La Cosa più importante da capire sull’Investimento in Azioni

Cosa significa investire in azioni? Cosa rappresenta il prezzo dell'azione? Che ruolo hanno utili e tasso di sconto? In questo episodio parliamo dell'unica cosa che conta davvero quando si parla di azioni.

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La Cosa più importante da capire sull’Investimento in Azioni
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

222. La Cosa più importante da capire sull’Investimento in Azioni

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Punti Chiave

Investire in azioni significa puntare sulla capacità di un mercato di generare profitti, non sulla domanda futura.

Il prezzo di un'azione è dato dagli utili futuri scontati per il rischio.

Valutazioni alte possono riflettere un minor rischio percepito o maggior potenziale di profitto.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Vi è mai capitato di parlare per un sacco di tempo di qualcosa e poi rendersi conto di aver sempre dato per scontato qualche suo aspetto fondamentale?

Parliamo di investimento azionario più di ogni altra cosa in questo podcast, ma sono tormentato dall’idea che forse la cosa più importante da capire sulle azioni e sul significato dei loro prezzi non l’abbiamo mai affrontata direttamente.

Sicuramente ci abbiamo girato intorno, qua e là abbiamo toccato i temi che discuteremo oggi, ma mai abbiamo preso di petto l’argomento e spiegato una volta per tutte che diavolo intende quello psicopatico di Mr. Market, come lo chiamava il maestro di Warren Buffett Benjamin Graham, quando attribuisce ad una certa azione una determinata valutazione.

Oggi quindi mi voglio togliere questo dubbio e spiegare quale sia la cosa più importante da tenere a mente quando si prende la decisione di investire i propri soldi in azioni, affinché sia chiara la differenza tra il rischio implicito nell’investimento azionario e quello in un asset di natura speculativa.

Nell’ultimo episodio con Nick Maggiulli lui ha sintetizzato in maniera perfetta il mantra della sua filosofia di investimento, che poi è il significato espanso del celebre “Just Keep Buying”, continua semplicemente a comprare.

A comprare cosa?

Sicuramente un po’ vi ho attaccato il virus del fanatismo su finanza personale e dintorni e ormai molti tra voi non riusciranno fare a meno di smaronare il prossimo parlandogli del perché dovrebbe investire i suoi soldi anche se nessuno ve l’aveva chiesto.

Vi capisco.

Vorrei dirvi che con il tempo passa ma, no, non passerà mai.

Comunque il modo in cui Nick Maggiulli mette giù il punto è particolarmente efficace — e ovviamente non solo lui ma anche tantissimi altri prima e dopo di lui. Al vostro malcapitato, che vi dedicherà al massimo 2 minuti della sua attenzione ditegli “finché non vai in pensione o comunque finché non smetti di lavorare, continua a utilizzare il tuo risparmio per comprare asset che generano *reddito*”.

Income-generating-asset.

Finché questo è il tuo focus e il cuore del tuo risparmio è composto dal possesso di asset che producono income, che producono reddito, puoi star certo che stai facendo una cosa giusta.

Non necessariamente la cosa migliore in assoluto.

Ma sicuramente una cosa giusta.

Cosa vuol dire income-generating-asset?

Vuol dire che devi comprare cose ***il cui valore*** si basa sulla capacità di generare reddito e flussi di cassa.

Se lasciamo da parte gli investimenti immobiliari e consideriamo solo asset quotati, come sapete bene ci sono solo due macrocategorie di asset che hanno questa caratteristica: PRESTITI e SOCIETA’, ossia obbligazioni e azioni.

Oggi le obbligazioni le lasciamo stare perché vi mettono di cattivo umore e, per quanto riguarda il discorso che voglio fare oggi, il loro funzionamento è più intuitivo — che poi è l’unica cosa intuitiva che hanno.

C’è una scadenza, c’è un interesse fisso (a parte quelle indicizzate all’inflazione) e se porto a scadenza un bond e l’emittente non fallisce so con precisione sin dall’inizio quale sarà il mio rendimento a scadenza.

E il significato di quel rendimento esprime il rischio che il mercato attribuisce a quella specifica obbligazione con quella specifica scadenza.

I tassi di interesse della Banca Centrale sono l’interesse base di breve termine. Poi da lì in su il rendimento di una certa obbligazione non sarà altro che il rendimento risk-free più un premio extra legato al rischio scadenza (ciò che si chiama term premium) e al rischio emittente l’emittente (che si chiama credit spread). Per esempio, tranne che per la nostra Presidendissima del Consiglio, l’Italia è un emittente più rischioso della Germania e quindi a parità di scadenza deve pagare uno spread in più sui propri titoli di stato.

Come funzionano le obbligazioni poi è un macello, lo sapete bene.

Però a livello intuitivo è praticamente tutto qui.

Con le azioni invece la cosa si complica, perché non è che siano un contratto che prescrive fin dall’inizio quanto guadagnerai investendo in esse.

Anzi, nessuno ti garantisce una cippa di niente, potresti non guadagnare nulla e addirittura perdere soldi.

Se prendi un’azione a caso, hai quasi il 50% di probabilità di perdere soldi, quasi il 50% di probabilità che ti renda tanto quanto il tasso risk-free, e solo il 2% circa di probabilità che ti dia invece un risultato stellare, stando al famoso paper di Bessembinder che citiamo un episodio sì e l’altro pure.

Però al vostro amico/parente/conoscente a cui state facendo lo shampoo per spiegargli che deve investire i suoi soldi in income generating asset non gli direte di comprare un’obbligazione o un’azione, gli direte:

– Compra un tot di asset a basso rischio che generano un flusso di reddito prevedibile, per esempio un indice di Titoli di Stato nella tua valuta (perché ovviamente se è un’altra valuta il livello di rischio cambia completamente); e poi

– Compra un tot di asset ad alto rischio che generano un flusso di reddito completamente incerto, ossia un insieme di azioni.

Se ne compri tante — o meglio ancora — se compri un ampio indice diversificato di azioni globali, stai sereno che ti proteggi dal cosiddetto rischio specifico, cioè limiti i danni derivanti dal fatto che una singola società possa fallire o che il suo CEO faccia harakiri dando del pedofilo al presidente degli Stati Uniti con un post su X.

Salvo poi cancellarlo come un coniglio e dire: “no scus, mi sono sbagliato. Ero mezzo strafatto di ketamina, ho scritto Donald Trump ma intendevo, ehm, non Donald, ehm, Ronald! Ronald Mac Donald! Il clown di Mac Donald! È lui che faceva i festini con le minorenni! Non il mio amichetto, my best friend forever, my Buddy Donald J”.

Non ce la faccio a non dire cazzate ogni tot minute, ormai mi conoscete…

Ok, il vostro amico, per metà ha capito:

– Titoli di stato: flussi di cassa a basso rischio prevedibili perché sono contratti;

– Azioni: diversifico così riduco il rischio di CEO tossicodipendenti dal post facile.

Però mi resta un dubbio: come faccio a sapere quanto vale un’azione o un mercato azionario? Cioè come faccio a sapere che investire in azioni vedrà crescere il valore dei miei investimenti nel tempo se nessuno mi garantisce il rendimento? Non è che investo i miei soldi oggi e domani non glie ne frega più una mazza a nessuno di comprare l’MSCI World o cose simili e io rimango senza più niente?

Per rispondere alla domanda che tranquillizzerà il vostro amico bisogna prima rispondere alla domanda: Cos’è un’azione?

Sì ok, la risposta da bigino è: è un pezzo di proprietà di una società quotata.

Che ci frega, non ci interessa sta cosa, la sa anche mia figlia di due anni tra un po’.

Quello che ci interessa è il valore — diciamo – intrinseco di questo pezzo di proprietà, che è espresso naturalmente dal suo prezzo.

ATTENZIONE ORA al passaggio fondamentale — e questa è la cosa più importante da capire sull’investimento azionario.

Il prezzo di un’azione è vero che nel breve va su e giù in base a come fluttuano domanda e offerta.

Ma non è la dinamica di domanda e offerta di per sé che determina il prezzo dell’azione, bensì l’equilibrio tra le varie opinioni espresse dal mercato sul valore dei flussi di cassa futuri.
E questo valore che potremmo chiamare “intrinseco” non è altro che la somma di due componenti:

– Il suo valore presente, espresso dagli Utili che quella società genera, divisi il numero di azioni sul mercato, quindi gli Utile per azione; e

– Il suo valore futuro, ossia la scommessa che il mercato fa sulla capacità di generare utili nel futuro prevedibile.

A scanso di equivoci, le azioni rappresentano società che vendono prodotti o servizi e che quindi generano profitto.

Le azioni esprimono dunque un “claim”, una pretesa da parte dell’investitore su quei profitti.

Quindi il valore di un’azione è condizionato nel breve da logiche di domanda e offerta e umori del mercato, ma nel lungo termine è legato essenzialmente alla sua capacità di generare profitti della società sottostante.

Poi non tutti questi profitti vengono distribuiti agli azionisti attraverso i dividendi, ma sia che vengano pagati, sia che vengano usati per buyback, sia che vengano usati per pagare i debiti e ridurre gli interessi, sia che vengano usati per reinvestire nella propria attività e aumentare i profitti futuri, sono gli UTILI che determinano il VALORE FONDAMENTALE di un’azione per un investitore.

Punto.

Quindi la cosa fondamentale da tenere sempre a mente è che investire in azioni significa investire nella capacità di un insieme diversificato di società reali di generare profitti reali nel futuro attraverso la vendita dei loro prodotti o servizi.

È indispensabile capire questa cosa, per comprendere come l’investimento azionario — il vero investimento azionario di lungo termine — non abbia in sé niente di speculativo, perché la sua capacità di produrre valore è indissolubilmente legata a quella di generare profitti in un certo contesto economico.

Ora, la domanda delle domande è: ma cosa significa il PREZZO di una certa azione o, in aggregato, il PREZZO di un intero indice?

Concedetemi 2 o 3 minuti giusto per spiegare con poca poca poca matematica quello che insegnano negli MBA per stimare il valore intrinseco di un’azione e quindi il suo prezzo *giusto*, il suo *fair price*.

Spoiler: nessuno sa come si fa.

O meglio, tutti conoscono i metodi, ma come capirete tra poco sono tutti metodi matematicamente elegantissimi che presuppongono giusto un pizzichino di “tiriamo a indovinare”.

Cioè sono tutte formule strepitose che però si basano su delle ipotesi a naso.

Quindi sono l’equivalente del q.b. nelle ricette di cucina.

Cioè c’è tutta la ricetta al microgrammo con ogni passaggio di cottura misurato al centesimo di secondo, poi sale & pepe? Boh QB, vedi tu come te piace…

Finanza uguale: equazioni differenziali alle derivate parziali, ma dentro alle variabili ci metti dei valori in base a come ti svegli al mattino.

Belllissimo…

Questo però non vuol dire che le formule che la finanza usa per stimare il valore di un asset siano perfettamente inutili.

Cioè sono perfettamente inutili se uno le vuole usare pensando di ottenere un vantaggio competitivo e battere il mercato. Questo no. Math is not an edge. La matematica non dà mai un vantaggio nell’investimento.

Sono però utili per due cose almeno:

– In primis perché anche se non hanno un valore predittivo utilizzabile, danno comunque un’idea verosimile della correlazione tra l’andamento di un’azione e la variazione dei suoi valori fondamentali sottostanti e spiegano abbastanza bene come si muovono in prezzi in risposta a come cambiano le opinioni del mercato in generale.

– In secondo luogo sono utili per capire per esempio qual è la parte del prezzo di un’azione basata sul suo valore presente e quanto sulle stime sul suo valore futuro.

Ora partiamo dalla definizione da manuale

Il prezzo di un’azione esprime il valore presente dei flussi di cassa attesi attualizzati da un tasso di sconto.

Tradotto.

Il prezzo di oggi, sia di un’azione che di un intero indice, esprime una stima degli utili futuri e questi utili futuri vengono portati nel presente usando appunto quello che viene chiamato tasso di sconto.

Ricordatevi che “attualizzare” è la stessa cosa, ma vista al contrario, del rendimento composto.

E infatti il tasso di sconto — che per complicarci ulteriormente le cose in finanza viene chiamato costo del capitale proprio — non è altro che il rendimento atteso.

Si lo so qualcuno si sta perdendo.

Calma, faccio un Esempio facile facile.

Ricordatevi che la finanza è: parole difficili per dire cose facili e sembrare così più intelligenti.

Vi ricordate la ricetta di cui sopra: ecco un paper di finanza che parla di cucina direbbe di aggiungere NaCl q.b.

Cioè: sale quanto te pare.

Però NaCl q.b. sembra una cosa più seria.

Dicevo, l’esempio.

Se investo 10.000 € e ottengo un rendimento medio composto del 7% all’anno per 10 anni arrivo a poco meno di 20.000 €.

Se faccio il contrario, posso dire che il valore presente OGGI di quei 20.000 € tra 10 anni è 10.000 €, usando un tasso di sconto del 7%.

Il tasso di sconto è un modo per dire: il rendimento che mi aspetto da un certo investimento è x%.

Ogni volta che sentite, tasso di sconto, costo del capitale proprio, rendimento atteso, vogliono dire tutti la stessa roba.

Quindi se sono un analista finanziario e voglio calcolare il prezzo fair di un’azione cosa dovrei fare? in teoria.

Devo fare due cose:

– per prima cosa devo stimare gli utili futuri o meglio ancora il free cash flow futuro della società. Il free cash flow è una misura più precisa della “cassa” effettivamente generata da una società e che è quindi a disposizione per remunerare gli azionisti. Per esempio se ci sono acquisti di macchinari la società spende subito dei soldi, ma l’impatto sull’utile è spalmato su più anni come ammortamento. Quindi l’utile netto, il net profit, non è necessariamente una misura corretta della capacità di una società di generare cassa, di generare reddito. Il Free cash flow invece corregge il valore dando una rappresentazione più realistica della cassa effettiva che una società è in grado di realizzare e che poi in ultima istanza è la cosa che a me, come azionista, interessa di più.

quindi prima cosa stimare gli utili per azione futuri o il FCF per azione futuro, quindi già qui va tutto in vacca perché si tratta di guardare nella palla di cristallo e tirare ad indovinare.

Ammesso che la mia stima sia corretta,

– la seconda cosa da fare è calcolare il tasso di sconto giusto.
Come si fa?
beh, intanto si parte dal tasso risk-free.
Se sono negli Stati Uniti e devo decidere se investire un milione di dollari a lungo termine, diciamo per dieci anni, intanto vado a guardare qual è il modo più sicuro possibile ottenere un rendimento su questo lasso di tempo. Il modo più sicuro è un Titolo di Stato decennale. Se oggi il Treasury decennale rende, per semplicità, il 4,5%, allora come minimo minimo minimo il mio tasso di sconto non può scendere sotto il 4,5%, altrimenti non avrebbe senso investire in azioni se penso che renderebbe meno che investire in un’obbligazione governativa ultrasicura. Siccome invece non voglio prendermi dei rischi non compensati, voglio un PREMIO oltre al tasso risk-free, noto a tutti noi amici della finanza come Equity risk premium.

E fin qua tutto ok.

Però a sto punto mi dovreste chiedere: “ok, ma come faccio a sapere qual è questo equity risk premium?”, questo “*[premio per il fatto che mi assumo il rischio di investire in azioni invece che investire in Titoli di Stato]{.underline}*”?

Capite che dire “risk premium” è un po’ più comodo.

Dicevo, come si fa a sapere?

Ehhhhh… non lo sa nessuno, tanto per cambiare.

È una roba soggettiva.

Il tasso di sconto in pratica è il Q.B. della finanza. La ricetta fino a quel punto è una bomba. Però non si sa quanto ce ne devi mettere. Se ne metti troppo o troppo poco rovini tutti e nessuno sa dirti in anticipo qual è la quantità adatta.

In linea generale, più pensi che sia rischioso investire in una certa azione, maggiore sarà l’ERP, cioè più alto è il tasso di sconto, mentre più è basso il tasso di sconto… beh, è il contrario.

Pur con tutte le sue imperfezioni, però, è qui che entrano in gioco le intuizioni di William Sharpe prima e poi degli altri vari modelli di capital asset pricing che si sono aggiunti in seguito.

Cosa dice il CAPM di William Sharpe?

Dice che il rendimento atteso di un’azione è dato dal:

– tasso risk free (tipo quello dei titoli di stato)

PIU’

– il rendimento medio del mercato di riferimento MENO il tasso risk-free, quindi l’equity risk premium,

MOLTIPLICATO

– per *beta*.

Come sappiamo bene, *beta* è un coefficiente che esprime la sensibilità delle variazioni di prezzo di quell’azione rispetto alle variazioni del mercato, dove il valore 1 significa che l’azione si muove esattamente come il mercato.

In realtà sappiamo che beta è UN fattore, mentre poi altri, tipo Fama e French, Jugadesh e Titman, Cliff Asness e così via, hanno scoperto che ci sono anche altri fattori che condizionano il rendimento atteso di un’azione: se è piccola, se il suo prezzo rispetto al book è basso, se ha un forte momentum, se ha elevata profittabilità e basso debito e così via, però non complichiamoci troppo la vita e facciamo finta che beta sia l’unico fattore.

Per esempio l’ultima volta che ho guardato il beta degli ultimi 5 anni di Tesla il suo valore era superiore a 2, quindi 2 volte più ballerina dell’S&P 500.

Quello di Berkshire Hathaway invece è circa 0,8, quindi l’azione di Berkshire si muove meno della media dell’S&P 500.

Quella di Apple è 1,2, quindi si muove un po’ di più dell’S&P 500.

Si capisce che, maggiore è beta, maggiore sarà il tasso di sconto perché sto andando ad investire in una società più volatile e quindi, per come la finanza classica definisce il concetto di rischio = volatilità, più rischiosa.

Ora, se io volessi calcolare il valore fair di un’azione, ci sono diversi metodi, che partono dai dividendi, dal free cash flow o dagli utili o altri ancora.

Giusto per fare un esempio usiamo gli utili per azione che è meno rigoroso ma più immediato.

Come si fa il calcolo un po’ alla buona? Si fa:

– Utili per azione

PER

– Tasso di crescita atteso per gli utili nei prossimi anni (e qua si tira un po’ a indovinare)

DIVISO

– tasso di sconto MENO tasso di crescita degli utili e il tasso di sconto abbiamo detto che si calcola per esempio usando il CAPM. Si parte dal rendimento medio del mercato e questo aumenta se beta è maggiore di 1 (come nel caso di Apple e si aumenta tantissimo come nel caso di Tesla) mentre diminuisce se beta è inferiore a 1 (come Berkshire).

Il risultato è un’idea un tanto al chilo del fair price di una società.

Se guardate per esempio le stime sul fair price di Apple su Yahoo Finance, che raccoglie le stime di 46 analisti, andiamo da un fair price di 160 dollari a oltre 300.

Non esattamente pareri unanimi.
Nel conto che ho fatto io esce circa 224 dollari, quasi a metà strada.

Però, insomma, sulla singola azione nel singolo momento, ciascuno spara la sua.

Cmq capito? la matematica non è importante, è importante il concetto.

Utili futuri DIVISO tasso di sconto, ossia DIVISO rendimento che pretendo per compensare il rischio di investirci.

Ora, fatemi dire una cosa che magari è una banalità ma meglio dire una banalità in più che una cosa importante in meno.

Questa formuletta del valore presente è appunto una divisione.

Valore futuro DIVISO il tasso di sconto.

Essendo una divisione, come sa molto bene chiunque abbia fatto almeno la quarta elementare, maggiore è il denominatore, minore sarà il risultato della divisione, che nel nostro caso è il prezzo.

Questo cosa vuol dire?

Vuol dire che una volta che faccio la stima degli utili futuri poi mi chiedo: quanto considero rischioso investire nella capacità della società X di fare davvero quel risultato nel futuro prevedibile?

Se penso che sia poco rischioso, applicherò un basso tasso di sconto e quindi il prezzo fair salirà.

Se penso invece che sia molto rischioso, applicherò un alto tasso di sconto e quindi il prezzo fair sarà più basso.

Mettiamo che per la società X mi aspetto 10 dollari di utile per azione e un tasso di crescita annuo del 6%.

Se applico un tasso di sconto del 10% mi uscirà un prezzo di target di 265 dollari

Se invece penso che sia meno rischiosa e applico un tasso di sconto dell’8%, il fair price salirà a 530 dollari.

Se invece penso che sia più rischiosa e applico un tasso di sconto del 12%, allora il prezzo fair scenderà a 177 dollari.

Vedete come piccole variazioni nel tasso di sconto determinano ampie variazioni nel prezzo.

Avete presente quando diciamo sempre: “attenzione che quando sentite dire che un mercato è costoso, come quello americano, mentre un altro ha delle valutazioni attrattive, come quello europeo, è sbagliato dire che investire nel primo sia più rischioso”. È il contrario e oggi abbiamo visto il perché dal punto di vista di come il mercato valuta un’azione o un intero mercato.

Se abbiamo un prezzo elevato rispetto agli utili di una certa azione, significa che l’investitore richiede un rendimento inferiore per lo stesso dollaro di utile, per esempio, investendo in Apple invece che in una società media in Europa, perché lo considera più probabile e meno rischioso.

Ovviamente tutto ciò è vero fino a prova contraria.

Però attenzione a guardare le cose in maniera superficiale e fermarsi a dire: “ah no questo mercato è caro quindi non ci investo. Caso mai dovrei dire. Ah no questo mercato NON E’ ABBASTANZA RISCHIOSO — e quindi non ci investo”.

Poi, una delle leggi universali della finanza è che i prezzi a cui si compra un asset oggi hanno generalmente una correlazione inversa con i rendimenti futuri.

Più alto è il prezzo a cui compro un asset, minore sarà il rendimento atteso — ovviamente a parità di altre condizioni e la finanza è il regno delle eccezioni.

Però ho la sensazione che a volte si confonda il significato del concetto di rischio.

Uno può dire che certi prezzi di certe azioni oggi SONO SOPRA LA MEDIA oppure che il rendimento atteso è SOTTO LA MEDIA rispetto ad altri mercati.

Quello che non si può dire è che i prezzi sono TROPPO ALTI e che in quanto tali i mercati con valutazioni più elevate sono necessariamente più RISCHIOSI.

Dal punto di vista della teoria finanziaria semplicemente non ha senso.

Poi io per qualche motivo posso pensare che il mercato si sbagli e che io sono più intelligente di tutti messi assieme — e magari qualche volta avrò pure ragione.

Ma il più delle volte no, perché in generale c’è una logica molto semplice che guida le valutazioni azionarie.

Il prezzo di oggi è una funzione diretta dell’utile atteso nel futuro, scontato tanto o poco a seconda che ritenga quell’utile futuro più o meno rischioso. Punto.

Tutto questo discorso spiega anche perché generalmente alle azioni piacciono i tassi di interesse più bassi e perché i mercati festeggiano sempre quando c’è odore di tagli dei tassi da parte della Fed e delle altre Banche Centrali.

Tassi più bassi vuol dire senz’altro costo del denaro inferiore e quindi investimenti più a basso costo.

Ma dal punto di vista delle valutazioni significa che a parità di altre condizioni il tasso di sconto sarà inferiore, perché si parte da un tasso risk-free inferiore.

Vi ricordate? Tasso di sconto = tasso risk-free più il premio al rischio.

Se il tasso risk-free è più basso, il tasso di sconto complessivo è inferiore e quindi il prezzo fair di un’azione e di tutto il mercato sale.

A parità di altre condizioni ovviamente: perché se per esempio la Fed taglia i tassi perché l’economia collassa o perché c’è una pandemia globale, ovviamente il tasso risk free scende ma il premio al rischio va alle stelle.

Comunque, posto che è impossibile prendere decisioni di investimento vantaggiose a partire dai prezzi attuali, perché questi incorporano giù tutte le informazioni e le opinioni del mercato, sono comunque utili per capire quanto pesa la parte oggettiva — cioè i profitti che effettivamente una società o un intero mercato azionario stanno generando — e quando la parte soggettiva, cioè le aspettative verso il futuro.

Per esempio, in Apple e in tutte le magnifiche 7 c’è — diciamo così — tanto futuro prezzato nei valori attuali.

Cosa significa questa cosa?

Un modo semplice per capire quanto presente e quanto futuro c’è in un’azione è quello che utilizza Nick Colas di Datatrek.

Come sapete la newsletter di Datatrek è la mia guida quotidiana ai mercati ed è letta da oltre un migliaio di investitori istituzionali negli Stati Uniti e in Europa.

Ci tenevo a farla conoscere in Italia — ma come sapete gratis non scendo neanche dal letto al mattino — quindi sono felice che Datatrek sia diventato un partner di The Bull e che con il link in descrizione nell’episodio possiate ricevere la newsletter ogni giorno per 2 settimane e se volete che la vostra comprensione della finanza migliori di un fattore di 10x, solo per gli ascoltatori di The Bull il prezzo dell’abbonamento è scontato del 50% per i primi 6 mesi.

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Cosa fanno Nick Colas e la sua co founder Jessica Rabe?

– Prendono l’utile per azione di una società atteso per quest’anno e dicono: ipotizziamo che la società generi questo utile per sempre, “in perpetuity” come si trova scritto sui libri di finanza.

– Poi dividono l’utile per 10%.
Perché 10%? Perché è il rendimento medio storico dell’S&P 500. Quindi, per non sapere né leggere né scrivere dicono, se investire in azioni americane ha reso storicamente il 10% in media, il tasso di sconto semplificato più sensato da applicare da qui ad un tempo indefinito nel futuro sarà 10%.

– Se prendiamo l’utile per azione di una società e lo dividiamo per il 10% otteniamo quella parte del prezzo che è direttamente basta sugli utili di oggi.

Per esempio nel caso di Apple, l’utile per azione stimato quest’anno è 7,18, quindi 7,18 diviso 10% fa 71,8 dollari.

Se però il prezzo di Apple è 198 dollari, vuol dire che praticamente 2/3 del prezzo di Apple esprimono la componente di scommessa sul futuro.

Se facciamo questo esercizio su tutte le magnifiche 7, andiamo dal caso più equilibrato, che è quello di Google, il cui valore presente pesa per più di metà del prezzo e solo il 43% del prezzo è legato ad aspettative future, al caso più esagerato. Indovinate un po’? avete Tesla? Chi l’avrebbe mai indovinato!

Sentite un po’

Tesla ha un utile per azione di 1,91 dollari

Il suo valore presente sarebbe quindi 19 dollari.

Il suo prezzo attuale è di 326 dollari.

In pratica il 94% del prezzo di Tesla è riposto su una qualche aspettativa iperottimistica sul futuro.

La media delle altre magnifiche è 64%. Quindi circa un terzo è il valore presente. Due terzi il valore futuro.

Tesla è praticamente solo una scommessa sul futuro.

E la media dell’S&P 500 escluse le Big Tech è invece esattamente invertita.

2/3 del prezzo si basano sugli utili presenti.

1/3 del prezzo è basato sulle aspettative future.

Detto questo vorrei chiudere tutto il discorso di oggi con un paio di spunti.

IL PRIMO è QUESTO: investire in azioni significa investire nella futura capacità di una società o di un mercato di produrre utili e nel prezzo a cui acquisto oggi sono compresi:

– Un aspetto OGGETTIVO, ossia il valore presente legato agli utili per azione di una società e

– Un aspetto SOGGETTIVO, ossia il valore futuro legato alle aspettative di crescita della società nel futuro.

È chiaro che soprattutto la seconda parte può essere pesantemente errata e più è preponderate, maggiore è l’esposizione all’incertezza.

Dall’altra parte, però, quando investiamo in asset azionari non lo facciamo nella speranza che qualcuno domani se li voglia ricomprare ad un prezzo superiore, ma nell’aspettativa che gli utili generati nel tempo accrescano il valore delle società sottostanti.

Non si può approfittare sistematicamente di questi calcoli sul fair price delle azioni perché si basano sua una serie di supposizioni, sul QB per capirci — e quindi il margine di errore è talmente alto che provare a stimare se un prezzo sia sopra o sottovalutato o lanciare una moneta hanno praticamente lo stesso tasso di successo.

Ma l’obiettivo di oggi era spiegare la sostanziale razionalità che sottostà all’investimento azionario.

Il fatto di generare utili è il nutrimento vitale della sostenibilità del valore azionario nel tempo, dato che l’azione non è altro che una rivendicazione dell’investitore su quegli utili futuri: come dividendi, come buyback o in altre forme di reinvestimento sul valore interno della società.

Se quindi investo in azioni, non devo sperare che anche in futuro qualcun altro pensi che abbiano valore.

Ok questo succede se investo in singole azioni e la risposta molto probabilmente è: no, in futuro la singola azione non crescerà di valore per sempre, altrimenti oggi General Electric o IBM dovrebbero valere più dell’intero PIL globale.

Ma una volta che sono investito in maniera diversificata, io sto investendo nella generazione futura di profitti da parte di un ampio sistema economico.

Finché c’è un’economia composta di società che generano profitti e finché la maggior parte delle persone pensano che questi profitti cresceranno anche nel futuro, allora il valore dell’investimento azionario si sorregge sulle sue gambe.

Ovviamente non è una crescita lineare. In mezzo ci sono shock inflazionistici, crisi economiche, recessioni, pandemie, guerre, presidenti biondi e pazzi come i Targaryen e altri incidenti di percorso che cambiano le prospettive dell’investitore e i prezzi delle azioni crollano perché:

– Vengono ridotte le stime di crescita degli utili nell’immediato futuro e

– Aumenta il tasso di sconto perché investire appare più rischioso.

Al netto degli effetti di panic selling, nelle variazioni dei prezzi dobbiamo sempre immaginarci di vedere un riassessment di queste due cose: utili futuri e tasso di sconto applicato.

Allo stesso tempo, questo è anche il motivo per cui fino ad oggi investire nei momenti più neri è stato profittevole:

– Quando le cose vanno molto bene, gli utili futuri tendono a deludere e il tasso di sconto troppo basso (per via dell’alta propensione al rischio) aveva fatto salire troppo i prezzi (troppo sempre col senno di poi) — e quindi vanno giù;

– Quando invece le cose vanno molto male, gli utili futuri tendono a sorprendere in positivo e il tasso di sconto troppo elevato (per via della bassa propensione al rischio) aveva fatto scendere troppo i prezzi (sempre col senno di poi) — e quindi questi vanno su.

Mettiamola così: col senno di poi il mercato tende sempre ad essere o troppo ottimista o troppo pessimista. Ci mette dei lunghi cicli a diventare troppo ottimista e invece diventa super pessimista in quattro e quattr’otto.

Ma ripeto, al netto degli shock emotivi di breve, si tratta sempre di un riallineamento dei prezzi rispetto alle uniche due variabili che contano: utili futuri e tasso di sconto.

IL SECONDO SPUNTO INVECE è QUEST’ALTRO: certe azioni sono più proiettate al futuro di altre così come certi interi mercati e queste azioni hanno generalmente in comune la caratteristica di essere “disruptive innovators”.

Quella di disruptive innovation è un concetto coniato dal professore di Harvard Clayton Christensen, morto nel gennaio del 2020.

Christensen era stato uno dei primi a codificare il modello di innovazione dirompente che è poi diventato il marchio di fabbrica, per esempio, delle società della Silicon Valley.

Innovazioni che partono dal basso e che poi diventano talmente capillari e indispensabili da trasfigurare completamente un mercato. Si pensi all’introduzione degli Smartphone, dello streaming, dei social media e via dicendo.

Una delle ragioni per cui le valutazioni di certe società americane sono così elevate è che il mercato in generale fa più fatica a prezzare le disruptive innovation rispetto ad altri business tradizionali.

Bisogna quindi essere sempre molto cauti prima di affermare che un certo mercato o una certa azione siano “troppo costose” perché i multipli sono alti. Se una banca o una società di utilities avesse un forward price earning ratio di 30, mmmhhhh, ci sarebbe in effetti qualcosa di strano.

Per società che invece sono “hyper-scaler”, soprattutto società di servizi digitali i cui margini di crescita sono difficilmente confinabili e che tendono a creare dei “wide moat”, cioè dei monopoli di fatto, beh, non si possono confrontare le mele con le pere.

Questo non significa che i prezzi siano giusti e che sicuramente le alte aspettative risposte in società con elevate valutazioni verranno rispettate.

Anzi in molti casi sicuramente non sarà così.

Ma non diamo per scontato che sia necessariamente così per tutte solo per il fatto che i prezzi sono “troppo più alti della media”, perché più alta della media in questi casi è anche la loro capacità potenziale di generare profitti su un’elevata economia di scala.

Insomma, siamo partiti da quattro frasi mezze sceme da dire al vostro amico scettico e abbiamo finito per parlare di discounted earnings e metodi di valutazione.

Ciò che mi premeva però era passare questi concetti:

– NUMERO UNO: investire in azioni significa investire nella capacità di un mercato di generare profitti nel tempo e non nella speranza che qualcuno dopo di noi sia disposto a comprare a prezzi più alti i nostri asset perché è aumentata la domanda.

– NUMERO DUE: nel prezzo delle azioni sono incorporate una componente oggettiva, gli utili di oggi, e una componente soggettiva, l’opinione generale del mercato rispetto agli utili di domani.

– NUMERO TRE: le valutazioni elevate esprimono una percezione di rischio inferiore da parte del mercato o una maggiore capacità di generare utili per lo stesso rischio assunto, quindi attenzione a giudicare rischioso un mercato perché è caro: è vero il contrario. Caso mai mercato caro non è ABBASTANZA RISCHIOSO rispetto al mio rendimento atteso.

– NUMERO QUATTRO: in ogni momento i prezzi delle azioni riflettono l’opinione media del mercato rispetto a utili futuri e tasso di sconto, cioè al rendimento richiesto per compensare un certo livello di rischio.

– NUMERO CINQUE: il mercato fa più fatica a stimare gli utili derivanti da innovazioni dirompenti, motivo per cui è sempre sbagliato limitarsi a dire che certe valutazioni sono “troppo alte”, perché a volte semplicemente non si riesce a stimare l’economia di scala di innovazioni che ancora non siamo in grado di comprendere pienamente.

Bene amici miei, spero che l’episodio di oggi mi sia piaciuto e che qualche numero in più non vi abbia cotto il cervello.

Nel prossimo episodio parleremo invece di tutt’altro, zero numeri, qualche riflessione sulla vita in generale e l’annuncio del prossimo ospite che verrà a trovarci.

Spoiler: si tratta di un giornalista leggendario del più importante quotidiano finanziario del mondo.

Si accettano scommesse.

Per il momento vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che… niente… vi spiegano il vero e unico motivo profondo per cui investiamo tanti dei nostri soldi in azioni senza essere pazzi scriteriati sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo imperdibile appuntamento insieme e con l’annuncio del prossimo super ospite del nostro super podcast, sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
Facile.it
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