La formula che spiega ogni cosa in finanza

C’è una formula che riassume tutto ciò che succede nei mercati finanziari: perché i prezzi salgono o scendono, come si formano i rendimenti e perché il rischio cambia nel tempo. In questo episodio inaugurale della nuova stagione video di The Bull, spieghiamo la formula fondamentale della finanza – quella che collega flussi di cassa, rendimenti attesi e prezzo degli asset – e come da lì derivano concetti chiave come il CAPE Ratio, il premio al rischio e la logica dell’asset allocation dinamica. Una puntata che parte dalla teoria per arrivare alle scelte pratiche: capire perché i mercati si muovono è il primo passo per imparare a investire con metodo.

Difficoltà
42 minuti
La formula che spiega ogni cosa in finanza

Risorse

Punti Chiave

Il punto di partenza conta: le valutazioni iniziali condizionano i rendimenti futuri.

I premi al rischio sono ciclici e condizionati da fattori macroeconomici e psicologici.

Il portafoglio deve considerare rischi futuri di mercato e personali (reddito/debito).

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

È una grande emozione fare quest’episodio perché dopo due anni e mezzo che mi sono sembrati una vita a fare podcast audio e dopo i 25 episodi speciali video che potete trovare sul canale youtube di The Bull, da oggi The Bull diventa ufficialmente Vodcast.

Chiunque utilizza Spotify o YouTube potrà vedere ogni singolo episodio, in cui oltre alla mia faccia che porta poco valore aggiunto, potrà vedere grafici, formule, file excel, articoli, strumenti e compagnia bella.

Chi invece utilizza altre piattaforme oppure usa Spotify ma la mia faccia gli sta sul caBIP]o, allora nessun problema, può continuare ad ascoltare la versione audio degli episodi che saranno perfettamente comprensibili anche solo con le orecchie.

Ho fatto 258 episodi così, che ci vuole.

Per inaugurare questa nuova stagione di The Bull Vodcast avevo mille temi in mente, ma alla fine, ho optato per il BIG ONE — per il tema più importante: LA FORMULA CHE SPIEGA TUTTO.

Sì forse è un po’ esagerato, non è che spiega proprio tutto.

Però è senza dubbio la formula più importante da conoscere perché rappresenta semplicemente il motivo per cui le cose sui mercati — come dire — vanno come vanno.

Cioè io per 258 episodi vi ho detto: ETF, portafogli, azioni, obbligazioni, oro, pippiripappapà… e ok.

Ma oggi voglio fare l’episodio unificante che mette assieme tutto e fa la radiografia al fondamento portante di tutti i discorsi che facciamo qui.

Promessa: la parola formula puzza di matematica.

E uno zichinin di matematica la nomineremo, ma solo perché altrimenti parliamo di aria fritta.

Però non serve avere alcuna conoscenza di matematica che vada al di là di quello che si impara alle medie.

Pronti?

Let’s go.

Allora, come abbiamo detto tante volte noi, Investire significa acquistare asset che generano flussi di cassa— che siano cedole, dividendi o canoni d’affitto. Quindi, fondamentalmente, obbligazioni, azioni e real estate.

Acquistare un asset che produce un reddito, un flusso di cassa, è la condizione necessaria perché un investimento possa dirsi … un investimento.

Tutto ciò che invece non produce flussi di cassa, quindi ORO, Bitcoin, Materie Prime, Orologi, Auto d’epoca, carte dei Pokemon, quello che vi pare, non sono investimenti: sono asset speculativi.

Questo non vuol dire che sia sbagliato investirci.

Anzi.

Però hanno un posto speciale nei nostri portafogli perché non sono investimenti in senso stretto, non sono asset che generano cash.

Fissato questo concetto, arriva la domanda delle domande — che si applica esattamente a tutte e tre le tipologie di asset di cui abbiamo parlato prima, anche se noi guarderemo solo OBBLIGAZIONI e soprattutto AZIONI, mentre il REAL ESTATE lo lasciamo in panchina perché sapete che qui non ce ne occupiamo.

Dicevo, la domanda delle domande è: QUANTO VALE OGGI UN CERTO FLUSSO DI REDDITO FUTURO?

Beh, qualche decennio fa la teoria finanziaria ha partorito la formula più importante di tutte, che è una bellissima e potentissima rappresentazione matematica del modo stesso in cui noi essere umani pensiamo ai soldi e proviamo certe emozioni rispetto ai soldi.

Abbiate fede che presto capirete cosa intendo.

Ma prima di addentrarci in questo breve viaggio, ringrazio lo sponsor dell’episodio di oggi che è Fineco, nota anche come la banca con cui quello di The Bull investe da sempre i suoi soldi.

Adesso capiamo cosa fa muovere i mercati, ma nel frattempo per investire sui mercati Fineco è da 25 anni il leader in Italia nel trading online e ha la piattaforma di investimento più completa per qualunque tipo di investitore.

Chi segue questo podcast e ha sposato il nostro approccio all’investimento a lungo termine, apprezzerà sicuramente la selezione di centinaia di ETF di IShares, Amundi, Xtrackers, Fidelity e Fineco asset management a zero commissioni e il piano replay, che permette di impostare un piano di accumulo automatico su non solo su ETF, ma anche ETC e ETN (caso mai cose come l’oro e bitcoin vi interessino).

Ed è possibile impostare il Piano di Accumulo su qualuqnue giorno del mese, una volta al mese, più volte al mese, una volta ogni più mesi, insomma — come meglio si adatta alle vostre esigenze.

Nella descrizione dell’episodio e qua da qualche parte sopra la mia testa trovate un link per attivare un conto completo dei servizi bancari a zero canone per 12 mesi, caso mai voleste un conto titoli cointestato con la vostra dolce metà, oppure un conto trading solo per investire con 60 operazioni gratuite, per i primi 6 mesi, solo per chi segue the bull.

La formula fondamentale della finanza dice che il valore di un asset, oggi che ci investo, equivale alla somma dei suoi flussi di cassa attesi diviso il rendimento che mi aspetto di ottenere da quell’investimento.



Chi sta guardando il video avrà visto una mostruosità matematica, ma in realtà è semplicemente un modo per dire che se io prendo tutti i flussi di reddito che quell’asset mi paga per esempio ogni anno e divido ciascuno di essi per il rendimento che mi aspetto di ottenere, ottengo il valore attuale di quell’asset.

Ma la ragione per cui questa formula è così potente è che non è semplicemente un modo per stimare il “fair value” di un titolo: è la lente attraverso cui si può leggere qualsiasi fenomeno finanziario.

– Le valutazioni azionarie? Sono il risultato di flussi di utili futuri divisi per il rendimento richiesto.

– Il prezzo delle obbligazioni? È la somma dei coupon futuri scontati.

– Il mercato immobiliare? È il flusso di canoni futuri diviso per il rendimento richiesto.

Vedremo tra pochissimo che capire questa relazione significa capire perché i prezzi cambiano, perché i rendimenti variano e come si forma il rischio.

Ricordiamoci che “scontare” il valore futuro di qualcosa al suo valore presente è esattamente l’operazione inversa a quando diciamo che se un certo asset rende x% all’anno tra tot anni varrà y.

Esempio semplice:

Se io investo 1.000 in qualcosa che rende il 7,2% all’anno, quanto varrà tra 10 anni?

Basta fare



Mille per uno più 7,2% elevato a 10, 10 anni, che fa circa 2000, così cogliamo l’occasione per ripassare la famosa regoletta del 72.

72 diviso il numero di anni ti dice di che rendimento annuo composto hai bisogno per vedere il tuo capitale raddoppiare.

Quindi 2.000 € il valore futuro dei miei 1.000 € di oggi.

Ma se io voglio fare il discorso inverso è chiedermi: “quanto valgono OGGI quei 2.000 € che avrò tra 10 anni?”

La risposta è molto semplice, dovrò fare l’inverso, ossia:



Però questo è vero se 7,2% è il rendimento che mi aspetto di ottenere.

Se invece il mio rendimento atteso è diverso, allora il valore attuale, oggi, di quei 2.000 euro nel futuro potrebbe cambiare molto

Attenzione che qua si capisce già il grosso della questione, che è poi quella che muove tutto.

Per esempio se per qualche motivo — e poi vediamo esattamente quali sono i motivi — sono disposto ad investire ad un rendimento inferiore, per esempio del 5% invece che 7,2%, allora il valore attuale di quei 2.000 € non sarà più 1.000 €, bensì 1227 €



Se sono disposto a pagare di più per ottenere lo stesso flusso di cassa, il mio rendimento sarà meccanicamente più basso giusto? è abbastanza intuitivo anche nell’esperienza quotidiana.

Al contrario se fossi disposto ad investire in quel particolare asset solo a condizione di ricevere un rendimento di almeno il 10%, avrete già capito che il suo prezzo attuale scenderà

— e per la precisione scenderà a 771 €.

Ora, due domande qui:

– La PRIMA: perché bisogna scontare un flusso di reddito nel presente? La risposta è che ovviamente i soldi nel futuro valgono meno dei soldi del presente, perché in mezzo ci sono rischio, incertezza e il costo opportunità di non disporre dei miei soldi ma di doverli investire.

– La SECONDA domanda però è: come si fa a sapere a quale tasso bisogna scontare un certo flusso di reddito? Eh e questa è una gran bella domanda, perché è l’interrogativo costante, che se ne accorgano o meno, di tutti gli investitori del mondo in qualunque momento, voi compresi.

Cioè voi non lo sapevate, ma ogni volta che comprate o vendete un ETF, un’azione o un’obbligazione, ogni volta che decidete la vostra asset allocation, ogni volta che cambiate opinione sulle vostre preferenze finanziarie e sulle vostre abitudini di consumo e addirittura ogni volta che cambiate lavoro, vi sposate, vi separate, fate figli o decidete di non farne, beh, in questi e tanti altri momenti voi state determinando i tassi di sconto del mercato senza rendervene conto.

Ma ci arriviamo tra poco.

Per ora fissiamo semplicemente il fatto che un investitore sconta un flusso di cassa atteso nel futuro ad un tasso che corrisponde al rendimento che richiede di ottenere per investire in quella cosa.

Semplifichiamo il macello della formula di prima e diciamo semplicemente che il valore presente di un asset, ciò che è espresso dal prezzo a cui lo acquisto oggi, è sempre il risultato di questa divisione ossia



A noi oggi interesserà parlare soprattutto di azioni, perché alla fine è quello l’asset che ci piace di più.

Però tutto il discorso secondo me si capisce molto meglio partendo dalle obbligazioni.

Quando compro un’obbligazione, il suo prezzo oggi è esattamente il valore della somma di tutti i flussi che riceverò, quindi cedole e rimborso finale, scontati da un tasso che corrisponde al rendimento dell’obbligazione, al suo yield to maturity.

È esattamente per questo che quando i tassi di interesse salgono il prezzo dell’obbligazione scende, perché il valore dei flussi futuri viene diviso per un tasso più alto e quindi valgono meno, però allo stesso tempo il rendimento futuro sale.

Al contrario quando i tassi scendono il prezzo sale, perché i flussi futuri valgono di più, però allo stesso tempo il rendimento futuro scende.

Con un’azione succede la stessa identica cosa, ma con tre differenze sostanziali:

– I flussi di cassa sono incerti, cioè non so quanti dividendi e buyback la società effettivamente pagherà — e se li pagherà;

– Non conosco il rendimento in anticipo;

– E infine non c’è un momento in cui il capitale mi viene rimborsato, ma il valore terminale dell’investimento è o quando rivendo l’azione oppure devo immaginarmi un flusso perpetuo di dividendi — a la Warren Buffet: compro un’azione e la tengo per la vita.

Con le obbligazioni si parla di “reddito fisso”, perché una volta che compro un titolo, se lo tengo fino a scadenza e l’emittente non fallisce, so esattamente quante cedole riceverò e più o meno quale sarà il mio rendimento a scadenza.

Dico più o meno perché il rendimento di un’obbligazione, il suo yield to matutrity, presuppone che io maturi interessi anche sulle cedole, cioè che le reinvesta con un certo interesse.

Però i rendimenti obbligazionari si muovono in continuazione, quindi in realtà le mie cedole potrei reinvestirle a tassi più alti o più bassi.

Comunque, pur con le differenze che abbiamo detto, obbligazioni e azioni (e real estate se ci interessasse) sono soggette alla medesima logica: il valore presente, il prezzo a cui oggi compro un asset, esprime il valore futuro dei flussi di cassa scontati dal tasso di rendimento che il mercato fissa ogni volta per investirci.

Ora, con le azioni diventa tutto molto più interessante perché abbiamo in effetti due variabili.

Abbiamo:

– Il NUMERATORE della formula: cioè le aspettative sugli utili futuri di una società e quindi di conseguenza sui dividendi e buyback. E poi abbiamo

– Il DENOMINATORE della formula: cioè le aspettative sui rendimenti futuri.



Quindi a questo punto la grandissima domanda da porsi è: ma il mercato azionario si muove perché cambiano le aspettative sui profitti futuri, sui dividendi e sui buyback delle società, quindi perché cambia il numeratore, OPPURE perché cambiano i rendimenti attesi, cioè il denominatore della formula?

Beh, nel 1986 Robert Shiller e John Campbell posero una pietra miliare nella storia della finanza con il loro paper “Il rapporto tra dividendi e prezzi e le aspettative sui dividenti futuri e i tassi di sconto”.



Usarono una brillante idea matematica su cui qui non ci addentriamo perché è un macello, però se a qualcuno interessa questa è passata alla storia come identità log-linearizzata di Campbell e Shiller.



Adesso a noi frega il giusto di tutto quanto, questa formula dice semplicemente che il rapportro tra prezzi e dividendi corrisponde approssimativamente alla somma attualizzata della crescita dei dividendi futuri meno i rendimenti futuri.

Ma l’unica cosa che ci interessa davvero e che con il loro colpo di genio matematico riuscirono a scomporre gli elementi che costituiscono il prezzo di un’azione e a identificare più chiaramente cosa determina la loro variazione nel tempo.

Qual è la conseguenza?

La conseguenza è questa:

– Se il dividend yield, cioè il rapporto tra i dividendi e i prezzi, o qualunque altra forma di payout, cioè il totale di dividendi, buyback e quindi di tutti i modi tramite cui una società usa i propri utili per restituire valore all’azionista, dicevo quindi se il rapporto tra i flussi di cassa e il prezzo è alto, allora le cose sono due:

– O il mercato non si aspetta molta crescita futura dei dividendi

– Oppure si aspetta che i rendimenti futuri cresceranno.

– Al contrario se il dividend yield è basso, allora:

– O il mercato si aspetta una crescita forte dei dividendi futuri

– Oppure si aspetta che i rendimenti futuri diminuiranno.

In termini semplici, Campbell e Shiller hanno scomposto il dividend yield principalmente in due parti:

1. La crescita futura dei dividendi e

2. Le variazioni dei rendimenti futuri richiesti dagli investitori.

La loro scoperta rivoluzionaria è stata chela crescita dei dividendi spiega pochissimo dei movimenti dei prezzi, mentre la maggior parte della volatilità dei prezzi di un’azione è spiegata dalle variazioni dei rendimenti attesi nel futuro, circa due terzi del totale. In altre parole, i mercati si muovono non tanto perché cambiano le prospettive economiche delle aziende, ma perché cambiamo noi — le nostre aspettative, la nostra percezione del rischio, la nostra disponibilità ad accettare un certo rendimento.

Invece la crescita o la contrazione degli utili di una società o del mercato nel suo complesso sono molto più contenute di quanto invece non sia schizofrenico l’andamento del mercato.

Questa era alla base dell famoso Volatility Puzzle sempre di Robert Shiller:



i prezzi delle azioni si muovono di più rispetto a quanto dovrebbero se uno guardasse solo le variazioni dei fondamentali.

Cioè se il mercato si muovesse in base a come cambiano le aspettative sui profitti futuri quando vengono pubblicati i dati finanziari che escono ogni trimestre, il grafico dell’S&P 500 o di qualunque altro mercato sarebbe molto più noioso e si muoverebbe molto poco.

Invece sappiamo bene che si muove di brutto e che c’è molta più volatilità e molta più attività di trading del dovuto se gli investitori guardassero solo a come cambiano gli unici dati oggettivi, cioè utili e dividendi.

La decomposizione di Campbell Shiller ha permesso di osservare che sono invece le variazioni dei tassi di sconto, ossia dei rendimenti attesi e del premio al rischio richiesto dagli investitori, a determinare le variazioni del prezzo delle azioni.

Quando era stato da noi John Campbell ci aveva confermato questa cosa


Ma perché questa cosa è così importante?

Perché in qualche modo l’identità di Campbell e Shiller è il “ponte matematico” tra la formula di cui stiamo parlando oggi, quella del Discounted Cash Flow, flussi futuri diviso rendimenti attesi, e la prevedibilità dei rendimenti a lungo termine del mercato.

Seguitemi un secondo.

Nei prezzi delle azioni, e in particolare nel rapporto tra Prezzi e dividendi o, più comunemente, nel rapporto tra prezzo e utili di cui parliamo sempre, si troverebbero già incluse delle informazioni fondamentali sul comportamento a lungo termine di un mercato.

Se il price-earnings ratio (P/E Ratio), il rapporto tra prezzi e utili di un mercato è elevato allora possiamo ipotizzare due cose:

– O che gli utili futuri cresceranno più rapidamente delle attese, il che però è mediamente poco probabile;

– Oppure che i futuri attesi saranno più bassi.

Quindi l’identità di Campbell & Shiller è il ponte che collega la teoria dei flussi di cassa scontati al mondo reale, dove i rendimenti futuri non sono costanti ma cambiano nel tempo.

E quindi questa è la dimostrazione rigorosa del fatto che le valutazioni contengono informazioni sui rendimenti futuri — cosa che è poi il fondamento principale alla base di un’asset allocation dinamica, che adatta l’esposizione azionaria nel lungo termine in base a come variano i rendimenti richiesti dal mercato nelle diverse fasi.

Cioè investirò di più in azioni quando il rapporto tra prezzi e utili e più basso e viceversa, come avevamo visto per esempio nell’episodio 230 o nel video su YouTube “La domanda più importante di tutte prima di investire”

E perché ha senso adattare l’asset allocation nel tempo?

Perché tutto quello che abbiamo detto è la base teorica che giustifica l’uso di metriche come il CAPE Ratio, o l’earnings yield come predittivi dei rendimenti futuri, ed è il cuore della tesi secondo cui i rendimenti — attenzione a questa cosa — non sono i.i.d., cioè non sono indipendenti e identicamente distribuiti ma variano in maniera relativamente prevedibile.

Cioè:

– Nel breve i prezzi si muovono secondo la teoria del random walk, casualmente — oppure, per dirla con un concetto ancora più tecnico:

AC/DC, dove però AC DC non sta per la mitologica band hard rock australiana, bensì per a ca**o di cane, cioè non seguono nessuna logica prevedibile che sia derivabile direttamente dai prezzi stessi.

Con buona pace degli amici trader all’ascolto che si divertono come pazzi a disegnare coloratissimi grafici pieni di candeline.

– Nel lungo termine invece, su orizzonti intorno ai 10 anni, le cose non stanno così, perché i prezzi rispetto agli utili hanno una correlazione negativa con i rendimenti futuri, proprio perché la parte più importante che guida i mercati sono esattamente le variazioni dei rendimenti attesi.

Prezzi elevati oggi tendono a predire rendimenti inferiori domani — e viceversa.

Per questo molto spesso facciamo dei ragionamenti in cui partiamo dal rapporto tra prezzi e utili di oggi e stimiamo i rendimenti futuri.

La premessa è esattamente che i rendimenti futuri sono parzialmente incorporati nei prezzi di oggi.

Prendiamo la metrica più famosa di tutte, il Cyclically Adjusted Price Earnings ratio, cioè il prezzo di oggi — solitamente di un indice di mercato come l’S&P 500, non di una singola azione — diviso la media degli utili degli ultimi 10 anni aggiustata per inflazione.

Se oggi questo valore per l’S&P 500 è 40, si capisce facilmente perché possiamo formulare una stima alla buona del rendimento futuro facendo uno diviso 40.

L’intuizione è questa, seguitemi.

– Se una società distribuisse tutti gli utili come dividendi, allora utili diviso prezzo darebbe esattamente il rendimento, come fosse un bond.
Esempio: se pago un prezzo che è 40 volte gli utili, uno diviso 40 fa 2,5%, quindi 2,5% sarebbe il mio rendimento reale

– Però le società non distribuiscono tutti gli utili, ma una parte li trattengono e li reinvestono nel proprio business.

– Il CAPE ratio è quindi una stima del rendimento reale futuro a condizione che gli utili non distribuiti vengano reinvestiti ad un tasso di rendimento uguale al costo del capitale — cioè: detta un po’ alla buona — uguale al rendimento di quell’azione sul mercato.

– Se però gli investimenti interni amplificano la profittabilità della società, cioè se la società fa un uso del capitale migliore di quello che farebbe l’azionista che riceve il dividendo e semplicemente lo reinveste comprando altre azioni, allora il CAPE ratio sottovaluta il rendimento futuro.

– Viceversa, se l’azienda brucia soldi in investimenti non profittevoli, allora il CAPE ratio sopravvaluta il rendimento futuro.

Però storicamente si è visto gli utili vengono reinvestiti con un rendimento mediamente superiore al costo del capitale — e in effetti il CAPE ratio è valido per indovinare la direzione dei rendimenti futuri, ma tende a sottostimarli.

C’è poi un terzo elemento oltre a dividendi e crescita degli utili: ossia le valutazioni, come varia il rapporto tra prezzo e utili, cioè quanto diventano più o meno care le azioni nel tempo.

Nel 2015 le stime basate sul CAPE ratio sui rendimenti dell’S&P 500 nei dieci anni successivi erano modeste — e tante volte abbiamo perculato questa cosa visto che le cose sono andate molto diversamente.

Però bisogna anche dire due cose:

– Nel 2015, con il CAPE Ratio intorno a 26, il rendimento reale atteso per i dieci anni successivi era poco meno del 6% reale. E invece poi il mercato ha fatto quasi 9,6% reale, tanto di più. Ma non è che ha sbagliato la direzione, ha solo sbagliato la quantità. E perché l’ha sbagliata? Beh, per l’altra cosa.

– Con tassi artificialmente bassi fino alla fine del 2021, da una parte non c’era alternativa, i bond rendevano zero e quindi se uno aveva soldi li metteva in azioni — c’era poco da fare; questo inevitabilmente ha un po’ gonfiato i prezzi e ciucciato rendimenti futuri; dall’altra questa enorme crescita del mercato americano è stata determinata sì un po’ da un elevato ritmo di crescita dei profitti, ma soprattutto dalla crescita dei prezzi.

Cioè cosa vuol dire?

Le previsioni del 2015 erano abbastanza sbagliate con il senno di poi.

Ma se guardiamo il motivo per cui si sono sbagliati tutti, poi dobbiamo anche farci delle domande sul perché e quindi su cosa aspettarci in futuro:

– Hanno sbagliato perché in realtà la crescita delle società americane è stata sana, organica e più scoppiettante del previsto o

– Hanno sbagliato perché per tutta una serie di motivi le valutazioni si sono gonfiate?



Beh ditemi voi che ne pensate: in 10 anni le azioni americane sono diventate più care di oltre il 50%.

Che è praticamente di quanto le stime basate sul CAPE nel 2015 hanno mancato il bersaglio.

Se al 6% reale stimato nel 2015 aggiungi un 50% ottieni 9%, quasi esattamente quello che è effettivamente stato fatto.

Il punto è: oggi, guardando ai prossimi 10 anni, cosa è più probabile secondo voi?

– Che le valutazioni crescano ancora di un altro 50% e che quindi nel 2035 avremo un CAPE ratio di 60?

– Oppure che al contrario si riducano e regrediscano verso la media?

– Oppure che restino più o meno dove sono?

La prima opzione non è impossibile ma mooolto improbabile.

È più probabile invece una combinazione delle altre due.

Nel 2015 le previsioni basate sul CAPE ratio si sono sbagliate di un bel pezzo, ma perché tassi a zero e altri fattori hanno fatto crescere a dismisura i prezzi delle azioni, facendole diventare in proporzione molto più care e quindi mettendo una zavvora sui rendimenti futuri.

Supporre che anche nei prossimi 10 anni succederà lo stesso e che i prezzi si gonfieranno altrettanto è invece estremamente più improbabile.

Attenzione che questo non vuol dire che per forza le valutazioni debbano scendere.

Possiamo anche ipotizzare che le valutazioni azionarie americane resteranno carissime per sempre.

Può essere che per enne motivi più che validi non si tornerà mai più al CAPE ratio di 30 anni fa.

Ma quando parti da valutazioni elevate i rendimenti futuri sono comunque più bassi.

Valutazioni alte = tassi di sconto bassi = rendimenti futuri bassi.

È una conseguenza quasi meccanica di ciò di cui stiamo parlando oggi.

Il rendimento azionario è:

Dividend Yield +/- Crescita degli Utili per azione +/- Crescita del rapporto prezzo/Utili

Anche se diciamo che l’ultimo resta immobile per sempre, il rendimento atteso è

E(r) = Dividend Yield +/- Crescita degli utili

Se io un certo flusso di utili e dividendi futuri lo compro ad un prezzo proporzionalmente più alto, inevitabilmente il mio rendimento futuro sarà più basso.

Ovviamente fatta salva qualche sorpresa spettacolare, per esempio sulla capacità dell’AI di generare profitti ad oggi inimmaginabili

Ora, quello che però bisognerebbe capire è perché i tassi di sconto, cioè i rendimenti attesi, variano nel tempo.

Perché nel 2000 erano bassissimi, nel 2009 altissimi e oggi nuovamente bassissimi?

Attenzione che adesso ci concentriamo sul perché variano NEL TEMPO, cioè perché i mercati vanno su e giù, ma poi parleremo anche del perché variano a livello TRASVERSALE, cioè perché alcune azioni rendono di più e altre rendono di meno.

La domanda è:

ma alla fine, ma che cacchio è sto tasso di sconto? Cioè cos’è che fa sì che il mercato si aspetta un certo rendimento in un dato momento e un altro rendimento in un altro momento?

Voi non lo so, ma non è che io mi sveglio al mattino e dico: mah sai, oggi sono ottimista e penso che il premio al rischio sia più basso, mi accontento di un rendimento minore per investire in azioni.

Invece se alla sera ho mangiato il tris di fajitas e ho i peperoni che alle 3:15 mi fanno vedere il demone sopra l’armadio di The Conjuring

Non è che poi al mattino alzo il mio tasso di sconto perché sono incazzato e mi sono bevuto quattro bustine di Gaviscon.

Da dove arriva sto rendimento atteso che fa ballare i mercati su e giù?

Beh diciamo che ci sono due cose.

LA PRIMA è abbastanza oggettiva e ovvia — ed è l’INTERESSE SENZA RISCHIO — il risk-free rate.

– Il tasso senza rischio duro è puro è quello a breve termine: un Treasury bill a 1 mese, lo short-term rate Europeo, cioè il rendimento in quel momento del mercato monetario.

– Se però sto valutando un investimento azionario, forse ha più senso considerare l’alternativa meno rischiosa che ho a disposizione con una duration paragonabile, come potrebbe essere un Treasury o un Bund decennale.

Se siamo negli Stati Uniti il tasso senza rischio di base dell’S&P 500 potrebbe essere ragionevolmente il rendimento di un Treasury decennale, oggi circa 4% –



perché è probabilmente questo rendimento che l’investitore ha in mente quando deve decidere se accontentarsi di un sicuro titolo di stato o assumersi il rischio di un investimento azionario.

Il problema però è soprattutto la SECONDA parte che compone il tasso di sconto BARRA rendimento atteso che è appunto: il PREMIO AL RISCHIO — cioè quanto in più mi aspetto che renda un investimento azionario rispetto ad un titolo di stato senza rischio di credito.

E il premio al rischio CAMBIA nel tempo — e questa è una delle grandi novità della finanza degli ultimi 30 anni rispetto alla teoria classica degli anni ’50 e ’60.

Nel suo celeberrimo paper dal titolo Discount Rates, del 2011


John Cochrane scrisse proprio che in passato si pensava che i rendimenti futuri fossero imprevedibili e indipendenti l’uno dall’altro, mentre ora tutta la ricerca sembra aver messo in luce che c’è una componente prevedibile nei rendimenti di azioni, obbligazioni, mercato immobiliare e altri asset che dipende principalmente dalle variazioni dei tassi di sconto, cioè dei rendimenti attesi.

Uno dei passaggi fondamentali del paper è che



nel 1970, cioè quando Gene Fama scrisse il paper che gli valse il nobel sull’ipotesi dei mercati efficienti, si pensava prezzi alti rispetto a utili e dividendi riflettesse l’aspettativa che utili e dividendi sarebbero maggiormente cresciuti nel futuro.

Invece questa cosa non si riscontra nella realtà.

Prezzi alti rispetto agli utili prevedono in maniera quasi meccanica bassi rendimenti futuri, perché il motivo per cui i prezzi salgono è proprio perché i tassi di sconto, cioè i rendimenti richiesti dal mercato e quindi il premio al rischio, scendono.

Da qui cerchiamo di capire due cose:

– La prima è perché si forma un certo premio al rischio;

– La seconda è cosa lo fa cambiare.

Possiamo pensare al tasso di sconto come alla rappresentazione dell’equilibrio di mercato in un determinato momento.

Non dimentichiamocela mai questa cosa.

Vendere e comprare asset finanziari richiede sembra una controparte che faccia esattamente l’opposto e che abbia tendenzialmente esigenze, preferenze, idee opposte alle mie.

Cioè, nel caso non fosse chiaro, ogni singolo mese, quando voi da bravi accumulatori comprate le azioni dell’MSCI World, o quello che è, dall’altra parte ci vuole qualcuno che le voglia vendere.

I prezzi si formano sempre nell’ambito di un equilibrio in cui acquirente e compratore sono implicitamente d’accordo sulla transazione, altrimenti la transazione non avviene.

Il premio al rischio è quindi il risultato di questa composizione di opinioni e preferenze soggettive dei diversi investitori che in momenti diversi hanno esigenze di investimento diverse.

Ci sono due concetti molto importanti qui.

Il primo è quello di Eterogeneità: ciascun investitore è diverso dalla media degli investitori.

– Non tutti valutano allo stesso modo i profitti futuri.

– Non tutti richiedono lo stesso premio al rischio.

– Non tutti reagiscono alle notizie nello stesso modo.

Il prezzo di mercato è il risultato di questa — diciamo così — “negoziazione” collettiva, che varia nel tempo, perché variano le condizioni personali di ciascun investitore e il quadro macroeconomico generale che porta a ragionare in un modo piuttosto che in un altro.

E questo discorso, come dicevamo prima, non vale solo nella serie temporale, cioè non influisce solo su come si muovono i mercati nel tempo, ma anche sul comportamento di specifiche tipologie di azioni

– Alcuni investitori pazienti preferiscono puntare su società value;

– Altri investitori tendono ad alimentare il momentum di certe società growth;

– Altri semplicemente comprano il mercato in generale.

Insomma, il fatto che ciascuno di noi abbia opinioni diverse, preferenze diverse, esigenze diverse, diversi livelli di tolleranza al rischio e diversi orizzonti temporali, fa sì che i premi esistano e persistano: perché diversi investitori valorizzano caratteristiche diverse.

Se vi ricordate quando avevamo parlato dei fattori nell’episodio 205 o nel video su YouTube Guida completa all’investimento fattoriale avevamo detto: “i fattori funzionano perché c’è qualcuno dall’altra parte di una compravendita che si prende dei rischi che la maggior parte non si vuole prendere o che si comporta in maniera diversa da come si comporta la maggior parte degli investitori”.

C’è una bellissima frase di morgan housel che dice: il mercato è razionale però gli investitori giocano ciascuno un gioco diverso dall’altro e ogni gioco sembra irrazionale a tutti gli altri che stanno giocando un gioco diverso da quello.

Molti dibattiti sulla finanza sono semplicemente persone che discutono su un certo argomento con diversi orizzonti temporali e diversi livelli di avversione al rischio.

Però non c’è solo il fatto che gli investitori sono diversi.

C’è anche e soprattutto il fatto che il contesto muta, le preferenze si modificano, il quadro macroeconomico cambia e tutto ciò definisce di volta in volta nuovi equilibri.

Il denominatore della formula, il tasso di sconto, è per così dire la rappresentazione sintetica di come in ogni momento tutte le diverse preferenze soggettive degli investitori e il quadro macroeconomico generale si combinano tra di loro e determinano di volta in volta un certo equilibro.

– Oggi il premio al rischio è basso perché la percezione del rischio è bassa e perché l’economia supporta una visione ottimistica del futuro; i prezzi salgono e i rendimenti futuri scendono;

– Nel 2009, o anche solo nell’ottobre del 2022, il premio al rischio era più alto perché la percezione del rischio era alta e perché lo stato dell’economia induceva una visione pessimistica: nel 2009 per la recessione, nel 2022 per l’inflazione; i prezzi scendevano e i rendimenti futuri salivano.

Questa grande spiegazione sul perché variano i prezzi di mercato non è però l’unica.

Quando era stato da noi Nicola Gennaioli nell’episodio 255 ci aveva spiegato che lui e Andrei Shleifer insieme ad altri sostengono di poter spiegare la variazione dei prezzi sui mercati azionari senza tirare in ballo le variazioni dei tassi di sconto, ma dando una spiegazione più comportamentale:

– Durante i bull market i prezzi salgono perché gli analisti finanziari tendono a sovrastimare i profitti futuri — mettendo quindi le basi per delusioni e rendimenti futuri inferiori;

– Durante i bear market invece i prezzi scendono perché la tendenza è a sottostimare I profitti futuri — mettendo quindi le basi per sorprese positive e rendimenti futuri superiori.

Se torniamo alla formula da cui eravamo partiti abbiamo semplicemente le due prospettive che arrivano allo stesso risultato:

– Secondo Campbell Cochrane le aspettative sul numeratore, sui profitti futuri si muovono poco, mentre il mercato è guidato principalmente



dalle variazioni del denominatore, dei rendimenti richiesti, dei premi al rischio che si formano nei diversi equilibri di mercato in diversi momenti tra diversi investitori;

– Per Gennaioli e Shleifer è invece il contrario. Sono le aspettative sui profitti futuri che esagerano sistematicamente in una direzione o l’altra, è il numeratore quello che conta.


I famosi greed and fear di Warren Buffett sono esattamente l’espressione di queste forze in gioco:


– L’avidità aumenta un po’ per iperottimismo sugli utili, un po’ per riduzione del rischio percepito e quindi del tasso di sconto;

– La paura aumenta un po’ per iperpessimismo sugli utili, un po’ per aumento del rischio percepito e quindi del tasso di sconto.

Nonostante la prospettiva delle due scuole di pensione sia complementare, entrambi convergono sulla stessa conclusione principale: in qualche modo i prezzi attuali hanno una modesta capacità predittiva sia dei rendimenti futuri di lungo termine, sia del ritorno in eccesso di alcuni fattori.

Questo ovviamente non permette di fare market timing, ma può dare un utile supporto per la pianificazione a lungo termine dell’investitore.

Oggi per esempio non possiamo dire con certezza:

– Gli utili attesi per l’S&P 500 sono SICURAMENTE gonfiati oppure

– I rendimenti attesi sono SICURAMENTE bassi.

E in generale non posso dire con certezza che investire oggi, in particolare sull’S&P 500, abbia un rendimento atteso inferiore che nel 2015.

Però la probabilità si sposta sempre di più man mano che le valutazioni salgono.

E quindi posso comportarmi di conseguenza, gradualmente, facendo due cose.

La PRIMA è banale: adatto la mia esposizione azionaria in maniera inversamente proporzionale alle valutazioni. Più crescono, più riduco — o almeno non la aumento, cosa che potrebbe succedere anche contro la mia volontà perché il portafoglio drifta verso l’asset class che sta andando meglio.

Come abbiamo detto in tanti altri episodi, ribilanciare quando un asset class eccede un certo valore soglia è un modo per controllare il rischio del portafoglio e in qualche modo per assecondare i trend di preve del mercato e cercare di intercettare le regressioni verso la media nel medio-lungo termine.

E poi in generale, i due corollari di questa cosa potrebbero essere:

– Aumento l’esposizione verso i fattori con valutazioni più basse e/o

– Aumento l’esposizione verso i mercati con valutazioni più basse.

E viceversa in circostanze opposte.

Non puoi aspettarti di indovinare con precisione i punti in cui il mercato cambia direzione.

Però sapere che comprare con CAPE RATIO a 40 implica rendimenti attesi più bassi rispetto che a 30 è un’informazione che puoi utilizzare per calibrare il rapporto tra rendimento e rischio del portafoglio.

E aggiungo — dà piece of mind: non mi interessa cercare a tutti i costi di prevedere l’imprevedibile.

Sapere che cosa sto pagando oggi per quei flussi di profitti futuri e quale rendimento implicito sto accettando è sufficiente per gestire con consapevolezza la mia pianificazione finanziaria, aiutandomi a prendere decisioni che non riguardano solo il mio portafoglio, ma tutti gli aspetti finanziariamente rilevanti della mia vita.

Questo mi porta alla SECONDA cosa.

Come abbiamo spiegato spesso la teoria classica del portafoglio è stata rivoluzionaria ma rimane piuttosto astratta, perché dice come dovrebbe essere un portafoglio efficiente in base ai rendimenti attesi dei diversi asset che lo compongono, alla volatilità attesa e alla correlazione attesa tra di essi. Ma si tratta di una soluzione atemporale — cioè vale nel singolo istante in cui viene elaborata e sempre ammesso e non concesso che le stime su rendimenti, volatilità e correlazione siano corrette.

Nei decenni successivi la ricerca di Robert Merton e ancora una volta di John Campbell ha cercato di andare oltre e di aggiungere un pezzetto che tenesse conto dell’evoluzione del portafoglio e dei possibili rischi futuri in cui sarebbe potuto incorrere — diciamo così.

Il nome tecnico di questa aggiunta è “hedging demand”, ma in sostanza significa più semplicemente che se il premio al rischio varia nel tempo e le valutazioni di oggi condizionano i rendimenti futuri — allora l’asset allocation del portafoglio dovrebbe tenerne conto.

La hedging demand è quindi quella parte del portafoglio che non scegliamo per massimizzare il rendimento oggi, ma per ridurre l’incertezza futura sul rendimento del portafoglio complessivo causata dai cambiamenti nello stato dell’economia, della psicologia degli investitori e quindi dai futuri equilibri di mercato.

Per esempio:

– Se temiamo che i tassi reali saliranno perché l’inflazione potrebbe acuirsi, allora un investitore potrebbe aumentare l’esposizione a obbligazioni indicizzate all’inflazione.

– Se invece temiamo che il premio al rischio azionario aumenterà per un deterioramento futuro dell’economia o addirittura una recessione, allora si possono avere in portafoglio asset come bond a lunga scadenza, oro o eventualmente managed futures, che sono solitamente poco correlati con le azioni.

– Ma l’accorgimento più importante riguarda soprattutto gli aspetti finanziariamente rilevanti della nostra vita esterni al portafoglio: su tutti il reddito da lavoro e il mio livello di debito e spese:

– Se il mio reddito è bond-like, stabile, sicuro e a bassa variabilità, e ho un livello di debito contenuto allora l’esposizione azionaria potrebbe aumentare a parità di altre condizioni;

– Se invece è equity-like, instabile, rischioso e altamente variabile, e ho un livello di debito significativo, allora l’esposizione azionaria dovrebbe essere ridotta, anche se sotto ogni altro punto di vista il portafoglio più efficiente direbbe altro.

Perché tutto questo è importante:

– Perché se i rendimenti fossero davvero indipendenti e del tutto casuali, non ci sarebbe una variazione del rischio dell’investimento nel tempo: il rischio di oggi è uguale a quello di domani.

– Ma se i premi al rischio cambiano nel tempo, con una componente prevedibile — sia essa per motivi fondamentali o psicologici — il rischio futuro non è lo stesso del rischio presente.

Questo crea spazio per strategie che riducono l’incertezza intertemporale.

In altre parole: la hedging demand è la conseguenza diretta dell’evidenza che i rendimenti sono condizionati dallo stato dell’economia, che porta il mercato a settare tassi di sconto più alti o più bassi o, secondo l’altra prospettiva, a fare stime più pessimiste o più ottimiste sugli utili futuri.

Capire questa logica ha delle conseguenze concrete:

– Inserire strategie o asset che performano bene quando il premio al rischio aumenta può migliorare il profilo rischio-rendimento complessivo;

– Se il tuo reddito è ciclico e legato allo stato dell’economia (cioè rischia di essere compromesso nello stesso momento in cui il mercato azionario va male), puoi trattarlo come una componente “azionaria implicita” e quindi ridurre l’esposizione al rischio equity nel portafoglio finanziario.

– Infine più lungo è il tuo orizzonte d’investimento, più la componente di hedging demand diventa importante. Per chi investe con orizzonti pluridecennali, ignorarla significa rinunciare a una parte fondamentale della gestione del rischio. E questo in un duplice senso:

– In certi contesti dovrò prendermi meno rischio di quanto pensavo

– In altri dovrò prendermi più rischio, perché ogni volta che io singolo investitori posso prendermi più rischio dell’investitore medio dovrei farlo per non lasciare rendimenti per strada — cosa che magari in futuro non potrò permettermi.

Con questo si conclude questo intenso viaggio nella formula più importante della finanza tutta.

Takeaway principali da portarsi a casa:

– UNO: Il punto di partenza conta: le valutazioni iniziali condizionano i rendimenti futuri.

– DUE: I premi al rischio sono ciclici e condizionati da fattori macroconomici e psicologici — non sempre investire in azioni ha lo stesso rendimento atteso.

– TRE: la variabilità non è solo temporale, ma anche trasversale — fattori funzionano perché catturano variazioni strutturali nei premi o sistematiche deformazioni nella nostra capacità di fare stime sul breve termine.

– QUATTRO: se i rendimenti non sono i.i.d. ma autocorrelati tra loro, il portafoglio non deve solo massimizzare il rendimento atteso in un dato momento, aggiustato per il rischio, ma anche possibili rischi futuri:

– Sia di mercato: ed è per questo che oltre ad azioni e obbligazioni investiamo anche in altre cose

– Sia personali: ed è per questo che considerazioni sul nostro reddito da lavoro e sul nostro livello di debito sono parte integrante dell’asset allocation.

Fine!

Potrei anche chiudere qua il podcast ☺

Scherzo, questo podcast esisterà finché ci sarà almeno un iscritto al canale — quindi mamma, papà grazie mille.

Per il resto spero che tutto questo vi sia piaciuto e l’abbiate trovato interessante e se anche così non fosse vi ringrazio se vorrete iscrivervi su Spotify, Apple Podcast o al canale YouTube, mettere like e attivare le notifiche che tanto è gratis che vi frega così da supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano formule universali che partono da equazioni in cui non si capisce niente e finiscono direttamente nelle vostre tasche sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo giovedì prossimo con un nuovo appuntamento assieme, sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024
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