DeepSeek non è un Cigno Nero e l’Exploit dell’Europa

DeepSeek sarà il Cigno Nero che sconvolge il panorama dell'intelligenza artificiale? Probabilmente no. Nel frattempo la BCE ha tagliato i tassi, la FED no, il premio al rischio sembra scomparso in US e i mercati Europei mostrano segnali di vita. Cosa è successo a Gennaio sui mercati.

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DeepSeek non è un Cigno Nero e l’Exploit dell’Europa
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182. DeepSeek non è un Cigno Nero e l’Exploit dell’Europa

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Punti Chiave

L'annuncio di DeepSeek ha scosso il mercato AI e Nvidia, ma non è un cigno nero.

Potrebbe favorire innovazione a costi ridotti.

I mercati USA mostrano valutazioni elevate ma utili solidi.

L'Europa sorprende con rialzi, spinta da valutazioni basse e attese di tagli BCE.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

La finanza è bellissima.

Se non siete capitati qui per sbaglio per la prima volta — e nel qual caso benvenuti in questa nostra comunità di fanatici — dovete per forza essere d’accordo con me sul fatto che una volta che inizi a capire qualcosa dei mercati e cominci a stargli un po’ dietro, non passa settimana senza che ti riservi qualche sorpresa.

Bella o brutta, sono punti di vista.

Però non ci si annoia mai.

Parola di uno che sta registrano l’episodio 182 di questo podcast e che peraltro il più delle volte non parla nemmeno di attualità.

Se lo facessi dovrei fare 2 episodi al giorno, altro che alla settimana.

Non parlo spesso di attualità, però colgo l’occasione del consueto recap del mese appena chiuso per parlare dell’evento dell’anno, di questa clamorosa svolta nel panorama dell’intelligenza artificiale che ha sparigliato le carte in maniera inaspettata.

Per chi abitasse in una caverna o fosse appena tornato da un viaggio in catamarano intorno al mondo senza connessione ad internet, mi sto riferendo al fatto che una società cinese fondata dal proprietario dell’hedge fund high flyer Liang Wenfeng se ne è uscito nel weekend con un competitor di Chat GPT, Claude e di tutti i modelli di intelligenza artificiale generativa che conoscevamo che offre, sembra, prestazioni paragonabili se non addirittura superiori, ma con dei costi immensamente più bassi.

L’innovazione sarebbe straordinaria perché DeepSeek appunto avrebbe utilizzato chip meno avanzati di Nvidia e richiederebbe una capacità computazionale estremamente più limitata per funzionare.

Questa cosa ha sconvolto i mercati lunedì perché di primo acchito ha demolito la narrazione dominante sull’AI, ossia che l’intelligenza artificiale fosse qualcosa con un wide moat, cioè con delle barriere all’ingresso molto elevate: ti servono i super chip mega costosi che Nvidia progetta, ASML taglia e Taiwan Semiconductor produce, servono i billion di OpenAi, Google, Meta e così via per addestrare l’algoritmo, servono dei mega data center stipati sotto i ghiacciai per l’immensa quantità di dati che devono macinare e infine servono i fantatrilioni di pochissime società per poter creare prodotti di punta.

Invece una bella cippa.

Deepseek sembrerebbe aver messo in discussione tutto quanto dichiarando di aver creato il suo Large Language Model con appena 6 milioni di dollari e il mercato non l’ha presa benissimo.

Ovviamente la prima vittima è stata Nvidia, che lunedì ha perso quasi 600 miliardi di dollari di capitalizzazione, la più grande perdita di valore in un solo giorno che un’azienda abbia mai vissuto nella storia.

In pratica, è quasi come se l’equivalente del FTSE MIB fosse andato a 0 in poche ore.

L’impatto del -17% in borsa di una realtà così grande ha fatto sì che da sola bastasse a determinare l’80% del calo dell’S&P di quel giorno.

Come spesso succede però il mercato reagisce subito di pancia e poi dopo un po’ collega il cervello.

Di primo acchito il pensiero generale è stato: “game over, il predominio di Nvidia, la società che ha tirato la carretta dell’S&P 500 negli ultimi due anni, è finito e tutta la favola che ci eravamo raccontati sulla superiorità tecnologica assoluta degli Stati Uniti nella partita più importante, quella sull’intelligenza artificiale, è andata a farsi friggere”.

In realtà nei giorni successivi, dopo che ho letto ovunque, la qualunque, da parte di chiunque, le acque si sono un po’ calmate.

A quanto pare si sono improvvisamente ricordati tutti che DeepSeek è cinese.

Ora, i Cinesi hanno un sacco di qualità, però … adesso non vorrei fare di tutta un’erba un fascio, ecco, diciamo che la trasparenza delle informazioni non è esattamente un valore di base.

Negli ultimi giorni infatti hanno cominciato a girare cose del tipo:

– Attenzione, 6 milioni è il costo per il noleggio delle ore di CPU necessarie per allenare il modello, non il costo complessivo di tutta la ricerca e sviluppo;

– Attenzione, forse non è vero che DeepSeek ha usato i chip vecchi di Nvidia che possono essere venduti in Cina; forse hanno usato i chip più fighi, che teoricamente sarebbero sotto Ban degli Stati Uniti, e che sono arrivati per via traverse;

– Attenzione, forse non hanno scoperto un tubo di niente, il metodo che hanno utilizzato per risparmiare energia e dati era già ampiamente noto e utilizzato anche negli Stati Uniti.

Insomma, c’è stata un po’ di minimizzazione.

Subito Bloomberg, o forse la CNBC, non mi ricordo, comunque una dei due è andata da Nassim Taleb ha chiedergli “ma questo è un cigno nero?”.

Taleb, che ormai sono anni che ogni volta che succede qualcosa, qualche giornalista gli va a chiedere “ma questo è un cigno nero? Quello è un cigno nero?”, perché è chiaro che se Taleb dice che una cosa è un cigno nero, boom!, prime pagine e niente come il panico vende nel mondo dell’informazione.

Taleb ha detto che è solo l’inizio per Nvidia.

Ma in realtà tutta la sua intervista è meno apocalittica di quel sembra.

Ha detto una grandissima ovvietà.

Dato che Nvidia ha fatto una corsa quasi senza precedenti nella storia, prima o poi il suo vantaggio competitivo si ridurrà e le sue performance mostruose saranno via via meno mostruose.

Regressione verso la media.

E Taleb tiene la statistica in altissima considerazione.

A parte questo, comunque, come nella nota commedia di Shakespare, tanto rumore per nulla.

Almeno per ora.

S&P e Nasdaq hanno quasi recuperato tutto il tonfo di lunedì 27.

Nvidia invece ha recuperato solo in parte, nonostante un po’ di su e giù nei giorni successivi.

Al di là di Nvidia però è interessante guardare anche a quel che è successo ad altre realtà meno di grido negli Stati Uniti, ma che forse danno un’idea un po’ più pratica di quel succede nell’economia reale.

Per esempio hanno prima preso qualche scoppola realtà che si occupano di distribuzione dell’energia e datacenter, salvo poi risalire negli ultimi giorni, mentre grandi vendor di software, in particolare in ambito software as a service, come Salesforce, Workday o MongoDB hanno beneficiato inizialmente della notizia, perché l’idea è che se i costi per implementare soluzioni AI saranno inferiori, tutti coloro che non sono l’elite delle magnifiche 7 potranno partecipare più agevolmente al gioco.

Nel migliore dei mondi possibili, probabilmente se le magnifiche 7 si sgonfiassero un po’ e le altre 493 trovassero slancio saremmo tutti più felici.

Comunque no.

Deepseek non è un cigno nero.

Breve ripasso su quali sono le caratteristiche per poter definire un cigno nero.

In primo luogo deve essere un evento imprevedibile.

L’avvento di un nuovo modello di intelligenza artificiale nell’epoca in cui tutte le più grandi potenze del mondo stanno facendo la gara a chi intelligenza artificiale più grossa, no, non è un evento imprevedibile.

In secondo luogo un cigno nero deve avere un impatto massivo.

La caduta del muro di Berlino l’ha avuto. L’11 settembre lo ha avuto. Il Covid lo ha avuto, anche se secondo Taleb al Covid mancava la prima caratteristica, cioè non era così imprevedibile.

Deepseek non ha e non avrà un impatto massivo.

Sarà uno dei tanti milestone lungo la strada di questa serie di innovazioni tecnologiche che rivoluzionerà quasi ogni aspetto della nostra vita.

Probabilmente ChatGPT è stato un Cigno Nero.

Nel 2022 una roba del genere non era nell’agenda di nessuno.

DeepSeek è una conseguenza, magari molto sgradita agli Stati Uniti, ma non così dirompente e imprevedibile.

Tra l’altro, approfitto per segnalare una cosa al prossimo inquilino alla Casa Bianca, che penso mi starà ascoltando.

Zio, pretendere di mantenere una certa supremazia economia o tecnologica imponendo dazi o divieti di esportazione di certe tecnologie è na cazzata.

L’ingegno umano dà il meglio di sé in situazioni di ristrettezza.

Se quelli in Cina non possono avere i chip più fighi, in mezzo a quel miliardo di cervelli che a 6 anni conoscono la matematica che l’Italiano medio conosce dopo aver finito il liceo e che lavorano 14 ore al giorno, qualcuno si inventerà un modo per fare un Large Language Model che costa meno ed è più efficiente.

Finché le persone sono nella loro comfort zone non si mettono ad innovare.

Se le metti spalle al muro, Dio solo sa cosa tireranno fuori per non soccombere.

Vuoi mettere i dazi su tutte le importazioni per proteggere le aziende americane?

Ti beccherai inflazione, dollaro forte ma soprattutto un minor incentivo all’innovazione.

Niente come il pepe al culo in un contesto ipercompetitivo come quello americano li ha spinti a conseguire quella supremazia globale che hanno raggiunto a livello tecnologico, scientifico, economico, militare, artistico e sportivo.

Appena appena inizi a proteggerli, limiterai la spinta a creare prodotti e servizi migliori e dall’altra parte del mondo qualcuno farà il doppio dello sforzo per creare prodotti e servizi ancora più competitivi per compensare gli effetti dei dazi.

Anche i miei amici di Scalable Capital, nonché sponsor di questo podcast, hanno capito questa cosa.

Infatti i fondatori hanno introdotto un crudele sistema di incentivi per i loro dipendenti per spingerli ad innovare continuamente, pena subire una delle peggiori torture che un tedesco potrebbe sopportare, ossia guardare in loop il goal di Grosso nella semifinale del 2006 che li ha fatti fuori dai mondiali di casa loro.

Per evitare questo supplizio, quelli lavorano come matti e tirano fuori soluzioni che permettano ad oltre un milione di risparmiatori di investire a prezzi super competitivi e con un’esperienza di utilizzo semplice e intuitiva.

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Dulcis in fundo, interessi sulla liquidità depositata senza vincoli.

Se volete aprire un account su Scalable e allo stesso tempo contribuire alla sopravvivenza di questo podcast abbastanza a lungo da scoprire se DeepSeek alla fine si sarà magnato OpenAI, Gemini, Claude e tutti gli altri, c’è un comodo link in descrizione che potete utilizzare.

Se invece volete attivare Scalable ma ritenete che lavorare gratis mi renda più produttivo, non usate il link e andate direttamente sul sito.

Questo contenuto e sponsorizzato da Scalable e, no, scherzavo non è vero che i dipendenti di Scalable sono costretti a vedere il goal di Grosso. A volte gli fanno vedere anche quello di Del Piero.

andiamo a Berlino Beppe!]

Torniamo a noi.

Dicevo: keep calm.

Ci sono mille motivi per cui il mercato può venir giù e iniziare il peggior bear market dai tempi di Roosvelt.

Ma non sarà DeepSeek.

Certo, DeepSeek ha scardinato in parte lo status quo, in cui sembrava che il vantaggio competitivo di Nvidia richiedesse decenni per essere colmato.

Però si sa, la tecnologia tende più a fare salti che procedere in modo continuo.

Ci sta.

Detto questo, è anche possibile che la sua introduzione possa agevolare la proliferazione di nuove soluzioni basate su AI, grazie ai costi inferiori e al fatto che non serviranno necessariamente i chip versione Ferrari di Nvidia, ma anche quelli versione Pandino 4×4 andranno più che bene.

Come dicevo prima, magari Microsoft, Google Alphabet, Meta e Tesla si prenderanno una scoppola se salterà fuori che hanno speso per niente centinaia di miliardi di dollari per l’AI negli ultimi due anni.

E stai a vedere che magari Apple, data per ritardataria cronica nella corsa all’AI, alla fine salterà fuori che ha fatto bene a non scialacquare billion su questo tema e potrà implementare soluzioni AI a costi infinitamente inferiori.

Vedremo, ma intanto Nvidia ha perso quasi un quindi del suo valore, mentre Apple questa settimana è salita del 6%.

Se quindi le big tranne Apple e Amazon vanno giù non è da escludere che molte tra le altre 493 possano beneficiare di questa cosa e magari ridimensionare il tanto temuto livello di concentrazione dell’S&P 500.

Però, come stavo dicendo poco fa, no, non credo che Deepseek scatenerà un bear market.

Dal 1926 ad oggi, cioè da quando esistono dati ufficiali sull’S&P 500, ci sono stati 22 bear market.

Ricordo che, nel gergo finanziario, solitamente:

– Fino ad un -10% da un massimo si parla di RITRACCIAMENTO;

– Da un -10% ad un -20% si parla di CORREZIONE; mentre

– Oltre -20% si parla di BEAR MARKET.

In un secolo di storia l’S&P 500 ha vissuto un calo di almeno il 20% ad un picco precedente 22 volte.

Dal 2000 in poi abbiamo avuto una bella serie di Bear Market:

– Dal 2000 al 2002;

– Dal 2007 al 2009;

– Nel 2018, anche se in realtà il mercato si è fermato a -19,8%, che però possiamo considerarlo un bear market ad honorem;

– Nel 2020, ovviamente, un bear market lampo durato giusto i mesi del lockdown e infine

– Nel 2022.

In questi 25 anni, 5 bear market.

Uno ogni 5.

Perfettamente in media.

Quindi nessuno rompa la prossima volta che succede e cerchi di non dimenticarsi che uno scatafascio in cui il mercato perde oltre il 20% non è una tragedia, ma una cosa che succede solo leggermente più di rado che i mondiali di calcio.

Ora, cosa ha causato solitamente un bear market?

17 volte su 22 è stata una recessione economica.

1 volta è stata una pandemia globale, che poi ha causato una brevissima recessione.

1 volta è stata l’inflazione monstre del 2022 che ha costretto la Fed ad alzare di brutto i tassi di interesse, ma che però non ha causato una recessione.

1 volta è stato durante il black Monday del 1987, però lì praticamente il bear market non c’era alle 9:00 del mattino e si è materializzato alle 4 del pomeriggio.

Le altre 2 volte non mi ricordo, ma secondo sarà stato durante i picchi di inflazione degli anni ’70.

Comunque, i bear market sono quasi sempre causati da una recessione o da un inasprimento dei tassi di interesse (che spesso a loro volta poi provocano recessioni, tranne in questo miracoloso scenario di soft landing in cui stiamo vivendo).

Deepseek difficilmente avrà un qualche effetto su questi fenomeni, soprattutto in un momento in cui le prospettive sugli utili delle società dell’S&P 500 da qui alla fine degli anni ’20 sono tra le più rosee di tutti i tempi.

Insomma, sarò un inguaribile ottimista, ma istintivamente sono più del partito Intelligenza artificiale meno costosa UGUALE meglio per tutti.

Se così fosse, il vantaggio competitivo si sposterà da chi ha più potenza computazionale (che è molto costosa) a chi svilupperà le migliori applicazioni di Intelligenza Artificiale (decisamente molto meno costose).

Tanti hanno già scritto: “ecco! visto? Sono anni che lo dicevo! La bolla dell’AI sta ormai per scoppiare! Le valutazioni sono insostenibili!”.

Forse.

Però vedo un po’ di misunderstanding in generale.

In più parti è stato ripreso un articolo del Wall Street Journal che qualche giorno fa scriveva qualcosa tipo “il premio al rischio è morto”, cioè non è più conveniente investire in azioni invece che in obbligazioni.

E giù tutti come pecore a chiamare la crisi imminente.

Abbiamo spiegato diverse volte che questa roba qua di confrontare l’Earning Yield dell’azionario, cioè utili diviso prezzo, con il rendimento dei titoli a 10 anni si chiama Fed Model.

Non perché l’abbia inventato la Fed, ma perché Ed Yardeni negli anni 90, che lavorava alla Fed, sapeva che la Fed al tempo usava un grafico che metteva in relazione questi due valori, tra i tanti che utilizza per le sue valutazioni monetarie.

Ed Yardeni fu colui che rese popolare il concetto di Fed Model, ossia l’idea di massima che quando l’Earning Yield è superiore al Rendimento dei Treasury allora il mercato non è sopravvalutato, mentre quando succede il contrario il mercato sarebbe sopravvalutato e quindi verrebbe meno il premio al rischio.

Siccome oggi l’earning yield è circa 4,3% (1 diviso 23) mentre il rendimento dei treasury è 4,5%, allora scattano tutti in piedi a dire: attenzione! Investire nelle rischiose azioni rendme meno che investire nei più sicuri titoli di Stato. Non c’è premio per il rischio. Il mercato è troppo caro. Tra poco viene giù tutto.

In realtà questa non è un’interpretazione corretta per due motivi, quindi state calmi tutti prima di scaldarvi per niente.

IN primis, come abbiamo detto qualche episodio fa, l’earning yield è rendimento reale, perché gli utili delle società si adattano all’inflazione, mentre il rendimento dei titoli di Stato è nominale.

Il confronto corretto andrebbe fatto con i TIPS, che sono i titoli di stato indicizzati all’inflazione.

Dato che i TIPS decennali oggi rendono circa 2,1%, l’azionario sembrerebbe pagare un premio al rischio di circa un paio di punti.

Seconda roba. Ed Yardeni, che è quello che ha introdotto a Wall Street sta cosa del Fed Model, non dice che l’earning yield azionario deve essere superiore a quello obbligazionario.

Questa cosa è successa negli ultimi 15 anni per via del quantitative easing e dei tassi a zero, ma dal 1985 al 2000 i due valori sono sempre stati abbastanza simili e stiamo parlando del più grande bull market di tutti i tempi.

Quindi oggi il fatto che earning yield e treasury yield siano molto vicini significa più che le azioni abbiano una valutazione fair, che non che sono sopravvalutate.

La loro valutazione è sì molto alta, ma anche perché le aspettative sugli utili sono molto elevate.

Secono FactSet, che è la società di riferimento per quanto riguarda i dati sugli utili, nel quarto trimestre del 2024 le società dell’S&P hanno riportato in media utili del 12% e si prevedono utili rispettivamente al 12,5% e 13% nei prossimi due trimestri.

Se gli utili salgono più velocemente dei prezzi, la valutazione ovviamente si sgonfia.

Poi oh tutto può succedere, ma non è vero che il premio al rischio negativo.

Sapete perché so che pure il Wall Street Journal ha intrepretato un po’ a modo suo questa cosa del Fed model introdotta da Ed Yardeni e come faccio a sapere che per Ed Yardeni i valori di azioni e titoli di stato sono in equilibrio?

Perché me l’ha detto Ed Yardeni.

Sì sì.

Era nel suo studio pazzesco nel suo appartamento a New York, con una libreria più grande del mio salotto e il suo cane Maximus che se la dormiva beato in una poltrona dietro di lui.

E io invece nella cameretta di mia figlia e invece della libreria avevo alle spalle il fasciatoio.

Tutto questo per anticiparvi che mercoledì prossimo ci sarà un nuovo episodio international di The Bull, con il leggendario Dr. Ed, come si fa chiamare, visto che tutti pronunciano Yardini invece che Yardeni, e ci spiegherà delle cose veramente pazzesche, lui che forse è una delle persone più ottimiste della storia di Wall Street.

(e non a caso è uno di quelli che va sempre più vicino nelle stime su S&P 500 a inizio anno).

Stay tuned.

Quindi DeepSeek grande novità, ma per ora non è successo praticamente nulla.

Il mercato è ancora in piedi e benché le azioni americane siano care, non è corretto dire che sia sopravvalutato.

Cos’altro?

Ah sì, mercoledì c’è stato il FOMC , il Federal Open Market Committee, che è la solita riunione mensile in cui la Fed decide cosa fare con i tassi di interesse.

E poi giovedì c’è stata la BCE, stessa cosa ma in Europa.

Continua il disaccoppiamento tra le due banche centrale, a testimonianza del diverso stato dell’economia in America e in Europa.

In America la Fed ha lasciato i tasi invariati, come previsto, anche se nel suo discorso Jerome Powell non ha mancato di far innervosire qualcuno, il suo arcinemico Trump su tutti, facendo intendere che la Fed reputa la discesa dell’inflazione un po’ inchiodata.

I futures sui Fed Fund Rates continuano a scontare 1 o 2 tagli da 0,25 entro la fine dell’anno, ma a partire da luglio in poi.

Trump ha fatto una delle sue solite sparate mentre è intervenuto al World Economic Forum di Davos sul fatto che la Fed debba abbassare urgentemente i tassi.

Powell non gli ha fatto una sonora pernacchia — e probabilmente a ragione perché con il pil che continua a spingere, gli utili che viaggiano che è un piacere, gli americani che spendono come pazzi anche soldi che non hanno, come sempre, e l’inflazione che è lì incagliata vicino al 3%, tagliare i tassi di interesse sarebbe un rischio considerevole.

Risposta di Trump sul suo social media Truth: la Fed ha fatto solo danni creando questo problema dell’inflazione, adesso ci penso io a sistemare le cose sprigionando la produzione di energia americana, tagliando la regolamentazione, riequilibrando il commercio internazionale e riaccendendo la produzione manifatturiera americana, ma farò molto di più che fermare l’inflazione, renderò il nostro Paese potente dal punto vista finanziario e non solo! Se la Fed avesse dedicato meno tempo a temi di diversity and inclusion, ideologia di genere, energia “verde” e falsi cambiamenti climatici, l’inflazione non sarebbe mai stata un problema. Invece, abbiamo sofferto della peggiore inflazione nella storia del nostro Paese!.

Così per stemperare i toni.

Ci pensarà lui.

Oh questa cosa del “ghe pensi mi”, non vi ricorda qualcuno?

Dejavù…

Ad ogni modo il messaggio di Powell, oltre al fatto che si baseranno sui dati dei prossimi mesi per prendere eventuali decisioni sui tagli, è stato anche che per ora nei piani della Fed non sono previsti nemmeno dei rialzi.

Un rialzo dei tagli sarebbe una delle cose peggiori che potrebbe capitare ai mercati, perché vorrebbe dire che si è materializzato lo scenario che nessuno voleva: ossia quello di un ritorno dell’inflazione.

E se la storia ci insegna qualcosa, negli anni ’70 il secondo rigurgito di inflazione seguita a tagli troppo frettolosi da parte della Fed era stato più devastante del primo.

Powell però sembra non avere nel radar questo scenario perché crede che il livello attuale del Fed Funds Rate sia già di per sé sufficientemente restrittivo — e questo perché lui ritiene che sia al di sopra di quel numero magico chiamato “tasso neutrale”, o per gli amici: R star (cioè erre con l’asterisco).

Vi ricordate?

Ogni tanto lo cito.

La Fed ha due mandati: tenere l’inflazione intorno al 2% e promuovere l’occupazione. Oggi la disoccupazione è piuttosto bassa, intorno al 4%, mentre ciò che non va giù è l’inflazione.

Tutto il giochino che la Fed fa tirando su è giù i tassi è finalizzato a mantenere un equilibrio in cui l’economia non si riscalda troppo perché altrimenti sale l’inflazione, ma nemmeno si raffredda troppo, perché altrimenti aumenta la disoccupazione.

Il tasso neutrale sarebbe quindi del tasso ideale che tiene perfettamente in equilibrio queste due situazioni.

Avete presente quelle altalene in cui due bambine una di fronte all’altra fanno su e giù?

Ecco immaginate che una delle due bambine si chiama inflazione, mentre l’altra disoccupazione.

La Fed ha il compito di tenere ferma l’altalena in maniera tale che le due bambine restino in equilibrio senza muoversi.

Ma le due bambine si annoiano dopo mezzo secondo e quindi faranno di tutto per andare su e giù.

Ecco, con questa metafora scema abbiamo spiegato cosa fa la Fed.

Cerca di annoiare i bambini al parco.

Il tasso neutrale però non è misurabile, lo si scopre a posteriori.

Al momento Powell ritiene che questo sia intorno al 3, qualcosa percento, quindi il Fed Funds Rate al 4,25% dovrebbe essere sufficientemente restrittivo per controbilanciare i possibili effetti inflazionistici di un PIL che continua a crescere e di un mercato del lavoro ancora molto robusto.

A Powell piace citare il vangelo di Matteo 7:16 quando dice “we will know it by its works”, qualcosa tipo: li riconoscerete dai loro frutti, intendendo appunto che solo a posteriori si riconosce che il tasso neutrale è inferiore a dove sono oggi i tassi di interesse, perché se così non fosse una delle due variabili (inflazione e occupazione) sarebbe andata fuori controllo.

Mentre il PIL degli Stati Uniti nel 4° trimestre è cresciuto del 2,3%, quello dell’Eurozona è stato fondamentalmente zero.

Christine Lagard ha tagliato di 0,25 punti percentuali i tassi d’interesse sui depositi e nonostante l’inflazione non è che proprio sia sotto controllo totale, ha messo in luce soprattutto i rischi di una stagnazione economica sempre più pericolosa per il vecchio continente, auspicando comunque che Trump non metta troppi dazi e che l’export europeo possa dare un contributo positivo nel 2025.

Sull’Europa ci sarebbe molto, molto, molto da dire.

E molto poco di positivo ahinoi.

Però di questo ne parleremo tra qualche settimana quando verrà a trovarci un’ospite che inseguivo veramente da tantissimo tempo e con la quale siamo riusciti finalmente ad organizzare una sua partecipazione a The Bull.

Lei è uno dei volti giornalistici più noti in Italia ed estremamente preparata su temi economici.

Non vi spoilero niente, nella seconda metà di febbraio scoprirete di chi si tratta.

Sperando che non cambi idea, nel frattempo, altrimenti tutta sta roba che ho appena detto sarà stato un epic fail clamoroso.

Qui però c’è una cosa interessante da notare.

Certo, una rondine non fa primavera, ma forse forse, lo dico piano piano, c’è qualcosa che bolle in pentola di un sapore diverso da quello a cui ci siamo abituati.

Le principali economie dell’Eurozona sono impantanate in quella che è una sostanziale stagnazione. Dal punto di vista industriale sono ferme, Germania in primis.

L’euro molto debole rispetto al dollaro non aiuta, soprattutto per comprare materie prime.

E in generale le prospettive non sono esaltanti: bassissima innovazione, pochissime aziende leader in settori competitivi, iper regolamentazioni, demografia drammatica con una popolazione che invecchia sempre di più e totale mancanza di una governance solida a livello europeo. Draghi avrebbe dato una ricetta. Chissà mai se verrà implementata.

Eppure, qui si presenta un caso perfetto per comprendere come spesso tendiamo a commettere ragionamenti errati mescolando temi economici con temi finanziari.

È vero che i due tendono a convergere ad un certo punto.

Ma come dissi anche in passato, le due cose non coincidono.

L’economia registra il passato.

La finanza cerca di scontare il futuro.

Inoltre l’economia tende a considerare valori assoluti: il PIL, l’occupazione, la produzione industriale e via dicendo.

La finanza si concentra sulle differenze a cui vengono prezzati i vari fattori economici.

Mettiamola così.

Le prospettive sull’Europa sono talmente basse che bastano davvero una manciata di microbuone notizie per spingere i mercati.

Gli Stati Uniti sono come il compagno secchione che prende sempre 10.

Il giorno che qualcosa va storto e prende solo 8 in un’interrogazione gli crollerà il mondo addosso e tutti penseranno che qualcosa di grave gli sia successo.

L’Europa è invece quello che ha sempre barcollato tra il 5 e il 6, ma il giorno che prende 8 si griderà alla svolta!

Ecco, siamo più o meno in questa situazione.

L’economia è un mezzo schifo, però ci sono delle buone notizie, come vedremo tra poco nella consueta sezione “come sono andati i mercati nel mese appena terminato”.

– In primis gli utili delle società dello Stoxx 600 sono cresciuti per il terzo trimestre consecutivo; poco, 1,5%, ma il trend è positivo e per i prossimi trimestri le aspettative sono più elevate.

– In secondo luogo ci sono tre cose che sembra comincino ad attrarre gli investitori:

– Da un parte ci sono le valutazioni veramente bassissime. Le azioni europee sono scontate come all’ultimo giorno dei saldi quando nei negozi restano solo le cose più brutte e delle taglie più estreme che non ha voluto comprare nessuno. Il rapporto prezzi utili in america è 23, in Europa 12. Praticamente costano la metà.
Sappiamo bene che se costano la metà un motivo c’è.
Significa che il mercato sta applicando un tasso di sconto elevato. Tradotto: per investire in Europa, l’investitore si aspetta un rendimento più elevato rispetto agli Stati Uniti.
Per riprendere un esempio che vi era piaciuto, è come scommettere sul Salisburgo contro il Real Madrid. La scommessa costa poco e paga molto, perché è molto più probabile che il Real Madrid stravinca.
Però comunque i prezzi a cui si investe contano molto.
Come dice sempre Howard Marks, non conta solo la qualità di quello che compri, ma soprattutto il prezzo a cui la compri.
A volte comprare società fantastiche ad un prezzo elevato è meno redditizio che comprare società così così ad un prezzo stracciato.

– Dall’altra parte Goldman Sachs ha stimato che oltre il 60% del fatturato delle realtà dello Stoxx 600 è fatto fuori dall’Europa. Quindi il destino dell’economia europea e della finanza europea non sono necessariamente paralleli.

– Infine ci sono le aspettative sui tassi di interesse. Mentre in America si parla di uno, massimo due tagli, in Europa è possibile che entro fine anno si scenda complessivamente di un intero punto percentuale. Cosa che di solito fa bene soprattutto alle realtà più piccole e più bisognose di capitali. Inoltre, sempre i teoria, tassi più bassi vuol dire meno peso sui debiti delle famiglie e quindi maggiori risorse per i consumi.
Dato che l’economia europea è fatta soprattutto di realtà di beni di consumo, si pensi a Nestlé, L’Oreal, le grandi aziende farmaceutiche e alimentari e così via, questo potrebbe essere un tailwind, vento in poppa per lo Stoxx 600.

Secondo un report di Bank of America dal titolo “Make Europe Great Again”, pare che il flusso di investimenti sui mercati europei a gennaio sia stato il più alto degli ultimi 25 anni.

Io non do mai consigli d’investimento, lo sapete.

Però su certi principi sono abbastanza intransigente.

Diversificare è sistematicamente una decisione migliore che non puntare esclusivamente su chi ha dimostrato di essere più figo di tutti.

Perché appunto un conto è essere fighi — e le aziende americane sono le più fighe di tutte.

Un altro conto è quanto costa essere fighi.

Ecco quindi che vi espongo la Legge fondamentale dei The Bull di valutazione assoluta degli asset finanziari.

Il valore V di un investimento i è uguale alla radice quadrata di quanto è figa un’azienda moltiplicata per il prezzo a cui pago il privilegio di bearmi del fatto di avere in portafoglio aziende fighe.

In termini matematici: Vi = radice quadrata di F * P

Insomma, come diremo tra poco, ridendo e scherzando i mercati Europei a gennaio si sono mangiati vivi l’S&P 500.

Solo una fiammata di inizio anno prima che la dura realtà torni a presentare il conto e a ribadire che per avere mercati che corrono a lungo serve un’economia che corre a sua volta?

Forse.

Magari non vincerà la Champions, ma intanto per ora il Salisburgo ha battuto il Real Madrid.

(nella metafora ovviamente, il vero Salisburgo dal Real ha preso 5 pere).

Come da tradizione ogni primo episodio del mese, veniamo quindi alla ciccia, come sono andati i principali indici nel primo mese di quest’anno giubilare?

Per chi se lo fosse dimenticato, tutti i dati che snocciolerò quindi si riferiscono a ETF che tracciano gli indici dal punto di vista di un investitore europeo, quindi al netto dei vari cambi con l’Euro.

Partiamo dal Real Madrid, l’S&P 500, che comunque, nonostante Deepseek, chiude il primo mese dell’anno su di circa il [3%.

Per ora la pubblicazione degli utili sta andando come previsto, con circa l’80% delle società che ha battuto le stime degli analisti — anche se questo non è un dato particolarmente eccezionale. Circa il 70-75% delle società batte le stime in ogni quarter in cui non succeda qualche casino cosmico.

Si sa, le aziende quotate fanno le modeste quando dichiarano la forward guidance, cioè quando annunciano quanto si aspettano di fare nel trimestre successivo.

Se pensano di fare 10 dicono 9, così poi se fanno 9,5 gli dicono “ah bravi” e il titolo sale, altrimenti se avessero detto 10 e fatto 9 il titolo sarebbe andato giù.

Umano.

Lo facciamo anche noi nella nostra vita di tutti i giorni.

Settiamo le aspettative più in basso possibile così poi un risultato positivo sembrerà ancora più positivo.

Cmq tante, tante, tante volte abbiamo detto una cosa ed è bene che nessuno di voi se la dimentichi mai: nel breve ci sono tantissimi market mover:

– Dirompenti startup cinesi che fanno intelligenza artificiale spendendo meno che per fare un involtino primavera

– Le mosse della Fed

– Il meteo

– I tweet di Elon Musk

– Le dichiarazioni di abbronzatissimi presidenti dotati di padiglioni auricolari antiproiettile,

insomma, il mercato ha i suoi umori e va su e giù.

Nel medio-lungo termine, però, conta solo una cosa: gli utili.

Gli utili e le scommesse sugli utili futuri.

Ma la cartina di tornasole sono gli utili.

Se gli utili crescono le azioni crescono, se gli utili non arrivano, il mercato alla fine chiede conto.

Investire in un’azione vuol dire investire nella sua capacità di generare utili nel futuro.

Quindi guardare ai profitti è una delle poche cose che conta davvero, sempre e comunque in finanza.

Sempre secondo FactSet, per il 2025 è prevista una crescita degli utili, rispetto al 2024, di circa il 15%.

Questo non vuol dire che il mercato crescerà necessariamente del 15% nel 2025, perché ovviamente dipende da come si muoveranno i prezzi per riflettere le aspettative future.

Però finché la crescita degli utili sarà così solida, le elevate valutazioni azionarie americane avranno un qualche fondamento.

Ovviamente il Nasdaq 100 ha sofferto di più, dato che Nvidia era con Apple la società più grande e il suo quasi -10% da inizio anno ha pesato parecchio.

Ha comunque chiuso in positivo di circa l’1,5%.

Veniamo all’Europa invece, che per una volta ci strappa un sorriso oltre ad aver reso la nostra vita un inferno con quei maledetti tappi di plastica che non si staccano dalla bottiglia, probabilmente il peggior strumento di tortura dai tempi della vergine di Norimberga.

Stoxx 600 su del 7% a gennaio mentre l’indice delle blue chip dell’eurozona, l’Eurostoxx 50, ha fatto in un solo mese circa il +9%, spinti in generale dalle buone performance delle realtà farmaceutiche e dal non banale +17% registrato dal colosso del lusso Hermes.

Anche il FTSE MIB continua la sua positiva corsa che ormai dura dalla fine della pandemia e dopo essere stato il miglior indice d’Europa l’anno scorso, anche a gennaio è partito bene con una crescita di oltre il 7%, spinta dalle solite note Intesa e soprattutto Unicredit, ma da segnalare anche la performance del colosso della difesa Leonardo che nell’ultimo anno è cresciuta quasi tanto Nvidia.

Per effetto di questo exploit dell’Europa, per una volta l’MSCI World è cresciuto di più dell’S&P e a gennaio ha portato a casa quasi il 4%.

Mese positivo ma relativamente tranquillo in Giappone e sui mercati emergenti, entrambi su più o meno tra l’uno e mezzo e il 2%.

Veniamo ora alle note dolenti: le obbligazioni.

L’anno non è iniziato decisamente nel migliore di modi.

I titoli di stato a media scadenza in Europa hanno lasciato per strada circa mezzo punto percentuale, mentre sulle lunghe scadenze anche il 2%.

Cosa sta accadendo?

Spesso mi scrivete: “ma scusa, i tassi scendono e le obbligazioni perdono? Ma non era che quando i tassi vanno giù i prezzi delle obbligazioni vanno su?”.

Sì e no.

Sì se intendiamo le aspettative sui tassi, che vengono scontate con largo anticipo, prima che i tassi vengano tagliati.

Se poi invece succede che cambiano le aspettative, la BCE può continuare a tagliare i tassi ma l’impatto sui prezzi dei bond cambia.

Inoltre sì sulle scadenze brevi.

Le scadenze lunghe invece sono influenzate anche dalle aspettative del mercato sull’andamento futuro dell’economia e dell’inflazione.

Se c’è timore che in futuro ci possa aspettare un’inflazione più alta del previsto, le obbligazioni con scadenza più lunga tenderanno a incorporare questo rischio e quindi i prezzi scenderanno perché gli investitori vorranno un maggior rendimento per accollarsi questo rischio.

Il faro sono sempre i Treasury americani.

Quando la Fed ha iniziato a tagliare i tassi a settembre del 2024 il decennale aveva rendimenti del 3,7-3,8%. A metà gennaio, invece che scendere, i rendimenti dei Treasury sono saliti addirittura al 4,8%, 100 basis points in più, segnale che il mercato si aspetta una lotta ancora lunga all’inflazione.

Un po’ per le politiche prospettate da Trump (dazi, rimpatri di immigrati e deregolamentazioni sono misure pro inflazionistiche), un po’ perché l’economia USA continua a tirare forte.

Qui subentrano i cosiddetti Bond Vigilantes, altro concetto introdotto a Wall Street sempre da Ed Yardeni, e di cui avrete sentito parlare in questi mesi.

I bond vigilantes sono semplicemente un modo per dire che il mercato controbilancia la Fed se pensa che questa sia troppo espansiva.

La Fed taglia, gli investitori vendono le obbligazioni e quindi mentre il tasso a breve scende i rendimenti sulle scadenze più lunghe salgono.

Ma perché spigarvi io questa cosa, quando mercoledì prossimo ce lo spiegherà molto meglio colui che ha inventato sto concetto?

Infine, immancabile, l’oro.

Annuo nuovo. Nuovo record: oltre 2.850 dollari l’oncia e l’incredibile target dei 3.000 $ inizia ad essere in vista.

Motivazione?

Eh che ne so… con l’oro non sai mai.

Forse perché la Fed ha fatto capire che non alzerà i tassi in futuro?

Forse sempre perché l’inflazione non se ne va?

Forse per le solite tensioni geopolitiche che sono il concetto jolly da dire quando non sai cosa dire?

Boh, sta di fatto, che continua a spingere e pure a gennaio è salito di quasi l’8%.

E su questa nota dorata, ci salutiamo anche per oggi care amiche e cari amici di questo podcast.

Spero che l’episodio vi sia piaciuto e che vi abbia aiutati a farvi un’idea del punto in cui ci troviamo oggi, mentre affrontiamo questo nuovo anno sui mercati che, a prescindere da come andrà, l’unica previsione certa è che riserverà le emozioni più inaspettate.

Come sempre, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti a cui penso talmente tanto che quando porto mia figlia al parchetto sotto casa invece che bambini sulle altalene vedo l’inflazione e la disoccupazione con jerome Powel in mezzo sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento straordinario con una leggenda di Wall Street, il grande Dr. Edward Yardeni, sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
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