Victor Haghani: La Decisione d’investimento più importante di tutte (quanto investire in azioni)
La domanda più importante da porsi come investitore è: quanto investire in asset rischiosi (come le azioni) e quanto in asset a basso rischio (come le obbligazioni). Rispondiamo alla domanda delle domande tramite con Victor Haghani, una leggenda di Wall Street, ex Salomon Brothers e tra i fondatori di Long Term Capital Management.

229. Victor Haghani: La Decisione d’investimento più importante di tutte (quanto investire in azioni)
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La decisione d'investimento più importante è 'quanto' investire in asset rischiosi (sizing), non 'cosa' (selezione).
La formula Merton Share (Mu / (Gamma x Sigma^2)) determina l'allocazione ottimale in base al rendimento atteso, varianza e avversione al rischio.
I bias di 'estrapolazione' e 'eccessiva fiducia' (overconfidence) sono i principali errori; l'asset allocation è sempre una decisione attiva, non passiva.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull il tuo podcast di finanza personale c’è una domanda fondamentale da porsi quando si investe, la più importante di qualunque altra: qual è la quota corretta dei miei risparmi da investire in asset rischiosi. Decidere quanto del mio capitale debba essere soggetto al rischio dei mercati e quanto invece debba essere allocato in asset, diciamo, risk-free, è lo step fondamentale da compiere nella composizione del proprio portafoglio. Qualunque altra decisione su strumenti, fattori, valute e via dicendo sarà sempre e solo una conseguenza di quella prima decisione fondamentale. Per rispondere a questa domanda non c’è persona migliore al mondo di Victor Haghani, cresciuto in quello straordinario vivai di talenti leggendari chiamata allora Solomon Brothers e nel 1994 il più giovane tra i funding parnter del più celebre hedge fund di tutti i tempi: Long Term Capital Management, chiamato anche l’”hedge fund dei premi Nobel”, che tra i suoi partner annoverava due Nobel Laureate come Myron Scholes e Robert Merton, svariate superstar provenienti dall’elite di Wall Street e geni dall’MIT e altre top Università. La storia di LTCM è nota: 4 anni di risultati da record e poi il crollo improvviso a seguito di un’incredibile concatenazione di eventi che meglio di ogni ha fornito un esempio paradigmatico dell’antico detto secondo cui i mercati possono rimanere irrazionali a lungo di quanto si possa rimanere solventi. Victor imparò allora, “the hard way”, quanto sia fondamentale determinare correttamente la quota di rischio del proprio portafoglio e da lì la sua prolifica attività di ricerca e quella come gestore patrimoniale lo portarono a sviluppare un modello di investimento che può essere di grandissima guida e ispirazione per tutti noi, di cui si può trovare una bellissima sintesi nel suo ultimo, citatissimo libro The Missing Billionaire, di cui potete trovare il link in descrizione. Victor Haghani è tanto un gigante della storia della finanza, quanto una persona di straordinaria umiltà, generosità e gentilezza, motivo per cui sono doppiamente felice di ringraziarlo per aver accettato il mio invito qui a The Bull. E senza aggiungere ulteriore parole, vi lascio alla mia chiacchierata con Victor Haghani.
Riccardo: Caro Victor, benvenuto nel mio podcast, The Bull. È un vero piacere averti con noi, e vorrei… questa intervista potrebbe durare almeno due o tre ore, ma devo scegliere con attenzione gli argomenti e partire da quello più importante: ho amato il tuo ultimo libro, per usare un eufemismo, The Missing Billionaires. E ora ci dirai dove sono finiti questi miliardari scomparsi. Come dico sempre a chi me lo chiede, questo libro è una sorta di one-stop shop per chi vuole davvero capire cosa serve per investire in modo sensato. Partiamo da ciò che ti ha spinto a scriverlo.
Victor Haghani: Certo. Ci sono tantissimi libri sulla finanza personale là fuori… Ma quasi tutti si concentrano su cosa dovresti comprare — e non discutono granché di quanto dovresti investire in quegli strumenti. Quindi da un lato c’è la questione del “cosa”, cioè la selezione… Ma poi c’è la questione del “quanto”. E questa questione viene affrontata, sì, ma in modo molto superficiale. Così abbiamo pensato che ci fosse davvero bisogno di un libro che si concentrasse principalmente sulla domanda “quanto?”… Entrambi ci siamo confrontati con il tema del sizing — ovvero la dimensione delle posizioni. Entrambi abbiamo vissuto periodi in cui abbiamo sbagliato completamente le dimensioni… E ci siamo chiesti se ci fosse qualcosa che avremmo potuto dire a una versione più giovane di noi stessi, qualcosa che potesse essere utile… In parte, è stato anche un modo per scrivere a noi stessi da giovani…
Riccardo: Yeah, yeah. Quando si tratta di stabilire la dimensione — la size — corretta del capitale da investire in asset rischiosi, che è poi il tema principale che affronti, hai introdotto una formula brillante: la Merton share. È incredibile che non sia più diffusa. È nota nel mondo accademico, conosciuta da alcuni professionisti, ma non è il metodo standard con cui, per esempio, un consulente orienta i propri clienti nella costruzione di un portafoglio. E non riesco a capirne il motivo, perché è un’idea eccellente… Lascio a te il compito di introdurre questo concetto, perché è rilevante per la nostra conversazione di oggi.
Victor Haghani: Sì, nel libro parliamo molto della Merton share. Ed è una regola empirica molto semplice, originariamente derivata da Robert Merton quando era giovanissimo… Riguardava proprio l’applicazione di tecniche matematiche… alla questione della scelta di portafoglio su orizzonte di vita… si arriva a un risultato secondo cui la quantità di risparmio da investire nell’asset rischioso… dipende da una funzione molto semplice: il rendimento in eccesso che ti aspetti di ottenere dall’asset rischioso rispetto a quello sicuro, diviso per la varianza e per il tuo grado personale di avversione al rischio. Questa formula la riassumiamo come: mu / (gamma times sigma^2)… È un rapporto tra rendimento e rischio, “normalizzato” per il tuo grado personale di avversione al rischio… Un modo che usiamo spesso per spiegarlo alle persone è questo: immagina un mondo in cui le azioni offrono un rendimento in eccesso del 4% rispetto agli asset sicuri… Una volta che rispondi a questa domanda [quante azioni vorresti avere in portafoglio in un ambiente simile], hai calibrato l’intero sistema… Se, ad esempio, con un rendimento atteso di +4% vuoi il 70% del tuo capitale in azioni, ma oggi il rendimento atteso è solo +2% rispetto all’asset sicuro, allora — a parità di condizioni — dovresti voler investire solo il 35% in azioni. È piuttosto lineare.
Riccardo: La formula Black-Scholes, per la sua complessità, richiede un dottorato in matematica per essere compresa appieno; la formula Merton-Share, invece, è piuttosto semplice. Ok, ci sono molti simboli greci, ma al di là di questi, è molto semplice. Il pubblico a cui ti stai rivolgendo conosce molto bene la Merton share, perché le ho dedicato un paio di episodi. E tutti hanno un foglio Excel in cui possono inserire i dati e ricavare l’asset allocation. Ovviamente, il grande tema di cui parleremo tra poco è come stimare il rendimento atteso… Ma prima di arrivarci, c’è un altro concetto che è importante comprendere per apprezzare davvero la Merton share: è l’idea che nasce dal paradosso di San Pietroburgo, da Bernoulli, e dalla teoria dell’utilità. L’idea secondo cui non devo assumermi tutto il rischio possibile per ottenere il massimo rendimento atteso — perché non è così che ci comportiamo nella vita reale.
Victor Haghani: Assolutamente. E non è solo una questione di comportamento nella vita reale: ha a che fare con la realtà dei fatti, ovvero che quanto più abbiamo di qualcosa che ci piace, tanto meno lo valutiamo… ciò che ci interessa davvero è l’utilità, o il beneficio, o la felicità che la ricchezza ci dà… E poiché c’è un beneficio marginale decrescente al crescere della ricchezza, questo ci rende avversi al rischio… Non è una questione di behavioral economics — è un approccio perfettamente razionale e sensato a come prendere decisioni in condizioni di incertezza… Se proviamo a massimizzare il valore atteso della ricchezza, finiamo per prendere decisioni che sono palesemente irrazionali e che non vorremmo mai attuare nella realtà.
Riccardo: Già. Non è così eccezionale… È un concetto fondamentale, perché altrimenti si arriverebbe a conclusioni paradossali, come assumersi un rischio infinito per ottenere un rendimento infinito. Si. No, è perfetto. E incoraggio chi ci ascolta a leggere l’esperimento che avete condotto con molte persone — teoricamente ben istruite — su quanto denaro avrebbero dovuto puntare in una scommessa di questo tipo, con risultati davvero sorprendenti.
Victor Haghani: Ad esempio, se puoi lanciare una moneta con il 60% di probabilità che esca testa e 40% croce. E puoi scommettere tutta la mia ricchezza su quel lancio… la strategia che massimizza il valore atteso della mia ricchezza è puntare tutta la mia ricchezza su testa ogni singola volta… E il fatto che nel 99,99999% dei casi finirei in bancarotta perché è uscita croce una sola volta… va bene, perché è quella la strategia che dà il valore atteso massimo. Ma chiaramente, l’intuizione di chiunque ti direbbe che non ha alcun senso. Non lo faresti mai.
Riccardo: Esatto, ed è davvero importante fare una riflessione provocatoria in questo momento storico dominato da meme stocks, sistemi di trading che promettono di farti ricco dall’oggi al domani, e cose del genere. Sarebbe molto meglio se le persone sapessero comprendere meglio le probabilità e riuscissero davvero a valutare il rischio che stanno assumendo prima di entrare in una scommessa per arricchirsi velocemente. Ma — e lo dico come affermazione provocatoria — questo podcast non parla di trading, ma di quello che potremmo definire investimento passivo. So bene che il termine passivo può essere fuorviante, ma tu stesso hai detto che la selezione passiva di azioni ha senso, mentre non esiste nulla come un’asset allocation passiva. Cosa intendi con questo?
Victor Haghani: Quello che intendo è questo: investire in azioni seguendo un indice ponderato per capitalizzazione di mercato… è una soluzione piuttosto sensata… E io lo definirei investimento passivo in azioni… Tuttavia, quando si passa alla domanda: “ok, ora voglio decidere quanto avere in azioni e quanto in obbligazioni”, posso davvero dire: “farò anche qui un investimento ponderato per capitalizzazione”?… Sappiamo che la capitalizzazione di mercato totale delle azioni quotate nel mondo è di circa 100 trilioni di dollari… Ma sappiamo anche che ci sono probabilmente 400 trilioni di dollari in obbligazioni sovrane, obbligazioni investment grade, depositi bancari, eccetera. Ha senso, quindi, che le persone dicano: “Metto solo il 20% del mio patrimonio in azioni”? E la risposta è no… È una decisione attiva. Stai compiendo una scelta attiva su quanto, alla fine dei conti, vuoi detenere in asset rischiosi… E quindi, usare la Merton share — che è una regola pratica — significa compiere una decisione attiva. Non puoi semplicemente affidarti alla capitalizzazione di mercato di azioni e obbligazioni.
Riccardo: Assolutamente. Sì, 60-40. Certo. Certo. Già.
Victor Haghani: L’asset allocation è sempre — e ovunque — una decisione attiva. Se qualcuno dice: “Voglio semplicemente fare 60-40”… almeno è importante essere chiari su quali sono le assunzioni di partenza… Ora, secondo me, l’idea che il rendimento atteso delle azioni rispetto agli asset sicuri sia costante, e che il rischio nel lungo periodo sia costante, sono assunzioni deboli — soprattutto la prima.
Riccardo: Sì. In questi mesi, tutti i grandi gestori hanno rivisto il target di fine anno dell’S&P 500 e dell’NDR, sulla base di ciò che stava accadendo sui mercati… Ma se parliamo di rendimento atteso di lungo periodo, dovrebbe essere in qualche modo più semplice arrivare a un intervallo ragionevolmente prevedibile… E la metrica più utilizzata per stimare i rendimenti futuri è il rapporto CAPE di Shiller. tu hai pubblicato un ottimo paper in cui proponi un miglioramento del CAPE ratio. E mi piacerebbe che raccontassi qualcosa del P-CAPE ratio, o del rendimento da utili secondo il P-CAPE, di cui hai scritto — perché potrebbe essere uno degli strumenti utili per stimare il mu, il numeratore della Merton share.
Victor Haghani: Sì, assolutamente. Penso che abbia davvero senso dedicare del tempo a spiegare perché qualcosa come lo Shiller earnings yield — cioè il rendimento da utili aggiustato ciclicamente, che è l’inverso del CAPE di Shiller — sia utile… Quello che sta realmente misurando è questo: prendiamo gli utili dell’ultimo decennio del mercato azionario, li mediamo, li correggiamo per l’inflazione, e poi dividiamo questo valore medio per il prezzo corrente del mercato. Il risultato è il rendimento da utili… Quello che scopriamo è che sì, effettivamente il mondo si è comportato in maniera abbastanza simile. Lo Shiller earnings yield si è dimostrato un predittore ragionevolmente buono del rendimento reale di lungo periodo del mercato azionario… Ora, lo Shiller earnings yield è una cosa estremamente semplice. Chiunque lo utilizzi e lo osservi, finisce per pensare: “Posso migliorarlo”… E la domanda diventa: quali miglioramenti vogliamo apportare affinché le persone a cui stiamo cercando di spiegare questo concetto non si sentano sopraffatte da troppa complessità? Dopo molto tempo a rifletterci sopra, abbiamo deciso che era opportuno introdurre una piccola modifica, una modifica che tenesse conto del fatto che le aziende non distribuiscono tutti i loro utili sotto forma di dividendi. Per questo abbiamo introdotto quello che chiamiamo payout adjustment, cioè una correzione per il tasso di distribuzione.
Riccardo: Certo. Certo. Quindi senza trattenere nulla. Sì, ovviamente. Certo. Certo. Certo. …e all’intuito. Diciamo che il P-CAPE è quello che scegliamo come riferimento per allocare il nostro capitale nel portafoglio. E, secondo quanto emerge dal paper, il P-CAPE risulta più preciso, perché — se ricordo bene — il CAPE ratio standard ha sottostimato i rendimenti a 10 anni del 19%. Ok, quindi il CAPE ratio standard tende a essere un po’ troppo pessimista sul rendimento atteso.
Victor Haghani: Sì, il rendimento da utili calcolato con il CAPE standard… tende a sottostimare un po’ i rendimenti.
Riccardo: Mentre l’aggiustamento che proponete è conservativo. Ok. Diciamo quindi che scegliamo questo indicatore come base per la nostra asset allocation. E tu suggerisci un’asset allocation dinamica nel tempo, perché ovviamente il rendimento atteso in eccesso cambia, sulla base di metriche come questa… Qui invece si cerca di massimizzare il rendimento atteso quando le azioni offrono, appunto, un premio di rischio maggiore. Per esempio, ora ci troviamo nella situazione opposta… e quindi dovremmo ridurre la nostra allocazione. Ma la domanda è: come si può proteggersi dal rischio di un tempismo molto sbagliato? Perché ricordo, ad esempio, che nel 2014 tutte le previsioni dei principali operatori… erano molto pessimistiche sul decennio successivo. E invece si è rivelato un periodo eccezionale per il mercato azionario USA. Quindi è facile perdersi grandi rendimenti se si modifica l’allocazione nel tempo seguendo queste stime. Cerchiamo di capire meglio questo aspetto.
Victor Haghani: Sì. Quindi, ovviamente, stiamo sempre parlando di rendimenti attesi. Non stiamo dicendo — non possiamo prevedere – cosa farà il mercato… E io credo che, alla fine, che tu decida o meno di adottare una logica dinamica… siano due facce della stessa medaglia… La cosa importante è riflettere molto bene su ciò che vuoi fare, e poi farlo, assicurandoti di avere fiducia e sentirti a tuo agio con la scelta che stai facendo. Poi le carte saranno distribuite e il gioco si svolgerà come deve… Credo anche che, per moltissimi investitori, un’allocazione più o meno statica sia, se fai tutto da solo, la cosa più comoda da fare. Anche se, ogni tanto, dovresti comunque tenere d’occhio la situazione… oggi non dovresti avere la maggior parte del tuo patrimonio in azioni statunitensi. Nessuno — nessun analista serio che guardi al futuro — crede che le azioni USA offriranno un rendimento così elevato da giustificare una forte esposizione… Quindi credo che, anche se vuoi mantenere un’allocazione tendenzialmente statica, dovresti sempre tenere gli occhi aperti su quello che implicano i rendimenti attesi.
Riccardo: Ci sono molti bias psicologici quando si tratta di investire e prendere decisioni. Il recency bias è uno di questi… Quest’anno abbiamo visto molti andare in panico per ciò che accadeva sul mercato: per via delle tariffe, dell’instabilità, del caos generale. L’indice S&P 500 ha sfiorato il bear market. Però nonostante si sappia benissimo che investire in azioni è un’attività di lungo periodo, e che non ci si dovrebbe preoccupare troppo per una correzione, comunque molti investitori reagiscono in base a queste notizie. Secondo te, quali sono i bias psicologici che più influenzano le decisioni di investimento e il rapporto emotivo delle persone con il proprio portafoglio? Quali sono quelli che più spesso portano a scelte subottimali rispetto agli obiettivi finanziari di lungo termine — e anche rispetto alla loro felicità futura?
Victor Haghani: L’estrapolazione, il cosiddetto extrapolation bias… E il secondo è l’eccesso di fiducia, overconfidence… Questi due bias spiegano così tante delle stranezze che osserviamo nei prezzi degli asset: bolle speculative, crolli, tutto questo eccesso di attività di trading… il paradosso del “perché c’è così tanto trading nei mercati finanziari?”. Non ha alcun senso da un punto di vista teorico… Credo che il trading sia un segnale evidente dell’eccessiva sicurezza, dell’overconfidence irrazionale che hanno molti partecipanti al mercato… Penso che se riusciamo a riconoscere questi due aspetti, e ci chiediamo: “Cosa sto facendo che nasce dalla mia tendenza a estrapolare il passato?”, e “Cosa sto facendo che nasce da questo eccesso di fiducia che tutti noi — o molti di noi — abbiamo?”, allora questo può davvero, credo, aiutarci tantissimo a migliorare le nostre decisioni finanziarie.
Riccardo: Già, Potremmo farci un episodio a parte… Suppongo che molte delle idee di cui abbiamo parlato oggi… derivino dal tuo background, dalla tua esperienza. E immagino che l’esperienza con LTCM sia stata una pietra miliare nella tua carriera — nel bene e nel male. Ovviamente conosciamo tutti la storia. LTCM è una delle più grandi vicende della finanza moderna, anche per le persone incredibili che lo hanno fondato. Era conosciuto come l’hedge fund dei premi Nobel… Se non ti dispiace, mi piacerebbe che raccontassi i principi su cui si fondava LTCM, e cosa è successo: perché per quattro anni è stato un progresso straordinario. E poi, nel giro di pochi mesi, il mercato è impazzito… Suppongo che ci sia un legame tra quella esperienza e tutto ciò che hai maturato successivamente, e da cui sono nate le idee di cui abbiamo parlato oggi.
Victor Haghani: Assolutamente. Penso che i professionisti e i teorici abbiano sempre creduto che esistano inefficienze limitate… che offrano un rendimento atteso e un profitto sufficienti da giustificare l’impiego di capitale e lavoro per contribuire a rendere i mercati più efficienti… LTCM era basato su un approccio di trading… che aveva avuto luogo alla Salomon Brothers… John Meriwether, decise di portare avanti quell’attività su scala globale, al di fuori della Salomon Brothers, raccogliendo capitale esterno per farlo… [LTCM] raccolse un miliardo di dollari… Eravamo circa dieci partner… E col tempo scoprimmo che portare avanti quell’attività come un fondo autonomo, separato da una banca d’investimento, probabilmente non era un modello di business molto adatto… E, sai, alla fine, quando arrivò il 1998, perdemmo il 90% del capitale dei nostri investitori — capitale che, a quel punto, era per lo più nostro… Fu, sai, una… una esperienza terribile per tutti noi coinvolti… Nel mio caso, quella fu un po’ la fine — o comunque l’inizio della fine — del mio desiderio di fare investimenti a leva e concentrati. E mi portò gradualmente verso quello che oggi facciamo in Elm Wealth, cioè: nessuna leva, ampia diversificazione, uso di fondi indicizzati ponderati per capitalizzazione di mercato per ottenere esposizione azionaria, e investimenti dinamici su indici.
Riccardo: Sì, sì. Bellissimo, è stato un capitolo fantastico… C’è voluto il default della Russia, quello che è successo nei mercati emergenti, nei mercati obbligazionari emergenti, nei mercati emergenti in generale, e le altre banche che non fornivano liquidità, Warren Buffett in Alaska — quindi un sacco di situazioni, davvero incredibili. E pensi che, se all’epoca avessi conosciuto meglio il concetto della Merton share, avresti preso decisioni diverse, ad esempio riguardo al tuo capitale personale investito in LTCM?
Victor Haghani: Sì, quindi penso che la, uh, la cosa che mi è più chiara è che, ehm, se avessi ragionato con le idee… di massimizzazione dell’utilità attesa, sai, che penso siano così importanti… la cosa più importante che sarebbe stata diversa è che avrei avuto molto meno, eh, denaro in LTCM. Questa è la prima cosa… Penso che l’altra cosa, eh, che sarebbe stata molto più chiara per me è che… il valore atteso non è ciò che avremmo dovuto massimizzare. Avremmo dovuto massimizzare il valore rettificato per il rischio di ciò che facevamo. E penso che, eh, sai, se fossimo stati più focalizzati su quello schema, avremmo detto: “Ok, sai cosa? Il valore attificato per il rischio sarà molto più alto. Facciamolo.” Facciamo questo. Diventiamo un fondo da 20 miliardi di dollari, invece di restare un fondo da 4 o 5 miliardi con la maggior parte del nostro denaro investito lì.
Riccardo: Victor, ultima domanda. Quali errori commettono ancora oggi gli investitori? Tu vedi tanti investitori, sia individuali ad alta patrimonializzazione, sia investitori istituzionali. Qual è la tua idea a riguardo?
Victor Haghani: Penso che i due grandi errori, eh, o sub-ottimalità che commettiamo siano… estrapolazione — cioè, pensare che il futuro sarà come il passato recente o persino come il passato di lungo termine — estrapolazione, ed eccesso di fiducia. E, ehm, sai, [l’eccesso di fiducia] è… quello che, eh, quello che, eh, i teorici dei giochi… chiamano a volte il “principio del disaccordo”… in presenza di un insieme di condizioni ragionevoli… persone che stanno cercando la verità non dovrebbero mai essere in disaccordo: dovremmo sempre arrivare a un accordo… E questo ci dice molto su come dovremmo comportarci nei mercati finanziari… Dovremmo davvero considerare tutto questo enorme volume di trading nei mercati finanziari come un segnale che qualcosa non va del tutto nel comportamento di molte persone.
Riccardo: Sì. Ogni mese abbiamo l’indice dei prezzi al consumo (CPI), i non-farm payrolls, l’indice di fiducia del Michigan… ci sono un sacco di motivi per continuare a scambiare, per essere in disaccordo su cosa significhino i dati — e condivido appieno quello che dici, è davvero interessante il modo in cui lo esprimi. Victor, grazie mille per il tempo che ci hai dedicato, per tutto il tempo che hai speso con noi, lo apprezzo davvero tanto. E spero che tornerai in futuro, perché avrei altre dieci o venti domande da farti.
Victor Haghani: Grazie, Riccardo. È un piacere essere qui. Sai, spero davvero di avere la possibilità di connetterci di più e aiutare sempre più investitori italiani e… magari il nostro libro potrà essere tradotto anche in italiano un giorno…
Riccardo: Sarebbe un onore per me sponsorizzarlo. Gente, potete leggerlo in inglese, è molto facile da capire, ci sono un sacco di grafici e disegni davvero ben fatti. e potete vedere anche una versione a fumetti di Victor disegnata nel libro. E davvero, grazie mille, è stato fantastico averti qui. A presto. E questo è tutto gente. Spero che l’episodio vi sia piaciuto e che in particolare vi abbia dato nuovi strumenti per provare a rispondere alla domanda più fondamentale da porsi come investitori. Ringrazio Victor per la sua partecipazione e per gli straordinari contenuti che ha condiviso con noi e vi ricordo che in descrizione potete trovare il link a The Missing Billionaires, il suo ultimo fenomenale libro, nonché al sito della sua società Elm Wealth, in cui troverete fantastici articoli e tool e il suo tool di asset allocation. Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che provano a rispondere alla domanda delle domande della finanza sempre nuovi. Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento assieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull il tuo podcast di finanza personale c’è una domanda fondamentale da porsi quando si investe, la più importante di qualunque altra: qual è la quota corretta dei miei risparmi da investire in asset rischiosi. Decidere quanto del mio capitale debba essere soggetto al rischio dei mercati e quanto invece debba essere allocato in asset, diciamo, risk-free, è lo step fondamentale da compiere nella composizione del proprio portafoglio. Qualunque altra decisione su strumenti, fattori, valute e via dicendo sarà sempre e solo una conseguenza di quella prima decisione fondamentale. Per rispondere a questa domanda non c’è persona migliore al mondo di Victor Haghani, cresciuto in quello straordinario vivai di talenti leggendari chiamata allora Solomon Brothers e nel 1994 il più giovane tra i funding parnter del più celebre hedge fund di tutti i tempi: Long Term Capital Management, chiamato anche l’”hedge fund dei premi Nobel”, che tra i suoi partner annoverava due Nobel Laureate come Myron Scholes e Robert Merton, svariate superstar provenienti dall’elite di Wall Street e geni dall’MIT e altre top Università. La storia di LTCM è nota: 4 anni di risultati da record e poi il crollo improvviso a seguito di un’incredibile concatenazione di eventi che meglio di ogni ha fornito un esempio paradigmatico dell’antico detto secondo cui i mercati possono rimanere irrazionali a lungo di quanto si possa rimanere solventi. Victor imparò allora, “the hard way”, quanto sia fondamentale determinare correttamente la quota di rischio del proprio portafoglio e da lì la sua prolifica attività di ricerca e quella come gestore patrimoniale lo portarono a sviluppare un modello di investimento che può essere di grandissima guida e ispirazione per tutti noi, di cui si può trovare una bellissima sintesi nel suo ultimo, citatissimo libro The Missing Billionaire, di cui potete trovare il link in descrizione. Victor Haghani è tanto un gigante della storia della finanza, quanto una persona di straordinaria umiltà, generosità e gentilezza, motivo per cui sono doppiamente felice di ringraziarlo per aver accettato il mio invito qui a The Bull. E senza aggiungere ulteriore parole, vi lascio alla mia chiacchierata con Victor Haghani.
Riccardo: Caro Victor, benvenuto nel mio podcast, The Bull. È un vero piacere averti con noi, e vorrei… questa intervista potrebbe durare almeno due o tre ore, ma devo scegliere con attenzione gli argomenti e partire da quello più importante: ho amato il tuo ultimo libro, per usare un eufemismo, The Missing Billionaires. E ora ci dirai dove sono finiti questi miliardari scomparsi. Come dico sempre a chi me lo chiede, questo libro è una sorta di one-stop shop per chi vuole davvero capire cosa serve per investire in modo sensato. Partiamo da ciò che ti ha spinto a scriverlo.
Victor Haghani: Certo. Ci sono tantissimi libri sulla finanza personale là fuori… Ma quasi tutti si concentrano su cosa dovresti comprare — e non discutono granché di quanto dovresti investire in quegli strumenti. Quindi da un lato c’è la questione del “cosa”, cioè la selezione… Ma poi c’è la questione del “quanto”. E questa questione viene affrontata, sì, ma in modo molto superficiale. Così abbiamo pensato che ci fosse davvero bisogno di un libro che si concentrasse principalmente sulla domanda “quanto?”… Entrambi ci siamo confrontati con il tema del sizing — ovvero la dimensione delle posizioni. Entrambi abbiamo vissuto periodi in cui abbiamo sbagliato completamente le dimensioni… E ci siamo chiesti se ci fosse qualcosa che avremmo potuto dire a una versione più giovane di noi stessi, qualcosa che potesse essere utile… In parte, è stato anche un modo per scrivere a noi stessi da giovani…
Riccardo: Yeah, yeah. Quando si tratta di stabilire la dimensione — la size — corretta del capitale da investire in asset rischiosi, che è poi il tema principale che affronti, hai introdotto una formula brillante: la Merton share. È incredibile che non sia più diffusa. È nota nel mondo accademico, conosciuta da alcuni professionisti, ma non è il metodo standard con cui, per esempio, un consulente orienta i propri clienti nella costruzione di un portafoglio. E non riesco a capirne il motivo, perché è un’idea eccellente… Lascio a te il compito di introdurre questo concetto, perché è rilevante per la nostra conversazione di oggi.
Victor Haghani: Sì, nel libro parliamo molto della Merton share. Ed è una regola empirica molto semplice, originariamente derivata da Robert Merton quando era giovanissimo… Riguardava proprio l’applicazione di tecniche matematiche… alla questione della scelta di portafoglio su orizzonte di vita… si arriva a un risultato secondo cui la quantità di risparmio da investire nell’asset rischioso… dipende da una funzione molto semplice: il rendimento in eccesso che ti aspetti di ottenere dall’asset rischioso rispetto a quello sicuro, diviso per la varianza e per il tuo grado personale di avversione al rischio. Questa formula la riassumiamo come: mu / (gamma times sigma^2)… È un rapporto tra rendimento e rischio, “normalizzato” per il tuo grado personale di avversione al rischio… Un modo che usiamo spesso per spiegarlo alle persone è questo: immagina un mondo in cui le azioni offrono un rendimento in eccesso del 4% rispetto agli asset sicuri… Una volta che rispondi a questa domanda [quante azioni vorresti avere in portafoglio in un ambiente simile], hai calibrato l’intero sistema… Se, ad esempio, con un rendimento atteso di +4% vuoi il 70% del tuo capitale in azioni, ma oggi il rendimento atteso è solo +2% rispetto all’asset sicuro, allora — a parità di condizioni — dovresti voler investire solo il 35% in azioni. È piuttosto lineare.
Riccardo: La formula Black-Scholes, per la sua complessità, richiede un dottorato in matematica per essere compresa appieno; la formula Merton-Share, invece, è piuttosto semplice. Ok, ci sono molti simboli greci, ma al di là di questi, è molto semplice. Il pubblico a cui ti stai rivolgendo conosce molto bene la Merton share, perché le ho dedicato un paio di episodi. E tutti hanno un foglio Excel in cui possono inserire i dati e ricavare l’asset allocation. Ovviamente, il grande tema di cui parleremo tra poco è come stimare il rendimento atteso… Ma prima di arrivarci, c’è un altro concetto che è importante comprendere per apprezzare davvero la Merton share: è l’idea che nasce dal paradosso di San Pietroburgo, da Bernoulli, e dalla teoria dell’utilità. L’idea secondo cui non devo assumermi tutto il rischio possibile per ottenere il massimo rendimento atteso — perché non è così che ci comportiamo nella vita reale.
Victor Haghani: Assolutamente. E non è solo una questione di comportamento nella vita reale: ha a che fare con la realtà dei fatti, ovvero che quanto più abbiamo di qualcosa che ci piace, tanto meno lo valutiamo… ciò che ci interessa davvero è l’utilità, o il beneficio, o la felicità che la ricchezza ci dà… E poiché c’è un beneficio marginale decrescente al crescere della ricchezza, questo ci rende avversi al rischio… Non è una questione di behavioral economics — è un approccio perfettamente razionale e sensato a come prendere decisioni in condizioni di incertezza… Se proviamo a massimizzare il valore atteso della ricchezza, finiamo per prendere decisioni che sono palesemente irrazionali e che non vorremmo mai attuare nella realtà.
Riccardo: Già. Non è così eccezionale… È un concetto fondamentale, perché altrimenti si arriverebbe a conclusioni paradossali, come assumersi un rischio infinito per ottenere un rendimento infinito. Si. No, è perfetto. E incoraggio chi ci ascolta a leggere l’esperimento che avete condotto con molte persone — teoricamente ben istruite — su quanto denaro avrebbero dovuto puntare in una scommessa di questo tipo, con risultati davvero sorprendenti.
Victor Haghani: Ad esempio, se puoi lanciare una moneta con il 60% di probabilità che esca testa e 40% croce. E puoi scommettere tutta la mia ricchezza su quel lancio… la strategia che massimizza il valore atteso della mia ricchezza è puntare tutta la mia ricchezza su testa ogni singola volta… E il fatto che nel 99,99999% dei casi finirei in bancarotta perché è uscita croce una sola volta… va bene, perché è quella la strategia che dà il valore atteso massimo. Ma chiaramente, l’intuizione di chiunque ti direbbe che non ha alcun senso. Non lo faresti mai.
Riccardo: Esatto, ed è davvero importante fare una riflessione provocatoria in questo momento storico dominato da meme stocks, sistemi di trading che promettono di farti ricco dall’oggi al domani, e cose del genere. Sarebbe molto meglio se le persone sapessero comprendere meglio le probabilità e riuscissero davvero a valutare il rischio che stanno assumendo prima di entrare in una scommessa per arricchirsi velocemente. Ma — e lo dico come affermazione provocatoria — questo podcast non parla di trading, ma di quello che potremmo definire investimento passivo. So bene che il termine passivo può essere fuorviante, ma tu stesso hai detto che la selezione passiva di azioni ha senso, mentre non esiste nulla come un’asset allocation passiva. Cosa intendi con questo?
Victor Haghani: Quello che intendo è questo: investire in azioni seguendo un indice ponderato per capitalizzazione di mercato… è una soluzione piuttosto sensata… E io lo definirei investimento passivo in azioni… Tuttavia, quando si passa alla domanda: “ok, ora voglio decidere quanto avere in azioni e quanto in obbligazioni”, posso davvero dire: “farò anche qui un investimento ponderato per capitalizzazione”?… Sappiamo che la capitalizzazione di mercato totale delle azioni quotate nel mondo è di circa 100 trilioni di dollari… Ma sappiamo anche che ci sono probabilmente 400 trilioni di dollari in obbligazioni sovrane, obbligazioni investment grade, depositi bancari, eccetera. Ha senso, quindi, che le persone dicano: “Metto solo il 20% del mio patrimonio in azioni”? E la risposta è no… È una decisione attiva. Stai compiendo una scelta attiva su quanto, alla fine dei conti, vuoi detenere in asset rischiosi… E quindi, usare la Merton share — che è una regola pratica — significa compiere una decisione attiva. Non puoi semplicemente affidarti alla capitalizzazione di mercato di azioni e obbligazioni.
Riccardo: Assolutamente. Sì, 60-40. Certo. Certo. Già.
Victor Haghani: L’asset allocation è sempre — e ovunque — una decisione attiva. Se qualcuno dice: “Voglio semplicemente fare 60-40”… almeno è importante essere chiari su quali sono le assunzioni di partenza… Ora, secondo me, l’idea che il rendimento atteso delle azioni rispetto agli asset sicuri sia costante, e che il rischio nel lungo periodo sia costante, sono assunzioni deboli — soprattutto la prima.
Riccardo: Sì. In questi mesi, tutti i grandi gestori hanno rivisto il target di fine anno dell’S&P 500 e dell’NDR, sulla base di ciò che stava accadendo sui mercati… Ma se parliamo di rendimento atteso di lungo periodo, dovrebbe essere in qualche modo più semplice arrivare a un intervallo ragionevolmente prevedibile… E la metrica più utilizzata per stimare i rendimenti futuri è il rapporto CAPE di Shiller. tu hai pubblicato un ottimo paper in cui proponi un miglioramento del CAPE ratio. E mi piacerebbe che raccontassi qualcosa del P-CAPE ratio, o del rendimento da utili secondo il P-CAPE, di cui hai scritto — perché potrebbe essere uno degli strumenti utili per stimare il mu, il numeratore della Merton share.
Victor Haghani: Sì, assolutamente. Penso che abbia davvero senso dedicare del tempo a spiegare perché qualcosa come lo Shiller earnings yield — cioè il rendimento da utili aggiustato ciclicamente, che è l’inverso del CAPE di Shiller — sia utile… Quello che sta realmente misurando è questo: prendiamo gli utili dell’ultimo decennio del mercato azionario, li mediamo, li correggiamo per l’inflazione, e poi dividiamo questo valore medio per il prezzo corrente del mercato. Il risultato è il rendimento da utili… Quello che scopriamo è che sì, effettivamente il mondo si è comportato in maniera abbastanza simile. Lo Shiller earnings yield si è dimostrato un predittore ragionevolmente buono del rendimento reale di lungo periodo del mercato azionario… Ora, lo Shiller earnings yield è una cosa estremamente semplice. Chiunque lo utilizzi e lo osservi, finisce per pensare: “Posso migliorarlo”… E la domanda diventa: quali miglioramenti vogliamo apportare affinché le persone a cui stiamo cercando di spiegare questo concetto non si sentano sopraffatte da troppa complessità? Dopo molto tempo a rifletterci sopra, abbiamo deciso che era opportuno introdurre una piccola modifica, una modifica che tenesse conto del fatto che le aziende non distribuiscono tutti i loro utili sotto forma di dividendi. Per questo abbiamo introdotto quello che chiamiamo payout adjustment, cioè una correzione per il tasso di distribuzione.
Riccardo: Certo. Certo. Quindi senza trattenere nulla. Sì, ovviamente. Certo. Certo. Certo. …e all’intuito. Diciamo che il P-CAPE è quello che scegliamo come riferimento per allocare il nostro capitale nel portafoglio. E, secondo quanto emerge dal paper, il P-CAPE risulta più preciso, perché — se ricordo bene — il CAPE ratio standard ha sottostimato i rendimenti a 10 anni del 19%. Ok, quindi il CAPE ratio standard tende a essere un po’ troppo pessimista sul rendimento atteso.
Victor Haghani: Sì, il rendimento da utili calcolato con il CAPE standard… tende a sottostimare un po’ i rendimenti.
Riccardo: Mentre l’aggiustamento che proponete è conservativo. Ok. Diciamo quindi che scegliamo questo indicatore come base per la nostra asset allocation. E tu suggerisci un’asset allocation dinamica nel tempo, perché ovviamente il rendimento atteso in eccesso cambia, sulla base di metriche come questa… Qui invece si cerca di massimizzare il rendimento atteso quando le azioni offrono, appunto, un premio di rischio maggiore. Per esempio, ora ci troviamo nella situazione opposta… e quindi dovremmo ridurre la nostra allocazione. Ma la domanda è: come si può proteggersi dal rischio di un tempismo molto sbagliato? Perché ricordo, ad esempio, che nel 2014 tutte le previsioni dei principali operatori… erano molto pessimistiche sul decennio successivo. E invece si è rivelato un periodo eccezionale per il mercato azionario USA. Quindi è facile perdersi grandi rendimenti se si modifica l’allocazione nel tempo seguendo queste stime. Cerchiamo di capire meglio questo aspetto.
Victor Haghani: Sì. Quindi, ovviamente, stiamo sempre parlando di rendimenti attesi. Non stiamo dicendo — non possiamo prevedere – cosa farà il mercato… E io credo che, alla fine, che tu decida o meno di adottare una logica dinamica… siano due facce della stessa medaglia… La cosa importante è riflettere molto bene su ciò che vuoi fare, e poi farlo, assicurandoti di avere fiducia e sentirti a tuo agio con la scelta che stai facendo. Poi le carte saranno distribuite e il gioco si svolgerà come deve… Credo anche che, per moltissimi investitori, un’allocazione più o meno statica sia, se fai tutto da solo, la cosa più comoda da fare. Anche se, ogni tanto, dovresti comunque tenere d’occhio la situazione… oggi non dovresti avere la maggior parte del tuo patrimonio in azioni statunitensi. Nessuno — nessun analista serio che guardi al futuro — crede che le azioni USA offriranno un rendimento così elevato da giustificare una forte esposizione… Quindi credo che, anche se vuoi mantenere un’allocazione tendenzialmente statica, dovresti sempre tenere gli occhi aperti su quello che implicano i rendimenti attesi.
Riccardo: Ci sono molti bias psicologici quando si tratta di investire e prendere decisioni. Il recency bias è uno di questi… Quest’anno abbiamo visto molti andare in panico per ciò che accadeva sul mercato: per via delle tariffe, dell’instabilità, del caos generale. L’indice S&P 500 ha sfiorato il bear market. Però nonostante si sappia benissimo che investire in azioni è un’attività di lungo periodo, e che non ci si dovrebbe preoccupare troppo per una correzione, comunque molti investitori reagiscono in base a queste notizie. Secondo te, quali sono i bias psicologici che più influenzano le decisioni di investimento e il rapporto emotivo delle persone con il proprio portafoglio? Quali sono quelli che più spesso portano a scelte subottimali rispetto agli obiettivi finanziari di lungo termine — e anche rispetto alla loro felicità futura?
Victor Haghani: L’estrapolazione, il cosiddetto extrapolation bias… E il secondo è l’eccesso di fiducia, overconfidence… Questi due bias spiegano così tante delle stranezze che osserviamo nei prezzi degli asset: bolle speculative, crolli, tutto questo eccesso di attività di trading… il paradosso del “perché c’è così tanto trading nei mercati finanziari?”. Non ha alcun senso da un punto di vista teorico… Credo che il trading sia un segnale evidente dell’eccessiva sicurezza, dell’overconfidence irrazionale che hanno molti partecipanti al mercato… Penso che se riusciamo a riconoscere questi due aspetti, e ci chiediamo: “Cosa sto facendo che nasce dalla mia tendenza a estrapolare il passato?”, e “Cosa sto facendo che nasce da questo eccesso di fiducia che tutti noi — o molti di noi — abbiamo?”, allora questo può davvero, credo, aiutarci tantissimo a migliorare le nostre decisioni finanziarie.
Riccardo: Già, Potremmo farci un episodio a parte… Suppongo che molte delle idee di cui abbiamo parlato oggi… derivino dal tuo background, dalla tua esperienza. E immagino che l’esperienza con LTCM sia stata una pietra miliare nella tua carriera — nel bene e nel male. Ovviamente conosciamo tutti la storia. LTCM è una delle più grandi vicende della finanza moderna, anche per le persone incredibili che lo hanno fondato. Era conosciuto come l’hedge fund dei premi Nobel… Se non ti dispiace, mi piacerebbe che raccontassi i principi su cui si fondava LTCM, e cosa è successo: perché per quattro anni è stato un progresso straordinario. E poi, nel giro di pochi mesi, il mercato è impazzito… Suppongo che ci sia un legame tra quella esperienza e tutto ciò che hai maturato successivamente, e da cui sono nate le idee di cui abbiamo parlato oggi.
Victor Haghani: Assolutamente. Penso che i professionisti e i teorici abbiano sempre creduto che esistano inefficienze limitate… che offrano un rendimento atteso e un profitto sufficienti da giustificare l’impiego di capitale e lavoro per contribuire a rendere i mercati più efficienti… LTCM era basato su un approccio di trading… che aveva avuto luogo alla Salomon Brothers… John Meriwether, decise di portare avanti quell’attività su scala globale, al di fuori della Salomon Brothers, raccogliendo capitale esterno per farlo… [LTCM] raccolse un miliardo di dollari… Eravamo circa dieci partner… E col tempo scoprimmo che portare avanti quell’attività come un fondo autonomo, separato da una banca d’investimento, probabilmente non era un modello di business molto adatto… E, sai, alla fine, quando arrivò il 1998, perdemmo il 90% del capitale dei nostri investitori — capitale che, a quel punto, era per lo più nostro… Fu, sai, una… una esperienza terribile per tutti noi coinvolti… Nel mio caso, quella fu un po’ la fine — o comunque l’inizio della fine — del mio desiderio di fare investimenti a leva e concentrati. E mi portò gradualmente verso quello che oggi facciamo in Elm Wealth, cioè: nessuna leva, ampia diversificazione, uso di fondi indicizzati ponderati per capitalizzazione di mercato per ottenere esposizione azionaria, e investimenti dinamici su indici.
Riccardo: Sì, sì. Bellissimo, è stato un capitolo fantastico… C’è voluto il default della Russia, quello che è successo nei mercati emergenti, nei mercati obbligazionari emergenti, nei mercati emergenti in generale, e le altre banche che non fornivano liquidità, Warren Buffett in Alaska — quindi un sacco di situazioni, davvero incredibili. E pensi che, se all’epoca avessi conosciuto meglio il concetto della Merton share, avresti preso decisioni diverse, ad esempio riguardo al tuo capitale personale investito in LTCM?
Victor Haghani: Sì, quindi penso che la, uh, la cosa che mi è più chiara è che, ehm, se avessi ragionato con le idee… di massimizzazione dell’utilità attesa, sai, che penso siano così importanti… la cosa più importante che sarebbe stata diversa è che avrei avuto molto meno, eh, denaro in LTCM. Questa è la prima cosa… Penso che l’altra cosa, eh, che sarebbe stata molto più chiara per me è che… il valore atteso non è ciò che avremmo dovuto massimizzare. Avremmo dovuto massimizzare il valore rettificato per il rischio di ciò che facevamo. E penso che, eh, sai, se fossimo stati più focalizzati su quello schema, avremmo detto: “Ok, sai cosa? Il valore attificato per il rischio sarà molto più alto. Facciamolo.” Facciamo questo. Diventiamo un fondo da 20 miliardi di dollari, invece di restare un fondo da 4 o 5 miliardi con la maggior parte del nostro denaro investito lì.
Riccardo: Victor, ultima domanda. Quali errori commettono ancora oggi gli investitori? Tu vedi tanti investitori, sia individuali ad alta patrimonializzazione, sia investitori istituzionali. Qual è la tua idea a riguardo?
Victor Haghani: Penso che i due grandi errori, eh, o sub-ottimalità che commettiamo siano… estrapolazione — cioè, pensare che il futuro sarà come il passato recente o persino come il passato di lungo termine — estrapolazione, ed eccesso di fiducia. E, ehm, sai, [l’eccesso di fiducia] è… quello che, eh, quello che, eh, i teorici dei giochi… chiamano a volte il “principio del disaccordo”… in presenza di un insieme di condizioni ragionevoli… persone che stanno cercando la verità non dovrebbero mai essere in disaccordo: dovremmo sempre arrivare a un accordo… E questo ci dice molto su come dovremmo comportarci nei mercati finanziari… Dovremmo davvero considerare tutto questo enorme volume di trading nei mercati finanziari come un segnale che qualcosa non va del tutto nel comportamento di molte persone.
Riccardo: Sì. Ogni mese abbiamo l’indice dei prezzi al consumo (CPI), i non-farm payrolls, l’indice di fiducia del Michigan… ci sono un sacco di motivi per continuare a scambiare, per essere in disaccordo su cosa significhino i dati — e condivido appieno quello che dici, è davvero interessante il modo in cui lo esprimi. Victor, grazie mille per il tempo che ci hai dedicato, per tutto il tempo che hai speso con noi, lo apprezzo davvero tanto. E spero che tornerai in futuro, perché avrei altre dieci o venti domande da farti.
Victor Haghani: Grazie, Riccardo. È un piacere essere qui. Sai, spero davvero di avere la possibilità di connetterci di più e aiutare sempre più investitori italiani e… magari il nostro libro potrà essere tradotto anche in italiano un giorno…
Riccardo: Sarebbe un onore per me sponsorizzarlo. Gente, potete leggerlo in inglese, è molto facile da capire, ci sono un sacco di grafici e disegni davvero ben fatti. e potete vedere anche una versione a fumetti di Victor disegnata nel libro. E davvero, grazie mille, è stato fantastico averti qui. A presto. E questo è tutto gente. Spero che l’episodio vi sia piaciuto e che in particolare vi abbia dato nuovi strumenti per provare a rispondere alla domanda più fondamentale da porsi come investitori. Ringrazio Victor per la sua partecipazione e per gli straordinari contenuti che ha condiviso con noi e vi ricordo che in descrizione potete trovare il link a The Missing Billionaires, il suo ultimo fenomenale libro, nonché al sito della sua società Elm Wealth, in cui troverete fantastici articoli e tool e il suo tool di asset allocation. Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che provano a rispondere alla domanda delle domande della finanza sempre nuovi. Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento assieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025