Le 3 Leggi della Finanza (ossia come non fare errori stupidi)

La finanza è governata da 3 Leggi fondamentali. Conoscerle e farle proprie permette di prendere decisioni migliori e di non incappare in banali errori potenzialmente costosi.

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Le 3 Leggi della Finanza (ossia come non fare errori stupidi)
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

218. Le 3 Leggi della Finanza (ossia come non fare errori stupidi)

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Risorse

Punti Chiave

Non esiste un rendimento senza rischio: comprenderlo è cruciale per decisioni d'investimento consapevoli.

Mercati: autocorrelazione nel breve termine, regressione alla media nel lungo termine.

Per ogni acquirente c'è un venditore; chiediti sempre chi c'è dall'altra parte del tuo trade.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

A questo episodio tengo particolarmente, perché ciò di cui parleremo oggi sono esattamente i tre principi guida che ispirano ogni mia decisione d’investimento e che in qualche modo rappresentano l’estrema summa di tutto quel che ho imparato negli anni sulla finanza.

Sono un po’ come dire, le tre leggi di Newton, i principi della termodinamica, le equazioni di Maxwell, la Juve che perde le finali di Champions, cioè sono quelle regole iscritte nella struttura stessa del mondo, in questo caso nel mondo della finanza, che sono praticamente inviolabili.

Ma siccome la finanza riserva quasi ogni giorno colpi di scena clamorosi, nella notte tra mercoledì e giovedì noi tutti pensavamo che la notizia con la N maiuscola sarebbe stata la pubblicazione dei conti trimestrali di Nvidia, che tanto per cambiare ha stramegabattuto le previsioni sul fatturato e alzato le stime sul prossimo trimestre, anche se l’utile per azione è stato leggermente inferiore alle attese. Invece questa notizia, che ormai da tre anni è uno dei principali market mover del mercato, è passata quasi in sordina, sovrastata dal ben più spettacolare risvolto legale della grottesca iniziativa politica legata ai dazi dell’amministrazione americana.

Lo US Court of International Trade, che è un noioso tribunale federale che non si era mai ca**to nessuno, ha emesso una sentenza che in pratica dice: “imporre dazi a tutti i Paesi che esportano negli Stati Uniti tramite ordini esecutivi — cioè senza passare dal Congresso — non è nei poteri del Presidente perché un deficit commerciale, che tra l’altro dura da decenni, non è un’emergenza nazionale”.

NO!

Davvero???

Ma chi l’avrebbe mai detto!

Ah sì, un po’ tutti l’avevano detto, noi compresi, il 6 aprile.

Certo, Trump ha già fatto appello e già giovedì sera un altro tribunale ha bloccato la sentenza del tribunale che ha bloccato i dazi. Inoltre Trump potrà probabilmente contare su una Corte Suprema amica. Ma intanto sappiamo che ha ben due nemici da combattere molto più forti di quelli politici: i mercati finanziari, che gli hanno fatto fare numerose marce indietro, tanto che ormai l’acronimo TACO (Trump always chickens out) è diventato il meme più famoso di Wall Street; e ora anche la Rule of Law, di cui forse avevamo celebrato il requiem con un po’ troppa fretta.

Tra l’altro questa cosa del TACO glie l’hanno chiesta a inizio settimana: “presidente, ma è vero che i mercati la costringono a always chicken out”, cioè a fare sempre marcia indietro nel senso di farsela addosso”.

E lui si è incazzato come una iena: “NO! It’s negotiation”.

Vi rimando sempre all’episodio 202 del 6 aprile, quello subito dopo lo shock del liberation day, in cui ancora coperti di sangue dopo i due giorni di emorragia del mercato trovavamo piuttosto ovvio che spararla grossa e dire che non era una strategia negoziale ERA una strategia negoziale. Rozza come poche. Ma direi che di conferme ne abbiamo avute abbastanza.

Oggi in realtà non volevo parlare di attualità, però oh, il Fantapresidente più arancione della Florida non smette di darmi spunti ogni due giorni, che ci posso fare?

L’obiettivo però era un altro.

Primo episodio di giugno, questi 5 mesi alle nostre spalle sono stati talmente densi che sembrano durati più del Pleistocene, oggi sentivo l’esigenza di un episodio universale, che tocca quei temi senza tempo al cospetto dei quali questa mega rivoluzione del commercio globale (ammesso che mai ci sarà) quasi scompare per insignificanza.

Lo spunto me l’aveva dato uno dei miei grandi eroi Ben Felix, che qualche giorno fa ha pubblicato un bel video dedicato ai 3 temi più controversi della finanza.

L’idea mi ha intrigato un sacco perché avevo già in cantiere qualcosa del genere, anche se poi ho capito che mi interessava di più parlare di alcuni principi che, in qualche modo, dovrebbero aiutare a dirimere le nostre decisioni di fronte a QUALUNQUE tema controverso della finanza.

Per la cronaca, i tre temi di Ben sono:

– Affitto contro Comprare Casa e ovviamente la risposta è: dipende, posto che da un punto di vista strettamente finanziario l’affitto sarebbe probabilmente la cosa più sensata.

– Income Investing, cioè quel bias tipico degli investitori che preferiscono investimenti che generano reddito;

– E poi ha parlato del FIRE, del Financial Independece REtire Early, nelle sue varie forme cercando di smussare alcuni dettami un po’ troppo rigidi della sua versione originaria.

Ora, io non voglio andare troppo su questi temi, anche se userò il secondo come esempio all’interno del discorso più generale.

Mi interessa invece condividere con voi — e possibilmente stamparvi in maniera indelebile sulla corteccia prefrontale — quelle che ritengo siano le TRE LEGGI FONDAMENTALI DELLA FINANZA e DEGLI INVESTIMENTI, per due motivi principali:

– Il *primo* è che in questi tre principi si condensa un po’ il bigino universale di quanto ho appreso nel mio personale viaggio nel mondo della finanza;

– Il *secondo* è che fare propri questi principi è secondo me una valida assicurazione contro uno dei rischi peggiori quando si investe: ossia fare cose oggettivamente stupide.

Prima di lanciarci parlare di questi tre pilastri strutturali dell’architettura della finanza, volevo però accennare brevemente anche una QUARTA LEGGE, *che potremmo definire così: se i podcast di finanza non li fai pagare, da qualche parte due soldi li devi pur guadagnare.*

*E chi sono io per violare un sacro principio universale come questo?*

*Nessuno ovviamente!*

*E da questo quarto principio discende un corollario che afferma: se ti piace l’idea che l’autore di questo podcast continui ad esistere per parlarti di come investire al meglio e allo stesso tempo vuoi gestire i tuoi investimenti tramite la stessa piattaforma che il suddetto autore utilizza sin dal primo ETF che ha comprato anni fa, allora — va che fortuna — due piccioni con una fava! In descrizione trovi un link per aprire un conto su Fineco, sponsor di quest’episodio nonché la banca leader in Italia da un quarto di secolo per gli investimenti e il trading online, con un codice solo per gli ascoltatori di The Bull che vi regala 60 operazioni gratuite da effettuare nei primi 6 mesi. E per chi investe a lungo termine come me, poche cose saranno più apprezzate del piano replay per i piani di accumulo e delle migliaia di ETF di iShares, Xrtackers, Amundi e Fidelity a ZERO commissioni. *

*Chi volesse solo una piattaforma per investire c’è il Conto Trading, mentre chi preferisce il Conto Completo di tutti i servizi bancari, che per esempio può essere cointestato per investire in coppia e suggellare il proprio amore a colpi di PAC, per 12 mesi il costo del canone è ZERO.*

*Se aprite un conto Fineco usando il link in descrizione il sottoscritto riceverà una commissione, investire comporta dei rischi ma, come diremo tra poco parlando del primo principio, meno male che i rischi ci sono e anzi impariamo a trattarli bene!*

Detto questo veniamo appunto alla PRIMA LEGGE FONDAMENTALE DELLA FINANZA: non esiste un rendimento che non comporti un rischio.

Attenzione che questa sembra la scoperta dell’acqua calda, ma stiamo parlando di un principio che ha implicazioni molto più profonde di quelle che uno solitamente si immagina quando prende una decisione di investimento.

Dimenticarsi questa legge è spesso fonte di sciagurate e maldestre operazioni finanziarie.

Il principio ovviamente si regge sull’intersezione tra due elementi, uno di natura psicologica e uno legato alla struttura dei mercati finanziari.

L’elemento psicologico è questo: l’essere umano agisce per incentivi ed è orientato a massimizzare la propria utilità personale, il proprio vantaggio.

Cioè, salvo casi particolari, l’uomo non è naturalmente masochista, ma tende a voler massimizzare il proprio beneficio.

Ora sappiamo bene che tutta la finanza comportamentale ha messo in discussione alcuni aspetti di quel che ho appena detto e che invece era la premessa dura e pura della finanza classica.

Oggi sappiamo che l’uomo non è perfettamente razionale e prende decisioni soggette a bias e a tutta una serie di distorsioni che razionali non sono proprio per niente.

Però questo non significa che in generale non agisca PENSANDO di massimizzare il proprio beneficio.

Cioè per esempio è vero che, come spiega la prospect theory, non ha nessun senso prendere decisioni di investimento a partire dal fatto che una perdita ci fa soffrire il doppio di quanto non ci faccia gioire un guadagno dello stesso importo.

Ma anche se ci muoviamo distorti dai nostri bias, comunque lo facciamo nella convinzione che stiamo prendendo una decisione corretta per i nostri interessi.

Poi a seconda di come leggi questa cosa da qui derivano le due principali scuole di pensiero: il nostro padre spirituale Eugene Fama considera la finanza comportamentale fuffa e benché sia perfettamente consapevole che le persone agiscono in maniera spesso emotiva, lui ritiene che il fatto che non ci siano schemi di comportamento prevedibili rende questa consapevolezza poco utile sia per l’investitore sia per la descrizione del funzionamento generale dei mercati e dell’andamento dei prezzi degli asset finanziari.

Altri che invece sono più spostati sulla finanza comportamentale credono che si possano sfruttare alcune inefficienze del mercato causate PROPRIO da questi nostri bias, da queste distorsioni emotive nelle nostre decisioni.

Però, indipendente da chi abbia più ragione e sapendo che ci sono evidenze che di fatto danno ragione ad entrambi, non si può scappare dalla considerazione che IN AGGREGATO il mondo della finanza è permeato da questa inviolabile legge: in un qualunque momento, il prezzo di ciascun asset è un’espressione del suo rapporto tra il rischio percepito e il rendimento atteso dal mercato.

E qui subentra l’elemento legato alla struttura del mercato stesso, che come dicevamo sorregge il principio di cui stiamo parlando.

Nella misura in cui i mercati sono piuttosto efficienti, trasparenti e liquidi, nella stragrande maggioranza dei casi i prezzi descrivono in maniera affidabile il rapporto tra rischio e rendimento di ciascun asset in un dato momento e dove non lo fanno non c’è un modo sistematico per identificarlo. Semplicemente lo si scopre dopo quando nuove informazioni vengono rapidamente incorporate dal mercato che riprezza il rapporto rischio-rendimento di tutti gli asset.

Questa non è però una pippa filosofica avulsa dalla realtà.

È proprio la domanda che un investitore dovrebbe sempre porsi prima di procedere con un’operazione di investimento, ossia: “sono consapevole del rischio implicito e del rendimento atteso da questo investimento”.

Se la risposta non è un chiaro e fermo Sì, allora forse val la pena fermarsi un attimo a riflettere bene prima di procedere.

Ora attenzione però alla ASIMETTRIA che ne viene fuori.

– Da un lato non esistono rendimenti SENZA rischi; impossibile. Zero assoluto. Se uno investe in qualcosa e quel qualcosa promette un rendimento ci deve essere un rischio come minimo proporzionale. Altrimenti andremmo a violare il principio che l’uomo di base non è masochista, perché ci troveremmo con un’opportunità di investimento in cui mi viene regalato del rendimento da una controparte che si accolla del rischio al posto mio. Ovviamente questa cosa è paradossale e in mercati efficienti come quelli finanziari ciò tendenzialmente non succede.

– Dall’altro è possibilissimo il contrario. Esistono eccome rischi SENZA rendimenti o comunque senza rendimenti commisurati. Una delle sfighe della finanza è che se non si sta attenti è facilissimo incappare in situazioni in cui non comprendiamo fino in fondo il rischio che ci stiamo assumendo in cambio di un rendimento non proporzionato ad esso.

Adesso facciamo un paio di esempi per spiegarci meglio.

Però il punto fondamentale è duplice: “non ci sono scommesse sicure” e “non è possibile aggirare il rischio per conseguire un certo rendimento”. È possibile avere un rischio più alto del dovuto, ma è molto difficile avere un rendimento più alto rispetto al rischio assunto.

Ovviamente parliamo di rischio percepito e di rendimento atteso. Quindi lo sguardo è verso il futuro e si basa sulle informazioni che tutti hanno.

Con il senno di poi è tutto un altro discorso.

Oggi potremmo dire che investire nel Nasdaq 100 nel 2009 sarebbe stata la scommessa più redditizia e a basso rischio del mondo.

Ma è un discorso retrospettivo di nessuna utilità, perché quando investiamo ci proiettiamo nel futuro e quindi l’unica cosa che conta è il rapporto tra rischio e rendimento PER COME IL MERCATO LE PREZZA in questo momento, perché il prezzo è l’estrema sintesi di tutte le informazioni che tutti quanti conosciamo.

Perché è di drammatica importanza non dimenticarsi mai di questa LEGGE?

Intanto perché io inorridisco e muoio dentro ogni volta che qualcuno di voi mi dice “guarda, pensavo di investire un di più qua — e il qua di solito è l’S&P 500, il Nasdaq, un ETF sui tecnologici o altre robe simili — perché, attenzione, “preferisco puntare sui mercati più performanti”.

NOOOOOOOOOO!!!

Allarme rosso quando vi viene un pensiero del genere.

No! È sbagliato, ma proprio sbagliato al quadrato.

Non può esistere in linea di principio un mercato o un asset “più performante a priori”.

Può esistere un asset che il mercato ritiene potenzialmente più performante ma altrettanto rischioso, ma non un asset più performante a parità di prezzo — e quindi di rischio implicito — rispetto ad altri.

Vi ricordate il discorso sui multipli, sul price-earning ratio?

È una misura imperfetta, ok, però il discorso è tutto lì.

Se siamo tutti d’accordo che l’S&P 500 sia the place to be per i nostri investimenti, non è che sta cosa la sappiamo in segreto solo noi, i prezzi rifletteranno già quest’aspettativa e quindi di conseguenza il rendimento atteso si riduce tanto quanto i prezzi di partenza si alzano.

Un mercato con un P/E medio di 25 è considerato molto meno rischioso di uno con un P/E medio di 10 perché significa che, sulla base delle informazioni che abbiamo oggi, gli investitori sono disposti a pagare molto di più per lo stesso dollaro di utile futuro sapendo che quest’utile arriverà con un minor livello di rischio, chiaro?

E se giriamo la cosa al contrario, questo significa che il rendimento atteso nel mercato più economico è maggiore — ma maggiore è anche il rischio e quindi la possibilità che questo maggior rendimento non si concretizzi mai. Cina e mercati emergenti noi continuiamo ad aspettarvi dal 2007. Fate con calma.

Attenzione quando sentite dire o leggete l’espressione “valutazioni attraenti”, come quando si dice “investiamo qui invece che là perché le valutazioni sono attraenti”, nel senso che sono molto basse rispetto alla media del mercato.

Sì, sono attraenti.

Ma perché investire lì è più rischioso.

A meno che uno sia in grado di dire a priori che i prezzi siano oggettivamente “sbagliati”, cioè che siano troppo bassi e che quindi investire lì sia effettivamente un’opportunità in saldo, la verità è che valutazioni attraenti significa una cosa sola: rendimenti attesi superiori a fronte di un rischio maggiore.

Questo è il ragionamento base.

Quando si investe ci si deve sempre ricordare che rischio e rendimento atteso sono prezzati negli asset in cui vogliamo investire e che quindi non è possibile prendere decisioni “MIGLIORI” in linea di principio basandoci su informazioni ovvie che hanno già tutti.

Se a questo punto dell’episodio avete dei dubbi e vi sono venute delle domande o possibili repliche a quanto detto aspettate la fine perché potreste già trovare tutte le riposte entro i prossimi 15-20 minuti.

Ora, voi siete tutti “studiati perché seguite The Bull da tempo, vi siete appassionati, leggete cose, vi informate, ecc.

Però il 99% degli investitori non è così.

Questa cosa del rapporto rischio/rendimento non la comprendono appieno e si comportano commettendo due tipici madornali errori:

– Il primo è quello di non volersi proprio prendere certi rischi, dando per scontato che rischio sia un concetto negativo in assoluto, mentre sappiamo che è solo, diciamo così, la materia prima di base perché investire generi dei rendimenti.
Quindi investire bene significa soprattutto dosare la quantità di rischio da prendersi in modo consapevole, non eliminare i rischi.
Sarebbe come se uno volesse andare a sciare ma non vuole che faccia freddo.
Per sciare serve la neve.
Per la neve serve il freddo.
Se vuoi sciare devi accettare il freddo, altrimenti finisci per sciare sull’erba che non è una bella esperienza.
Quando investi, condicio sine qua non è che ti prendi un certo rischio così come quando scii ti prendi un certo freddo.
PUNTO.

Questo spiega abbastanza bene perché quasi il 60% dei cittadini americani investe in azioni, più del 30% di inglesi, canadesi e australiani, circa il 20% di svedesi e svizzeri, mentre solo il 7% degli Italiani. Oh non che Francia e Germania siano messi molto meglio, parliamo di circa il 15% scarso. Noi europei il rischio lo viviamo proprio male, cerchiamo di evitarlo ad ogni costo invece che abbracciarlo come unica vera fonte di opportunità.

– Il secondo errore è invece quello di pretendere di aggirare il rischio, ossia di poter fare degli investimenti in grado di cancellare la componente rischiosa salvaguardando invece quella redditizia.
Sì sembra follia detta così, perché è il tipico caso della botte piena e moglie ubriaca. Eppure, poche cose al mondo attraggono soprattutto gli investitori meno avvezzi come quegli strumenti che sfruttano esattamente questa nostra avversione al rischio per far credere che il rischio possa essere bypassato per cuccarsi solo i rendimenti.

Per spiegare questa cosa faccio due esempi, uno tipicamente americano e un altro tipicamente europeo.

Premessa: non si incazzi nessuno, non voglio parlare MALE degli strumenti che adesso citerò.

L’obiettivo non è dire che sono cattività strumenti, l’obiettivo è far capire come funzionano realmente affinché se uno ci investe lo faccia con consapevolezza e non pensando che esistano le formule magiche per fare soldi senza rischiare le chiappe ogni giorno come facciamo noi che remiamo sulla nostra barchetta di ETF nei mari in tempesta dei mercati.

L’esempio tipicamente americano sono i cosiddetti Buffered ETF, cioè gli ETF con il buffer, oppure quelli che utilizzano covered-call.

Ora molto velocemente, sono due cose diverse ma il principio è simile, ossia sono strumenti che utilizzano opzioni per promettere all’investitore una riduzione del rischio rispetto all’investimento diretto nel sottostante.

Gli ETF con il Buffer garantiscono che l’emittente si accolli le perdite oltre un certo valore del sottostante, in cambio di un cap massimo sui guadagni. Per esempio ce n’è uno molto noto di Ishares sull’S&P 500, non disponibile in formato UCITS, che in questo momento dice:

– Tu investitore al massimo puoi guadagnare il 6% all’anno; però in cambio

– Io mi accollo fino ad una perdita del, boh, 15% se l’S&P 500 va giù.

Intanto due cose: questi strumenti non proteggono all’infinito, ma fino ad un certo punto, e poi soprattutto dicono che *cercano* di proteggere, non che garantiscono al 100% la protezione, perché in uno scenario di stress del mercato potrebbe esserci una crisi di liquidità che impedisce al fondo di pararti il fondoschiena.

Comqunque al di là di questo, sembra il sacro graal per tutti gli investitori che pensano di avere upside senza downside, soprattutto se qualche media finanziario quando li presenta dice che questi strumenti “riducono la volatilità e consentono agli investitori di partecipare al potenziale di crescita dei mercati azionari e al contempo forniscono un cuscinetto per attutire eventuali perdite”.

Eh sì, certo, come no…

Non è che non sia vero. È che se manca una piccola precisazione: tutto ciò ha un costo.

A marzo Cliff Asness — che fosse l’ultima cosa che faccio prima di schiattare riuscirò prima o poi a portarlo qui da noi — ha pubblicato l’ennesimo divertentissimo white paper in cui ha spiegato meglio di tutti perché questi strumenti sono strutturalmente deludenti.

Cito una frase esemplare del paper che poi trovate in descrizione: “gli investitori dovrebbero aspettarsi delusioni da questo tipo di strategie. Questo non solo perché i risultati effettivi sono stati ampiamente deludenti, ma anche perché la teoria economica suggerisce che queste strategie devono essere ampiamente deludenti”

Cos’è la teoria economica?

Esattamente la PRIMA LEGGE DELLA FINANZA. Non puoi fregare il rischio per avere il rendimento.

Dati alla mano si scopre che eliminare una parte dei drawdown non migliora naturalmente il rendimento complessivo, infatti il 100% degli ETF con il buffer ha fatto peggio degli ETF classici sullo stesso indice dal 2020 ad oggi.

La cosa poi comica è che un 15% di essi non è nemmeno riuscito ad avere minori drawdown.

Adesso, non entro nei dettagli tecnici, se vi interessano leggete il paper.

Il punto però è che questi strumenti come fanno a proteggere dai drawdown?

Non è che l’emittente se li accolla.

Usa delle opzioni put, che sono quelle assicurazioni che pagano se il mercato va giù oltre un certo punto entro un certo momento.

Da questa frase si capiscono già tutti i problemi: intanto le assicurazioni si pagano, quindi hanno un costo. E poi se per esempio il fondo compra ogni mese una *put* che paga se l’S&P 500 scende sotto del 5% e invece l’S&P scende per due mesi di fila del 4%, la *put* non paga mai ma tu hai pagato comunque per due mesi il costo della put.

E poi ovviamente c’è il costo della gestione di tutto questo ambaradan che erode il rendimento.

Asenss dimostra facilmente che invece che incasinarsi la vita con un ETF con buffer, che usa complesse strategie con le opzioni per ridurre i drawdown, basterebbe semplicemente diversificare il portafoglio. Invece che investire 100% in S&P 500 drogato di opzioni, dice, fai — che so — 70% S&P 500 e 30% bond a breve scadenza. Ecco che hai ottenuto un minore drawdown complessivo ad una frazione del prezzo e quindi un miglior rapporto rischio rendimento.

Perché allora, uno si potrebbe chiedere, negli Stati Uniti sono stati ammassati 250 miliardi di dollari in prodotti meno efficaci di un banalissimo mix di azioni e cash? Risposta di Asness: *effetto placebo*. Lo storytelling è intrigante. Tu ti prendi la crescita del mercato e io mi prendo le perdite. Bingo!. E poi più è complesso il prodotto più è difficile coglierne le realinsidie.

A questo punto hai due strade:

– O sei l’ex pupillo di Eugene Fama, mezzo genio della matematica con un dottorato in finanza che gestisce uno degli hedge fund più grandi al mondo e sei in grado di crackare tutti i numeri e dimostrare le cose, oppure, molto più semplicemente:

– Ricordi a te stesso che se uno strumento viola LA PRIMA LEGGE non è la legge che è sbagliata: è lo strumento che dice cazzate.

Gli strumenti con le covered-call invece fanno un’altra cosa, ma se non è zuppa è pan bagnato e rientrano anche nel tema dell’income investing di cui ha parlato Ben Felix nel video.

In buona sostanza: invece che comprare put, questi ETF vendono call.
Se compri una put vuoi proteggerti da un possibile crollo, perché questa paga se il sottostante va già oltre un certo prezzo, chiamato strike.

Se invece vendi una call, stai comunque pensando che il mercato non andrà benissimo, perché in pratica ti fai pagare i premi da chi compra la tua opzione, ma in cambio gli prometti di dargli il sottostante se il suo prezzo va su oltre lo strike.

Perché è sexy questa tipologia di strumento? Perché fa arrivare all’investitore dei flussi di cassa ogni mese dai premi per la vendita delle call. Il problema è che se il mercato va su tu devi anche dare via il sottostante al prezzo a cui hai venduto la call, quindi ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

Anche in questo caso si tratta di uno strumento che ha un upside limitato, cioè non può crescere tanto quanto il sottostante, e entro certi limiti riduce la volatilità e le perdite incassando i premi delle call.

Qual è però l’ovvia conclusione?

L’ovvia conclusione è che l’investitore ha l’ILLUSIONE di ottenere un guadagno certo e un rischio limitato, me nella verità sta semplicemente pagando un costo elevato che va a mangiargli quel rendimento che avrebbe potuto ottenere semplicemente diversificando il portafoglio.

Ora questi strumenti sono tipicamente americani, da noi ce ne sono ancora pochi ma vedrete che tra un po’ arrivano, appena si trovano gli accrocchi giusti per renderli tutti facilmente compliant con le normative UCITS.

Una cosa praticamente inesistente negli USA ma che spopola in Europa sono invece i Certificati di Investimento.

Io non ne avevo mai parlato sino ad esso perché dedicare un episodio ai certificati di investimento sarebbe comunque dedicare un episodio di un podcast di cucina alla carbonara con la panna.

Capite?

Cioè, non è che non puoi fare la carbonara con la panna.

Però, insomma, io ti spiego come fare la carbonara.

Poi se vuoi una versione alternativa della carbonara, puoi farla, l’importante è che tu non pensi che la carbonara sia migliorabile.

Ah ecco, la PRIMA LEGGE DELLA FINANZA potremmo chiamarla: LA LEGGE DELL’INVIOLABILITA’ DELLA CARBONARA. Non puoi fregare il rapporto tra rischio e rendimento così come non puoi migliorare la carbonara. Puoi però facilmente peggiorare entrambe le cose.

Per farla breve, i Certificati di investimento sono dei tipici prodotti bancari in cui c’è un sottostante (solitamente azioni o indici) e poi c’è un macello di regole incomprensibili sul funzionamento del certificato.

Fondamentalmente quello che l’investitore capisce è: ti garantisco un rendimento certo attraverso un flusso di cedole e ti proteggo se il valore dei sottostanti scende. Quindi se tu investissi direttamente nei sottostanti potresti prenderti un guadagno superiore ma pure perdite elevate. Con il certificato invece hai rendimento certo e se ci sono perdite se le cucca la banca.

La verità ovviamente non è esattamente questa. C’è infatti tutto un complesso meccanismo che chiaramente premia chi emette il certificato rispetto a chi lo compra, perché ovviamente la banca è molto più brava dell’investitore a prezzare correttamente il certificato e le sue condizioni affinché in termini probabilistici le convenga emetterlo, altrimenti non lo emetterebbe.

E intendiamoci, nulla in contrario su questa cosa.

Cioè se un investitore è contento di avere un certo flusso di cedole e la protezione verso certi scenari avversi bene così. Tra l’altro i certificati hanno questo bonus fiscale per cui sono l’unico prodotto finanziario che permette di compensare le minusvalenze usando anche le cedole.

L’importante è che si sappia che tutta questa cosa NON è gratis, la si paga.

E senza bisogno di andare nemmeno ad analizzare la struttura di un certificato, si può star certi che una volta che messi insieme i costi dello strumento e le probabilità prezzate in esso quando lviene acquistato, il risk adjusted return sarà mediamente inferiore di quello che si otterrebbe investendo direttamente nel sottostante.

E come lo so?

Perché se così non fosse la PRIMA LEGGE SAREBBE violata.

Bene, questa era la più importante e fondamentale LEGGE DELLA FINANZA, come la prima legge della robotica di Asimov che dice che in nessun caso una macchina può nuocere ad un essere umano, al punto che le altre due leggi della robotica devono sottostare alla prima.

In qualche modo, anche le prossime due LEGGI DELLA FINANZA hanno questa caratteristica.

Esistono così come sono perché se così non fosse violerebbero la prima legge.

SECONDA LEGGE DELLA FINANZA: gli asset finanziari — e in particolare le azioni — sono soggette ad autocorrelazione nel breve termine e a regressione verso la media nel lungo termine.

Sapete perché la Terra e i pianeti girano intorno al sole e non se ne scappano via per l’universo?

La spiegazione della fisica classica è che ci sono due forze che si controbilanciano perfettamente:

– La forza centrifuga e

– La forza di gravità.

Per il fatto di girare intorno al Sole la Terra è portata a partire per la tangente e a fluttuare via, come quando facciamo girare un peso legato ad una corda, se molliamo il peso vola via in linea retta (più o meno). Allo stesso tempo il Sole attrae a sé la Terra.

Il nostro pianeta quindi né scappa fuori dalla Galassia, né si schianta sul sole, perché le due forze stanno in equilibrio da circa 4,5 miliardi di anni e non sembrano per ora intenzionate a fare diversamente.

I numerosi ingegneri, fisici e matematici all’ascolto sanno che in realtà l’attrazione gravitazionale non esiste ma è la massa del sole che curva l’universo e quindi la Terra ci gira intorno proprio perché lo spazio in cui si muove è curvo, ma non stiamo a complicarci la vita.

Fin dalla terza liceo quest’immagine di equilibrio mi è sempre piaciuta. 25 anni dopo ho capito a cosa mi sarebbe servita: per comprendere l’equilibrio necessario al funzionamento del mercato.

Mettiamola così:

– l’autocorrelazione è la forza centrifuga. È il motivo per cui certe azioni o certi mercati tendono a creare dei trend. Per un po’ crescono più degli altri e il fatto di crescere crea un *momentum* che sostiene questa crescita nel breve termine. Tipicamente le finestre in cui si misura il fenomeno del momentum sono tra 1 e 12 mesi. Un po’ è per motivi tecnici; un po’ è per motivi fondamentali; un po’ è per motivi psicologici per cui tutti tendiamo per un certo tempo ad andare dietro alle mode; è un po’ è perché società che sono cresciute tanto ci si aspetta che ad un certo punto tornino giù, quindi eventuali overperformance positive stupiscono il mercato e questa sistematica sorpresa paga un premium, un rendimento supplementare.

– poi però serve qualcosa che riporti tutto giù, altrimenti come la Terra senza il sole, pure le growth stocks finiscono per fluttare via nell’universo. Facendo due conti alla buona: se Nvidia crescesse nei prossimi 10 anni con lo stesso ritmo che ha avuto in media da quando è stata quotata nel 1999, quindi circa 38% all’anno, il suo valore di mercato sarebbe più del triplo del PIL degli Stati Uniti. Non c’è bisogno di addentrarsi nei dettagli matematici per capire che una cosa del genere, semplicemente, NON PUO’ ACCADERE, ma certamente succederà qualcosa che non solo rallenterà la crescita di nvidia, ma prima o poi le farà fare significativi passi indietro.

E questo discorso in realtà vare per singole aziende, settori, mercati o intere asset class. La regressione verso la media è la forza che riequilibra gli eccessi di crescita, così come anche gli eccessi opposti: quando le cose vanno troppo male, a loro volta sono portate a risalire.

Nella Nascita della Tragedia il noto filosofo Friedrich Nietzsche, prima di impazzire per la sifilide e corteggiare i cavalli per strada, descrisse le due forze che animavano la Tragedia Greca, straordinaria metafora dell’universo in generale: Dioniso e Apollo. Il primo, il Dio della creatività, dei nostri impulsi primordiali, della volontà di emergere e del vino. Il secondo, il Dio della forma, della ragione, dell’ordine e della noia. Dioniso è la forza dirompente della vita, Apollo è ciò che la limita per darle la necessaria forma.

Sta cosa c’è un po’ in tutte le culture, pensante allo Ying e Yang nel mondo orientale.

Tornando alle cose pratiche, però, questa dinamica la vediamo sistematicamente in atto nei mercati ed alla base di alcune strategie sistematiche che cercano di piegare a proprio vantaggio l’alternanza tra queste due forze. Per citarne due che conosciamo bene:

– il ribilanciamento sfrutta questa logica, vendere i vincenti sapendo che prima o poi verranno giù e comprare i perdenti per il motivo uguale e contrario. Ma l’ultima volta abbiamo anche spiegato che assecondare un po’ il trend, un po’ il dioniso dei mercati, non è una cattiva idea prima di far intervenire il vigile Apollo per rimettere ordine.

– Stesso discorso a livello regionale: sovrappesare i mercati con valutazioni più basse (come Europa, Giappone e forse gli emergenti) e sottopesare quelli con valutazioni più alte (come gli Stati Uniti) è una strategia che cerca di intercettare in anticipo una regressione verso la media che prima o poi si farà sentire.

– E poi il fattore value: Sovrappeso le società che fanno più schifo perché sono meno soggette a sopravvalutazione e prima o poi torneranno su.

Come sappiamo investire in indici va benissimo ed è il più logico punto di partenza degli investitori. Ma è anche noto un suo limite intrinseco — e nessuno meglio di Rob Arnott ce l’ha raccontato: per come sono fatti, gli indici tendono naturalmente ad essere growth-oriented e quindi a sovrapesare le società più costose. Quindi introdurre logiche “contrarian”, in cui in maniera sistematica si va a sovrappesare certe società meno premiate dal mercato e si vanno a sottopesare certe realtà che hanno avuto un recente track record di successo è, come dire, un modo per anticipare l’intervento della regressione verso la media.

Che questa funzioni — e pure in varie forme, è noto.

Ci sono però un pro e un contro naturalmente:

– Il PRO è che tendenzialmente le società growth non solo sono care, ma tendono a diventare SOPRAVVALUTATE, mentre quelle value non solo sono economiche ma tendono a essere SOTTOVALUTATE. La differenza tra la sopravvalutazione delle growth e la sottovalutazione delle value è più un meno il value premium che l’investitore si dovrebbe portare a casa.

– Il CONTRO è che questa strategia inevitabilmente è più rischiosa e richiede solitamente tempi molto lunghi per pagare. A volte il mercato mantiene il suo trend molto più a lungo di quel che sarebbe compatibile con il ciclo di vita di un investitore. La internet bubble ci mise quasi tutti gli anni ’90 per gonfiarsi prima di scoppiare. Questa era dominata dalle Big Tech è cominciata nel 2009 e ancora oggi non si vedono chiari segni di inversione.

Quindi funziona, ma anche qui c’è un costo da pagare: maggior rischio e tanta pazienza.

Ora, siccome l’obiettivo di oggi è parlare delle Leggi della Finanza per non commettere errori stupidi, quali sono le implicazioni della Seconda Legge? Direi questo: non farsi abbagliare dalle performance di un qualunque asset, né allo stesso tempo pensare che ciò che è cresciuto tanto debba per forza andare male da qui in poi. I trend per un po’ corrono, poi ad un certo punto regrediscono. Cercare di sfruttare entrambe le dinamiche senza esasperarne nessuna delle due è la chiave per investire a lungo termine con buon senso.

Avere il cuore del portafoglio allocato su un vasto indice azionario è un modo per esporsi ad entrambe queste due forze.

Inserire alcune deviazioni sistematiche (come appunto ribilanciare, adeguare le esposizioni geografiche e factor investing) può essere invece un modo per piegare queste forze a proprio vantaggio, a condizione di essere disposti a sopportarne il maggior rischio.

Sempre citando Cliff Asness: “sin a little”. Pecca un po’, nel senso di discostati dall’indice in base a regole quantitative.

Veniamo infine alla TERZA LEGGE FONDAMENTALE DELLA FINANZA, che è talmente stupida e banale che il più delle volte ce la dimentichiamo.

Per ogni acquirente c’è un venditore.

L’unico portafoglio che, idealmente e astrattamente, tutti gli investitori del mondo possono avere contemporaneamente è il market portfolio. Ma è un’astrazione appunto. Nella realtà ci sono mille dinamiche in gioco e ciascun investitore esprime la propria personale opinione attraverso la sua decisione di acquistare o vendere un dato asset ad un certo prezzo.

Di conseguenza, quello che bisogna sempre chiedersi ogni volta che clicchiamo su buy o sell sul nostro broker è: ma chi c’è dall’altra parte?

Distinguiamo ora l’investimento a lungo termine e invece le singole operazioni a breve termine.

– Investire a lungo termine in maniera passiva BARRA sistematica (cioè nel modo che raccontiamo qui due volte a settimana da due anni) ha un vantaggio intrinseco: nel nostro approccio stile Just Keep Buying, per citare il mio amico Nick Maggiulli, dall’altra parte abbiamo un sacco di investitori che per definizione non possono semplicemente comprare, tenere e aspettare. Chi sono?

– Hedge fund

– Fondi comuni di investimento

– Family Office

– Fondi istituzionali

– E poi semplicemente tutti quegli investitori che o non hanno un lungo orizzonte di investimento o non sono disposti ad accollarsi gli effetti collaterali dell’investimento a lungo termine, come la volatilità dei mercati, i bear market e tutti i vari problemi che conosciamo.

Di conseguenza un approccio long-only di lungo termine ha un certo vantaggio competitivo: dall’altra parte c’è un universo di soggetti, principalmente non individuali, che non investe long-only a lungo termine. Il loro obiettivo è minimizzare la volatilità e ridurre i rischi. Sì ok sarebbe anche fare alfa, ma sappiamo che non ci riescono mai a lungo. Il nostro invece è massimizzare il rendimento, per il rischio che siamo disposti ad assumerci, nel lungo termine. Ecco il deal: tutti d’accordo.
E infatti avevamo raccontato bene come negli ultimi mesi di sangue sui mercati, i grandi venditori sono stati hedge fund e compagnia, mentre i grandi compratori sono stati gli investitori retail.

E in passato avevamo visto che anche il factor investing funziona perché appunto si basa sul fatto che statisticamente dall’altra parte ci sono più investitori disposti a prendersi il lato short del trade rispetto a quello long.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che in media ci saranno più persone contente di comprarmi le società growth che stanno andando bene e più persone contente di vendermi le società value che stanno andando male che non il contrario.
Vuol dire che in media ci saranno più persone contente di comprarmi le società con leva elevata che stanno investendo tanto sul loro futuro e di vendermi quelle che non investono che non il contrario, ignorando il fatto che in media le seconde rendono più delle prime.

Vuol dire che in generale, in media, ci sono meno persone disposte ad accollarsi il trade off rischio-rendimento offerto dall’investimento fattoriale — ed è questo il motivo fondamentale per cui c’è un extrarendimento.
Altrimenti si annullerebbe da solo. Se tutti comprassero solo società value, queste non sarebbero più value ma diventerebbero growth.

– Discorso molto diverso invece sulle operazioni di breve termine o sulle scommesse specifiche. Se oggi compro l’azione di, boh, Tesla, serve qualcuno dall’altra parte che la pensi esattamente come me, ma con il segno MENO davanti. Io ritengo che il prezzo di oggi sia giusto rispetto agli utili futuri di Tesla, mentre chi vende ritiene che il prezzo di oggi NON sia giusto rispetto agli utili futuri di Tesla.
Sto semplificando ovviamente, ma ogni volta che ad un investitore viene in mente di investire in questo o in quello, convinto di aver avuto una buona intuizione, deve sempre chiedersi: ma chi c’è dall’altra parte.

Tutto questo discorso vale poi molto più in generale.

Se pensiamo agli strumenti con i “buffer” di cui parlavamo prima, ai certificati con protezione, o a qualunque prodotto finanziario con qualche caratteristica peculiare che possa venirvi in mente di comprare, anche lì dobbiamo sempre chiederci: chi c’è dall’altra parte?. Se qualcuno mi offre qualcosa, una protezione, un maggior rendimento, minore volatilità, quello che volete — ecco, la domanda che devo farmi è: chi si prende l’altro lato del trade? Chi si prende quelle cose negative che non mi prendo io investendo.

O quello dall’altra parte è fesso — e raramente è il caso.

Oppure il fesso sono io.

Oppure, terza, strada, nessuno è fesso ma tutti siamo perfettamente consapevoli di costi e opportunità del trade.

Se invece investo in qualcosa convinto che di avere un beneficio senza alcun aspetto negativo e che questo aspetto negativo se lo prenderà la buon’anima di qualcun altro, mmmhhhh, probabilmente stiamo sbagliando qualcosa.

Quindi non siate fessi e il modo più semplice per non finire a essere i “fessi” seduti al tavolo, al 99% basta ricordarsi queste tre cose e prendere ciascuna decisione di investimento in base ad esse :

LEGGE NUMERO UNO: Rischio e Rendimento sono indissolubilmente legati
LEGGE NUMERO DUE: autocorrelazione nel breve, regressione verso la media nel lungo

LEGGE NUMERO TRE: per ogni compratore c’è un venditore.

Bene care amiche e cari amici di questo podcast, felice di avervi tenuto compagnia anche oggi con questa versione finanziaria delle più famose Leggi della Fantascienza classica.

Spero che vi sia piaciuto e che oltre alle scemenze che ci ho infilato dentro sennò mi annoio, tutto quanto vi sarà utile per prendere decisioni migliori per tutti i prossimi anni a venire.

Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che da Newton a Nietzsche, dall’inviolabilità della carbonara carbonara al chi c’è dall’altra parte come in Stranger Things vi spiegano le leggi universali della meccanica finanziaria sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi rivediamo mercoledì prossimo con nuovo appuntamento insieme per parlare di quanto serve per vivere di rendita e per scoprire quale altro tribunale federale avrà annullato l’annullamento fatto dal tribunale che ha annullato la sentenza che ha annullato i dazi sempre qui naturalmente con The bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024
Facile.it
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