È ancora il momento di investire in oro?
Nel 2025 l’oro ha vissuto una delle sue migliori performance di sempre, superando il 50% di crescita da inizio anno. Ma ha ancora senso investirci oggi? In questo episodio di The Bull analizziamo il nuovo ruolo dell’oro nei portafogli: non più solo bene rifugio, ma asset speculativo, protagonista della de-dollarizzazione globale e possibile nuovo pilastro del portafoglio modello 60/20/20.

261. È ancora il momento di investire in oro?
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull – il tuo podcast di finanza personale.
Non c’è storia, perlomeno nel momento in cui sto registrando questo episodio a metà ottobre, c’è un vincitore assoluto sui mercati globali, in questo pazzo 2025 che ci ha fatto vivere sconvolgimenti continui e una permanente sensazione di crollo di certezze e ridefinizione di nuovi paradigmi.
Questo vincitore assoluto, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, dello sviluppo senza precedenti delle capacità tecnologiche dell’uomo, della blockchain, dei computer quantistici, della robotica di mille altre innovazioni dirompenti, è semplicemente il metallo prezioso più vecchio della storia dell’umanità: l’oro.
Il 2025 si sta candidando ad essere il secondo miglior anno di sempre per il biondo metallo, il cui prezzo è salito di oltre il 50% da gennaio ad oggi.
Sorge quindi spontanea nella testa e soprattutto nella pancia di tutti noi la domanda: ma è ancora il momento buono per investire in oro? Oppure il treno è passato?
Proveremo rispondere a questa domanda in quest’episodio sponsorizzato da Fineco, nota anche come “la banca con cui quello di The Bull investe da sempre i suoi soldi”.
Adesso capiamo se investire in ora ha ancora senso, ma nel frattempo PER investire sui mercati finanziari Fineco è da 25 anni il leader in Italia nel trading online e ha la piattaforma di investimento più completa per qualunque tipo di investitore.
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Ovviamente è possibile scegliere il regime amministrato, così potete dimenticarvi che una volta all’anno bisogna pagare le tasse… che fa pure bene all’umore perché in effetti “pagare le tasse” non è esattamente un pensiero allegro.
Nella descrizione dell’episodio e qua da qualche parte sopra la mia testa trovate un link per attivare un conto completo dei servizi bancari a zero canone per 12 mesi, caso mai voleste un conto titoli cointestato con la vostra dolce metà, oppure un conto trading solo per investire con 60 operazioni gratuite, per i primi 6 mesi, solo per chi segue the bull.è
[ANDAMENTO STORICO DELL’ORO]
Solo nel 1979 fece meglio, in cui praticamente raddoppiò di valore in un anno, ma parliamo forse di un set di coincidenze più unico che raro: nel 1971 Nixon avevamo messo una pietra tombale sugli accordi di Bretton Woods, il prezzo dell’oro poté cominciare a fluttuare secondo logiche di mercato, vennero introdotti i futures sull’oro nel 75, ci furono gli shock petroliferi e l’iperinflazione che costrinse poi il leggendario capo della Fed di allora Volcker al più sanguinoso rialzo dei tassi di interesse, che superarono il 19% nel 1981.
L’allora uomo più odiato d’America viene oggi ricordato come forse il miglior capo della Fed di tutti i tempi, capace di resistere a enormi pressioni politiche e sociali di un’America in recessione che non accettava la scelta della Fed di dare priorità alla lotta all’inflazione invece che alla disoccupazione e al rilancio dell’economia.
Ma alla fine Volcker ebbe ragione – e nel 1982 iniziò quell’epoca stellare per l’economia e la finanza americana culminata nel 2021, prima che l’inflazione fece nuovamente la sua comparsa, aprendo probabilmente una nuova fase macroeconomica.
Questa pillola storica non è un ornamento dell’episodio di oggi, ma è rilevante se pensiamo invece ad una grandissima differenza tra quel momento e quello attuale e forse rappresenta un’importante chiave di lettura per gli anni a venire.
Cosa intendo?
Beh, allora la Fed scelse la strada dei tassi super alti per sconfiggere l’inflazione a qualunque costo.
Oggi, invece, sappiamo bene che la Fed è sottoposta ad una forte pressione politica per orchestrare una repressione finanziaria, cioè per tenere i tassi d’interesse bassi anche se i dati sull’inflazione mostrano una tendenza in risalita, non in discesa.
Le pressioni politiche sulla banca centrale e i timori di una sua possibile perdita di indipendenza sono già una prima chiave di lettura per comprendere questa assurda corsa dell’oro, che chiaramente si pone in contrapposizione ad un dollaro che perde valore se la sua banca centrale di riferimento è vista meno solida e l’inflazione resta una minaccia.
Poi, prevedere il comportamento di inflazione, banche centrali, tassi reali e la reazione di tutte le asset class e l’economia è una roba da far invidia all’astrologia, quindi non è che si possano formulare particolari ipotesi.
Però diamo uno sguardo al passato.
Questo è l’andamento dell’oro dal 1979 al 2001.
Il suo prezzo crebbe di oltre il sei volte in quattro anni alla fine degli anni ’70 e poi attraversò un lunghissimo periodo di declino, lasciando per strada circa il 60% del suo valore tra il 1980 e il 2021.
Guardiamo invece il percorso dei tassi di interesse della Fed:
Chi sta vendendo anche il video di quest’episodio avrà colto immediatamente il tema.
La progressiva disinflazione dal 1981 al 2000 e la conseguente discesa dei tassi di interesse dal 19% al 2,5% creò le condizioni ideali per il trionfo di azioni e obbligazioni.
Guardate come performò un portafoglio 60% S&P 500 e 40% Treasury decennali in quello stesso periodo.
Praticamente un portafoglio 60/40 rese solo poco meno di un 100% azionario.
Quasi 14% di rendimento medio composto all’anno.
In meno di 20 anni un investimento fatto nel 1981 si sarebbe moltiplicato più di 13 volte – e questo con il 40% del portafoglio investito in supersicuri titoli di stato americani.
In questo stesso periodo, fatto di tassi reali positivi, di forza del dollaro, di stabilità economica e geopolitca, l’oro finì nel dimenticatoio.
Poi successe qualcosa.
E forse da lì a poco, il destino dell’oro come asset finanziario cambiò per sempre.
Come abbiamo detto tante volte, l’oro è diventato l’asset class regina del terzo millennio.
Dal 2000 ad oggi la sua performance ha letteralmente sovrastato e umiliato persino quella dell’onnipotente S&P 500.
Più del 10% all’anno di crescita media composta per l’oro.
Poco meno dell’8% per l’azionario americano.
Ma perché è successa questa cosa?
Per quale diavolo di motivo un pezzo di metallo costoso da estrarre, costoso da conservare, che non paga interessi e non ha nessuna particolare funzione vitale all’interno dell’economia mondiale dovrebbe aver disintegrato l’indice che rappresenta l’eccellenza delle eccellenze dell’economia reale?
A questa domanda si può provare a dare un numero sterminato di risposte, il che è un buon indizio del fatto che nessuno ha una risposta particolarmente precisa.
L’unica cosa certa è che l’oro ha dimostrato molto spesso di essere la STESSA RISPOSTA ma a DOMANDE MOLTO DIVERSE in FASI STORICHE MOLTO DIVERSE.
C’è però sicuramente una costante interessante.
Guardiamo un secondo l’andamento dei tassi reali negli Stati Uniti.
Il pattern che si può rilevare è abbastanza chiaro.
Dal 1981 al 2000 i tassi reali sono stati sempre positivi, benché con un trend discendente, e l’oro ha contemporaneamente perso valore.
Dal 2001 in poi, invece, le politiche aggressive di quantitative easing per salvare il culo all’economia tutta, sia in America che negli altri Paesi occidentali, hanno portato a 25 anni di tassi quasi sempre negativi, in particolare durante la recessione post dot-com bubble e soprattutto nel decennio dopo la GFC, culminata le gigantesche manovre fiscali durante il Covid e poi l’impennata dell’inflazione nel 2022.
Questa è una prima risposta:
non è tanto vero che l’oro è buon rifugio contro l’inflazione, perché in realtà risponde in maniera non esattamente sincronizzata e tempestiva.
Però è probabilmente vero che tende ad apprezzarsi quando i tassi reali sono negativi, perché gli investimenti a basso rischio non sono in grado di proteggere il potere d’acquisto del denaro.
Però questa spiegazione non è sufficiente per giustificare un 10% di crescita media composta all’anno per ormai 25 anni.
E non spiegherebbe perché – nonostante questa performance straordinaria – l’oro abbia comunque vissuto anche un severo bear market in mezzo, arrivando nuovamente a perdere fino a più del 40% del valore.
Probabilmente la spiegazione più semplice è che non c’è nessuna particolare spiegazione fondamentale in grado di rendere conto del comportamento dell’oro.
C’è però una chiara tesi comportamentale.
La crescita dell’oro è strettamente correlata, storicamente, al livello di sfiducia economica e tensione generale a livello geopolitico.
E questa cosa è abbastanza macroscopica se confrontiamo il comportamento dell’oro e quello dell’S&P 500 dal 1972 ad oggi, che è perfettamente antitetico, benché entrambi abbiano esibito un chiaro trend verso l’alto.
Proviamo a scomporre questi ultimi 53 anni di storia alla buona in 5 blocchi:
L’oro ha sovraperformato massivamente l’azionario in 3 di questi:
1972-1981
2001-2011
2022-2025
Le azioni hanno invece sovraperformato negli altri due
1982-2000 e
2012-2021
Nel grafico che sto facendo vedere si nota che la differenza di performance tra le due asset class durante ciascun blocco è enorme – il che testimonia un livello di estrema decorrelazione tra i due.
Quest’ultima finestra, quella iniziata nel 2022 è un po’ un’anomalia, perché entrambe le asset class sono abbondantemente in positivo, anche se l’oro di più del doppio.
Però siamo all’inizio, chissà che magari da qui al 2032 questo quinto blocco non si sarà rivelato un altro grande decennio per l’oro e mediocre per le azioni.
[L’ORO COME FONDAMENTO ULTIMO]
Quando andavo a liceo e poi durante gli anni di università, prima che mi prendesse il morbo della finanza, imparai una celebre espressione che deriva dalla traduzione latina della famosa frase attribuita ad Archimede: datemi una leva e un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo.
Se mai Archimede avesse davvero detto questa cosa l’avrebbe detta in greco.
Ma poi “punto d’appoggio” è passato alla storia nella versione latina “ubi consistam” – concetto che poi è stato largamente utilizzato in filosofia, letteratura, teologia e tanti altri ambiti ogni qualvolta si volesse fare riferimento ad un fondamento sotto ai piedi, a qualcosa di fermo rispetto a cui tutto il resto avesse senso.
Il celeberrimo aforisma da t-shirt di Cartesio, Cogito ergo sum, Penso, dunque sono, era esattamente la rappresentazione di quell’ossessione tipica del pensiero occidentale di avere un fondamento, un punto fisso su cui piantare tutte le altre nostre convinzioni in maniera solida.
La migliore interpretazione sul comportamento dell’oro che mi viene in mente è questa.
L’oro è la sistematica risposta alla perenne domanda di “ubi consistam” che di quando in quando viene ai mercati, tipicamente ogni circa 10-15 anni.
Lasciamo Archimede e Cartesio e torniamo ai giorni nostri.
La corsa dell’oro nel 2025 è semplicemente senza senso – e si sono date le più disparate risposte, tutte giuste probabilmente, ma nessuna sufficiente:
UNO: Safe-haven anti-sanzioni: a partire dal congelamento – e oggi si parla anche di esproprio – di 300 miliardi di dollari di riserve russe presso banche occidentali dopo l’invasione dell’ucraina, le banche centrali non allineate al blocco americanocentrico hanno iniziato a vendere cose in dollari e comprare oro per avere un riserva di valore indipendente dal controllo politico degli Stati Uniti.
In quest’ottica il grande motore è naturalmente la domanda asiatica.
Nel 2025 la Cina ha importato oro a livelli record, superando le 1.000 tonnellate in un anno — più di qualsiasi banca centrale occidentale – e tra l’altro il dato potrebbe essere sottostimato, perché la Cina dichiara solo una parte degli acquisti per evitare di pompare il prezzo ulteriormente.
Il motivo è legato sicuramente alla volontà di de-dollarizzazione delle proprie riserve e di supportare il Renminbi come valuta internazionale alternativa.
Ma poi è anche una conseguenza del trauma conseguente il crollo del mercato immobiliare e di anni di controlli sui capitali, entrambi fattori che ha trasformato l’oro in una sorta di “conto corrente alternativo”: un asset tangibile, apolitico, facilmente liquidabile anche fuori dal sistema finanziario cinese.
In questo senso l’Asia — e non più l’Occidente — è oggi il principale compratore marginale del metallo.
DUE: Debasement valutario: per una serie di ragioni, tra cui la pressione politica americana sulla Fed e le iniziative di Trump volte, più o meno deliberatamente, a svalutare il dollaro, la valuta più importante del mondo potrebbe vivere un progressivo percorso di riduzione del proprio valore.
Inoltre e più in generale, forse sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di una resa dei conti globale dopo due decenni di espansione monetaria senza precedenti e di esplosione dei debiti pubblici di tutti i più grandi Paesi del mondo. Stati Uniti manco ve lo sto a dire, oltre 34 mila miliardi di dollari, 15 volte il PIL italiano, ma anche e soprattutto Giappone, ormai al 260% del PIL, la Francia, 130% e così via. Nemmeno il regno unito è messo benissimo, con una coperta fiscale molto corta.
Il problema di quasi tutti i Paesi occidentali è che non ci sono governi politici abbastanza forti per intraprendere riforme dolorose necessarie a ripristinare una certa disciplina fiscale, chiaramente al costo di tagli alla spesa pubblica, pensioni e così via.
O meglio, in America il governo è forte, lì è più un discorso di volontà.
Il modus operandi più diffuso invece è quello del “continuare a calciare in avanti la lattina”, cioè spostare il problema sempre più in là mettendo di volta in volta una pezza ai problemi contingenti, ma ingigantendo il problema strutturale più grande: la crescita economica e quella demografica dei Paesi occidentali sono troppo basse e per sostenere indefinitamente il peso dei debiti pubblici, che sembrano destinati più a salire che scendere nel futuro.
Per qualcuno l’oro è una risposta a questa roba, perché, come abbiamo detto qualche episodio fa, una soluzione infima per gestire il debito pubblico da parte dei governi è inflazionarlo: una progressiva svalutazione monetaria riduce meccanicamente il valore reale del debito.
Se l’oro invece è un asset reale, allora tende a muoversi in maniera contraria, è più va avanti il processo di debasement, più questo tende ad apprezzarsi come contrappeso.
Se i debiti non verranno ripagati, ma inflazionati, l’oro diventa il termometro della perdita di credibilità del denaro fiat.
E la corsa all’oro non sembra soltanto un fatto che riguarda gli investitori, siano essi privati o istuzionali.
Una terza risposta al motivo per cui l’oro è cresciuto tanto in questi anni è la prossima. Ossia la numero
TRE: Acquisti delle banche centrali di tutto il mondo, occidentali comprese.
Oggi la domanda di oro da parte delle banche centrali è un quarto della domanda complessiva.
Magari un domani inizieranno a comprare anche Bitcoin per motivi parzialmente analoghi, ma oggi non c’è dubbio che l’oro è il grande vincitore degli ultimi anni come, tra virgolette, come “valuta di ultima istanza” di un mondo sempre più frammentato, disallineato rispetto all’ecosistema imperniato sul dollaro e alla continua ricerca di ubi consistam perché “vai a sapere che cacchio succederà domani, siamo tutti qua che sembra che non aspettiamo altro che una crisi di proporzioni apocalittiche che farà crollare il castello di carta in cui per 50 anni, dopo la separazione tra dollaro e oro, ci siamo illusi di abitare”.
Personalmente non sono così pessimista.
Gli accordi di Bretton Woods sono stati terminati nel 1971, e sono esattamente 54 anni che sistematicamente qualcuno preannuncia l’imminente fine del mondo.
Magari accadrà eh, chi lo sa.
Però sono uno che per natura è molto poco sensibile alle profezie di sventura e molto fiducioso sul fatto che l’umanità tutta fa sì un sacco di casini, ma che su 8 miliardi di persone sul pianeta la maggior parte si sveglia alla mattina con l’intento di fare qualcosa di buono, non di far bruciare il mondo.
Attraverseremo sempre mille cazzi che dio ce ne scampi, ma ho un cromosoma nel mio corredo genetico con scritto sopra: “vai tra bro, alla fine andrà tutto bene”.
[L’INTRODUZIONE DEGLI ETF SULL’ORO]
C’è poi una quarta riposta che dobbiamo dare.
A partire dal 2004 c’è stato probabilmente un evento che ha un po’ cambiato i connotati all’oro, trasformandolo dalla barbara reliquia nella visione di Warren Buffett, ad un asset dotato di una nuova dignità finanziaria.
Nel 2004 è stato lanciato il primo ETF di SPDR sull’oro e da lì in poi l’accesso all’investimento in oro si è semplificato in maniera esponenziale.
Prima di fatto avevi principalmente due opzioni:
O compravi l’oro fisico – con tutto lo sbattimento che comporta per lo storage, la sicurezza, la frazionabilità e così via.
Oppure compravi futures sull’oro, che però non è altrettanto semplice rispetto ad un etf.
Nel loro recente paper Understanding Gold,
Claude Erb e Campbell Harvey hanno fatto vedere in maniera piuttosto eloquente come dall’introduzione del primo ETF sull’oro, effettivamente qualcosa è cambiato e sembra che il prezzo dell’oro, aggiustato per inflazione abbia intrapreso un trend ascendente pressoché in corrispondenza di questa novità.
Se questo è vero – e Campbell Harvey sono 15 anni che scrive paper sull’oro, quindi mi fido abbastanza ciecamente di quel che dice – allora ci sono due conseguenze.
Prima conseguenza: c’è stato un incremento strutturale di domanda che potrebbe aver alterato in maniera permanente il comportamento del prezzo dell’oro, il che potrebbe portare a due sotto conseguenze:
Una è che c’è un supporto sistematico più forte al suo prezzo, perché è aumentata in maniera permanente l’adozione nei portafogli;
Il secondo è che un prezzo via via più elevato potrebbe ovviamente avere una correlazione negativa ai rendimenti futuri.
Non saprei dire, sinceramente, quale delle due forze in gioco pesi di più nell’equazione.
Però intanto c’è da rilevare questo potenziale mutamento strutturale nell’asset class rispetto a come ce la siamo sempre raccontata a partire dagli anni ’70.
La seconda conseguenza invece è ancora più interessante, perché riguarda la correlazione dell’oro con le altre asset class.
Il paper fa vedere come è composta la domanda globale di oro.
In pratica abbiamo:
Circa 44% nella gioielleria – e qui chiaramente c’è una correlazione negativa con il prezzo dell’oro, perché la domanda tende a scendere quando il prezzo dell’oro sale;
Circa 23%, come dicevamo prima, è la domanda da parte delle banche centrali – e anche loro tendono a comprare oro un po’ meno quando il prezzo sale, ma non in maniera così marcata come per la gioielleria;
Circa il 7% è per uso industriale, con una correlazione pressoché neutra con l’andamento del prezzo; e infine abbiamo ben
Il 26% che è la domanda di investimento, di cui una parte sempre più significativa in ETF e basti pensare che nel primo trimestre di quest’anno gli ETF sull’oro hanno rappresentato il 17% della domanda complessiva.
L’oro come investimento – e questa è la cosa più interessante – ha una correlazione elevata con il suo prezzo, quasi 0.7.
Ciò significa che gli investitori tendono ad aumentare la domanda di oro man mano che il suo prezzo sale, cioè sono prettamente price chaser, inseguono il trend di prezzo.
C’è un evidente correlazione tra la domanda di oro tramite ETF e la variazione di prezzo dell’oro:
Questo però solleva un tema proprio sulla natura dell’oro come asset di investimento, perché forse siamo convinti di comprare una cosa e in realtà si tratta di un’altra, almeno parzialmente.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che l’oro sta assumendo sempre di più una dimensione speculativa, a fianco del suo ruolo di asset di riserva contro [inserisci minaccia apocalittica del momento].
Di fatto la finanziarizzazione dell’oro potrebbe aver parzialmente modificato il suo comportamento sui mercati.
Da un parte resta un asset, diciamo così, di sicurezza e protezione, ma dall’altro ha sviluppato una componente speculativa.
[L’ORO COME BITCOIN FISICO]
Il 14 ottobre mi trovavo con Mariangela Pira alla presentazione a Milano del mio libro e Mariangela mi ha fatto una domanda sull’oro e su questo suo comportamento un po’ incomprensibile, ormai proiettato oltre i 4.200 dollari, almeno mentre sto registrando.
Il mio commento, tra il serio e il faceto, è che se fino a poco tempo fa parlavamo del Bitcoin come “digital gold”, il comportamento dell’oro quest’anno sembra più quello di un “physical bitcoin” – cioè non una commodity, antiinflazione, safe-haven, quello che volete, ma l’asset class che gli investitori hanno scelto come protezione geopolitica universale, indipendente dal sistema monetario, politico e finanziario dominante.
Ci sarebbe quindi una duplice dinamica:
Da una parte una sorta di MOMENTUM, ossia investitori che inseguono il trend di prezzo dell’oro; più sale, più capitali arrivano, più sale e così via;
Dall’altra ci sarebbe un’esigenza di COPERTURA di natura geopolitica.
In un contesto caratterizzato da stress permanenti e tensioni di varia natura a livello politico, economico, militare e nelle relazioni internazionali, chiaramente i due elementi si rafforzano a vicenda:
Più c’è aria di crisi nel mondo, più il prezzo di copertura aumenta;
Ma più aumenta, più aumenta anche il momentum e quindi la dinamica autorinforzante di investitori che gli corrono dietro.
Il 15 ottobre, come ogni mattina, arriva nella mia casella di posta la newsletter del leggendario Ed Yardeni, dal titolo: Gold is the new Bitcoin.
E più sotto: Bitcoin è sempre stato descritto come oro digitale; ma noi invece vediamo l’oro come bitcoin fisico.
Grande Ed!
Siamo troppo buddy.
No ovviamente scherzo, probabilmente ho dato quella risposta a Mariangela perché avrò letto del phyiscal bitcoin da qualche altra parte che non ricordo, ma mi ha fatto emozionare la coordinazione temporale.
Il dr. Ed ha scritto: Bitcoin è stato descritto come digital gold, ma noi descriveremmo loro come “physical bitcoin”.
Gli investitori potrebbero essere giunti sempre più alla conclusione che l’oro è una migliore protezione dai rischi geopolitici di bitcoin, dato che questo si è comportato principalmente come un veicolo speculativo correlato alla parte più growth del mercato – come abbiamo visto per esempio durante i drammatici giorni successivi al liberation day e venerdì 10 ottobre, uno dei giorni più neri della storia di bitcoin, in termini di valore assoluto della perdita di capitalizzazione.
Ora, detto questo, la domanda che attraversa la mente di tutti gli investitori che sono rimasti fuori da questo rally dell’oro o che magari si stanno chiedendo se incrementare o ridurre la loro quota, è: “ma quindi, è un buon momento per investire in oro”.
La risposta non risposta è un “Golden dilemma” per citare il celebre paper sull’oro del 2013 sempre di Harvey, che poi in questo nuovo paper è stato ripreso.
Da una parte Harvey parte da un presupposto storico di lunghissima data: l’oro ha un rendimento reale di lungo termine pari a zero.
Lo stipendio di un centurione romano in once d’oro corrisponde a quello di un capitano dell’esercito degli Stati Uniti oggi.
Ciò che comprava un lingotto d’oro 50 anni fa, grosso modo compra lo stesso oggi.
In effetti, in termini reali, l’oro è appena semplicemente tornato al punto in cui si trovava nel 1980.
45 anni per non andare di fatto da nessuna parte.
Basandosi sui dati reali, Harvey ha costruito un modello di regressione analogo a quello del CAPE ratio per le azioni, che fa vedere molto bene come i rendimenti reali passati dell’oro sono inversamente correlati con i rendimenti futuri.
Esattamente come per asset che pagano flussi di reddito, come azioni e obbligazioni, anche in questo caso l’idea è che i rendimenti passati siano in qualche modo predittivi di rendimenti futuri di segno contrario.
La differenza è che in questo caso non si considerano i tassi di sconto, perché con l’oro non ci sono flussi di cassa da scontare, ma si prende come proxy il valore reale: maggiore è il valore reale di partenza, minore è il rendimento reale futuro.
E con i prezzi di oggi la sua conclusione è che la crescita reale attesa per i prossimi 10 anni sia grossomodo zero, se non addirittura negativa.
[IL DILEMMA DELL’ORO]
Il dilemma però riguarda il fatto che ci sono dei fattori che potrebbero alterare la dinamica strutturale dell’oro.
Questa volta forse è davvero diverso.
Una appunto è stata l’introduzione degli ETF che hanno finanziarizzato l’oro.
Ma ce ne sono altre due che si affacciano all’orizzonte e che potrebbero avere un impatto permanente sulla variazione nella domanda di oro.
Il primo è il tema della de-dollarizzazione naturalmente.
Il dollaro rimarrà quasi senza dubbio la valuta globale di riserva, perché il suo ruolo è troppo radicato e profondo nell’economia globale per essere sradicato facilmente – ed è l’unica valuta che gode di tutti i requisiti per essere valuta di riserva, dal punto di vista economico, giuridico, politico, militare e di radicamento nel sistema del commercio e della finanza globale.
All’Euro mancano alcuni questi requisiti, del renminbi neanche ne parliamo.
Tuttavia potrebbe perdere nel futuro un po’ di capillarità perché stanno crescendo i tentativi, soprattutto in Asia, di effettuare transazioni internazionali senza dollari.
Così come il fatto che la Fed possa essere “forzata” a tagliare tassi o monetizzare debito, indebolisce la fiducia internazionale nel dollaro, come dicevamo all’inizio.
Per la combinazione di queste cose, le banche centrali potrebbero non aver bisogno in futuro di tenere così tanti asset in dollari americani e potrebbero invece diversificare le riserve, con l’oro primo candidato.
L’altra ipotesi, collegata a questa invece, è che l’oro possa essere promosso ad asset liquido di alta qualità Tier 1, come Treasury e Bund, secondo la normativa di Basilea III.
Oggi l’oro non è un Tier 1.
Se lo diventasse, le banche potrebbero utilizzarlo per assolvere ai requisiti di capitalizzazione.
Questo provocherebbe probabilmente uno shock lato domanda che potrebbe spingere ulteriormente il prezzo dell’oro verso l’alto.
Insomma il dilemma è questo:
Da una parte il rendimento reale atteso di lungo termine dell’oro è zero
Dall’altra questa volta potrebbe davvero essere diverso e il comportamento dell’oro potrebbe essere cambiato per sempre, prima per l’introduzione degli ETF, poi per il processo di (possibile, non certa) de-dollarizzazione globale e infine in un ipotetico scenario di promozione dell’oro ad asset Tier 1.
Ovviamente… chi lo sa?
[IL NUOVO PORTAFOGLIO MODELLO]
Però si stanno moltiplicando le voci che hanno preso atto di, diciamo così, un’istituzionalizzazione definitiva dell’oro come asset core di un portafoglio.
In questa direzione va per esempio l’autorevolissimo punto di vista di Mike Wilson, il CIO di Morgan Stanley, che recentemente ha dichiarato che in questo contesto macro, l’idea di un portafoglio modello 60/40 si dovrebbe spostare più verso un 60/20/20, con un appunto un 20% di oro.
Penso sia la prima volta che un soggetto istituzionale si sbilancia così tanto sull’oro, perché solitamente l’indicazione di default senza assumersi troppe responsabilità si posiziona su quantità molto contenute.
Nessuno dice mai: “20% di oro!”
Diciamo che l’idea ci piace e vediamo come si sarebbe comportato nel passato un portafoglio fatto così.
Prendiamo due portafogli americani, così abbiamo dati giusti, in dollari, che arrivano sicuramente fino al 1972 e senza rotture di palle per via del cambio con il Marco prima e con l’Euro dal 99 in poi.
Dal 1972 ad oggi, questa sarebbe stata la performance del portafoglio proposto da Mike Wilson, confrontato con il classico 60/40:
Circa 9,5% all’anno il 60/40
Circa 10,5% all’anno il 60/20/20
Effettivamente la differenza di performance sarebbe notevole:
E soprattutto il portafoglio con l’oro avrebbe avuto sia un miglior rapporto tra rendimento e rischio, sia un drawdown massimo durato metà del tempo, 54 mesi contro 102:
Interessante anche vedere in che periodi avrebbe performato meglio uno e in quali l’altro:
L’unico periodo in cui il 60/40 avrebbe fatto davvero la differenza è dal 1988 al 2006.
Durante gli anni 70 e 80, nei dieci anni successivi alla great financial crisis e dal 2022 in poi non ci sarebbe stata partita.
Per la cronaca, big kudos agli amici di lazyportfolioetf, perché il loro tool per fare backtest e i loro grafici sono veramente fichissimi.
Comunque sia, i più affezionati di The Bull ricorderanno che l’idea di Wilson non è che si allontani molta da un’idea molto cara al sottoscritto, ossia quel portafoglio che mi intriga tantissimo ma che non avrò mai il coraggio di implementare davvero – probabilmente sbagliando.
Parlo del portafoglio che ogni tanto abbiamo chiamato No Regret Portfolio:
50% azioni
25% titoli di stato
25% oro.
Perché quest’idea di portafogli con tanto oro e pochi bond si fa particolarmente forte oggi? ovviamente tutto in teoria, poi chi lo sa cosa succederà davvero.
Direi 3 motivi:
MOTIVO UNO: il ritorno atteso dell’azionario americano, è piuttosto contenuto – come abbiamo detto tante volte.
Con prezzi diviso utili dei prossimi 12 mesi intorno a 23, parliamo di un rendimento reale atteso verosimilmente intorno al 4-4,5%, ben sotto al quasi 7% di media degli ultimi 50 anni.
E c’è chi è pure più pessimista.
Vanguard e Research Affiliates, per esempio, sono più inclini a stimare un 1-2% di rendimento reale.
Quindi qui entra in gioco quella componente risk-on dell’oro che dicevo prima: diventa una fonte alternativa di rendimento, non solo di protezione.
Il MOTIVO DUE riguarda le incognite sull’effettiva capacità dei titoli di stato di diversificare l’azionario in uno scenario potenzialmente segnato da rialzo dell’inflazione e da tassi di interesse in risalita – nonostante la volontà di Trump di tirarli giù a tutti i costi, se però l’inflazione scappa di mano c’è poco da fare.
Il MOTIVO TRE riguarda infine l’opportunità di avere un asset alternativo che offra una decorrelazione significativa in un quadro macroeconomico di de-dollarizzazione e potenziale debasement valutario.
Se un tempo il cuore del portafoglio di qualunque investitore del mondo era azioni e titoli di stato, forse ora il nuovo core, più che azioni, obbligazioni e private equity, battezzato dal capo di Blackrock Larry Fink, che non mi sembra diversifichi granché, azioni, obbligazioni e oro potrebbe invece affermarsi come nuovo standard.
[ORO E S&P 500]
Se guardiamo solo al price return dell’S&P 500, la storia dell’azionario americano e dell’oro sembrano incredibilmente legate da un destino comune praticamente speculare.
Dal 1971 ad oggi si sono mossi in maniera tale che se guardiamo il grafico del loro andamento, disegnano la forma di due onde sfalzate che si incrociano circa ogni 10-15 anni.
Ed è altrettanto sorprendente notare un’altra cosa. Se misuriamo l’S&P 500 in dollari lo dividiamo per il prezzo dell’oro, notiamo che oggi si trovino nuovamente in una situazione di equilibrio.
Vedete?
Il loro rapporto medio – cioè prezzo dell’S&P diviso prezzo dell’oro – è oscillato tantissimo nel tempo, ma il suo valore medio, 1,7, è più o meno dove ci troviamo oggi.
Solo a inizio del 2021 era il doppio.
Se siamo in una nuova fase di flesso, con questo rapporto che andrà a stringersi perché l’oro correrà di più dell’S&P 500, allora c’è qualcuno che ha ipotizzato la possibilità di vedere S&P 500 e oro a 10.000 – 10.000 punti il primo, 10.000 dollari il secondo – entro la fine del decennio.
Per l’S&P parleremmo di una crescita intorno al 8,7% all’anno nei prossimi 5 anni, quasi 10% con i dividendi, perfettamente in linea con il suo track record storico.
Per l’oro parleremo oltre il 18% all’anno di crescita media.
Il nostro buon Ed Yardeni vede questo come suo scenario di base.
Per trasparenza diciamo che lui vede molto più solida la previsione sull’S&P, perché c’è una base oggettiva da cui partire, ossia l’aspettativa sugli utili.
Servirebbero 455 dollari di utile per azione previsti nel 2030, una crescita dell’8,5% all’anno, meno in effetti di quanto sono cresciuti gli utili negli ultimi 5 anni.
E probabilmente basterebbe ancora meno perché, senza recessioni in mezzo, le valutazioni potrebbero gonfiarsi ulteriormente.
Per esempio l’S&P raggiungerebbe i 10000 punti nel 2030:
Sia con 455 dollari di utile per azione e quindi un rapporto prezzo utili attesi di 22, più o meno come oggi;
Oppure con 400 dollari di utili e un rapporto prezzo utili di 25.
Ripeto, ammesso che non ci siano shock in mezzo o che una recessione non interrompa questa festa interminabile in onore dei prodigi dell’AI e non ci svegliamo tutti in hangover con un mal di testa leggendario.
Per l’oro invece è più un’estrapolazione dal trend di prezzo delineato negli ultimi anni, non ci sono utili su cui fare stime.
Nel paper di Harvey il dilemma sull’oro è che il suo rendimento reale atteso è ZERO ma potrebbero esserci shock sulla domanda che potrebbero sostenerne la crescita di prezzo.
Per Ed Yardeni il discorso è inverso: la tesi di base è una crescita dell’oro a 5.000 dollari entro il 2026 e 10.000 entro il 2030, con però la possibilità che questa corsa possa bruscamente interrompersi.
Per esempio le tensioni geopolitiche potrebbero improvvisamente attenuarsi;
Oppure il governo americano potrebbe decidere di monetizzare le riserve d’oro per far fronte al deficit.
Entrambe cose che però lui giudica piuttosto improbabili.
La prima perché una pacificazione Cina / Stati Uniti sembra completamente fuori dall’agenda.
La seconda perché se anche gli Stati Uniti monetizzassero i loro quasi mille miliardi di dollari in riserve d’oro, che in questo momento tengono a bilancio ad appena 11 miliardi di dollari, si tratterebbe comunque di una goccia nell’immenso mare di 37 mila miliardi di dollari di debito.
Inoltre ciò potrebbe essere visto male dal mercato, alzare il rendimento dei Treasury e vanificare l’operazione.
[E’ IL MOMENTO DI INVESTIRE IN ORO?]
Ma quindi?
È un buon momento per comprare oro?
Dai non vi aspetterete mica una risposta “Sì” o “NO”.
La risposta non può che essere Sì E NO.
Sì se uno vuole introdurre o incrementare la posizione dell’oro nel portafoglio per questioni di equilibrio strategico e per avere un elemento di diversificazione reale svincolato da logiche e politiche monetarie.
In tal caso un’allocazione a lungo termine ha sicuramente senso.
Ha senso ora, così come ce lo aveva 5 anni fa o come ce lo avrà tra altri 5.
No se uno vuole monetizzare una scommessa speculativa
Se Yardeni ha ragione l’oro ha ancora un bel po’ di strada da fare e anche iniziare a comprarlo a 4.300 dollari sarebbe un affari se il suo target price tra 5 anni è 10000.
Se invece ha ragione Harvey, allora i rendimenti reali attesi dell’oro a partire da questi saranno piuttosto mediocri – e con mediocri includiamo anche la possibilità che si ripeta lo scenario da incubo 1980-2001: 21 anni di calo di prezzo ininterrotto.
Purtroppo non so mai cosa rispondere ai tantissimi che ultimamente mi dicono le 2 cose
perfettamente antitetiche che si dicono in questi casi:
Allora, cosa ne pensi di aumentare l’esposizione all’oro in questo momento visto che “sta continuando a salire”?
Mia risposta: NO! L’oro è salito, non sappiamo se sta continuando a salire e soprattutto se salirà. Sappiamo solo cosa ha fatto fino al momento in cui ne stiamo parlando. Il futuro boh.
Ma anche: eh no, ormai è troppo tardi per entrare sull’oro.
Mia risposta: NO! Per lo stesso motivo uguale e contrario di sopra, non puoi dire 4.300 è tanto. Di pancia avrei detto che anche a 2.000 era tanto, che a 3.000 era tanto, che a 4.000 – pfff – manco ve lo sto a dire.
Però è sempre sbagliato inferire dal prezzo corrente di un asset il suo comportamento futuro.
Sarò onesto, di default tendo a dare ragione a Yardeni qualunque cosa dica.
Forse perché è stato nostro ospite – e quindi ho un’affezione particolare.
Però, sapete, leggo così tanta roba di finanza ogni giorno e il 95% è tutto un “questo è caro, quello è caro, minaccia di qua, crisi di là, bla bla bla” che quando trovo qualcuno come Yardeni che da 40 anni ha uno sguardo sui mercati più ottimista dell’omino sul tubo delle pringles, non posso che sentirmi emotivamente affine.
Quindi che dire:
Il mio pac sull’oro non si ferma e ormai siamo a quasi il 10% del mio portafoglio
Se uno ritiene di voler entrare oggi dovrebbe farlo, purché con una finalità strategica di lungo termine e consapevole che potrebbe pentirsene per 10 anni di fila
Sconsiglierei invece di prendere qualunque decisione, pro o contro, che si fonda sul livello di prezzo.
Fine amici miei, e anche questo episodio ce lo siamo portati a casa.
Spero che vi sia piaciuto e che oltre ad avervi indotto nuove domande su quest’enigmatico comportamento del metallo più famoso del mondo vi abbia dato anche qualche risposta utile per le vostre decisioni di investimento – o anche sola per la comprensione di quel che accade nel mondo.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e ad iscrivervi al canale YouTube per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti alla ricerca di ubi consistam in un mondo che sembra aver perso ogni certezza e fondamento sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo giovedì prossimo con un episodio che mi sono divertito tantissimo a scrivere e registrare – ma sapete che sono anche un po’ strano io – dedicato alla guida ai mercati più bella che esiste che diventerà la vostra lettura trimestrale preferita per la vita sempre qui naturalmente con The Bull – il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull – il tuo podcast di finanza personale.
Non c’è storia, perlomeno nel momento in cui sto registrando questo episodio a metà ottobre, c’è un vincitore assoluto sui mercati globali, in questo pazzo 2025 che ci ha fatto vivere sconvolgimenti continui e una permanente sensazione di crollo di certezze e ridefinizione di nuovi paradigmi.
Questo vincitore assoluto, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, dello sviluppo senza precedenti delle capacità tecnologiche dell’uomo, della blockchain, dei computer quantistici, della robotica di mille altre innovazioni dirompenti, è semplicemente il metallo prezioso più vecchio della storia dell’umanità: l’oro.
Il 2025 si sta candidando ad essere il secondo miglior anno di sempre per il biondo metallo, il cui prezzo è salito di oltre il 50% da gennaio ad oggi.
Sorge quindi spontanea nella testa e soprattutto nella pancia di tutti noi la domanda: ma è ancora il momento buono per investire in oro? Oppure il treno è passato?
Proveremo rispondere a questa domanda in quest’episodio sponsorizzato da Fineco, nota anche come “la banca con cui quello di The Bull investe da sempre i suoi soldi”.
Adesso capiamo se investire in ora ha ancora senso, ma nel frattempo PER investire sui mercati finanziari Fineco è da 25 anni il leader in Italia nel trading online e ha la piattaforma di investimento più completa per qualunque tipo di investitore.
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Ovviamente è possibile scegliere il regime amministrato, così potete dimenticarvi che una volta all’anno bisogna pagare le tasse… che fa pure bene all’umore perché in effetti “pagare le tasse” non è esattamente un pensiero allegro.
Nella descrizione dell’episodio e qua da qualche parte sopra la mia testa trovate un link per attivare un conto completo dei servizi bancari a zero canone per 12 mesi, caso mai voleste un conto titoli cointestato con la vostra dolce metà, oppure un conto trading solo per investire con 60 operazioni gratuite, per i primi 6 mesi, solo per chi segue the bull.è
[ANDAMENTO STORICO DELL’ORO]
Solo nel 1979 fece meglio, in cui praticamente raddoppiò di valore in un anno, ma parliamo forse di un set di coincidenze più unico che raro: nel 1971 Nixon avevamo messo una pietra tombale sugli accordi di Bretton Woods, il prezzo dell’oro poté cominciare a fluttuare secondo logiche di mercato, vennero introdotti i futures sull’oro nel 75, ci furono gli shock petroliferi e l’iperinflazione che costrinse poi il leggendario capo della Fed di allora Volcker al più sanguinoso rialzo dei tassi di interesse, che superarono il 19% nel 1981.
L’allora uomo più odiato d’America viene oggi ricordato come forse il miglior capo della Fed di tutti i tempi, capace di resistere a enormi pressioni politiche e sociali di un’America in recessione che non accettava la scelta della Fed di dare priorità alla lotta all’inflazione invece che alla disoccupazione e al rilancio dell’economia.
Ma alla fine Volcker ebbe ragione – e nel 1982 iniziò quell’epoca stellare per l’economia e la finanza americana culminata nel 2021, prima che l’inflazione fece nuovamente la sua comparsa, aprendo probabilmente una nuova fase macroeconomica.
Questa pillola storica non è un ornamento dell’episodio di oggi, ma è rilevante se pensiamo invece ad una grandissima differenza tra quel momento e quello attuale e forse rappresenta un’importante chiave di lettura per gli anni a venire.
Cosa intendo?
Beh, allora la Fed scelse la strada dei tassi super alti per sconfiggere l’inflazione a qualunque costo.
Oggi, invece, sappiamo bene che la Fed è sottoposta ad una forte pressione politica per orchestrare una repressione finanziaria, cioè per tenere i tassi d’interesse bassi anche se i dati sull’inflazione mostrano una tendenza in risalita, non in discesa.
Le pressioni politiche sulla banca centrale e i timori di una sua possibile perdita di indipendenza sono già una prima chiave di lettura per comprendere questa assurda corsa dell’oro, che chiaramente si pone in contrapposizione ad un dollaro che perde valore se la sua banca centrale di riferimento è vista meno solida e l’inflazione resta una minaccia.
Poi, prevedere il comportamento di inflazione, banche centrali, tassi reali e la reazione di tutte le asset class e l’economia è una roba da far invidia all’astrologia, quindi non è che si possano formulare particolari ipotesi.
Però diamo uno sguardo al passato.
Questo è l’andamento dell’oro dal 1979 al 2001.
Il suo prezzo crebbe di oltre il sei volte in quattro anni alla fine degli anni ’70 e poi attraversò un lunghissimo periodo di declino, lasciando per strada circa il 60% del suo valore tra il 1980 e il 2021.
Guardiamo invece il percorso dei tassi di interesse della Fed:
Chi sta vendendo anche il video di quest’episodio avrà colto immediatamente il tema.
La progressiva disinflazione dal 1981 al 2000 e la conseguente discesa dei tassi di interesse dal 19% al 2,5% creò le condizioni ideali per il trionfo di azioni e obbligazioni.
Guardate come performò un portafoglio 60% S&P 500 e 40% Treasury decennali in quello stesso periodo.
Praticamente un portafoglio 60/40 rese solo poco meno di un 100% azionario.
Quasi 14% di rendimento medio composto all’anno.
In meno di 20 anni un investimento fatto nel 1981 si sarebbe moltiplicato più di 13 volte – e questo con il 40% del portafoglio investito in supersicuri titoli di stato americani.
In questo stesso periodo, fatto di tassi reali positivi, di forza del dollaro, di stabilità economica e geopolitca, l’oro finì nel dimenticatoio.
Poi successe qualcosa.
E forse da lì a poco, il destino dell’oro come asset finanziario cambiò per sempre.
Come abbiamo detto tante volte, l’oro è diventato l’asset class regina del terzo millennio.
Dal 2000 ad oggi la sua performance ha letteralmente sovrastato e umiliato persino quella dell’onnipotente S&P 500.
Più del 10% all’anno di crescita media composta per l’oro.
Poco meno dell’8% per l’azionario americano.
Ma perché è successa questa cosa?
Per quale diavolo di motivo un pezzo di metallo costoso da estrarre, costoso da conservare, che non paga interessi e non ha nessuna particolare funzione vitale all’interno dell’economia mondiale dovrebbe aver disintegrato l’indice che rappresenta l’eccellenza delle eccellenze dell’economia reale?
A questa domanda si può provare a dare un numero sterminato di risposte, il che è un buon indizio del fatto che nessuno ha una risposta particolarmente precisa.
L’unica cosa certa è che l’oro ha dimostrato molto spesso di essere la STESSA RISPOSTA ma a DOMANDE MOLTO DIVERSE in FASI STORICHE MOLTO DIVERSE.
C’è però sicuramente una costante interessante.
Guardiamo un secondo l’andamento dei tassi reali negli Stati Uniti.
Il pattern che si può rilevare è abbastanza chiaro.
Dal 1981 al 2000 i tassi reali sono stati sempre positivi, benché con un trend discendente, e l’oro ha contemporaneamente perso valore.
Dal 2001 in poi, invece, le politiche aggressive di quantitative easing per salvare il culo all’economia tutta, sia in America che negli altri Paesi occidentali, hanno portato a 25 anni di tassi quasi sempre negativi, in particolare durante la recessione post dot-com bubble e soprattutto nel decennio dopo la GFC, culminata le gigantesche manovre fiscali durante il Covid e poi l’impennata dell’inflazione nel 2022.
Questa è una prima risposta:
non è tanto vero che l’oro è buon rifugio contro l’inflazione, perché in realtà risponde in maniera non esattamente sincronizzata e tempestiva.
Però è probabilmente vero che tende ad apprezzarsi quando i tassi reali sono negativi, perché gli investimenti a basso rischio non sono in grado di proteggere il potere d’acquisto del denaro.
Però questa spiegazione non è sufficiente per giustificare un 10% di crescita media composta all’anno per ormai 25 anni.
E non spiegherebbe perché – nonostante questa performance straordinaria – l’oro abbia comunque vissuto anche un severo bear market in mezzo, arrivando nuovamente a perdere fino a più del 40% del valore.
Probabilmente la spiegazione più semplice è che non c’è nessuna particolare spiegazione fondamentale in grado di rendere conto del comportamento dell’oro.
C’è però una chiara tesi comportamentale.
La crescita dell’oro è strettamente correlata, storicamente, al livello di sfiducia economica e tensione generale a livello geopolitico.
E questa cosa è abbastanza macroscopica se confrontiamo il comportamento dell’oro e quello dell’S&P 500 dal 1972 ad oggi, che è perfettamente antitetico, benché entrambi abbiano esibito un chiaro trend verso l’alto.
Proviamo a scomporre questi ultimi 53 anni di storia alla buona in 5 blocchi:
L’oro ha sovraperformato massivamente l’azionario in 3 di questi:
1972-1981
2001-2011
2022-2025
Le azioni hanno invece sovraperformato negli altri due
1982-2000 e
2012-2021
Nel grafico che sto facendo vedere si nota che la differenza di performance tra le due asset class durante ciascun blocco è enorme – il che testimonia un livello di estrema decorrelazione tra i due.
Quest’ultima finestra, quella iniziata nel 2022 è un po’ un’anomalia, perché entrambe le asset class sono abbondantemente in positivo, anche se l’oro di più del doppio.
Però siamo all’inizio, chissà che magari da qui al 2032 questo quinto blocco non si sarà rivelato un altro grande decennio per l’oro e mediocre per le azioni.
[L’ORO COME FONDAMENTO ULTIMO]
Quando andavo a liceo e poi durante gli anni di università, prima che mi prendesse il morbo della finanza, imparai una celebre espressione che deriva dalla traduzione latina della famosa frase attribuita ad Archimede: datemi una leva e un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo.
Se mai Archimede avesse davvero detto questa cosa l’avrebbe detta in greco.
Ma poi “punto d’appoggio” è passato alla storia nella versione latina “ubi consistam” – concetto che poi è stato largamente utilizzato in filosofia, letteratura, teologia e tanti altri ambiti ogni qualvolta si volesse fare riferimento ad un fondamento sotto ai piedi, a qualcosa di fermo rispetto a cui tutto il resto avesse senso.
Il celeberrimo aforisma da t-shirt di Cartesio, Cogito ergo sum, Penso, dunque sono, era esattamente la rappresentazione di quell’ossessione tipica del pensiero occidentale di avere un fondamento, un punto fisso su cui piantare tutte le altre nostre convinzioni in maniera solida.
La migliore interpretazione sul comportamento dell’oro che mi viene in mente è questa.
L’oro è la sistematica risposta alla perenne domanda di “ubi consistam” che di quando in quando viene ai mercati, tipicamente ogni circa 10-15 anni.
Lasciamo Archimede e Cartesio e torniamo ai giorni nostri.
La corsa dell’oro nel 2025 è semplicemente senza senso – e si sono date le più disparate risposte, tutte giuste probabilmente, ma nessuna sufficiente:
UNO: Safe-haven anti-sanzioni: a partire dal congelamento – e oggi si parla anche di esproprio – di 300 miliardi di dollari di riserve russe presso banche occidentali dopo l’invasione dell’ucraina, le banche centrali non allineate al blocco americanocentrico hanno iniziato a vendere cose in dollari e comprare oro per avere un riserva di valore indipendente dal controllo politico degli Stati Uniti.
In quest’ottica il grande motore è naturalmente la domanda asiatica.
Nel 2025 la Cina ha importato oro a livelli record, superando le 1.000 tonnellate in un anno — più di qualsiasi banca centrale occidentale – e tra l’altro il dato potrebbe essere sottostimato, perché la Cina dichiara solo una parte degli acquisti per evitare di pompare il prezzo ulteriormente.
Il motivo è legato sicuramente alla volontà di de-dollarizzazione delle proprie riserve e di supportare il Renminbi come valuta internazionale alternativa.
Ma poi è anche una conseguenza del trauma conseguente il crollo del mercato immobiliare e di anni di controlli sui capitali, entrambi fattori che ha trasformato l’oro in una sorta di “conto corrente alternativo”: un asset tangibile, apolitico, facilmente liquidabile anche fuori dal sistema finanziario cinese.
In questo senso l’Asia — e non più l’Occidente — è oggi il principale compratore marginale del metallo.
DUE: Debasement valutario: per una serie di ragioni, tra cui la pressione politica americana sulla Fed e le iniziative di Trump volte, più o meno deliberatamente, a svalutare il dollaro, la valuta più importante del mondo potrebbe vivere un progressivo percorso di riduzione del proprio valore.
Inoltre e più in generale, forse sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di una resa dei conti globale dopo due decenni di espansione monetaria senza precedenti e di esplosione dei debiti pubblici di tutti i più grandi Paesi del mondo. Stati Uniti manco ve lo sto a dire, oltre 34 mila miliardi di dollari, 15 volte il PIL italiano, ma anche e soprattutto Giappone, ormai al 260% del PIL, la Francia, 130% e così via. Nemmeno il regno unito è messo benissimo, con una coperta fiscale molto corta.
Il problema di quasi tutti i Paesi occidentali è che non ci sono governi politici abbastanza forti per intraprendere riforme dolorose necessarie a ripristinare una certa disciplina fiscale, chiaramente al costo di tagli alla spesa pubblica, pensioni e così via.
O meglio, in America il governo è forte, lì è più un discorso di volontà.
Il modus operandi più diffuso invece è quello del “continuare a calciare in avanti la lattina”, cioè spostare il problema sempre più in là mettendo di volta in volta una pezza ai problemi contingenti, ma ingigantendo il problema strutturale più grande: la crescita economica e quella demografica dei Paesi occidentali sono troppo basse e per sostenere indefinitamente il peso dei debiti pubblici, che sembrano destinati più a salire che scendere nel futuro.
Per qualcuno l’oro è una risposta a questa roba, perché, come abbiamo detto qualche episodio fa, una soluzione infima per gestire il debito pubblico da parte dei governi è inflazionarlo: una progressiva svalutazione monetaria riduce meccanicamente il valore reale del debito.
Se l’oro invece è un asset reale, allora tende a muoversi in maniera contraria, è più va avanti il processo di debasement, più questo tende ad apprezzarsi come contrappeso.
Se i debiti non verranno ripagati, ma inflazionati, l’oro diventa il termometro della perdita di credibilità del denaro fiat.
E la corsa all’oro non sembra soltanto un fatto che riguarda gli investitori, siano essi privati o istuzionali.
Una terza risposta al motivo per cui l’oro è cresciuto tanto in questi anni è la prossima. Ossia la numero
TRE: Acquisti delle banche centrali di tutto il mondo, occidentali comprese.
Oggi la domanda di oro da parte delle banche centrali è un quarto della domanda complessiva.
Magari un domani inizieranno a comprare anche Bitcoin per motivi parzialmente analoghi, ma oggi non c’è dubbio che l’oro è il grande vincitore degli ultimi anni come, tra virgolette, come “valuta di ultima istanza” di un mondo sempre più frammentato, disallineato rispetto all’ecosistema imperniato sul dollaro e alla continua ricerca di ubi consistam perché “vai a sapere che cacchio succederà domani, siamo tutti qua che sembra che non aspettiamo altro che una crisi di proporzioni apocalittiche che farà crollare il castello di carta in cui per 50 anni, dopo la separazione tra dollaro e oro, ci siamo illusi di abitare”.
Personalmente non sono così pessimista.
Gli accordi di Bretton Woods sono stati terminati nel 1971, e sono esattamente 54 anni che sistematicamente qualcuno preannuncia l’imminente fine del mondo.
Magari accadrà eh, chi lo sa.
Però sono uno che per natura è molto poco sensibile alle profezie di sventura e molto fiducioso sul fatto che l’umanità tutta fa sì un sacco di casini, ma che su 8 miliardi di persone sul pianeta la maggior parte si sveglia alla mattina con l’intento di fare qualcosa di buono, non di far bruciare il mondo.
Attraverseremo sempre mille cazzi che dio ce ne scampi, ma ho un cromosoma nel mio corredo genetico con scritto sopra: “vai tra bro, alla fine andrà tutto bene”.
[L’INTRODUZIONE DEGLI ETF SULL’ORO]
C’è poi una quarta riposta che dobbiamo dare.
A partire dal 2004 c’è stato probabilmente un evento che ha un po’ cambiato i connotati all’oro, trasformandolo dalla barbara reliquia nella visione di Warren Buffett, ad un asset dotato di una nuova dignità finanziaria.
Nel 2004 è stato lanciato il primo ETF di SPDR sull’oro e da lì in poi l’accesso all’investimento in oro si è semplificato in maniera esponenziale.
Prima di fatto avevi principalmente due opzioni:
O compravi l’oro fisico – con tutto lo sbattimento che comporta per lo storage, la sicurezza, la frazionabilità e così via.
Oppure compravi futures sull’oro, che però non è altrettanto semplice rispetto ad un etf.
Nel loro recente paper Understanding Gold,
Claude Erb e Campbell Harvey hanno fatto vedere in maniera piuttosto eloquente come dall’introduzione del primo ETF sull’oro, effettivamente qualcosa è cambiato e sembra che il prezzo dell’oro, aggiustato per inflazione abbia intrapreso un trend ascendente pressoché in corrispondenza di questa novità.
Se questo è vero – e Campbell Harvey sono 15 anni che scrive paper sull’oro, quindi mi fido abbastanza ciecamente di quel che dice – allora ci sono due conseguenze.
Prima conseguenza: c’è stato un incremento strutturale di domanda che potrebbe aver alterato in maniera permanente il comportamento del prezzo dell’oro, il che potrebbe portare a due sotto conseguenze:
Una è che c’è un supporto sistematico più forte al suo prezzo, perché è aumentata in maniera permanente l’adozione nei portafogli;
Il secondo è che un prezzo via via più elevato potrebbe ovviamente avere una correlazione negativa ai rendimenti futuri.
Non saprei dire, sinceramente, quale delle due forze in gioco pesi di più nell’equazione.
Però intanto c’è da rilevare questo potenziale mutamento strutturale nell’asset class rispetto a come ce la siamo sempre raccontata a partire dagli anni ’70.
La seconda conseguenza invece è ancora più interessante, perché riguarda la correlazione dell’oro con le altre asset class.
Il paper fa vedere come è composta la domanda globale di oro.
In pratica abbiamo:
Circa 44% nella gioielleria – e qui chiaramente c’è una correlazione negativa con il prezzo dell’oro, perché la domanda tende a scendere quando il prezzo dell’oro sale;
Circa 23%, come dicevamo prima, è la domanda da parte delle banche centrali – e anche loro tendono a comprare oro un po’ meno quando il prezzo sale, ma non in maniera così marcata come per la gioielleria;
Circa il 7% è per uso industriale, con una correlazione pressoché neutra con l’andamento del prezzo; e infine abbiamo ben
Il 26% che è la domanda di investimento, di cui una parte sempre più significativa in ETF e basti pensare che nel primo trimestre di quest’anno gli ETF sull’oro hanno rappresentato il 17% della domanda complessiva.
L’oro come investimento – e questa è la cosa più interessante – ha una correlazione elevata con il suo prezzo, quasi 0.7.
Ciò significa che gli investitori tendono ad aumentare la domanda di oro man mano che il suo prezzo sale, cioè sono prettamente price chaser, inseguono il trend di prezzo.
C’è un evidente correlazione tra la domanda di oro tramite ETF e la variazione di prezzo dell’oro:
Questo però solleva un tema proprio sulla natura dell’oro come asset di investimento, perché forse siamo convinti di comprare una cosa e in realtà si tratta di un’altra, almeno parzialmente.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che l’oro sta assumendo sempre di più una dimensione speculativa, a fianco del suo ruolo di asset di riserva contro [inserisci minaccia apocalittica del momento].
Di fatto la finanziarizzazione dell’oro potrebbe aver parzialmente modificato il suo comportamento sui mercati.
Da un parte resta un asset, diciamo così, di sicurezza e protezione, ma dall’altro ha sviluppato una componente speculativa.
[L’ORO COME BITCOIN FISICO]
Il 14 ottobre mi trovavo con Mariangela Pira alla presentazione a Milano del mio libro e Mariangela mi ha fatto una domanda sull’oro e su questo suo comportamento un po’ incomprensibile, ormai proiettato oltre i 4.200 dollari, almeno mentre sto registrando.
Il mio commento, tra il serio e il faceto, è che se fino a poco tempo fa parlavamo del Bitcoin come “digital gold”, il comportamento dell’oro quest’anno sembra più quello di un “physical bitcoin” – cioè non una commodity, antiinflazione, safe-haven, quello che volete, ma l’asset class che gli investitori hanno scelto come protezione geopolitica universale, indipendente dal sistema monetario, politico e finanziario dominante.
Ci sarebbe quindi una duplice dinamica:
Da una parte una sorta di MOMENTUM, ossia investitori che inseguono il trend di prezzo dell’oro; più sale, più capitali arrivano, più sale e così via;
Dall’altra ci sarebbe un’esigenza di COPERTURA di natura geopolitica.
In un contesto caratterizzato da stress permanenti e tensioni di varia natura a livello politico, economico, militare e nelle relazioni internazionali, chiaramente i due elementi si rafforzano a vicenda:
Più c’è aria di crisi nel mondo, più il prezzo di copertura aumenta;
Ma più aumenta, più aumenta anche il momentum e quindi la dinamica autorinforzante di investitori che gli corrono dietro.
Il 15 ottobre, come ogni mattina, arriva nella mia casella di posta la newsletter del leggendario Ed Yardeni, dal titolo: Gold is the new Bitcoin.
E più sotto: Bitcoin è sempre stato descritto come oro digitale; ma noi invece vediamo l’oro come bitcoin fisico.
Grande Ed!
Siamo troppo buddy.
No ovviamente scherzo, probabilmente ho dato quella risposta a Mariangela perché avrò letto del phyiscal bitcoin da qualche altra parte che non ricordo, ma mi ha fatto emozionare la coordinazione temporale.
Il dr. Ed ha scritto: Bitcoin è stato descritto come digital gold, ma noi descriveremmo loro come “physical bitcoin”.
Gli investitori potrebbero essere giunti sempre più alla conclusione che l’oro è una migliore protezione dai rischi geopolitici di bitcoin, dato che questo si è comportato principalmente come un veicolo speculativo correlato alla parte più growth del mercato – come abbiamo visto per esempio durante i drammatici giorni successivi al liberation day e venerdì 10 ottobre, uno dei giorni più neri della storia di bitcoin, in termini di valore assoluto della perdita di capitalizzazione.
Ora, detto questo, la domanda che attraversa la mente di tutti gli investitori che sono rimasti fuori da questo rally dell’oro o che magari si stanno chiedendo se incrementare o ridurre la loro quota, è: “ma quindi, è un buon momento per investire in oro”.
La risposta non risposta è un “Golden dilemma” per citare il celebre paper sull’oro del 2013 sempre di Harvey, che poi in questo nuovo paper è stato ripreso.
Da una parte Harvey parte da un presupposto storico di lunghissima data: l’oro ha un rendimento reale di lungo termine pari a zero.
Lo stipendio di un centurione romano in once d’oro corrisponde a quello di un capitano dell’esercito degli Stati Uniti oggi.
Ciò che comprava un lingotto d’oro 50 anni fa, grosso modo compra lo stesso oggi.
In effetti, in termini reali, l’oro è appena semplicemente tornato al punto in cui si trovava nel 1980.
45 anni per non andare di fatto da nessuna parte.
Basandosi sui dati reali, Harvey ha costruito un modello di regressione analogo a quello del CAPE ratio per le azioni, che fa vedere molto bene come i rendimenti reali passati dell’oro sono inversamente correlati con i rendimenti futuri.
Esattamente come per asset che pagano flussi di reddito, come azioni e obbligazioni, anche in questo caso l’idea è che i rendimenti passati siano in qualche modo predittivi di rendimenti futuri di segno contrario.
La differenza è che in questo caso non si considerano i tassi di sconto, perché con l’oro non ci sono flussi di cassa da scontare, ma si prende come proxy il valore reale: maggiore è il valore reale di partenza, minore è il rendimento reale futuro.
E con i prezzi di oggi la sua conclusione è che la crescita reale attesa per i prossimi 10 anni sia grossomodo zero, se non addirittura negativa.
[IL DILEMMA DELL’ORO]
Il dilemma però riguarda il fatto che ci sono dei fattori che potrebbero alterare la dinamica strutturale dell’oro.
Questa volta forse è davvero diverso.
Una appunto è stata l’introduzione degli ETF che hanno finanziarizzato l’oro.
Ma ce ne sono altre due che si affacciano all’orizzonte e che potrebbero avere un impatto permanente sulla variazione nella domanda di oro.
Il primo è il tema della de-dollarizzazione naturalmente.
Il dollaro rimarrà quasi senza dubbio la valuta globale di riserva, perché il suo ruolo è troppo radicato e profondo nell’economia globale per essere sradicato facilmente – ed è l’unica valuta che gode di tutti i requisiti per essere valuta di riserva, dal punto di vista economico, giuridico, politico, militare e di radicamento nel sistema del commercio e della finanza globale.
All’Euro mancano alcuni questi requisiti, del renminbi neanche ne parliamo.
Tuttavia potrebbe perdere nel futuro un po’ di capillarità perché stanno crescendo i tentativi, soprattutto in Asia, di effettuare transazioni internazionali senza dollari.
Così come il fatto che la Fed possa essere “forzata” a tagliare tassi o monetizzare debito, indebolisce la fiducia internazionale nel dollaro, come dicevamo all’inizio.
Per la combinazione di queste cose, le banche centrali potrebbero non aver bisogno in futuro di tenere così tanti asset in dollari americani e potrebbero invece diversificare le riserve, con l’oro primo candidato.
L’altra ipotesi, collegata a questa invece, è che l’oro possa essere promosso ad asset liquido di alta qualità Tier 1, come Treasury e Bund, secondo la normativa di Basilea III.
Oggi l’oro non è un Tier 1.
Se lo diventasse, le banche potrebbero utilizzarlo per assolvere ai requisiti di capitalizzazione.
Questo provocherebbe probabilmente uno shock lato domanda che potrebbe spingere ulteriormente il prezzo dell’oro verso l’alto.
Insomma il dilemma è questo:
Da una parte il rendimento reale atteso di lungo termine dell’oro è zero
Dall’altra questa volta potrebbe davvero essere diverso e il comportamento dell’oro potrebbe essere cambiato per sempre, prima per l’introduzione degli ETF, poi per il processo di (possibile, non certa) de-dollarizzazione globale e infine in un ipotetico scenario di promozione dell’oro ad asset Tier 1.
Ovviamente… chi lo sa?
[IL NUOVO PORTAFOGLIO MODELLO]
Però si stanno moltiplicando le voci che hanno preso atto di, diciamo così, un’istituzionalizzazione definitiva dell’oro come asset core di un portafoglio.
In questa direzione va per esempio l’autorevolissimo punto di vista di Mike Wilson, il CIO di Morgan Stanley, che recentemente ha dichiarato che in questo contesto macro, l’idea di un portafoglio modello 60/40 si dovrebbe spostare più verso un 60/20/20, con un appunto un 20% di oro.
Penso sia la prima volta che un soggetto istituzionale si sbilancia così tanto sull’oro, perché solitamente l’indicazione di default senza assumersi troppe responsabilità si posiziona su quantità molto contenute.
Nessuno dice mai: “20% di oro!”
Diciamo che l’idea ci piace e vediamo come si sarebbe comportato nel passato un portafoglio fatto così.
Prendiamo due portafogli americani, così abbiamo dati giusti, in dollari, che arrivano sicuramente fino al 1972 e senza rotture di palle per via del cambio con il Marco prima e con l’Euro dal 99 in poi.
Dal 1972 ad oggi, questa sarebbe stata la performance del portafoglio proposto da Mike Wilson, confrontato con il classico 60/40:
Circa 9,5% all’anno il 60/40
Circa 10,5% all’anno il 60/20/20
Effettivamente la differenza di performance sarebbe notevole:
E soprattutto il portafoglio con l’oro avrebbe avuto sia un miglior rapporto tra rendimento e rischio, sia un drawdown massimo durato metà del tempo, 54 mesi contro 102:
Interessante anche vedere in che periodi avrebbe performato meglio uno e in quali l’altro:
L’unico periodo in cui il 60/40 avrebbe fatto davvero la differenza è dal 1988 al 2006.
Durante gli anni 70 e 80, nei dieci anni successivi alla great financial crisis e dal 2022 in poi non ci sarebbe stata partita.
Per la cronaca, big kudos agli amici di lazyportfolioetf, perché il loro tool per fare backtest e i loro grafici sono veramente fichissimi.
Comunque sia, i più affezionati di The Bull ricorderanno che l’idea di Wilson non è che si allontani molta da un’idea molto cara al sottoscritto, ossia quel portafoglio che mi intriga tantissimo ma che non avrò mai il coraggio di implementare davvero – probabilmente sbagliando.
Parlo del portafoglio che ogni tanto abbiamo chiamato No Regret Portfolio:
50% azioni
25% titoli di stato
25% oro.
Perché quest’idea di portafogli con tanto oro e pochi bond si fa particolarmente forte oggi? ovviamente tutto in teoria, poi chi lo sa cosa succederà davvero.
Direi 3 motivi:
MOTIVO UNO: il ritorno atteso dell’azionario americano, è piuttosto contenuto – come abbiamo detto tante volte.
Con prezzi diviso utili dei prossimi 12 mesi intorno a 23, parliamo di un rendimento reale atteso verosimilmente intorno al 4-4,5%, ben sotto al quasi 7% di media degli ultimi 50 anni.
E c’è chi è pure più pessimista.
Vanguard e Research Affiliates, per esempio, sono più inclini a stimare un 1-2% di rendimento reale.
Quindi qui entra in gioco quella componente risk-on dell’oro che dicevo prima: diventa una fonte alternativa di rendimento, non solo di protezione.
Il MOTIVO DUE riguarda le incognite sull’effettiva capacità dei titoli di stato di diversificare l’azionario in uno scenario potenzialmente segnato da rialzo dell’inflazione e da tassi di interesse in risalita – nonostante la volontà di Trump di tirarli giù a tutti i costi, se però l’inflazione scappa di mano c’è poco da fare.
Il MOTIVO TRE riguarda infine l’opportunità di avere un asset alternativo che offra una decorrelazione significativa in un quadro macroeconomico di de-dollarizzazione e potenziale debasement valutario.
Se un tempo il cuore del portafoglio di qualunque investitore del mondo era azioni e titoli di stato, forse ora il nuovo core, più che azioni, obbligazioni e private equity, battezzato dal capo di Blackrock Larry Fink, che non mi sembra diversifichi granché, azioni, obbligazioni e oro potrebbe invece affermarsi come nuovo standard.
[ORO E S&P 500]
Se guardiamo solo al price return dell’S&P 500, la storia dell’azionario americano e dell’oro sembrano incredibilmente legate da un destino comune praticamente speculare.
Dal 1971 ad oggi si sono mossi in maniera tale che se guardiamo il grafico del loro andamento, disegnano la forma di due onde sfalzate che si incrociano circa ogni 10-15 anni.
Ed è altrettanto sorprendente notare un’altra cosa. Se misuriamo l’S&P 500 in dollari lo dividiamo per il prezzo dell’oro, notiamo che oggi si trovino nuovamente in una situazione di equilibrio.
Vedete?
Il loro rapporto medio – cioè prezzo dell’S&P diviso prezzo dell’oro – è oscillato tantissimo nel tempo, ma il suo valore medio, 1,7, è più o meno dove ci troviamo oggi.
Solo a inizio del 2021 era il doppio.
Se siamo in una nuova fase di flesso, con questo rapporto che andrà a stringersi perché l’oro correrà di più dell’S&P 500, allora c’è qualcuno che ha ipotizzato la possibilità di vedere S&P 500 e oro a 10.000 – 10.000 punti il primo, 10.000 dollari il secondo – entro la fine del decennio.
Per l’S&P parleremmo di una crescita intorno al 8,7% all’anno nei prossimi 5 anni, quasi 10% con i dividendi, perfettamente in linea con il suo track record storico.
Per l’oro parleremo oltre il 18% all’anno di crescita media.
Il nostro buon Ed Yardeni vede questo come suo scenario di base.
Per trasparenza diciamo che lui vede molto più solida la previsione sull’S&P, perché c’è una base oggettiva da cui partire, ossia l’aspettativa sugli utili.
Servirebbero 455 dollari di utile per azione previsti nel 2030, una crescita dell’8,5% all’anno, meno in effetti di quanto sono cresciuti gli utili negli ultimi 5 anni.
E probabilmente basterebbe ancora meno perché, senza recessioni in mezzo, le valutazioni potrebbero gonfiarsi ulteriormente.
Per esempio l’S&P raggiungerebbe i 10000 punti nel 2030:
Sia con 455 dollari di utile per azione e quindi un rapporto prezzo utili attesi di 22, più o meno come oggi;
Oppure con 400 dollari di utili e un rapporto prezzo utili di 25.
Ripeto, ammesso che non ci siano shock in mezzo o che una recessione non interrompa questa festa interminabile in onore dei prodigi dell’AI e non ci svegliamo tutti in hangover con un mal di testa leggendario.
Per l’oro invece è più un’estrapolazione dal trend di prezzo delineato negli ultimi anni, non ci sono utili su cui fare stime.
Nel paper di Harvey il dilemma sull’oro è che il suo rendimento reale atteso è ZERO ma potrebbero esserci shock sulla domanda che potrebbero sostenerne la crescita di prezzo.
Per Ed Yardeni il discorso è inverso: la tesi di base è una crescita dell’oro a 5.000 dollari entro il 2026 e 10.000 entro il 2030, con però la possibilità che questa corsa possa bruscamente interrompersi.
Per esempio le tensioni geopolitiche potrebbero improvvisamente attenuarsi;
Oppure il governo americano potrebbe decidere di monetizzare le riserve d’oro per far fronte al deficit.
Entrambe cose che però lui giudica piuttosto improbabili.
La prima perché una pacificazione Cina / Stati Uniti sembra completamente fuori dall’agenda.
La seconda perché se anche gli Stati Uniti monetizzassero i loro quasi mille miliardi di dollari in riserve d’oro, che in questo momento tengono a bilancio ad appena 11 miliardi di dollari, si tratterebbe comunque di una goccia nell’immenso mare di 37 mila miliardi di dollari di debito.
Inoltre ciò potrebbe essere visto male dal mercato, alzare il rendimento dei Treasury e vanificare l’operazione.
[E’ IL MOMENTO DI INVESTIRE IN ORO?]
Ma quindi?
È un buon momento per comprare oro?
Dai non vi aspetterete mica una risposta “Sì” o “NO”.
La risposta non può che essere Sì E NO.
Sì se uno vuole introdurre o incrementare la posizione dell’oro nel portafoglio per questioni di equilibrio strategico e per avere un elemento di diversificazione reale svincolato da logiche e politiche monetarie.
In tal caso un’allocazione a lungo termine ha sicuramente senso.
Ha senso ora, così come ce lo aveva 5 anni fa o come ce lo avrà tra altri 5.
No se uno vuole monetizzare una scommessa speculativa
Se Yardeni ha ragione l’oro ha ancora un bel po’ di strada da fare e anche iniziare a comprarlo a 4.300 dollari sarebbe un affari se il suo target price tra 5 anni è 10000.
Se invece ha ragione Harvey, allora i rendimenti reali attesi dell’oro a partire da questi saranno piuttosto mediocri – e con mediocri includiamo anche la possibilità che si ripeta lo scenario da incubo 1980-2001: 21 anni di calo di prezzo ininterrotto.
Purtroppo non so mai cosa rispondere ai tantissimi che ultimamente mi dicono le 2 cose
perfettamente antitetiche che si dicono in questi casi:
Allora, cosa ne pensi di aumentare l’esposizione all’oro in questo momento visto che “sta continuando a salire”?
Mia risposta: NO! L’oro è salito, non sappiamo se sta continuando a salire e soprattutto se salirà. Sappiamo solo cosa ha fatto fino al momento in cui ne stiamo parlando. Il futuro boh.
Ma anche: eh no, ormai è troppo tardi per entrare sull’oro.
Mia risposta: NO! Per lo stesso motivo uguale e contrario di sopra, non puoi dire 4.300 è tanto. Di pancia avrei detto che anche a 2.000 era tanto, che a 3.000 era tanto, che a 4.000 – pfff – manco ve lo sto a dire.
Però è sempre sbagliato inferire dal prezzo corrente di un asset il suo comportamento futuro.
Sarò onesto, di default tendo a dare ragione a Yardeni qualunque cosa dica.
Forse perché è stato nostro ospite – e quindi ho un’affezione particolare.
Però, sapete, leggo così tanta roba di finanza ogni giorno e il 95% è tutto un “questo è caro, quello è caro, minaccia di qua, crisi di là, bla bla bla” che quando trovo qualcuno come Yardeni che da 40 anni ha uno sguardo sui mercati più ottimista dell’omino sul tubo delle pringles, non posso che sentirmi emotivamente affine.
Quindi che dire:
Il mio pac sull’oro non si ferma e ormai siamo a quasi il 10% del mio portafoglio
Se uno ritiene di voler entrare oggi dovrebbe farlo, purché con una finalità strategica di lungo termine e consapevole che potrebbe pentirsene per 10 anni di fila
Sconsiglierei invece di prendere qualunque decisione, pro o contro, che si fonda sul livello di prezzo.
Fine amici miei, e anche questo episodio ce lo siamo portati a casa.
Spero che vi sia piaciuto e che oltre ad avervi indotto nuove domande su quest’enigmatico comportamento del metallo più famoso del mondo vi abbia dato anche qualche risposta utile per le vostre decisioni di investimento – o anche sola per la comprensione di quel che accade nel mondo.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e ad iscrivervi al canale YouTube per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti alla ricerca di ubi consistam in un mondo che sembra aver perso ogni certezza e fondamento sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo giovedì prossimo con un episodio che mi sono divertito tantissimo a scrivere e registrare – ma sapete che sono anche un po’ strano io – dedicato alla guida ai mercati più bella che esiste che diventerà la vostra lettura trimestrale preferita per la vita sempre qui naturalmente con The Bull – il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025