Le Bolle sono più rare di quel che pensi (e perché il mercato può ancora salire)
Mentre si parla ogni giorno di "bolla dell'AI", le bolle sono in realtà molto più rare di quel che si pensa. Come affrontare con serenità e consapevolezza questa crescita apparentemente senza fine. E perché è statisticamente probabile che continui anche l'anno prossimo.

256. Le Bolle sono più rare di quel che pensi (e perché il mercato può ancora salire)
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Punti Chiave
Le bolle finanziarie (crescita >100% in 3 anni e crollo >50% in 5 anni) sono rare (0,5% di probabilità in una finestra di 5 anni) e meno probabili di un ulteriore boom.
I bias cognitivi (es.'base rate neglect') ci portano a sovrastimare enormemente la probabilità di eventi catastrofici (10-20% di probabilità percepita).
Tenere cash per 'comprare il dip' (market timing) in media non funziona e un mercato forte ha più probabilità di continuare a salire che di crollare.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Due episodi fa ci eravamo chiesti se oggi fosse ancora un buon momento per investire, con le valutazioni azionarie americane a livello di dot-com bubble del 1999, l’oro che sta flirtando con i 4.000 dollari l’oncia e bitcoin sui nuovi massimi oltre i 125.000 dollari.
Per farla breve, la risposta era stata “sì, ma”.
– Sì perché è impossibile dire di essere in una bolla e quando il mercato stia per iniziare una correzione; e sì perché in generale stare sempre investiti ha un rendimento atteso maggiore che fare dentro e fuori;
– Ma, invece, perché elevate valutazioni e dilagante propensione al rischio in tutti gli anfratti del mercato è solitamente un segnale che induce un pizzico di cautela. Alcune delle più grandi crisi apocalittiche del passato sono scaturite da lunghi periodi di straordinario entusiasmo ed ottimismo.
Se quindi uno si apprestasse oggi a entrare finalmente sui mercati finanziari con i propri sudati risparmi, lo incoraggerei certamente ad investire!
Ovviamente non c’è solo “investire” o “non investire”.
C’è modo e modo di farlo.
I principi generali che gli suggerirei oggi sono gli stessi del 2023 e del 2024.
– Se deve iniziare ad un investire con un PAC — cioè — rischio veramente molto diluito perché qualunque cosa succeda nei prossimi 12-24 mesi impatterà poco sul valore finale della sua ricchezza;
– Se invece deve invece investire i risparmi di una vita gli consiglierei di fare qualche riflessione un po’ più approfondita intorno al set di consigli con cui avevamo chiuso quell’episodio.
Questo set prevedeva delle cose di buon senso e come sempre più orientate al risk management che non alla massimizzazione del rendimento:
– Diversificare il portafoglio sia a livello azionario, sia con asset alternativi a azioni e obbligazioni;
– Ribilanciare oltre le bande di tolleranza previste dal nostro piano;
– Fare un check sulla sostenibilità del nostro piano finanziario e dei nostri debiti;
– Considerare sempre il valore attuale del nostro capitale umano, quindi assicurarsi che il nostro reddito non sia instabile e correlato al mercato azionario — oppure se lo è attenuare il rischio del portafoglio e infine
– Ricordarsi dei motivi per cui si stava investendo.
Da quello che mi avete scritto, tuttavia, al termine dell’episodio vi è rimasto un sapore agrodolce in bocca.
Come se una nota pessimistica avesse prevalso sul sapore generale dell’episodio.
Beh, meglio così.
Vi preferisco più pessimisti e cauti che troppo ottimisti e dissennati — così facendo abbiamo salvato qualche vita (finanziariamente parlando).
Questo è invece l’episodio gemello, quello che invece spero vi restituirà un feeling — se non opposto — almeno complementare.
Come avevo già detto anche in passato, io ho un grande principio guida che ispira ogni decisione e comportamento nella mia vita: “SII PESSIMISTA NELLA TEORIA E OTTIMISTA NELL PRATICA”.
Che poi tradotto cosa vuol dire:
– Fatti mille pippe mentali cercando di immaginarti tutto quello che può andare storto e tieni sempre un atteggiamento consapevole del fatto che molto spesso nella vita le cose non vanno come vorresti. Mettiamola così: la possibilità del fallimento, il fatto che fallire possa essere un destino che mi riguarda con una certa probabilità, è la modalità di default su cui sono impostato.
– Ma allo stesso tempo sii ottimista nella pratica, cioè agisci come se tutto alla fine dovesse andare per il meglio.
È un po’ faticoso come principio guida.
Però per me funziona.
E si riflette sia nel modo in cui investo, sia nel modo in cui vi racconto la finanza.
Investite a lungo termine con il massimo ottimismo certi che alla fine le cose andranno bene.
Ma vivete nel breve termine con la massima consapevolezza che le cose, durante il tragitto, possono essere una merda pestata dietro l’altra.
Come investitore vivo con una fede incrollabile in due cose:
– Che da qui a 30 anni il mio patrimonio investito oggi sarà cresciuto in maniera significativa ma anche
– Che nei prossimi 30 anni ci saranno crisi, ansie, preoccupazioni, recessioni, inflazione, guerre, pandemie, dite una cosa sfigata che può capitare — ecco — capiterà.
Investire è un’esperienza prevalentemente spiacevole.
Paga perché c’è da sopportare una costante sofferenza.
Quindi nel continuum della mia esistenza cerco di immaginarmi ogni possibile scenario avverso per non farmi trovare completamente impreparato come l’ultimo pirla di questa terra.
Ma facendo questo, ciò che dà senso a tutto quel che faccio con i miei soldi ogni giorno è coordinato dall’obiettivo a lungo termine, in cui fondamentalmente so che, citando Alicia Keys,
“everyhing’s gonna be alright”
Andrà tutto bene.
Fatto questo preambolo, giustamente vi starete chiedendo: “quindi? Qual è il punto?”
Il punto è che proprio in questo momento in cui tutto sa di bolla come quando 26 anni fa mi accingevo a terminare la terza media e il calcio costituiva il 99% delle mie preoccupazioni, sentirete sempre più spesso e sempre più insistentemente parlare di bolla di qua, bolla di là, ogni giorno che passa.
Più i mercati vanno su, più sembrerà il segnale definitivo di un’imminente ecatombe finanziaria.
Che potrebbe anche essere, eh, nulla si può escludere.
Da qui ai prossimi 30 anni statisticamente ci aspettano almeno 5-6 bear market, di cui almeno uno potenzialmente da -40/-50%.
Il compianto Charlie Munger, partner di una vita di Warren Buffett, diceva: “se non puoi sopportare un 50% di perdita sui tuoi investimenti, otterrai il risultato mediocre che ti meriti”.
Investire in azioni è questo: alto rendimento atteso perché c’è tanta sofferenza da sopportare.
Teoricamente temporanea.
Ma nessuno ti dice mai quanto temporanea.
Né se il prossimo armageddon dei mercati comincerà nel 2025, nel 2026, nel 2036 o chissà quando.
Il punto fondamentale da cui partire però è nel non casuale titolo di quest’episodio: “LE BOLLE FINANZIARIE CAPITANO MOLTO MENO SPESSO DI QUEL CHE SI PENSA”.
Questo non vuole dire che sono certo che quella in cui stiamo vivendo non è una bolla.
Anzi, ha tutte le caratteristiche di una bolla e ormai anche i diretti interessati: Mark Zuckerberg, Sam Altman, Jeff Bezos e compagnia bella hanno confermato apertamente che l’ipotesi che l’AI sia una bolla è più che una possibilità.
Ma come capirete presto, statisticamente è improbabile — non impossibile, improbabile — che lo sia davvero.
Non solo.
Il fatto che tutti questi dicono che sia una bolla, forse rende questa bolla un po’ meno bolla.
Ma ci arriviamo, andiamo con ordine.
Nel 2016 un professore di Yale di nome William Goetzmann pubblicò un paper tanto semplice quanto interessante, che vi lascio in descrizione, dal titolo: “Bubble investing: Learning from history”, in cui si è messo a guardare dati di mercato di 21 paesi dal 1700 ad oggi.
Sono incappato in questo articolo perché Goetzmann ha scritto un articolo sul Wall Street Journal sul tema bolla/non bolla, richiamando il suo paper quanto mai attuale oggi.
Il suo obiettivo era quello di distinguere l’opinione soggettiva degli investitori rispetto a bolle imminenti — o presunte tali — e il comportamento effettivo dei mercati, scoprendo una divergenza impressionante.
Intanto, che cos’è una bolla? perlomeno nella definizione che usa Goetzmann per condurre lo studio.
Dicesi bolla un rialzo del mercato di almeno il 100% – cioè un raddoppiamento del suo valore si dice raddoppiamento? Boh va beh un mercato che raddoppia di valore] — in un orizzonte temporale piuttosto breve, 1-3 anni, seguito poi da un crollo dei almeno il 50% entro i 5 anni successivi.
Ok?
Quindi cresce del 100% in meno di tre anni e poi crolla di almeno il 50% entro 5 anni.
Come tutti voi sapete benissimo, che ormai dominate la matematica finanziaria meglio delle regole della nuova Champions, un asset che cresce del 100% e poi crolla del 50% torna esattamente al punto di partenza.
E ovviamente un asset che perde il 50% ha poi bisogno di fare +100% per tornare in pari.
La tragica crudeltà dei mercati.
La cosa fondamentale, però, è proprio la seconda parte, cioè il fatto che scenda di almeno il 50% entro 5 anni, perché altrimenti se la bolla non scoppia di brutto in un tempo relativamente breve non era una bolla, era semplicemente la normale volatilità del mercato.
La dot-com bubble di inizio 2000, da questo punto di vista, è stata una bolla quasi da manuale.
– L’S&P 500 toccò il picco il 23 marzo del 2000 a 1532 punti, poco meno di tre anni dopo i 766 punti toccati l’8 aprile del 1997. In meno di 3 anni il suo prezzo era effettivamente raddoppiato;
– Il 9 ottobre del 2002 toccò il fondo a quasi -50%, perché in effetti il tracollo si fermò a 776 (-49% quindi).
– Il collasso definitivo arrivò poi dopo la great financial crisis, quando il mercato precipitò fino al mefistofelico minimo intraday a 666 punti del 16 marzo del 2009.
Oggi è successo qualcosa di simile?
Non proprio.
Mentre sto scrivendo l’S&P è a 6.730 punti.
L’ultima volta che quindi è stato a 3.365, la metà dunque, era l’11 agosto del 2020.
Sono serviti più di 6 anni per raddoppiare.
Tantissimo intendiamoci, parliamo di un rendimento medio annuo che, compresi i dividendi, superano il 13% – una roba pazzesca se ci pensate.
Ma non un ritmo da bolla.
Per darvi la misura del confronto tra questi ultimi 5 anni e i 5 anni precedenti la dot-com bubble, quindi 1995-1999, beh, diciamo che la distanza è abissale.
Ammettiamo che quest’anno l’S&P chiuda a 7.000 punti, va, oggi mi sento ottimista.
Sarebbe un +19% da inizio anno, aggiungiamo un 1% di dividendi, +20%.
Dal 1 gennaio 2021 al 31 dicembre 2025 parleremmo di un +98%.
Dal 1 gennaio 1995 al 31 dicembre 1999 l’S&P 500 era invece cresciuto del 247%.
Un altro campionato.
Oggi c’è molta euforia, certo, ma questo vi dà l’idea del livello di esagerazione di quegli anni.
È già sicuramente tanto immaginarsi di raddoppiare i soldi in poco più di 5 anni.
Ma figuriamoci quanto poteva essere insostenibile l’idea di triplicarli ogni 4 anni.
Se quel ritmo di crescita si fosse mantenuto, oggi l’S&P 500 varrebbe probabilmente più di tutta la ricchezza mai creata nella storia dell’umanità.
Ma torniamo allo studio.
Una cosa molto interessante è una dimostrazione esemplare di come siamo portati, noi essere umani, a filtrare in maniera selettiva le informazioni, dando maggiore risonanza a quelle che sono accompagnate da un maggior impatto emotivo.
Guardando ai dati dal 1900 ad oggi — anzi in realtà lo studio guarda i dati fino al 2014, ma dato che non ci sono stati dei -50% negli ultimi anni possiamo estendere sino ad oggi — dicevo, guardando oltre ad un secolo di storia in 21 mercati globali, Goetzmann fa vedere che la probabilità che scoppi una bolla finanziaria in una qualunque finestra di 5 anni è appena dello 0,5%.
E questa è una di quelle classiche situazioni in cui invece la nostra percezione tende enormemente a sovrastimare la probabilità di un fatto avverso.
Insieme al premio Nobel Robert Shiller, Goetzmann scrisse un altro paper un paio d’anni fa in cui mostrò che negli ultimi 25 anni, dai sondaggi fatti periodicamente agli investitori americani è emerso che questi si aspettavano una crisi catastrofica nei 6 mesi successivi ad ogni sondaggio con una probabilità del 10-20% in media.
Cioè statisticamente le bolle hanno una probabilità dello 0,5% di capitare in un qualunque orizzonte di 5 anni, ma l’investitore medio si aspetta fino ad una probabilità su 5 di vivere una bolla nei prossimi 6 mesi!
Pazzesca sta roba.
Quanto siamo portati a sovrastimare la probabilità di eventi estremi solo perché hanno un maggior impatto sulla nostra immaginazione.
Questo è un esempio perfetto di quello che in psicologia si chiama *base rate neglect*: tendiamo a ignorare le frequenze storiche reali degli eventi rari e a sostituirle con le nostre percezioni emotive.
L’esperienza diretta — e forse le cicatrici — della dot-com bubble prima e della GFC dopo avrà certamente influito sul livello di pessimismo degli investitori.
Sono certo che se facessimo una survey a tutti coloro che hanno iniziato ad investire dal 2010 in poi, pochissimi si aspetterebbero crisi imminenti di continuo.
Questa cosa è coerente con il fatto che per esempio le persone sono in media più inclini a comprare un’assicurazione che protegga da un rischio tendenzialmente raro ma di cui si parla tanto, rispetto ad un’assicurazione generica che comunque proteggerebbe anche da quel rischio specifico — e questa cosa era stata ben documentata a inizio 2000 quando il terrorismo isalmico sembrava l’unica minaccia sulla terra e proliferavano le assicurazioni “contro la minaccia di terrorismo”.
Un’altra cosa molto interessante dello studio, invece, che forse ci interessa ancora di più perché può rappresentare un valido supporto per le nostre decisioni di investimento è la statistica su ciò che generalmente succede nei 5 anni successivi dopo che un mercato che è raddoppiato di valore.
– Circa nel 15% dei casi ha effettivamente subito un crollo di almeno il 50%
– Nel 26% dei casi invece ha addirittura nuovamente raddoppiato
– Mentre in tutti gli altri casi sono successe cose intermedie: a volte il mercato è salito, a volte è sceso, ma nessun tracollo.
In altri termini: un periodo di boom ha quasi il doppio delle probabilità di generare un altro boom rispetto allo scoppio di una bolla.
Per essere ancora più precisi la probabilità *condizionata* che un mercato crolli dopo un boom è solo leggermente superiore alla probabilità che crolli *in generale*. Cioè il fatto che un indice abbia appena raddoppiato non rende automaticamente probabile un collasso: la frequenza storica di una “bolla completa” ha una probabilità inferiore all’1**%** per qualsiasi finestra di cinque anni, mentre invece un collasso del 50% è meno probabile di un nuovo raddoppio.
Quindi la narrativa del “dopo un grande rialzo arriva sempre un grande disastro” è semplicemente falsa. È molto più probabile che un mercato forte continui a salire piuttosto che esplodere.
Tuttavia il nostro conflitto interiore tra un mercato che vediamo salire e la paura che improvvisamente crolli crea una sorta di paradosso esistenziale piuttosto interessante, che volente o nolente attraversa gli animi di ciascuno di noi.
I periodi di boom portano con sé sia grandissime opportunità di guadagni, sia innumerevoli fonti d’ansia.
Se ci pensate, l’ansia non viene solo durante i tracolli.
No no no.
La sadica crudeltà della finanza è che pure mentre le cose vanno bene tendiamo a preoccuparci delle crisi imminenti — anche se come noto il mercato ha previsto 9 delle ultime 5 recessioni, secondo la celebre battuta di Paul Samuelson.
Investire è difficile, l’abbiamo sempre detto.
Ma uno degli aspetti della finanza che rende investire molto difficile sono soprattutto le nostre distorsioni cognitive alimentate soprattutto da impulsi emotivi e sociali.
Del resto, il premio al rischio dell’azionario è un puzzle, un enigma, fin da quanto Mehra e Prescott scrissero il famoso paper nel 1985.
Questo premio al rischio è troppo alto e non è giustificato da alcun modello economico.
Servirebbe un’avversione al rischio incredibilmente elevata per giustificarlo.
Forse questo premio al rischio continua a persistere proprio perché i mercati non sono in grado di scontare fino in fondo la profondità dell’incertezza, della paura e dalla pessima comprensione delle leggi della probabilità che governa l’animo umano.
Io leggo ogni giorno il Wall Street Journal, il Financial Times, Bloomberg e una smitragliata di blog e newsletter.
Questi ultimi devo dire molto meno, sono generalmente più raffinati nelle analisi e generalmente più ottimisti.
I media tradizionali invece se non scrivono di crisi imminenti non sono contenti.
Non passa giorno senza un articolo che instilli ansia nell’investitore medio, di fronte alla prospettiva di un mercato azionario sopravvalutato, un debito pubblico insostenibile, la minaccia latente del private credit, l’oro in bolla e così via.
Però niente come comprenderne gli incentivi mostra chiaramente la reale intenzione di qualcuno.
Un media finanziario vende soffiando sul fuoco di presunte cattive notizie.
Nell’ottobre del 2025 mentre sto registrando, sto ancora aspettando la famosa recessione praticamente certa annunciata alla fine del 2022.
Oh, io aspetto.
Non è che ho tutta sta fretta del resto.
Ma — chiedo per un amico — non è che alla fine non viene?
Peter Lynch, lo straordinario gestore del Magellan Fund di Fidelity, per distanza il Messi degli asset Manager, il più grande gestore di un fondo comune di investimento di tutti i tempi, tra i suoi mille straordinari aforismi ne consegnò uno ad imperitura leggenda quando disse che in media vengono persi molti più soldi preparandosi alle crisi, che non nelle crisi stesse.
Sicuramente c’è del vero dal punto di vista comportamentale in questa affermazione.
Ma spesso è vera anche nei fatti.
Sam Ro di Tker e Yahoo Finance domenica ha scritto un pezzo in cui ha fatto notare che nel dicembre del 1996, quando l’allora capo della Fed Alan Greenspan fece il famoso discorso sull’euforia irrazionale, sostenendo che il mercato fosse in bolla e sopravvalutato, effettivamente ebbe ragione.
Ma… con due grandi ma:
– Il primo è che il mercato continuò comunque a crescere fino al marzo del 2000 e furono 4 anni sensazionali come abbiamo visto;
– Il secondo è che quando fece quel discorso l’S&P 500 era a 749 punti mentre quado il mercato toccò il fondo, nell’ottobre del 2002 appunto, si fermò a 776.
Greenspan ebbe fottutamente ragione.
Ma in finanza non basta aver ragione.
Bisogna aver ragione con incredibile tempismo.
Altrimenti all’investitore che fosse uscito nel ’96 dando retta a Greenspan sarebbe paradossalmente andata peggio che a quello rimasto investito lungo tutta la dot-com bubble.
Certo — sto ignornando situazioni di investimento progressivo e sequenza dei rendimenti, ma adesso non complichiamoci la vita.
Il punto è: anche chiamare correttamente le bolle non è detto che faccia bene al portafoglio.
Puoi fare come quelli che su LinkedIn ogni 10 minuti sbattono lì in un bel post un grafico a caso spacciandolo per la prova defintiva dell’insostenibilità del mercato e bullandosi del fatto che con le loro strategie sono immuni a qualunque crollo.
Potrebbe essere verissimo.
Ma il costo di saltarsi tutti i crolli è un rendimento mediocre.
Quello che si meritano.
Riposa in pace grande Charlie.
Per non parlare poi del secondo problema cronico del market timing.
Chi è molto conservativo, e appunto vende tutto e si salta la bolla, ammesso e non concesso che lo faccia al momento giusto, poi è difficilissimo che rientri.
Dopo che hai scampato un crollo di mercato, nel mercato non ci entri più.
Ora, oggi ci sono sicuramente una serie di motivi per cui il mercato azionario può apparire piuttosto caro e quindi potenzialmente più esposto ad una correzione.
E questo l’abbiamo detto tante volte.
Però ci sono anche una serie di cose che obiettivamente fanno assumere un’altra prospettiva.
Quando uno vuole un punto di vista bullish del mercato, non esiste persona migliore del nostro Ed Yardeni, un permabull duro a morire che dagli anni ’70 ad oggi non ha perso fede nel mercato azionario a stelle strisce per un solo secondo.
E ovviamente ha avuto in media molto più ragione di tutti i permabear profeti di sventura che hanno sempre fatto tanta notizia, venduto tanti libri e tanti corsi (ciao Robert Kiyosaky), ma in media hanno azzeccato una previsione su 20 se va bene.
Negli scorsi giorni il buon dottor Ed ha scritto un articolo dal titolo “A bubble in bubble fears”, una bolla nelle paure di una bolla.
In parole povere la sua acuta osservazione si ricollega a quello che dicevo all’inizio, sul fatto che non è poi così un male che anche gli addetti ai lavori parlino di bolla: quando la dot-com bubble si stava gonfiando nel 1999 pochissimi parlavano di bolla. Certo, Robert Shiller pubblicò Irrational Exhuberance a inizio 2000 con un tempismo clamoroso. Cliff Asness scrisse nel 2000 il paper Bubble Logic mettendo nero su bianco la sua convinzione che i prezzi assurdamente alti del mercato sarebbero collassati, Howard Marks scrisse il famoso memo bubble.com nel gennaio 2000 e persino Jeremy Siegel, il super ottimista professore di Princeton e autore di Stocks for the Long Run, sempre nel 2000 scrisse sul Wall Street Journal che il mercato era sopravvalutato.
Ma a parte questi e pochi altri geni illuminati — tra cui ovviamente Warren Buffett — non si parlava tanto di bolla.
Anzi.
L’idea dominante era che la new economy avesse nuove regole e che i fondamentali della finanza non si applicassero a questa nuova economia iperscalabile dominata da internet.
Mmmhhh
Not really.
A sto giro invece si parla tantissimo di bolla dell’AI.
Tanto che il Google Search index per “Ai bubble” è passato da zero a metà settembre a 100 a inizio ottobre.
Cosa ci dice questa cosa?
Ci dice che quando tutti parlano di bolla è meno probabile che una bolla stia per scoppiare rispetto a quando nessuno parla di bolla.
Esattamente come quando Yardeni chiamò con perfetta puntualità la risalita del mercato americano dopo il liberation day, dopo che l’Economist fece 4 copertine di fila su Trump e sul presunto collasso imminente dell’economia americana.
Vi ricordate l’aquila tutta ammaccata e la scritta ancora 1361 giorni (sottinteso: prima che finisca la presidenza di Trump).
Ne avevamo parlato, qualcuno se lo ricorderà.
C’è chiaramente una serie di bias cognitivi molto forti che sovrastano le nostre decisioni, soprattutto se le prendiamo con la pancia invece che con la testa.
– Da un lato c’è il cosiddetto bias di disponibilità: ricordiamo i disastri molto meglio di un lungo periodo di lenta e costante crescita.
– Dall’altro c’è la funzione selettiva della nostra memoria che costruisce delle storie coerenti filtrando le informazioni che supportano una certa tesi, in particolare se sono associate ad un particolare impatto emotivo.
È noto, per esempio, che chiunque abbia almeno la mia età si ricorderà molto meglio dove si trovava l’11 settembre 2001, quando abbiamo vinto i mondiali nel 2006, il 6 marzo del 2020, quando venne ufficialmente chiusa l’italia per il covid e in altri momenti topici, che non cosa ha mangiato giovedì scorso.
Abbiamo una capacità limitata di trattenere e interpretare le informazioni e siamo più portati ad agganciarle ad un’unica storia coerente.
– AI assomiglia ad Internet? Sì
– Il mercato aveva toccato il CAPE Ratio di 40 nel 99 come oggi?
– Bom, a posto, la storia si ripete. Punto.
Ovviamente non è così semplice.
E poi bisogna dire un’altra cosa.
Al suo intervento alla tech week di Torino durante la sua luna di miele in Italia, Bezos ha detto che questa ha tutta l’aria di una “industrial bubble” di una bolla industriale, non di una bolla finanziaria.
Potrebbe aver colto nel segno.
Gli investimenti stratosferici in datacenter per sostenere la capacità computazionale dei large language model rischiano seriamente di andare fuori controllo, così come era stato per il boom delle ferrovie a inizio ‘900 o i milioni di chilometri di infrastrutture di rete negli anni ’90.
Quando le bolle sono scoppiate miliardi di dollari sono stati persi dagli investitori.
Ma le infrastrutture sono rimaste e nel lungo termine hanno portato un saldo netto in termini di innovazione e soprattutto di creazione di ricchezza.
I grandi vincitori di internet di oggi non ci sarebbero senza la bolla degli anni ’90.
La Legge di Amara è incredibilmente precisa:
– Nel breve termine le innovazioni tendono a deludere perché alimentano aspettative eccessive
– Ma nel lungo termine tendono a sorprendere in positivo, perché alla fine dispiegano tutto il loro potenziale nascosto.
Ah sapete anche cosa non ci sarebbe oggi senza la bolla di internet del 2000?
Beh non ci sarebbe internet.
E senza internet non ci sarebbero i virus, i siti fraudolenti e la pubblicità ingannevole su internet.
E senza tutte queste cose non ci sarebbe NordVPN che invece protegge la mia connessione da tutto questo quando navigo in giro e mi devo attaccare a qualunque wi-fi trovo su treni, in albergo, nei coworking e così via.
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O almeno credo.
Spe fammi controllare un attimo va…
Quindi dicevamo, bolla può essere bolla.
Ma non è detto che sia fine a se stessa e che non porti benefici a lungo termine in ogni caso.
Diverso è il caso di una bolla finanziaria come fu la Great Financial Crisis.
Quella lasciò solo morte e distruzione.
Era stato un gigantesco castello di carta soffiato via non appena il vento si alzò.
Ha avuto effetti devastanti sull’economia reale, sull’indebitamento globale e probabilmente anche sull’incremento della disuguaglianza sociale, soprattutto negli Stati Uniti.
Le bolle che invece incentivano l’innovazione e l’umano ingegno sono un male — certo — ma non tutto il male vien per nuocere.
Insomma a volte le bolle scoppiano perché le cose scappano un po’ di mano.
Ma c’è quasi sempre una tesi razionale dietro, che alla lunga tende a prevalere.
Infine un’ultima considerazione, per dare a Cesare quel che è di Cesare.
Nel 99 c’era un enorme ricorso alla leva, al debito, per finanziarie i progetti legati alla internet economy, come si chiamava allora.
Le sole Google, Meta, Amazon e Microsoft potrebbero spendere oltre 400 miliardi di dollari quest’anno in capital expenditure, in larga parte per finanziarie progetti AI.
Ma di tasca propria.
400 miliardi di dollari.
Il PIL della Danimarca.
Tutto finanziato con i gargantueschi profitti che derivano dai cosiddetti cash-cow di quelle società, cioè linee di business consolidate che producono cassa in maniera relativamente costante:
– Il business pubblicitario e quello Cloud di Google
– Il business pubblicitario di Meta
– Quella macchina stampa soldi da oltre 30 anni chiamata Microsoft Office, più il business Cloud di Microsoft Azure
– E i profitti di Amazon derivante dall’ecommerce, anche se paradossalmente non molti, ma soprattutto il ricchissimo business del cloud di AWS.
C’è puzza di bolla.
Ma almeno lo fanno con i propri soldi.
Intendiamoci – se le cose vanno male sono cazzi per tutti noi che abbiamo un bel tocco del portafoglio esposto a queste aziende e all’S&P in generale.
Ma almeno il fatto che questi progetti non sembrino finanziati a debito riduce i rischi sistemici.
Attenzione!
Non è che improvvisamente mi sono dimenticato di tutto quello che da mesi diciamo sul valore predittivo delle valutazioni azionarie: prezzi sempre più alti pongono le basi per rendimenti futuri che in maniera quasi meccanica saranno tendenzialmente più bassi.
Ma questo è ben diverso dal dire che valutazioni alte preludono allo scoppio di una bolla.
Soprattutto nel breve.
Nel breve, qualunque considerazione lascia il tempo che trova.
Anzi probabilmente nel breve termine, diciamo da qui ad un anno, ci sono più dati statistici incoraggianti che non il contrario.
Ve ne dico tre.
NUMERO UNO: molto raramente l’S&P 500 raggiunge il picco dell’anno a settembre o ottobre.
Pensate invece che negli ultimi 45 anni, l’S&P ha raggiunto l’ultimo massimo dell’anno solare a dicembre ben 24 volte.
Quindi più di metà delle volte il mercato conclude l’anno in grazia, con il Santa Claus Rally.
Solo 4 volte questo è successo a Ottobre e solo altre 4 a Novembre.
Il secondo mese più frequente è invece gennaio, 5 volte.
Se proprio devo scommettere su un cambio di rotta del mercato, sarei portato a dire che finirà il 2025 in bellezza per poi prendere qualche legnata con l’anno nuovo.
NUMERO DUE: i primi 9 mesi sono stati piuttosto positivi per l’S&P, nonostante il liberation day e tutto il resto. Con il rafforzamento dell’euro noi non lo vediamo, ma in dollari l’S&P ha chiuso settembre in crescita di quasi il 14% rispetto al 31 dicembre.
Negli ultimi 75 anni il mercato è cresciuto di oltre il 10% nei primi 9 mesi 31 volte e quando è successo l’ultimo trimestre dell’anno è stato a sua volta positivo sempre tranne in 5 casi, di cui l’unico grave è stato il 1987, quando nel solo 19 ottobre l’S&P perse oltre il 20% nella più folle seduta di sempre.
Inoltre Settembre è stato un mese di nuovi massimi, cosa molto più insolita dato che questo è storicamente il mese peggiore dell’anno.
Abbiamo avuto 8 all time high, da questo punto di vista è stato il 4° miglior settembre di sempre.
Quando c’è stato un all time high a settembre il mercato ha chiuso in positivo anche il quarto trimestre nel 90% dei casi.
Messe insieme le tue cose c’è una probabilità superiore al 90% che l’anno finisca bene.
Non vuol dire che succederà, ma statisticamente le probabilità depongono a favore di questo esito.
Veniamo infine al
NUMERO TRE: con settembre abbiamo avuto 5 mesi di fila di crescita dell’S&P.
Questo è tradizionalmente un segnale molto positivo per 12 mesi successivi a quando accade.
L’S&P 500 ha fatto 5 mesi di crescita continua altre 31 volte dal 1950 ad oggi.
30 volte su 31, a un anno di distanza il mercato è stato più alto in media di circa il 12%.
L’unica volta che questa cosa non è accaduta è stato nel 2022: ci sono volute la più grave impennata dell’inflazione dai tempi di Nixon e la Guerra in Ucraina per interrompere questo track record quasi perfetto.
Anche qui, stando a questa statistica, c’è il 93% di probabilità che a ottobre del 2026, mentre sarò qui a registrare l’episodio 360, l’S&P 500 sarà più avanti di oggi — e per la precisione, intorno ai 7.500 punti. Stando alle stime di Factset, probabilmente parleremo di un rapporto tra prezzo e utili attesi intorno a 25, al di sopra del livello dot-com bubble.
Ma di questo ne parleremo nel caso l’anno prossimo.
Takeaway finali prima di lasciarci.
UNO: adattare il rischio del portafoglio in base alle valutazioni dei mercati è cosa buona e giusta. Ma adattare è una cosa, scappare via è un’altra.
Per me ci sta che — a parità di altre condizioni nella mia vita — la mia esposizione azionaria sia gradualmente inferiore (o non maggiore) man mano che i prezzi salgono, ma più perché mi aspetto un rendimento di lungo termine più basso, che non perché credo che una bolla sia imminente.
DUE: diversificare le fonti di rischio del portafoglio non massimizza necessariamente il rendimento atteso, anzi probabilmente è il contrario.
Ma se per me il controllo del rischio è più importante del rendimento assoluto, allora ciò che voglio è diversificare in vari modi per provare a ridurre la dispersione dei possibili risultati del mio portafoglio.
Cioè diversifico a livello geografico, con i fattori, con i bond lunghi, forse con i bond indicizzati all’inflazione — ci sto pensando — e con l’oro perché, mettiamola così, sembra che ciò migliori il rendimento atteso aggiustato per il rischio.
E un portafoglio con un rendimento atteso aggiustato per il rischio maggiore rispetto ad un altro tende a generare un risultato terminale mediano maggiore, anche se ha magare un rendimento atteso minore.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che probabilmente non crescerà mai del 10% all’anno.
Ma aumenta le mie probabilità di stare più vicino, diciamo, ad un 6% che non ad un 2%.
TRE: repetita iuvant, la parte più importante della pianificazione finanziaria è fuori dal portafoglio.
Più che chiedervi quanto sa probabile il rischio bolla, chiedetevi quanto sia a rischio il vostro reddito si di bolla si sarà trattato.
– Se il rischio di mercato del vostro capitale umano, del vostro reddito da lavoro, è tutto sommato basso, paradossalmente potrebbe saltar fuori che il vostro portafoglio non è abbastanza aggressivo — ammesso ovviamente di avere un orizzonte temporale abbastanza lungo.
– Se invece il rischio di mercato del vostro lavoro è elevato, allora attenzione perché potete avere anche la massima tolleranza al rischio di questa terra, ma dovreste avere una preoccupazione al quadrato perché in uno scenario avverso non si tratterà di gestire solo un drawdown del portafoglio, ma anche una riduzione del vostro reddito, che è peggio
come dice il mio nuovo spirito guida quattrocchi da quando mia figlia si è misteriosamente appassionata ai cartoni dei puffi e mi tocca sorbirmene mezz’ora al giorno.
Bene amici miei, su con la vita, viva le bolle! E viva soprattutto il fatto che non sono così probabili.
E fu così che il giorno dopo quest’episodio collassò il mercato…
Scherzi a parte, spero che l’episodio vi sia piaciuto e che vi abbia dato le lenti giuste per guardare la situazione in cui ci troviamo, con tutta la serenità e consapevolezza del mondo.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast e a iscrivervi al canale youtube per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi parlano di bolle perché più si parla di bolle meno scoppiano sempre nuovi.
Venerdì 10 usciranno due nuovi video su YouTube su due temi a cui tengo tantissimo, l’investimento fattoriale e come vivere di rendita, quindi non perdeteveli!
Grazie infine per l’accoglienza per il mio nuovo libro, Investire senza dubbi, che finalmente Amazon ha rimepito i magazzini quindi se lo comprate oggi vi arriva quasi ovunque il giorno di uscita, il 14 ottobre, mentre fino a qualche giorno fa serviva una settimana in più.
E per chi vorrà ci vedremo il 14 a Milano con Mariangela Pira, il 16 a Bologna e il 22 a Roma con Mirko Giustini del Corriere dalla Sera.
Ultimo annuncio, nel pomeriggio del giorno in cui questo episodio verrà pubblicato io starò intervistando un ospite pazzesco.
Anzi.
Pazzesca.
Probabilmente la donna più famosa del mondo in finanza.
Preparatevi quindi ad una sorpresa inimmaginabile — per me almeno.
Fine degli annunci, per questo episodio è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con un nuovo appuntamento assieme sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Due episodi fa ci eravamo chiesti se oggi fosse ancora un buon momento per investire, con le valutazioni azionarie americane a livello di dot-com bubble del 1999, l’oro che sta flirtando con i 4.000 dollari l’oncia e bitcoin sui nuovi massimi oltre i 125.000 dollari.
Per farla breve, la risposta era stata “sì, ma”.
– Sì perché è impossibile dire di essere in una bolla e quando il mercato stia per iniziare una correzione; e sì perché in generale stare sempre investiti ha un rendimento atteso maggiore che fare dentro e fuori;
– Ma, invece, perché elevate valutazioni e dilagante propensione al rischio in tutti gli anfratti del mercato è solitamente un segnale che induce un pizzico di cautela. Alcune delle più grandi crisi apocalittiche del passato sono scaturite da lunghi periodi di straordinario entusiasmo ed ottimismo.
Se quindi uno si apprestasse oggi a entrare finalmente sui mercati finanziari con i propri sudati risparmi, lo incoraggerei certamente ad investire!
Ovviamente non c’è solo “investire” o “non investire”.
C’è modo e modo di farlo.
I principi generali che gli suggerirei oggi sono gli stessi del 2023 e del 2024.
– Se deve iniziare ad un investire con un PAC — cioè — rischio veramente molto diluito perché qualunque cosa succeda nei prossimi 12-24 mesi impatterà poco sul valore finale della sua ricchezza;
– Se invece deve invece investire i risparmi di una vita gli consiglierei di fare qualche riflessione un po’ più approfondita intorno al set di consigli con cui avevamo chiuso quell’episodio.
Questo set prevedeva delle cose di buon senso e come sempre più orientate al risk management che non alla massimizzazione del rendimento:
– Diversificare il portafoglio sia a livello azionario, sia con asset alternativi a azioni e obbligazioni;
– Ribilanciare oltre le bande di tolleranza previste dal nostro piano;
– Fare un check sulla sostenibilità del nostro piano finanziario e dei nostri debiti;
– Considerare sempre il valore attuale del nostro capitale umano, quindi assicurarsi che il nostro reddito non sia instabile e correlato al mercato azionario — oppure se lo è attenuare il rischio del portafoglio e infine
– Ricordarsi dei motivi per cui si stava investendo.
Da quello che mi avete scritto, tuttavia, al termine dell’episodio vi è rimasto un sapore agrodolce in bocca.
Come se una nota pessimistica avesse prevalso sul sapore generale dell’episodio.
Beh, meglio così.
Vi preferisco più pessimisti e cauti che troppo ottimisti e dissennati — così facendo abbiamo salvato qualche vita (finanziariamente parlando).
Questo è invece l’episodio gemello, quello che invece spero vi restituirà un feeling — se non opposto — almeno complementare.
Come avevo già detto anche in passato, io ho un grande principio guida che ispira ogni decisione e comportamento nella mia vita: “SII PESSIMISTA NELLA TEORIA E OTTIMISTA NELL PRATICA”.
Che poi tradotto cosa vuol dire:
– Fatti mille pippe mentali cercando di immaginarti tutto quello che può andare storto e tieni sempre un atteggiamento consapevole del fatto che molto spesso nella vita le cose non vanno come vorresti. Mettiamola così: la possibilità del fallimento, il fatto che fallire possa essere un destino che mi riguarda con una certa probabilità, è la modalità di default su cui sono impostato.
– Ma allo stesso tempo sii ottimista nella pratica, cioè agisci come se tutto alla fine dovesse andare per il meglio.
È un po’ faticoso come principio guida.
Però per me funziona.
E si riflette sia nel modo in cui investo, sia nel modo in cui vi racconto la finanza.
Investite a lungo termine con il massimo ottimismo certi che alla fine le cose andranno bene.
Ma vivete nel breve termine con la massima consapevolezza che le cose, durante il tragitto, possono essere una merda pestata dietro l’altra.
Come investitore vivo con una fede incrollabile in due cose:
– Che da qui a 30 anni il mio patrimonio investito oggi sarà cresciuto in maniera significativa ma anche
– Che nei prossimi 30 anni ci saranno crisi, ansie, preoccupazioni, recessioni, inflazione, guerre, pandemie, dite una cosa sfigata che può capitare — ecco — capiterà.
Investire è un’esperienza prevalentemente spiacevole.
Paga perché c’è da sopportare una costante sofferenza.
Quindi nel continuum della mia esistenza cerco di immaginarmi ogni possibile scenario avverso per non farmi trovare completamente impreparato come l’ultimo pirla di questa terra.
Ma facendo questo, ciò che dà senso a tutto quel che faccio con i miei soldi ogni giorno è coordinato dall’obiettivo a lungo termine, in cui fondamentalmente so che, citando Alicia Keys,
“everyhing’s gonna be alright”
Andrà tutto bene.
Fatto questo preambolo, giustamente vi starete chiedendo: “quindi? Qual è il punto?”
Il punto è che proprio in questo momento in cui tutto sa di bolla come quando 26 anni fa mi accingevo a terminare la terza media e il calcio costituiva il 99% delle mie preoccupazioni, sentirete sempre più spesso e sempre più insistentemente parlare di bolla di qua, bolla di là, ogni giorno che passa.
Più i mercati vanno su, più sembrerà il segnale definitivo di un’imminente ecatombe finanziaria.
Che potrebbe anche essere, eh, nulla si può escludere.
Da qui ai prossimi 30 anni statisticamente ci aspettano almeno 5-6 bear market, di cui almeno uno potenzialmente da -40/-50%.
Il compianto Charlie Munger, partner di una vita di Warren Buffett, diceva: “se non puoi sopportare un 50% di perdita sui tuoi investimenti, otterrai il risultato mediocre che ti meriti”.
Investire in azioni è questo: alto rendimento atteso perché c’è tanta sofferenza da sopportare.
Teoricamente temporanea.
Ma nessuno ti dice mai quanto temporanea.
Né se il prossimo armageddon dei mercati comincerà nel 2025, nel 2026, nel 2036 o chissà quando.
Il punto fondamentale da cui partire però è nel non casuale titolo di quest’episodio: “LE BOLLE FINANZIARIE CAPITANO MOLTO MENO SPESSO DI QUEL CHE SI PENSA”.
Questo non vuole dire che sono certo che quella in cui stiamo vivendo non è una bolla.
Anzi, ha tutte le caratteristiche di una bolla e ormai anche i diretti interessati: Mark Zuckerberg, Sam Altman, Jeff Bezos e compagnia bella hanno confermato apertamente che l’ipotesi che l’AI sia una bolla è più che una possibilità.
Ma come capirete presto, statisticamente è improbabile — non impossibile, improbabile — che lo sia davvero.
Non solo.
Il fatto che tutti questi dicono che sia una bolla, forse rende questa bolla un po’ meno bolla.
Ma ci arriviamo, andiamo con ordine.
Nel 2016 un professore di Yale di nome William Goetzmann pubblicò un paper tanto semplice quanto interessante, che vi lascio in descrizione, dal titolo: “Bubble investing: Learning from history”, in cui si è messo a guardare dati di mercato di 21 paesi dal 1700 ad oggi.
Sono incappato in questo articolo perché Goetzmann ha scritto un articolo sul Wall Street Journal sul tema bolla/non bolla, richiamando il suo paper quanto mai attuale oggi.
Il suo obiettivo era quello di distinguere l’opinione soggettiva degli investitori rispetto a bolle imminenti — o presunte tali — e il comportamento effettivo dei mercati, scoprendo una divergenza impressionante.
Intanto, che cos’è una bolla? perlomeno nella definizione che usa Goetzmann per condurre lo studio.
Dicesi bolla un rialzo del mercato di almeno il 100% – cioè un raddoppiamento del suo valore si dice raddoppiamento? Boh va beh un mercato che raddoppia di valore] — in un orizzonte temporale piuttosto breve, 1-3 anni, seguito poi da un crollo dei almeno il 50% entro i 5 anni successivi.
Ok?
Quindi cresce del 100% in meno di tre anni e poi crolla di almeno il 50% entro 5 anni.
Come tutti voi sapete benissimo, che ormai dominate la matematica finanziaria meglio delle regole della nuova Champions, un asset che cresce del 100% e poi crolla del 50% torna esattamente al punto di partenza.
E ovviamente un asset che perde il 50% ha poi bisogno di fare +100% per tornare in pari.
La tragica crudeltà dei mercati.
La cosa fondamentale, però, è proprio la seconda parte, cioè il fatto che scenda di almeno il 50% entro 5 anni, perché altrimenti se la bolla non scoppia di brutto in un tempo relativamente breve non era una bolla, era semplicemente la normale volatilità del mercato.
La dot-com bubble di inizio 2000, da questo punto di vista, è stata una bolla quasi da manuale.
– L’S&P 500 toccò il picco il 23 marzo del 2000 a 1532 punti, poco meno di tre anni dopo i 766 punti toccati l’8 aprile del 1997. In meno di 3 anni il suo prezzo era effettivamente raddoppiato;
– Il 9 ottobre del 2002 toccò il fondo a quasi -50%, perché in effetti il tracollo si fermò a 776 (-49% quindi).
– Il collasso definitivo arrivò poi dopo la great financial crisis, quando il mercato precipitò fino al mefistofelico minimo intraday a 666 punti del 16 marzo del 2009.
Oggi è successo qualcosa di simile?
Non proprio.
Mentre sto scrivendo l’S&P è a 6.730 punti.
L’ultima volta che quindi è stato a 3.365, la metà dunque, era l’11 agosto del 2020.
Sono serviti più di 6 anni per raddoppiare.
Tantissimo intendiamoci, parliamo di un rendimento medio annuo che, compresi i dividendi, superano il 13% – una roba pazzesca se ci pensate.
Ma non un ritmo da bolla.
Per darvi la misura del confronto tra questi ultimi 5 anni e i 5 anni precedenti la dot-com bubble, quindi 1995-1999, beh, diciamo che la distanza è abissale.
Ammettiamo che quest’anno l’S&P chiuda a 7.000 punti, va, oggi mi sento ottimista.
Sarebbe un +19% da inizio anno, aggiungiamo un 1% di dividendi, +20%.
Dal 1 gennaio 2021 al 31 dicembre 2025 parleremmo di un +98%.
Dal 1 gennaio 1995 al 31 dicembre 1999 l’S&P 500 era invece cresciuto del 247%.
Un altro campionato.
Oggi c’è molta euforia, certo, ma questo vi dà l’idea del livello di esagerazione di quegli anni.
È già sicuramente tanto immaginarsi di raddoppiare i soldi in poco più di 5 anni.
Ma figuriamoci quanto poteva essere insostenibile l’idea di triplicarli ogni 4 anni.
Se quel ritmo di crescita si fosse mantenuto, oggi l’S&P 500 varrebbe probabilmente più di tutta la ricchezza mai creata nella storia dell’umanità.
Ma torniamo allo studio.
Una cosa molto interessante è una dimostrazione esemplare di come siamo portati, noi essere umani, a filtrare in maniera selettiva le informazioni, dando maggiore risonanza a quelle che sono accompagnate da un maggior impatto emotivo.
Guardando ai dati dal 1900 ad oggi — anzi in realtà lo studio guarda i dati fino al 2014, ma dato che non ci sono stati dei -50% negli ultimi anni possiamo estendere sino ad oggi — dicevo, guardando oltre ad un secolo di storia in 21 mercati globali, Goetzmann fa vedere che la probabilità che scoppi una bolla finanziaria in una qualunque finestra di 5 anni è appena dello 0,5%.
E questa è una di quelle classiche situazioni in cui invece la nostra percezione tende enormemente a sovrastimare la probabilità di un fatto avverso.
Insieme al premio Nobel Robert Shiller, Goetzmann scrisse un altro paper un paio d’anni fa in cui mostrò che negli ultimi 25 anni, dai sondaggi fatti periodicamente agli investitori americani è emerso che questi si aspettavano una crisi catastrofica nei 6 mesi successivi ad ogni sondaggio con una probabilità del 10-20% in media.
Cioè statisticamente le bolle hanno una probabilità dello 0,5% di capitare in un qualunque orizzonte di 5 anni, ma l’investitore medio si aspetta fino ad una probabilità su 5 di vivere una bolla nei prossimi 6 mesi!
Pazzesca sta roba.
Quanto siamo portati a sovrastimare la probabilità di eventi estremi solo perché hanno un maggior impatto sulla nostra immaginazione.
Questo è un esempio perfetto di quello che in psicologia si chiama *base rate neglect*: tendiamo a ignorare le frequenze storiche reali degli eventi rari e a sostituirle con le nostre percezioni emotive.
L’esperienza diretta — e forse le cicatrici — della dot-com bubble prima e della GFC dopo avrà certamente influito sul livello di pessimismo degli investitori.
Sono certo che se facessimo una survey a tutti coloro che hanno iniziato ad investire dal 2010 in poi, pochissimi si aspetterebbero crisi imminenti di continuo.
Questa cosa è coerente con il fatto che per esempio le persone sono in media più inclini a comprare un’assicurazione che protegga da un rischio tendenzialmente raro ma di cui si parla tanto, rispetto ad un’assicurazione generica che comunque proteggerebbe anche da quel rischio specifico — e questa cosa era stata ben documentata a inizio 2000 quando il terrorismo isalmico sembrava l’unica minaccia sulla terra e proliferavano le assicurazioni “contro la minaccia di terrorismo”.
Un’altra cosa molto interessante dello studio, invece, che forse ci interessa ancora di più perché può rappresentare un valido supporto per le nostre decisioni di investimento è la statistica su ciò che generalmente succede nei 5 anni successivi dopo che un mercato che è raddoppiato di valore.
– Circa nel 15% dei casi ha effettivamente subito un crollo di almeno il 50%
– Nel 26% dei casi invece ha addirittura nuovamente raddoppiato
– Mentre in tutti gli altri casi sono successe cose intermedie: a volte il mercato è salito, a volte è sceso, ma nessun tracollo.
In altri termini: un periodo di boom ha quasi il doppio delle probabilità di generare un altro boom rispetto allo scoppio di una bolla.
Per essere ancora più precisi la probabilità *condizionata* che un mercato crolli dopo un boom è solo leggermente superiore alla probabilità che crolli *in generale*. Cioè il fatto che un indice abbia appena raddoppiato non rende automaticamente probabile un collasso: la frequenza storica di una “bolla completa” ha una probabilità inferiore all’1**%** per qualsiasi finestra di cinque anni, mentre invece un collasso del 50% è meno probabile di un nuovo raddoppio.
Quindi la narrativa del “dopo un grande rialzo arriva sempre un grande disastro” è semplicemente falsa. È molto più probabile che un mercato forte continui a salire piuttosto che esplodere.
Tuttavia il nostro conflitto interiore tra un mercato che vediamo salire e la paura che improvvisamente crolli crea una sorta di paradosso esistenziale piuttosto interessante, che volente o nolente attraversa gli animi di ciascuno di noi.
I periodi di boom portano con sé sia grandissime opportunità di guadagni, sia innumerevoli fonti d’ansia.
Se ci pensate, l’ansia non viene solo durante i tracolli.
No no no.
La sadica crudeltà della finanza è che pure mentre le cose vanno bene tendiamo a preoccuparci delle crisi imminenti — anche se come noto il mercato ha previsto 9 delle ultime 5 recessioni, secondo la celebre battuta di Paul Samuelson.
Investire è difficile, l’abbiamo sempre detto.
Ma uno degli aspetti della finanza che rende investire molto difficile sono soprattutto le nostre distorsioni cognitive alimentate soprattutto da impulsi emotivi e sociali.
Del resto, il premio al rischio dell’azionario è un puzzle, un enigma, fin da quanto Mehra e Prescott scrissero il famoso paper nel 1985.
Questo premio al rischio è troppo alto e non è giustificato da alcun modello economico.
Servirebbe un’avversione al rischio incredibilmente elevata per giustificarlo.
Forse questo premio al rischio continua a persistere proprio perché i mercati non sono in grado di scontare fino in fondo la profondità dell’incertezza, della paura e dalla pessima comprensione delle leggi della probabilità che governa l’animo umano.
Io leggo ogni giorno il Wall Street Journal, il Financial Times, Bloomberg e una smitragliata di blog e newsletter.
Questi ultimi devo dire molto meno, sono generalmente più raffinati nelle analisi e generalmente più ottimisti.
I media tradizionali invece se non scrivono di crisi imminenti non sono contenti.
Non passa giorno senza un articolo che instilli ansia nell’investitore medio, di fronte alla prospettiva di un mercato azionario sopravvalutato, un debito pubblico insostenibile, la minaccia latente del private credit, l’oro in bolla e così via.
Però niente come comprenderne gli incentivi mostra chiaramente la reale intenzione di qualcuno.
Un media finanziario vende soffiando sul fuoco di presunte cattive notizie.
Nell’ottobre del 2025 mentre sto registrando, sto ancora aspettando la famosa recessione praticamente certa annunciata alla fine del 2022.
Oh, io aspetto.
Non è che ho tutta sta fretta del resto.
Ma — chiedo per un amico — non è che alla fine non viene?
Peter Lynch, lo straordinario gestore del Magellan Fund di Fidelity, per distanza il Messi degli asset Manager, il più grande gestore di un fondo comune di investimento di tutti i tempi, tra i suoi mille straordinari aforismi ne consegnò uno ad imperitura leggenda quando disse che in media vengono persi molti più soldi preparandosi alle crisi, che non nelle crisi stesse.
Sicuramente c’è del vero dal punto di vista comportamentale in questa affermazione.
Ma spesso è vera anche nei fatti.
Sam Ro di Tker e Yahoo Finance domenica ha scritto un pezzo in cui ha fatto notare che nel dicembre del 1996, quando l’allora capo della Fed Alan Greenspan fece il famoso discorso sull’euforia irrazionale, sostenendo che il mercato fosse in bolla e sopravvalutato, effettivamente ebbe ragione.
Ma… con due grandi ma:
– Il primo è che il mercato continuò comunque a crescere fino al marzo del 2000 e furono 4 anni sensazionali come abbiamo visto;
– Il secondo è che quando fece quel discorso l’S&P 500 era a 749 punti mentre quado il mercato toccò il fondo, nell’ottobre del 2002 appunto, si fermò a 776.
Greenspan ebbe fottutamente ragione.
Ma in finanza non basta aver ragione.
Bisogna aver ragione con incredibile tempismo.
Altrimenti all’investitore che fosse uscito nel ’96 dando retta a Greenspan sarebbe paradossalmente andata peggio che a quello rimasto investito lungo tutta la dot-com bubble.
Certo — sto ignornando situazioni di investimento progressivo e sequenza dei rendimenti, ma adesso non complichiamoci la vita.
Il punto è: anche chiamare correttamente le bolle non è detto che faccia bene al portafoglio.
Puoi fare come quelli che su LinkedIn ogni 10 minuti sbattono lì in un bel post un grafico a caso spacciandolo per la prova defintiva dell’insostenibilità del mercato e bullandosi del fatto che con le loro strategie sono immuni a qualunque crollo.
Potrebbe essere verissimo.
Ma il costo di saltarsi tutti i crolli è un rendimento mediocre.
Quello che si meritano.
Riposa in pace grande Charlie.
Per non parlare poi del secondo problema cronico del market timing.
Chi è molto conservativo, e appunto vende tutto e si salta la bolla, ammesso e non concesso che lo faccia al momento giusto, poi è difficilissimo che rientri.
Dopo che hai scampato un crollo di mercato, nel mercato non ci entri più.
Ora, oggi ci sono sicuramente una serie di motivi per cui il mercato azionario può apparire piuttosto caro e quindi potenzialmente più esposto ad una correzione.
E questo l’abbiamo detto tante volte.
Però ci sono anche una serie di cose che obiettivamente fanno assumere un’altra prospettiva.
Quando uno vuole un punto di vista bullish del mercato, non esiste persona migliore del nostro Ed Yardeni, un permabull duro a morire che dagli anni ’70 ad oggi non ha perso fede nel mercato azionario a stelle strisce per un solo secondo.
E ovviamente ha avuto in media molto più ragione di tutti i permabear profeti di sventura che hanno sempre fatto tanta notizia, venduto tanti libri e tanti corsi (ciao Robert Kiyosaky), ma in media hanno azzeccato una previsione su 20 se va bene.
Negli scorsi giorni il buon dottor Ed ha scritto un articolo dal titolo “A bubble in bubble fears”, una bolla nelle paure di una bolla.
In parole povere la sua acuta osservazione si ricollega a quello che dicevo all’inizio, sul fatto che non è poi così un male che anche gli addetti ai lavori parlino di bolla: quando la dot-com bubble si stava gonfiando nel 1999 pochissimi parlavano di bolla. Certo, Robert Shiller pubblicò Irrational Exhuberance a inizio 2000 con un tempismo clamoroso. Cliff Asness scrisse nel 2000 il paper Bubble Logic mettendo nero su bianco la sua convinzione che i prezzi assurdamente alti del mercato sarebbero collassati, Howard Marks scrisse il famoso memo bubble.com nel gennaio 2000 e persino Jeremy Siegel, il super ottimista professore di Princeton e autore di Stocks for the Long Run, sempre nel 2000 scrisse sul Wall Street Journal che il mercato era sopravvalutato.
Ma a parte questi e pochi altri geni illuminati — tra cui ovviamente Warren Buffett — non si parlava tanto di bolla.
Anzi.
L’idea dominante era che la new economy avesse nuove regole e che i fondamentali della finanza non si applicassero a questa nuova economia iperscalabile dominata da internet.
Mmmhhh
Not really.
A sto giro invece si parla tantissimo di bolla dell’AI.
Tanto che il Google Search index per “Ai bubble” è passato da zero a metà settembre a 100 a inizio ottobre.
Cosa ci dice questa cosa?
Ci dice che quando tutti parlano di bolla è meno probabile che una bolla stia per scoppiare rispetto a quando nessuno parla di bolla.
Esattamente come quando Yardeni chiamò con perfetta puntualità la risalita del mercato americano dopo il liberation day, dopo che l’Economist fece 4 copertine di fila su Trump e sul presunto collasso imminente dell’economia americana.
Vi ricordate l’aquila tutta ammaccata e la scritta ancora 1361 giorni (sottinteso: prima che finisca la presidenza di Trump).
Ne avevamo parlato, qualcuno se lo ricorderà.
C’è chiaramente una serie di bias cognitivi molto forti che sovrastano le nostre decisioni, soprattutto se le prendiamo con la pancia invece che con la testa.
– Da un lato c’è il cosiddetto bias di disponibilità: ricordiamo i disastri molto meglio di un lungo periodo di lenta e costante crescita.
– Dall’altro c’è la funzione selettiva della nostra memoria che costruisce delle storie coerenti filtrando le informazioni che supportano una certa tesi, in particolare se sono associate ad un particolare impatto emotivo.
È noto, per esempio, che chiunque abbia almeno la mia età si ricorderà molto meglio dove si trovava l’11 settembre 2001, quando abbiamo vinto i mondiali nel 2006, il 6 marzo del 2020, quando venne ufficialmente chiusa l’italia per il covid e in altri momenti topici, che non cosa ha mangiato giovedì scorso.
Abbiamo una capacità limitata di trattenere e interpretare le informazioni e siamo più portati ad agganciarle ad un’unica storia coerente.
– AI assomiglia ad Internet? Sì
– Il mercato aveva toccato il CAPE Ratio di 40 nel 99 come oggi?
– Bom, a posto, la storia si ripete. Punto.
Ovviamente non è così semplice.
E poi bisogna dire un’altra cosa.
Al suo intervento alla tech week di Torino durante la sua luna di miele in Italia, Bezos ha detto che questa ha tutta l’aria di una “industrial bubble” di una bolla industriale, non di una bolla finanziaria.
Potrebbe aver colto nel segno.
Gli investimenti stratosferici in datacenter per sostenere la capacità computazionale dei large language model rischiano seriamente di andare fuori controllo, così come era stato per il boom delle ferrovie a inizio ‘900 o i milioni di chilometri di infrastrutture di rete negli anni ’90.
Quando le bolle sono scoppiate miliardi di dollari sono stati persi dagli investitori.
Ma le infrastrutture sono rimaste e nel lungo termine hanno portato un saldo netto in termini di innovazione e soprattutto di creazione di ricchezza.
I grandi vincitori di internet di oggi non ci sarebbero senza la bolla degli anni ’90.
La Legge di Amara è incredibilmente precisa:
– Nel breve termine le innovazioni tendono a deludere perché alimentano aspettative eccessive
– Ma nel lungo termine tendono a sorprendere in positivo, perché alla fine dispiegano tutto il loro potenziale nascosto.
Ah sapete anche cosa non ci sarebbe oggi senza la bolla di internet del 2000?
Beh non ci sarebbe internet.
E senza internet non ci sarebbero i virus, i siti fraudolenti e la pubblicità ingannevole su internet.
E senza tutte queste cose non ci sarebbe NordVPN che invece protegge la mia connessione da tutto questo quando navigo in giro e mi devo attaccare a qualunque wi-fi trovo su treni, in albergo, nei coworking e così via.
E con Password manager tiene tutte le mie password al sicuro, così posso smetterla di usare Alex10capitano per qualunque cosa perché ogni altra me la dimentico.
Sul sito www.nordvpn.com/thebull o al link che trovate in descrizione potete attivare NordVPN per due con uno sconto esclusivo talmente aggressivo che sa di bolla pure questo e 4 mesi extra in regalo.
Il contenuto che avete appena sentito è sponsorizzato da NOrdVPn e non uso la password Alex10capitano da un pezzo.
O almeno credo.
Spe fammi controllare un attimo va…
Quindi dicevamo, bolla può essere bolla.
Ma non è detto che sia fine a se stessa e che non porti benefici a lungo termine in ogni caso.
Diverso è il caso di una bolla finanziaria come fu la Great Financial Crisis.
Quella lasciò solo morte e distruzione.
Era stato un gigantesco castello di carta soffiato via non appena il vento si alzò.
Ha avuto effetti devastanti sull’economia reale, sull’indebitamento globale e probabilmente anche sull’incremento della disuguaglianza sociale, soprattutto negli Stati Uniti.
Le bolle che invece incentivano l’innovazione e l’umano ingegno sono un male — certo — ma non tutto il male vien per nuocere.
Insomma a volte le bolle scoppiano perché le cose scappano un po’ di mano.
Ma c’è quasi sempre una tesi razionale dietro, che alla lunga tende a prevalere.
Infine un’ultima considerazione, per dare a Cesare quel che è di Cesare.
Nel 99 c’era un enorme ricorso alla leva, al debito, per finanziarie i progetti legati alla internet economy, come si chiamava allora.
Le sole Google, Meta, Amazon e Microsoft potrebbero spendere oltre 400 miliardi di dollari quest’anno in capital expenditure, in larga parte per finanziarie progetti AI.
Ma di tasca propria.
400 miliardi di dollari.
Il PIL della Danimarca.
Tutto finanziato con i gargantueschi profitti che derivano dai cosiddetti cash-cow di quelle società, cioè linee di business consolidate che producono cassa in maniera relativamente costante:
– Il business pubblicitario e quello Cloud di Google
– Il business pubblicitario di Meta
– Quella macchina stampa soldi da oltre 30 anni chiamata Microsoft Office, più il business Cloud di Microsoft Azure
– E i profitti di Amazon derivante dall’ecommerce, anche se paradossalmente non molti, ma soprattutto il ricchissimo business del cloud di AWS.
C’è puzza di bolla.
Ma almeno lo fanno con i propri soldi.
Intendiamoci – se le cose vanno male sono cazzi per tutti noi che abbiamo un bel tocco del portafoglio esposto a queste aziende e all’S&P in generale.
Ma almeno il fatto che questi progetti non sembrino finanziati a debito riduce i rischi sistemici.
Attenzione!
Non è che improvvisamente mi sono dimenticato di tutto quello che da mesi diciamo sul valore predittivo delle valutazioni azionarie: prezzi sempre più alti pongono le basi per rendimenti futuri che in maniera quasi meccanica saranno tendenzialmente più bassi.
Ma questo è ben diverso dal dire che valutazioni alte preludono allo scoppio di una bolla.
Soprattutto nel breve.
Nel breve, qualunque considerazione lascia il tempo che trova.
Anzi probabilmente nel breve termine, diciamo da qui ad un anno, ci sono più dati statistici incoraggianti che non il contrario.
Ve ne dico tre.
NUMERO UNO: molto raramente l’S&P 500 raggiunge il picco dell’anno a settembre o ottobre.
Pensate invece che negli ultimi 45 anni, l’S&P ha raggiunto l’ultimo massimo dell’anno solare a dicembre ben 24 volte.
Quindi più di metà delle volte il mercato conclude l’anno in grazia, con il Santa Claus Rally.
Solo 4 volte questo è successo a Ottobre e solo altre 4 a Novembre.
Il secondo mese più frequente è invece gennaio, 5 volte.
Se proprio devo scommettere su un cambio di rotta del mercato, sarei portato a dire che finirà il 2025 in bellezza per poi prendere qualche legnata con l’anno nuovo.
NUMERO DUE: i primi 9 mesi sono stati piuttosto positivi per l’S&P, nonostante il liberation day e tutto il resto. Con il rafforzamento dell’euro noi non lo vediamo, ma in dollari l’S&P ha chiuso settembre in crescita di quasi il 14% rispetto al 31 dicembre.
Negli ultimi 75 anni il mercato è cresciuto di oltre il 10% nei primi 9 mesi 31 volte e quando è successo l’ultimo trimestre dell’anno è stato a sua volta positivo sempre tranne in 5 casi, di cui l’unico grave è stato il 1987, quando nel solo 19 ottobre l’S&P perse oltre il 20% nella più folle seduta di sempre.
Inoltre Settembre è stato un mese di nuovi massimi, cosa molto più insolita dato che questo è storicamente il mese peggiore dell’anno.
Abbiamo avuto 8 all time high, da questo punto di vista è stato il 4° miglior settembre di sempre.
Quando c’è stato un all time high a settembre il mercato ha chiuso in positivo anche il quarto trimestre nel 90% dei casi.
Messe insieme le tue cose c’è una probabilità superiore al 90% che l’anno finisca bene.
Non vuol dire che succederà, ma statisticamente le probabilità depongono a favore di questo esito.
Veniamo infine al
NUMERO TRE: con settembre abbiamo avuto 5 mesi di fila di crescita dell’S&P.
Questo è tradizionalmente un segnale molto positivo per 12 mesi successivi a quando accade.
L’S&P 500 ha fatto 5 mesi di crescita continua altre 31 volte dal 1950 ad oggi.
30 volte su 31, a un anno di distanza il mercato è stato più alto in media di circa il 12%.
L’unica volta che questa cosa non è accaduta è stato nel 2022: ci sono volute la più grave impennata dell’inflazione dai tempi di Nixon e la Guerra in Ucraina per interrompere questo track record quasi perfetto.
Anche qui, stando a questa statistica, c’è il 93% di probabilità che a ottobre del 2026, mentre sarò qui a registrare l’episodio 360, l’S&P 500 sarà più avanti di oggi — e per la precisione, intorno ai 7.500 punti. Stando alle stime di Factset, probabilmente parleremo di un rapporto tra prezzo e utili attesi intorno a 25, al di sopra del livello dot-com bubble.
Ma di questo ne parleremo nel caso l’anno prossimo.
Takeaway finali prima di lasciarci.
UNO: adattare il rischio del portafoglio in base alle valutazioni dei mercati è cosa buona e giusta. Ma adattare è una cosa, scappare via è un’altra.
Per me ci sta che — a parità di altre condizioni nella mia vita — la mia esposizione azionaria sia gradualmente inferiore (o non maggiore) man mano che i prezzi salgono, ma più perché mi aspetto un rendimento di lungo termine più basso, che non perché credo che una bolla sia imminente.
DUE: diversificare le fonti di rischio del portafoglio non massimizza necessariamente il rendimento atteso, anzi probabilmente è il contrario.
Ma se per me il controllo del rischio è più importante del rendimento assoluto, allora ciò che voglio è diversificare in vari modi per provare a ridurre la dispersione dei possibili risultati del mio portafoglio.
Cioè diversifico a livello geografico, con i fattori, con i bond lunghi, forse con i bond indicizzati all’inflazione — ci sto pensando — e con l’oro perché, mettiamola così, sembra che ciò migliori il rendimento atteso aggiustato per il rischio.
E un portafoglio con un rendimento atteso aggiustato per il rischio maggiore rispetto ad un altro tende a generare un risultato terminale mediano maggiore, anche se ha magare un rendimento atteso minore.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che probabilmente non crescerà mai del 10% all’anno.
Ma aumenta le mie probabilità di stare più vicino, diciamo, ad un 6% che non ad un 2%.
TRE: repetita iuvant, la parte più importante della pianificazione finanziaria è fuori dal portafoglio.
Più che chiedervi quanto sa probabile il rischio bolla, chiedetevi quanto sia a rischio il vostro reddito si di bolla si sarà trattato.
– Se il rischio di mercato del vostro capitale umano, del vostro reddito da lavoro, è tutto sommato basso, paradossalmente potrebbe saltar fuori che il vostro portafoglio non è abbastanza aggressivo — ammesso ovviamente di avere un orizzonte temporale abbastanza lungo.
– Se invece il rischio di mercato del vostro lavoro è elevato, allora attenzione perché potete avere anche la massima tolleranza al rischio di questa terra, ma dovreste avere una preoccupazione al quadrato perché in uno scenario avverso non si tratterà di gestire solo un drawdown del portafoglio, ma anche una riduzione del vostro reddito, che è peggio
come dice il mio nuovo spirito guida quattrocchi da quando mia figlia si è misteriosamente appassionata ai cartoni dei puffi e mi tocca sorbirmene mezz’ora al giorno.
Bene amici miei, su con la vita, viva le bolle! E viva soprattutto il fatto che non sono così probabili.
E fu così che il giorno dopo quest’episodio collassò il mercato…
Scherzi a parte, spero che l’episodio vi sia piaciuto e che vi abbia dato le lenti giuste per guardare la situazione in cui ci troviamo, con tutta la serenità e consapevolezza del mondo.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast e a iscrivervi al canale youtube per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi parlano di bolle perché più si parla di bolle meno scoppiano sempre nuovi.
Venerdì 10 usciranno due nuovi video su YouTube su due temi a cui tengo tantissimo, l’investimento fattoriale e come vivere di rendita, quindi non perdeteveli!
Grazie infine per l’accoglienza per il mio nuovo libro, Investire senza dubbi, che finalmente Amazon ha rimepito i magazzini quindi se lo comprate oggi vi arriva quasi ovunque il giorno di uscita, il 14 ottobre, mentre fino a qualche giorno fa serviva una settimana in più.
E per chi vorrà ci vedremo il 14 a Milano con Mariangela Pira, il 16 a Bologna e il 22 a Roma con Mirko Giustini del Corriere dalla Sera.
Ultimo annuncio, nel pomeriggio del giorno in cui questo episodio verrà pubblicato io starò intervistando un ospite pazzesco.
Anzi.
Pazzesca.
Probabilmente la donna più famosa del mondo in finanza.
Preparatevi quindi ad una sorpresa inimmaginabile — per me almeno.
Fine degli annunci, per questo episodio è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con un nuovo appuntamento assieme sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025