Shock Dazi: il Buono, il Brutto e il Cattivo
L'annuncio di Trump sull'introduzione di enormi dazi commerciali ha scioccato i mercati, causando un crollo del 10,5% del S&P 500 in due giorni. Qual è il motivo? Quali sono le reali intenzioni? E quali principi è bene ricordare in momenti come questi per gestire al meglio lo stress?

202. Shock Dazi: il Buono, il Brutto e il Cattivo
Risorse
Punti Chiave
I bear market sono parte normale e inevitabile dell'investimento a lungo termine.
Le perdite sono reali solo quando si vendono gli asset.
Mantenere la pazienza è fondamentale.
La crisi attuale è guidata da timori sui dazi; l'adattamento e le negoziazioni possono mitigare gli effetti.
Trascrizione Episodio
Benvenuti a The Bear, il tuo podcast di finanza personale.
Erano quasi due anni che aspettavo di dire sta cosa!
Dai su con la vita, si fa per sdrammatizzare un po’.
L’abbiamo sempre detto no? Che ad un certo punto i bear market arrivano — e mentre i bull market sono lunghi, lenti e pacati, i bear market di solito si presentano come una porta in faccia.
The market takes the stairs up and the elevator down.
Mentre il Nasdaq 100 lo è già, tecnicamente l’S&P 500 non è ancora in bear market, ma è sceso fino al -17,5% venerdì, nel clamoroso bagno di sangue che è costato all’indice degli indici quasi il 6% di perdite. Sommato al quasi -5% del giorno prima, per ritrovare un back-to-back del genere bisogna tornare all’11 e 12 marzo del 2020, in pieno Covid, quando allora l’S&P fece -4,89 e poi -9,51% in due sanguinosissimi giorni di panico.
Per noi Europei invece il Bear Market è arrivato prima, un po’ come il Natale nel bresciano che si festeggia il 13 dicembre. I nostri ETF sull’S&P 500 hanno sconfinato ben oltre il -20% rispetto all’ultimo all-time-high e quindi, ladies and gentlemen è con grande emozione che vi comunico che finalmente questa irrinunciabile esperienza nella vita di un investitore è cominciata anche per tutti coloro che, tra voi, ancora non avevano avuto il piacere di godersela.
Venerdì è stato uno dei giorni peggiori della storia dell’S&P 500. Non entra in top 20, quindi sappiate che le cose possono andare decisamente molto peggio, ma è senza ombra di dubbio tra i 50 giorni più neri della gloriosa e pluricentenaria storia di Wall Street.
E pure venerdì non è che sia stata una carezza. Non so bene come abbia chiuso, ma alle quattro del pomeriggio navigava allegramente sotto di oltre il 3%.
Ben fatto signor Presidente!
Tutti gli obiettivi sinora sono stati raggiunti:
– Polverizzare quasi 6 trilioni di dollari di valutazioni azionarie in due giorni;
– Causare una quasi certa recessione;
– Far schizzare le previsioni sull’inflazione;
– Mandare nel caos il mondo intero.
Bisogna dire che comunque due suoi veri obiettivi finora li ha raggiunti: il rendimento dei Treasury è crollato ben sotto al 4%, in un classico movimento di fly-to-quality, mentre il dollaro, che teoricamente dovrebbe rafforzarsi di fronte alle prospettive di dazi e protezionismo, si è squagliato come neve al sole. E il motivo principale è che il mercato ora teme principalmente un crollo di fiducia nei confronti del biglietto verde e soprattutto delle istituzioni che ci sono dietro.
Qualcosina le obbligazioni hanno fatto, ma ovviamente non hanno compensato neanche lontanamente la caduta libera dell’azionario.
Va beh, l’avete visto tutti no, non è che devo stare io spiegarvi cosa è successo.
Oggi in realtà avevo un bell’episodio pronto su investire market-cap-weighted o utilizzare i fattoriali, ma ho supposto che probabilmente avreste preferito un episodio un po’ più sul pezzo, visto il momento epocale che stiamo vivendo.
Che poi epocale…
Che ne so? In realtà quando succedono ste cose sembra sempre la fine del mondo. Poi non è necessariamente detto che la fine del mondo arrivi davvero.
Prima di commentare un po’ tutta la tragicomica vicenda dell’annuncio dei dazi e di parlare appunto del Cattivo, del Brutto e del Buono, ovviamente percepisco tensione nell’aria — evidente dai mille mila messaggi che mi avete mandato a cui spero di riuscire a rispondere in tempi accettabili. Quindi facciamo tutti un bel respiro e ricordiamoci le cose fondamentali quando si investe.
Nei momenti più neri della vita — e questo decisamente non lo è, ci mancherebbe, però capisco che metta nervosismo — ho sempre trovato estremamente utile fare back-to-basic, riprendere in mano i principi guida rilevanti per la specifica situazione e rasserenare l’animo pulendo il segnale dal rumore, la razionalità dalle emozioni e ridefinendo il piano di azione da lì in poi.
Adesso parliamo di quel che è successo e soprattutto del perché è successo. Però permettetemi prima di dire che va più o meno sempre così. Cambiano i motivi. Cambiano le preoccupazioni. Cambiano le profezie di sventura. Cambiano le argomentazioni sul perché questa volta sarebbe davvero un disastro irreparabile. Ma i mercati questo fanno. Se una cosa a loro non piace, questi van giù. E se non piace molto, van giù pesante finché chi deve capire capisce. Oppure finché si convincono che qualcosa di buono possa arrivare nell’imminente futuro. Quando, come in questa situazione, il mercato ha espresso il suo inequivocabile parere negativo sulla decisione di Trump, alza la voce più che può crollando in maniera verticale. L’eccezionalità di questi crolli ci fa pensare che sia la fine del mondo. Ma benché siano eventi rari, in realtà fanno comunque parte del playbook dell’investimento azionario.
Il mio consiglio è, se potete, non fatevi sovrastare dai media, che come è comprensibile faranno di tutto per accentuare la drammaticità del momento, parlando di migliaia di miliardi bruciati, “panico sui mercati” e robe del genere.
Nessuno brucia niente e i mercati seguono il loro normale corso. In media vanno bene per un migliaio di giorni, poi per circa un annetto vanno da male a malissimo. E se state pensando: “eh ma questa volta è diverso, niente sarà più come prima”, vi rispondo: “forse avete ragione, ma anche tutte le altre volte, ve lo assicuro, il pensiero era stato questa volta è diverso è niente sarà più come prima”.
La fiducia nei confronti dell’economia americana nel 2009 era praticamente inesistente e si pensava che un tale collasso economico-finanziario avrebbe segnato la fine del capitalismo. Sappiamo che poi da lì è partito un bull market secolare interrotto solo dal 2018, 2022 e appunto da questi ultimi mesi.
Tra l’altro anche nel 2018 era stato sempre Trump a mandare il mercato ad un pelo dal bear market, -19,8%, e sempre per il medesimo motivo.
Nel 2022 avevamo avuto ben 8 giornate con l’S&P in rosso di oltre il 3%.
Nel 2018 5, ma tutte concentrate nella parte finale dell’anno.
E non so chi di voi si ricorda durante il covid. Tra marzo e aprile avevamo avuto un -12%, un -9,5%, un -7,6%, un -5,6%, un -5,1% e altri dieci giorni sotto di almeno 3 o 4 punti percentuali.
Anche nel 2008 ci si era divertiti, con ben 4 giorni in caduta libera tra il -7 e il -10%.
Non sto dicendo che non sia grave e non sto dicendo che sia uno scherzo.
Anzi.
Sono cose dolorose e hanno degli impatti sull’economia reale.
Sto solo dicendo che sono un’inevitabile parte del processo di investimento.
Come ci ricordava Ben Carlson domenica scorsa, il 10% medio annuo dell’S&P 500 dal 1926 ad oggi non è stato ottenuto da chi ha investito solo nei giorni migliori, ma è appunto la media composta che tiene conto anche della Grande Depressione degli anni ’30, dei bear market degli anni ’70, del 19 ottobre del 1987, del decennio perduto, del Covid e del 2022.
Questo è l’episodio 202 e quini per almeno 201 volte avevamo già spiegato questo concetto fondamentale.
Siccome però repetita iuvant, ricordiamoci di alcuni principi di fondo dell’investimento, back-to-basico come dicevo all’inizio.
Se uno investe anche un solo euro in azioni deve mettere in conto almeno tre cose:
– La PRIMA è che in ogni momento può aspettarsi un calo del 20, 30, 40 forse 50% del valore della quota azionaria del proprio portafoglio. Abbiamo in media un bear market ogni 4-5 anni, di conseguenza se una cosa accade il 20-25% del tempo, c’è poco da stupirsi. Fa sempre girare le palle, sono d’accordissimo e vedere quanti soldi in meno ho oggi rispetto a tre mesi non mi fa felice, ma passato lo stress del momento, ricordiamoci sempre che non c’è nulla di così eccezionale nei numeri che stiamo vivendo.
Sarà eccezionale la causa forse. Ma erano stati eccezionali l’inflazione e il conseguente rialzo dei tassi di interesse di 500 basis point nel 2022. Era stato eccezionale il Covid nel 2020. Era stata eccezionale la prima guerra sui dazi del 2018. Era stata eccezionalissima la Great Financial Crisis ed era stata una novità assoluta la bolla di internet di inizio 2000, così come once in a lifetime era stata la trovata di schiantare due aerei di linea contro le torri gemelle nel 2001.
È un po’, come dire, una considerazione tautologica. Se l’evento non fosse eccezionale, il mercato non reagirebbe così tanto. Ma si tratta di uno dei tanti eventi eccezionali che ogni tot capitano. Il che rende tutto molto meno eccezionale se ci pensate.
– La SECONDA cosa che uno deve mettere in conto quando investe in azioni è che deve avere un lungo orizzonte temporale. Lungo non vuol dire due mesi. Nemmeno due anni. E pure 10 anni è un po’ tirato per i capelli. Chi investe nel mercato azionario deve mettere in conto di guardare molto più in là, altrimenti abbiamo un problema di pianificazione. Non si può pretendere di investire in azioni e che il mercato non vada mai giù. E come pretendere di giocare a calcio ma non sudare. Non puoi. Ti prendi tutto il pacchetto, altrimenti se non vuoi sudare gioca a calcio alla playstation. Da qui ai prossimi 30 anni probabilmente più di 20 saranno stati degli anni positivi, 6-7-8 saranno invece dei bagni sangue. Forse il 2025 sarà uno di questi. Via uno. Via il dente, via il dolore. Se la cosa non fosse ancora chiara, bene ribadirla ancora oggi.
– La TERZA cosa è che le perdite sono reali sono quando vendiamo i nostri asset. Una volta che vendo i miei ETF, le mie azioni o in generale i miei asset in rosso, game over, quella è una perdita permanente. Oggi invece se avete perso il 5-10-20% del vostro capitale, a seconda di quanto siete investiti in azione, in realtà non avete perso niente. Finché avete i vostri asset nel portafoglio, è solo temporaneamente cambiato il valore di quegli asset. Se avevate 100 quote di un ETF sull’MSCI World, continuate ad avere 100 quote. Questa è la cosa più importante da tenere a mente.
Vi ricordate quante volte, soprattutto quando all’inizio avete cominciato più o meno casualmente questo viaggio con me, vi chiedevate “seee va beh, è arrivato questo. Fosse tutto facile lo farebbero tutti no? Dove sta il trucco?”.
Eh…
Mo’ l’avete capito ndo sta il trucco?
Il trucco è che sopportare giornate come queste, vedere magari decine o centinaia di migliaia di euro sparire dal valore del proprio portafoglio, leggere notizie di imminenti apocalissi economico-finanziarie e così via è dura. È un pugno nello stomaco. Ci rende nervosi e tiene qualcuno sveglio la notte.
Per questo non è per tutti.
E anche per questo investire in azioni paga un excess return, un rendimento supplementare rispetto ai bond. Perché spesso sono cazzi e bisogna sopportare due giornate back to back con il mercato che perde complessivamente più del 10%. E mantenere la barra dritta, con pazienza, dovendo sopportare un lungo stillicidio di notizie negative prima che quelle positive si facciano largo è la cosa più complicata di tutte.
Però, appunto, mollare il colpo è l’unica rovina finanziaria certa quando si investe.
Vendere i propri asset in perdita, o comunque fortemente svalutati, perché si teme che non ci sarà fine all’agonia è l’unico modo sicuro per perdere soldi quando si investe.
Vi ricordo che uno sfortunatissimo investitore europeo che avesse messo i suoi soldi nell’S&P 500 nell’agosto del 2000, il picco prima dell’inizio del crollo dei mercati a seguito dell’implosione della dot-com bubble, sarebbe arrivato a perdere sino al 64% del suo capitale azionario nel febbraio del 2009. E sarebbe tornato in positivo solo nel luglio del 2014. Quindi se siete preoccupati per un -20 e qualcosa percento, beh, preparatevi al fatto che potrà andare molto peggio di così.
Lo so, la prospettiva di 14 anni sott’acqua è insopportabile al solo pensiero.
Ovviamente però stiamo parlando di qualcuno che ha messo tutti i suoi soldi al picco e poi non ha mai più messo un euro.
Se invece, ad esempio, avesse messo subito 10.000 € e poi investito 200 € al mese, nel 2011 sarebbe già tornato in positivo.
Ok, non sembra una prospettiva molto più confortante.
Ma ricordiamoci che il vero premio sarebbe arrivato dopo: vent’anni esatti dopo che quello ha investito nel 2000 e poi mai più un euro avrebbe comunque raddoppiato i propri soldi, nonostante il 2018 e il disastro del Covid.
Quello del piano di accumulo invece avrebbe più che triplicato i propri soldi.
Nessuno aveva promesso tutto ciò a questi ipotetici investitori.
E nessuno può prometterci ora che tutto andrà per il meglio.
Investiamo perché siamo fiduciosi nel futuro.
Se invece siamo pessimisti investire non è proprio il nostro sport.
“Eh lo so ma questa volta è diverso”.
Sì è diverso. È sempre diverso.
Quindi consiglio da amico:
– Seguite il meno possibile i media se vi fanno stare male;
– Seguite però The Bull che sapete che qua ci facciamo sempre due risate e l’ottimismo non manca mai;
– E ricordatevi che il breve termine sembra lunghissimo quando succedono queste cose, ma quando poi si allarga lo sguardo anche giorni drammatici come questi vengono poi ridimensionati.
Ora, detto questo.
Come dicevo cerchiamo di dare un senso a tutto quanto e come nel noto film di Sergio Leone al contrario proviamo a focalizzare il Cattivo, il Brutto e il Buono della vicenda.
Metto il buono alla fine così in questo episodio facciamo il sandwich: prima parole tranquillizzanti, poi preoccupanti, poi di nuovo tranquillizzanti così non vi rovino la domenica.
IL CATTIVO.
Il cattivo, ovviamente, è Donald Jay.
Intanto: perché il mercato è crollato così tanto nonostante fossero mesi che parlava di dazi e che aveva annunciato che il 2 aprile avrebbe smitragliato tariff come se non ci fosse un domani?
Di solito il mercato non sconta in anticipo queste cose?
Sì di solito sì.
Quello che non sconta è il totalmente imprevedibile.
I mercati erano già scesi parecchio dopo il 19 febbraio, perché avevano già incorporato l’ipotesi che dei dazi avrebbero potuto contrarre la crescita americana e far salire l’inflazione.
Ci sono però due cose che hanno sconvolto il mondo intero il 2 aprile.
– La prima cosa è che le aspettative più o meno di tutti erano dei dazi più o meno generalizzati intorno al 9-10%, mirate perlopiù su specifici segmenti industriali. Quando poi ha detto 10% di dazi su tutto per tutti e se ne è uscito con quel cartellone da tombola di paese con scritto 34% China, 20% Unione Europa e via dicendo, è stato uno shock per chiunque. Stiamo parlando, se confermati — e questo è un grandissimo “SE” — dei dazi più alti mai applicati negli Stati Uniti dal 1930, quando la pessima idea di avviare un protezionismo economico creò danni enormi all’economia di tutto il mondo.
– La seconda cosa è stata la tragicomica formula matematica utilizzata per calcolare i dazi. Cioè, neanche quando misuro il numero di tuorli da mettere nella carbonara sono tanto approssimativo. Avete presente? Un tuorlo ogni 80 grammi, più uno per sicurezza, mah facciamo due che ste uova mi sembrano piccole. Azz mi è finito dentro un po’ di albume. Va beh lo lascio che viene più leggera…
Più o meno li hanno calcolati così. Cina che facciamo 30%? Mi è uscito 34%, che faccio lascio? Una formula completamente a cazzo di cane — e perdonate se non bippo la volgarità ma non mi è venuta un’espressione più puntuale per descrivere l’idiozia dietro a quel conteggio. Che poi, non so se avete visto la formula, ma gli hanno messo il delta t e le lettere greche psi e epsilon manco fosse la quinta equazione di Maxwell, ma la verità è che i presenti si sarebbero dovuti alzare e dire: “ma veramente? Ma ci state prendendo per il culo o davvero avete fatto i conti così?”.
Se non sapete di cosa sto parlando, mi faccio sentire l’audio del capo degli ingegneri del team di Trump che ha fatto tutti i conteggi che spiega la vera formula che è stata usata per calcolarli. Sentite:
Cane
Un giorno rideremo forse di questa cosa, ma ad oggi è agghiacciante ed è questo il secondo motivo che ha fatto crollare in verticale i mercati.
I mercati erano preparati a “reciprocal tariff”, cioè a dazi reciproci, ossia che Trump avrebbe applicato dazi commerciali nella stessa misura in cui un certo Paese li applica verso gli Stati Uniti.
Invece cos’hanno fatto: hanno preso il deficit commerciale con ciascun Paese, l’hanno diviso per il totale delle importazioni da quel Paese e hanno diviso per due — tra l’altro con la ridicola chiosa di Trump secondo cui “because we are gentle”, cioè siccome siamo gentili, abbiamo fatto diviso 2 per farvi uno sconto.
Questa cosa, presa alla lettera, è ridicola e folle perché non esiste nessun buon motivo economico per cui se un Paese esporta più beni negli Stati Uniti di quanti ne importa allora, dovrebbe subire dei dazi equivalenti al rapporto tra il deficit e le importazioni (diviso 2 because we are gentle).
Quindi, nota per chi mi ha scritto “eh, era tutto preventivabile, si poteva immaginare”.
No.
Non si poteva immaginare.
Altrimenti se il mercato se lo fosse immaginato, i prezzi sarebbero scesi prima. Non dopo i suoi annunci.
Trump sta ovviamente usando questa cosa dei deficit commerciali, tra l’altro dichiarando la situazione uno stato di emergenza economica, cosa che gli consente di ratificare questi dazi senza bisogno del congresso, probabilmente per altro perché dal punto di vista della teoria economica non sta in piedi. Gli Americani hanno un deficit commerciale non perché gli altri Paesi sono stronzi e li sfruttano, come dice lui, ma perché investono più di quel che risparmiano e importano capitali. Cioè gli altri producono merci a costi più bassi che gli americani comprano mentre si dedicano ad un’economia focalizzata su tecnologia e servizi e gli altri Paesi investono gli introiti che derivano delle esportazioni in America per investire negli asset finanziari americani finanziando a loro volta l’economia a Stelle e Strisce.
Tra l’altro poi in tutto ciò Trump considera solo il deficit sui prodotti e non sui servizi. Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Netflix, Salesforce e così via “esportano” trilioni di dollari in servizi che però nel suo conteggio magicamente spariscono.
Cmq questo è il modello che gli Americani stessi hanno voluto dal dopoguerra in poi e che ha dato prosperità a buona parte del mondo per 80 anni. Dire che il deficit commerciale con Paese sia un problema sarebbe come chiedere a un’azienda di garantire che ciascuno dei suoi fornitori sia anche un suo cliente.
È chiaro che il problema non è il deficit.
Il vero problema è che Trump vuole abbattere il deficit fiscale, che deriva dal suo enorme debito. Siccome non può farlo alzando le tasse per un Repubblicano non alza le tasse, l’unico modo è farle pagare sotto forma di dazi cammuffandole da strategia per rilanciare la potenza industriale del paese, riportarndo in casa il manufacturing con cui darà lavoro a tutta quella fascia di popolazione poco scolarizzata che oggi passa solo il tempo a drogarsi di fentalnyl, svalutando il dollaro per favorire le esportazioni e forse cerando di ottenere concessioni favorevoli agli stati uniti dagli altri paesi, sotto la minaccia di queste assurte tasse sulle importazioni.
Al momento non è ancora dato sapere quali siano le sue reali intenzioni.
Stanti così le cose, se davvero venissero applicati alla lettera questi dazi, ho letto ovunque pareri unanimi sul fatto che si tratterebbe un autogol clamoroso che infliggerebbe all’economia americana — e quindi poi al mondo intero — un incalcolabile danno economico.
E qui veniamo al BRUTTO.
Vi potrei citare una miriade di commenti al proposito.
Ancora una volta, uno dei più importanti lo prendo dal Wall Street Journal per un semplice motivo: è un giornale notoriamente schierato dal lato repubblicano. Quindi se il WSJ scrive un editoriale di condanna di questa iniziativa politica, ovviamente mi aspetto che sia più attendibile di chi invece non vedeva l’ora di dar contro a Trump.
Secondo il WSJ se queste misure venissero applicate — e il board del quotidiano finanziario più importante del mondo si auspica che ciò non accada — ci vede almeno 4 minacce.
• La prima riguarda ovviamente rischi economici e incertezza . L’impatto economico è difficile da prevedere, anche perché non si sa come reagiranno i Paesi colpiti. La Cina per esempio ha subito risposto con altrettanti dazi del 34% sulle importazioni dagli Stati Uniti. Se però i vari Paesi provassero a negoziare con gli Stati Uniti per ridurre i dazi, il danno potrebbe essere più lieve. Se invece la risposta fosse una rappresaglia diffusa, occhio per occhio, dente per dente, il risultato potrebbe essere una contrazione del commercio mondiale e una crescita più lenta, una recessione o pure peggio (e immagino che il WSJ abbia come worst scenario una guerra).
Nel frattempo ci saranno costi più alti per i consumatori e le aziende americane, dato che i dazi sono tasse. Inoltre Trump trasferirebbe la ricchezza dai consumatori americani a quelle aziende e ai lavoratori più protetti dalla concorrenza. Ma ciò significherà la graduale erosione della competitività degli Stati Uniti perché i dazi riducono la concorrenza, creano monopoli e deprimono la necessità di innovare.
• La seconda sono i danni alle esportazioni americane, proprio ciò a cui Trump punterebbe. Un obiettivo commerciale degli Stati Uniti da lungo tempo è stato quello di espandere i mercati per i beni e i servizi americani. Oggi il 41% dei ricavi delle aziende S&P 500 proviene dall’estero e sono regolati da accordi bilaterali. I dazi fanno saltare quegli accordi, invitano alla ritorsione da parte degli altri Paesi e li incentivano a stringere accordi commerciali con aziende non statunitensi.
• La terza minaccia è la fine della leadership economica degli Stati Uniti. La leadership degli Stati Uniti e la decisione di diffondere il libero scambio hanno prodotto otto decenni di prosperità per lo più crescente. Questo potrebbe finire perché Trump avrebbe adottato una visione mercantilistica del commercio e dell’interesse personale degli Stati Uniti. Il risultato sarà probabilmente ogni nazione per sé. La scommessa di Trump è che il mondo non potrà fare a meno del mercato statunitense e della sua potenza militare, ma sta tradendo la fiducia dei suoi alleati e questa cosa potrebbe contare ancora di più.
• La quarta minaccia è che starebbe regalando una grande opportunità alla Cina. Per la Cina questa è un’opportunità per usare il suo ampio mercato per attrarre gli alleati americani. Corea del Sud, Giappone e Europa in primis, rendendoli meno propensi ad unirsi agli Stati Uniti per imporre controlli sulle esportazioni di tecnologia in Cina.
Insomma, tutto il male possibile. A partire dai danni agli americani stessi.
E anche il Financial Times è dello stesso avviso, quando venerdì ha pubblicato un editoriale dal titolo “America’s astonishing act of self-harm”, l’incredibile atto di auto-lesionismo degli americani.
Ancora più duro è stato l’Economist, rivista invece non esattamente di destra, che considera semplicemente folle quel che è accaduto e che ha auspicato una reazione lucida da parte degli altri Stati, come ad esempio una riorganizzazione del commercio internazionale tra i Paesi Europei, Asiatici e la Cina, così da non assecondare le allucinazioni di Re Donald, come lo chiama.
E poi un coro più o meno unanime da tutto il mondo finanziario: JP Morgan, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Barclays, tutte si sono già espresse dando per scontato che l’esito certo di queste mosse — se, ripeto, se implementate davvero — sarà stagflation: crescita dei prezzi e recessione economica, certamente negli Stati Uniti e probabilmente su scala globale.
Veniamo al BUONO.
In questo mare di condanne raramente allineate e di sangue che scorre nelle piazze finanziarie di tutto il mondo è difficile trovare motivi di ottimismo.
Ma lo sapete come sono fatto, sono un ottimista per natura, devo trovare del buono.
Se devo guardare ai fatti, c’è poco da dire.
Questa decisione è demenziale e le conseguenze, almeno nel breve termine, saranno molto probabilmente pesantissime.
Ovviamente impossibile dire cosa succederà nelle prossime settimane.
Pistola alla tempia, però, sarei più propenso a ritenere che il mercato non abbia smesso di andare giù venerdì, ma che ci sia ancora tanta strada per l’S&P 500 per scendere ben sotto i 5.000 punti.
Se invece lascio un attimo da parte i fatti e provo a fare qualche ragionamento più logico, allora potrei in effetti trovare motivi di ottimismo.
MOTIVO NUMERO UNO, che peraltro non è farina del mio sacco ma viene da Savita Subramanian, la head of US Equity Strategy di Bank of America e una delle voci più ascoltate a Wall Street.
Almeno abbiamo dei numeri!
Sarà una magra consolazione però un po’ di nebbia si è dissipata, il mercato ora sa qual è il worst scenario e di che morte morire e in qualche modo questi esorbitanti dazi sono, diciamo così, la base più negativa (a meno che non scoppi davvero una guerra commerciale).
Da qui potrebbero cominciare delle trattative con gli altri Paesi per ridurli e trovare dei compromessi più accettabili nell’interesse di tutti.
Giustamente lei dice: “a meno che il fine ultimo dei decisori politici non sia una recessione globale, le negoziazioni sono probabili e potrebbero essere catalizzatori positivi per i mercati”.
MOTIVO NUMERO DUE: ok i mercati non si aspettavano niente del genere, però se ci pensate Trump è stato coerente con l’atteggiamento testosteronico di questi mesi e sinceramente quale sarebbe stato il senso di una moderata applicazione di dazi commerciali se il suo obiettivo è mostrare i muscoli e sedersi al tavolo delle trattative con gli altri Paesi da una chiarissima posizione di forza?
Come dire? Se uno deve fare qualcosa di disruptive, la deve fare bene.
Trump probabilmente voleva essere scioccante. Voleva, come dire, mettere sul tavolo una pistola bella grossa per far capire a tutti che, almeno nella forma, fa sul serio.
Se la tua strategia di negoziazione non è win-win, non è “troviamo una soluzione in cui vinciamo tutto”, ma si basa sulla logica della deterrenza, allora la deterrenza deve essere bella forte.
La butto lì: sparare 20% di dazi sull’Unione Europea, negoziare concessioni sulle cose che gli interessano davvero e poi trovare un accordo più in basso sarebbe per lui una grande vittoria.
Il figlio di Trump, sul suo social ironicamente chiamato Truth, già venerdì aveva invitato gli altri Paesi a contattare in fretta Trump padre per non trovarsi ad essere gli ultimi al tavolo delle trattative.
Trump HA in mente di negoziare e di usare questa misura esorbitante per ottenere il maggior numero di concessioni possibili.
Forse.
Oppure forse è pazzo davvero.
MOTIVO NUMERO TRE: il consenso così universale sugli effetti devastanti di questa iniziativa di Trump mi ha lasciato uno strano senso di scetticismo, che è dovuto a questo: di fronte all’eccezionalità storica di questo evento, l’atteggiamento più naturale del mondo è esasperare le possibili conseguenze negative. Siamo programmati, per nostro spirito di sopravvivenza, a prefigurarci il peggio. Non vuol dire che si stiano tutti sbagliando, anzi, ma sono altrettanto possibili due cose:
– La prima è che Trump ci sta mostrando quello che vuol farci vedere, non quello che intende fare davvero;
– La seconda è che è molto facile prefigurare i disastri e sottovalutare le capacità di adattamento dell’uomo e dell’economia a nuove circostanze.
MOTIVO NUMERO QUATTRO: trovo molto di buon senso quello che ha scritto Yardeni venerdì pomeriggio. Sapete che a lui piacciono i vigilantes no? Quello che sta accadendo è, secondo lui, l’effetto degli Stock Vigilantes in azione. Il mercato è l’ultimo guardrail e la cosa bella è che è indifferente al colore politico di chi siede a Washington, alle pressioni, alle minacce, a tutto quanto. In questo bagno di sangue sta distruggendo una quota enorme della ricchezza americana, dei patrimoni, delle pensioni della nazione più ricca del mondo. E Wall Street, in America, è forse l’ultima istituzione sacra. Nessuno può passare politicamente indenne ad un disastro finanziario prolungato e ad un certo punto il Congresso potrebbe intervenire quando gli elettori andranno dai propri deputati e senatori eletti a chiedere di rendere conto delle loro azioni. Secondo Yardeni gli Stock Vigilantes alla fine eserciteranno il loro consueto potere persuasivo e ad un certo punto questo sell-off diventerà una buying opportunity. La cosa negativa, tuttavia, è che probabilmente però non basteranno due giorni di sangue, ma servirà soffrire ancora forse per mesi.
MOTIVO NUMERO CINQUE: e qui ci lanciamo in un’acrobazia politica e legale. Politica, perché nel 2026 ci sono le elezioni di Mid-Term e nel 2028 le presidenziali. Trump ha già fatto capire che troverà il modo per farsi rieleggere una terza volta. Malissimo per la democrazia. Però fino a prova contraria dovrà comunque farsi eleggere. E se avrà mandato gli americani in rovina nei 4 anni precedenti, quelli sopportano tutto ma non che gli tocchi il portafoglio. Inoltre sta applicando i dazi tramite ordini esecutivi, cosa che può fare solo dichiarando uno stato di emergenza nazionale. Non c’è bisogno di spiegare che l’applicazione di dazi universali per controbilanciare tutti i deficit commerciali non è un’emergenza nazionale. Quindi anche qui delle due l’una:
– O va fino in fondo e poi ad un certo punto qualche Repubblicano inizia a dargli contro e il congresso blocca le sue iniziative (improbabile);
– Oppure anche questa cosa fa parte della strategia di Trump per dimostrare di essere l’unico decisore così da portare ancora più potere negoziale ai tavoli, senza la reale intenzione di applicarli realmente fino in fondo.
MOTIVO NUMERO SEI: tra il 2007 e il 2009 il mercato era crollato per una serie di incontrovertibili dati negativi. La gente perdeva la casa perché non riusciva a pagare i mutui. Le banche fallivano. Il credito si era paralizzato. Le imprese licenziavano. Era un disastro economico reale. Allo stesso modo nel 2020 il mercato crollava perché interi settori erano stati azzerati e i licenziamenti erano stati massivi. C’erano hard data che avevano guidato i sell-off sui mercati.
Per ora non è ancora accaduto nulla. I mercati stanno vivendo svendite enormi, per ora, solo per dei timori. Solo per paura che qualcosa di molto brutto stia per accadere. Non si può dire che stiano sovrareagendo; anzi, secondo me non c’è proprio nessun panico. I mercati stanno andando giù perché sanno bene che questi dazi ridurrano i profitti delle aziende e quindi il valore presente dei flussi di cassa futuri si abbassa inevitabilmente. Mi sembra un crollo molto “razionale”. Però appunto basato su timori di cose che non sono ancora successe e che potrebbero non succedere. Tutto quel che è accaduto finora è stato fatto da un uomo e da quello stesso uomo può essere disfatto. E se il mercato riprende fiducia sul fatto che verrà applicato del buon senso e che le cose saranno un po’ meno di peggio di come ore se le sta immaginando, invertirà il suo corso.
Insomma, mettiamola così, è ancora molto presto per formulare delle conclusioni, anche perché davvero non sappiamo con cosa stiamo per avere a che fare.
Però, così, di pancia, l’idea che mi sono fatto è la seguente:
1. Non sarà una cosa breve. Trovo improbabile che lunedì il mercato riprenda serenamente la sua corsa verso l’alto e ci lasciamo tutto alle spalle. Sarà lunga, nessuno vorrà sottomettersi a nessun altro e servirà tempo perché il mercato possa trovare elementi su cui sostenere il proprio rimbalzo. Il mercato vorrà tornare su. Ma non prima di avere un buon motivo per farlo. E a volte, dopo tante notizie drammatiche, basta una mezza notizia leggermente meno terribile per farlo contento.
2. La strada della negoziazione resta la mia prima opzione. Così come il fatto che i deficit commerciali sono un argomento pretestuoso per ottenere altro con la forza. L’alternativa sarebbe stato un diligente piano di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse soprattutto alle fasce più ricche della popolazione americana. Non esattamente un mantra per Donald J, che vorrà certamente essere ricordato come colui che farà rivivere il sogno americano, non come colui che ha mandato in rovina il Paese più ricco del mondo.
Poi oh, magari quel proiettile che gli ha sfiorato l’orecchio l’ha reso folle davvero.
Ma non credo tanto alle tesi sui dittatori folli.
Credo che gli incentivi siano sempre delle spiegazioni migliori delle azioni umane.
Il suo incentivo sarà davvero realizzare il sogno MAGA, make america great again? Possibile e con i suoi modi brutali farà di tutto per riuscirci, senza che noi capiremo mai davvero il fine ultime delle sue azioni.
Del resto, già nel 1987 aveva comprato una pagina del New York Times per scrivere un articolo in cui denunciava il libero commercio e il fatto che avesse permesso al Giappone di disintegrare l’industria automobilistica americana e alla Germania di diventare la più grande potenza manifatturiera del mondo. Lui vuole gli Stati Uniti leader indiscussi del mondo economico, a partire dalla sua potenza industriale. Non c’è potenza, secondo lui, se anche la produzione non è controllata dagli Stati Uniti. Nel dopoguerra il PIL degli Stati Uniti pesava quasi il 50% di quello mondiale. Oggi circa il 25%. È evidente che oggi guarda più agli anni ’50 del 900 che non al contesto globalizzato degli anni 2000. La versione alla lettera della sua visione è impraticabile, perché quella degli stati uniti non tornerà mai ad essere un’economia manifatturiera. Ma magari riuscirà a ottenere una parte di questi obiettivi, mentre contemporaneamente otterrà un dollaro più debole, maggiori esportazioni, un ridimensionamento del debito e la possibilità di tagliare le tasse. Operazione molto complicata e pericolosissima, ma c’è una logica nella sua follia e confido che la componente logica prevarrà alla fine su quella folle.
Sono preoccupato?
Beh, economicamente sono preoccupato, sì.
È uno scenario che non conosciamo. Nessuno si sarebbe immaginato di vivere mai più in un mondo dominato dal protezionismo.
Non sappiamo come il mondo reagirà e che impatti ci saranno sull’economia reale anche qua da noi.
Il 2009 è stato la buying opportunity of a lifetime, da lì in poi il mercato ha avuto una corsa stellare. Ma i danni economici sono rimasti.
Persone hanno perso il lavoro.
Aziende hanno chiuso.
Tanti sono diventati più poveri.
Il mercato prima o poi tornerà su, ma questo no significa che nel frattempo non ci saranno sofferenze anche importanti.
Istintivamente mi verrebbe quindi da dire che sono più preoccupato per le possibili implicazioni economiche che non per quelle del mio portafoglio, pur falcidiato da questi due giorni terribili (mazza che legnata che ho preso!).
La mia idea di base è che ad un certo punto tornerà su, l’S&P 500 supererà nuovi massimi e tra 10-20-30 anni il valore del mio portafoglio sarà di gran lunga superiore a quello di oggi.
In mezzo spero invece che una soluzione di buon senso si trovi velocemente e che l’umanità tutta in ogni caso troverà il modo di riadattarsi, affrontare e superare quest’ennesima sfida.
Con ogni probabilità andremo in un bear market ufficiale e ci ricorderemo della crisi dei mercati del 2025. Questo ormai possiamo metterlo in conto.
Sarà più una crisi tipo 2020, brutale e fulminea, o tipo 2008, più lenta, logorante e dagli effetti duraturi. Salvo che nelle prossime settimane si trovino accordi rapidi — e non è il mio base scenario — è forse più probabile uno scenario tipo 2008, con tutto il suo bel menu fatto di recessione e, questa volta, forse anche inflazione. L’unica consolazione è, che rispetto ad allora, non c’è di mezzo un’elezione. Uno delle aggravanti della crisi del 2008 era stato il fatto che a Novembre c’erano state le elezioni che avrebbero portato alla vittoria di Barack Obama. Di conseguenza, per mesi, fino al marzo del 2009, il governo non fece nulla di significativo per evitare il collasso. Oggi se non altro questo problema non c’è. Ma visto il personaggio al comando, non so se sia una grande consolazione.
Fosse anche un nuovo 2008, oh, amen, ce ne faremo una ragione. Il mercato è andato giù fino al -55%, poi nel 2013 è tornato sui nuovi massimi. 6 anni sono tanti. Ma almeno dal punto di vista psicologico c’è un aspetto positivo. La sofferenza è durata un anno e mezzo. Dal marzo 2009 in poi il mercato è andato solo su.
Quello che ci auspichiamo è che non sia una crisi tipo 1929. E purtroppo il paragone non è fuori luogo visto che nel 1930 era stato introdotto lo Smoot-Hawley Tariff Act che avrebbe ufficialmente inaugurato il protezionismo — e causato i danni che conosciamo. Il mercato perse oltre l’80% e fu un lunghissimo stillicidio.
Ciononostante, il trentennio dal 1929 al 1958, il peggiore della storia del mercato americano, avrebbe comunque prodotto un rendimento medio annuo del 7,8%.
Morale della favola?
Esiste un solo superpotere per gli investitori: la pazienza.
Niente come una grande dose di pazienza può essere il nostro migliore alleato anche questa volta.
Armiamoci di tanta pazienza e attraverseremo insieme anche questa tempesta.
Prima di lasciarci,
Prima di lasciarci, vi lascio con una citazione del grande Art Cashin, che ci ha lasciato nel 2024 e la cui saggezza oggi sarebbe stata utile.
Quando ancora molto giovane, negli anni ’60, chiese ad un investitore più esperto consiglio durante la crisi dei missili sovietici a Cuba, questo Professor Jack gli disse: “se arrivano i missili, tu compri, non vendi”. Il giovane Cashin lo guardò perplesso e gli chiese “compro? Se i missili sono in arrivo compro e invece di vendere?”. “Esatto — gli disse l’altro — compri, perché tanto se ti sbagli non sarà comunque un problema, saremo tutti morti”.
Qualcosa del genere disse anche Howard Marks nel 2009, quando investì massicciamente in equity, come anche Warren Buffett, sulle macerie della Great Financial Crisis. Investo in azioni, pensò Marks, perché si mi sbaglio non ci sarà più un’economia di cui preoccuparci.
Su con la vita gente, this too shall pass e dopo due anni passati a parlare di cose positive, tornermo anche in futuro a parlare di mercati che salgono.
Per il momento, tanta pazienza e non guardate il vostro broker e attenetevi al piano di investimento a cui avevate pensato senza pretesa di dover fare necessariamente qualcosa.
Per il momento ci fermiamo qui, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che, beh, vi accompagnano con un sorriso a navigare sui mari di sangue dei mercati in una catarsi finanziaria che ci purifica tutti e ci fa diventare investitori migliori, forse, sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un ospite straordinario, uno dei giornalisti di punta del Financial Times nonché chief editor di Alphaville, la sezione dedicata a finanza e investimenti del più importante quotidiano finanziario europeo, lo straordinario e divertentissimo Robin Wigglesworth. Sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Benvenuti a The Bear, il tuo podcast di finanza personale.
Erano quasi due anni che aspettavo di dire sta cosa!
Dai su con la vita, si fa per sdrammatizzare un po’.
L’abbiamo sempre detto no? Che ad un certo punto i bear market arrivano — e mentre i bull market sono lunghi, lenti e pacati, i bear market di solito si presentano come una porta in faccia.
The market takes the stairs up and the elevator down.
Mentre il Nasdaq 100 lo è già, tecnicamente l’S&P 500 non è ancora in bear market, ma è sceso fino al -17,5% venerdì, nel clamoroso bagno di sangue che è costato all’indice degli indici quasi il 6% di perdite. Sommato al quasi -5% del giorno prima, per ritrovare un back-to-back del genere bisogna tornare all’11 e 12 marzo del 2020, in pieno Covid, quando allora l’S&P fece -4,89 e poi -9,51% in due sanguinosissimi giorni di panico.
Per noi Europei invece il Bear Market è arrivato prima, un po’ come il Natale nel bresciano che si festeggia il 13 dicembre. I nostri ETF sull’S&P 500 hanno sconfinato ben oltre il -20% rispetto all’ultimo all-time-high e quindi, ladies and gentlemen è con grande emozione che vi comunico che finalmente questa irrinunciabile esperienza nella vita di un investitore è cominciata anche per tutti coloro che, tra voi, ancora non avevano avuto il piacere di godersela.
Venerdì è stato uno dei giorni peggiori della storia dell’S&P 500. Non entra in top 20, quindi sappiate che le cose possono andare decisamente molto peggio, ma è senza ombra di dubbio tra i 50 giorni più neri della gloriosa e pluricentenaria storia di Wall Street.
E pure venerdì non è che sia stata una carezza. Non so bene come abbia chiuso, ma alle quattro del pomeriggio navigava allegramente sotto di oltre il 3%.
Ben fatto signor Presidente!
Tutti gli obiettivi sinora sono stati raggiunti:
– Polverizzare quasi 6 trilioni di dollari di valutazioni azionarie in due giorni;
– Causare una quasi certa recessione;
– Far schizzare le previsioni sull’inflazione;
– Mandare nel caos il mondo intero.
Bisogna dire che comunque due suoi veri obiettivi finora li ha raggiunti: il rendimento dei Treasury è crollato ben sotto al 4%, in un classico movimento di fly-to-quality, mentre il dollaro, che teoricamente dovrebbe rafforzarsi di fronte alle prospettive di dazi e protezionismo, si è squagliato come neve al sole. E il motivo principale è che il mercato ora teme principalmente un crollo di fiducia nei confronti del biglietto verde e soprattutto delle istituzioni che ci sono dietro.
Qualcosina le obbligazioni hanno fatto, ma ovviamente non hanno compensato neanche lontanamente la caduta libera dell’azionario.
Va beh, l’avete visto tutti no, non è che devo stare io spiegarvi cosa è successo.
Oggi in realtà avevo un bell’episodio pronto su investire market-cap-weighted o utilizzare i fattoriali, ma ho supposto che probabilmente avreste preferito un episodio un po’ più sul pezzo, visto il momento epocale che stiamo vivendo.
Che poi epocale…
Che ne so? In realtà quando succedono ste cose sembra sempre la fine del mondo. Poi non è necessariamente detto che la fine del mondo arrivi davvero.
Prima di commentare un po’ tutta la tragicomica vicenda dell’annuncio dei dazi e di parlare appunto del Cattivo, del Brutto e del Buono, ovviamente percepisco tensione nell’aria — evidente dai mille mila messaggi che mi avete mandato a cui spero di riuscire a rispondere in tempi accettabili. Quindi facciamo tutti un bel respiro e ricordiamoci le cose fondamentali quando si investe.
Nei momenti più neri della vita — e questo decisamente non lo è, ci mancherebbe, però capisco che metta nervosismo — ho sempre trovato estremamente utile fare back-to-basic, riprendere in mano i principi guida rilevanti per la specifica situazione e rasserenare l’animo pulendo il segnale dal rumore, la razionalità dalle emozioni e ridefinendo il piano di azione da lì in poi.
Adesso parliamo di quel che è successo e soprattutto del perché è successo. Però permettetemi prima di dire che va più o meno sempre così. Cambiano i motivi. Cambiano le preoccupazioni. Cambiano le profezie di sventura. Cambiano le argomentazioni sul perché questa volta sarebbe davvero un disastro irreparabile. Ma i mercati questo fanno. Se una cosa a loro non piace, questi van giù. E se non piace molto, van giù pesante finché chi deve capire capisce. Oppure finché si convincono che qualcosa di buono possa arrivare nell’imminente futuro. Quando, come in questa situazione, il mercato ha espresso il suo inequivocabile parere negativo sulla decisione di Trump, alza la voce più che può crollando in maniera verticale. L’eccezionalità di questi crolli ci fa pensare che sia la fine del mondo. Ma benché siano eventi rari, in realtà fanno comunque parte del playbook dell’investimento azionario.
Il mio consiglio è, se potete, non fatevi sovrastare dai media, che come è comprensibile faranno di tutto per accentuare la drammaticità del momento, parlando di migliaia di miliardi bruciati, “panico sui mercati” e robe del genere.
Nessuno brucia niente e i mercati seguono il loro normale corso. In media vanno bene per un migliaio di giorni, poi per circa un annetto vanno da male a malissimo. E se state pensando: “eh ma questa volta è diverso, niente sarà più come prima”, vi rispondo: “forse avete ragione, ma anche tutte le altre volte, ve lo assicuro, il pensiero era stato questa volta è diverso è niente sarà più come prima”.
La fiducia nei confronti dell’economia americana nel 2009 era praticamente inesistente e si pensava che un tale collasso economico-finanziario avrebbe segnato la fine del capitalismo. Sappiamo che poi da lì è partito un bull market secolare interrotto solo dal 2018, 2022 e appunto da questi ultimi mesi.
Tra l’altro anche nel 2018 era stato sempre Trump a mandare il mercato ad un pelo dal bear market, -19,8%, e sempre per il medesimo motivo.
Nel 2022 avevamo avuto ben 8 giornate con l’S&P in rosso di oltre il 3%.
Nel 2018 5, ma tutte concentrate nella parte finale dell’anno.
E non so chi di voi si ricorda durante il covid. Tra marzo e aprile avevamo avuto un -12%, un -9,5%, un -7,6%, un -5,6%, un -5,1% e altri dieci giorni sotto di almeno 3 o 4 punti percentuali.
Anche nel 2008 ci si era divertiti, con ben 4 giorni in caduta libera tra il -7 e il -10%.
Non sto dicendo che non sia grave e non sto dicendo che sia uno scherzo.
Anzi.
Sono cose dolorose e hanno degli impatti sull’economia reale.
Sto solo dicendo che sono un’inevitabile parte del processo di investimento.
Come ci ricordava Ben Carlson domenica scorsa, il 10% medio annuo dell’S&P 500 dal 1926 ad oggi non è stato ottenuto da chi ha investito solo nei giorni migliori, ma è appunto la media composta che tiene conto anche della Grande Depressione degli anni ’30, dei bear market degli anni ’70, del 19 ottobre del 1987, del decennio perduto, del Covid e del 2022.
Questo è l’episodio 202 e quini per almeno 201 volte avevamo già spiegato questo concetto fondamentale.
Siccome però repetita iuvant, ricordiamoci di alcuni principi di fondo dell’investimento, back-to-basico come dicevo all’inizio.
Se uno investe anche un solo euro in azioni deve mettere in conto almeno tre cose:
– La PRIMA è che in ogni momento può aspettarsi un calo del 20, 30, 40 forse 50% del valore della quota azionaria del proprio portafoglio. Abbiamo in media un bear market ogni 4-5 anni, di conseguenza se una cosa accade il 20-25% del tempo, c’è poco da stupirsi. Fa sempre girare le palle, sono d’accordissimo e vedere quanti soldi in meno ho oggi rispetto a tre mesi non mi fa felice, ma passato lo stress del momento, ricordiamoci sempre che non c’è nulla di così eccezionale nei numeri che stiamo vivendo.
Sarà eccezionale la causa forse. Ma erano stati eccezionali l’inflazione e il conseguente rialzo dei tassi di interesse di 500 basis point nel 2022. Era stato eccezionale il Covid nel 2020. Era stata eccezionale la prima guerra sui dazi del 2018. Era stata eccezionalissima la Great Financial Crisis ed era stata una novità assoluta la bolla di internet di inizio 2000, così come once in a lifetime era stata la trovata di schiantare due aerei di linea contro le torri gemelle nel 2001.
È un po’, come dire, una considerazione tautologica. Se l’evento non fosse eccezionale, il mercato non reagirebbe così tanto. Ma si tratta di uno dei tanti eventi eccezionali che ogni tot capitano. Il che rende tutto molto meno eccezionale se ci pensate.
– La SECONDA cosa che uno deve mettere in conto quando investe in azioni è che deve avere un lungo orizzonte temporale. Lungo non vuol dire due mesi. Nemmeno due anni. E pure 10 anni è un po’ tirato per i capelli. Chi investe nel mercato azionario deve mettere in conto di guardare molto più in là, altrimenti abbiamo un problema di pianificazione. Non si può pretendere di investire in azioni e che il mercato non vada mai giù. E come pretendere di giocare a calcio ma non sudare. Non puoi. Ti prendi tutto il pacchetto, altrimenti se non vuoi sudare gioca a calcio alla playstation. Da qui ai prossimi 30 anni probabilmente più di 20 saranno stati degli anni positivi, 6-7-8 saranno invece dei bagni sangue. Forse il 2025 sarà uno di questi. Via uno. Via il dente, via il dolore. Se la cosa non fosse ancora chiara, bene ribadirla ancora oggi.
– La TERZA cosa è che le perdite sono reali sono quando vendiamo i nostri asset. Una volta che vendo i miei ETF, le mie azioni o in generale i miei asset in rosso, game over, quella è una perdita permanente. Oggi invece se avete perso il 5-10-20% del vostro capitale, a seconda di quanto siete investiti in azione, in realtà non avete perso niente. Finché avete i vostri asset nel portafoglio, è solo temporaneamente cambiato il valore di quegli asset. Se avevate 100 quote di un ETF sull’MSCI World, continuate ad avere 100 quote. Questa è la cosa più importante da tenere a mente.
Vi ricordate quante volte, soprattutto quando all’inizio avete cominciato più o meno casualmente questo viaggio con me, vi chiedevate “seee va beh, è arrivato questo. Fosse tutto facile lo farebbero tutti no? Dove sta il trucco?”.
Eh…
Mo’ l’avete capito ndo sta il trucco?
Il trucco è che sopportare giornate come queste, vedere magari decine o centinaia di migliaia di euro sparire dal valore del proprio portafoglio, leggere notizie di imminenti apocalissi economico-finanziarie e così via è dura. È un pugno nello stomaco. Ci rende nervosi e tiene qualcuno sveglio la notte.
Per questo non è per tutti.
E anche per questo investire in azioni paga un excess return, un rendimento supplementare rispetto ai bond. Perché spesso sono cazzi e bisogna sopportare due giornate back to back con il mercato che perde complessivamente più del 10%. E mantenere la barra dritta, con pazienza, dovendo sopportare un lungo stillicidio di notizie negative prima che quelle positive si facciano largo è la cosa più complicata di tutte.
Però, appunto, mollare il colpo è l’unica rovina finanziaria certa quando si investe.
Vendere i propri asset in perdita, o comunque fortemente svalutati, perché si teme che non ci sarà fine all’agonia è l’unico modo sicuro per perdere soldi quando si investe.
Vi ricordo che uno sfortunatissimo investitore europeo che avesse messo i suoi soldi nell’S&P 500 nell’agosto del 2000, il picco prima dell’inizio del crollo dei mercati a seguito dell’implosione della dot-com bubble, sarebbe arrivato a perdere sino al 64% del suo capitale azionario nel febbraio del 2009. E sarebbe tornato in positivo solo nel luglio del 2014. Quindi se siete preoccupati per un -20 e qualcosa percento, beh, preparatevi al fatto che potrà andare molto peggio di così.
Lo so, la prospettiva di 14 anni sott’acqua è insopportabile al solo pensiero.
Ovviamente però stiamo parlando di qualcuno che ha messo tutti i suoi soldi al picco e poi non ha mai più messo un euro.
Se invece, ad esempio, avesse messo subito 10.000 € e poi investito 200 € al mese, nel 2011 sarebbe già tornato in positivo.
Ok, non sembra una prospettiva molto più confortante.
Ma ricordiamoci che il vero premio sarebbe arrivato dopo: vent’anni esatti dopo che quello ha investito nel 2000 e poi mai più un euro avrebbe comunque raddoppiato i propri soldi, nonostante il 2018 e il disastro del Covid.
Quello del piano di accumulo invece avrebbe più che triplicato i propri soldi.
Nessuno aveva promesso tutto ciò a questi ipotetici investitori.
E nessuno può prometterci ora che tutto andrà per il meglio.
Investiamo perché siamo fiduciosi nel futuro.
Se invece siamo pessimisti investire non è proprio il nostro sport.
“Eh lo so ma questa volta è diverso”.
Sì è diverso. È sempre diverso.
Quindi consiglio da amico:
– Seguite il meno possibile i media se vi fanno stare male;
– Seguite però The Bull che sapete che qua ci facciamo sempre due risate e l’ottimismo non manca mai;
– E ricordatevi che il breve termine sembra lunghissimo quando succedono queste cose, ma quando poi si allarga lo sguardo anche giorni drammatici come questi vengono poi ridimensionati.
Ora, detto questo.
Come dicevo cerchiamo di dare un senso a tutto quanto e come nel noto film di Sergio Leone al contrario proviamo a focalizzare il Cattivo, il Brutto e il Buono della vicenda.
Metto il buono alla fine così in questo episodio facciamo il sandwich: prima parole tranquillizzanti, poi preoccupanti, poi di nuovo tranquillizzanti così non vi rovino la domenica.
IL CATTIVO.
Il cattivo, ovviamente, è Donald Jay.
Intanto: perché il mercato è crollato così tanto nonostante fossero mesi che parlava di dazi e che aveva annunciato che il 2 aprile avrebbe smitragliato tariff come se non ci fosse un domani?
Di solito il mercato non sconta in anticipo queste cose?
Sì di solito sì.
Quello che non sconta è il totalmente imprevedibile.
I mercati erano già scesi parecchio dopo il 19 febbraio, perché avevano già incorporato l’ipotesi che dei dazi avrebbero potuto contrarre la crescita americana e far salire l’inflazione.
Ci sono però due cose che hanno sconvolto il mondo intero il 2 aprile.
– La prima cosa è che le aspettative più o meno di tutti erano dei dazi più o meno generalizzati intorno al 9-10%, mirate perlopiù su specifici segmenti industriali. Quando poi ha detto 10% di dazi su tutto per tutti e se ne è uscito con quel cartellone da tombola di paese con scritto 34% China, 20% Unione Europa e via dicendo, è stato uno shock per chiunque. Stiamo parlando, se confermati — e questo è un grandissimo “SE” — dei dazi più alti mai applicati negli Stati Uniti dal 1930, quando la pessima idea di avviare un protezionismo economico creò danni enormi all’economia di tutto il mondo.
– La seconda cosa è stata la tragicomica formula matematica utilizzata per calcolare i dazi. Cioè, neanche quando misuro il numero di tuorli da mettere nella carbonara sono tanto approssimativo. Avete presente? Un tuorlo ogni 80 grammi, più uno per sicurezza, mah facciamo due che ste uova mi sembrano piccole. Azz mi è finito dentro un po’ di albume. Va beh lo lascio che viene più leggera…
Più o meno li hanno calcolati così. Cina che facciamo 30%? Mi è uscito 34%, che faccio lascio? Una formula completamente a cazzo di cane — e perdonate se non bippo la volgarità ma non mi è venuta un’espressione più puntuale per descrivere l’idiozia dietro a quel conteggio. Che poi, non so se avete visto la formula, ma gli hanno messo il delta t e le lettere greche psi e epsilon manco fosse la quinta equazione di Maxwell, ma la verità è che i presenti si sarebbero dovuti alzare e dire: “ma veramente? Ma ci state prendendo per il culo o davvero avete fatto i conti così?”.
Se non sapete di cosa sto parlando, mi faccio sentire l’audio del capo degli ingegneri del team di Trump che ha fatto tutti i conteggi che spiega la vera formula che è stata usata per calcolarli. Sentite:
Cane
Un giorno rideremo forse di questa cosa, ma ad oggi è agghiacciante ed è questo il secondo motivo che ha fatto crollare in verticale i mercati.
I mercati erano preparati a “reciprocal tariff”, cioè a dazi reciproci, ossia che Trump avrebbe applicato dazi commerciali nella stessa misura in cui un certo Paese li applica verso gli Stati Uniti.
Invece cos’hanno fatto: hanno preso il deficit commerciale con ciascun Paese, l’hanno diviso per il totale delle importazioni da quel Paese e hanno diviso per due — tra l’altro con la ridicola chiosa di Trump secondo cui “because we are gentle”, cioè siccome siamo gentili, abbiamo fatto diviso 2 per farvi uno sconto.
Questa cosa, presa alla lettera, è ridicola e folle perché non esiste nessun buon motivo economico per cui se un Paese esporta più beni negli Stati Uniti di quanti ne importa allora, dovrebbe subire dei dazi equivalenti al rapporto tra il deficit e le importazioni (diviso 2 because we are gentle).
Quindi, nota per chi mi ha scritto “eh, era tutto preventivabile, si poteva immaginare”.
No.
Non si poteva immaginare.
Altrimenti se il mercato se lo fosse immaginato, i prezzi sarebbero scesi prima. Non dopo i suoi annunci.
Trump sta ovviamente usando questa cosa dei deficit commerciali, tra l’altro dichiarando la situazione uno stato di emergenza economica, cosa che gli consente di ratificare questi dazi senza bisogno del congresso, probabilmente per altro perché dal punto di vista della teoria economica non sta in piedi. Gli Americani hanno un deficit commerciale non perché gli altri Paesi sono stronzi e li sfruttano, come dice lui, ma perché investono più di quel che risparmiano e importano capitali. Cioè gli altri producono merci a costi più bassi che gli americani comprano mentre si dedicano ad un’economia focalizzata su tecnologia e servizi e gli altri Paesi investono gli introiti che derivano delle esportazioni in America per investire negli asset finanziari americani finanziando a loro volta l’economia a Stelle e Strisce.
Tra l’altro poi in tutto ciò Trump considera solo il deficit sui prodotti e non sui servizi. Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Netflix, Salesforce e così via “esportano” trilioni di dollari in servizi che però nel suo conteggio magicamente spariscono.
Cmq questo è il modello che gli Americani stessi hanno voluto dal dopoguerra in poi e che ha dato prosperità a buona parte del mondo per 80 anni. Dire che il deficit commerciale con Paese sia un problema sarebbe come chiedere a un’azienda di garantire che ciascuno dei suoi fornitori sia anche un suo cliente.
È chiaro che il problema non è il deficit.
Il vero problema è che Trump vuole abbattere il deficit fiscale, che deriva dal suo enorme debito. Siccome non può farlo alzando le tasse per un Repubblicano non alza le tasse, l’unico modo è farle pagare sotto forma di dazi cammuffandole da strategia per rilanciare la potenza industriale del paese, riportarndo in casa il manufacturing con cui darà lavoro a tutta quella fascia di popolazione poco scolarizzata che oggi passa solo il tempo a drogarsi di fentalnyl, svalutando il dollaro per favorire le esportazioni e forse cerando di ottenere concessioni favorevoli agli stati uniti dagli altri paesi, sotto la minaccia di queste assurte tasse sulle importazioni.
Al momento non è ancora dato sapere quali siano le sue reali intenzioni.
Stanti così le cose, se davvero venissero applicati alla lettera questi dazi, ho letto ovunque pareri unanimi sul fatto che si tratterebbe un autogol clamoroso che infliggerebbe all’economia americana — e quindi poi al mondo intero — un incalcolabile danno economico.
E qui veniamo al BRUTTO.
Vi potrei citare una miriade di commenti al proposito.
Ancora una volta, uno dei più importanti lo prendo dal Wall Street Journal per un semplice motivo: è un giornale notoriamente schierato dal lato repubblicano. Quindi se il WSJ scrive un editoriale di condanna di questa iniziativa politica, ovviamente mi aspetto che sia più attendibile di chi invece non vedeva l’ora di dar contro a Trump.
Secondo il WSJ se queste misure venissero applicate — e il board del quotidiano finanziario più importante del mondo si auspica che ciò non accada — ci vede almeno 4 minacce.
• La prima riguarda ovviamente rischi economici e incertezza . L’impatto economico è difficile da prevedere, anche perché non si sa come reagiranno i Paesi colpiti. La Cina per esempio ha subito risposto con altrettanti dazi del 34% sulle importazioni dagli Stati Uniti. Se però i vari Paesi provassero a negoziare con gli Stati Uniti per ridurre i dazi, il danno potrebbe essere più lieve. Se invece la risposta fosse una rappresaglia diffusa, occhio per occhio, dente per dente, il risultato potrebbe essere una contrazione del commercio mondiale e una crescita più lenta, una recessione o pure peggio (e immagino che il WSJ abbia come worst scenario una guerra).
Nel frattempo ci saranno costi più alti per i consumatori e le aziende americane, dato che i dazi sono tasse. Inoltre Trump trasferirebbe la ricchezza dai consumatori americani a quelle aziende e ai lavoratori più protetti dalla concorrenza. Ma ciò significherà la graduale erosione della competitività degli Stati Uniti perché i dazi riducono la concorrenza, creano monopoli e deprimono la necessità di innovare.
• La seconda sono i danni alle esportazioni americane, proprio ciò a cui Trump punterebbe. Un obiettivo commerciale degli Stati Uniti da lungo tempo è stato quello di espandere i mercati per i beni e i servizi americani. Oggi il 41% dei ricavi delle aziende S&P 500 proviene dall’estero e sono regolati da accordi bilaterali. I dazi fanno saltare quegli accordi, invitano alla ritorsione da parte degli altri Paesi e li incentivano a stringere accordi commerciali con aziende non statunitensi.
• La terza minaccia è la fine della leadership economica degli Stati Uniti. La leadership degli Stati Uniti e la decisione di diffondere il libero scambio hanno prodotto otto decenni di prosperità per lo più crescente. Questo potrebbe finire perché Trump avrebbe adottato una visione mercantilistica del commercio e dell’interesse personale degli Stati Uniti. Il risultato sarà probabilmente ogni nazione per sé. La scommessa di Trump è che il mondo non potrà fare a meno del mercato statunitense e della sua potenza militare, ma sta tradendo la fiducia dei suoi alleati e questa cosa potrebbe contare ancora di più.
• La quarta minaccia è che starebbe regalando una grande opportunità alla Cina. Per la Cina questa è un’opportunità per usare il suo ampio mercato per attrarre gli alleati americani. Corea del Sud, Giappone e Europa in primis, rendendoli meno propensi ad unirsi agli Stati Uniti per imporre controlli sulle esportazioni di tecnologia in Cina.
Insomma, tutto il male possibile. A partire dai danni agli americani stessi.
E anche il Financial Times è dello stesso avviso, quando venerdì ha pubblicato un editoriale dal titolo “America’s astonishing act of self-harm”, l’incredibile atto di auto-lesionismo degli americani.
Ancora più duro è stato l’Economist, rivista invece non esattamente di destra, che considera semplicemente folle quel che è accaduto e che ha auspicato una reazione lucida da parte degli altri Stati, come ad esempio una riorganizzazione del commercio internazionale tra i Paesi Europei, Asiatici e la Cina, così da non assecondare le allucinazioni di Re Donald, come lo chiama.
E poi un coro più o meno unanime da tutto il mondo finanziario: JP Morgan, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Barclays, tutte si sono già espresse dando per scontato che l’esito certo di queste mosse — se, ripeto, se implementate davvero — sarà stagflation: crescita dei prezzi e recessione economica, certamente negli Stati Uniti e probabilmente su scala globale.
Veniamo al BUONO.
In questo mare di condanne raramente allineate e di sangue che scorre nelle piazze finanziarie di tutto il mondo è difficile trovare motivi di ottimismo.
Ma lo sapete come sono fatto, sono un ottimista per natura, devo trovare del buono.
Se devo guardare ai fatti, c’è poco da dire.
Questa decisione è demenziale e le conseguenze, almeno nel breve termine, saranno molto probabilmente pesantissime.
Ovviamente impossibile dire cosa succederà nelle prossime settimane.
Pistola alla tempia, però, sarei più propenso a ritenere che il mercato non abbia smesso di andare giù venerdì, ma che ci sia ancora tanta strada per l’S&P 500 per scendere ben sotto i 5.000 punti.
Se invece lascio un attimo da parte i fatti e provo a fare qualche ragionamento più logico, allora potrei in effetti trovare motivi di ottimismo.
MOTIVO NUMERO UNO, che peraltro non è farina del mio sacco ma viene da Savita Subramanian, la head of US Equity Strategy di Bank of America e una delle voci più ascoltate a Wall Street.
Almeno abbiamo dei numeri!
Sarà una magra consolazione però un po’ di nebbia si è dissipata, il mercato ora sa qual è il worst scenario e di che morte morire e in qualche modo questi esorbitanti dazi sono, diciamo così, la base più negativa (a meno che non scoppi davvero una guerra commerciale).
Da qui potrebbero cominciare delle trattative con gli altri Paesi per ridurli e trovare dei compromessi più accettabili nell’interesse di tutti.
Giustamente lei dice: “a meno che il fine ultimo dei decisori politici non sia una recessione globale, le negoziazioni sono probabili e potrebbero essere catalizzatori positivi per i mercati”.
MOTIVO NUMERO DUE: ok i mercati non si aspettavano niente del genere, però se ci pensate Trump è stato coerente con l’atteggiamento testosteronico di questi mesi e sinceramente quale sarebbe stato il senso di una moderata applicazione di dazi commerciali se il suo obiettivo è mostrare i muscoli e sedersi al tavolo delle trattative con gli altri Paesi da una chiarissima posizione di forza?
Come dire? Se uno deve fare qualcosa di disruptive, la deve fare bene.
Trump probabilmente voleva essere scioccante. Voleva, come dire, mettere sul tavolo una pistola bella grossa per far capire a tutti che, almeno nella forma, fa sul serio.
Se la tua strategia di negoziazione non è win-win, non è “troviamo una soluzione in cui vinciamo tutto”, ma si basa sulla logica della deterrenza, allora la deterrenza deve essere bella forte.
La butto lì: sparare 20% di dazi sull’Unione Europea, negoziare concessioni sulle cose che gli interessano davvero e poi trovare un accordo più in basso sarebbe per lui una grande vittoria.
Il figlio di Trump, sul suo social ironicamente chiamato Truth, già venerdì aveva invitato gli altri Paesi a contattare in fretta Trump padre per non trovarsi ad essere gli ultimi al tavolo delle trattative.
Trump HA in mente di negoziare e di usare questa misura esorbitante per ottenere il maggior numero di concessioni possibili.
Forse.
Oppure forse è pazzo davvero.
MOTIVO NUMERO TRE: il consenso così universale sugli effetti devastanti di questa iniziativa di Trump mi ha lasciato uno strano senso di scetticismo, che è dovuto a questo: di fronte all’eccezionalità storica di questo evento, l’atteggiamento più naturale del mondo è esasperare le possibili conseguenze negative. Siamo programmati, per nostro spirito di sopravvivenza, a prefigurarci il peggio. Non vuol dire che si stiano tutti sbagliando, anzi, ma sono altrettanto possibili due cose:
– La prima è che Trump ci sta mostrando quello che vuol farci vedere, non quello che intende fare davvero;
– La seconda è che è molto facile prefigurare i disastri e sottovalutare le capacità di adattamento dell’uomo e dell’economia a nuove circostanze.
MOTIVO NUMERO QUATTRO: trovo molto di buon senso quello che ha scritto Yardeni venerdì pomeriggio. Sapete che a lui piacciono i vigilantes no? Quello che sta accadendo è, secondo lui, l’effetto degli Stock Vigilantes in azione. Il mercato è l’ultimo guardrail e la cosa bella è che è indifferente al colore politico di chi siede a Washington, alle pressioni, alle minacce, a tutto quanto. In questo bagno di sangue sta distruggendo una quota enorme della ricchezza americana, dei patrimoni, delle pensioni della nazione più ricca del mondo. E Wall Street, in America, è forse l’ultima istituzione sacra. Nessuno può passare politicamente indenne ad un disastro finanziario prolungato e ad un certo punto il Congresso potrebbe intervenire quando gli elettori andranno dai propri deputati e senatori eletti a chiedere di rendere conto delle loro azioni. Secondo Yardeni gli Stock Vigilantes alla fine eserciteranno il loro consueto potere persuasivo e ad un certo punto questo sell-off diventerà una buying opportunity. La cosa negativa, tuttavia, è che probabilmente però non basteranno due giorni di sangue, ma servirà soffrire ancora forse per mesi.
MOTIVO NUMERO CINQUE: e qui ci lanciamo in un’acrobazia politica e legale. Politica, perché nel 2026 ci sono le elezioni di Mid-Term e nel 2028 le presidenziali. Trump ha già fatto capire che troverà il modo per farsi rieleggere una terza volta. Malissimo per la democrazia. Però fino a prova contraria dovrà comunque farsi eleggere. E se avrà mandato gli americani in rovina nei 4 anni precedenti, quelli sopportano tutto ma non che gli tocchi il portafoglio. Inoltre sta applicando i dazi tramite ordini esecutivi, cosa che può fare solo dichiarando uno stato di emergenza nazionale. Non c’è bisogno di spiegare che l’applicazione di dazi universali per controbilanciare tutti i deficit commerciali non è un’emergenza nazionale. Quindi anche qui delle due l’una:
– O va fino in fondo e poi ad un certo punto qualche Repubblicano inizia a dargli contro e il congresso blocca le sue iniziative (improbabile);
– Oppure anche questa cosa fa parte della strategia di Trump per dimostrare di essere l’unico decisore così da portare ancora più potere negoziale ai tavoli, senza la reale intenzione di applicarli realmente fino in fondo.
MOTIVO NUMERO SEI: tra il 2007 e il 2009 il mercato era crollato per una serie di incontrovertibili dati negativi. La gente perdeva la casa perché non riusciva a pagare i mutui. Le banche fallivano. Il credito si era paralizzato. Le imprese licenziavano. Era un disastro economico reale. Allo stesso modo nel 2020 il mercato crollava perché interi settori erano stati azzerati e i licenziamenti erano stati massivi. C’erano hard data che avevano guidato i sell-off sui mercati.
Per ora non è ancora accaduto nulla. I mercati stanno vivendo svendite enormi, per ora, solo per dei timori. Solo per paura che qualcosa di molto brutto stia per accadere. Non si può dire che stiano sovrareagendo; anzi, secondo me non c’è proprio nessun panico. I mercati stanno andando giù perché sanno bene che questi dazi ridurrano i profitti delle aziende e quindi il valore presente dei flussi di cassa futuri si abbassa inevitabilmente. Mi sembra un crollo molto “razionale”. Però appunto basato su timori di cose che non sono ancora successe e che potrebbero non succedere. Tutto quel che è accaduto finora è stato fatto da un uomo e da quello stesso uomo può essere disfatto. E se il mercato riprende fiducia sul fatto che verrà applicato del buon senso e che le cose saranno un po’ meno di peggio di come ore se le sta immaginando, invertirà il suo corso.
Insomma, mettiamola così, è ancora molto presto per formulare delle conclusioni, anche perché davvero non sappiamo con cosa stiamo per avere a che fare.
Però, così, di pancia, l’idea che mi sono fatto è la seguente:
1. Non sarà una cosa breve. Trovo improbabile che lunedì il mercato riprenda serenamente la sua corsa verso l’alto e ci lasciamo tutto alle spalle. Sarà lunga, nessuno vorrà sottomettersi a nessun altro e servirà tempo perché il mercato possa trovare elementi su cui sostenere il proprio rimbalzo. Il mercato vorrà tornare su. Ma non prima di avere un buon motivo per farlo. E a volte, dopo tante notizie drammatiche, basta una mezza notizia leggermente meno terribile per farlo contento.
2. La strada della negoziazione resta la mia prima opzione. Così come il fatto che i deficit commerciali sono un argomento pretestuoso per ottenere altro con la forza. L’alternativa sarebbe stato un diligente piano di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse soprattutto alle fasce più ricche della popolazione americana. Non esattamente un mantra per Donald J, che vorrà certamente essere ricordato come colui che farà rivivere il sogno americano, non come colui che ha mandato in rovina il Paese più ricco del mondo.
Poi oh, magari quel proiettile che gli ha sfiorato l’orecchio l’ha reso folle davvero.
Ma non credo tanto alle tesi sui dittatori folli.
Credo che gli incentivi siano sempre delle spiegazioni migliori delle azioni umane.
Il suo incentivo sarà davvero realizzare il sogno MAGA, make america great again? Possibile e con i suoi modi brutali farà di tutto per riuscirci, senza che noi capiremo mai davvero il fine ultime delle sue azioni.
Del resto, già nel 1987 aveva comprato una pagina del New York Times per scrivere un articolo in cui denunciava il libero commercio e il fatto che avesse permesso al Giappone di disintegrare l’industria automobilistica americana e alla Germania di diventare la più grande potenza manifatturiera del mondo. Lui vuole gli Stati Uniti leader indiscussi del mondo economico, a partire dalla sua potenza industriale. Non c’è potenza, secondo lui, se anche la produzione non è controllata dagli Stati Uniti. Nel dopoguerra il PIL degli Stati Uniti pesava quasi il 50% di quello mondiale. Oggi circa il 25%. È evidente che oggi guarda più agli anni ’50 del 900 che non al contesto globalizzato degli anni 2000. La versione alla lettera della sua visione è impraticabile, perché quella degli stati uniti non tornerà mai ad essere un’economia manifatturiera. Ma magari riuscirà a ottenere una parte di questi obiettivi, mentre contemporaneamente otterrà un dollaro più debole, maggiori esportazioni, un ridimensionamento del debito e la possibilità di tagliare le tasse. Operazione molto complicata e pericolosissima, ma c’è una logica nella sua follia e confido che la componente logica prevarrà alla fine su quella folle.
Sono preoccupato?
Beh, economicamente sono preoccupato, sì.
È uno scenario che non conosciamo. Nessuno si sarebbe immaginato di vivere mai più in un mondo dominato dal protezionismo.
Non sappiamo come il mondo reagirà e che impatti ci saranno sull’economia reale anche qua da noi.
Il 2009 è stato la buying opportunity of a lifetime, da lì in poi il mercato ha avuto una corsa stellare. Ma i danni economici sono rimasti.
Persone hanno perso il lavoro.
Aziende hanno chiuso.
Tanti sono diventati più poveri.
Il mercato prima o poi tornerà su, ma questo no significa che nel frattempo non ci saranno sofferenze anche importanti.
Istintivamente mi verrebbe quindi da dire che sono più preoccupato per le possibili implicazioni economiche che non per quelle del mio portafoglio, pur falcidiato da questi due giorni terribili (mazza che legnata che ho preso!).
La mia idea di base è che ad un certo punto tornerà su, l’S&P 500 supererà nuovi massimi e tra 10-20-30 anni il valore del mio portafoglio sarà di gran lunga superiore a quello di oggi.
In mezzo spero invece che una soluzione di buon senso si trovi velocemente e che l’umanità tutta in ogni caso troverà il modo di riadattarsi, affrontare e superare quest’ennesima sfida.
Con ogni probabilità andremo in un bear market ufficiale e ci ricorderemo della crisi dei mercati del 2025. Questo ormai possiamo metterlo in conto.
Sarà più una crisi tipo 2020, brutale e fulminea, o tipo 2008, più lenta, logorante e dagli effetti duraturi. Salvo che nelle prossime settimane si trovino accordi rapidi — e non è il mio base scenario — è forse più probabile uno scenario tipo 2008, con tutto il suo bel menu fatto di recessione e, questa volta, forse anche inflazione. L’unica consolazione è, che rispetto ad allora, non c’è di mezzo un’elezione. Uno delle aggravanti della crisi del 2008 era stato il fatto che a Novembre c’erano state le elezioni che avrebbero portato alla vittoria di Barack Obama. Di conseguenza, per mesi, fino al marzo del 2009, il governo non fece nulla di significativo per evitare il collasso. Oggi se non altro questo problema non c’è. Ma visto il personaggio al comando, non so se sia una grande consolazione.
Fosse anche un nuovo 2008, oh, amen, ce ne faremo una ragione. Il mercato è andato giù fino al -55%, poi nel 2013 è tornato sui nuovi massimi. 6 anni sono tanti. Ma almeno dal punto di vista psicologico c’è un aspetto positivo. La sofferenza è durata un anno e mezzo. Dal marzo 2009 in poi il mercato è andato solo su.
Quello che ci auspichiamo è che non sia una crisi tipo 1929. E purtroppo il paragone non è fuori luogo visto che nel 1930 era stato introdotto lo Smoot-Hawley Tariff Act che avrebbe ufficialmente inaugurato il protezionismo — e causato i danni che conosciamo. Il mercato perse oltre l’80% e fu un lunghissimo stillicidio.
Ciononostante, il trentennio dal 1929 al 1958, il peggiore della storia del mercato americano, avrebbe comunque prodotto un rendimento medio annuo del 7,8%.
Morale della favola?
Esiste un solo superpotere per gli investitori: la pazienza.
Niente come una grande dose di pazienza può essere il nostro migliore alleato anche questa volta.
Armiamoci di tanta pazienza e attraverseremo insieme anche questa tempesta.
Prima di lasciarci,
Prima di lasciarci, vi lascio con una citazione del grande Art Cashin, che ci ha lasciato nel 2024 e la cui saggezza oggi sarebbe stata utile.
Quando ancora molto giovane, negli anni ’60, chiese ad un investitore più esperto consiglio durante la crisi dei missili sovietici a Cuba, questo Professor Jack gli disse: “se arrivano i missili, tu compri, non vendi”. Il giovane Cashin lo guardò perplesso e gli chiese “compro? Se i missili sono in arrivo compro e invece di vendere?”. “Esatto — gli disse l’altro — compri, perché tanto se ti sbagli non sarà comunque un problema, saremo tutti morti”.
Qualcosa del genere disse anche Howard Marks nel 2009, quando investì massicciamente in equity, come anche Warren Buffett, sulle macerie della Great Financial Crisis. Investo in azioni, pensò Marks, perché si mi sbaglio non ci sarà più un’economia di cui preoccuparci.
Su con la vita gente, this too shall pass e dopo due anni passati a parlare di cose positive, tornermo anche in futuro a parlare di mercati che salgono.
Per il momento, tanta pazienza e non guardate il vostro broker e attenetevi al piano di investimento a cui avevate pensato senza pretesa di dover fare necessariamente qualcosa.
Per il momento ci fermiamo qui, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che, beh, vi accompagnano con un sorriso a navigare sui mari di sangue dei mercati in una catarsi finanziaria che ci purifica tutti e ci fa diventare investitori migliori, forse, sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un ospite straordinario, uno dei giornalisti di punta del Financial Times nonché chief editor di Alphaville, la sezione dedicata a finanza e investimenti del più importante quotidiano finanziario europeo, lo straordinario e divertentissimo Robin Wigglesworth. Sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025