4 Segnali di Ottimismo per i prossimi Mesi (e cosa è successo ad aprile sui Mercati)
Aprile è stato uno dei mesi più complessi per i mercati dai tempi del Covid-19. Nonostante il bagno di sangue successivo al 2 aprile, però, ci sono 4 segnali che fanno ben sperare per i prossimi 12 mesi. E uno di questi ha storicamente un track record perfetto.

210. 4 Segnali di Ottimismo per i prossimi Mesi (e cosa è successo ad aprile sui Mercati)
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Punti Chiave
Il mercato azionario ha recuperato nonostante i dazi, dimostrando resilienza e capacità di influenzare la politica.
Rari segnali tecnici, come lo Zweig Breadth Thrust, indicano statisticamente una crescita significativa dell'S&P 500 nei 12 mesi successivi.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Solitamente il primo episodio del mese è dedicato al recap di quanto è accaduto nel mese appena conclusosi.
Però praticamente sono 4 settimane di fila che praticamente parliamo solo di questo, quindi il mega resoconto dei fatti avvenuti nel più pazzo mese dai tempi del Covid ve lo risparmio.
Se qualcuno avesse vissuto in una caverna dal 1° aprile in poi, beh, sappia che il presidente degli Stati Uniti, sua eccellenza l’imperatore Donald J Trump II ha deciso che il mondo intero non era già abbastanza un casino così com’era e quindi ha pensato che fosse il momento per una bella sventagliata di protezionismo come non si vedeva dal 1930, da quei bei tempi andati che hanno preparato il terreno per quell’evento minore che è stata poi la Seconda guerra mondiale.
Dazi a tutti su tutto — con modalità che definiamo grottesche per non diventare subito volgari al primo minuto dell’episodio — e tutti i mercati finanziari della Terra sprofondano nel caos, rievocando in un secondo le immagini del marzo 2020 in cui l’economia sembrava sull’orlo del baratro sotto i colpi mortali del Covid o dell’ottobre 2008, mese della deflagrazione definitiva della peggior crisi finanziaria del dopoguerra.
Di quel che è successo dopo abbiamo già detto tutto il possibile è immaginabile.
Prima il tracollo di oltre il 10% in soli due giorni per l’S&P, poi le svendite di Treasury, il collasso del dollaro e l’impressione che per l’ultima superpotenza globale ormai si fosse imboccato il viale del tramonto.
Sappiamo però anche che fortunatemente possiamo contare, almeno per ora, su un jolly potentissimo, un deus ex machina che come nella commedia antica compare al momento decisivo per salvare le sorti della storia.
In questo caso, il nostro deus ex machina sono stati proprio i mercati finanziari, quello obbligazionario su tutti, che in qualche modo hanno imposto al risoluto e irreprensibile Trump del due aprile una progressiva maggiore apertura nei giorni successivi.
Dazi in pausa per 90 giorni, S&P che festeggia con un +9,5%, ma l’incertezza continua a regnare sovrana, così come i nuovi tonfi del mercato.
Trump ci riprova cercando di far fuori Powell, di nuovo i mercati gli fanno capire il 21 aprile che non se ne parla, lui fa dietrofront e da lì, udite udite, scattano 8 giorni fila con il segno verde per il più importante indice azionario del mondo.
Insomma, fatto sta che nonostante tutto il delirio associato alla comunicazione di questi insostenibili dazi a tutti i Paesi che esportano negli Stati Uniti, il primo di maggio l’S&P 500 in qualche modo aveva praticamente recuperato, in dollari perlomeno, da quasi tutta l’emorragia seguita al liberation day del 2 aprile.
Sembra incredibile da dire, eppure è così.
Alla fine della giornata di negoziazioni del primo maggio — giorno in cui negli Stati Uniti la borsa è aperta — l’S&P era a meno di mezzo punto percentuale da dove si trovava il giorno in cui Trump ha dichiarato la sua guerra commerciale nucleare contro Cina, Giappone, Unione Europea e naturalmente le isole antartiche abitate solo da pinguini chiamate Hersh and MacDonald.
In dollari.
Perché, in euro, invece, siamo ancora sotto di un bel pezzo.
E anche qui abbiamo dedicato l’intero episodio 207 a spiegare perché il dollaro ha perso così tanto e così velocemente nei confronti dell’euro — o perché l’euro si è rafforzato tanto nei confronti del dollaro, insomma giratela come vi pare.
Per noi investitori in euro sull’S&P 500, invece, siamo ad un -5/6% dai valori del 2 aprile e sotto di oltre il 15% dal massimo dei massimi raggiunto il 19 febbraio.
Ora la domanda è?
Perché, nonostante non ci sia stata ancora nessuna risoluzione di questa iniziativa unilaterale degli Stati Uniti con alcun Paese estero e nonostante Trump non abbia assolutamente manifestato una chiara volontà di fare dietrofront sulla sua politica protezionistica, il mercato ha intrapreso questo rally?
Oh, mica pizza e fichi!
Dal 21 di aprile al primo di maggio quasi +10%!
Allora la risposte sono sempre puramente ipotetiche, però ne butto lì qualcuna.
RISPOSTA NUMERO UNO: lo so che poi qualcuno di voi mi dirà che pure io mi sono ammalato di “velavevodettismo”, però oh, in effetti, verba volant podcast manent, l’avevo detto a più riprese che l’ipotesi Trump l’ha sparata grossa per poi avere margine per negoziare non era da scartare. Il mercato, per il momenot, la pensa allo stesso modo. Trump ha alzato l’asticella oltre ogni immaginazione per avere più margine per chiudere accordi con i vari Paesi ad un livello di dazi inferiore ma comunque molto più alto di quel che avrebbe ottenuto giocando morbido.
Ovviamente, se è probabilmente vera la prima parte, ossia che Trump aveva una rozza strategia negoziale in mente, è tutta da dimostrare la seconda, ossia che gli altri Paesi siano tutti scemi e che la cosa funzioni davvero.
La Cina, per esempio, ha fatto chiaramente capire che è disposta a lacrime e sangue e a creare decine di milioni di disoccupati piuttosto che negoziare con le braccia alzate con Trump.
Credo sia stato Martin Wolff sul Financial Times a spiegare che la partita di Trump con la Cina sarà una probabile sconfitta americana, perché uno shock lato demand è più facilmente riassorbibile di uno shock lato supply.
Detto altrimenti: è molto più facile gestire un crollo dell’export Cinese che non un crollo degli approvvigionamenti di tutto ciò che le imprese e i consumatori americani comprano dalla Cina. Vendere altrove per la Cina è più semplice e veloce che creare delle Supply Chain completamente nuove per gli Stati Uniti.
Comuqnue, al di là, di questo, per i mercati intanto è bastato il mezzo sospiro di sollievo dato dal fatto che Trump è mezzo pazzo e non completamente pazzo e che quindi i dazi finali potrebbero essere sì alti ma non così alti.
RISPOSTA NUMERO DUE: i mercati hanno ormai digerito il fatto — anche questo vero o presunto tale — che ci sono dei limiti che nemmeno Trump supererà. C’è una sorta di Trump put intorno ai 4.800 punti dell’S&P 500 e soprattutto un livello soglia sui rendimenti dei Treausry decennali al 4,5%. Se vengono superati questi livelli, Trump fa un passo indietro.
O meglio, l’ha fatto una volta.
Poi che lo farà anche in futuro è tutto da dimostrare.
Comunque i mercati stanno in parte recuperando perché, come dire, stanno eliminando quella parte di incertezza che avevano incorporato nei prezzi dopo il 2 aprile che riguardava la loro impotenza nei confronti del presidente. Ora invece sanno che, fino a prova contraria, una certa influenza su Washington continuano ad averla.
E probabilmente fanno bene. Hanno capito che Trump è molto meno risoluto nelle sue decisioni e a testimonianza di questa cosa, oltre alla pausa di 90 giorni, ci sono state le esenzioni su smartphone e pc prodotti in Cina, una parziale riduzione dei dazi sulle auto e altre più o meno grandi concessioni simili.
RISPOSTA NUMERO TRE: Scott Bessent, il segretario del Tesoro. Rispetto ai primi giorni di aprile, in cui a parlare erano soprattutto il segretario al commercio Lutnick, quello che non vede l’ora di mettere milioni di americani ad avvitare le viti degli iPhone, e lo stratega dei dazi Navarro, due personaggi rassicuranti come una lettera dell’agenzia delle entrate nella casella della posta — dicevo rispetto ai primi giorni, Bessent, ex brillante hedge fund manager di Wall Street e personaggio decisamente più equilibrato, ha preso la regia, ha cominciato a consigliare Trump verso decisioni più ponderate e sembra stia seguendo alcune negoziazioni. Il mercato ripone esclusivamente in lui una qualche fiducia che alla fine un po’ di ragionevolezza prevarrà.
Non solo.
Sempre il Financial Times ha fatto un mezzo scoop su Stephen Miran, il misterioso capo dei consiglieri economici di Trump che ha scritto quel mitologico paper l’anno scorso in cui teorizzava tutta sta menata dei dazi, dell’accordo di mar-a-lago e altre allucinazioni e che viene considerato il manifesto della politica di Trump.
In pratica Miran avrebbe tenuto un incontro privato con importanti colossi finanziari come Blackrock, PGIM, Citibank, Citadel e via dicendo con l’obiettivo di rassicurali soprattutto sul fronte obbligazionario.
Long story short: Miran non ha rassicurato proprio nessuno e sarebbe stato messo in croce dai presenti.
Praticamente lui pensava di raccontare quattro fregnacce ai più esperti investitori istituzionali del mondo e questi invece l’hanno impallinato.
Allo stesso tempo, un partecipante all’incontro che ha chiesto di rimanere anonimo ha detto che Miran ultimamente sta prendendo un po’ le distanze dalle cose che lui stesso ha scritto nel 2024.
“He is in full-scale retreat”, è in totale ritirata.
Per l’amor del cielo, cambiare idea è un segno di intelligenza. Bisogna sempre preferire le persone che cambiano idea rispetto a quelle che si innamorano a tal punto delle proprie idee da diventare ciechi di fronte alla realtà.
Certo, scrivere un paper a novembre 2024, scatenare un putiferio e poi cambiare idea ad april 2025 non è che sia il massimo della coerenza.
RISPOSTA NUMERO QUATTRO: per ora non ci sono dati economici negativi. Certo, è presto per vedere gli effetti dei dazi sull’economia reale. Però per il momento il mercato non ha altro a disposizione. L’occupazione più o meno tiene, l’inflazione di marzo è leggermente più bassa del previsto, il PIL si è sì contratto dello 0,4% nel primo trimestre, ma principalmente perché c’è stato un boost di import. Molte aziende americane hanno aumentato gli stock a dismisura per cautelarsi in vista dei futuri aumenti di prezzo dovuti ai dazi. E siccome il PIL si misura come Consumi + Investimenti + Spesa Pubblica + Export MENO Import, se aumenti l’import in maniera eccezionale, allora il PIL cala.
Questo però significa che, ceteris paribus, nel secondo trimestre potrebbe esserci un rimbalzo positivo.
Per certificare una recessione economica, che richiede 2 trimestri consecutivi in contrazione, probabilmente servirà aspettare fino alla fine dell’anno.
Inoltre le società dell’S&P 500 stanno presentando i dati sugli utili del primo trimestre e le notizie sono generalmente positive, con i casi emblematici di Microsoft e Meta che hanno battuto le stime e fatto volare il Nasdaq il 1° maggio.
Quindi, so far, so good.
Aprile partito malissimissimo, poi tutto sommato le cose sono migliorate.
Certo, da qui a capire se questo mini rally è solo il tranquillo occhio del ciclone, oppure davvero il peggio è passato ne passa eccome.
Solo il tempo ci dirà come andranno le cose.
Però intanto, come avrete brillantemente intuito dal titolo, ci sono 4 segnali tecnici che possono essere fonte di un cauto ottimismo.
E parliamo di segnali piuttosto rari, cioè che non si verificano molto di frequente, e che hanno un track record positivo molto elevato.
Prima di vederli uno per uno e di passare poi al recap dei principali indici, ricordatevi che studiare, apprendere, conoscere cose nuove sarà sempre il miglior investimento possibile che ciascuno possa fare.
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Torniamo a noi.
Questi 4 segnali tecnici sono stati segnalati qua e là da più parti, ma siccome sono pigro buona parte di quel che dirò nei dieci minuti che seguono è tratto da alcuni articoli di Carson Group, che sono sempre molto bravi a tirar fuori le statistiche adesso mi appresto a raccontarvi.
PRIMO SEGNALE DI OTTIMISMO: lo Zweig Breadth Thrust.
Ripeto: lo Zweig Breadth Thrust.
E che sta roba mi direte?
Lo Zweig Breadth Thrust, che da qui in poi chiamerò ZBT sennò non ce la caviamo più, è un indicatore scoperto diversi decenni fa da un noto analista e investitore azionario di nome Marty Zweig.
In pratica cosa dice.
Intanto diciamo che quando si parla di Breadth, cioè di “respiro”, si intende l’ampiezza di un rally azionario.
Se su 500 società dell’S&P 500 7 vanno benissimo e le altre 493 no, il respiro è molto limitato e come dicevamo gli anni scorsi è più difficile che un rally sia sostenibile a lungo termine.
Se invece tante società crescono, allora il rally è più solido e tendenzialmente nel passato ha retto maggiormente.
Come funziona l’indicatore.
Seguitemi perché è una cosa simpatica.
– Si prende la percentuale delle azioni dell’S&P 500 che giornalmente crescono di prezzo;
– Si fa una media mobile a 10 giorni, per eliminare eventuali picchi dovuti a singoli giorni particoalri
– Dopodiché quando la percentuale, in meno di 10 giorni, da un valore inferiore al 40% ad uno superiore al 61,5%, allora scatta lo ZBT.
Mi spiego meglio.
Facciamo che oggi calcoliamo la media di azioni che negli ultimi 10 giorni sono cresciute di prezzo giornalmente. Facciamo finta che in media, negli ultimi 10 giorni, ogni giorno meno di 200 società dell’S&P hanno visto la loro azione in verde. Quindi la percentuale di azioni che crescono giornalmente è inferiore al 40%, perché 200 è il 40% di 500.
E ogni giorno facciamo questo lavoro, si chiama infatti media mobile perché giorno dopo giorno scorre in avanti di un giorno.
Se, per esempio, tra 7 giorni, la media è passata da meno di 40% a più di 61,5%, cioè più di 301 azioni sono cresciute giornalmente in media negli ultimi 10 giorni, allora questo è il segnale di Zweig che preannuncia un mercato rialzista nei 12 mesi successivi.
Per questo segnale sono importanti due cose:
– La prima appunto è che il respiro, cioè l’ampiezza della parte dell’S&P 500 che cresce in media giornalmente passi da meno del 40% a più del 61,5%;
– La seconda è la velocità con cui ciò deve accadere, cioè il passaggio da meno di 40 a oltre 61,5% deve avvenire nello spazio di 10 giorni al massimo.
Come dicevamo è un segnale piuttosto interessante perché molto raro e in tutte le altre 19 volte in cui questa cosa si è verificata, nei 12 mesi successivi il mercato ha SEMPRE avuto una crescita significativa, in media del 23,4% e con un valore mediano del 24,8%.
Facciamo alcuni esempi:
– 18 marzo 2009, nei 12 mesi successivi il mercato è poi cresciuto del 47%;
– 14 ottobre 2011, subito dopo la crisi del debito dei Paesi del Sudeuropa, nei 12 mesi successivi +18%;
– 7 gennaio 2019, dopo il terribile quarto trimestre del 2018 in cui Trump primo aveva scatenato la prima guerra commerciale contro la Cina facendo crollare l’S&P di oltre il 20%… mmmhhh suona famigliare? Beh anche qui, 12 mesi dopo + 27%;
– E questa cosa è successa anche ben 2 volte nel 2023, a seguito di due beni noti momenti di crisi: il 31 marzo, dopo il fallimento di Silicon Valley Bank e Credit Suisse, +27% nei 12 mesi successivi, e il 3 novembre, subito dopo la minicrisi sul debito americano che aveva visto i rendimenti dei Treasury arrivare al 5%, +33% da lì al novembre successivo.
È decisamente incoraggiante il fatto che il 100% delle volte che lo ZBT si è verificato, il mercato è cresciuto in maniera importante nell’anno che è seguito.
Probabilmente ci sono due motivi dietro a questo fenomeno:
– Il primo è il noto universale principio della regressione verso la media: ogni volta che si è verificato lo ZBT, subito prima c’era stata una significativa contrazione del mercato. Dopo aver preso una bella batosta, il mercato vuole sempre provare a risalire, fosse anche solo perché ciò che per qualcuno è una crisi, per altri è un’opportunità di acquisto.
– Il secondo motivo ha a che fare con il momentum del mercato azionario. Sappiamo che nel breve l’azionario è autocorrelato e crea dei trend che tende a seguire per un po’. Quando molto velocemente si allarga il numero di azioni che cresce, allora abbiamo l’effetto bottiglia di spumante, il tappo si stappa e per un po’ viene sospinto in su tutto il mercato.
In soli tre casi la crescita a 12 mesi non è stata in doppia cifra, ossia in tre casi che non sono stati preceduti da crisi particolari: nel maggio del 2004, nell’ottobre del 2013 e nell’ottobre del 2015, con l’S&P che è cresciuto meno del 10% nell’anno successivo.
Fatto curioso, lo ZTB si è verificato in media una volta ogni quasi 6 anni nel secolo scorso, mentre la sua frequenza è raddoppiata negli anni 2000, una volta ogni meno di 3 anni. Magari è un caso, o magari è una dei tanti indizi che alimentano il sospetto che il momentum del mercato si sia fatto sempre più influente negli ultimi anni — e non si può escludere che l’aumento dell’investimento indicizzato possa aver contribuito.
Quindi viva Mary Zweig, viva lo ZBT.
Poi, oh, come sempre, magari questa sarà la prima volta in cui il segnale si inceppa e il prossimo aprile sarò qua a dirvi: “ragà, si è rotto lo ZBT, siamo sotto rispetto ad un anno fa”.
Se invece funzionasse ancora, il 25 aprile del 2026 potremmo avere l’S&P 500 intorno ai 6.800 punti, perfettamente on track lungo la strada tracciata dal mio maestro jedi Ed Obi Wan Yardeni che ha posto il traguardo dei ruggenti anni 2020 americani ai 10.000 punti dell’S&P 500.
Se il 31/12/2029 l’S&P avrà chiuso a 10.000 punti, vorrà dire che dall’inizio di quest’anno ad allora sarà cresciuto ad un ritmo del 11,2% all’anno, a cui aggiungiamo un altro 1% di dividendi. Quindi circa 12% da qui a fine 29.
Segnatevelo, torneremo a parlarne nell’episodio 697 in uscita il 2 gennaio del 2030.
Naturalmente previsioni del genere valgono come il 2 di picche a briscola, ma almeno la prossima volta che vi prende il patema quando il mercato tracolla, ricordatevi che anche i tracolli fanno parte degli scenari ottimistici.
Questo era il primo segnale, ricordiamocelo perché sarò davvero curioso di vedere se continuerà a funzionare in maniera impeccabile anche per la ventesima volta.
Certo, poi magari questo funziona ma il dollaro continua ad andare giù e ce ne facciamo poco.
Ma sempre Obi Wan Yardeni ha fatto recentemente notare due cose:
– La prima è che nonostante il calo di questi mesi, il dollaro continua a trovarsi perfettamente allineato all’interno del suo trend secolare di rafforzamento iniziato nel 2008. Se guardate il grafico del dollar index, si vede chiaramente che, pur con tutte le oscillazioni dei singoli anni, c’è un evidente traiettoria verso l’alto che comunque sussiste.
– La seconda riguarda la forza dell’euro. È vero che il dollar index misura la forza del dollaro rispetto a numerose valute, ma è anche vero che il 57% del peso è dato dall’Euro. Quindi il dollar index, in ultima istanza, è il cambio Euro/Dollaro. Il dollaro si può indebolire, ma un rafforzamento sistematico dell’euro non è così scontato, anzi. L’economia europea avrà bisogno di stimoli e la BCE, diversamente dalla Fed, sembra più preoccupata dal rallentamento economico che non dall’inflazione, quindi dovrebbe essere più propensa a tenere tassi più bassi, cosa che solitamente indebolisce una valuta.
Morale: ok il dollaro si sta indebolendo. Ok Trump sta sputtanando il suo ruolo di valuta globale. Però finché noi investiamo in euro quello che conta è anche la forza relativa della nostra valuta nei confronti del greenback, del bigliettone verde con le facce dei presidenti.
Bene, lo ZBT era il super segnale di ottimismo di cui vi volevo parlare — ed è decisamente il più potente, almeno su base statistica.
Ce ne sono però altri tre da sottolineare.
Il SECONDO SEGNALE DI OTTIMISMO sono stati i 9 giorni consecutivi di crescita dell’S&P 500, un evento accaduto solo altre 31 volte nella storia.
Ora non ho trovato statistiche su quel è successo nel passato ogni volta che c’è stato un filotto di nove giorni consecutivi con il segno più, sicuramente usciranno nei prossimi giorni.
Però ho letto che con almeno 6 giorni di fila positivi, l’S&P è poi cresciuto in media in quell’anno del 15%. L’unica volta negli ultimi 20 anni che non è andata così è stato nel 2018, ma solo perché il finale dell’anno è stato falcidiato dalla combinazione tra i primi dazi di Trump alla Cina e la decisione sbagliata della Fed di alzare a sorpresa i tassi di interesse.
Come abbiamo detto prima, subito all’inizio del 2019 si è poi verificato lo ZBT e da lì a 12 mesi tutto è andato alla grande.
9 giorni di fila di crescita sono un segnale evidentemente ancora più forte.
Ora, io sto scrivendo venerdì 2 maggio, quindi è possibile che da lunedì 5 maggio le buone notizie continuino.
Quanto sarebbe raro?
Beh:
– 10 giorni positivi di fila è successo solo altre 15 volte;
– 11 giorni di fila 8 volte;
– 12 giorni 5 volte;
– Mentre 14 giorni di fila è successo una sola volta nel 1971.
A sto punto puntiamo al record di 15 giorni!
TERZO SEGNALE DI OTTIMISMO: 3 giorni di fila in cui ogni giorno o oltre il 70% delle azioni è cresciuto. E questo chiaramente è un segnale fortemente legato allo ZBT.
In passato è successo solo altre 27 volte.
Per 26 volte, 12 mesi dopo l’S&P 500 è cresciuto e la crescita media è stata di quasi il 19%.
L’unica volta in cui non è successo è stato nel 2007: il fenomeno si era verificato il 21 marzo e ovviamente 12 mesi dopo eravamo già alle prese con i primi segnali della devastante crisi del 2008, conflagrata poi definitivamente dopo il 15 settembre, giorno del fallimento di Lehman Brothers.
QUARTO e ULTIMO SEGNALE DI OTTIMISMO: 2 giorni a distanza di 9 giorni l’uno dall’altro in cui quasi il 90% delle azioni è cresciuto. Questa cosa è successa il 9 aprile, il giorno in cui Trump ha messo i dazi in pausa, e il 22 aprile, quando ha detto che scherzava, che non ha mai voluto licenziare Powell e che i due sono amici del cuore.
Questo fenomeno è ancora più raro degli altri ed è successo solo nel 1987, 2009, 2011 e 2020, tutti bei periodi come potete notare.
La crescita 12 mesi dopo è stata sempre positiva, con una media di +31%.
Ora, al di là del fatto che questi segnali funzionino ancora una volta oppure no e precisando anche che si impegno un po’ a cercare posso trovare dei controesempi che dimostrano che quello che è successo di recente in passato non ha portato benissimo, però — dicevo — al di là di questo, cosa apprendiamo da questi fenomeni ricorrenti?
Beh una lezione che ormai dovrebbe essere ben nota.
Molti dei momenti più positivi della storia dei mercati azionari cominciano sempre al fondo di situazioni negative, perché la fiducia e l’ottimismo generale degli investitori non sta ad aspettare la conferma delle buone notizie, ma tende sempre ad anticipare una qualche risoluzione futura degli eventi.
Sapendo una cosa molto importante: che se le cose non andranno come si aspettano, i mercati avranno comunque una qualche voce in capitolo per rimettere il treno della politica e dell’economia sui giusti binari.
Detto questo, Aprile è finito, terzo mese di fila in rosso — ma chissà appunto che non sia stato l’ultimo — e come da tradizione vediamo come sono andati i principali indici azionari obbligazionari in euro più oro.
Inutile precisare che la differenza tra le performance in euro e quelle in dollari è stata molto significativa.
Praticamente in Euro abbiamo perso ad Aprile circa il 5-6% rispetto al corrispondente indice in dollari.
Allora in primis, sua maestà acciaccata, l’S&P 500: -6,16%. Considerando che eravamo sprofondati a -12 e fischia, poteva andare peggio.
Da inizio anno siamo sotto del 13% e di oltre il 16% dal picco del 19 febbraio.
Na bella sberla, però naturalmente niente che non sia perfettamente già previsto dal manuale dell’investitore consapevole.
MSCI World, il nostro benchmark preferito: -4,85% e da inizio anno sotto del 9,5%.
Chiaramente qui i migliori risultati, nonostante il peso esorbitante delle azioni americane, sono dovuti a tutta la componente non in dollari e soprattutto alle discrete performance delle azioni europee.
Infatti, veniamo agli indici di casa nostra.
Stoxx 600: -1,6% ad aprile e quasi +6% da inizio anno. Ancora meglio l’indice delle blue chip dell’eurozona, ossia
L’Euro Stoxx 50: -2,4% ad aprile ma +6,5% da gennaio ad oggi.
Chiudiamo i mercati sviluppati con il Giappone.
MSCI Japan: incredibilmente flat ad Aprile, -2% da inizio anno.
MSCI Emerging Markets invece: -4,5% ad aprile e -5% da gennaio ad oggi.
Fatto il consueto giro dei mercati azionari, vediamo velocemente i titoli di stato.
Bloomberg Euro Aggregate Treasury: voi! Ingrati denigratori delle obbligazioni! Ad aprile i titoli obbligazionari hanno fatto quello che dovevano fare. +3,qualcosa% e complessivamente +2,2% da inizio anno.
E pure quelli a lunga scadenza superiore ai 15 anni si sono difesi: +2,4% ad Aprile, anche se questi invece da inizio anno sono ancora sotto di un paio di punti, perché non hanno ancora digerito completamente lo shock arrivato dalla Germania che ha improvvisamente deciso di spendere e spandere Trilioni di euro in investimenti e difesa da qui ai prossimi anni.
Ricorderete che a inizio marzo, appena era arrivata la notizia che il parlamento tedesco aveva approvato la rimozione costituzionale al vincolo sul debito pubblico, i rendimenti dei bund erano schizzati alle stelle è il Bloomberg Euro Aggregate Treasury 15-30 aveva perso il 7% nello spazio di una decina di giorni.
Dal punto più basso ad oggi, tuttavia, ha già recuperato 4 punti percentuali.
Ricordiamoci sempre che quando il mercato pensa che i tassi di mercato saliranno nel futuro, il prezzo degli etf obbligazionari scende, ma allo stesso tempo aumenta il rendimento delle nuove obbligazioni che l’etf andrà a via via ad incorporare.
Quindi una parte del prezzo dell’ETF dipenderà dalle oscillazioni dei tassi di mercato, mentre un’altra parte — che sarà sempre positiva — dipenderà dal rendimento dei titoli sottostanti, cioè dal pagamento delle cedole dei bond contenuti nell’ETF.
È vero che se i tassi salgono (o si pensa che saliranno) i prezzi scendono, ma allo stesso tempo salgono anche i rendimenti, cioè gli interessi pagati periodicamente dalle obbligazioni sottostanti.
Viva gli ETF obbligazionari e un abbraccio al mio amico, amante degli ETF obbligazionari, Paolo Coletti da cui sarò ospite lunedì 5 maggio in live dalle 16:30 alle 18:00.
E per chi si sentirà quest’episodio successivamente potrà sempre vedere il video postumo sul canale di Paolo.
Dei Treasury abbiamo parlato parecchio ultimamente.
Dopo lo spavento dell’8 aprile con i rendimenti schizzati al 4,5%, da un po’ ormai viaggiano intorno al 4,2% e per il momento la situazione sembra apparentemente stabilizzata.
Chiaramente molto male per chi ha investito in Treasury in Euro.
Sulle scadenze 7-10 anni ad aprile si sarà perso per strada tra il 4 e il 5%, quasi tutto imputabile al cambio euro dollaro.
Poi, oggi lo YTM di un ETF sui Treasury con queste scadenze è intorno al 4%, quindi gli interessi dei Treasury compensereanno una parte di questa perdita.
Per il resto bisogna vedere due cose:
– Cosa fa la Fed nei prossimi interventi sui tassi, ma non sembra super propensa a tagliare troppo perché ha troppa paura che i dazi alimentino l’inflazione;
– E cosa fa il cambio euro/dollaro naturalmente.
Ovviamente l’oro è il grande supremo vincitore anche di quest’inizio anno, benché nell’ultime settimane il mood più positivo sui mercati l’ha tirato giù dal vertiginoso record di 3.509 dollari l’oncia toccato il 22 aprile, per poi scendere fino ai 3.230 dollari.
Da inizio anno il prezzo dell’oro è arrivato a salire di oltre il 30% in meno di 4 mesi, per poi chiudere al 30 aprile a +24%.
Chiaramente, essendo denominato in dollari, per noi europei la sua performance è stata ottima ma non così esorbitante.
Più 16% da inizio anno, praticamente flat nel mese di aprile.
Bisogna dire che il mese di aprile è stato quasi da manuale per quanto riguarda l’opportunità di avere asset diversificati in portafoglio.
Quando le azioni sono crollate, subito sono andate giù anche le obbligazioni, ma l’oro è volato.
Poi le obbligazioni hanno ripreso forza e quando nella parte finale del mese le azioni hanno intrapreso il mini rally di cui abbiamo parlato oggi, l’oro è arretrato.
Per ora, complice l’esigenza di decoupling dal dollaro di tanti Paesi, Cina in primis, il dollaro si è riconfermato un valido diversificatore che risponde a logiche completamente diverse rispetto a ciò che guida azioni e obbligazioni.
Questo non significa che uno debba necessariamente metterlo in portafoglio né che OGGI sia il momento di metterlo in portafoglio.
Sappiamo che l’oro può crescere molto velocemente in maniera importante e poi perdere valore per due decenni consecutivi.
In tanto hanno fatto vedere che, in termini reali, al netto dell’inflazione, l’oro ci ha messo la bellezza di 45 anni per ritornare al valore che aveva nel gennaio del 1980.
A inizio aprile, infatti, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo il potere d’acquisto dell’oro è tornato ad essere lo stesso di quello che il biondo metallo aveva dopo il +166% fatto nel solo 1979.
Quindi bisogna stare sempre molto attenti a non farsi abbagliare dal suo sbarluccichio, perché l’estrema volatilità a cui può sottoporre può poi richiedere dei tempi di recupero più lunghi di un’intera vita di investimento.
Dunque, maggio è iniziato, domani è il 5, ei fu siccome immobile dato il mortal sospiro ma soprattutto “Sell in May and go away!”.
Questo è forse uno dei modi di dire più noti a Wall Street che risale alla notte dei tempi.
Perché si è consolidata negli anni questa credenza secondo cui sarebbe meglio vendere tutto a maggio e ricomprare poi ad ottobre?
Banalmente perché una statistica a supporto con radici cha affondano molto indietro nel tempo.
Se noi prendiamo le 12 possibili finestre composte di 6 mesi consecutivi — quindi gennaio-giugno, febbraio-luglio, marzo-agosto, ecc. — sappiamo che storicamente:
– Il blocco novembre-aprile è stato quello con la performance media migliore, +7,1% e positivo nel 77% degli anni;
– Maggio-ottobre è stato invece il blocco peggiore, +1,8% in media e positivo solo il 65,3%.
Però è anche vero che questa negli ultimi 10 anni sembra aver completamente smesso di funzionare.
Maggio è stato un mese positivo 8 volte su 10 e il suo ritorno medio è stato del 4%.
E pochi di voi forse ricorderanno che l’anno scorso, dopo un brutto Aprile anche del 2024 con l’S&P che, per quanto assurdo possa sembrare, in dollari perse di più di quest’anno nonostante il liberation day, Maggio era stato un super mese, +13%.
Quindi forse Sell in May non è sempre un consiglio necessariamente valido.
L’orizzonte è pieno di nubi, il mondo si sveglia ogni giorno sull’orlo di una crisi geopolitica senza precedenti, i mercati sono in balia delle decisioni di alcuni discutibili personaggi con troppo potere in troppe poche mani, ma la cosa confortante è che tutta quest’incertezza che avvolge le nostre decisioni di investimento non è un fatto nuovo e non è altro che una parte integrante della finanza stessa.
Ma soprattutto, facciamo tutti il tifo per Marty Zweig e il suo Breadth Thrust che per la ventesima volta consecutiva faccia il suo e ci regali tra 12 mesi un segno più bello grosso sul nostro indice preferito.
Bene care amiche e cari amici di questo podcast, questo infinito aprile che sembra durato un decennio ce lo siamo finalmente lasciati alle spalle e cominciamo a fare il countdown vero l’8 luglio, giorno in cui terminerà la pausa sui dazi ed entro il quale si spera che il grosso dell’incertezza alimentato da questa tragicomica situazione sarà stato dissipato.
Da lì in poi cominceremo a fare la conta dei danni o magari chissà, alla fine anche nel 2022 e 23 erano tutti convinti che una recessione sarebbe arrivata e siamo ancora qua ad aspettarla.
In attesa di quel giorno che come sempre vivremo assieme, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che prevedono il futuro dei mercati perché in realtà l’inventore dello ZBT non si chiama Marty Zweig ma Marty Mac Fly sempre nuovi!
Se ci fosse qualche povero disgraziato all’ascolto che avesse osato non guardare la trilogia di ritorno al futuro e che quindi non avrà capito la scemenza che ho appena detto, Marty Mc Fly è il protagonista dei tre film impersonato da Michael Jay Fox che assieme al Doc Brown viaggiano avanti e indietro nel tempo su una delorean modificata.
E dopo questa imprescindibile perla cinematografica, per oggi è davvero è tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento e mi raccomando continuate a seguirmi per tutto il mese perché perché da qui a inizio giugno ci saranno 4 ospiti davvero pazzeschi, citati o in alcuni casi stracitati in questo podcast, sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Solitamente il primo episodio del mese è dedicato al recap di quanto è accaduto nel mese appena conclusosi.
Però praticamente sono 4 settimane di fila che praticamente parliamo solo di questo, quindi il mega resoconto dei fatti avvenuti nel più pazzo mese dai tempi del Covid ve lo risparmio.
Se qualcuno avesse vissuto in una caverna dal 1° aprile in poi, beh, sappia che il presidente degli Stati Uniti, sua eccellenza l’imperatore Donald J Trump II ha deciso che il mondo intero non era già abbastanza un casino così com’era e quindi ha pensato che fosse il momento per una bella sventagliata di protezionismo come non si vedeva dal 1930, da quei bei tempi andati che hanno preparato il terreno per quell’evento minore che è stata poi la Seconda guerra mondiale.
Dazi a tutti su tutto — con modalità che definiamo grottesche per non diventare subito volgari al primo minuto dell’episodio — e tutti i mercati finanziari della Terra sprofondano nel caos, rievocando in un secondo le immagini del marzo 2020 in cui l’economia sembrava sull’orlo del baratro sotto i colpi mortali del Covid o dell’ottobre 2008, mese della deflagrazione definitiva della peggior crisi finanziaria del dopoguerra.
Di quel che è successo dopo abbiamo già detto tutto il possibile è immaginabile.
Prima il tracollo di oltre il 10% in soli due giorni per l’S&P, poi le svendite di Treasury, il collasso del dollaro e l’impressione che per l’ultima superpotenza globale ormai si fosse imboccato il viale del tramonto.
Sappiamo però anche che fortunatemente possiamo contare, almeno per ora, su un jolly potentissimo, un deus ex machina che come nella commedia antica compare al momento decisivo per salvare le sorti della storia.
In questo caso, il nostro deus ex machina sono stati proprio i mercati finanziari, quello obbligazionario su tutti, che in qualche modo hanno imposto al risoluto e irreprensibile Trump del due aprile una progressiva maggiore apertura nei giorni successivi.
Dazi in pausa per 90 giorni, S&P che festeggia con un +9,5%, ma l’incertezza continua a regnare sovrana, così come i nuovi tonfi del mercato.
Trump ci riprova cercando di far fuori Powell, di nuovo i mercati gli fanno capire il 21 aprile che non se ne parla, lui fa dietrofront e da lì, udite udite, scattano 8 giorni fila con il segno verde per il più importante indice azionario del mondo.
Insomma, fatto sta che nonostante tutto il delirio associato alla comunicazione di questi insostenibili dazi a tutti i Paesi che esportano negli Stati Uniti, il primo di maggio l’S&P 500 in qualche modo aveva praticamente recuperato, in dollari perlomeno, da quasi tutta l’emorragia seguita al liberation day del 2 aprile.
Sembra incredibile da dire, eppure è così.
Alla fine della giornata di negoziazioni del primo maggio — giorno in cui negli Stati Uniti la borsa è aperta — l’S&P era a meno di mezzo punto percentuale da dove si trovava il giorno in cui Trump ha dichiarato la sua guerra commerciale nucleare contro Cina, Giappone, Unione Europea e naturalmente le isole antartiche abitate solo da pinguini chiamate Hersh and MacDonald.
In dollari.
Perché, in euro, invece, siamo ancora sotto di un bel pezzo.
E anche qui abbiamo dedicato l’intero episodio 207 a spiegare perché il dollaro ha perso così tanto e così velocemente nei confronti dell’euro — o perché l’euro si è rafforzato tanto nei confronti del dollaro, insomma giratela come vi pare.
Per noi investitori in euro sull’S&P 500, invece, siamo ad un -5/6% dai valori del 2 aprile e sotto di oltre il 15% dal massimo dei massimi raggiunto il 19 febbraio.
Ora la domanda è?
Perché, nonostante non ci sia stata ancora nessuna risoluzione di questa iniziativa unilaterale degli Stati Uniti con alcun Paese estero e nonostante Trump non abbia assolutamente manifestato una chiara volontà di fare dietrofront sulla sua politica protezionistica, il mercato ha intrapreso questo rally?
Oh, mica pizza e fichi!
Dal 21 di aprile al primo di maggio quasi +10%!
Allora la risposte sono sempre puramente ipotetiche, però ne butto lì qualcuna.
RISPOSTA NUMERO UNO: lo so che poi qualcuno di voi mi dirà che pure io mi sono ammalato di “velavevodettismo”, però oh, in effetti, verba volant podcast manent, l’avevo detto a più riprese che l’ipotesi Trump l’ha sparata grossa per poi avere margine per negoziare non era da scartare. Il mercato, per il momenot, la pensa allo stesso modo. Trump ha alzato l’asticella oltre ogni immaginazione per avere più margine per chiudere accordi con i vari Paesi ad un livello di dazi inferiore ma comunque molto più alto di quel che avrebbe ottenuto giocando morbido.
Ovviamente, se è probabilmente vera la prima parte, ossia che Trump aveva una rozza strategia negoziale in mente, è tutta da dimostrare la seconda, ossia che gli altri Paesi siano tutti scemi e che la cosa funzioni davvero.
La Cina, per esempio, ha fatto chiaramente capire che è disposta a lacrime e sangue e a creare decine di milioni di disoccupati piuttosto che negoziare con le braccia alzate con Trump.
Credo sia stato Martin Wolff sul Financial Times a spiegare che la partita di Trump con la Cina sarà una probabile sconfitta americana, perché uno shock lato demand è più facilmente riassorbibile di uno shock lato supply.
Detto altrimenti: è molto più facile gestire un crollo dell’export Cinese che non un crollo degli approvvigionamenti di tutto ciò che le imprese e i consumatori americani comprano dalla Cina. Vendere altrove per la Cina è più semplice e veloce che creare delle Supply Chain completamente nuove per gli Stati Uniti.
Comuqnue, al di là, di questo, per i mercati intanto è bastato il mezzo sospiro di sollievo dato dal fatto che Trump è mezzo pazzo e non completamente pazzo e che quindi i dazi finali potrebbero essere sì alti ma non così alti.
RISPOSTA NUMERO DUE: i mercati hanno ormai digerito il fatto — anche questo vero o presunto tale — che ci sono dei limiti che nemmeno Trump supererà. C’è una sorta di Trump put intorno ai 4.800 punti dell’S&P 500 e soprattutto un livello soglia sui rendimenti dei Treausry decennali al 4,5%. Se vengono superati questi livelli, Trump fa un passo indietro.
O meglio, l’ha fatto una volta.
Poi che lo farà anche in futuro è tutto da dimostrare.
Comunque i mercati stanno in parte recuperando perché, come dire, stanno eliminando quella parte di incertezza che avevano incorporato nei prezzi dopo il 2 aprile che riguardava la loro impotenza nei confronti del presidente. Ora invece sanno che, fino a prova contraria, una certa influenza su Washington continuano ad averla.
E probabilmente fanno bene. Hanno capito che Trump è molto meno risoluto nelle sue decisioni e a testimonianza di questa cosa, oltre alla pausa di 90 giorni, ci sono state le esenzioni su smartphone e pc prodotti in Cina, una parziale riduzione dei dazi sulle auto e altre più o meno grandi concessioni simili.
RISPOSTA NUMERO TRE: Scott Bessent, il segretario del Tesoro. Rispetto ai primi giorni di aprile, in cui a parlare erano soprattutto il segretario al commercio Lutnick, quello che non vede l’ora di mettere milioni di americani ad avvitare le viti degli iPhone, e lo stratega dei dazi Navarro, due personaggi rassicuranti come una lettera dell’agenzia delle entrate nella casella della posta — dicevo rispetto ai primi giorni, Bessent, ex brillante hedge fund manager di Wall Street e personaggio decisamente più equilibrato, ha preso la regia, ha cominciato a consigliare Trump verso decisioni più ponderate e sembra stia seguendo alcune negoziazioni. Il mercato ripone esclusivamente in lui una qualche fiducia che alla fine un po’ di ragionevolezza prevarrà.
Non solo.
Sempre il Financial Times ha fatto un mezzo scoop su Stephen Miran, il misterioso capo dei consiglieri economici di Trump che ha scritto quel mitologico paper l’anno scorso in cui teorizzava tutta sta menata dei dazi, dell’accordo di mar-a-lago e altre allucinazioni e che viene considerato il manifesto della politica di Trump.
In pratica Miran avrebbe tenuto un incontro privato con importanti colossi finanziari come Blackrock, PGIM, Citibank, Citadel e via dicendo con l’obiettivo di rassicurali soprattutto sul fronte obbligazionario.
Long story short: Miran non ha rassicurato proprio nessuno e sarebbe stato messo in croce dai presenti.
Praticamente lui pensava di raccontare quattro fregnacce ai più esperti investitori istituzionali del mondo e questi invece l’hanno impallinato.
Allo stesso tempo, un partecipante all’incontro che ha chiesto di rimanere anonimo ha detto che Miran ultimamente sta prendendo un po’ le distanze dalle cose che lui stesso ha scritto nel 2024.
“He is in full-scale retreat”, è in totale ritirata.
Per l’amor del cielo, cambiare idea è un segno di intelligenza. Bisogna sempre preferire le persone che cambiano idea rispetto a quelle che si innamorano a tal punto delle proprie idee da diventare ciechi di fronte alla realtà.
Certo, scrivere un paper a novembre 2024, scatenare un putiferio e poi cambiare idea ad april 2025 non è che sia il massimo della coerenza.
RISPOSTA NUMERO QUATTRO: per ora non ci sono dati economici negativi. Certo, è presto per vedere gli effetti dei dazi sull’economia reale. Però per il momento il mercato non ha altro a disposizione. L’occupazione più o meno tiene, l’inflazione di marzo è leggermente più bassa del previsto, il PIL si è sì contratto dello 0,4% nel primo trimestre, ma principalmente perché c’è stato un boost di import. Molte aziende americane hanno aumentato gli stock a dismisura per cautelarsi in vista dei futuri aumenti di prezzo dovuti ai dazi. E siccome il PIL si misura come Consumi + Investimenti + Spesa Pubblica + Export MENO Import, se aumenti l’import in maniera eccezionale, allora il PIL cala.
Questo però significa che, ceteris paribus, nel secondo trimestre potrebbe esserci un rimbalzo positivo.
Per certificare una recessione economica, che richiede 2 trimestri consecutivi in contrazione, probabilmente servirà aspettare fino alla fine dell’anno.
Inoltre le società dell’S&P 500 stanno presentando i dati sugli utili del primo trimestre e le notizie sono generalmente positive, con i casi emblematici di Microsoft e Meta che hanno battuto le stime e fatto volare il Nasdaq il 1° maggio.
Quindi, so far, so good.
Aprile partito malissimissimo, poi tutto sommato le cose sono migliorate.
Certo, da qui a capire se questo mini rally è solo il tranquillo occhio del ciclone, oppure davvero il peggio è passato ne passa eccome.
Solo il tempo ci dirà come andranno le cose.
Però intanto, come avrete brillantemente intuito dal titolo, ci sono 4 segnali tecnici che possono essere fonte di un cauto ottimismo.
E parliamo di segnali piuttosto rari, cioè che non si verificano molto di frequente, e che hanno un track record positivo molto elevato.
Prima di vederli uno per uno e di passare poi al recap dei principali indici, ricordatevi che studiare, apprendere, conoscere cose nuove sarà sempre il miglior investimento possibile che ciascuno possa fare.
Sì lo so, nessuno c’ha mai tempo di prendersi in mano un libro e studiarsi le cose.
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Buona audiolettura!
Torniamo a noi.
Questi 4 segnali tecnici sono stati segnalati qua e là da più parti, ma siccome sono pigro buona parte di quel che dirò nei dieci minuti che seguono è tratto da alcuni articoli di Carson Group, che sono sempre molto bravi a tirar fuori le statistiche adesso mi appresto a raccontarvi.
PRIMO SEGNALE DI OTTIMISMO: lo Zweig Breadth Thrust.
Ripeto: lo Zweig Breadth Thrust.
E che sta roba mi direte?
Lo Zweig Breadth Thrust, che da qui in poi chiamerò ZBT sennò non ce la caviamo più, è un indicatore scoperto diversi decenni fa da un noto analista e investitore azionario di nome Marty Zweig.
In pratica cosa dice.
Intanto diciamo che quando si parla di Breadth, cioè di “respiro”, si intende l’ampiezza di un rally azionario.
Se su 500 società dell’S&P 500 7 vanno benissimo e le altre 493 no, il respiro è molto limitato e come dicevamo gli anni scorsi è più difficile che un rally sia sostenibile a lungo termine.
Se invece tante società crescono, allora il rally è più solido e tendenzialmente nel passato ha retto maggiormente.
Come funziona l’indicatore.
Seguitemi perché è una cosa simpatica.
– Si prende la percentuale delle azioni dell’S&P 500 che giornalmente crescono di prezzo;
– Si fa una media mobile a 10 giorni, per eliminare eventuali picchi dovuti a singoli giorni particoalri
– Dopodiché quando la percentuale, in meno di 10 giorni, da un valore inferiore al 40% ad uno superiore al 61,5%, allora scatta lo ZBT.
Mi spiego meglio.
Facciamo che oggi calcoliamo la media di azioni che negli ultimi 10 giorni sono cresciute di prezzo giornalmente. Facciamo finta che in media, negli ultimi 10 giorni, ogni giorno meno di 200 società dell’S&P hanno visto la loro azione in verde. Quindi la percentuale di azioni che crescono giornalmente è inferiore al 40%, perché 200 è il 40% di 500.
E ogni giorno facciamo questo lavoro, si chiama infatti media mobile perché giorno dopo giorno scorre in avanti di un giorno.
Se, per esempio, tra 7 giorni, la media è passata da meno di 40% a più di 61,5%, cioè più di 301 azioni sono cresciute giornalmente in media negli ultimi 10 giorni, allora questo è il segnale di Zweig che preannuncia un mercato rialzista nei 12 mesi successivi.
Per questo segnale sono importanti due cose:
– La prima appunto è che il respiro, cioè l’ampiezza della parte dell’S&P 500 che cresce in media giornalmente passi da meno del 40% a più del 61,5%;
– La seconda è la velocità con cui ciò deve accadere, cioè il passaggio da meno di 40 a oltre 61,5% deve avvenire nello spazio di 10 giorni al massimo.
Come dicevamo è un segnale piuttosto interessante perché molto raro e in tutte le altre 19 volte in cui questa cosa si è verificata, nei 12 mesi successivi il mercato ha SEMPRE avuto una crescita significativa, in media del 23,4% e con un valore mediano del 24,8%.
Facciamo alcuni esempi:
– 18 marzo 2009, nei 12 mesi successivi il mercato è poi cresciuto del 47%;
– 14 ottobre 2011, subito dopo la crisi del debito dei Paesi del Sudeuropa, nei 12 mesi successivi +18%;
– 7 gennaio 2019, dopo il terribile quarto trimestre del 2018 in cui Trump primo aveva scatenato la prima guerra commerciale contro la Cina facendo crollare l’S&P di oltre il 20%… mmmhhh suona famigliare? Beh anche qui, 12 mesi dopo + 27%;
– E questa cosa è successa anche ben 2 volte nel 2023, a seguito di due beni noti momenti di crisi: il 31 marzo, dopo il fallimento di Silicon Valley Bank e Credit Suisse, +27% nei 12 mesi successivi, e il 3 novembre, subito dopo la minicrisi sul debito americano che aveva visto i rendimenti dei Treasury arrivare al 5%, +33% da lì al novembre successivo.
È decisamente incoraggiante il fatto che il 100% delle volte che lo ZBT si è verificato, il mercato è cresciuto in maniera importante nell’anno che è seguito.
Probabilmente ci sono due motivi dietro a questo fenomeno:
– Il primo è il noto universale principio della regressione verso la media: ogni volta che si è verificato lo ZBT, subito prima c’era stata una significativa contrazione del mercato. Dopo aver preso una bella batosta, il mercato vuole sempre provare a risalire, fosse anche solo perché ciò che per qualcuno è una crisi, per altri è un’opportunità di acquisto.
– Il secondo motivo ha a che fare con il momentum del mercato azionario. Sappiamo che nel breve l’azionario è autocorrelato e crea dei trend che tende a seguire per un po’. Quando molto velocemente si allarga il numero di azioni che cresce, allora abbiamo l’effetto bottiglia di spumante, il tappo si stappa e per un po’ viene sospinto in su tutto il mercato.
In soli tre casi la crescita a 12 mesi non è stata in doppia cifra, ossia in tre casi che non sono stati preceduti da crisi particolari: nel maggio del 2004, nell’ottobre del 2013 e nell’ottobre del 2015, con l’S&P che è cresciuto meno del 10% nell’anno successivo.
Fatto curioso, lo ZTB si è verificato in media una volta ogni quasi 6 anni nel secolo scorso, mentre la sua frequenza è raddoppiata negli anni 2000, una volta ogni meno di 3 anni. Magari è un caso, o magari è una dei tanti indizi che alimentano il sospetto che il momentum del mercato si sia fatto sempre più influente negli ultimi anni — e non si può escludere che l’aumento dell’investimento indicizzato possa aver contribuito.
Quindi viva Mary Zweig, viva lo ZBT.
Poi, oh, come sempre, magari questa sarà la prima volta in cui il segnale si inceppa e il prossimo aprile sarò qua a dirvi: “ragà, si è rotto lo ZBT, siamo sotto rispetto ad un anno fa”.
Se invece funzionasse ancora, il 25 aprile del 2026 potremmo avere l’S&P 500 intorno ai 6.800 punti, perfettamente on track lungo la strada tracciata dal mio maestro jedi Ed Obi Wan Yardeni che ha posto il traguardo dei ruggenti anni 2020 americani ai 10.000 punti dell’S&P 500.
Se il 31/12/2029 l’S&P avrà chiuso a 10.000 punti, vorrà dire che dall’inizio di quest’anno ad allora sarà cresciuto ad un ritmo del 11,2% all’anno, a cui aggiungiamo un altro 1% di dividendi. Quindi circa 12% da qui a fine 29.
Segnatevelo, torneremo a parlarne nell’episodio 697 in uscita il 2 gennaio del 2030.
Naturalmente previsioni del genere valgono come il 2 di picche a briscola, ma almeno la prossima volta che vi prende il patema quando il mercato tracolla, ricordatevi che anche i tracolli fanno parte degli scenari ottimistici.
Questo era il primo segnale, ricordiamocelo perché sarò davvero curioso di vedere se continuerà a funzionare in maniera impeccabile anche per la ventesima volta.
Certo, poi magari questo funziona ma il dollaro continua ad andare giù e ce ne facciamo poco.
Ma sempre Obi Wan Yardeni ha fatto recentemente notare due cose:
– La prima è che nonostante il calo di questi mesi, il dollaro continua a trovarsi perfettamente allineato all’interno del suo trend secolare di rafforzamento iniziato nel 2008. Se guardate il grafico del dollar index, si vede chiaramente che, pur con tutte le oscillazioni dei singoli anni, c’è un evidente traiettoria verso l’alto che comunque sussiste.
– La seconda riguarda la forza dell’euro. È vero che il dollar index misura la forza del dollaro rispetto a numerose valute, ma è anche vero che il 57% del peso è dato dall’Euro. Quindi il dollar index, in ultima istanza, è il cambio Euro/Dollaro. Il dollaro si può indebolire, ma un rafforzamento sistematico dell’euro non è così scontato, anzi. L’economia europea avrà bisogno di stimoli e la BCE, diversamente dalla Fed, sembra più preoccupata dal rallentamento economico che non dall’inflazione, quindi dovrebbe essere più propensa a tenere tassi più bassi, cosa che solitamente indebolisce una valuta.
Morale: ok il dollaro si sta indebolendo. Ok Trump sta sputtanando il suo ruolo di valuta globale. Però finché noi investiamo in euro quello che conta è anche la forza relativa della nostra valuta nei confronti del greenback, del bigliettone verde con le facce dei presidenti.
Bene, lo ZBT era il super segnale di ottimismo di cui vi volevo parlare — ed è decisamente il più potente, almeno su base statistica.
Ce ne sono però altri tre da sottolineare.
Il SECONDO SEGNALE DI OTTIMISMO sono stati i 9 giorni consecutivi di crescita dell’S&P 500, un evento accaduto solo altre 31 volte nella storia.
Ora non ho trovato statistiche su quel è successo nel passato ogni volta che c’è stato un filotto di nove giorni consecutivi con il segno più, sicuramente usciranno nei prossimi giorni.
Però ho letto che con almeno 6 giorni di fila positivi, l’S&P è poi cresciuto in media in quell’anno del 15%. L’unica volta negli ultimi 20 anni che non è andata così è stato nel 2018, ma solo perché il finale dell’anno è stato falcidiato dalla combinazione tra i primi dazi di Trump alla Cina e la decisione sbagliata della Fed di alzare a sorpresa i tassi di interesse.
Come abbiamo detto prima, subito all’inizio del 2019 si è poi verificato lo ZBT e da lì a 12 mesi tutto è andato alla grande.
9 giorni di fila di crescita sono un segnale evidentemente ancora più forte.
Ora, io sto scrivendo venerdì 2 maggio, quindi è possibile che da lunedì 5 maggio le buone notizie continuino.
Quanto sarebbe raro?
Beh:
– 10 giorni positivi di fila è successo solo altre 15 volte;
– 11 giorni di fila 8 volte;
– 12 giorni 5 volte;
– Mentre 14 giorni di fila è successo una sola volta nel 1971.
A sto punto puntiamo al record di 15 giorni!
TERZO SEGNALE DI OTTIMISMO: 3 giorni di fila in cui ogni giorno o oltre il 70% delle azioni è cresciuto. E questo chiaramente è un segnale fortemente legato allo ZBT.
In passato è successo solo altre 27 volte.
Per 26 volte, 12 mesi dopo l’S&P 500 è cresciuto e la crescita media è stata di quasi il 19%.
L’unica volta in cui non è successo è stato nel 2007: il fenomeno si era verificato il 21 marzo e ovviamente 12 mesi dopo eravamo già alle prese con i primi segnali della devastante crisi del 2008, conflagrata poi definitivamente dopo il 15 settembre, giorno del fallimento di Lehman Brothers.
QUARTO e ULTIMO SEGNALE DI OTTIMISMO: 2 giorni a distanza di 9 giorni l’uno dall’altro in cui quasi il 90% delle azioni è cresciuto. Questa cosa è successa il 9 aprile, il giorno in cui Trump ha messo i dazi in pausa, e il 22 aprile, quando ha detto che scherzava, che non ha mai voluto licenziare Powell e che i due sono amici del cuore.
Questo fenomeno è ancora più raro degli altri ed è successo solo nel 1987, 2009, 2011 e 2020, tutti bei periodi come potete notare.
La crescita 12 mesi dopo è stata sempre positiva, con una media di +31%.
Ora, al di là del fatto che questi segnali funzionino ancora una volta oppure no e precisando anche che si impegno un po’ a cercare posso trovare dei controesempi che dimostrano che quello che è successo di recente in passato non ha portato benissimo, però — dicevo — al di là di questo, cosa apprendiamo da questi fenomeni ricorrenti?
Beh una lezione che ormai dovrebbe essere ben nota.
Molti dei momenti più positivi della storia dei mercati azionari cominciano sempre al fondo di situazioni negative, perché la fiducia e l’ottimismo generale degli investitori non sta ad aspettare la conferma delle buone notizie, ma tende sempre ad anticipare una qualche risoluzione futura degli eventi.
Sapendo una cosa molto importante: che se le cose non andranno come si aspettano, i mercati avranno comunque una qualche voce in capitolo per rimettere il treno della politica e dell’economia sui giusti binari.
Detto questo, Aprile è finito, terzo mese di fila in rosso — ma chissà appunto che non sia stato l’ultimo — e come da tradizione vediamo come sono andati i principali indici azionari obbligazionari in euro più oro.
Inutile precisare che la differenza tra le performance in euro e quelle in dollari è stata molto significativa.
Praticamente in Euro abbiamo perso ad Aprile circa il 5-6% rispetto al corrispondente indice in dollari.
Allora in primis, sua maestà acciaccata, l’S&P 500: -6,16%. Considerando che eravamo sprofondati a -12 e fischia, poteva andare peggio.
Da inizio anno siamo sotto del 13% e di oltre il 16% dal picco del 19 febbraio.
Na bella sberla, però naturalmente niente che non sia perfettamente già previsto dal manuale dell’investitore consapevole.
MSCI World, il nostro benchmark preferito: -4,85% e da inizio anno sotto del 9,5%.
Chiaramente qui i migliori risultati, nonostante il peso esorbitante delle azioni americane, sono dovuti a tutta la componente non in dollari e soprattutto alle discrete performance delle azioni europee.
Infatti, veniamo agli indici di casa nostra.
Stoxx 600: -1,6% ad aprile e quasi +6% da inizio anno. Ancora meglio l’indice delle blue chip dell’eurozona, ossia
L’Euro Stoxx 50: -2,4% ad aprile ma +6,5% da gennaio ad oggi.
Chiudiamo i mercati sviluppati con il Giappone.
MSCI Japan: incredibilmente flat ad Aprile, -2% da inizio anno.
MSCI Emerging Markets invece: -4,5% ad aprile e -5% da gennaio ad oggi.
Fatto il consueto giro dei mercati azionari, vediamo velocemente i titoli di stato.
Bloomberg Euro Aggregate Treasury: voi! Ingrati denigratori delle obbligazioni! Ad aprile i titoli obbligazionari hanno fatto quello che dovevano fare. +3,qualcosa% e complessivamente +2,2% da inizio anno.
E pure quelli a lunga scadenza superiore ai 15 anni si sono difesi: +2,4% ad Aprile, anche se questi invece da inizio anno sono ancora sotto di un paio di punti, perché non hanno ancora digerito completamente lo shock arrivato dalla Germania che ha improvvisamente deciso di spendere e spandere Trilioni di euro in investimenti e difesa da qui ai prossimi anni.
Ricorderete che a inizio marzo, appena era arrivata la notizia che il parlamento tedesco aveva approvato la rimozione costituzionale al vincolo sul debito pubblico, i rendimenti dei bund erano schizzati alle stelle è il Bloomberg Euro Aggregate Treasury 15-30 aveva perso il 7% nello spazio di una decina di giorni.
Dal punto più basso ad oggi, tuttavia, ha già recuperato 4 punti percentuali.
Ricordiamoci sempre che quando il mercato pensa che i tassi di mercato saliranno nel futuro, il prezzo degli etf obbligazionari scende, ma allo stesso tempo aumenta il rendimento delle nuove obbligazioni che l’etf andrà a via via ad incorporare.
Quindi una parte del prezzo dell’ETF dipenderà dalle oscillazioni dei tassi di mercato, mentre un’altra parte — che sarà sempre positiva — dipenderà dal rendimento dei titoli sottostanti, cioè dal pagamento delle cedole dei bond contenuti nell’ETF.
È vero che se i tassi salgono (o si pensa che saliranno) i prezzi scendono, ma allo stesso tempo salgono anche i rendimenti, cioè gli interessi pagati periodicamente dalle obbligazioni sottostanti.
Viva gli ETF obbligazionari e un abbraccio al mio amico, amante degli ETF obbligazionari, Paolo Coletti da cui sarò ospite lunedì 5 maggio in live dalle 16:30 alle 18:00.
E per chi si sentirà quest’episodio successivamente potrà sempre vedere il video postumo sul canale di Paolo.
Dei Treasury abbiamo parlato parecchio ultimamente.
Dopo lo spavento dell’8 aprile con i rendimenti schizzati al 4,5%, da un po’ ormai viaggiano intorno al 4,2% e per il momento la situazione sembra apparentemente stabilizzata.
Chiaramente molto male per chi ha investito in Treasury in Euro.
Sulle scadenze 7-10 anni ad aprile si sarà perso per strada tra il 4 e il 5%, quasi tutto imputabile al cambio euro dollaro.
Poi, oggi lo YTM di un ETF sui Treasury con queste scadenze è intorno al 4%, quindi gli interessi dei Treasury compensereanno una parte di questa perdita.
Per il resto bisogna vedere due cose:
– Cosa fa la Fed nei prossimi interventi sui tassi, ma non sembra super propensa a tagliare troppo perché ha troppa paura che i dazi alimentino l’inflazione;
– E cosa fa il cambio euro/dollaro naturalmente.
Ovviamente l’oro è il grande supremo vincitore anche di quest’inizio anno, benché nell’ultime settimane il mood più positivo sui mercati l’ha tirato giù dal vertiginoso record di 3.509 dollari l’oncia toccato il 22 aprile, per poi scendere fino ai 3.230 dollari.
Da inizio anno il prezzo dell’oro è arrivato a salire di oltre il 30% in meno di 4 mesi, per poi chiudere al 30 aprile a +24%.
Chiaramente, essendo denominato in dollari, per noi europei la sua performance è stata ottima ma non così esorbitante.
Più 16% da inizio anno, praticamente flat nel mese di aprile.
Bisogna dire che il mese di aprile è stato quasi da manuale per quanto riguarda l’opportunità di avere asset diversificati in portafoglio.
Quando le azioni sono crollate, subito sono andate giù anche le obbligazioni, ma l’oro è volato.
Poi le obbligazioni hanno ripreso forza e quando nella parte finale del mese le azioni hanno intrapreso il mini rally di cui abbiamo parlato oggi, l’oro è arretrato.
Per ora, complice l’esigenza di decoupling dal dollaro di tanti Paesi, Cina in primis, il dollaro si è riconfermato un valido diversificatore che risponde a logiche completamente diverse rispetto a ciò che guida azioni e obbligazioni.
Questo non significa che uno debba necessariamente metterlo in portafoglio né che OGGI sia il momento di metterlo in portafoglio.
Sappiamo che l’oro può crescere molto velocemente in maniera importante e poi perdere valore per due decenni consecutivi.
In tanto hanno fatto vedere che, in termini reali, al netto dell’inflazione, l’oro ci ha messo la bellezza di 45 anni per ritornare al valore che aveva nel gennaio del 1980.
A inizio aprile, infatti, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo il potere d’acquisto dell’oro è tornato ad essere lo stesso di quello che il biondo metallo aveva dopo il +166% fatto nel solo 1979.
Quindi bisogna stare sempre molto attenti a non farsi abbagliare dal suo sbarluccichio, perché l’estrema volatilità a cui può sottoporre può poi richiedere dei tempi di recupero più lunghi di un’intera vita di investimento.
Dunque, maggio è iniziato, domani è il 5, ei fu siccome immobile dato il mortal sospiro ma soprattutto “Sell in May and go away!”.
Questo è forse uno dei modi di dire più noti a Wall Street che risale alla notte dei tempi.
Perché si è consolidata negli anni questa credenza secondo cui sarebbe meglio vendere tutto a maggio e ricomprare poi ad ottobre?
Banalmente perché una statistica a supporto con radici cha affondano molto indietro nel tempo.
Se noi prendiamo le 12 possibili finestre composte di 6 mesi consecutivi — quindi gennaio-giugno, febbraio-luglio, marzo-agosto, ecc. — sappiamo che storicamente:
– Il blocco novembre-aprile è stato quello con la performance media migliore, +7,1% e positivo nel 77% degli anni;
– Maggio-ottobre è stato invece il blocco peggiore, +1,8% in media e positivo solo il 65,3%.
Però è anche vero che questa negli ultimi 10 anni sembra aver completamente smesso di funzionare.
Maggio è stato un mese positivo 8 volte su 10 e il suo ritorno medio è stato del 4%.
E pochi di voi forse ricorderanno che l’anno scorso, dopo un brutto Aprile anche del 2024 con l’S&P che, per quanto assurdo possa sembrare, in dollari perse di più di quest’anno nonostante il liberation day, Maggio era stato un super mese, +13%.
Quindi forse Sell in May non è sempre un consiglio necessariamente valido.
L’orizzonte è pieno di nubi, il mondo si sveglia ogni giorno sull’orlo di una crisi geopolitica senza precedenti, i mercati sono in balia delle decisioni di alcuni discutibili personaggi con troppo potere in troppe poche mani, ma la cosa confortante è che tutta quest’incertezza che avvolge le nostre decisioni di investimento non è un fatto nuovo e non è altro che una parte integrante della finanza stessa.
Ma soprattutto, facciamo tutti il tifo per Marty Zweig e il suo Breadth Thrust che per la ventesima volta consecutiva faccia il suo e ci regali tra 12 mesi un segno più bello grosso sul nostro indice preferito.
Bene care amiche e cari amici di questo podcast, questo infinito aprile che sembra durato un decennio ce lo siamo finalmente lasciati alle spalle e cominciamo a fare il countdown vero l’8 luglio, giorno in cui terminerà la pausa sui dazi ed entro il quale si spera che il grosso dell’incertezza alimentato da questa tragicomica situazione sarà stato dissipato.
Da lì in poi cominceremo a fare la conta dei danni o magari chissà, alla fine anche nel 2022 e 23 erano tutti convinti che una recessione sarebbe arrivata e siamo ancora qua ad aspettarla.
In attesa di quel giorno che come sempre vivremo assieme, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che prevedono il futuro dei mercati perché in realtà l’inventore dello ZBT non si chiama Marty Zweig ma Marty Mac Fly sempre nuovi!
Se ci fosse qualche povero disgraziato all’ascolto che avesse osato non guardare la trilogia di ritorno al futuro e che quindi non avrà capito la scemenza che ho appena detto, Marty Mc Fly è il protagonista dei tre film impersonato da Michael Jay Fox che assieme al Doc Brown viaggiano avanti e indietro nel tempo su una delorean modificata.
E dopo questa imprescindibile perla cinematografica, per oggi è davvero è tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo appuntamento e mi raccomando continuate a seguirmi per tutto il mese perché perché da qui a inizio giugno ci saranno 4 ospiti davvero pazzeschi, citati o in alcuni casi stracitati in questo podcast, sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025