio portafoglio per raggiungere un milione di euro?

L’8,3%.

Probabilmente per raggiungere questo risultato non basta neanche investire solo nell’MSCI World.
La sua media di lungo termine è quella, ma se sono veri i ragionamenti sull’elevata valutazione di partenza degli Stati Uniti, forse serve un portafoglio tiltato verso altri fattori di rischio, magari size e value, che invece stanno facendo schifo da due decenni. O magari sull’Europa, che negli ultimi 25 anni ha fatto meno del 4% di media.

Però, appunto, più rischio, forse più rendimento atteso, ma anche minore probabilità di realizzarlo.

Ecco la combinazione di queste tre prospettive sul rischio ci guida.

Abbiamo il rischio psicologico che ci vogliamo assumere e il rischio oggettivo legato agli obiettivi da raggiungere e al tempo che abbiamo a disposizione.

Se VOGLIAMO prenderci tanto rischio (nel senso che la tolleranza è alta) ma non DOBBIAMO prenderlo, perché per i nostri obiettivi non è necessario, non dovremmo.

Se POSSIAMO prendercelo perché abbiamo un orizzonte lungo, ma non VOGLIAMO perché poi stiamo male la notte, non dovremmo.

Se DOBBIAMO prendercelo e: o non VOGLIAMO o non POSSIAMO, allora forse dovremmo lavorare su altro: sul nostro risparmio, sul nostro reddito, sul resetting degli obiettivi e così via.

Il punto dell’episodio di oggi è che il rischio è l’elemento che va meno sottovalutato nei nostri ragionamenti finanziari.

Va sempre tenuto in considerazione, in quanto è ciò che sostiene il rendimento dei nostri investimenti. Se questi sono andati bene, dobbiamo sapere che così è stato perché ci siamo assunti un certo rischio corrispondente.

E allo stesso tempo va tenuto a mente per il futuro che il livello giusto di rischio non è tanto quello che corrisponde al massimo rendimento che speriamo di ottenere dal nostro portafoglio, quanto la combinazione tra ciò che vogliamo, possiamo e dobbiamo prenderci.

Regret minimization?

Forse.

Ma in fondo noi stessi siamo gli unici a cui dobbiamo rendere conto delle nostre decisioni finanziarie.

Ed essere in pace con noi stessi è senza dubbio la singola cosa più importante.

That’all per oggi, care amiche e cari amici di The Bull.

Spero che l’episodio vi sia piaciuto e che a furia di parlare di rischio non vi abbia messo di cattivo umore.

Ma vi preferisco ricchi e di cattivo umore, piuttosto che spensierati ma poveri.

Prima di lasciarci vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spingono a prendervi rischi ponderati con i vostri investimenti ma in fondo anche a tifare Salisburgo contro il Real sempre nuovi!

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima a parlare dei potenziali danni e delle minacce dell’investimento passivo e pure di tutti i falsi miti che aleggiano su questo tema sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025
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