ETF Obbligazionari o singole obbligazioni? Pro e contro a confronto
Le obbligazioni sono alla base di ogni portafoglio, ma come conviene comprarle? Meglio acquistarle singole oppure attraverso un ETF obbligazionario? In questa puntata analizziamo le differenze: scadenza certa contro scadenza continua, semplicità di gestione, rischio di liquidità e diversificazione. Confrontiamo i pro e i contro di entrambe le strade per capire qual è la soluzione più adatta a un investitore privato.
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Per l'investitore privato in fase di accumulo, gli ETF obbligazionari sono generalmente preferibili alle singole obbligazioni (bond).
Gli ETF obbligazionari offrono maggiore diversificazione, reinvestono le cedole (interesse composto tax free) e catturano il Term Premium.
L'obiezione che le singole obbligazioni rimborsano il capitale è irrilevante in termini reali (inflazione) e finanziariamente poco rilevante in un portafoglio diversificato.
Contenuti del video
- 00:00 ETF obbligazionari o singole obbligazioni?
- 03:00 Ripasso sulle obbligazioni
- 09:18 Gli ETF Obbligazionari
- 13:40 Primo motivo: diversificazione
- 16:04 Secondo motivo: Yield-to-maturity
- 19:08 Terzo Motivo: gestione del portafoglio term premium
- 24:15 Quattro Motivo: gli ETF di bond sono fatti di bond
- 32:45 Parola a Cliff Asness
- 00:00 ETF obbligazionari o singole obbligazioni?
- 03:00 Ripasso sulle obbligazioni
- 09:18 Gli ETF Obbligazionari
- 13:40 Primo motivo: diversificazione
- 16:04 Secondo motivo: Yield-to-maturity
- 19:08 Terzo Motivo: gestione del portafoglio term premium
- 24:15 Quattro Motivo: gli ETF di bond sono fatti di bond
- 32:45 Parola a Cliff Asness
Trascrizione Video
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Rieccoci qua a in questa playlist dedicata alle domande su cui più mi avete smartellato i cog[BIIIP]lioni
“ah non si può dire su Youtube”
Come non detto, allora dedicato alle domande su cui più ci siamo intrattenuti in simpatiche conversazioni nel corso dei mesi con migliaia tra voi.
Se ve lo siete perso vi consiglio di guardarvi anche il video dedicato a perché in investire 100% in azioni che dovrebbe comparire qua sopra da qualche parte, in cui in pratica avevamo detto: “le azioni sono la roba che IN TEORIA e IN MEDIA rende di più, ma essere ricco in media e povero nella realtà non è una grande prospettiva, quindi meglio diversificare e bla bla bla ho spiegato per 40 minuti perché”.
Il discorso di oggi è il cugino di quello.
Perché oggi parliamo di una delle pratiche più importanti del sano investimento di buon senso: il RIBILANCIAMENTO DEL PORTAFOGLIO.
Chi segue The Bull da tempo ha già capito di cosa andremo a parlare oggi, anche se come sempre cercheremo di far vedere cose nuove che in podcast audio mi riusciva a volte difficile rappresentare nella vostra immaginazione.
Per tutti gli altri … beh … mettetevi comodi e godetevi il video, che vi parlerà di una tra le cose più importanti che dovreste conoscere come investitori.
Dunque, piccolo passo indietro: quali sono gli ingredienti di un sano investimento a lungo termine?
Tre ingredienti principali:
PRIMO INGREDIENTE: una pianificazione finanziaria fatta bene implementata in un portafoglio che rifletta il livello di rischio che vogliamo, possiamo e dobbiamo assumerci. Ricordate? Tolleranza al rischio, capacità di prenderci certi rischi in base all’orizzonte temporale e necessità di prenderci certi rischi in base agli obiettivi da raggiungere.
SECONDO INGREDIENTE: una disciplina comportamentale ferrea. Non bisogna andare fuori di testa quando ci sono le correzioni dei mercati — cioè quando vedete tanti segni meno e tante cose in rosso sulla vostra piattaforma di investimento — e allo stesso modo niente “YOLO e To the Moon” quando le cose vanno su, niente sopravvalutazione della propria capacità di fare meglio degli altri investitori perché tutti sono convinti di essere migliori della media ma ovviamente non può essere così e via dicendo. Fondamentalmente, tanta pazienza senza cambiare idea sul futuro ogni due per tre.
Naturalmente non è che uno non debba mai toccare i propri investimenti:
– Se cambiano gli obiettivi è giusto adattare il portafoglio.
– Se cambia la propensione al rischio è giusto adattare il portafoglio.
– Se uno ha adottato delle regole sistematiche di asset allocation (legate magari alle valutazioni, ai tassi di interesse o quant’altro) allora è giusto adattare il portafoglio.
Ma solitamente la tendenza è osservare un certo trend che dura da due settimane e da lì tirare conclusioni per i prossimi 50 anni.
Pessima idea, fidatevi.
Il TERZO INGREDIENTE, invece, è proprio quello di cui parlerei oggi, ossia adottare delle regole sistematiche — dove sistematico in italiano è il contrario di “a cazzo di cane” — dicevo regole sistematiche per RIBILANCIARE il nostro portafoglio.
Eh sì perché il ribilanciamento è un’operazione importantissima per un motivo molto semplice: nel corso della nostra vita, il nostro portafoglio non è che se ne sta fermo come vogliamo noi — in qualche modo pure lui ha una vita propria.
A volte un’asset class va su, un’altra va giù, poi si invertono e così via.
Quindi noi dobbiamo sapere a quali regole vogliamo sottoporlo per tenerne sotto controllo l’asset allocation complessiva, altrimenti facciamo tutta la nostra bella pianificazione, impostiamo il portafoglio dei nostri sogni e dopo un po’ ce ne ritroviamo un altro.
Il discorso del ribilanciamento di conseguenza è IMPORTANTISSIMO per TRE FONDAMENTALI MOTIVO:
– Il primo motivo è che ribilanciare è innanzitutto uno strumento di risk management. Per motivi tecnici che vedremo tra pochissimo, l’assenza di ribilanciamento comporta inevitabilmente un aumento del suo rischio sistematico complessivo.
– Il secondo motivo è che, in alcune circostanze che spiegheremo tra poco, ribilanciare il peso di due asset tra loro può portare un rendimento maggiore rispetto alla media ponderata del rendimento portato da ciascuno dei due singolarmente. Sì è un po’ contorta detta così, ma vedrete che tra un po’ si capisce
– Il terzo motivo — che è un po’ una combinazione dei primi due — è che un portafoglio ribilanciato, rispetto ad uno lasciato correre per la sua strada, tende ad avere una distribuzione dei risultati di lungo termine più compatta. Cosa significa? Significa che anche se non necessariamente migliora il rendimento medio assoluto, riduce la possibilità che io alla fine della mia vita mi trovi o ricchissimo o poverissimo. Se volgiamo dirlo in un modo in cui non si capirà una mazza, ma decisamente più rigoroso, potremmo affermare che il ribilanciamento restringe la distribuzione dei risultati della ricchezza terminale del portafoglio riducendo la sua a-simmetria positiva e aumentando il valore mediano a parità di valore medio.
Se vi piace il sollevamento pesi statistico-matematico tipico della finanza, ma fatto da persone che sono cintura nera di questa roba e state certi che non dicono mai cazzate potete leggervi questo bel paper qua
Motivazione bonus: ribilanciare è una buona strategia per controllare il nostro comportamento. Più siamo legati ad una regola oggettiva, meno saremo portati a fare stupidaggini con il nostro portafoglio, soprattutto quando presidenti americani dello stesso colore dei giubbetti dell’ANAS ogni due per tre vogliono invadere qualche paese, ammetterne un altro, licenziare dipendenti federali, imporre dazi e robe così — rigorosamente tutto ovviamente via post sui social.
Queste sono le ragioni chiave per cui bisogna sapere come RIBILIANCEREMO il nostro portafoglio nel corso del tempo.
[capitolo: perché non ribilanciare aumenta il rischio]
Ora, prima cosa: perché l’assenza di ribilanciamento dovrebbe aumentare il rischio del portafoglio nel tempo?
Il motivo è banale.
Immaginiamoci un classico portafoglio fatto, tanto per cambiare, di: azioni e titoli di stato.
Nel tempo il portafoglio tenderà a prendere — si dice — un “drift”, una deriva verso l’asset che rende di più, perché naturalmente se uno rende in media più dell’altro, nel tempo occuperà uno spazio sempre maggiore del portafoglio.
Facciamo un esempio.
Un investimento in un portafoglio 60% S&P 500 e 40% US Treasury nel 2010 e lasciato correre senza mai ribilanciare oggi avrebbe quasi il 90% di azioni.
È ovvio che un portafoglio con il 90% di azioni è nettamente più rischioso di uno con il 60%.
E non pensiamo che si tratti di cherry picking, dovuto al fatto che ho preso l’ultimo sfavillante quindicennio per le azioni americane.
Se faccio un backtest di 30 anni, a partire dal 1995, la storia non cambia
Quindi è chiaro che, al netto di altre considerazioni di pianificazione finanziaria, bisogna ribilanciare perché se il mio livello giusto di rischio mi suggeriva di avere, che so, 60-65% di azioni, allora non posso permettermi un portafoglio che ne abbia il 90% – anche se il rendimento è atteso teoricamente è maggiore.
Il punto quindi è capire come trovare l’equilibrio giusto nella regola di ribilanciamento.
– Eh sì perché da un lato ribilanciare in qualche modo costa del rendimento assoluto. È ovvio, se lascio correre il portafoglio di solito nel tempo aumenta la mia parte azionaria: aumenta il rischio ma aumenterà pure il rendimento.
– Quello che a me interessa, invece, come abbiamo già detto anche nel video prima di questo, è migliorare il risk-adjusted return, ciò sfruttare il ribilanciamento per conseguire il massimo rendimento possibile al minimo rischio possibile.
Attenzione che questa del risk-adjusted return non è una supercazzola finanziaria.
Ha un impatto sui soldi reali che al termine del mio viaggio da investitore mi trovo sul conto titoli, quello che prima abbiamo chiamato il terminal wealth: cioè investo per 20-30 anni, alla fine quanti soldi effettivamente mi trovo?
Per capire il perché seguite bene questo brevissimo ragionamento.
Quando investo, in qualunque cosa investa, ovviamente non ho la certezza del rendimento futuro realizzato, ma posso solo stimare il rendimento atteso.
Il rendimento effettivamente realizzato cadrà da qualche parte in mezzo ad un certo range di possibilità.
Se investo una cifra X per esempio sull’MSCI World per 30 anni il mio rendimento medio composto alla fine sarà, boh sparo, 4% se mi ha detto male, 12% se mi ha detto molto bene.
Se investo in un portafoglio metà MSCI World e metà Bond Europei, il rendimento atteso sarà inferiore, ma probabilmente si stringerà anche il range dei risultati possibili. Che so, magari il rendimento composto medio realizzato sarà tra — sparo anche qui — 5 e 7%.
Questo non è irrilevante, nel senso che un portafoglio che mi permette di ridurre la probabilità di scenari disastrosi, anche se molto poco probabili, è fondamentale per la mia salute finanziaria a lungo termine.
E questa cosa vale anche per la strategia di ribilanciamento.
Quindi tutta la faccenda non è trovare la formula magica per creare rendimento extra.
Questa cosa può succedere come anche no, come vedremo.
L’obiettivo è invece trovare una regola di ribilanciamento che riduca lo spettro dei possibili risultati e quindi limiti soprattutto gli scenari molto negativi.
In termini statistici per fare un po’ i saputelli potremmo dire: “per tagliare la coda sinistra” oppure “per aumentare il valore mediano del terminal wealth”.
Ora, quello che sappiamo è che un portafoglio buy-and-hold, che non viene ribilanciato, tende ad andare meglio quando il mercato sta seguendo un trend, sia positivo che negativo, mentre in questi casi ribilanciare frequentemente è dannoso.
[capitolo: media aritmetica e geometrica]
Al contrario il ribilanciamento funziona meglio nelle fasi in cui si verifica un’inversione del trend, cioè quell’altro fenomeno tipico a cui sono soggette obbligazioni e soprattutto azioni, chiamato regressione verso la media.
Questo succede per motivazioni essenzialmente matematiche.
Facciamo un brevissimo ripasso della differenza tra MEDIA ARITMETICA e MEDIA GEOMETRICA
Sembra una roba complicata per chi lo sente per la prima volta, ma fidatevi che sono più difficili le parole che i concetti.
Allora diciamo che Investo 10.000 € e tra 10 anni me ne circa ritrovo 20.000 — evviva evviva warren buffet spostati.
Il mio rendimento totale è stato quindi del 100%, perché appunto 20.000 è il doppio di 10.000.
Mo come faccio a sapere il rendimento medio annuo composto?
Non posso fare 100% diviso 10 anni = 10% all’anno, questa sarebbe la media aritmetica, perché come professiamo sin dagli albori di questo Opus magnum di finanza personale i rendimenti sono composti.
Quindi si usa la formuletta 20.000 diviso 10.000 elevato alla (1 diviso 10) meno uno = 7,2% circa.
Questo 7,2%, chiamato media geometrica, è il rendimento medio annuo composto, che spesso si trova scritto con l’acronimo CAGR — compounded annual growth rate.
Ora, giriamo la cosa dall’altra parte.
Perché se il rendimento medio annuo aritmetico è 10%, in questo caso il rendimento medio geometrico — che è quello reale che ci portiamo a casa — è 7,2%?
Chi s’è fregato la differenza?
Il colpevole si chiama volatilità.
Attenzione adesso a questo apparente paradosso:
Se abbiamo due asset che in un certo periodo hanno dato un rendimento medio aritmetico identico ma una diversa volatilità, quello con meno volatilità, piaccia o non piaccia, ci fa fare più soldi.
Stesso rendimento aritmetico, ma diverso rendimento geometrico-
Capito?
Facciamo un esempio facile facile.
Abbiamo due asset: A e B.
L’asset A fa
+30% il primo anno
-15% il secondo anno
+30% il terzo anno.
La media quanto fa? 30-15+30 diviso 3 fa naturalmente 15%.
L’asset B invece fa
+15% il primo anno
+15% il secondo anno
+15% il terzo anno.
Anche qui 15+15+15 diviso 3 fa sempre 15%.
Bene, allora com’è se investo 10.000 € nell’asset A, dopo tre anni mi ritrovo con 14.300 € circa, mentre gli stessi 10.000 € nell’asset B diventano più di 15.000?
Perché la volatilità del primo si è ciucciato via un po’ di rendimento.
Se ci pensate il motivo è molto banale.
– Parto con 10.000 €
– Dopo un anno A fa + 30% e quindi va a 13.000 mentre B fa +15% e quindi va a 11.500
– L’anno dopo però A fa -15%, quindi vado 11.500, mentre B fa ancora +15% e va a 13.225
– Il terzo anno infine A fa di nuovo + 30% e va 14.365, mentre B fa ancora +15% e va 15.208
La media è la stessa, ma i risultati cambiano perché le percentuali negative — diciamola così — pesano di più delle percentuali positive.
Mi serve una crescita percentuale maggiore per recuperare una certa perdita.
Così come basta una perdita percentuale minore per annullare un certo guadagno.
La formula è semplice, per compensare una perdita mi serve
E questa è una cosa piuttosto importante da conoscere perché è una caratteristica crudele della finanza: maggiore è la perdita in valore percentuale, più dovrà crescere poi il mio investimento per recuperare:
È un fatto molto noto che quando un asset perde il 50% del suo valore, serve poi una crescita del 100% solo per tornare in pari.
La differenza tra media geometrica e aritmetica si spiega tutta qui.
L’aritmetica è lineare.
La geometria invece è esponenziale.
Ecco perché più un asset è volatile, cioè maggiore è la sua varianza, maggiore è la dispersione per strada del rendimento reale che mi porto a casa.
[capitolo: buy-and-hold vs ribilanciamento]
Perché tutto sto pippone vi chiederete?
Eh, perché serve per spiegare quello che dicevo prima.
– Durante per esempio un trend rialzista, se non ribilancio sfrutto — si dice — il momentum dell’asset che sta andando meglio, e tipicamente sono le azioni, e quindi l’effetto cumulativo della crescita progressiva dell’asset è esponenziale. Se invece ribilancio — cioè vendo l’asset che sta andando meglio e compro quello che sta andando peggio — limito la crescita. Si dice quindi che la strategia BUY AND HOLD ha una CONVESSITÀ POSITIVA, cioè amplifica i guadagni.
Esempio semplice: gli ultimi due anni di bull market, 2023 e 2024.
– Portafoglio 60/40 buy and hold avrebbe reso il 16,4% all’anno, mentre
– Stesso portafoglio ma ribilanciato mensilmente, avrebbe reso il 15,3%.
<!– –>
– Durante una fase laterale, in cui cioè i mercati vanno un po’ su e un po’ giù, invece, se ribilancio potrei conseguire un “rebalacing bonus”, perché in assenza di un chiaro asset che prevale, si dimostra matematicamente che il ribilanciamento aggiunge del rendimento
Prendiamo per esempio un anno abbastanza piatto come il 2011:
– Buy and hold, 7,6%
– Ribilanciato mensilmente, 8,1%
<!– –>
– Infine durante una fase ribassista spesso è vincente non ribilanciare, perché il discorso della media geometrica funziona anche in negativo. Quando il mercato cresce, cresce sempre più velocemente, mentre quanto va giù — come dire — il suo declino rallenta. Cioè se per assurdo il mercato perde l’1% al giorno per una settimana, in valore assoluto il danno fatto il lunedì è maggiore di quello fatto il venerdì. Se invece mentre il mercato va giù io continuo a comprare l’asset che sta scendendo, quello che ottengo è un’amplificazione del risultato negativo e quindi ottieniamo una CONVESSITÀ NEGATIVA. Ribilanciare durante le correzioni negative del mercato — come dire — getta benzina sul fuoco.
Prendiamo per esempio il terribile biennio marzo 2007-febbraio 2009, piena Great Financial Crisis:
– Buy and hold, -9,5%
– Portafoglio ribilanciato mensilmente, -12,5% all’anno.
Capito questo, il punto ora è cercare di trovare una regola semplice, semiautomatica e soprattutto indipendente dalle mie pulsioni che cambiano come cambia il mood sui mercati, per ribilanciare il portafoglio in maniera efficace.
Per semplificarci la vita prendiamo in considerazione tre strategie estremamente banali da implementare e cerchiamo di capire quale sia, IN MEDIA, quella che funziona meglio, ossia:
– Buy and hold, cioè non ribilanciamo mai;
– Ribilanciamento annuale e infine
– Drift 10%, cioè ribilanciamo solo se il peso di un asset aumenta o diminuisce più del 10% rispetto all’allocazione originaria, cioè si lascia correre il portafoglio fino a quel valore soglia poi lo si ribilancia. Questo chiaramente può succedere in pochi mesi oppure in periodi superiori ad alcuni anni.
Ho fatto un po’ di confronti usando questi portafogli:
– il classico 60/40, composto da MSCI World e Titoli di Stato globali
– un portafoglio che chi segue The Bull da un po’ sa che chiamo No regret portfolio (fatto al 50% da MSCI World, 25% Titoli di Stato globali, 25% oro)
– e poi una versione semplificata del mio portafoglio (67% azioni, 25% bond, 8% oro).
Per farlo ho preso cinque periodi storici:
– Il periodo complessivo dal 1994 al 2024;
– Il bull market dal 2009 al 2024;
– Il drammatico periodo segnato da due crisi epocali 2000 — 2008;
– E poi ho preso due tranche sovrapposte ossia: il 1994-2008, cioè un bull market seguito da un lungo periodo negativo per le azioni e poi il contrario
– 2000-2024, cioè prima un periodo molto negativo e poi un lungo bull market
Così vediamo i comportamenti in diversi regimi di mercato.
[capitolo: bcaktest]
Vediamo come sono andati i backtest
PRIMO RISULTATO:
Come prevedibile non ribilanciare è la strategia quasi sempre con il maggior rendimento sia nel periodo complessivo, 94-2024, sia durante il bull market 2009-2024, sia durante il quasi decennio perduto 2000-2008.
Questo risultato ci dà due informazioni:
– Ci dice intanto che nel lungo termine far correre il portafoglio generalmente ha un effetto positivo, chiaramente a condizione che la supremazia del rendimento azionario si mantenga anche nel futuro;
– E ci dice anche che durante i periodi negativi ribilanciare non porta benefici diretti.
Il problema qual è però?
Il problema è che il portafoglio che mi ritrovo alla fine del periodo sarà completamente diverso da quello che avevo all’inizio.
Se io non ribilancio mai per anni, con tutti questi tre modelli di portafoglio finisco per avere dall’80 al 95% di azioni, che probabilmente non è una buona idea rispetto ad una pianificazione finanziaria standard che solitamente vorrebbe che la quota azionaria vada man mano a ridursi in prossimità della pensione per poi ricominciare a risalire solo successivamente.
Quindi non ribilanciare mai non è probabilmente l’approccio corretto per la maggior parte degli investitori, perché il maggior rendimento chiaramente porta con sé una progressiva assunzione di rischio nel momento peggiore in cui uno dovrebbe prenderselo, cioè più avanti nel tempo e più si riduce la capacità del proprio capitale umano di compensare eventuali perdite nel proprio portafoglio
Inoltre, come dicevamo prime, la maggiore volatilità del portafoglio aumenta lo spettro dei risultati possibili.
Quindi in media mi darà risultati migliori non ribilanciare, ma come vedremo adesso dipende anche se l’ultima fase di investimento coincide con un bull market, come quello degli ultimi 15 anni, o con un periodo di merda come il 2000-2008.
SECONDO RISULTATO: non ribilanciare mai si rivela la strategia peggiore negli altri due periodi, cioè 2000-2024, prima un periodo negativo poi un lungo market, sia nel 1994-2008, quindi prima un bull market e poi il decennio con le due grandi crisi, quindi periodi caratterizzati da un regressione verso la media di due trend secolari
Il motivo proviamo a spiegarlo così:
– Mentre nel periodo più lungo la strategia buy and hold vince perché fondamentalmente arriviamo ad avere un portafoglio quasi completamente azionario,
– Nei due sottoperiodi in cui si alternano un lungo momento positivo e un lungo momento negativo il ribilanciamento crea un meccanismo che “estrae” rendimento extra dalle altre asset class; quello che accade infatti, è che il rendimento del portafoglio è superiore alla media ponderata del rendimento delle tre asset class prese singolarmente e va a battere quello del portafoglio non ribilanciato.
E qui veniamo al TERZO RISULTATO.
La strategia basata su un drift del 10%, cioè non ribilancio finché il peso di un’asset class non aumenta o diminuisce del 10% rispetto a quella prevista, sembra il miglior compromesso possibile.
Nel trentennio complessivo, risulta solo leggermente inferiore, come rendimento assoluto, alla strategia buy and hold, ma chiaramente con rischio inferiore, infatti lo Sharpe Ratio, cioè il rapporto tra rischio e rendimento, è leggermente superiore.
La stessa cosa è vera anche durante il bull market degli ultimi 15 anni o nel periodo 2000-2008.
Se prendiamo invece i due periodi in cui si alternano un periodo positivo e uno negativo, quindi 1994-2008 e 2000-2024, la strategia con drift risulta sempre la migliore anche in termini assoluto.
Questo risultato è coerente con le due forze principali che governano i mercati finanziari in generale e quello azionario in paritcolare: ossia autocorrelazione di breve termine e una tendenza alla regressione verso la media nel lungo termine, come per esempio mostrato fin dal 1988 da questo famoso paper di James Poterba e del futuro Segretario al Tesoro Larry Summers
– Lasciar correre di circa un 10% il peso delle diverse asset class nel portafoglio sembra quindi che permetta di seguire il trend che si è creato — e ricordiamo che vale sia in positivo che in negativo — e di non andare subito a sopprimerne il momentum, lo slancio, con un ribilanciamento affrettato; c’è un vecchio adagio di wall street che dice “trend is your friend”
– Allo stesso tempo però questo non prosegue all’infinito ma riporta il portafoglio entro il range stabilito per la propria asset allocation con il duplice obiettivo di ridurre l’esposizione al rischio del portafoglio ed eventualmente intercettare la regressione verso la media dei cicli di mercato
Il ribilanciamento annuale, invece, è un’idea tradizionale — molto americana — legata a specifici momenti in cui si pagano le tasse, ma non sembra un metodo particolarmente valido per sfruttare le logiche di ribilanciamento del portafoglio.
Oh, non che faccia una differenza madornale, se volete ribilanciare sempre a dicembre perché vi fa comodo bene così.
Però se guardiamo i numeri non sembra la strategia più proficua in media.
Ora, sono importantissime alcune precisazioni.
[capitolo: 4 precisazioni fondamentali]
PRIMA PRECISAZIONE: 10% non è un numero magico.
È un numero approssimativo.
Probabilmente l’idea è che 5% avrebbe poco impatto, 30% invece snaturerebbe in maniera significativa il portafoglio.
Probabilmente un drift del 10-20% è quello che ha più senso.
Tra l’altro poi dipende da come definiamo il drift.
– In termini relativi vuol dire: se le azioni sono al 60%, allora un drift di 10% significa tra 54 e 66%, no?, perché il range è il 10% di 60%, quindi 6%;
– In termini assoluti invece vuol dire che il range diventa 50-70%.
Ora, per le asset class più grosse, tipo azioni e obbligaizoni, ha più senso il primo.
Però ad esempio io ho l’8% di oro in portafoglio.
Ribilanciare ogni volta che si muove dello 0,8% non avrebbe senso.
Allora un metodo che si può usare è usare una media ponderata tra il valore relativo e il valore assoluto di tutto il portafoglio, che funziona così — per esempio prendiamo il mio portafoglio:
– Range relativi con drift 10%:
– Per il 68% di azioni è +/- 6,8%
– Per il 25% di obbligazioni è +/- 2,5%
– Per l’oro +/- 0,8%
– Poi calcolo il range assoluto:
– Ho tre asset class, quindi faccio 100 diviso 3, 33,3% e
– Quindi il drift assoluto è 3,3%
– A questo punto faccio la media:
– Le azioni si muoveranno del +/- 5%
– Le obbligiazioni del +/- 3% e
– L’oro del +/- 2%
Posto naturalmente che il fatto che un drift tra il 10-20% abbia funzionato bene in passato non è detto che funzioni anche per il futuro, come sempre accade quando si parla di finanza.
SECONDA PRECISAZIONE
ovviamente i ragionamenti che abbiamo fatto sinora sono teorici, perché non tengono del fatto che nella realtà ci sono — si dice — delle frizioni, la più importante delle quali sono le tasse.
Se per ribilanciare devo vendere un asset eccessivamente in positivo per comprarne uno che è rimasto indietro, pagherò il 26% di tasse di capital gain a meno che non siano titoli di stato.
Ora, questo è verissimo, e ciò ha un impatto sulla crescita rendimento composto del portafoglio.
Però conti alla mano è meno di quel che uno può pensare e bisogna sempre tenere presenti alcune cose
1) Intanto, piaccia o non piaccia, prima o poi ste tasse vanno pagate. È vero che prima le paghi, più azzoppa il rendimento composto, però, prima o poi vanno pagate. Quindi solo in parte è un costo on-top, il grosso di esso è solo un’anticipazione.
2) la verità è che soprattutto nelle fasi iniziali, tutto questo discorso è un po’ “diluito”, perché bisogna considerare che tendenzialmente uno investe progressivamente nel portafoglio.
Nei primi anni è relativamente facile ribilanciare senza mai vendere.
Finché uno ha un portafoglio di meno di 100.000 € e magari investe 500 € al mese, una parte significativa del ribilanciamento la può fare solo investendo nell’asset rimasto indietro.
Ovviamente se hai un 1.000.000 e versi 1000 euro al mese no, è più complicato. Ma questo per dire che su 30-40 anni di investimento, in molti ribilanciamenti non si dovrà necessariamente vendere asset e pagare tasse.
3) non dimentichiamoci infine una cosa. Sti soldi vanno spesi! È vero che facciamo sempre ragionamenti a lungo termine, ma ricordiamoci che noi costruiamo dei portafogli con l’obiettivo di finanziare la vita che desideriamo e realizzare i nostri obiettivi. Cioè vogliamo pagare l’università ai figli, vogliamo comprare una casa, vogliamo finanziare il progetto dei nostri sogni, non è che investiamo solo per andare in retirement tra 30 anni e pagarci la pensione. Ci sono delle situazioni in cui prenderemo una parte del nostro portafoglio, venderemo e ci compreremo quel che ci pare. Se siamo un po’ astuti approfitteremo di quelle situazioni per ribilanciare, tanto le tasse le avremmo pagate comunque.
Quindi in sintesi:
– Un po’ qualche tassa per strada la dobbiamo pagare, ma tanto la pagheremmo comunque
– Un po’ parte dei ribilanciamenti riusciamo a farli con i piani di accumulo e
– Un po’ riusciamo magari a far coincidere esigenze di liquidità con propositi di ribilanciamento.
Questo ci porta alla TERZA PRECISAZIONE, che riguarda proprio il fatto che tipicamente noi investiamo tramite piani di accumulo, un po’ per volta.
E questo ha un impatto sul ribilanciamento che naturalmente va gestito.
Per semplicità consideriamo un portafoglio 60/40.
Qui ci sono tre strade principali:
– Uno può versare una percentuale fissa ogni mese sulle diverse asset class (che so, se verso 500 euro sarà sempre 300 € in azioni e 200 in obbligazioni); in media questo approccio rallenterà la velocità a cui si arriverà a superare il drift del 10% perché indirettamente sto privilegiando l’acquisto dell’asset che cresce meno.
– Oppure uno può investire ogni mese in base alle proporzioni che il portafoglio HA in quel mese. Certo, non è che di mese in mese di solito sballa tanto, però ci sono momenti in cui l’asset allocation può muoversi sensibilmente anche in breve tempo. In questo modo si asseconderebbe maggiormente la logica del drift.
– L’ultima strada è investire ogni mese in maniera tale da riavvicinare l’asset allocation a quella desiderata. Questa però non sono convinto che sia la strada migliore perché taglia un po’ le gambe a quello che dicevamo prima, cioè che i trend, soprattutto quelli più netti, sarebbe meglio farli correre un po’. Il problema è che è difficile sapere in anticipo se c’è un trend, quindi investire assecondando il drift naturale del portafoglio è una regola fissa facile da implementare che in media permette di intercettare almeno un pezzo della maggior parte dei trend.
Questo ovviamente vale con il cash-in, ma volendo può valore anche per il cash out.
Quando ritiro una parte dei miei soldi, valuterò di volta in volta cosa vendere in base al fatto di avere o no delle esigenze di ribilanciamento in quel momento.
QUARTA e ultima PRECISAZIONE.
Tutto questo discorso è bellissimo e vi posso sfoderare una tonnellata di paper che hanno provato a fare il pelo e il contropelo al discorso del ribilanciamento, peraltro arrivando spesso a conclusioni diverse; però in generale va preso con buon senso.
Le esigenze della vita cambiano, gli obiettivi cambiano, i redditi e le spese cambiano e anche l’asset allocation cambia di conseguenza.
IN linea di princpio ciascuno di noi si costruisce un portafoglio di riferimento e — con questo — abbiamo visto che il principio del drift del 10-20% sembra una valida guida; però è chiaro che questo portafoglio cambia nel tempo per una serie di motivi e quindi ci saranno sempre degli adattamenti in corso d’opera che si sposteranno un po’ dal nostro bel file excel.
[capitolo: conclusioni e takeaway]
Per riassumere, comunque, tiriamo un po’ le somme:
– NUMERO UNO: take it easy. E’ stato più complicato parlarne oggi che metterlo in pratica. In media, usando una strategia come quella del drift, non dovrebbe capitare di ribilanciare più di una volta ogni paio d’anni, forse anche meno. Sulla carta sembra una cosa onerosa in termini operativi, ma in realtà, beneché sia molto importante, occupa meno tempo e sforzi di quel che sembra.
– NUMERO DUE: al netto di altre considerazioni di risk management, non ribilanciare il portafoglio non è un grosso problema. Anzi, a volte può essere pure benefico. Da quello che abbiamo appreso oggi, probabilmente nel dubbio conviene ribilanciare un po’ di meno che un po’ di più. Tra i due estremi, l’eccesso di ribilanciamento è forse peggio della carenza di ribilanciamento.
– NUMERO TRE: gli effetti positivi del ribilanciamento si hanno con asset poco correlati tra loro. Ribilanciare tra due settori azionari non è inutile, ma aggiunge poco. Ribilanciare tra per esempio tra azioni, titoli di stato e oro contribuisce al miglioramento del risk-adjusted return, cosa che — se mai servisse — porta punti all’importanza generale di una buona diversificazione del portafoglio. Quindi la prossima volta che ci chiederemo qual è il senso di avere una certa asset class nel portafoglio che sembra solo messa lì a fare schifo — qualcuno ha detto obbligazioni??? — ricordiamoci che quell’asset forse è meno inutile di quel che sembra.
Bene amici miei, fine dell’episodio di oggi che spero vi sia piaciuto e che abbia gettato un po’ di luce su questo oscuro tema del Ribilanciamento e che da oggi anche lui entri a far parte della vostra cassetta degli attrezzi finanziaria.
Per chi non l’avesse ancora fatto vi invito come sempre a iscrivervi al canale, mettere like, attivare le notifiche per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi lasciano driftare via per un 10% via dalle buone pratiche di investimento ma poi vi ribilanciano sulla retta sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo nel prossimo video di questa playlist, sempre qui naturalmente con The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Rieccoci qua a in questa playlist dedicata alle domande su cui più mi avete smartellato i cog[BIIIP]lioni
“ah non si può dire su Youtube”
Come non detto, allora dedicato alle domande su cui più ci siamo intrattenuti in simpatiche conversazioni nel corso dei mesi con migliaia tra voi.
Se ve lo siete perso vi consiglio di guardarvi anche il video dedicato a perché in investire 100% in azioni che dovrebbe comparire qua sopra da qualche parte, in cui in pratica avevamo detto: “le azioni sono la roba che IN TEORIA e IN MEDIA rende di più, ma essere ricco in media e povero nella realtà non è una grande prospettiva, quindi meglio diversificare e bla bla bla ho spiegato per 40 minuti perché”.
Il discorso di oggi è il cugino di quello.
Perché oggi parliamo di una delle pratiche più importanti del sano investimento di buon senso: il RIBILANCIAMENTO DEL PORTAFOGLIO.
Chi segue The Bull da tempo ha già capito di cosa andremo a parlare oggi, anche se come sempre cercheremo di far vedere cose nuove che in podcast audio mi riusciva a volte difficile rappresentare nella vostra immaginazione.
Per tutti gli altri … beh … mettetevi comodi e godetevi il video, che vi parlerà di una tra le cose più importanti che dovreste conoscere come investitori.
Dunque, piccolo passo indietro: quali sono gli ingredienti di un sano investimento a lungo termine?
Tre ingredienti principali:
PRIMO INGREDIENTE: una pianificazione finanziaria fatta bene implementata in un portafoglio che rifletta il livello di rischio che vogliamo, possiamo e dobbiamo assumerci. Ricordate? Tolleranza al rischio, capacità di prenderci certi rischi in base all’orizzonte temporale e necessità di prenderci certi rischi in base agli obiettivi da raggiungere.
SECONDO INGREDIENTE: una disciplina comportamentale ferrea. Non bisogna andare fuori di testa quando ci sono le correzioni dei mercati — cioè quando vedete tanti segni meno e tante cose in rosso sulla vostra piattaforma di investimento — e allo stesso modo niente “YOLO e To the Moon” quando le cose vanno su, niente sopravvalutazione della propria capacità di fare meglio degli altri investitori perché tutti sono convinti di essere migliori della media ma ovviamente non può essere così e via dicendo. Fondamentalmente, tanta pazienza senza cambiare idea sul futuro ogni due per tre.
Naturalmente non è che uno non debba mai toccare i propri investimenti:
– Se cambiano gli obiettivi è giusto adattare il portafoglio.
– Se cambia la propensione al rischio è giusto adattare il portafoglio.
– Se uno ha adottato delle regole sistematiche di asset allocation (legate magari alle valutazioni, ai tassi di interesse o quant’altro) allora è giusto adattare il portafoglio.
Ma solitamente la tendenza è osservare un certo trend che dura da due settimane e da lì tirare conclusioni per i prossimi 50 anni.
Pessima idea, fidatevi.
Il TERZO INGREDIENTE, invece, è proprio quello di cui parlerei oggi, ossia adottare delle regole sistematiche — dove sistematico in italiano è il contrario di “a cazzo di cane” — dicevo regole sistematiche per RIBILANCIARE il nostro portafoglio.
Eh sì perché il ribilanciamento è un’operazione importantissima per un motivo molto semplice: nel corso della nostra vita, il nostro portafoglio non è che se ne sta fermo come vogliamo noi — in qualche modo pure lui ha una vita propria.
A volte un’asset class va su, un’altra va giù, poi si invertono e così via.
Quindi noi dobbiamo sapere a quali regole vogliamo sottoporlo per tenerne sotto controllo l’asset allocation complessiva, altrimenti facciamo tutta la nostra bella pianificazione, impostiamo il portafoglio dei nostri sogni e dopo un po’ ce ne ritroviamo un altro.
Il discorso del ribilanciamento di conseguenza è IMPORTANTISSIMO per TRE FONDAMENTALI MOTIVO:
– Il primo motivo è che ribilanciare è innanzitutto uno strumento di risk management. Per motivi tecnici che vedremo tra pochissimo, l’assenza di ribilanciamento comporta inevitabilmente un aumento del suo rischio sistematico complessivo.
– Il secondo motivo è che, in alcune circostanze che spiegheremo tra poco, ribilanciare il peso di due asset tra loro può portare un rendimento maggiore rispetto alla media ponderata del rendimento portato da ciascuno dei due singolarmente. Sì è un po’ contorta detta così, ma vedrete che tra un po’ si capisce
– Il terzo motivo — che è un po’ una combinazione dei primi due — è che un portafoglio ribilanciato, rispetto ad uno lasciato correre per la sua strada, tende ad avere una distribuzione dei risultati di lungo termine più compatta. Cosa significa? Significa che anche se non necessariamente migliora il rendimento medio assoluto, riduce la possibilità che io alla fine della mia vita mi trovi o ricchissimo o poverissimo. Se volgiamo dirlo in un modo in cui non si capirà una mazza, ma decisamente più rigoroso, potremmo affermare che il ribilanciamento restringe la distribuzione dei risultati della ricchezza terminale del portafoglio riducendo la sua a-simmetria positiva e aumentando il valore mediano a parità di valore medio.
Se vi piace il sollevamento pesi statistico-matematico tipico della finanza, ma fatto da persone che sono cintura nera di questa roba e state certi che non dicono mai cazzate potete leggervi questo bel paper qua
Motivazione bonus: ribilanciare è una buona strategia per controllare il nostro comportamento. Più siamo legati ad una regola oggettiva, meno saremo portati a fare stupidaggini con il nostro portafoglio, soprattutto quando presidenti americani dello stesso colore dei giubbetti dell’ANAS ogni due per tre vogliono invadere qualche paese, ammetterne un altro, licenziare dipendenti federali, imporre dazi e robe così — rigorosamente tutto ovviamente via post sui social.
Queste sono le ragioni chiave per cui bisogna sapere come RIBILIANCEREMO il nostro portafoglio nel corso del tempo.
[capitolo: perché non ribilanciare aumenta il rischio]
Ora, prima cosa: perché l’assenza di ribilanciamento dovrebbe aumentare il rischio del portafoglio nel tempo?
Il motivo è banale.
Immaginiamoci un classico portafoglio fatto, tanto per cambiare, di: azioni e titoli di stato.
Nel tempo il portafoglio tenderà a prendere — si dice — un “drift”, una deriva verso l’asset che rende di più, perché naturalmente se uno rende in media più dell’altro, nel tempo occuperà uno spazio sempre maggiore del portafoglio.
Facciamo un esempio.
Un investimento in un portafoglio 60% S&P 500 e 40% US Treasury nel 2010 e lasciato correre senza mai ribilanciare oggi avrebbe quasi il 90% di azioni.
È ovvio che un portafoglio con il 90% di azioni è nettamente più rischioso di uno con il 60%.
E non pensiamo che si tratti di cherry picking, dovuto al fatto che ho preso l’ultimo sfavillante quindicennio per le azioni americane.
Se faccio un backtest di 30 anni, a partire dal 1995, la storia non cambia
Quindi è chiaro che, al netto di altre considerazioni di pianificazione finanziaria, bisogna ribilanciare perché se il mio livello giusto di rischio mi suggeriva di avere, che so, 60-65% di azioni, allora non posso permettermi un portafoglio che ne abbia il 90% – anche se il rendimento è atteso teoricamente è maggiore.
Il punto quindi è capire come trovare l’equilibrio giusto nella regola di ribilanciamento.
– Eh sì perché da un lato ribilanciare in qualche modo costa del rendimento assoluto. È ovvio, se lascio correre il portafoglio di solito nel tempo aumenta la mia parte azionaria: aumenta il rischio ma aumenterà pure il rendimento.
– Quello che a me interessa, invece, come abbiamo già detto anche nel video prima di questo, è migliorare il risk-adjusted return, ciò sfruttare il ribilanciamento per conseguire il massimo rendimento possibile al minimo rischio possibile.
Attenzione che questa del risk-adjusted return non è una supercazzola finanziaria.
Ha un impatto sui soldi reali che al termine del mio viaggio da investitore mi trovo sul conto titoli, quello che prima abbiamo chiamato il terminal wealth: cioè investo per 20-30 anni, alla fine quanti soldi effettivamente mi trovo?
Per capire il perché seguite bene questo brevissimo ragionamento.
Quando investo, in qualunque cosa investa, ovviamente non ho la certezza del rendimento futuro realizzato, ma posso solo stimare il rendimento atteso.
Il rendimento effettivamente realizzato cadrà da qualche parte in mezzo ad un certo range di possibilità.
Se investo una cifra X per esempio sull’MSCI World per 30 anni il mio rendimento medio composto alla fine sarà, boh sparo, 4% se mi ha detto male, 12% se mi ha detto molto bene.
Se investo in un portafoglio metà MSCI World e metà Bond Europei, il rendimento atteso sarà inferiore, ma probabilmente si stringerà anche il range dei risultati possibili. Che so, magari il rendimento composto medio realizzato sarà tra — sparo anche qui — 5 e 7%.
Questo non è irrilevante, nel senso che un portafoglio che mi permette di ridurre la probabilità di scenari disastrosi, anche se molto poco probabili, è fondamentale per la mia salute finanziaria a lungo termine.
E questa cosa vale anche per la strategia di ribilanciamento.
Quindi tutta la faccenda non è trovare la formula magica per creare rendimento extra.
Questa cosa può succedere come anche no, come vedremo.
L’obiettivo è invece trovare una regola di ribilanciamento che riduca lo spettro dei possibili risultati e quindi limiti soprattutto gli scenari molto negativi.
In termini statistici per fare un po’ i saputelli potremmo dire: “per tagliare la coda sinistra” oppure “per aumentare il valore mediano del terminal wealth”.
Ora, quello che sappiamo è che un portafoglio buy-and-hold, che non viene ribilanciato, tende ad andare meglio quando il mercato sta seguendo un trend, sia positivo che negativo, mentre in questi casi ribilanciare frequentemente è dannoso.
[capitolo: media aritmetica e geometrica]
Al contrario il ribilanciamento funziona meglio nelle fasi in cui si verifica un’inversione del trend, cioè quell’altro fenomeno tipico a cui sono soggette obbligazioni e soprattutto azioni, chiamato regressione verso la media.
Questo succede per motivazioni essenzialmente matematiche.
Facciamo un brevissimo ripasso della differenza tra MEDIA ARITMETICA e MEDIA GEOMETRICA
Sembra una roba complicata per chi lo sente per la prima volta, ma fidatevi che sono più difficili le parole che i concetti.
Allora diciamo che Investo 10.000 € e tra 10 anni me ne circa ritrovo 20.000 — evviva evviva warren buffet spostati.
Il mio rendimento totale è stato quindi del 100%, perché appunto 20.000 è il doppio di 10.000.
Mo come faccio a sapere il rendimento medio annuo composto?
Non posso fare 100% diviso 10 anni = 10% all’anno, questa sarebbe la media aritmetica, perché come professiamo sin dagli albori di questo Opus magnum di finanza personale i rendimenti sono composti.
Quindi si usa la formuletta 20.000 diviso 10.000 elevato alla (1 diviso 10) meno uno = 7,2% circa.
Questo 7,2%, chiamato media geometrica, è il rendimento medio annuo composto, che spesso si trova scritto con l’acronimo CAGR — compounded annual growth rate.
Ora, giriamo la cosa dall’altra parte.
Perché se il rendimento medio annuo aritmetico è 10%, in questo caso il rendimento medio geometrico — che è quello reale che ci portiamo a casa — è 7,2%?
Chi s’è fregato la differenza?
Il colpevole si chiama volatilità.
Attenzione adesso a questo apparente paradosso:
Se abbiamo due asset che in un certo periodo hanno dato un rendimento medio aritmetico identico ma una diversa volatilità, quello con meno volatilità, piaccia o non piaccia, ci fa fare più soldi.
Stesso rendimento aritmetico, ma diverso rendimento geometrico-
Capito?
Facciamo un esempio facile facile.
Abbiamo due asset: A e B.
L’asset A fa
+30% il primo anno
-15% il secondo anno
+30% il terzo anno.
La media quanto fa? 30-15+30 diviso 3 fa naturalmente 15%.
L’asset B invece fa
+15% il primo anno
+15% il secondo anno
+15% il terzo anno.
Anche qui 15+15+15 diviso 3 fa sempre 15%.
Bene, allora com’è se investo 10.000 € nell’asset A, dopo tre anni mi ritrovo con 14.300 € circa, mentre gli stessi 10.000 € nell’asset B diventano più di 15.000?
Perché la volatilità del primo si è ciucciato via un po’ di rendimento.
Se ci pensate il motivo è molto banale.
– Parto con 10.000 €
– Dopo un anno A fa + 30% e quindi va a 13.000 mentre B fa +15% e quindi va a 11.500
– L’anno dopo però A fa -15%, quindi vado 11.500, mentre B fa ancora +15% e va a 13.225
– Il terzo anno infine A fa di nuovo + 30% e va 14.365, mentre B fa ancora +15% e va 15.208
La media è la stessa, ma i risultati cambiano perché le percentuali negative — diciamola così — pesano di più delle percentuali positive.
Mi serve una crescita percentuale maggiore per recuperare una certa perdita.
Così come basta una perdita percentuale minore per annullare un certo guadagno.
La formula è semplice, per compensare una perdita mi serve
E questa è una cosa piuttosto importante da conoscere perché è una caratteristica crudele della finanza: maggiore è la perdita in valore percentuale, più dovrà crescere poi il mio investimento per recuperare:
È un fatto molto noto che quando un asset perde il 50% del suo valore, serve poi una crescita del 100% solo per tornare in pari.
La differenza tra media geometrica e aritmetica si spiega tutta qui.
L’aritmetica è lineare.
La geometria invece è esponenziale.
Ecco perché più un asset è volatile, cioè maggiore è la sua varianza, maggiore è la dispersione per strada del rendimento reale che mi porto a casa.
[capitolo: buy-and-hold vs ribilanciamento]
Perché tutto sto pippone vi chiederete?
Eh, perché serve per spiegare quello che dicevo prima.
– Durante per esempio un trend rialzista, se non ribilancio sfrutto — si dice — il momentum dell’asset che sta andando meglio, e tipicamente sono le azioni, e quindi l’effetto cumulativo della crescita progressiva dell’asset è esponenziale. Se invece ribilancio — cioè vendo l’asset che sta andando meglio e compro quello che sta andando peggio — limito la crescita. Si dice quindi che la strategia BUY AND HOLD ha una CONVESSITÀ POSITIVA, cioè amplifica i guadagni.
Esempio semplice: gli ultimi due anni di bull market, 2023 e 2024.
– Portafoglio 60/40 buy and hold avrebbe reso il 16,4% all’anno, mentre
– Stesso portafoglio ma ribilanciato mensilmente, avrebbe reso il 15,3%.
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– Durante una fase laterale, in cui cioè i mercati vanno un po’ su e un po’ giù, invece, se ribilancio potrei conseguire un “rebalacing bonus”, perché in assenza di un chiaro asset che prevale, si dimostra matematicamente che il ribilanciamento aggiunge del rendimento
Prendiamo per esempio un anno abbastanza piatto come il 2011:
– Buy and hold, 7,6%
– Ribilanciato mensilmente, 8,1%
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– Infine durante una fase ribassista spesso è vincente non ribilanciare, perché il discorso della media geometrica funziona anche in negativo. Quando il mercato cresce, cresce sempre più velocemente, mentre quanto va giù — come dire — il suo declino rallenta. Cioè se per assurdo il mercato perde l’1% al giorno per una settimana, in valore assoluto il danno fatto il lunedì è maggiore di quello fatto il venerdì. Se invece mentre il mercato va giù io continuo a comprare l’asset che sta scendendo, quello che ottengo è un’amplificazione del risultato negativo e quindi ottieniamo una CONVESSITÀ NEGATIVA. Ribilanciare durante le correzioni negative del mercato — come dire — getta benzina sul fuoco.
Prendiamo per esempio il terribile biennio marzo 2007-febbraio 2009, piena Great Financial Crisis:
– Buy and hold, -9,5%
– Portafoglio ribilanciato mensilmente, -12,5% all’anno.
Capito questo, il punto ora è cercare di trovare una regola semplice, semiautomatica e soprattutto indipendente dalle mie pulsioni che cambiano come cambia il mood sui mercati, per ribilanciare il portafoglio in maniera efficace.
Per semplificarci la vita prendiamo in considerazione tre strategie estremamente banali da implementare e cerchiamo di capire quale sia, IN MEDIA, quella che funziona meglio, ossia:
– Buy and hold, cioè non ribilanciamo mai;
– Ribilanciamento annuale e infine
– Drift 10%, cioè ribilanciamo solo se il peso di un asset aumenta o diminuisce più del 10% rispetto all’allocazione originaria, cioè si lascia correre il portafoglio fino a quel valore soglia poi lo si ribilancia. Questo chiaramente può succedere in pochi mesi oppure in periodi superiori ad alcuni anni.
Ho fatto un po’ di confronti usando questi portafogli:
– il classico 60/40, composto da MSCI World e Titoli di Stato globali
– un portafoglio che chi segue The Bull da un po’ sa che chiamo No regret portfolio (fatto al 50% da MSCI World, 25% Titoli di Stato globali, 25% oro)
– e poi una versione semplificata del mio portafoglio (67% azioni, 25% bond, 8% oro).
Per farlo ho preso cinque periodi storici:
– Il periodo complessivo dal 1994 al 2024;
– Il bull market dal 2009 al 2024;
– Il drammatico periodo segnato da due crisi epocali 2000 — 2008;
– E poi ho preso due tranche sovrapposte ossia: il 1994-2008, cioè un bull market seguito da un lungo periodo negativo per le azioni e poi il contrario
– 2000-2024, cioè prima un periodo molto negativo e poi un lungo bull market
Così vediamo i comportamenti in diversi regimi di mercato.
[capitolo: bcaktest]
Vediamo come sono andati i backtest
PRIMO RISULTATO:
Come prevedibile non ribilanciare è la strategia quasi sempre con il maggior rendimento sia nel periodo complessivo, 94-2024, sia durante il bull market 2009-2024, sia durante il quasi decennio perduto 2000-2008.
Questo risultato ci dà due informazioni:
– Ci dice intanto che nel lungo termine far correre il portafoglio generalmente ha un effetto positivo, chiaramente a condizione che la supremazia del rendimento azionario si mantenga anche nel futuro;
– E ci dice anche che durante i periodi negativi ribilanciare non porta benefici diretti.
Il problema qual è però?
Il problema è che il portafoglio che mi ritrovo alla fine del periodo sarà completamente diverso da quello che avevo all’inizio.
Se io non ribilancio mai per anni, con tutti questi tre modelli di portafoglio finisco per avere dall’80 al 95% di azioni, che probabilmente non è una buona idea rispetto ad una pianificazione finanziaria standard che solitamente vorrebbe che la quota azionaria vada man mano a ridursi in prossimità della pensione per poi ricominciare a risalire solo successivamente.
Quindi non ribilanciare mai non è probabilmente l’approccio corretto per la maggior parte degli investitori, perché il maggior rendimento chiaramente porta con sé una progressiva assunzione di rischio nel momento peggiore in cui uno dovrebbe prenderselo, cioè più avanti nel tempo e più si riduce la capacità del proprio capitale umano di compensare eventuali perdite nel proprio portafoglio
Inoltre, come dicevamo prime, la maggiore volatilità del portafoglio aumenta lo spettro dei risultati possibili.
Quindi in media mi darà risultati migliori non ribilanciare, ma come vedremo adesso dipende anche se l’ultima fase di investimento coincide con un bull market, come quello degli ultimi 15 anni, o con un periodo di merda come il 2000-2008.
SECONDO RISULTATO: non ribilanciare mai si rivela la strategia peggiore negli altri due periodi, cioè 2000-2024, prima un periodo negativo poi un lungo market, sia nel 1994-2008, quindi prima un bull market e poi il decennio con le due grandi crisi, quindi periodi caratterizzati da un regressione verso la media di due trend secolari
Il motivo proviamo a spiegarlo così:
– Mentre nel periodo più lungo la strategia buy and hold vince perché fondamentalmente arriviamo ad avere un portafoglio quasi completamente azionario,
– Nei due sottoperiodi in cui si alternano un lungo momento positivo e un lungo momento negativo il ribilanciamento crea un meccanismo che “estrae” rendimento extra dalle altre asset class; quello che accade infatti, è che il rendimento del portafoglio è superiore alla media ponderata del rendimento delle tre asset class prese singolarmente e va a battere quello del portafoglio non ribilanciato.
E qui veniamo al TERZO RISULTATO.
La strategia basata su un drift del 10%, cioè non ribilancio finché il peso di un’asset class non aumenta o diminuisce del 10% rispetto a quella prevista, sembra il miglior compromesso possibile.
Nel trentennio complessivo, risulta solo leggermente inferiore, come rendimento assoluto, alla strategia buy and hold, ma chiaramente con rischio inferiore, infatti lo Sharpe Ratio, cioè il rapporto tra rischio e rendimento, è leggermente superiore.
La stessa cosa è vera anche durante il bull market degli ultimi 15 anni o nel periodo 2000-2008.
Se prendiamo invece i due periodi in cui si alternano un periodo positivo e uno negativo, quindi 1994-2008 e 2000-2024, la strategia con drift risulta sempre la migliore anche in termini assoluto.
Questo risultato è coerente con le due forze principali che governano i mercati finanziari in generale e quello azionario in paritcolare: ossia autocorrelazione di breve termine e una tendenza alla regressione verso la media nel lungo termine, come per esempio mostrato fin dal 1988 da questo famoso paper di James Poterba e del futuro Segretario al Tesoro Larry Summers
– Lasciar correre di circa un 10% il peso delle diverse asset class nel portafoglio sembra quindi che permetta di seguire il trend che si è creato — e ricordiamo che vale sia in positivo che in negativo — e di non andare subito a sopprimerne il momentum, lo slancio, con un ribilanciamento affrettato; c’è un vecchio adagio di wall street che dice “trend is your friend”
– Allo stesso tempo però questo non prosegue all’infinito ma riporta il portafoglio entro il range stabilito per la propria asset allocation con il duplice obiettivo di ridurre l’esposizione al rischio del portafoglio ed eventualmente intercettare la regressione verso la media dei cicli di mercato
Il ribilanciamento annuale, invece, è un’idea tradizionale — molto americana — legata a specifici momenti in cui si pagano le tasse, ma non sembra un metodo particolarmente valido per sfruttare le logiche di ribilanciamento del portafoglio.
Oh, non che faccia una differenza madornale, se volete ribilanciare sempre a dicembre perché vi fa comodo bene così.
Però se guardiamo i numeri non sembra la strategia più proficua in media.
Ora, sono importantissime alcune precisazioni.
[capitolo: 4 precisazioni fondamentali]
PRIMA PRECISAZIONE: 10% non è un numero magico.
È un numero approssimativo.
Probabilmente l’idea è che 5% avrebbe poco impatto, 30% invece snaturerebbe in maniera significativa il portafoglio.
Probabilmente un drift del 10-20% è quello che ha più senso.
Tra l’altro poi dipende da come definiamo il drift.
– In termini relativi vuol dire: se le azioni sono al 60%, allora un drift di 10% significa tra 54 e 66%, no?, perché il range è il 10% di 60%, quindi 6%;
– In termini assoluti invece vuol dire che il range diventa 50-70%.
Ora, per le asset class più grosse, tipo azioni e obbligaizoni, ha più senso il primo.
Però ad esempio io ho l’8% di oro in portafoglio.
Ribilanciare ogni volta che si muove dello 0,8% non avrebbe senso.
Allora un metodo che si può usare è usare una media ponderata tra il valore relativo e il valore assoluto di tutto il portafoglio, che funziona così — per esempio prendiamo il mio portafoglio:
– Range relativi con drift 10%:
– Per il 68% di azioni è +/- 6,8%
– Per il 25% di obbligazioni è +/- 2,5%
– Per l’oro +/- 0,8%
– Poi calcolo il range assoluto:
– Ho tre asset class, quindi faccio 100 diviso 3, 33,3% e
– Quindi il drift assoluto è 3,3%
– A questo punto faccio la media:
– Le azioni si muoveranno del +/- 5%
– Le obbligiazioni del +/- 3% e
– L’oro del +/- 2%
Posto naturalmente che il fatto che un drift tra il 10-20% abbia funzionato bene in passato non è detto che funzioni anche per il futuro, come sempre accade quando si parla di finanza.
SECONDA PRECISAZIONE
ovviamente i ragionamenti che abbiamo fatto sinora sono teorici, perché non tengono del fatto che nella realtà ci sono — si dice — delle frizioni, la più importante delle quali sono le tasse.
Se per ribilanciare devo vendere un asset eccessivamente in positivo per comprarne uno che è rimasto indietro, pagherò il 26% di tasse di capital gain a meno che non siano titoli di stato.
Ora, questo è verissimo, e ciò ha un impatto sulla crescita rendimento composto del portafoglio.
Però conti alla mano è meno di quel che uno può pensare e bisogna sempre tenere presenti alcune cose
1) Intanto, piaccia o non piaccia, prima o poi ste tasse vanno pagate. È vero che prima le paghi, più azzoppa il rendimento composto, però, prima o poi vanno pagate. Quindi solo in parte è un costo on-top, il grosso di esso è solo un’anticipazione.
2) la verità è che soprattutto nelle fasi iniziali, tutto questo discorso è un po’ “diluito”, perché bisogna considerare che tendenzialmente uno investe progressivamente nel portafoglio.
Nei primi anni è relativamente facile ribilanciare senza mai vendere.
Finché uno ha un portafoglio di meno di 100.000 € e magari investe 500 € al mese, una parte significativa del ribilanciamento la può fare solo investendo nell’asset rimasto indietro.
Ovviamente se hai un 1.000.000 e versi 1000 euro al mese no, è più complicato. Ma questo per dire che su 30-40 anni di investimento, in molti ribilanciamenti non si dovrà necessariamente vendere asset e pagare tasse.
3) non dimentichiamoci infine una cosa. Sti soldi vanno spesi! È vero che facciamo sempre ragionamenti a lungo termine, ma ricordiamoci che noi costruiamo dei portafogli con l’obiettivo di finanziare la vita che desideriamo e realizzare i nostri obiettivi. Cioè vogliamo pagare l’università ai figli, vogliamo comprare una casa, vogliamo finanziare il progetto dei nostri sogni, non è che investiamo solo per andare in retirement tra 30 anni e pagarci la pensione. Ci sono delle situazioni in cui prenderemo una parte del nostro portafoglio, venderemo e ci compreremo quel che ci pare. Se siamo un po’ astuti approfitteremo di quelle situazioni per ribilanciare, tanto le tasse le avremmo pagate comunque.
Quindi in sintesi:
– Un po’ qualche tassa per strada la dobbiamo pagare, ma tanto la pagheremmo comunque
– Un po’ parte dei ribilanciamenti riusciamo a farli con i piani di accumulo e
– Un po’ riusciamo magari a far coincidere esigenze di liquidità con propositi di ribilanciamento.
Questo ci porta alla TERZA PRECISAZIONE, che riguarda proprio il fatto che tipicamente noi investiamo tramite piani di accumulo, un po’ per volta.
E questo ha un impatto sul ribilanciamento che naturalmente va gestito.
Per semplicità consideriamo un portafoglio 60/40.
Qui ci sono tre strade principali:
– Uno può versare una percentuale fissa ogni mese sulle diverse asset class (che so, se verso 500 euro sarà sempre 300 € in azioni e 200 in obbligazioni); in media questo approccio rallenterà la velocità a cui si arriverà a superare il drift del 10% perché indirettamente sto privilegiando l’acquisto dell’asset che cresce meno.
– Oppure uno può investire ogni mese in base alle proporzioni che il portafoglio HA in quel mese. Certo, non è che di mese in mese di solito sballa tanto, però ci sono momenti in cui l’asset allocation può muoversi sensibilmente anche in breve tempo. In questo modo si asseconderebbe maggiormente la logica del drift.
– L’ultima strada è investire ogni mese in maniera tale da riavvicinare l’asset allocation a quella desiderata. Questa però non sono convinto che sia la strada migliore perché taglia un po’ le gambe a quello che dicevamo prima, cioè che i trend, soprattutto quelli più netti, sarebbe meglio farli correre un po’. Il problema è che è difficile sapere in anticipo se c’è un trend, quindi investire assecondando il drift naturale del portafoglio è una regola fissa facile da implementare che in media permette di intercettare almeno un pezzo della maggior parte dei trend.
Questo ovviamente vale con il cash-in, ma volendo può valore anche per il cash out.
Quando ritiro una parte dei miei soldi, valuterò di volta in volta cosa vendere in base al fatto di avere o no delle esigenze di ribilanciamento in quel momento.
QUARTA e ultima PRECISAZIONE.
Tutto questo discorso è bellissimo e vi posso sfoderare una tonnellata di paper che hanno provato a fare il pelo e il contropelo al discorso del ribilanciamento, peraltro arrivando spesso a conclusioni diverse; però in generale va preso con buon senso.
Le esigenze della vita cambiano, gli obiettivi cambiano, i redditi e le spese cambiano e anche l’asset allocation cambia di conseguenza.
IN linea di princpio ciascuno di noi si costruisce un portafoglio di riferimento e — con questo — abbiamo visto che il principio del drift del 10-20% sembra una valida guida; però è chiaro che questo portafoglio cambia nel tempo per una serie di motivi e quindi ci saranno sempre degli adattamenti in corso d’opera che si sposteranno un po’ dal nostro bel file excel.
[capitolo: conclusioni e takeaway]
Per riassumere, comunque, tiriamo un po’ le somme:
– NUMERO UNO: take it easy. E’ stato più complicato parlarne oggi che metterlo in pratica. In media, usando una strategia come quella del drift, non dovrebbe capitare di ribilanciare più di una volta ogni paio d’anni, forse anche meno. Sulla carta sembra una cosa onerosa in termini operativi, ma in realtà, beneché sia molto importante, occupa meno tempo e sforzi di quel che sembra.
– NUMERO DUE: al netto di altre considerazioni di risk management, non ribilanciare il portafoglio non è un grosso problema. Anzi, a volte può essere pure benefico. Da quello che abbiamo appreso oggi, probabilmente nel dubbio conviene ribilanciare un po’ di meno che un po’ di più. Tra i due estremi, l’eccesso di ribilanciamento è forse peggio della carenza di ribilanciamento.
– NUMERO TRE: gli effetti positivi del ribilanciamento si hanno con asset poco correlati tra loro. Ribilanciare tra due settori azionari non è inutile, ma aggiunge poco. Ribilanciare tra per esempio tra azioni, titoli di stato e oro contribuisce al miglioramento del risk-adjusted return, cosa che — se mai servisse — porta punti all’importanza generale di una buona diversificazione del portafoglio. Quindi la prossima volta che ci chiederemo qual è il senso di avere una certa asset class nel portafoglio che sembra solo messa lì a fare schifo — qualcuno ha detto obbligazioni??? — ricordiamoci che quell’asset forse è meno inutile di quel che sembra.
Bene amici miei, fine dell’episodio di oggi che spero vi sia piaciuto e che abbia gettato un po’ di luce su questo oscuro tema del Ribilanciamento e che da oggi anche lui entri a far parte della vostra cassetta degli attrezzi finanziaria.
Per chi non l’avesse ancora fatto vi invito come sempre a iscrivervi al canale, mettere like, attivare le notifiche per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi lasciano driftare via per un 10% via dalle buone pratiche di investimento ma poi vi ribilanciano sulla retta sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo nel prossimo video di questa playlist, sempre qui naturalmente con The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024