Perché investire in Value, Momentum e Quality (e come sono composti)

Cosa significa investire sui fattori, come vengono composti gli indici fattoriali e perché ho scelto la combinazione Value, Momentum e Quality.

Difficoltà
39 minuti
Perché investire in Value, Momentum e Quality (e come sono composti)
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

242. Perché investire in Value, Momentum e Quality (e come sono composti)

00:00

Risorse

Punti Chiave

Spiegazione del factor investing (Value, Momentum, Quality) e delle sue basi teoriche.

Dettagli sulla costruzione e composizione degli indici fattoriali MSCI.

Motivi della scelta di combinare V-M-Q per un miglior rendimento/rischio nel portafoglio.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

L’episodio 240 dedicato a come spiegare finanza personale ad amici sbronzi durante la grigliata di ferragosto ha raccolto grandissimi proseliti, quindi visto che vi piacciono così tanto questo genere di episodi, magari 2-3 volte all’anno replicheremo questa prassi e faremo un po’ dei recap del tipo “come investirei oggi” — anche perché così ciascuno di voi fa doublecheck su quanto in là si è spinto con il proprio portafoglio rispetto ai principi di base.

Eh sì perché conosco bene la sensazione.

Parti come un Boglehead, 2-3 ETF al massimo, e dopo due anni ti ritrovi con 26 ETF di ogni forma e colore, più titoli di stato, azioni singole, qualche prodotto derivato a leva giusto per giocare e via dicendo.

Questi episodi ci servono anche perché, ok ci permettono di avere buone argomentazioni con i nostri scettici interlocutori, ma soprattutto per noi stessi, per fare un auto assessment di quanto ci ricordiamo delle regole fondamentali e di quanto invece la nostra componente irrazionale ha preso il sopravvento.

Comunque, una delle cose che più vi ha interessato è stata la parte finale in cui abbiamo parlato del 5° strumento da aggiungere, se uno — diciamo così — non vuole limitarsi ad un portafoglio iper essenziale.

Ricordiamo che i 4 strumenti che tra moltissime virgolette avevo consigliato, cioè quelli in cui investirei oggi se partissi da zero e avessi 100.000 € a disposizione erano:

– Un ETF monetario per il cash BARRA fondo di emergenza

– Un ETF azionario globale, tipo MSCI All Country IMI o FTSE All World

– Un ETF obbligazionario governativo, tipo Bloomberg Euro Aggregate Treasury o Bloomberg Global Aggregate Bond Eur Hedged — e infine un

– Un ETC sull’oro, oppure un ETF su un indice di materie prime.

Il 5° strumento poteva essere uno a scelta tra:

– Un ETF azionario fattoriale — e lì avevo suggerito alcuni strumenti multifattoriali plug and play

– Un ETF su obbligazioni high yield

– Un ETN su Bitcoin.

In tanti mi avete scritto: “ma non è meglio usare singoli strumenti fattoriali invece che un ETF attivo multifattoriale”?

Sinceramente non ho una risposta.

Se devo guardare agli ultimi 5 anni, per esempio l’ETF multistrategy di Invesco, che investe in Momentum, Quality e Value, ha reso il 106%, circa 20 punti in più di un portafoglio equal weighted fatto con tre ETF su MSCI World Momentum, Quality e Value.

Nell’ultimo anno, invece, avrebbe pagato nettamente avere i tre strumenti separati.

Insomma, difficile dirlo perché non sono strumenti che esistono da tanto e quindi abbiamo dei dati poco affidabili per tirare conclusioni generali.

Mi vien da pensare però una cosa, ma è una teoria che non sono in grado di verificare.

Lo strumento di invesco è ESG.

Se guardate, sia l’MSCI World che l’MSCI US in versione ESG hanno fatto meglio delle loro controparti negli ultimi 5 anni, ma non nell’ultimo anno.

Ho due possibili spiegazioni:

– La prima è che il periodo 2019-2023 c’è stata la grande moda dell’ESG, dei discorsi sulla sostenibilità, sull’inclusione e via dicendo. C’è stata un po’ una corsa verso tutto ciò che fosse ESG, anche perché prima di innamorarsi prima di Bitcoin, che un tempo detestava, e oggi del private equity, il capo di Blackrock Larry Fink aveva fatto una grande campagna pro ESG. Poi la cosa è un po’ scemata, sia a livello di investimenti, sia perché si sono un po’ ridotti gli eccessi di facciata delle politiche ESG e di social responsibility all’interno delle aziende di mezzo mondo. E l’arrivo di Trump, sicuramente non ha favorito una cultura orientata alla sostenibilità ambientale e alla responsabilità sociale.

Ad ogni modo, dato che si è notata la stessa cosa anche su indici market cap weighted, mi vien da pensare che il motivo per cui lo strumento multifattoriale di Invesco abbia fatto così bene è perché investiva in una sotto selezione di società ESG compliant, non tanto perché i suoi gestori fossero più bravi.

– La seconda spiegazione, ancora più banale, è che gli indici ESG sono più concentrati. L’MSCI World ESG, per esempio, ha il 25% della sua capitalizzazione investita solo su Nvidia, Microsoft e Google. Ciò sarebbe sufficiente a spiegare buona parte della sua overperformance recente e — mi azzardo a dire — della sua possibiel sottoperformance futura.

Quindi non so dire se i multifattoriali siano meglio o peggio.

Hanno una base discrezionale, che è l’algoritmo proprietario della Invesco di turno che decide come investire cercando di generare alfa.

Come vedremo invece nell’episodio di oggi, gli indici fattoriali di MSCI sono comunque molto più vicini all’indice market capi weighted di partenza.

L’obiettivo di oggi è composto di tre parti:

1) Uno: spiegare velocemente ai reduci della grigliata neo-amici di the bull cosa sono i fattori e cos’è l’investimento fattoriale

2) Due: spiegare come fa msci a costruire tecnicamente gli indici value momentum e quality e come sono composti oggi

3) Tre: spiegare perché proprio la combinazione v m e q sia quella che ho scelto per il mio portafoglio

Prima di cominciare concedetemi 90 secondi per il momento “anche se sei in vacanza ricordati che non sei più un dipendente e quindi la pagnotta devi portartela a casa tutti mesi”.

Tra l’altro sono in vacanza in montagna e mi trovo quasi ogni giorno a camminare sui sentieri con mia figlia che cerca di saltar fuori dallo zaino ogni 5 minuti e io che provo a fare numeri di equilibrismo per tenere lei e non volare giù da una scarpata — per non parlare del mio ruolo di cavia designata che devo mangiare tutti i frutti di bosco che lei trova in giro. Eh queste cose ti fanno pensare alla caducità dell’esistenza e al fatto che non sai mai se il tuo momento arriverà compiendo un gesto eroico o per colpa di quello che sembrava un lampone ma in realtà era una versione silvestre del cianuro.

Nel dubbio un’assicurazione sulla vita non è una cattiva idea.

Almeno per chi resta, te se schiatti schiatti.

I miei amici di Squarelife, sponsor di quest’episodio, nella loro eterna crociata contro i costi delle assicurazioni tradizionali, hanno inventato Turtleneck, un’assicurazione sulla vita online che riduce al minimo indispensabile i costi, richiede di compilare un’autovalutazione sullo stato di salute una volta sola per sempre e ogni anno applica uno sconto sul premio dell’anno successivo se il numero di decessi tra gli assicurati è stato inferiore al previsto.

Se volete approfondire questo strumento, potete trovare tutte le informazioni al link in descrizione. Prima di sottoscrivere questo o qualunque altro prodotto assicurativo, accertatevi sempre di averne compreso pienamente il funzionamento e le implicazioni.

Veniamo a noi.

Punto UNO: cosa si intende per investimento fattoriale.

Questo punto è dedicato soprattutto a chi non ha ascoltato ciascuno dei 241 episodi prima di questo, o per chi vuole fare un ripasso.

Chi invece ormai sa a memoria la teoria sul factor investing può skippare i prossimi 5 minuti e andare al punto due — anche se, opinione personale, repetita iuvant.

Quando si parla di fattori in finanza ci si riferisce ad una o più caratteristiche sistematiche che accumunano determinati asset e che spiegherebbero il loro rendimento atteso.

Siamo quindi nell’ambito d ciò che comunemente si chiama capital asset pricing.

Qual’è la premessa?

Il discorso parte dal fatto che di fronte ad un certo asset da cui ci si aspetta un determinato flusso di guadagni l’investitore vuole essere in grado di determinarne il valore presente, ossia il prezzo che è disposto a pagare in base al rendimento che si aspetta di conseguire e in maniera tale che questo rendimento compensi i rischi a cui deve sottoporre il proprio capitale.

Oggi noi parliamo di azioni, ma il discorso si può estendere a diverse asset class.

Comunque negli anni 50 e 60 all’università di Chicago si chiedevano: se ho l’azione di una certa società che farà un tot di profitti con cui pagherà dividendi e buyback, qual è il valore di quell’azione?

Che poi vuol dire: qual è il valore OGGI di quel flusso di reddito nel futuro?

La risposta è: bisogna scontare i flussi di cassa attesi in ciascun anno nel futuro per (1+r)^t.

T è semplicemente l’anno: elevato alle 1 per i profitti del primo anno, elevato alla 2 per quelli del secondo anno e così via.

R è invece è la cosa più problematica, perché è il tasso di sconto che l’investitore reputa più appropriato per attribuire un valore corretto a quell’investimento.

Se r è giusto, il prezzo di quell’asset esprimerà quindi il valore presente di quel reddito futuro.

Come si fa però a capire qual è il tasso più giusto per scontare i flussi di cassa futuri al loro valore presente in maniera tale da compensare adeguatamente l’investitore per il rischio che si deve assumere?

Negli anni ’60 la prima risposta organica a questa domanda è stat data da William Sharpe con il CAPM, che ha sancito un nesso diretto tra rischio e rendimento e ha mostrato come il rendimento atteso di un asset sia una funzione lineare del rischio che comporta.

Senza andare troppo nel tecnico e spiegare la formula del CAPM, che dice che il rendimento atteso di un asset è dato dal risk free rate più il premio al rischio moltiplicato per beta, cioè la sensibilità dell’asset rispetto alla varianza dei rendimenti del suo mercato di riferimento, in parole povere il discorso è

– Le azioni con una maggiore sensibilità ai movimenti del mercato rendono di più

– Quello con minore sensibilità rendono di meno.

Quindi in pratica l’andamento di tutte le azioni sarebbe legato a quello che fa il mercato in generale e il valore presente di un certo flusso di reddito futuro sarebbe inversamente proporzionale al rischio che comporta:

– Se il rischio è alto, allora valore presente basso e quindi rendimento atteso alto (perché pagherò di meno);

– Se invece il rischio è basso, allora valore presenta alto e quindi rendimento atteso basso (perché pagherò di più).

Qualcosa tuttavia non tornava.

Il CAPM funzionava per lo più, ma sembrava che circa un terzo del mercato azionario si comportasse in maniera anomala rispetto a ciò che il modello prediceva.

Cioè c’erano alcune azioni con “alcune caratteristiche” che — come dire — rendevano di più o di meno del previsto.

Poi a partire dagli anni ’90, alcuni eroi come Eugene Fama, Ken French, Jigadesh, Titman, Carhart, Novy-Marx e tanti altri iniziarono a sviluppare dei modelli integrativi al CAPM per cercare di rendere conto di quelle che sembravano delle anomalie.

Per farla breve, si scoprì che le azioni di società che condividevano alcune caratteristiche comuni tendevano a generare sistematicamente dei rendimenti maggiori o minori rispetto al mercato. Al fattore beta del CAPM — che in qualche modo esprimeva il rischio del mercato — si aggiunsero quindi altri fattori, tra cui i più noti sono:

– SIZE, cioè le azioni di società di piccola dimensione (dette small cap) rendevano di più di quelle di grandi dimensioni;

– VALUE, cioè le azioni con un prezzo basso rispetto al valore patrimoniale della società rendevano di più di quelle con un prezzo alto, chiamate GROWTH;

– MOMENTUM, cioè le azioni il cui prezzo era cresciuto di più negli ultimi 6-12 mesi tendevano a rendere di più nei 12 mesi successivi rispetto a quelle che erano cresciute meno;

– QUALITY, che è una versione evoluta dei fattori introdotti da Fama e French con il nome di Profitability e Investment. Quality in qualche modo è il fattore che accomuna società con elevato ritorno sull’equity, un basso livello di debito e una crescita costante degli utili;

– Infine viene spesso citato anche LOW VOLATILITY, cioè il fatto che società con bassa volatilità tendono a rendere di più.

Ce ne sarebbero molti molti altri, ma questi hanno passato — come dire — gli esami di maturità e sono riconosciuti in maniera piuttosto universale nella comunità finanziaria, perché per esempio condividono i cinque requisiti che il nostro amico Larry Swedroe ha determinato affinché un fattore possa essere considerato tale: persistenza, pervasività in diversi mercati, settori e asset class, robustezza rispetto a varie definizioni, devono essere realmente investibili e non solo costruzioni teoriche e devono essere intuitivi.

Quest’ultimo punto forse è il più interessante.

Intuitivi vuol dire: deve poterci essere una SPIEGAZIONE del motivo per cui questi fattori sono responsabili di maggiori rendimenti attesi.

Questa spiegazione può essere di due tipi:

– O Risk Based, cioè un certo fattore è collegato a maggior rendimento perché espone ad un maggior rischio

– Oppure la spiegazione può essere Comportamentale cioè un certo fattore porterebbe un extra rendimento perché la maggior parte degli investitori ha preferenze soggettive diverse e ad esempio sovrareagisce o sottoreagisce a determinate informazioni.

La prima spiegazione è nel pieno rispoetto dell’efficienza dei mercati.

La seconda invece ipotizza che i bias degli investitori creino delle inefficienze.

Come abbiamo avuto modo di vedere diverse volte, però, per ogni fattore è possibile dare una spiegazione risk-based o comportamentale, il che probabilmente è un buon indizio del fatto che entrambe le cose hanno il loro peso.

Per noi investitori, comunque, sticazzi quale sia il motivo.

L’importante è che funzionino.

Che funzionino sulla base di una stima razionale del rischio di certi investimenti o sulla base del fatto che l’investitore medio è affetto da bias e quindi prende decisioni di investimento sistematicamente irrazionali, a noi interessa il giusto.

Questi sono i fattori spiegati un po’ all’acqua di rose.

Se quindi invece che investire nell’S&P 500 oppure in un indice globale come l’MSCI World, che pesano ciascuna azione al loro interno semplicemente sulla base della loro capitalizzazione, del loro market cap, io dessi più peso ad alcune specifiche società che condividono determinate caratteristiche, allora — teoricamente — dovrei avere un portafoglio con un maggior rendimento atteso.

Ovviamente questa cosa non è gratis:

– Devo essere disposto ad accollarmi maggior rischio

– Devo essere disposto ad accettare lunghi periodi di sottoperformance rispetto al mercato e

– Devo essere disposto a mettere in conto il fatto che un certo fattore possa smettere di funzionare per un lunghissimo periodo di tempo o magari per sempre.

In finanza è sempre così.

Nessuno ti regala niente.

Se vuoi qualcosa in più, devi accettare della sofferenza in più.

A meno che ovviamente tu non abbia acquistato un corso di trading online a 999 € che ti insegnerà come avere rendimenti stabili, sopra la media, a rischio contenuto.

Bene.

Nell’episodio 240 dicevo: se non vuoi limitarti ad un indice globale, puoi aggiungere degli strumenti che replicano delle versioni del mercato azionario globale in cui viene dato maggior peso ad alcune società che rispecchiano determinate caratteristiche.

Alcuni strumenti che ho citato sono pensati per cercare di modulare la composizione del portafoglio nel tempo secondo delle regole del gestore e per riflettere tutti i principali fattori.

Altri si concentrano solo su alcuni fattori.

Chi mi segue da un po’ di tempo sa che nel mio portafoglio la mia scelta è caduta su tre versioni fattoriali dell’indice MSCI World, ossia: Value, Momentum e Quality.

Passiamo quindi al punto DUE e vediamo come sono costruiti e in cosa vado ad investire se aggiungo al mio portafoglio ETF che replicano l’MSCI World Enhanced Value, l’MSCI World Momentum o l’MSCI World Quality Sector Netural.

Al punto TRE diremo poi velocemente perché ho scelto proprio questi tre.

Allora, prima cosa da dire.

Gli ETF fattoriali generalmente sono — si dice — long-only, cioè sovrappesano alcune società di un certo indice maggiormente rappresentative di un determinato fattore.

Quello che non fanno è shortare, cioè vendere allo scoperto, le società che esprimono le caratteristiche opposte.

Gli studi accademici sui fattori di solito sono basati su portafogli detti long-short.

Il premio di un certo fattore, per esempio Value, è dato da un investimento nelle società con il prezzo più basso rispetto al valore patrimonio e dal fatto di vendere allo scoperto quelle con il prezzo più alto.

Come diremo però alla fine, questo è sì in parte limitante, ma non è necessariamente un problema.

– In primis perché anche solo la parte long porta extra rendimento e

– In secondo luogo perché non investire in certe società equivale ad essere short quelle società, anche se in questo caso posso essere short solo di un valore equivalente al loro peso nell’indice di partenza, non posso decidere di quanto essere short.

Detto questo, come fa MSCI a costruire i vari indici fattoriali?

Intanto utilizza un concetto statistico molto basic che si chiama Z-score.

Lo Z-Score è una misura che indica quante deviazioni standard un dato valore si trova sopra o sotto la media ed è utile per normalizzare grandezze diverse su una scala comune.

In questo modo per ciascun fattore si possono misurare delle caratteristiche diverse e attribuire a ciascuna società un punteggio complessivo che tiene conto di tutte quante.

Adesso vedendo i vari fattori si capisce meglio.

Comunque come funziona lo Z-score.

Per esempio ammettiamo che l’altezza media degli ascoltatori di The Bull sia 170 cm e che la deviazione standard sia 10 cm.

Cosa significa?

Significa che due terzi di noi avrà un’altezza compresa tra 160 e 180 cm.

Mentre il 95% di noi sarà tra 150 e 190 cm.

Ci saranno poi pochissimi ascoltatori di 140 cm di 2 metri.

Non lo so se sia così, sto sparando numeri a caso.

Detto questo, io sono alto 178 cm (anche se sulla mia carta d’identità cartacea c’era scritto 182), quindi facciamo 180 cm.

Come durante le manifestazioni, secondo i partecipanti erano 2 milioni, secondo la questura 300.000.

Il mio z-Score sarà 180-170 / 10 = 1.

Se ci fosse uno di 190 cm sarebbe 190-170/10 = 2.

Se facciamo invece 160-170/10 fa meno 1.

MSCI cosa fa?

Intanto parte da un indice pesato per capitalizzazione, chiamato Parent Index.

Nel nostro caso l’MSCI World, quindi circa 1500 società dei Paesi Sviluppati.

Poi prende i criteri rilevanti per ciascun fattore e attribuisce a ciascuna società uno z-Score rispetto a quei criteri.

Vediamo quali sono i criteri:

– Per Value considera:

– Il price to book, cioè il prezzo rispetto al valore patrimoniale della società (attività MENO passività)

– Il price to forward earnings, cioè prezzo rispetto agli utili attesi dei prossimi 12 mesi e infine

– Enterprise Value diviso Cash flow from operations. L’Enterprise Value è la capitalizzazione di mercato più il debito, gli interessi di minoranza in altre società ed eventuali azioni privilegiate.
Il cash flow from operations è invece il flusso di cassa che l’azienda genera dalla sua attività core, cioè vendita dei suoi prodotti o servizi più attività correnti meno pagamenti dei fornitori meno passività correnti.

Si chiama Enhanced Value proprio perché usa tre criteri invece che solo il primo e perché introduce altre correzioni per evitare concentrazioni eccessive.

– Per Quality invece considera:

– Il Return on Equity, cioè quanto utile una società genera rispetto al capitale proprio;

– Il livello di indebitamento, cioè quanto debito ha rispetto al valore patrimoniale;

– E la variabilità degli utili, prendendo la deviazione standard degli utili per azione anno su anno negli ultimi 5 anni.

Chiaramente per calcolare il quality score complessivo, indebitamento e variabilità degli utili avranno segno negativo, perché meno ce n’è meglio è.

– Infine per Momentum utilizza:

– La crescita di prezzo degli ultimi 6 e

– Degli ultimi 12 mesi.

Qui è un filo più complicato, ve lo racconto solo per curiosità ma se vi perdete non state a diventare matti.

In pratica funziona così:

– Si prende il prezzo di un’azione diciamo al 30 giugno e si divide al prezzo che aveva il 1 gennaio, meno uno così da ottenere la variazione in percentuale. Metti che il prezzo al 30 giugno era 100, 6 mesi prima era 80, 100/80 — 1 fa 25%.

– Da questo si toglie il tasso senza rischio locale (esempio: T-Bills a 3 mesi per le azioni americane, euribor 3 mesi per quelle dell’area Euro e così via).

– Poi si aggiusta per la volatilità perché quello che interessa è il price momentum aggiustato per il rischio, quindi si fa price momentum — tasso senza rischio diviso la deviazione standard settimanale degli ultimi 3 anni.

– La stessa cosa si fa sugli ultimi 12 mesi.

– E si prende la media dei due.

In tutti e tre i casi vengono escluse società con z-score troppo alti o troppo bassi che creerebbero delle distorsioni di breve termine.

A quel punto le varie società vengono ordinate in base allo score ottenuto per ciascun fattore moltiplicato per la loro ponderazione nell’indice di partenza.

Quality usa un criterio per fare in modo che il peso dei diversi settori sia simile a quello dell’MSCI World e una cosa simile viene fatta con Value.

Momentum invece non ha vincoli settoriali.

In tutti e tre i casi MSCI usa un algoritmo per determinare un numero pressoché fisso di componenti nell’indice, che sono circa 400 per Value, 350 per momentum e 300 per quality.

Ogni 6 mesi poi gli indici vengono ribilanciati.

In realtà ci sono un’altra dozzina di criteri per ridurre anomalie ed eccessivi ribilanciamenti.

Però fondamentalmente il processo è questo.

Ora, una volta che abbiamo visto i criteri utilizzati per i tre indici, che intuizioni possiamo formulare?

– Con VALUE naturalmente l’idea è di investire in società potenzialmente sottovalutate, che hanno un prezzo basso rispetto ai fondamentali, e che hanno questa caratteristica perché presentano un rischio elevato o perché gli investitori le giudicano poco promettenti. Potenzialmente il loro maggior rendimento atteso deriverebbe dal fatto che gli utili futuri vengono sistematicamente sottostimati e che essendo percepite come rischiose, il tasso di sconto sarà elevato, perché gli investitori vorranno un elevato rendimento per investirci.

Il fatto di pretendere un rendimento elevato si concretizza esattamente nel fatto che il prezzo per investirci oggi sia basso.

– Con QUALITY invece si vuole investire in società con un’elevata capacità di generare profitti a partire dal capitale proprio, che hanno un basso indebitamento e una crescita costante degli utili. Il loro maggior rendimento atteso deriverebbe forse dal fatto che gli investitori ritengono più rischioso investire in società con una presunta scarsa capacità di crescere in maniera significativa visti i bassi investimenti sul proprio business e la bassa leva e per il fatto che soprattutto nelle fasi di bull market gli investitori tendono a preferire realtà maggiormente speculative e più in voga, durante i momenti di cosiddetto “flight to risk”.

– Con MOMENTUM infine si punta sull’idea di autocorrelazione, cioè il fatto che certi trend tendono a perdurare nel breve termine. Società caratterizzate da forte price momentum avrebbero un rendimento atteso maggiore perché forse si teme il rischio che dopo una crescita importante regrediscano o perché — come dicevamo prima — gli investitori non reagiscono in maniera abbastanza reattiva e restano attaccati ai loro investimenti precedenti. Dal punto di vista comportamentale pesano bias come l’endowment effect o il sunk cost bias che portano un investitore a non mollare investimenti deludenti e perdersi dunque migliori opportunità.

Se queste sono le logiche di fondo, vediamo velocemente OGGI come sono composti i tre indici, a livello di principali società e geografia.

Partiamo da Quality, quello più concentrato e America-centrico in questo momento.

– Quasi il 72% è Stati Uniti

– Il secondo paese è la svizzera, con il 4%,

– Poi Regno unito con il 3,8% e il Giappone con il 2,5%.

– Tutti gli altri Paesi occupano complessivamente appena il 18,5%.

Le 10 società più grandi pesano per quasi il 32% dell’indice e sono Nvidia, Microsoft, Apple, Visa, Meta, Mastercard, Eli Lilly, Google, Netflix e Asml.

Momentum invece è concentrato al 57,6% sugli Stati Uniti, 11 punti in meno dell’MSCI World, segno che negli ultimi mesi molte tra le società con il maggior price momentum non sono state americane.

Il secondo Paese più rappresentato è la Germania con il 7,6%, poi il Giappone con 5,3% e il Canada con il 5,2%. Tutti gli altri occupano il 24%.

Le prime 10 società pesano il 28% e sono Broadcom, Netflix, Berkshire Hathaway, Visa, JP Morgan, Palantir, Walmart, Philip morris, Costco e Sap.

Il fatto più interessante da notare è che tra le prime dieci società non figuri nessuna tra le Magnifiche 7.

È il segnale che la loro esorbitante crescita delgi utlimi anni finalmente abbia raggiunto un plateau?

Difficile dirlo.

Sicuramente crescite molto sostenute e valutazioni elevate sono storicamente predittive di utili futuri deludenti e rendimenti inferiori.

Non è assolutamente detto che la loro parabola discendente sia iniziata, ma è sicuramente un fatto interessate se confrontato a quello che abbiamo raccontato negli ultimi 2 anni, con le magnifiche 7 che praticamente dominavano qualunque cosa.

Value, invece, come uno si aspetterebbe, è quello che più si discosta dall’MSCI World market cap weighted.

In termini geografici, il peso degli Stati Uniti è del 37%, seguito dal Giappone con il 22,8%, il Regno Unito con il 9,37%, Francia e Germania con circa il 6%, Spagna, Italia e Olanda fanno insieme un altro 6% e poi c’è un 10% di altri Paesi.

Se invece andiamo a guardare le prime 10 posizioni, che rappresentano circa il 20% del totale, abbiamo naturalmente nomi per nulla altisonanti: Cisco (che ironicamente 25 anni fa sarebbe stata la società più grande in un portafoglio di large cap growth), Qualcomm (altra darling del secolo scorso), Micron Tecnhology, la venerabile Intel che fa chip che in confronto a quelli di Nvidia sembra di paragonare il fax ad un iPhone, AT&T, una delle più gloriose società americane del 900, Verizon, Toyota, la prima non americana dell’elenco, British American Tobacco, Comcast e HSBC.

È evidente che Value racconta una storia complementare rispetto a quella che abbiamo vissuto negli ultimi anni: le società con prezzi più bassi rispetto al book value e agli utili attesi sono realtà spesso vecchie, in business tradizionali, molto meno america-centriche.

Gli Stati Uniti anche qui sono il primo Paese, ma pesano poco più di un terzo del totale, mentre quasi 2/3 dell’indice è concentrato nel vecchio Giappone e nella vecchia Europa.

E questo è anche uno dei motivi per cui ho preferito investire in strumenti singoli, invece che in un unico multifattoriale: in questo modo riesco a tenere meglio sotto controllo l’allocation geografica complessiva del portafoglio. Non che sia chissà che roba, però per me ha un valore.

Ora, ultimo punto: Perché Momentum, Value e Quality.

Intanto, via negationis, come dicevano i logici medievali: partiamo dall’escludere gli altri fattori principali: small cap e low volatility. Secondo MSCI anche high dividend sarebbe un fattore, ma sinceramente nella letteratura accademica questa cosa non sembra così evidente.

– Perché non parlo mai di Small Caps. Sarò brutalmente onesto: ho un bias negativo nei confronti delle Small Caps per tre motivi:

– Il primo è tecnico: molti indici small caps sono fatti col culo (tipo il Russel 2000) e hanno dei meccanismi di ribilanciamento prevedibili che permettono agli investitori istituzionali di fare “front-run”, cioè di comprare e vendere in anticipo certe azioni che entrano ed escono dall’indice, alzando i costi e riducendo il rendimento atteso. Ci sono delle società che fanno ETF di altissima qualità come Avantis e Dimensional. Quello di Avantis è da poco disponibile in Europa, anche se è ancora piuttosto piccolo, mentre Dimensional — mitologica società fondata da un allievo di Gene Fama e che per decenni ha avuto Fama nel board — sta per entrare in Europa ma non c’è ancora.

– Il secondo motivo è logico e riguarda il private equity. I fondi di private equity sono sempre disperatamente alla ricerca di buoni deal e il candidato ideale è spesso una small cap. Ho letto un report di morgan stanley dello scorso anno che mostrava come la qualità del Russell 2000 si stia deteriorando anno dopo anno e che gli utili sono sistematicamente in calo dal 2021. Perché questo? Da un lato perché forse le società più piccole faticano a restare competitive in un’economia dominata da colossi tecnologici hyper-scaler. Dall’altro perché le società migliori tendono a rimanere private più a lungo prima di quotarsi, grazie ai fondi di PE, riducendo quindi la qualità media degli indici small.

– Il terzo motivo è macroeconomico: oltre a quanto appena detto sul predominio di grandi colossi con elevate capacità di innovazione tecnologica, c’è anche il discorso dei tassi di interesse. Se lo scenario prevalente è tassi “higher for longer”, sono le società più piccole a soffrirne, perché i maggiori costi di finanziamento avranno impatti sui margini, mentre invece le società più grandi con pozzi pieni di cash ne risentono meno.

Sbaglierò?

Possibilissimo.

Anzi fate quello che ritenete più giusto partendo dal presupposto che le mie siano solo pirlate.

Però questo è il motivo per cui Small Caps No.

– Non investo neanche in Low Volatilty.
Ma qui ho una tesi meno robusta.
Probabilmente dovrei. Forse mi urta il sistema nervoso il fatto che sia un’evidente contraddizione rispetto al Capital Asset Pricing Model e al principio guida della finanza: se vuoi più rendimento devi prenderti più rischio.
Il fatto che invece società con basso beta abbiano storicamente mostrato un miglior risk-adjusted return del mercato e che le spiegazioni risk-based qui tengano poco mi frena molto dall’investirci.

E’ un mio bias però, senza dubbio. Non ci sto investendo perché il suo investment case mi risulta meno intuitivo.
Ma è una mia fissa.
Inoltre devono aver contribuito due cose: la sua performance negli ultimi 10 anni è stata piuttosto mediocre.
Senza dubbio ha funzionato nel 2022, visto che con Value è stato l’unico in positivo.
Ma se estendiamo agli ultimi 5 anni, dal gennaio 2020 al dicembre 2024, gli altri tre fattori hanno fatto nettamente meglio.

Penso che sia un fattore che funziona meglio nelle versioni long-short e dove si può applicare una certa quantità di leva.
Sono più scettico per quanto riguarda invece avere un ETF su low volatilty, long-only, senza leva, buy and hold.

Anche qui, do your own research.

Partite dal presupposto che sia sbagliato quell che faccio.

Mi consola però che quando Invesco ha scelto su quali fattori costruire il suo prodotto multi-factor abbia scelto proprio Value, Momentum e Quality.

Ci sono diversi studi che hanno provato a capire quale sia la combinazione migliore da inserire in un portafoglio.

Nel 2015 sul Journal of Portfolio Management è uscito un paper scritto da Aseness, Frazzini, Israel e Moskowitz — tanto per cambiare tutti di AQR, il mio one-stop-shop preferito — che confermarono l’opportunità e la robustezza di combinare Value con delle strategie più growth oriente come Momentum e Profitability (che è un proxy per Quality).

Il passaggio fondamentale per me è stata la dimostrazione che un portafoglio equal weighted composto da Value, Momentum e Quality in parti uguali aveva praticamente uno sharpe ratio doppio rispetto a Value da solo, con i dati che andavano dal 1963 al 2014, basati sul database di Ken French.

Inoltre gli autori spiegano che benché questi dati siano riferiti a fattori long-short (ripeto: compro per esempio società value e vendo growht e così via) la combinazione di Value, Momentum e Quality mostra benefici in termini di miglior risk-adjusted return anche per i portafogli long-only, come quelli che costruiamo noi con gli ETF che abbiamo a disposizione.

Questo paper, insieme a tanti altri magari più concentrati sulla combinazione Value-Momentum, è stato uno dei motivi per cui un paio di anni fa, quando mi capitò tra le mani, cominciai a modificare la parte puramente market cap weighted del mio portafoglio dando un tilt fattoriale in parti uguali su questi tre fattori.

In questo momento pesano esattamente un quarto della mia quota azionaria.

Il mio obiettivo è salire intorno a circa un terzo abbondante.

L’idea di fondo è questa: l’investimento fattoriale porta più rischio sistematico nel portafoglio.

Ma potrei aumentare il rischio, e quindi il rendimento atteso, in due modi diversi:

– O aumentando semplicemente la parte azionaria

– Oppure tenendo più bassa la parte azionaria e aumentando la diversificazione.

Per esempio negli ultimi 25 anni, dal dicembre 1998 al dicembre 2024, un portafoglio fatto così:

– 46% MSCI World

– 24% MSCI Value + Momentum + Quality

– 23% di bond governativi globali

– 7% di oro

Avrebbe reso esattamente tanto quanto l’MSCI World, 7% medio composto all’anno, ma con un rischio nettamente inferiore.

La deviazione standard è stata infatti circa 10% contro 14,5% e il drawdown massimo è stato del 38% contro il 56%.

Lo Sharpe ratio del portafoglio è stato infatti 0,55 invece che 0,44.

Ovviamente questo non è sempre vero.

Dal 2009 ad oggi il 100% azionario avrebbe reso circa 3 punti percentuali in più all’anno, un’enormità.

Ma dal 2000 al 2009 invece sarebbe successo praticamente il contrario.

È ovvio che durante un super bull market un portafoglio 100% azionario vince quasi sempre.

Qual è però la probabilità che anche i prossimi 15 anni saranno analoghi agli ultimi 15?

Con le valutazioni attuali americane così alte, molto poco probabile.

Se invece si dovessero ripetere crolli e boom come è stato per tutto il primo quarto di questo secolo, allora VOGLIO un portafoglio con un miglior rendimento atteso per il rischio assunto, non uno con il miglior rendimento atteso assoluto.

Prima di concludere, ricordiamo due cose sui fattori, che sono una la controparte dell’altra:

– Non tutti possono investire in fattori: per definizione serve qualcuno che si prenda l’altro lato. Possiamo investire tutti quanti solo in un portafoglio market-cap weighted, per ogni deviazione serve un altro che faccia la cosa opposta.
Ma non tutti possono accollarsi i rischi che comportano o sono in grado di agire in maniera contraria rispetto alle tendenze comportamentali più tipiche.
Quando investi in fattori devi essere consapevole che o ti prenderai più rischi dell’investitore medio oppure investirai in cose che in media all’investitore medio non piacciono.
L’esperienza non sarà sempre piacevole.

– La seconda cosa è che proprio perché sono rischiosi o richiedono attitudini anticonvenzionale, investire in fattori in media vale la pena, a condizione di essere consapevoli di quel che comportano e di essere certi di poter mantenere un atteggio sistematico a lungo termine senza saltare di palo in frasca ad ogni cambio del mercato.

Bene amici miei, grazie per avermi seguito anche oggi e con tutto il cuore spero che anche questo 242esimo episodio di The Bull abbia arricchito il vostro bagaglio di competenze.

Agosto sta per finire e ormai mancano solo poche settimane all’inizio di una stagione completamente nuova per The Bull che tra settembre e novembre vedrà almeno 4 grandi novità. O forse 5. O forse addirittura 6, non lo so, mi sono un po’ perso con le varie cose, sto lavorando troppo, dormo poco e sono poco lucido.

Comunque, tranquilli, arriveranno, e l’esperienza di The Bull non sarà più la stessa.

O rimarrà la stessa per chi invece è affezionato a quella che conosce.

Nell’attesa che la nuova fase di The Bull cominci, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, youtube o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che market cap è bello ma fattoriale è meglio, ma non per tutti, sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento assieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant