240. 5 Strumenti per investire da zero (come investirei oggi)
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Punti Chiave
L'asset allocation è cruciale (80% del risultato); definisci la quota azionaria in base a tolleranza al rischio e orizzonte temporale.
Crea un portafoglio diversificato con ETF: monetari, obbligazioni governative (senza rischio credito/valuta), azioni globali e oro.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale!
Puntata di quasi Ferragosto!
E cosa succede tipicamente durante i Ferragosto italici?
Per chi non se n’è andato dall’altra parte del mondo, c’è il rito nazionalpopolare della grigliata con parenti e amici.
Come nella commedia dell’arte del ‘600, anche la grigliata ha i suoi personaggi iconici:
– C’è il maschio alfa che griglia per tutti perché saper grigliare costine e salamelle è l’equivalente odierno di affrontare i Persiani alle Termopili;
– C’è quello che ha fatto la spesa “che ha comprato più carne di quanta ce ne fosse sull’arca di Noè;
– C’è quello che si mangia anche le gambe dei tavoli e puntualmente passa la notte a tirare su l’anima;
– E poi c’è quello che a mezzogiorno si è già bevuto 2 birre e un Negroni e prima del caffè finisce collassato sul prato con più alcol che globuli rossi.
Se ci siete anche voi in mezzo a questa commedia dell’assurdo ad un certo punto sentirete l’amico o il parente di turno delirare di economia o finanza e uscirsene con qualche scemenza tipo “l’unica è comprare appartamenti da mettere su airbnb” o peggio ancora “io sto usando questa piattaforma che fa criptotrading quantistico basato su modelli avanzati AI driven con scappellamento a destra per due che mi fa guadagnare 200 € al giorno”.
Eh purtroppo è così… anche nelle migliori famiglie ce n’è sempre uno.
Ed è lì che voi vi alzate dalla sedia con i pantaloni già sbottonati perché ormai il 51% del vostro peso corporeo è fatto da quello che vi siete magnati e bevuti nelle ultime 4 ore e cominciate a flexare la vostra competenza finanziaria da cintura nera, che dopo 240 episodi di The Bull maneggiate asset allocation e teoria del portafoglio meglio di Yoda con la forza.
A quel punto il tavolo si dividerà tra chi non capisce una mazza di finanza ma vuole che gli spiegate come investire i propri soldi e chi invece non capisce una mazza di finanza ma è convinto di saperne qualcosa e continuerà a fare minchiate per tutta la vita buttando i soldi a caso di qua e di là.
Voi comunque consiglierete a tutti per esempio l’episodio 156, o magari il 185 o il 232, però alla fine la maggior parte delle persone non ha la pazienza per capire tutto il processo come avete fatto voi: vuole la soluzione preconfezionata già pronta in 5 minuti o niente.
Ora, sappiamo tutti bene che non esiste un portafoglio che vada bene per tutti a prescindere e ovviamente lungi da me dare qualsivoglia consiglio di investimento.
Anzi, partite dal presupposto che io dica solo cazzate e che non dovete seguire una sola parola di quel che dico.
Però, mettiamola così, se mi trovassi a quella grigliata, prendessi un’insolazione e cominciassi a dare consigli di investimento a caso, pistola alla tempia direi che se iniziassi oggi gestirei i miei soldi come spiegherò nel corso di questo episodio.
L’episodio che state per ascoltare è apparentemente molto semplice.
Immaginiamo 100.000 € di risparmi sul conto corrente, giusto per fare cifra tonda, e vediamo come li gestirei se partissi da zero, con il numero minimo di strumenti possibile.
Minimo per come la vedo io oggi, probabilmente qualcun altro potrebbe fare un portafoglio accettabile con ancora meno strumenti.
È un episodio leggero adatto ad un ascolto estivo senza impegno.
Però cercheremo di non renderlo banale, ma cercheremo di capire come ogni strumento possa rispondere ad un presupposto della teoria del portafoglio e quale dovrebbe essere il processo decisionale che sta dietro la selezione di ogni elemento.
Ovviamente la risposta alla domanda: “come investire?” è fatta di due parti: una pesa forse il 20% e l’altra l’80% del risultato finale.
– Il 20% del rendimento a lungo termine del mio portafoglio dipenderà dagli strumenti in cui andrò ad investire nel corso della mia vita;
– L’80% invece dipenderà dall’asset allocation.
Come avevamo detto nell’ultimo episodio e in molti altri prima di esso, non c’è bisogno di diventar matti oltre il limite del buon senso della microselezione di ogni strumentino. Va bene comporsi il portafoglio come si vuole, ma milioni di parole sono state scritte negli anni per mostrare come l’asset allocation sia la singola decisione più importante da prendere.
Che poi cosa significa?
In un mondo in cui le asset class realmente investibili sono principalmente 2: Bond e Azioni (su cui eventualmente si aggiungeranno on top asset alternativi come oro e materie prime), la decisione principale è quanto investire nell’asset più rischioso — che solitamente solo le azioni.
Ora, non è che alla vostra combriccola di amici mezzi sbronzi alle 5 del pomeriggio del 15 agosto gli potete spiegare la regola di Merton e dir loro “mah sì guarda, comincia a fare mu diviso sigma al quadrato per gamma e trovi k”.
Quello che succederebbe un secondo dopo sarebbe tipo questo:
[grilli]
Ok c’è la formula di The Bull che è un po’ più semplice, però anche lì il 15 di agosto vi mettete a spiegare il risk-free rate e i motivi per cui sovrappesare bond con tassi più alti ha più senso che con tassi più bassi? Questi li perdete tutti per strada dopo 5 secondi.
Inoltre, sia con la regola di The Bull che con quella di Merton, dovreste spiegare loro cos’è il premio al rischio e perché i rendimenti attesi variano nel tempo.
Dovreste spiegare che ciò che guida i lunghi cicli dei mercati sono le variazioni dei tassi di sconto e che quando c’è molta euforia gli investitori accettano bassi rendimenti perché hanno una bassa percezione del rischio e viceversa i rendimenti attesi diventano più elevati durante le crisi perché l’avversione al rischio aumenta.
Troppo complicato però perché la combinazione di alcol, colesterolo e 38° non abbia la meglio.
Facciamola più semplice.
Partiamo da un’asset allocation statica, per discorsi più raffinati se ne riparlerà alla Cena di Natale.
Per fare questo prendiamo in prestito un paio di regolette empiriche del nostro amico, il Dr. William Bernstein, che nel suo celebre libro The Intelligent Asset Allocator aveva proposto delle scorciatoie molto semplici per capire grossomodo dove settare il proprio profilo di rischio e quindi l’allocazione azionaria.
Lui dice:
– Per il discorso TOLLERANZA AL RISCHIO, fai così: qual è il valore massimo del portafoglio che sei disposto a tollerare prima di andare fuori di matto e venirmi a prendere a casa perché ti ho consigliato di investire in azioni? Ecco prendi quella percentuale e moltiplicala per 2 se sei molto timoroso, 2,5 se sei un po’ coraggioso e hai trovato la quota di azioni da mettere in portafoglio:
– Massimo 20% di drawdown (ditegli che drawdown è una parola per sembrare smart ma che semplicemente vuol dire “quanto va già il valore del tuo portafoglio” da un massimo ad un minimo). Dicevo, massimo 20%? Allora tra il 40 e il 50% hai la tua quota azionaria
– Anche 40% lo sopporti? Allora teoricamente ditegli che anche 80-100% in azioni va bene, ma poi dategli un ceffone tipo il meme del fumetto vintage di Batman con Robin e ditegli: “smettila di dire cazzate. Non hai mai investito, figuriamoci se non ti caghi addosso con un -40% e passa”.
Quello ti risponderà: “ma scusa, ma non mi avevi detto che il rendimento azionario nel lungo termine è stato positivo in tutti i mercati sviluppati, che dal 1900 al 2024 il mercato azionario globale ha reso oltre il 5,2% medio composto all’anno reale e che se uno è ampiamente diversificato è improbabile avere un rendimento nominale negativo se investe per almeno 10-15 anni?”.
Ammazza, per essere gente che ubriaca e sfatta dal sole che di finanza non capisce una fava avete amici sul pezzo?
Sì, verissimo.
Le azioni nel lungo termine hanno il maggior rendimento atteso rispetto alle principali asset class tradizionali quotate.
Però noi non viviamo di statistiche, noi viviamo della capacità del nostro portafoglio di sostenere gli obiettivi della nostra vita.
Siccome non siamo macchine ma esseri viventi e tendenzialmente senzienti, ciò che vogliamo non è un portafoglio con il massimo rendimento atteso, ma un portafoglio con il massimo rendimento atteso in proporzione al rischio che ci richiede.
Perché questo?
Per un cazziliardo di motivi, ma fondamentalmente questi 4:
– **Prima ragione**: perché avere un rendimento di lunghissimo termine possibilmente elevato è poco utile se per decenni ti trovi costantemente con il portafoglio depresso. È importante che il tuo portafoglio accompagni il più possibile gli obiettivi della tua vita. A meno che stai investendo solo per la pensione tra 30-40 anni, quasi nessuno vuole un portafoglio che ogni tanto fa -50% e poi ci mette 10 anni a tornare al punto di partenza.
– **Seconda ragione**: se investi un po’ per volta, come quasi ogni persona normale di questa terra, hai il rischio di sequenza. Più un asset è volatile, maggiore è il rischio di sequenza e quindi si è maggiormente esposti alla possibilità che una sequenza un po’ sfigata di anni buoni e cattivi comprometta il risultato finale dei nostri investimenti.
– **Terza ragione**: nonostante quel che ogni tanto si dice, non è vero che le azioni hanno sempre reso di più delle altre asset class — ci sono stati decenni, ventenni e addirittura trentenni in cui bond a lunga scadenza hanno reso di più delle azioni.
Ovvio che qualunque ragionamento facciate che termina nel momento in cui stiamo parlando mostrerà sempre una vittoria netta delle azioni americane e una debacle devastante per i bond.
Ma non è per nulla scontato che anche in futuro sarà così.
E in ogni caso ci frega il giusto del “risultato finale”.
Ci interessa come cresce il nostro portafoglio lungo tutto il percorso, perché se i grandi obiettivi della nostra vita li vogliamo realizzare proprio nei decenni peggiori poco ce ne facciamo che 20 anni dopo le azioni avranno vinto ancora una volta.
Saranno felici i nostri eredi, noi un po’ meno.
– La **Quarta ragione** poi è quella fondamentale. Il rischio in finanza è simmetrico, perlomeno se facciamo finta che sia normalmente distribuito. Ciò significa che una cosa può andare meglio della media o peggio della media con la stessa probabilità. Nel lungo termine i casi eccezionali si riducono e la dispersione dei risultati possibili si compatta, ma comunque resta la possibilità che se un asset in media rende — che so — 7%, il mio rendimento medio effettivamente realizzato possa essere 12% o 2%. In media fa sempre sette, ma chiaramente stiamo parlando di due esiti molto diversi dal punto di vista qualitativo.
Dove non c’è simmetria è nella nostra utilità marginale — solito concetto in finanza che possiamo esprimere come: la prima salamella è buonissima, la sesta salamella aggiunge poco alle 5 che mi sono già scofanato e la 14ma inizia ad avere un effetto negativo sul mio stomaco.
Quindi quello che noi vogliamo massimizzare, di solito, non è il risultato migliore in assoluto per i nostri investimenti, ma gli scenari più negativi: cioè se proprio ci dice male, vogliamo comunque che le cose ci vadano benino, anche se così limitiamo un po’ la possibilità di fare il botto al quadrato se le cose vanno bene.
È il concetto di baseline return a cui per esempio è molto affezionato l’autore del Golden Butterfly e del mitologico sito portfoliocharts.com.
Se prendo un portafoglio e guardo tutti i suoi risultati possibili in un certo tempo, voglio che gli esiti meno fortunati siamo comunque accettabili.
Insomma meglio massimizzare il minimo ed eventualmente minimizzare il massimo che non massimizzare il massimo e minimizzare il minimo.
L’ho presa un po’ larga per darvi le chiavi per spiegare al vostro amico in overdose di propensione al rischio che un portafoglio fatto quasi solo di azioni non è quasi mai desiderabile per nessuno.
Bene, con il primo trucchetto di Bernstein abbiamo un’idea della tolleranza al rischio dei vostri commensali che stanno conducendo una lotta epica tra riuscire a seguirvi — perché il discorso alla fine gli interessa — e cercare di digerire le costine marinate nella salsa barbecue.
Diciamo che il vostro interlocutore medio è disposto ad accettare un 30% di drawdown, allora teoricamente 60-75% di azioni è un range accettabile.
C’è poi però l’altra scorciatoia, quella che riguarda l’orizzonte temporale.
Senza stare a fare troppo i difficili, il discorso più o meno è questo:
– Nel breve termine cash e bond governativi sono meno rischiosi delle azioni
– Nel lungo termine invece sono altrettanto rischiosi se guardiamo al valore reale, cioè al netto dell’inflazione, dei nostri investimenti.
Nel lungo termine invece le azioni hanno dimostrato di avere una performance media decisamente interessante e solitamente — a condizione che uno abbia un portafoglio azionario diversificato a livello globale e non investa solo nelle quattro azioni di casa sua — per investimenti di almeno 10-15 anni la probabilità che il ritorno sia negativo è piuttosto basso.
Di conseguenza se uno ha un orizzonte piuttosto lungo farebbe BENE a investire il più possibile in azioni — al netto del suo livello di tolleranza psicologica di cui sopra.
– Nel suo libro Bernstein diceva: moltiplica il tuo orizzonte di investimento per dieci e hai la quantità di azioni idonea nel portafoglio. Secondo me però è troppo ottimista, perché vorrebbe dire che sopra i 10 anni sarebbe sempre 100% azionario. Per i vostri amici aspiranti neoinvestitori proporrei di fare per 7.
– Sei ragionevolmente sicuro che i soldi che investi oggi non li toccherai per 10 anni: allora 70% in azioni potrebbe andare;
– Stai invece investendo per la pensione e sei sereno che per 15-20 anni almeno quasi soldi resteranno investiti, allora puoi spingerti anche più in alto.
Il numero minore tra quello per la TOLLERANZA al RISCHIO e quello per l’ORIZZONTE TEMPORALE dà una ragionevole stima della quantità di azioni che ha senso avere in portafogli.
Facciamo finta che questo numero sia circa 65%: dunque 65% in azioni e 35% in obbligazioni.
Bene, se io fossi un neoinvestitore oggi e avessi 100.000 € sul conto corrente e ad una grigliata estiva mi fossi illuminato che stavo letteralmente buttando via i miei soldi, cosa farei oggi?
Farei questo, usando 5 ETF:
– 1 per il cash
– 1 per i bond
– 1 per le azioni
– 1 per altri asset e
– 1 bonus che vi dico alla fine a seconda di quello che volete fare.
Ovviamente la prima cosa da fare è attivare un conto titoli e se fossi a quella grigliata direi “senti amico mio sbronzo e sudato, io dal primo giorno che ho comprato un ETF investo tramite Fineco, che tra l’altra è pure la banca leader in Italia da 25 anni per l’investimento online, in totale autonomia. Con Fineco puoi investire in qualunque cosa ti sia sognato la notte prima, ma se parliamo di ETF, ETC e ETN puoi fare piani di accumulo a basso costo con il piano replay, che può diventare addirittura senza costi scegliendo tra la selezione di ETF a zero commissioni di iShares, Amundi, Xtrackers e Fidelity.
E guarda un po’ che fortuna che ci siamo beccati questo ferragosto: se usi il link che trovi in descrizione hai 60 operazioni gratuite per i primi 6 mesi.
Nel caso ti sia sfuggito, questo contenuto è sponsorizzato da Fineco, investire comporta dei rischi e mangiare troppa carne rossa fa male però obiettivamente le grigliate sono buone e tutto quello che vi sto raccontando è fortemente autobiografico.
Torniamo a noi.
Dicevo: sceglierei ETF che replicano questi 5 indici, farei un piano di accumulo il più a lungo possibile con il massimo risparmio possibile che riesco a mettere da parte ogni mese, ribilancio quando un asset class sballa di almeno un 10% rispetto all’allocazione prevista o quando dovessero cambiare la mia tolleranza al rischio o i miei obiettivi e per il resto potrei anche dimenticarmi di essere un investitore.
Veniamo agli strumenti.
NUMERO UNO: Cash.
Ovviamente non investirò tutti i miei 100.000 € sul conto.
Probabilmente mi terrei circa 5.000 € sul conto, o comunque l’equivalente di 1-2 mesi di spese, e poi considererei di tenermi qualche mese di spese future nel mio fondo di emergenza.
Il fondo di emergenza è argomento molto dibattuto — qualcuno ritiene che sia perfettamente inutile.
– Diciamo che se hai un milione investito, probabilmente è del tutto irrilevante;
– Se invece il tuo patrimonio liquido complessivo è 100.000 € o meno, credo che il fondo di emergenza sia fondamentale per la pace della mente.
– Tra 100.000 e un milione è una questione soggettiva.
In passato vi avrei forse detto di considerare un conto deposito svincolabile, anche perché per esempio a fine 2023 era possibile bloccare un rendimento anche del 5% per 3-5 anni, cosa che io feci allora.
Oggi però francamente non vedo un buon motivo per non utilizzare un ETF monetario, ossia uno strumento che — per farla breve ai vostri amici meno avvezzi a queste cose — paga un rendimento che è grossomodo il tasso sui depositi che la BCE paga alle banche che depositano soldi di notte da lei.
Il più famoso di tutti è senza dubbio l’Xtrackers Overnight Rate Swap, noto tra i più nerd di finanza personale come XEON, ma non è ovviamente l’unica soluzione e per par condicio citiamo anche:
Amundi Overnight Return e il nuovissimo iShares EUR cash.
Fanno tutti la stessa identica roba e sono lo strumento più comodo che mi venga in mente per massimizzare la resa di ciò che consideriamo puramente cash, ossia liquidità con orizzonte di breve termine.
Chi segue The Bull da un po’ sa bene che uno strumento monetario non è un’alternativa ad uno strumento obbligazionario — hanno due scopi completamente diversi.
Gli strumenti obbligazionari, perlomeno quelli con una scadenza intermedia o lunga, hanno un rendimento atteso superiore al cash perché si portano comunque dietro il cosiddetto rischio duration.
Cioè il fatto di avere una scadenza media più in là nel tempo rispetto al cash, che ha duration quasi nulla, hanno una certa sensibilità alle variazioni dei tassi di mercato.
In parole poverissime, devono offrire un rendimento che in qualche modo compensi il rischio di inflazione attesa.
Avere quindi uno strumento, come un ETF obbligazionario, che espone sistematicamente a questo rischio ha un rendimento atteso maggiore per via di ciò che si chiama Term Premium, ossia il premio che il mercato paga per compensare il rischio di un rialzo dell’inflazione e dei tassi di mercato nel futuro.
Adesso non entriamo qui nella disamina sugli strumenti obbligazionari e sul discorso obbligazioni singole o ETF obbligazionari; per chi vuole ci sono gli episodi 187, 190 e 211.
Veniamo quindi appunto allo strumento
NUMERO DUE: i titoli di Stato.
Chiariamo una cosa nel caso non sia stato abbastanza evidente nei 239 passati.
Quando parliamo di portafogli composti da azioni e obbligazioni, per obbligazioni intendiamo principalmente “TITOLI DI STATO SENZA RISCHIO DI CREDITO”.
Le obbligazioni societarie non fanno parte di questa categoria.
I titoli di stato con rating BBB o inferiore non fanno parte di questa categoria, anche se è facile trovarne una parte dentro un ETF diversificato.
Perché dico questo?
Perché se il principio è:
– Investo in azioni per la componente rischiosa con alto rendimento atteso e
– Investo in obbligazioni per la componente poco rischiosa con basso rendimento atteso
Tutto ciò che non è titoli di stato ad alto rating non rientra in questa seconda categoria, ma andrei a portare dentro al portafoglio altre tipologie di rischio.
Per semplificare al massimo, invece, nella quota obbligazionaria del portafoglio voglio dover gestire solo il rischio legato alla duration dei miei strumenti e non il rischio di credito — che è il principale rischio a cui sono esposti i titoli di stato con rating inferiore o le obbligazioni corporate.
Inoltre, più uno strumento obbligazionario è condizionato dal rischio di credito — e l’esempio più evidente sono le obbligazioni societarie high-yield — più il suo comportamento tenderà ad essere correlato con i cicli economici e quindi con l’azionario, facendo venir meno il senso della diversificazione.
Chiariamo anche una seconda cosa.
Seguendo lo stesso filo logico di cui sopra, la componente obbligazionaria non dovrebbe avere rischio valutario, altrimenti questo rischio sarebbe solitamente superiore al rischio sistematico dell’investimento obbligazionario in generale.
Cosa vuol dire?
Prendiamo il cambio euro/dollaro.
Lasciamo perdere questo pazzo 2025 e diciamo che in media la deviazione standard del cambio euro/dollaro è circa 8%.
Quella di titoli di stato ad alto rating sarà grossomodo 5%.
Quella di un indice azionario globale circa 16%.
Si capisce facilmente che il rischio cambio sulle azioni c’è, ma non sballa l’ordine di grandezza della rischiosità dell’investimento: investire in azioni è già di per sé rischioso. Il cambio a volte riduce il rischio, a volte lo aumenta, ma non ne ribalta le dimensioni.
Con le obbligazioni invece il rischio valutario è addirittura più alto del rischio che deriva dal detenere obbligazioni.
Sugli strumenti obbligazionari per me ci sono un paio di opzioni praticamente no-brainer, perlomeno in assenza di una visione specifica o di determinate esigenze soggettive:
– O un indice sui governativi europei come il Bloomberg Euro Aggregate Treasury, che ha duration di circa 7 anni e rendimento a scadenza intorno a 2,7%;
– Oppure un indice globale come il celeberrimo Bloomberg Global Aggregate Bond con copertura valutaria in euro.
Ovviamente esistono anche altri indici che replicano più o meno le stesse cose, ma il concetto è questo: o governativi europei — o eventualmente aggregate europei — oppure aggregate globali ma con cambio coperto.
Naturalmente è impossibile sapere in anticipo cosa sia meglio.
I titoli di stato di paesi con i tassi di interesse più alti teoricamente rendono di più, ma la copertura del cambio mi costa grosso modo tanto quanto il differenziale tra i tassi di interesse.
A priori e a bocce ferme, senza alcuna particolare visione del futuro e senza alcuna ulteriore informazione, la scelta dovrebbe essere pressoché equivalente.
Così non fosse — cioè se ci fosse un chiaro ed evidente vantaggio nel fare una cosa o l’altra, ci sarebbe un arbitraggio e l’evidente vantaggio verrebbe eliminato, perché altrimenti sarebbe un’inefficienza.
Non è che le inefficienze non ci possono essere.
Ma non sono mai evidenti a priori.
Due note prima di passare alle azioni.
– PRIMA NOTA: la maggior parte degli ETF obbligazionari con scadenze miste replica una serie di obbligazioni con varie scadenze e varie cedole e la sua duration corrisponde dunque alla duration media di quelle delle singole obbligazioni nell’indice. Teoricamente investire in un ETF con duration media di 8 o in un ETF che investe solo in titoli, per esempio, con scadenze tra 7 e 10 ani, che più o meno farà sempre una duration di 8, dovrebbe essere la stessa cosa. In realtà probabilmente vorrei quello con tutte le scadenze perché il comportamento di un bond rispetto alle variazioni dei tassi di mercato non è sempre lineare, ma dipende dalla curva dei rendimenti. Un ETF con scadenze 7-10 è sensibile solo alla cosiddetta “pancia della curva”, mentre un ETF con tutte le scadenze è esposto anche alla parte a breve e alla parte lunga. Non che una cosa sia meglio dell’altra. Ma è un discorso di maggiore diversificazione.
– SECONDA NOTA: non c’è una scadenza migliore delle altre. Cioè dire: investo solo in obbligazioni con scadenza entro 3 anni, oppure 5-7, o 10 o 20, non è mai meglio o peggio a priori.
Se prendiamo una certa obbligazione i suoi rendimenti a 3, 5, 7, 10 o 20 anni sono teoricamente equivalenti in termini di rischio/rendimento. Cioè, la più ampia sensibilità ai tassi di obbligazioni a lungo termine è compensata dal term premium che quelle a breve non hanno. I principali indici obbligazionari hanno una duration media intorno a 7-8 proprio perché è una media e perché solitamente le obbligazioni decennali, che appunto hanno una duration in quell’ordine di grandezza, sono le obbligazioni di riferimento per qualunque mercato.
Poi uno può avere una visione di un certo tipo:
– Se ha molta paura dell’inflazione o è più preoccupato di quanto lo sia il mercato dei debiti pubblici, teoricamente può privilegiare scadenze più brevi;
– Se ha molta paura di una grave crisi economica deflattiva, allora potrebbe voler privilegiare l’opposto.
Però il mercato nel suo complesso fa già questi ragionamenti.
Io andrei su una duration intermedia perché è un po’ una media delle medie ed è l’equivalente di non prendere alcuna posizione specifica.
Qualunque altra posizione, invece, non è né meglio né peggio.
Ricordiamoci sempre che i ragionamenti che ci portano a prendere una certa decisione specifica il mercato li ha già fatti prima di noi, meglio di noi e moltiplicati per milioni di investitori nel mondo
Veniamo all’asset class preferita da grandi e piccini.
NUMERO TRE: le azioni.
Se iniziassi oggi e dovessi scegliere un solo strumento di investimento per tutta la mia parte azionaria avrei pochi dubbi: investirei in uno di questi tre indici in questo ordine di preferenza.
Primo: MSCI All Country World Investable Markets: stiamo parlando dell’indice più onnicomprensivo che ci sia. 8.269 componenti, che corrispondono a circa il 99% della capitalizzazione azionaria globale. È l’indice supremo che dovrebbe costituire la più neutra rappresentazione possibile del mercato nel suo complesso.
Se sono l’investitore medio e credo nell’efficienza dei mercati, la mia decisione di default è l’indice più vasto possibile, pesato per capitalizzazione, che replica l’intero mercato azionario globale.
In realtà non ci sono molti ETF su questo mega indice sotto steroidi e l’unico che conosco è quello di State Street con il ticker IMIE, che comunque non replica 8 mila e fischia azioni ma poco meno di 4.000.
Comunque un numero molto elevato.
E il costo è sicuramente interessante, 0,18%.
Secondo in ordine di preferenza: FTSE All World. Anche questo è bello grande, 4.200 azioni circa e solitamente gli etf che lo replicano, come il leggendario Vanguard Ftse All World, per gli amici VWCE, hanno circa 3.600 azioni.
Il problema del venerabile VWCE è che nonostante Vanguard sia rinomata per la sua attenzione ai costi, questo è forse l’ETF globale più costoso che esiste, 0,24%.
Il terzo indice in ordine di preferenza è l’MSCI ACWI. Non è che sia la differenza tra il giorno e la notte rispetto al primo, è semplicemente un po’ meno vasto e un ETF classico come l’iShares MSCI All Country World replica circa 1.700 azioni.
Quello sulla scelta dell’indice azionario è un discorso insieme banale e complesso.
È banale se partiamo dall’idea di efficienza del mercato.
Il mercato incorpora nei suoi prezzi la media di tutte le aspettative di tutti gli investitori.
Di conseguenza un indice globale pesato per capitalizzazione di mercato è ciò che più si avvicina al market portfolio ed il punto di partenza naturale per l’investitore medio.
Qualunque deviazione da un portafoglio globale di mercato presuppone un qualche gioco a somma zero con altri investitori, dove il maggior rendimento dell’uno corrisponde al minor rendimento dell’altro.
Se uno non ha qualche particolare motivo per ritenere di avere un vantaggio competitivo rispetto al resto del mercato, ogni scommessa è un tiro di dadi truccati in suo sfavore.
L’idea che deve passare ai vostri compagni di carbonella deve essere un po’ questa.
Perché un asset in generale ha valore?
Perché ci si aspetta che generi un profitto per l’investitore, un flusso futuro di reddito.
E quanto vale oggi questo flusso di reddito nel futuro — cioè quanto è giusto investire oggi per ottenere quel rendimento (più o meno incerto) nel futuro prevedibile?
Dipende:
– Ci sono momenti, come durante le crisi finanziarie, in cui il valore oggi di quel flusso di reddito futuro è basso (e quindi sarò disposto a pagare un prezzo inferiore per accettare il rischio dell’investimento, cioè sarò disposto ad investire solo per un rendimento atteso elevato);
– Durante i boom invece il valore di quel flusso di reddito futuro è elevato (e quindi sarò disposto a pagare un prezzo superiore per accettare il rischio dell’investimento, cioè sarò disposto a investire per un rendimento atteso contenuto).
Questa roba che determina quanto vale oggi il mio flusso di reddito nel futuro è il tasso di sconto, cioè una sorta di media generale di tutte le preferenze soggettive degli investitori e della loro predisposizione al rischio in una certa fase del mercato.
Con un po’ di approssimazione, possiamo dire che un indice market cap weighted è la migliore rappresentazione di questo equilibrio tra i flussi di reddito atteso nel futuro dagli investitori azionari e il tasso di sconto medio che viene applicato per determinarne il valore presente.
Cioè oggi i prezzi delle azioni sono quelli e i pesi dei vari mercati sono quelli, perché in media gli investitori attribuiscono quel valore presente ai flussi di reddito futuri.
Quindi potete dire a quel particolare vostro amico che in un nanosecondo sarà passata da “market cap che? ad aspirante candidato al Nobel in economia” che sticazzi che certe aziende sono fighe, certe economie forti e che l’AI dominerà il mondo.
I fantastiliardi di dollari di profitto che Nvidia, Microsoft, Apple, Meta, Amazon ecc. faranno sono già presi in considerazione nei prezzi attuali.
Quello che conta, per quanto riguarda il mio rendimento atteso a lungo termine, è il tasso di sconto medio che il mercato applica, ossia quanto reputa che valga OGGI quel flusso di profitti nel futuro.
Peraltro la risposta breve è: “oggi tanto. Le azioni delle magnifiche sette costano in media 36 volte gli utili. O i profitti futuri saranno sorprendentemente più alti delle attese, oppure i rendimenti attesi saranno piuttosto contenuti”. Oppure siamo in una bolla. Ma questo è impossibile dirlo in anticipo. Come ci disse Gene Fama quando venne a trovarci “se non puoi prevedere una bolla, allora è solo variazione nei prezzi”.
Ok?
Quindi se hai un solo proiettile da sparare faresti meglio a non spararlo sull’S&P 500 perché si parla sempre di quello o sul Nasdaq perché il tech è il futuro.
Sparalo sulla più vasta fotografia del mercato per come è.
I prezzi di oggi sono la migliore previsione che abbiamo per il futuro.
Quindi il mercato così come è oggi è la migliore rappresentazione del valore presente dei flussi di profitto futuri che ci si aspetta sia in grado di portare.
Chi mi segue sa benissimo perché nel mio portafoglio sottopesi gli Stati Uniti, sovrappesi i mercati europei e usi i fattoriali.
Potrei fare anche qualche considerazione sulle small caps o sui mercati emergenti.
Ma ciò non toglie che se oggi fosse il mio primo giorno da investitore, il mio me del futuro più esperto di finanza mi consiglierebbe di investire in un indice globale il più vasto possibile.
Siccome però i nostri commensali sono stremati e gli sono rimasti al massimo 5 minuti di autonomia, veniamo all’ultimo strumento, il
NUMERO QUATTRO: asset alternativi.
Dovremmo spiegare molte cose ai nostri amici.
Facciamola breve.
Azioni e obbligazioni sono fantastiche.
Ma nei periodi in cui l’inflazione sale, i tassi reali pure, i debiti pubblici esplodono e le tensioni geopolitiche aumentano, allora solo loro due probabilmente non sono il massimo — e un asset decorrelato ci starebbe bene, cioè un asset che si comporta in maniera indipendente da azioni e obbligazioni e che possibilmente quando quelle vanno giù assieme lui tiene botta.
Le materie prime a volte fanno sta cosa.
Anche i bond indicizzati all’inflazione hanno un senso.
Alcuni strategie più complesse come il trend following meglio ancora.
Ma per fare le cose più semplici possibili, un asset che ha dimostrato di avere spesso queste caratteristiche è l’oro — che tra l’altro ha tipicamente anche una funzione di hedge nei confronti del dollaro e molto spesso si è apprezzato quando il dollaro è sceso (il che non è indiferente se pensiamo che il 63% di un indice azionario globale è in dollari).
Ci sono diversi strumenti per investire in oro, ma usare un ETC è praticamente una decisione no-brainer, per semplicità, liquidità, sicurezza e così via.
I più grandi che replicano il prezzo dell’oro fisico sono di iShares, Invesco, Amundi, Wisdomtree e Xtrackers, tutti assolutamente indifferenti l’uno rispetto all’altro, fatta eccezione per quello di Wisdomtree che costa più del triplo degli altri tre (0,39% contro circa 0,12% all’anno).
Quanto oro però?
Ci sono diversi paper sull’argomento che portano ciascuna la propria tesi.
Quando però si tratta di un’allocazione fissa, c’è un vasto consenso tra il 5% e il 15% del valore totale del portafoglio — con alcune eccezioni che arrivano anche al 25%.
Per la maggior parte delle persone, tuttavia, allocare un quarto delle proprie risorse finanziarie in un unico strumento, peraltro una singola materia prima non diversificabile e che non produce flussi di reddito, potrebbe essere una decisione discutibile.
Qualunque allocazione tra il 5 e il 15% sembra invece un discreto compromesso e molto salomonicamente posizionamoci sul 10%.
A questo punto dobbiamo mettere insieme i pezzi.
Avevamo detto che per il nostro portafoglio poteva andare bene una quota del 65% di azioni e 35% di titoli di stato.
Dobbiamo però inserire anche il 10% di oro — e qui abbiamo tre strade:
– La prima è semplicemente riproporzionare tutto, quindi verrà: 59% di azioni, 31% obbligazioni, 10% di oro.
– La seconda è dire: l’oro è comunque un asset rischioso, quindi lo considero nella quota “asset rischiosi del portafoglio” e faccio 55% azioni, 10% oro e 35% obbligazioni.
– La terza strada è dire: l’oro mi serve per avere una decorrelazione rispetto alle azioni quando i titoli di stato falliscono quest’obiettivo (come successo negli ultimi anni). Lo metto quindi al posto dell’obbligazioni, sapendo che probabilmente avrò un maggior rendimento atteso ma anche un maggior rischio.
Storicamente sarebbero state tre soluzioni piuttosto simili.
Comprensibilmente quello con più azioni avrebbe reso di più, ma avrebbe avuto anche drawdown più profondi e una maggiore volatilità.
Quello con il miglior rapporto tra rischio e rendimento sarebbe stato 55% azioni, 10% oro, 35% obbligazioni.
L’altro una via di mezzo.
Diciamo che scegliamo l’opzione più conservativa: 55% azioni, 10% oro, 35% obbligazioni.
Eravamo partiti da 100.000 €.
– 5.000 € li teniamo sul conto
– 20.000 € li mettiamo su un ETF monetario
– 41.500 € li mettiamo in un ETF sull’azionario globale
– 7.500 € li mettiamo in un ETC sull’oro
– 26.000 € li mettiamo in un ETF su bond governativi europei o su aggregate globali con cambio coperto
Avevamo parlato però di 5 strumenti no?
Beh il 5° strumento è un bonus per chi pensa che investire come abbiamo appena detto sia noioso.
Sarà anche noioso, ma la noia è spesso un buon indicatore di una saggia decisione finanziaria. Il massimo eccitamento che dovresti provare quando investi non dovrebbe superare quello che provi mentre sei in fila in questura per rifare il passaporto.
Una noia mortale eterna con un piccolo picco di emozione quando finalmente ti danno il passaporto rinnovato.
In entrambi i casi parliamo di prospettive di lunghissssimo termine.
Se però ciò non vi avesse convinto, allora possiamo mettere un po’ di colore nel portafoglio.
Il quinto strumento è a scelta tra uno di questi 3, uno per ciascuna asset class:
– Il Primo è un ETF multifattoriale globale, ossia un ETF con una gestione semi-attiva che si focalizza su alcuni fattori specifici. Oggi non possiamo approfondire il dettaglio sui fattoriali, consiglio per esempio l’episodio 205. Però possiamo semplificare così: maggior rischio da sostenere a fronte di un possibile maggior rendimento atteso. 3 esempi interessanti, giusto per prendere quelli più grandi sono:
– HSBC multifactor Worldwide equity, che investe su tutti i princiapli fattori: Value, Momentum, Quality, Size e Low Volatilty; poi
– Invesco Quantitative Strategies ESG Global Equity Multifactor, che investe nei miei tre fattori preferiti: Value, Momentum e Quality, e infine
– iShares STOXX World Equity Multifactor, che investe in Value, Momentum, Quality e Size.
Una volta che è chiaro cosa significhi avere un’esposizione a determinati fattori e quali sono pro e contro, si può considerare di sostituire una quota tra il 20 e il 50% della parte azionaria con uno di questi strumenti.
– Il secondo ETF bonus invece è sulla parte obbligazionaria e si potrebbe considerare un ETF su bond societari high yield.
In questo caso, l’idea è avere un layer di rischio intermedio tra azioni e titoli di stato.
– Per esempio un ETF sul Bloomberg MSCI Euro Corporate High Yield ha un rendimento a scadenza del 4,3%, che è a metà strada tra il 2,7% che ci aspettiamo dai titoli di stato europei e il 6-8% dalle azioni.
– Se andiamo invece su titoli in dollari, come ad esempio con l’indice iBoxx USD Liquid High Yield, abbiamo un rendimento a scadenza del 6,3%, anche se chiaramente qui dobbiamo poi fare i conti con il cambio valutario.
In entrambi i casi, per fare spazio a uno strumento del genere andrei a ridurre soprattutto la quota azionaria. Perché se invece lo metto al posto di quella obbligazionaria, aumento la parte del portafoglio correlata alle azioni e riduco la diversificazione.
Un approcio più conservativo potrebbe quindi diventare, ad esempio: 45% azioni globali, 10% HY, 10% oro e 35% Titoli di Stato.
– Il terzo strumento bonus — e attenzione perché qui i più fedeli ascoltatori di The Bull non crederanno alle proprie orecchie — potrebbe essere un ETN su Bitcoin!
Coupe de Theatre per concludere in bellezza quest’incursione finanziaria molesta nelle grigliate di Ferragosto.
Chi mi conosce sa bene che non sono un grade fan di Bitcoin e fondamentalmente non ne condivido la tesi di fondo.
Ma allo stesso tempo penso sia più corretto diversificare ed esporsi a varie possibili fonti di rendimento piuttosto che selezionarne arbitrariamente solo qualcuna.
Ho già spiegato in passato perché non investo in btc, ma un neoinvestiore, senza particolari opinioni rispetto ad alcuna asset class, probabilmente farebbe bene a valutare di avere un 2-3% in Bitcoin come ulteriore elemento di diversificazione, purché sia consapevole dell’alta volatilità a cui può sottoporre.
ì
Bene, grigliata ed episodio finiti e dal 16 di agosto l’italia avrà qualche decina di migliaia di nuovi investitori in più grazie alla vostra attività di evangelizzazione.
Spero che quest’episodio vi sia piaciuto e che oltre essere stato utile per avere una traccia per parlare di investimenti a chi vi chiede dei consigli, sia stato un utile pretesto per ripercorrere i ragionamenti fondamentali che dovrebbero sempre guidare le nostre decisioni di asset allocation.
I nostri portafogli saranno un po’ più articolati e il modello di asset allocation un filo più sofisticato.
Ma le idee fondamentali sono quasi tutte qua e ritornarci sopra di tanto in tanto penso sia un utile esercizio per mantenere sempre la retta via perché sulla carta è tutto facile, ma poi ogni mese succede qualcosa che ci fa venire mille dubbi e rimettere tutto in discussione.
In questi casi, back to basic e niente meglio di pochi principi basilari può essere il nostro miglior alleato di lungo termine.
Chiedete per favore anche ai vostri compagni di grigliata di mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, youtube o dove ci ascoltate e lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che rovineranno il clima allegro di grigliate, cenoni, feste di compleanno e matrimoni sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento insieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale!
Puntata di quasi Ferragosto!
E cosa succede tipicamente durante i Ferragosto italici?
Per chi non se n’è andato dall’altra parte del mondo, c’è il rito nazionalpopolare della grigliata con parenti e amici.
Come nella commedia dell’arte del ‘600, anche la grigliata ha i suoi personaggi iconici:
– C’è il maschio alfa che griglia per tutti perché saper grigliare costine e salamelle è l’equivalente odierno di affrontare i Persiani alle Termopili;
– C’è quello che ha fatto la spesa “che ha comprato più carne di quanta ce ne fosse sull’arca di Noè;
– C’è quello che si mangia anche le gambe dei tavoli e puntualmente passa la notte a tirare su l’anima;
– E poi c’è quello che a mezzogiorno si è già bevuto 2 birre e un Negroni e prima del caffè finisce collassato sul prato con più alcol che globuli rossi.
Se ci siete anche voi in mezzo a questa commedia dell’assurdo ad un certo punto sentirete l’amico o il parente di turno delirare di economia o finanza e uscirsene con qualche scemenza tipo “l’unica è comprare appartamenti da mettere su airbnb” o peggio ancora “io sto usando questa piattaforma che fa criptotrading quantistico basato su modelli avanzati AI driven con scappellamento a destra per due che mi fa guadagnare 200 € al giorno”.
Eh purtroppo è così… anche nelle migliori famiglie ce n’è sempre uno.
Ed è lì che voi vi alzate dalla sedia con i pantaloni già sbottonati perché ormai il 51% del vostro peso corporeo è fatto da quello che vi siete magnati e bevuti nelle ultime 4 ore e cominciate a flexare la vostra competenza finanziaria da cintura nera, che dopo 240 episodi di The Bull maneggiate asset allocation e teoria del portafoglio meglio di Yoda con la forza.
A quel punto il tavolo si dividerà tra chi non capisce una mazza di finanza ma vuole che gli spiegate come investire i propri soldi e chi invece non capisce una mazza di finanza ma è convinto di saperne qualcosa e continuerà a fare minchiate per tutta la vita buttando i soldi a caso di qua e di là.
Voi comunque consiglierete a tutti per esempio l’episodio 156, o magari il 185 o il 232, però alla fine la maggior parte delle persone non ha la pazienza per capire tutto il processo come avete fatto voi: vuole la soluzione preconfezionata già pronta in 5 minuti o niente.
Ora, sappiamo tutti bene che non esiste un portafoglio che vada bene per tutti a prescindere e ovviamente lungi da me dare qualsivoglia consiglio di investimento.
Anzi, partite dal presupposto che io dica solo cazzate e che non dovete seguire una sola parola di quel che dico.
Però, mettiamola così, se mi trovassi a quella grigliata, prendessi un’insolazione e cominciassi a dare consigli di investimento a caso, pistola alla tempia direi che se iniziassi oggi gestirei i miei soldi come spiegherò nel corso di questo episodio.
L’episodio che state per ascoltare è apparentemente molto semplice.
Immaginiamo 100.000 € di risparmi sul conto corrente, giusto per fare cifra tonda, e vediamo come li gestirei se partissi da zero, con il numero minimo di strumenti possibile.
Minimo per come la vedo io oggi, probabilmente qualcun altro potrebbe fare un portafoglio accettabile con ancora meno strumenti.
È un episodio leggero adatto ad un ascolto estivo senza impegno.
Però cercheremo di non renderlo banale, ma cercheremo di capire come ogni strumento possa rispondere ad un presupposto della teoria del portafoglio e quale dovrebbe essere il processo decisionale che sta dietro la selezione di ogni elemento.
Ovviamente la risposta alla domanda: “come investire?” è fatta di due parti: una pesa forse il 20% e l’altra l’80% del risultato finale.
– Il 20% del rendimento a lungo termine del mio portafoglio dipenderà dagli strumenti in cui andrò ad investire nel corso della mia vita;
– L’80% invece dipenderà dall’asset allocation.
Come avevamo detto nell’ultimo episodio e in molti altri prima di esso, non c’è bisogno di diventar matti oltre il limite del buon senso della microselezione di ogni strumentino. Va bene comporsi il portafoglio come si vuole, ma milioni di parole sono state scritte negli anni per mostrare come l’asset allocation sia la singola decisione più importante da prendere.
Che poi cosa significa?
In un mondo in cui le asset class realmente investibili sono principalmente 2: Bond e Azioni (su cui eventualmente si aggiungeranno on top asset alternativi come oro e materie prime), la decisione principale è quanto investire nell’asset più rischioso — che solitamente solo le azioni.
Ora, non è che alla vostra combriccola di amici mezzi sbronzi alle 5 del pomeriggio del 15 agosto gli potete spiegare la regola di Merton e dir loro “mah sì guarda, comincia a fare mu diviso sigma al quadrato per gamma e trovi k”.
Quello che succederebbe un secondo dopo sarebbe tipo questo:
[grilli]
Ok c’è la formula di The Bull che è un po’ più semplice, però anche lì il 15 di agosto vi mettete a spiegare il risk-free rate e i motivi per cui sovrappesare bond con tassi più alti ha più senso che con tassi più bassi? Questi li perdete tutti per strada dopo 5 secondi.
Inoltre, sia con la regola di The Bull che con quella di Merton, dovreste spiegare loro cos’è il premio al rischio e perché i rendimenti attesi variano nel tempo.
Dovreste spiegare che ciò che guida i lunghi cicli dei mercati sono le variazioni dei tassi di sconto e che quando c’è molta euforia gli investitori accettano bassi rendimenti perché hanno una bassa percezione del rischio e viceversa i rendimenti attesi diventano più elevati durante le crisi perché l’avversione al rischio aumenta.
Troppo complicato però perché la combinazione di alcol, colesterolo e 38° non abbia la meglio.
Facciamola più semplice.
Partiamo da un’asset allocation statica, per discorsi più raffinati se ne riparlerà alla Cena di Natale.
Per fare questo prendiamo in prestito un paio di regolette empiriche del nostro amico, il Dr. William Bernstein, che nel suo celebre libro The Intelligent Asset Allocator aveva proposto delle scorciatoie molto semplici per capire grossomodo dove settare il proprio profilo di rischio e quindi l’allocazione azionaria.
Lui dice:
– Per il discorso TOLLERANZA AL RISCHIO, fai così: qual è il valore massimo del portafoglio che sei disposto a tollerare prima di andare fuori di matto e venirmi a prendere a casa perché ti ho consigliato di investire in azioni? Ecco prendi quella percentuale e moltiplicala per 2 se sei molto timoroso, 2,5 se sei un po’ coraggioso e hai trovato la quota di azioni da mettere in portafoglio:
– Massimo 20% di drawdown (ditegli che drawdown è una parola per sembrare smart ma che semplicemente vuol dire “quanto va già il valore del tuo portafoglio” da un massimo ad un minimo). Dicevo, massimo 20%? Allora tra il 40 e il 50% hai la tua quota azionaria
– Anche 40% lo sopporti? Allora teoricamente ditegli che anche 80-100% in azioni va bene, ma poi dategli un ceffone tipo il meme del fumetto vintage di Batman con Robin e ditegli: “smettila di dire cazzate. Non hai mai investito, figuriamoci se non ti caghi addosso con un -40% e passa”.
Quello ti risponderà: “ma scusa, ma non mi avevi detto che il rendimento azionario nel lungo termine è stato positivo in tutti i mercati sviluppati, che dal 1900 al 2024 il mercato azionario globale ha reso oltre il 5,2% medio composto all’anno reale e che se uno è ampiamente diversificato è improbabile avere un rendimento nominale negativo se investe per almeno 10-15 anni?”.
Ammazza, per essere gente che ubriaca e sfatta dal sole che di finanza non capisce una fava avete amici sul pezzo?
Sì, verissimo.
Le azioni nel lungo termine hanno il maggior rendimento atteso rispetto alle principali asset class tradizionali quotate.
Però noi non viviamo di statistiche, noi viviamo della capacità del nostro portafoglio di sostenere gli obiettivi della nostra vita.
Siccome non siamo macchine ma esseri viventi e tendenzialmente senzienti, ciò che vogliamo non è un portafoglio con il massimo rendimento atteso, ma un portafoglio con il massimo rendimento atteso in proporzione al rischio che ci richiede.
Perché questo?
Per un cazziliardo di motivi, ma fondamentalmente questi 4:
– **Prima ragione**: perché avere un rendimento di lunghissimo termine possibilmente elevato è poco utile se per decenni ti trovi costantemente con il portafoglio depresso. È importante che il tuo portafoglio accompagni il più possibile gli obiettivi della tua vita. A meno che stai investendo solo per la pensione tra 30-40 anni, quasi nessuno vuole un portafoglio che ogni tanto fa -50% e poi ci mette 10 anni a tornare al punto di partenza.
– **Seconda ragione**: se investi un po’ per volta, come quasi ogni persona normale di questa terra, hai il rischio di sequenza. Più un asset è volatile, maggiore è il rischio di sequenza e quindi si è maggiormente esposti alla possibilità che una sequenza un po’ sfigata di anni buoni e cattivi comprometta il risultato finale dei nostri investimenti.
– **Terza ragione**: nonostante quel che ogni tanto si dice, non è vero che le azioni hanno sempre reso di più delle altre asset class — ci sono stati decenni, ventenni e addirittura trentenni in cui bond a lunga scadenza hanno reso di più delle azioni.
Ovvio che qualunque ragionamento facciate che termina nel momento in cui stiamo parlando mostrerà sempre una vittoria netta delle azioni americane e una debacle devastante per i bond.
Ma non è per nulla scontato che anche in futuro sarà così.
E in ogni caso ci frega il giusto del “risultato finale”.
Ci interessa come cresce il nostro portafoglio lungo tutto il percorso, perché se i grandi obiettivi della nostra vita li vogliamo realizzare proprio nei decenni peggiori poco ce ne facciamo che 20 anni dopo le azioni avranno vinto ancora una volta.
Saranno felici i nostri eredi, noi un po’ meno.
– La **Quarta ragione** poi è quella fondamentale. Il rischio in finanza è simmetrico, perlomeno se facciamo finta che sia normalmente distribuito. Ciò significa che una cosa può andare meglio della media o peggio della media con la stessa probabilità. Nel lungo termine i casi eccezionali si riducono e la dispersione dei risultati possibili si compatta, ma comunque resta la possibilità che se un asset in media rende — che so — 7%, il mio rendimento medio effettivamente realizzato possa essere 12% o 2%. In media fa sempre sette, ma chiaramente stiamo parlando di due esiti molto diversi dal punto di vista qualitativo.
Dove non c’è simmetria è nella nostra utilità marginale — solito concetto in finanza che possiamo esprimere come: la prima salamella è buonissima, la sesta salamella aggiunge poco alle 5 che mi sono già scofanato e la 14ma inizia ad avere un effetto negativo sul mio stomaco.
Quindi quello che noi vogliamo massimizzare, di solito, non è il risultato migliore in assoluto per i nostri investimenti, ma gli scenari più negativi: cioè se proprio ci dice male, vogliamo comunque che le cose ci vadano benino, anche se così limitiamo un po’ la possibilità di fare il botto al quadrato se le cose vanno bene.
È il concetto di baseline return a cui per esempio è molto affezionato l’autore del Golden Butterfly e del mitologico sito portfoliocharts.com.
Se prendo un portafoglio e guardo tutti i suoi risultati possibili in un certo tempo, voglio che gli esiti meno fortunati siamo comunque accettabili.
Insomma meglio massimizzare il minimo ed eventualmente minimizzare il massimo che non massimizzare il massimo e minimizzare il minimo.
L’ho presa un po’ larga per darvi le chiavi per spiegare al vostro amico in overdose di propensione al rischio che un portafoglio fatto quasi solo di azioni non è quasi mai desiderabile per nessuno.
Bene, con il primo trucchetto di Bernstein abbiamo un’idea della tolleranza al rischio dei vostri commensali che stanno conducendo una lotta epica tra riuscire a seguirvi — perché il discorso alla fine gli interessa — e cercare di digerire le costine marinate nella salsa barbecue.
Diciamo che il vostro interlocutore medio è disposto ad accettare un 30% di drawdown, allora teoricamente 60-75% di azioni è un range accettabile.
C’è poi però l’altra scorciatoia, quella che riguarda l’orizzonte temporale.
Senza stare a fare troppo i difficili, il discorso più o meno è questo:
– Nel breve termine cash e bond governativi sono meno rischiosi delle azioni
– Nel lungo termine invece sono altrettanto rischiosi se guardiamo al valore reale, cioè al netto dell’inflazione, dei nostri investimenti.
Nel lungo termine invece le azioni hanno dimostrato di avere una performance media decisamente interessante e solitamente — a condizione che uno abbia un portafoglio azionario diversificato a livello globale e non investa solo nelle quattro azioni di casa sua — per investimenti di almeno 10-15 anni la probabilità che il ritorno sia negativo è piuttosto basso.
Di conseguenza se uno ha un orizzonte piuttosto lungo farebbe BENE a investire il più possibile in azioni — al netto del suo livello di tolleranza psicologica di cui sopra.
– Nel suo libro Bernstein diceva: moltiplica il tuo orizzonte di investimento per dieci e hai la quantità di azioni idonea nel portafoglio. Secondo me però è troppo ottimista, perché vorrebbe dire che sopra i 10 anni sarebbe sempre 100% azionario. Per i vostri amici aspiranti neoinvestitori proporrei di fare per 7.
– Sei ragionevolmente sicuro che i soldi che investi oggi non li toccherai per 10 anni: allora 70% in azioni potrebbe andare;
– Stai invece investendo per la pensione e sei sereno che per 15-20 anni almeno quasi soldi resteranno investiti, allora puoi spingerti anche più in alto.
Il numero minore tra quello per la TOLLERANZA al RISCHIO e quello per l’ORIZZONTE TEMPORALE dà una ragionevole stima della quantità di azioni che ha senso avere in portafogli.
Facciamo finta che questo numero sia circa 65%: dunque 65% in azioni e 35% in obbligazioni.
Bene, se io fossi un neoinvestitore oggi e avessi 100.000 € sul conto corrente e ad una grigliata estiva mi fossi illuminato che stavo letteralmente buttando via i miei soldi, cosa farei oggi?
Farei questo, usando 5 ETF:
– 1 per il cash
– 1 per i bond
– 1 per le azioni
– 1 per altri asset e
– 1 bonus che vi dico alla fine a seconda di quello che volete fare.
Ovviamente la prima cosa da fare è attivare un conto titoli e se fossi a quella grigliata direi “senti amico mio sbronzo e sudato, io dal primo giorno che ho comprato un ETF investo tramite Fineco, che tra l’altra è pure la banca leader in Italia da 25 anni per l’investimento online, in totale autonomia. Con Fineco puoi investire in qualunque cosa ti sia sognato la notte prima, ma se parliamo di ETF, ETC e ETN puoi fare piani di accumulo a basso costo con il piano replay, che può diventare addirittura senza costi scegliendo tra la selezione di ETF a zero commissioni di iShares, Amundi, Xtrackers e Fidelity.
E guarda un po’ che fortuna che ci siamo beccati questo ferragosto: se usi il link che trovi in descrizione hai 60 operazioni gratuite per i primi 6 mesi.
Nel caso ti sia sfuggito, questo contenuto è sponsorizzato da Fineco, investire comporta dei rischi e mangiare troppa carne rossa fa male però obiettivamente le grigliate sono buone e tutto quello che vi sto raccontando è fortemente autobiografico.
Torniamo a noi.
Dicevo: sceglierei ETF che replicano questi 5 indici, farei un piano di accumulo il più a lungo possibile con il massimo risparmio possibile che riesco a mettere da parte ogni mese, ribilancio quando un asset class sballa di almeno un 10% rispetto all’allocazione prevista o quando dovessero cambiare la mia tolleranza al rischio o i miei obiettivi e per il resto potrei anche dimenticarmi di essere un investitore.
Veniamo agli strumenti.
NUMERO UNO: Cash.
Ovviamente non investirò tutti i miei 100.000 € sul conto.
Probabilmente mi terrei circa 5.000 € sul conto, o comunque l’equivalente di 1-2 mesi di spese, e poi considererei di tenermi qualche mese di spese future nel mio fondo di emergenza.
Il fondo di emergenza è argomento molto dibattuto — qualcuno ritiene che sia perfettamente inutile.
– Diciamo che se hai un milione investito, probabilmente è del tutto irrilevante;
– Se invece il tuo patrimonio liquido complessivo è 100.000 € o meno, credo che il fondo di emergenza sia fondamentale per la pace della mente.
– Tra 100.000 e un milione è una questione soggettiva.
In passato vi avrei forse detto di considerare un conto deposito svincolabile, anche perché per esempio a fine 2023 era possibile bloccare un rendimento anche del 5% per 3-5 anni, cosa che io feci allora.
Oggi però francamente non vedo un buon motivo per non utilizzare un ETF monetario, ossia uno strumento che — per farla breve ai vostri amici meno avvezzi a queste cose — paga un rendimento che è grossomodo il tasso sui depositi che la BCE paga alle banche che depositano soldi di notte da lei.
Il più famoso di tutti è senza dubbio l’Xtrackers Overnight Rate Swap, noto tra i più nerd di finanza personale come XEON, ma non è ovviamente l’unica soluzione e per par condicio citiamo anche:
Amundi Overnight Return e il nuovissimo iShares EUR cash.
Fanno tutti la stessa identica roba e sono lo strumento più comodo che mi venga in mente per massimizzare la resa di ciò che consideriamo puramente cash, ossia liquidità con orizzonte di breve termine.
Chi segue The Bull da un po’ sa bene che uno strumento monetario non è un’alternativa ad uno strumento obbligazionario — hanno due scopi completamente diversi.
Gli strumenti obbligazionari, perlomeno quelli con una scadenza intermedia o lunga, hanno un rendimento atteso superiore al cash perché si portano comunque dietro il cosiddetto rischio duration.
Cioè il fatto di avere una scadenza media più in là nel tempo rispetto al cash, che ha duration quasi nulla, hanno una certa sensibilità alle variazioni dei tassi di mercato.
In parole poverissime, devono offrire un rendimento che in qualche modo compensi il rischio di inflazione attesa.
Avere quindi uno strumento, come un ETF obbligazionario, che espone sistematicamente a questo rischio ha un rendimento atteso maggiore per via di ciò che si chiama Term Premium, ossia il premio che il mercato paga per compensare il rischio di un rialzo dell’inflazione e dei tassi di mercato nel futuro.
Adesso non entriamo qui nella disamina sugli strumenti obbligazionari e sul discorso obbligazioni singole o ETF obbligazionari; per chi vuole ci sono gli episodi 187, 190 e 211.
Veniamo quindi appunto allo strumento
NUMERO DUE: i titoli di Stato.
Chiariamo una cosa nel caso non sia stato abbastanza evidente nei 239 passati.
Quando parliamo di portafogli composti da azioni e obbligazioni, per obbligazioni intendiamo principalmente “TITOLI DI STATO SENZA RISCHIO DI CREDITO”.
Le obbligazioni societarie non fanno parte di questa categoria.
I titoli di stato con rating BBB o inferiore non fanno parte di questa categoria, anche se è facile trovarne una parte dentro un ETF diversificato.
Perché dico questo?
Perché se il principio è:
– Investo in azioni per la componente rischiosa con alto rendimento atteso e
– Investo in obbligazioni per la componente poco rischiosa con basso rendimento atteso
Tutto ciò che non è titoli di stato ad alto rating non rientra in questa seconda categoria, ma andrei a portare dentro al portafoglio altre tipologie di rischio.
Per semplificare al massimo, invece, nella quota obbligazionaria del portafoglio voglio dover gestire solo il rischio legato alla duration dei miei strumenti e non il rischio di credito — che è il principale rischio a cui sono esposti i titoli di stato con rating inferiore o le obbligazioni corporate.
Inoltre, più uno strumento obbligazionario è condizionato dal rischio di credito — e l’esempio più evidente sono le obbligazioni societarie high-yield — più il suo comportamento tenderà ad essere correlato con i cicli economici e quindi con l’azionario, facendo venir meno il senso della diversificazione.
Chiariamo anche una seconda cosa.
Seguendo lo stesso filo logico di cui sopra, la componente obbligazionaria non dovrebbe avere rischio valutario, altrimenti questo rischio sarebbe solitamente superiore al rischio sistematico dell’investimento obbligazionario in generale.
Cosa vuol dire?
Prendiamo il cambio euro/dollaro.
Lasciamo perdere questo pazzo 2025 e diciamo che in media la deviazione standard del cambio euro/dollaro è circa 8%.
Quella di titoli di stato ad alto rating sarà grossomodo 5%.
Quella di un indice azionario globale circa 16%.
Si capisce facilmente che il rischio cambio sulle azioni c’è, ma non sballa l’ordine di grandezza della rischiosità dell’investimento: investire in azioni è già di per sé rischioso. Il cambio a volte riduce il rischio, a volte lo aumenta, ma non ne ribalta le dimensioni.
Con le obbligazioni invece il rischio valutario è addirittura più alto del rischio che deriva dal detenere obbligazioni.
Sugli strumenti obbligazionari per me ci sono un paio di opzioni praticamente no-brainer, perlomeno in assenza di una visione specifica o di determinate esigenze soggettive:
– O un indice sui governativi europei come il Bloomberg Euro Aggregate Treasury, che ha duration di circa 7 anni e rendimento a scadenza intorno a 2,7%;
– Oppure un indice globale come il celeberrimo Bloomberg Global Aggregate Bond con copertura valutaria in euro.
Ovviamente esistono anche altri indici che replicano più o meno le stesse cose, ma il concetto è questo: o governativi europei — o eventualmente aggregate europei — oppure aggregate globali ma con cambio coperto.
Naturalmente è impossibile sapere in anticipo cosa sia meglio.
I titoli di stato di paesi con i tassi di interesse più alti teoricamente rendono di più, ma la copertura del cambio mi costa grosso modo tanto quanto il differenziale tra i tassi di interesse.
A priori e a bocce ferme, senza alcuna particolare visione del futuro e senza alcuna ulteriore informazione, la scelta dovrebbe essere pressoché equivalente.
Così non fosse — cioè se ci fosse un chiaro ed evidente vantaggio nel fare una cosa o l’altra, ci sarebbe un arbitraggio e l’evidente vantaggio verrebbe eliminato, perché altrimenti sarebbe un’inefficienza.
Non è che le inefficienze non ci possono essere.
Ma non sono mai evidenti a priori.
Due note prima di passare alle azioni.
– PRIMA NOTA: la maggior parte degli ETF obbligazionari con scadenze miste replica una serie di obbligazioni con varie scadenze e varie cedole e la sua duration corrisponde dunque alla duration media di quelle delle singole obbligazioni nell’indice. Teoricamente investire in un ETF con duration media di 8 o in un ETF che investe solo in titoli, per esempio, con scadenze tra 7 e 10 ani, che più o meno farà sempre una duration di 8, dovrebbe essere la stessa cosa. In realtà probabilmente vorrei quello con tutte le scadenze perché il comportamento di un bond rispetto alle variazioni dei tassi di mercato non è sempre lineare, ma dipende dalla curva dei rendimenti. Un ETF con scadenze 7-10 è sensibile solo alla cosiddetta “pancia della curva”, mentre un ETF con tutte le scadenze è esposto anche alla parte a breve e alla parte lunga. Non che una cosa sia meglio dell’altra. Ma è un discorso di maggiore diversificazione.
– SECONDA NOTA: non c’è una scadenza migliore delle altre. Cioè dire: investo solo in obbligazioni con scadenza entro 3 anni, oppure 5-7, o 10 o 20, non è mai meglio o peggio a priori.
Se prendiamo una certa obbligazione i suoi rendimenti a 3, 5, 7, 10 o 20 anni sono teoricamente equivalenti in termini di rischio/rendimento. Cioè, la più ampia sensibilità ai tassi di obbligazioni a lungo termine è compensata dal term premium che quelle a breve non hanno. I principali indici obbligazionari hanno una duration media intorno a 7-8 proprio perché è una media e perché solitamente le obbligazioni decennali, che appunto hanno una duration in quell’ordine di grandezza, sono le obbligazioni di riferimento per qualunque mercato.
Poi uno può avere una visione di un certo tipo:
– Se ha molta paura dell’inflazione o è più preoccupato di quanto lo sia il mercato dei debiti pubblici, teoricamente può privilegiare scadenze più brevi;
– Se ha molta paura di una grave crisi economica deflattiva, allora potrebbe voler privilegiare l’opposto.
Però il mercato nel suo complesso fa già questi ragionamenti.
Io andrei su una duration intermedia perché è un po’ una media delle medie ed è l’equivalente di non prendere alcuna posizione specifica.
Qualunque altra posizione, invece, non è né meglio né peggio.
Ricordiamoci sempre che i ragionamenti che ci portano a prendere una certa decisione specifica il mercato li ha già fatti prima di noi, meglio di noi e moltiplicati per milioni di investitori nel mondo
Veniamo all’asset class preferita da grandi e piccini.
NUMERO TRE: le azioni.
Se iniziassi oggi e dovessi scegliere un solo strumento di investimento per tutta la mia parte azionaria avrei pochi dubbi: investirei in uno di questi tre indici in questo ordine di preferenza.
Primo: MSCI All Country World Investable Markets: stiamo parlando dell’indice più onnicomprensivo che ci sia. 8.269 componenti, che corrispondono a circa il 99% della capitalizzazione azionaria globale. È l’indice supremo che dovrebbe costituire la più neutra rappresentazione possibile del mercato nel suo complesso.
Se sono l’investitore medio e credo nell’efficienza dei mercati, la mia decisione di default è l’indice più vasto possibile, pesato per capitalizzazione, che replica l’intero mercato azionario globale.
In realtà non ci sono molti ETF su questo mega indice sotto steroidi e l’unico che conosco è quello di State Street con il ticker IMIE, che comunque non replica 8 mila e fischia azioni ma poco meno di 4.000.
Comunque un numero molto elevato.
E il costo è sicuramente interessante, 0,18%.
Secondo in ordine di preferenza: FTSE All World. Anche questo è bello grande, 4.200 azioni circa e solitamente gli etf che lo replicano, come il leggendario Vanguard Ftse All World, per gli amici VWCE, hanno circa 3.600 azioni.
Il problema del venerabile VWCE è che nonostante Vanguard sia rinomata per la sua attenzione ai costi, questo è forse l’ETF globale più costoso che esiste, 0,24%.
Il terzo indice in ordine di preferenza è l’MSCI ACWI. Non è che sia la differenza tra il giorno e la notte rispetto al primo, è semplicemente un po’ meno vasto e un ETF classico come l’iShares MSCI All Country World replica circa 1.700 azioni.
Quello sulla scelta dell’indice azionario è un discorso insieme banale e complesso.
È banale se partiamo dall’idea di efficienza del mercato.
Il mercato incorpora nei suoi prezzi la media di tutte le aspettative di tutti gli investitori.
Di conseguenza un indice globale pesato per capitalizzazione di mercato è ciò che più si avvicina al market portfolio ed il punto di partenza naturale per l’investitore medio.
Qualunque deviazione da un portafoglio globale di mercato presuppone un qualche gioco a somma zero con altri investitori, dove il maggior rendimento dell’uno corrisponde al minor rendimento dell’altro.
Se uno non ha qualche particolare motivo per ritenere di avere un vantaggio competitivo rispetto al resto del mercato, ogni scommessa è un tiro di dadi truccati in suo sfavore.
L’idea che deve passare ai vostri compagni di carbonella deve essere un po’ questa.
Perché un asset in generale ha valore?
Perché ci si aspetta che generi un profitto per l’investitore, un flusso futuro di reddito.
E quanto vale oggi questo flusso di reddito nel futuro — cioè quanto è giusto investire oggi per ottenere quel rendimento (più o meno incerto) nel futuro prevedibile?
Dipende:
– Ci sono momenti, come durante le crisi finanziarie, in cui il valore oggi di quel flusso di reddito futuro è basso (e quindi sarò disposto a pagare un prezzo inferiore per accettare il rischio dell’investimento, cioè sarò disposto ad investire solo per un rendimento atteso elevato);
– Durante i boom invece il valore di quel flusso di reddito futuro è elevato (e quindi sarò disposto a pagare un prezzo superiore per accettare il rischio dell’investimento, cioè sarò disposto a investire per un rendimento atteso contenuto).
Questa roba che determina quanto vale oggi il mio flusso di reddito nel futuro è il tasso di sconto, cioè una sorta di media generale di tutte le preferenze soggettive degli investitori e della loro predisposizione al rischio in una certa fase del mercato.
Con un po’ di approssimazione, possiamo dire che un indice market cap weighted è la migliore rappresentazione di questo equilibrio tra i flussi di reddito atteso nel futuro dagli investitori azionari e il tasso di sconto medio che viene applicato per determinarne il valore presente.
Cioè oggi i prezzi delle azioni sono quelli e i pesi dei vari mercati sono quelli, perché in media gli investitori attribuiscono quel valore presente ai flussi di reddito futuri.
Quindi potete dire a quel particolare vostro amico che in un nanosecondo sarà passata da “market cap che? ad aspirante candidato al Nobel in economia” che sticazzi che certe aziende sono fighe, certe economie forti e che l’AI dominerà il mondo.
I fantastiliardi di dollari di profitto che Nvidia, Microsoft, Apple, Meta, Amazon ecc. faranno sono già presi in considerazione nei prezzi attuali.
Quello che conta, per quanto riguarda il mio rendimento atteso a lungo termine, è il tasso di sconto medio che il mercato applica, ossia quanto reputa che valga OGGI quel flusso di profitti nel futuro.
Peraltro la risposta breve è: “oggi tanto. Le azioni delle magnifiche sette costano in media 36 volte gli utili. O i profitti futuri saranno sorprendentemente più alti delle attese, oppure i rendimenti attesi saranno piuttosto contenuti”. Oppure siamo in una bolla. Ma questo è impossibile dirlo in anticipo. Come ci disse Gene Fama quando venne a trovarci “se non puoi prevedere una bolla, allora è solo variazione nei prezzi”.
Ok?
Quindi se hai un solo proiettile da sparare faresti meglio a non spararlo sull’S&P 500 perché si parla sempre di quello o sul Nasdaq perché il tech è il futuro.
Sparalo sulla più vasta fotografia del mercato per come è.
I prezzi di oggi sono la migliore previsione che abbiamo per il futuro.
Quindi il mercato così come è oggi è la migliore rappresentazione del valore presente dei flussi di profitto futuri che ci si aspetta sia in grado di portare.
Chi mi segue sa benissimo perché nel mio portafoglio sottopesi gli Stati Uniti, sovrappesi i mercati europei e usi i fattoriali.
Potrei fare anche qualche considerazione sulle small caps o sui mercati emergenti.
Ma ciò non toglie che se oggi fosse il mio primo giorno da investitore, il mio me del futuro più esperto di finanza mi consiglierebbe di investire in un indice globale il più vasto possibile.
Siccome però i nostri commensali sono stremati e gli sono rimasti al massimo 5 minuti di autonomia, veniamo all’ultimo strumento, il
NUMERO QUATTRO: asset alternativi.
Dovremmo spiegare molte cose ai nostri amici.
Facciamola breve.
Azioni e obbligazioni sono fantastiche.
Ma nei periodi in cui l’inflazione sale, i tassi reali pure, i debiti pubblici esplodono e le tensioni geopolitiche aumentano, allora solo loro due probabilmente non sono il massimo — e un asset decorrelato ci starebbe bene, cioè un asset che si comporta in maniera indipendente da azioni e obbligazioni e che possibilmente quando quelle vanno giù assieme lui tiene botta.
Le materie prime a volte fanno sta cosa.
Anche i bond indicizzati all’inflazione hanno un senso.
Alcuni strategie più complesse come il trend following meglio ancora.
Ma per fare le cose più semplici possibili, un asset che ha dimostrato di avere spesso queste caratteristiche è l’oro — che tra l’altro ha tipicamente anche una funzione di hedge nei confronti del dollaro e molto spesso si è apprezzato quando il dollaro è sceso (il che non è indiferente se pensiamo che il 63% di un indice azionario globale è in dollari).
Ci sono diversi strumenti per investire in oro, ma usare un ETC è praticamente una decisione no-brainer, per semplicità, liquidità, sicurezza e così via.
I più grandi che replicano il prezzo dell’oro fisico sono di iShares, Invesco, Amundi, Wisdomtree e Xtrackers, tutti assolutamente indifferenti l’uno rispetto all’altro, fatta eccezione per quello di Wisdomtree che costa più del triplo degli altri tre (0,39% contro circa 0,12% all’anno).
Quanto oro però?
Ci sono diversi paper sull’argomento che portano ciascuna la propria tesi.
Quando però si tratta di un’allocazione fissa, c’è un vasto consenso tra il 5% e il 15% del valore totale del portafoglio — con alcune eccezioni che arrivano anche al 25%.
Per la maggior parte delle persone, tuttavia, allocare un quarto delle proprie risorse finanziarie in un unico strumento, peraltro una singola materia prima non diversificabile e che non produce flussi di reddito, potrebbe essere una decisione discutibile.
Qualunque allocazione tra il 5 e il 15% sembra invece un discreto compromesso e molto salomonicamente posizionamoci sul 10%.
A questo punto dobbiamo mettere insieme i pezzi.
Avevamo detto che per il nostro portafoglio poteva andare bene una quota del 65% di azioni e 35% di titoli di stato.
Dobbiamo però inserire anche il 10% di oro — e qui abbiamo tre strade:
– La prima è semplicemente riproporzionare tutto, quindi verrà: 59% di azioni, 31% obbligazioni, 10% di oro.
– La seconda è dire: l’oro è comunque un asset rischioso, quindi lo considero nella quota “asset rischiosi del portafoglio” e faccio 55% azioni, 10% oro e 35% obbligazioni.
– La terza strada è dire: l’oro mi serve per avere una decorrelazione rispetto alle azioni quando i titoli di stato falliscono quest’obiettivo (come successo negli ultimi anni). Lo metto quindi al posto dell’obbligazioni, sapendo che probabilmente avrò un maggior rendimento atteso ma anche un maggior rischio.
Storicamente sarebbero state tre soluzioni piuttosto simili.
Comprensibilmente quello con più azioni avrebbe reso di più, ma avrebbe avuto anche drawdown più profondi e una maggiore volatilità.
Quello con il miglior rapporto tra rischio e rendimento sarebbe stato 55% azioni, 10% oro, 35% obbligazioni.
L’altro una via di mezzo.
Diciamo che scegliamo l’opzione più conservativa: 55% azioni, 10% oro, 35% obbligazioni.
Eravamo partiti da 100.000 €.
– 5.000 € li teniamo sul conto
– 20.000 € li mettiamo su un ETF monetario
– 41.500 € li mettiamo in un ETF sull’azionario globale
– 7.500 € li mettiamo in un ETC sull’oro
– 26.000 € li mettiamo in un ETF su bond governativi europei o su aggregate globali con cambio coperto
Avevamo parlato però di 5 strumenti no?
Beh il 5° strumento è un bonus per chi pensa che investire come abbiamo appena detto sia noioso.
Sarà anche noioso, ma la noia è spesso un buon indicatore di una saggia decisione finanziaria. Il massimo eccitamento che dovresti provare quando investi non dovrebbe superare quello che provi mentre sei in fila in questura per rifare il passaporto.
Una noia mortale eterna con un piccolo picco di emozione quando finalmente ti danno il passaporto rinnovato.
In entrambi i casi parliamo di prospettive di lunghissssimo termine.
Se però ciò non vi avesse convinto, allora possiamo mettere un po’ di colore nel portafoglio.
Il quinto strumento è a scelta tra uno di questi 3, uno per ciascuna asset class:
– Il Primo è un ETF multifattoriale globale, ossia un ETF con una gestione semi-attiva che si focalizza su alcuni fattori specifici. Oggi non possiamo approfondire il dettaglio sui fattoriali, consiglio per esempio l’episodio 205. Però possiamo semplificare così: maggior rischio da sostenere a fronte di un possibile maggior rendimento atteso. 3 esempi interessanti, giusto per prendere quelli più grandi sono:
– HSBC multifactor Worldwide equity, che investe su tutti i princiapli fattori: Value, Momentum, Quality, Size e Low Volatilty; poi
– Invesco Quantitative Strategies ESG Global Equity Multifactor, che investe nei miei tre fattori preferiti: Value, Momentum e Quality, e infine
– iShares STOXX World Equity Multifactor, che investe in Value, Momentum, Quality e Size.
Una volta che è chiaro cosa significhi avere un’esposizione a determinati fattori e quali sono pro e contro, si può considerare di sostituire una quota tra il 20 e il 50% della parte azionaria con uno di questi strumenti.
– Il secondo ETF bonus invece è sulla parte obbligazionaria e si potrebbe considerare un ETF su bond societari high yield.
In questo caso, l’idea è avere un layer di rischio intermedio tra azioni e titoli di stato.
– Per esempio un ETF sul Bloomberg MSCI Euro Corporate High Yield ha un rendimento a scadenza del 4,3%, che è a metà strada tra il 2,7% che ci aspettiamo dai titoli di stato europei e il 6-8% dalle azioni.
– Se andiamo invece su titoli in dollari, come ad esempio con l’indice iBoxx USD Liquid High Yield, abbiamo un rendimento a scadenza del 6,3%, anche se chiaramente qui dobbiamo poi fare i conti con il cambio valutario.
In entrambi i casi, per fare spazio a uno strumento del genere andrei a ridurre soprattutto la quota azionaria. Perché se invece lo metto al posto di quella obbligazionaria, aumento la parte del portafoglio correlata alle azioni e riduco la diversificazione.
Un approcio più conservativo potrebbe quindi diventare, ad esempio: 45% azioni globali, 10% HY, 10% oro e 35% Titoli di Stato.
– Il terzo strumento bonus — e attenzione perché qui i più fedeli ascoltatori di The Bull non crederanno alle proprie orecchie — potrebbe essere un ETN su Bitcoin!
Coupe de Theatre per concludere in bellezza quest’incursione finanziaria molesta nelle grigliate di Ferragosto.
Chi mi conosce sa bene che non sono un grade fan di Bitcoin e fondamentalmente non ne condivido la tesi di fondo.
Ma allo stesso tempo penso sia più corretto diversificare ed esporsi a varie possibili fonti di rendimento piuttosto che selezionarne arbitrariamente solo qualcuna.
Ho già spiegato in passato perché non investo in btc, ma un neoinvestiore, senza particolari opinioni rispetto ad alcuna asset class, probabilmente farebbe bene a valutare di avere un 2-3% in Bitcoin come ulteriore elemento di diversificazione, purché sia consapevole dell’alta volatilità a cui può sottoporre.
ì
Bene, grigliata ed episodio finiti e dal 16 di agosto l’italia avrà qualche decina di migliaia di nuovi investitori in più grazie alla vostra attività di evangelizzazione.
Spero che quest’episodio vi sia piaciuto e che oltre essere stato utile per avere una traccia per parlare di investimenti a chi vi chiede dei consigli, sia stato un utile pretesto per ripercorrere i ragionamenti fondamentali che dovrebbero sempre guidare le nostre decisioni di asset allocation.
I nostri portafogli saranno un po’ più articolati e il modello di asset allocation un filo più sofisticato.
Ma le idee fondamentali sono quasi tutte qua e ritornarci sopra di tanto in tanto penso sia un utile esercizio per mantenere sempre la retta via perché sulla carta è tutto facile, ma poi ogni mese succede qualcosa che ci fa venire mille dubbi e rimettere tutto in discussione.
In questi casi, back to basic e niente meglio di pochi principi basilari può essere il nostro miglior alleato di lungo termine.
Chiedete per favore anche ai vostri compagni di grigliata di mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, youtube o dove ci ascoltate e lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che rovineranno il clima allegro di grigliate, cenoni, feste di compleanno e matrimoni sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento insieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025