5 Lezioni che ho appreso da questa Crisi

Durante questo mese di crisi, che sembra durato un anno intero, ho appreso 5 lezioni importanti sul rapporto tra finanza e politica, sull'importanza di stare fermi, sul ruolo positivo dell'investimento passivo, sul lato ottimista del pessimismo e su quanto veloce cambino le cose che pensiamo non cambieranno mai.

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5 Lezioni che ho appreso da questa Crisi
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209. 5 Lezioni che ho appreso da questa Crisi

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La finanza è più forte della politica; i bond condizionano le decisioni governative.

In crisi, l'inazione e la pazienza battono la psicologia.

L'investimento passivo ha stabilizzato i mercati.

Diversificare è cruciale, poiché nessuna supremazia di asset o economia dura per sempre.

Trascrizione Episodio

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Mamma mia che mese che è stato!

Mi sembra passato un secolo da quando il presidente un tempo conosciuto come Donald Trump si è trasformato il 2 aprile scorso in Lord Dazimort sfoderando il cartellone da Tombola dell’oratorio più letale di sempre, quello che ha mostrato orgoglioso nel giardino delle Rose alla Casa Bianca che indicava i “recirpocal tariffs”, i dazi reciproci più demenziali della storia che sarebbero stati applicati praticamente a tutti i Paesi del mondo, ivi compresi, come noto, a Pinguini dell’Antartide che a quanto pare da decenni si approfittano della generosità americana, esportano negli Stati Uniti più di quanto importino e investono come pazzi in S&P 500 e Treasury facendo apprezzare il dollaro penalizzando così l’export delle brave società americane.

Da lì in poi è successo letteralmente di tutto.

Abbiamo avuto i 2 giorni, back-to-back, più neri dai tempi del Covid, con l’S&P che ha lasciato per strada il 10,5% e complessivamente il -12,1% in quattro giorni.

Poi in un solo giorno abbiamo avuto un +9,5%, quando Trump ha dichiarato la pausa di 90 giorni a seguito delle violente vendite di Treasury e dell’opera di convincimento del segretario del Tesoro Scott Bessent.

Quindi un’altra settimana a -5,5% e gli ultimi tre giorni della scorsa settimana in positivo del 6,3%.

Come giustamente ha twittato Ben Carlson su X, in pratica abbiamo avuto in meno di un mese quel che ti puoi aspettare che accada in 4 mesi piuttosto interessanti.

Aprile, in effetti, è uno di quei mesi che contano più di anni interi.

Si sa che la storia, come molte la maggior parte delle cose della vita, non procede quasi mai in linea retta, ma tende a fari balzi.

E il balzo fatto il 2 aprile è come se improvvisamente ci avesse proiettato in una nuova era della storia dell’umanità.

Che poi, oddio, credo fino ad un certo punto a quel che ho appena detto.

Ogni giorno leggo 4 quotidiani e una trentina tra newsletter e altri siti di informazione economico-finanziaria, quindi è inevitabile che sia un po’ condizionato da questo senso di eccezionalismo. Ogni tanto devo ricordare a me stesso che scopo principale dei media non è esattamente informare, quanto piuttosto vendere copie: e niente come esasperare il lato negativo di ogni notizia richiama attenzione e audience.

Pertanto bisogna sempre fare un po’ di tara e ricordarsi che le cose eccezionali, proprio perché eccezionali, capitano un po’ meno spesso di quel che i media fanno pensare.

Per loro spesso le cose sono spesso molto più eccezionali di quel che dovrebbero.

Immaginatevi un quotidiano che usciva il 3 aprile con in prima pagina il titolo: Trump annuncia dazi sulle importazioni da tutti Paesi del mondo. Altini, però dai, stiamo a vedere, magari non è così grave.

Cioè un giornale così non lo legge nessuno.

Invece se inizi a scrivere: “Trump dichiara una guerra commerciale al mondo”, “Inflazione”, “Recessione”, “Depressione” e via dicendo, ovvio che tutti vogliono saperne di più per cercare di mettersi al riparo da questa bomba economica nucleare che potrebbe esplodere a due passi da casa nostra.

Per come la vedo — e naturalmente la mia visione è quella da ultimo pirla che non vale niente — ci sono tre scenari possibili.

– Best scenario: Trump fa marcia indietro praticamente su tutto. Fa passare che ha ordito personalmente vantaggiosissimi accordi commerciali con tutti i Paesi seguendo la sua solita innata tendenza a distorcere la realtà, ma la verità è che dalla Cina in giù tutti hanno chiamato il bluff, i suoi consiglieri economici si rendono conto di aver fatto una cazzata atomica e che se vanno avanti su questa strada lui sarà ricordato come il Presidente che avrà causato volontariamente più danni economici all’America di tutti i suoi predecessori messi assiemi e tutto torna più o meno come prima, con il mondo continua a prosperare in un regime di libero commercio. Il resto del mondo si rivela meno permaloso del previsto e archivia questo incidente come frutto della follia di un singolo uomo eccessivamente egocentrico. Il dollaro si riprende, i Treasury continuano ad essere l’asset più importante della Terra, pietra sopra, scordamoce o passato e facciamo finta che niente sia successo.

Probabilità di questo scenario: 1%.

– Worst scenario: Lord Dazimort e gli altri mangiamorte fanno sul serio e vanno fino in fondo. Tutti i negoziati vanno a puttane. I dazi alla Cina restano al 145%. 20% all’Europa. 24% al Giappone. 50-60% a Vietnam e Cambogia. Non solo l’America, ma il mondo intero sprofonda in una lunga recessione globale. Il mondo si frammenta ulteriormente sul paino geopolitico. I mercati finanziari subiscono un dissesto causato dalla sfiducia nel dollaro e nei titoli di Stato Americano. Il costo del debito americano schizza fuori controllo e il danno si propaga su tutto il mercato obbligazionario globale, mettendo in ginocchio la maggior parte delle economie occidentali altamente indebitate. Non lo so, sto sparando a caso, però aggiungete voi qualunque scenario apocalittico vi possa venire in mente, anche di natura bellica, e sinceramente non è da escludere.

Probabilità di questo scenario: sarò un inguaribile ottimista un po’ ingenuotto e pure mezzo scemo, ma dire 1% pure qui.

– Scenario più probabile: beh, è uno scenario molto vasto, che comprende tutto ciò che resta una volta che escludiamo i due estremi più estremi. Qualche dazio resta, qualcuno viene tolto fingendo di aver trovato chissà qualche straordinario accordo negoziale. Resta più la forma che la sostanza. Comunque il danno è fatto, la perdita di fiducia verso dollaro, Treasury e America in generale sarà reale e avrà degli effetti, tuttavia ci si ricorderà che ad oggi a dollaro, Treasury e America non esistono alternative e quindi pur tappandosi il naso, almeno per un po’ di anni questi tre continueranno ad essere i pilastri dell’economia e della finanza globale tutta. Depotenziati, ma pur sempre i numeri uno nei rispettivi ambiti. Nel frattempo magari si innescheranno degli effetti di secondo ordine non necessariamente negativi, come un maggiore consolidamento dell’Unione Europea, un’apertura del mercato Cinese che potrebbe in parte sostituirsi alla chiusura del mercato interno americano per assorbire i consumi e così via. Chissà. Nel complesso l’economia globale potrebbe soffrire, forse andrà in recessione, forse salirà l’inflazione, forse tutto questo si verificherà ma sarà meno grave del previsto e in ogni caso ancora una volta l’umanità tutta troverà il modo di riadattarsi al nuovo contesto e andare avanti.

Sì mi rendo conto che come previsione non è granché.

Ma sono uno che per natura non crede quasi mai alle visioni catastrofistiche della vita.

Come regola generale, sono sempre portato a pensare che nel breve termine le cose possano sempre andare peggio di come si spera, ma nel lungo termine andranno meglio di quanto si tema.

Che poi, se ci pensate, questa dovrebbe essere la filosofia di base di un investitore.

Se non si vive con un certo ottimismo di lungo termine, tanto vale investire in prima battuta.

Spendi tutti i soldi che hai, goditi la vita finché puoi e preparati alla fine del mondo.

Siccome però gli annunci sulla fine del mondo sono molto più frequenti delle volte in cui davvero il mondo è finito, scelgo un moderato ottimismo come opzione di default.

Detto tutto ciò.

Aprile appunto è stato un mese incredibilmente lungo e denso.

Diciamoci la verità, a parte qualche crisetta minore, nel 2023 e 2024 non era successo praticamente niente di rilevante.

E quando le cose vanno bene e il mondo scorre placido senza troppi shock, non è che si impara molto.

Aprile invece è stato uno di quei mesi che ti cambia un po’ gli occhi.

Inevitabilmente, oggi 30 aprile 2025 tutti noi, chi più chi meno, vediamo le cose in maniera un po’ diversa da come le vedevamo il 1° aprile.

Almeno per quel che riguarda il mondo della finanza e degli investimenti, che sono la cosa che più ci riguarda da vicino.

Mesi come questi, che in qualche modo modificano il nostro ultimo paradigma di riferimento, sono sempre utili occasioni per fermarsi a riflettere e mettere nero su bianco gli insegnamenti che se ne possono trarre.

Certo, il capital gain del mio portafoglio si è ridotto in maniera evidente ma, diciamo così, non tutto il male vien per nuocere se ciò mi dà l’occasione di imparare qualcosa.

E oggi voglio quindi condividere con voi le 5 lezioni che ho appreso sinora da questa crisi.

Appreso — o comunque consolidato nel mio set di principi guida, visto che si tratta di cose che effettivamente mi erano note, ma viverle in prima persona è tutta un’altra storia.

Non lo so sarà che la scorsa settimana ero alle Canarie con la mia famiglia e non c’era esattamente un clima da mare, quindi devo aver avuto troppo tempo libero per pensare e quando penso poi iniziano partirmi questi trip mentali in cui prendo gli eventi del mondo e devo tirarne fuori qualche sintesi di buon senso.

O sarà anche che dovevo compensare con pensieri semi intelligenti l’overdose di cartoni animati di Peppa Pig, Masha e Orsa e Curioso George a cui mia figlia mi ha sottoposto ogni giorno, in attesa che calasse il vento per andare a fare quello che per lei era un bagno nelle piscine e per me una seduta di crioterapia.

Però che faccio? devo guardare ore e ore di demenziali cartoni per bambini su Youtube dal computer in cui c’è buona parte della mia vita professionale e personale e uso il WiFi free del resort o ancora peggio quello del prestigioso Aeropuerto de Tenerife Sur Reina Sofia?

Eh no! ovviamente uso NordVPN, connessione sempre perfetta, al sicuro da virus, siti fraudolenti o altre minacce online.

Che poi, Masha e Orso è un noto cartone russo.

Sai mai, di sti tempi… vista l’aria che tira… vatti a fidare…

Se anche voi siete in partenza per isole troppo ventose per fare il bagno e dovete spararvi 3 ore di video al giorno, www.nordvpn.com/thebull, oppure link in descrizione per avere 2 anni di abbonamento ad un prezzo a prova di recessione più altri 4 mesi in regalo.

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E dopo masha e orso, veniamo alle nostre 5 lezioni.

LEZIONE NUMERO UNO: La finanza è più forte della politica (e il suo corollario: i bond contano più delle azioni).

Per chi ha un po’ di memoria, ricorderà che negli ultimi 15 anni avevamo già avuto due esempi emblematici di questa quarta legge di Newton.

Nel 2011 tutti i Paesi del sud-Europa, a partire dalla Grecia, hanno scoperto la severità senza eccezioni dei bond vigilantes, che avevano spedito i rendimenti dei titoli di stato dei PIIGS, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia appunto e Spagna, a livelli astronomici, mandando la patria di Euclide e Aristotele in default e spingendo gli altri quattro ad un pelo dal baratro.

Ci ricorderemo tutti che l’ennesimo governo Berlusconi del tempo cadde per una lettera della BCE che fondamentalmente impose le dimissioni del presidente del consiglio quando lo spread tra i BTP e i Bund decennali era arrivato a superare i 550 punti e lo Stato Italiano ad un passo dal fallimento tecnico.

Venne Mario Monti, il governo dei tecnici, le lacrime di Elsa Fornero che mise una definitiva pietra tombale sulla cuccagna delle pensioni dorate dei nostri nonni e genitori, il tutto sotto la severa regia della Germania di Angela Merkel che in quel contesto prosperò ma impose a tutta l’Europa meridionale una rigida — e in parte ottusa — disciplina fiscale che ne paralizzò la crescita per un decennio.

Meno risonante a casa nostra, ma altrettanto clamorosa, fu l’azione dei bond vigilantes nel settembre del 2022 nel Regno Unito.

Liz Truss era appena diventata premier sostituendo quel pazzo furioso di Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra diventato poi primo ministro che fu il massimo artefice di quella gigantesca idiozia geopolitica ed economica nota come Brexit. Non mi ricordo i dettagli, ma credo che Johnson si fosse dimesso a seguito di qualche scandalo minori, come il fatto che saltò fuori che aveva tenuto delle feste a Downing Street durante il Covid e cose del genere.

Comunque Liz Truss entrò in carica il 6 settembre e il 23 promulgò ciò che passerà alla storia come il “mini-budget”, ossia serie di tagli delle tasse che nelle sue intenzioni sarebbe servito a dare stimolo ad un’economia perennemente asfittica dalla Brexit in poi e per di più colpita dall’iperinflazione di quell’anno.

Questa si rivelò una delle manovre più maldestre della gloriosa storia britannica perché in un lampo il mercato dei Gilt, che sono i titoli di Stato Inglesi, crollò in maniera spettacolare perché ci si rese immediatamente conto che quei tagli delle tasse non avevano sufficienti coperture.

Morale: il rendimento dei decennali passò dal 3,25% al 4,5% in una manciata di giorni.

125 punti base di aumento dei rendimenti per titoli di Stato con rating doppia A è un movimento mostruoso, con un impatto potenzialmente devastante sulle finanze pubbliche e, soprattutto, sulla stabilità dell’intero sistema pensionistico britannico che è fortemente esposto verso i Gilt.

Passo indietro immediato, mini-budget praticamente cancellato e la povera Liz Truss che dovette lasciare il governo il 20 ottobre, dopo appena 44 giorni, il più breve governo della pluricentenaria storia dei primi ministri britannici.

Finché succede ai PIIGS o al Regno Unito è un conto.

Ma quando lo vedi succedere agli Stati Uniti, allora capisci che la questione è seria e che i la forza dei mercati, in particolare di quello obbligazionario, è ancora superiore persino a quella della politica e dell’uomo più potente del mondo.

Truss… Trump… coincidenze?

Beh, nel mese di aprile Trump ha vissuto per ben due volte il suo Truss-moment.

Il 9 aprile mise in dazi in pausa per 90 giorni dopo che nei giorni successivi al liberation day i rendimenti dei Treasury decennali erano decollati passando dal 4 a quasi il 4,5%.

Mezzo punto percentuale di interessi in più da pagare su un debito pubblico da quasi 30 trilioni di dollari fa quasi 150 miliardi di dollari all’anno.

Ok il conto è sbagliato perché l’aumento dei rendimenti riguarda i Treasury di futura emissione, non quelli già emessi.

Ma dato che le proiezioni sono unanimi nel prevedere un aumento del debito americano nei prossimi 10 anni, un’escalation di questo tipo potrebbe avere effetti apocalittici sulla tenuta delle finanze pubbliche.

Come sappiamo bene, se si rompe il mercato dei Treasury, si rompe tutto.

L’S&P 500 può anche perdere il 60% senza che niente crolli.

Ma se gli investitori di tutto il mondo iniziano a svendere Treasury, l’asset di riserva universale alla base di tutto il sistema finanziario globale, è la fine.

Fatto sta che persino un ottuso come Trump è dovuto ricorrere a più miti consigli, mettere i dazi in pausa e cominciare a moderare i toni.

Va bene scherzare con Wall Street.

Ma se tocchi i titoli di Stato a stelle e strisce nemmeno se ti chiami Donald Trump puoi sperare di uscirne indenne.

E infatti sappiamo che il mercato ha festeggiato il giorno dopo con un’euforia da overdose e il +9,5% in un solo giorno per l’S&P.

Il 21 aprile però c’è stato un nuovo assaggio della forza dei mercati.

Nel weekend di Pasqua Trump fu piuttosto esplicito nel condannare la posizione del capo della Federal Reserve Jerome Powell, chiamandolo Mr. Too Late, il signor troppo tardi, per la sua ostinazione a non voler abbassare i tassi di interesse.

Ovviamente Powell non vuole essere precipitoso nel taglio dei tassi perché teme che giustamente che i dazi abbiano un effetto inflattivo e finché non ci sono segni di deterioramento del mercato del lavoro, tra combattere l’inflazione e combattere una recessione, per ora la Fed è schierata contro l’inflazione.

Il mercato però non prese per niente bene la minaccia di Trump di voler licenziare Powell.

Cosa che peraltro legalmente non può fare, ma sappiamo bene che per Trump la legge è solo un ostacolo minore, niente di serio di cui curarsi.

Ma ancora una volta i mercati si sono espressi contro questa minaccia all’indipendenza della Fed.

Lunedì 21 l’S&P è arrivato a perdere oltre il 3% e il dollaro ha avuto un’altra giornata nera.

Nuovo dietrofront, dichiarazione di Trump: “io non ho mai avuto intenzione di licenziare Powell”, e i mercati hanno una settimana di gloria in verde, aiutati anche dal segretario al tesoro Bessent che ad un evento privato di JP Morgan avrebbe dichiarato che i dazi al 145% con la Cina sono insostenibili e che verranno sicuramente abbassati.

Ora, siamo ancora in un campo minato.

Accordi commerciali in vista non ce ne sono.

Trump dice che con la Cina si stanno facendo progressi, la Cina nega tutto.

È impossibile prevedere cosa succederà da qui alla scadenza dei 90 giorni di tregua.

In visita a Roma per il funerale di papa Francesco Trump ha detto che una proroga della pausa è improbabile, ma ovviamente — ricordatevi sempre: “art of the deal”, Trump il negoziatore palazzinaro — se dici che la pausa di 90 giorni può durare più di 90 giorni perdi potere negoziale. Ma questo non significa che non potrà essere prorogata.

Perché all’inizio di luglio i mercati saranno ancora lì, pronti a dire la loro se la situazione non si sarà avviata verso una qualche forma di soluzione con meno incognite.

Non è che bond e stock vigilantes abbiano risolto tutto, anzi.

Però c’è del positivo in tutto questo.

E conferma ancora una volta l’importanza di conoscere le cose di cui parliamo qui, al di là dei nostri interessi strettamente finanziari come investitori.

La finanza è una delle forze più influenti che governa il mondo.

Un piccolo numerino, quell’apparentemente insignificante variazione percentuale del rendimento di un titolo di Stato, del valore di una valuta o di un indice azionario ad oggi si è dimostrato ancora più forte della volontà di potenza dell’uomo a capo del più potente Stato, della più grande economia e del più forte esercito del mondo.

I mercati saranno anche umorali.

Ma perlomeno sono oggettivi.

Sono la più grande polling machine del mondo, come la chiama Warren Buffett, la più importante cartina di tornasole dell’opinione generale che i possessori di capitali hanno nei confronti della politica.

Siamo solo alla fine del primo tempo.
Anzi, probabilmente sarà più simile ad una partita di baseball, con nove inning, i due tempi del calcio non basterebbero.

Ma alla fine del primo inning, pur con qualche acciacco, Wall Street 1 — Casa Bianca 0.

LEZIONE NUMERO DUE: la nostra psicologia corre molto più veloce della finanza.

Come dicevamo all’inizio, in un mese ci sono cambiati gli occhi.

Il mood che avevamo nel 2023 e 2024, fino al 19 febbraio di quest’anno, è completamente diverso da quello di oggi.

Allora cavalcavamo un mercato bullish, completamente orientato al rischio e la sola idea di una correzione significativa ci sarebbe sembrata paradossale.

Nelle scorse settimane invece ci siamo già immaginati di tutto:

– Scenari da 2008 o addirittura dal 1929;

– Disintegrazione del dollaro;

– Fine della supremazia americana.

Il disastro definitivo per i nostri portafogli.

Come sempre, però, quello che il compianto Daniel Kahneman chiamava sistema 1, il nostro pensiero veloce e istintivo, quando si muove nell’incertezza si aggrappa a quelle poche informazioni che ha, anche se irrilevanti, e in base a quelle costruisce immediatamente delle storie per dare un senso a quel che sta succendo.

Siamo fatti così.

Non possiamo vivere senza una narrazione che ci spieghi dove stiamo andando.

Nel bene e nel male.

Abbiamo bisogno di sapere che le cose che sono accadute hanno un senso e che ci siano dei nessi di causa ed effetto tra queste e il futuro che ci aspetta.

Ovviamente il sistema uno ha un pessimo track record in fatto di previsioni.

Ma soprattutto il sistema uno è un pessimo consigliere in situazioni di incertezza negativa come questa.

E dico “negativa” solo perché la novità di queste settimane non è l’incertezza, quella c’è sempre: è il suo risvolto negativo.

Anche il +50% degli ultimi due anni dell’S&P 500 fa parte dell’incertezza, solo che quando è positiva mica ci poniamo ci poniamo il problema.

In fasi di incertezza negativa sappiamo bene cosa dice il manuale di istruzioni del sistema uno, del nostro pensiero troppo veloce.

– Tiriamo conclusioni e prendiamo decisioni di conseguenza.
È la fine dell’eccezionalismo americano? È la fine del dollaro? D’ora in poi investiamo solo in oro e Btp? Niente sarà più come prima?
Succedono molte meno cose epocali di quelle che ci raccontiamo. Dei cambiamenti potranno esserci, ma non sarei così frettoloso a dichiarare la fine di un paradigma e l’inizio di un altro.
Se A allora B, la relazione causale, è uno schema di ragionamento quasi innato.
Ma è molto facile cadere nelle trappole della sua fallacia.
Siamo portati a dover trovare nessi causali e a dover formulare delle ipotesi sul futuro che guidino il nostro comportamento e le nostre scelte.

– L’immediata conseguenza di tutto questo è che crediamo di DOVER FARE QUALCOSA a tutti i costi.
Non siamo fatti per lasciar correre gli eventi per il loro corso.
Nasciamo con l’idea che il nostro intervento correttivo sia necessario.
Abbiamo nel nostro sistema operativo questo bias dell’interventismo a tutti i costi.
C’è un bell’articolo del CFA Institute uscito questa settimana che parla dei soliti bias cognitivi che ci fanno investire male (solite cose: overconfidence, fomo, ecc.) ma c’è un punto che mi ha colpito particolarmente — ed è proprio questo: l’importanza, in certe circostante, di resistere alla tentazione di fare qualcosa e scegliere l’inazione, l’assenza di azione, come soluzione vincente.

L’articolo fa alcuni esempi presi da contesti esterni a quello della finanza.

Il primo risale ai tempi della Roma pre-imperiale, quando il dittatore pro-tempore Quinto Fabio Massimo affrontò l’avanzata di Annibale nella seconda guerra punica usando una strategia che gli valse il soprannome di Cunctator, che in latino significa qualcosa come il “temporeggiatore”.

Nonostante l’ostilità dei Romani, che invece erano tutti “annamo a combattere, rimannamoli a casa sti Cartaginesi de li mortacci “bip”, memento audere semper, usque ad finem” e altre scemenze del genere da eccesso di testosterone, il Quinto Fabio Massimo scelse appunto di non combattere mai i Cartaginesi in campo aperto, ma di temporeggiare appunto, di logorarli lentamente consentendo nel frattempo alle truppe romane di riprendersi dopo le ultime devastanti sconfitte e di riorganizzarsi per gli anni successivi, fino alla vittoria definitiva di Publio Cornelio Scipione.

Il secondo esempio di vincente inattività — si fa per dire — è del 30 ottobre 1974, quando a Kinshasa, nell’attuale Repubblica Democratica del Congo, ci fu the “Rumble in The Jungle”, forse il più grande incontro di boxe di tutti i tempi, tra il campione del mondo George Foreman e il leggendario Muhammed Ali.

Foreman era più forte, più potente, più giovane e più aggressivo.

Ma Alì era il più grande pugile di tutti i tempi.

Per 7 round scelse di usare una strategia nota come “rope-a-dope” e in pratica si fece spingere sistematicamente alle corde e incassò una serie continua di colpi curandosi solo di schivarne il più possibile e di proteggersi la testa.

In questo modo, per 7 round Ali sfiancò Foreman e all’ottavo round, a 10 secondi dalla fine, praticamente con un colpo Ali mandò KO lo sfinito Foreman.

Questo match entrò per sempre nella leggenda per la straordinaria visione strategica di Ali e per il suo coraggio, in pratica, di stare fermo e paziente invece che sprecare energie contro un avversario sulla carta troppo forte per lui.

Il terzo esempio, quello più calzante per noi, non poteva che essere il nostro eroe John Bogle, che nel 1975 lancio il primo index fund con l’idea che investire passivamente, copiando il mercato, avrebbe battuto la maggior parte degli investitori attivi.

E su questo, non c’è molto da aggiungere perché credo che in questo podcast abbiamo parlato a sufficienza dell’argomento.

Un paio di settimane fa Meb Faber ha pubblicato sui suoi social una delle frasi più emblematiche di Bogle, perfetta per il momento che stiamo vivendo: “La mia regola — ed è valida solo il 99% delle volte, quindi bisogna essere cauti — è che quando arrivano queste crisi, la regola migliore che uno possa seguire non è “non stare fermo, fa qualcosa!” bensì “non fare qualcosa! Stai fermo”.

Non è rassicurante il pensiero che, per long term investor come noi che non devono rendere conto a nessun cliente a cui gestiamo il portafoglio, la cosa migliore da fare quando tutto sembra andare in vacca è non fare proprio niente?

Del resto sono stati fatti anche diversi studi che hanno dimostrato che gli investitori che guardano meno frequentemente il proprio portafoglio tendono ad avere migliori performance a lungo termine perché meno soggetti a fare cose stupide come vendere quando il mercato va giù.

Uno di questi si trova in un paper del 2016 sul Journal of Banking and Finance dal titolo Myopic Loss Aversion and Stock Investments.

E questo mi porta alla

LEZIONE NUMERO TRE, che davvero non vedevo l’ora di raccontarvi e, diciamocela tutta, non aspettavo altro. Il nome della lezione potrebbe essere: Mike Green si sbaglia, almeno per ora.

Vi ricordate che quando era venuto da noi ci disse che il suo timore era che al primo grosso crollo del mercato si potesse verificare il fenomeno del teatro in fiamme con l’uscita di sicurezza troppo piccola: tutti che corrono fuori a salvarsi e la maggior parte che resta intrappolata dentro.

Fuori di metafora: l’eccesso di investimento passivo farebbe sì che in presenza di un grosso calo di mercato tutti gli stupidi investitori che comprano a caso fondi che replicano tutto il mercato venderebbero tutti di colpo, senza che ci siano abbastanza investitori attivi e sufficiente liquidità per comprare dall’altra parte, innescando così un crollo verticale del valore dei portafogli e un conseguente financial armageddon.

Secondo lui invece sarebbe molto meglio che si investisse di più in maniera attiva, consapevole, basata sui fondamentali, senza comprare trilioni di ETF e index fund che invece gonfierebbero il valore delle società presenti negli indici.

Al che, molto modestamente, gli dissi: Mike, la butto lì. Ma se un sacco di gente investe tramite i fondi pensione come i 401(k), gli IRA o i Target Date Fund, che hanno tutti delle allocation prestabilite, questa cosa non farebbe da cuscinetto?

Cioè, gli dissi, o questi stanno fermi perché sono investimenti long term per definizione, oppure quando il mercato va giù loro comprano automaticamente per ripristinare l’asset allocation.

Se io ho un target date fund che oggi prevede, che so 80/20 e il mercato azionario fa -10%, allora il mio fondo di Vanguard o Blackrock venderà un po’ di bond per comprare stock e ripristinare 80/20, facendo da guardrail, da cuscinetto naturale in un momento di sell-off sul mercato.

Fondamentalmente la sua risposta fu che questa cosa sembra giusta in teoria ma in pratica no.

Bene, il 25 aprile è uscito un articolo sul Wall Street Journal emblematico.

In pratica nel mese di aprile, durante tutto il macello che è successo, sapete chi ha venduto più di tutti?

Hedge Fund. Investitori attivissimi.

E sapete chi ha comprato più di tutti?

Investitori retail, quei poveri scemi che farebbero crollare i mercati perché svendono tutto al primo momento di strizza.

E invece…

Invece gli attivissimi e brillantissimi hedge fund, avendo sempre molte posizioni a leva, appena il mercato è iniziato ad andare giù hanno dovuto svendere a destra e a manca per la solita dinamica di margin call.

Per investire a leva devi farti prestare dei soldi dando in garanzia dei titoli.

Se quei titoli scendono di valore chi ti ha prestato i soldi ti chiede di fornire altre garanzie oppure ti liquida i collaterali.

Di conseguenza gli hedge fund sono stati tra quelli che hanno venduto di più per chiudere i buchi nelle posizioni con leva elevata, sia sulle azioni sia, come avevamo già spiegato, sui Treasury, visto che tipicamente molti hedge fund fanno soldi comprando Treasury e shortando prodotti derivati come Futures o Swap confidando che i prezzi convergano e guadagnando dalla differenza tra prezzo a cui comprano e prezzi a cui shortano.

Da inizio anno gli hedge fund hanno venduto oltre un trilione di dollari di azioni, mentre gli investitori retail hanno acquistato azioni per un valore netto di 50 miliardi di dollari al mese, con continuità.

Netto vuol dire differenza tra quanto hanno comprato e venduto.

In pratica se il mercato è sceso così tanto è stato per via degli hedge fund e di altri investitori istituzionali che hanno specifici mandati dai loro clienti che impone loro di limitare le perdite, anche di breve termine.

Se invece invece è sceso meno di quanto avrebbe potuto fare, è stato soprattutto perché gli investitori retail, i principali possessori di ETF e Index fund, hanno soprattutto comprato.

O non hanno fatto niente.

Vanguard ha reso noto che il 97% dei suoi 401(k), dei suoi fondi pensione, non ha effettuato alcun trade nel mese di aprile.

Il 97%.

Stai a vedere che l’investimento passivo stabilizza il mercato invece che aumentare la volatilità e alimentare bolle.

Ma non sarà mica che più investitori privati sono passivi, MENO drastici saranno i sell-off, invece che il contrario come pensano Green and company?

Oh, una rondine non fa primavera.

Magari per ora è così perché non c’è ancora stata una crisi vera e propria.

Se domani Trump cambia idea e dice, pausa sui dazi finita, 50% a tutti, ecco, il mercato fa altro che -10%, andiamo in bear market nello spazio di 24 ore e lì forse anche tutti i passive long-term investor si mettono a svendere tutto materializzando lo scenario da incubo di Green.

Per ora, invece, i primi a buttarsi fuori dal teatro in fiamme sono stati gli hedge fund manager, quelli che invece dovrebbero garantire la corretta e razionale valutazione del mercato, mentre gli stupidi investitori retail se ne sono stati ordinatamente seduti tranquilli al loro posto senza scatenare alcun panico.

LEZIONE NUMERO QUATTRO: la notte è più buia subito prima dell’alba, grande citazione del mio supereroe preferito Batman.

O per dirla in termini più strettamente finanziari: a volte il sentimento generale si fa talmente bearish, talmente pessimista, che di fatto diventa un segnale bullish, un segnale di ottimismo.

Cosa vuol dire questa cosa?

Per ora sono solo suggestioni.

Però sono capitate delle cose che non sono passate inosservate a vecchi saggi come Ed Yardeni, che si è divertito a tirare in ballo le copertine del prestigioso settimanale britannico The Economist.

Nemmeno a Ben Carlson era sfuggito che solo 6 mesi fa l’Economist fece un noto numero con in copertina il titolo: American the envy of the World, ossia America, l’invidia del mondo, celebrandone la straordinaria crescita economica, i successi finanziari e il generale livello di benessere degli americani.

Sembra passato un secolo da allora.

In tutti e i 4 numeri di aprile, invece, l’Economist ha dedicato le copertine a Trump mettendo in luce il disastro economico-finanziario perpetrato dalla sua assurda guerra commerciale, con l’ultimo numero con un’aquila tutta ammaccata, con tanto di bende e gesso, simbolo di un’America colpita da ogni parte, e il titolo “Only 1.361 days to go”, ossia solo altri 1361 giorni — alludendo alla fine del mandato di Trump.

Yardeni ha scritto un pezzo il 24 aprile dal titolo the strongest buy signal ever, il più forte segnale di acquisto di sempre.

In effetti la scorsa settimana ha visto i mercati fare un forte rally e ora vedremo come andrà nelle prossime.

Ovviamente non è che l’Economist abbia una qualche correlazione con i mercati.

Però la lezione da portarsi a casa è di prestare sempre la corretta attenzione al bombardamento mediatico, sia in positivo che in negativo, perché molto spesso è proprio quando i media non vedono altro che il nero più nero, proprio lì inizia a farsi largo un po’ di luce.

Non so chiaramente se l’8 aprile abbiamo toccato il fondo o se altri e peggiori crolli ci aspetteranno.

Possibilissimo.

Ma il punto non è tanto indovinare il momento di bottom del mercato.

Il punto è mantenere il cuore sereno sapendo che soprattutto là dove leggiamo dell’inizio della fine, molte volte è proprio il momento in cui le cose cominciano a migliorare.

E la cosa strana della finanza, proprio per la sua caratteristica di essere forward-looking, è che i mercati tante volte in passato hanno cominciato a rimbalzare proprio mentre l’economia reale continuava a peggiorare.

Adesso in realtà non abbiamo ancora alcun dato che evidenzi un oggettivo deterioramento dell’economia.

Ma ricordatevi questa cosa.

Se in un prossimo futuro parleremo di recessione in maniera ufficiale, cosa che avrà richiesto almeno 2 trimestri con PIL negativo, allora è possibile che in quel momento saremo vicino all’inizio del prossimo bull market.

QUINTA e ultima FONDAMENTALE LEZIONE: Niente dura per sempre ed è proprio per questo che diversifichiamo.

Fino all’inizio di quest’anno quasi nessuno avrebbe messo in discussione il dominio incontrastato del mercato e dell’economia americana.

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Certamente pochi si aspettavano un tracollo del dollaro così dirompente.

Nessuno, mano sul cuore, si sarebbe immaginato l’oro superare i 3.500 dollari l’oncia.

Nessuno, di fronte ad un tracollo dell’azionario, si sarebbe immaginato i Treasury vivere un sanguinoso sell-off.

Nessuno si sarebbe immaginato che, pur con tutto sto macello, la sovraperformance dei mercati ex US rispetto a quella degli Stati Uniti, complice anche l’effetto del cambio, sarebbe stata la più ampia da decenni.

Nessuno sicuramente si sarebbe immaginato l’S&P 500 avrebbe vissuto i peggiori primi 100 giorni sotto una nuova presidenza dal 1974, ossia da quanto Ford subentrò a Nixon, dopo lo scandalo del Watergate.

In effetti, ora che ci penso, Nixon è probabilmente il presidente più simile a Trump.

E non intendo solo il vero Nixon, ma anche il Nixon androide presidente dell’Universo dei cartoni animati di Futurama.

Coincidenze? Mah…

Insomma, sono successe in pochi mesi tante cose che nessuno si aspettava.

Nemmeno noi ce le aspettavamo — o comunque non così.

Però se volete andatevi a riascoltare i tanti episodi dello scorso anno in cui spesso abbiamo detto:

– prima o poi qualcosa succederà;

– prima o poi vivremo qualche crisi;

– prima o poi gli Stati Uniti smetteranno di dominare il mercato, almeno per un po’.

Non puoi mai prevedere cosa metterà fine un felice bull market.

Puoi però sempre prevedere che prima o poi qualcosa sicuramente metterà fine ad un bull market.

È solo questione di QUANDO, non di SE’.

C’è un vecchio modo di dire secondo cui:

– non diversificare significa avere a volte dei rimpianti;

– mentre diversificare significa avere sempre dei rimpianti!

Se diversifichi non sfrutti mai appieno l’asset class migliore e ti porti sempre dietro anche asset class poco performanti.

Ma allo stesso tempo sai di avere sempre una parte con l’asset class migliore e non di fare troppi danni con quelle poco performanti.

Momenti come questi, al di là del giramento di palle nel vedere il valore del portafoglio che va giù, sono anche utili per apprezzare questa cosa che molto spesso viene sottovalutata e che al prossimo bull market verrà dimenticata di nuovo.

Il messaggio è: non diamo per scontato che cose che oggi ci sembrano immodificabili, non possano in un baleno smettere di essere tali.

Intendiamoci: come avrete capito dagli scorsi episodi, non sono uno di quelli che crede che improvvisamente gli Stati Uniti siano passati da essere i primi della classe agli ultimi scappati di casa della finanza globale.

È ovvio che non può essere così.

L’economia americana continuerà ad essere per molto tempo l’economia più importante del mondo.

L’S&P 500 continuerà ad essere per molto tempo l’indice azionario più importante del mondo.

I Treasury continueranno ad essere per molto tempo l’asset risk-free più importante al mondo.

Il dollaro continuerà ad essere per molto tempo la valuta di riserva del mondo.

Questo non significa che questi quattro pilastri dell’economia globale non subiranno delle ricadute, anche pesanti e che ciò non avrà impatti sui nostri portafogli. Entrambe le cose sono possibili e al momento pure piuttosto probabili.

Semplicemente se devo guardare da qui a 12 mesi dovrei spaccarmi la testa per provare a indovinare dove andrà il mondo, ma se investo da qui a 30-40 anni, in realtà non vedo particolari motivi per cambiare la struttura del mio portafoglio per via di 100 giorni pazzi di una nuova presidenza americana.

Di non concentrare il portafoglio sugli Stati Uniti l’avevamo già detto tante volte in tempi non sospetti.

Di non essere esposti solo al dollaro, soprattutto sulla parte obbligazionaria, l’avevamo già detto tante volte in tempi non sospetti.

Soprattutto di avere un’asset allocation allineata ai propri obiettivi e al livello di rischio che vogliamo, possiamo e dobbiamo prenderci — che è in assoluto la cosa più importante di tutte — l’avevamo già detto tante volte in tempi non sospetti.

Una volta che i principi di buon senso e diversificazione sono sempre ben incorporati nel nostro portafoglio, per il resto non è che ci sia molto da fare e anche preoccuparsi più di tanto, il più delle volte finisce per essere una fatica inutile.

Impariamo da Quinto Fabio Massimo.

Impariamo da Muhammed Ali.

Impariamo da Jack Bogle.

Impariamo a stare fermi.

Ci risparmieremo tante sofferenze nel breve.

Nel lungo termine, invece, l’umanità tutta troverà ancora una volta la sua strada, si adatterà a nuovi scenari e con essa così faranno anche l’economia, i mercati finanziari e i nostri portafogli.

Bene care amiche e cari amici di The Bull, spero che anche quest’episodio vi sia piaciuto e che anche voi abbiate appreso qualche “lezione” da questi recenti eventi.

Se vi va, fatemelo sapere scrivendomi su Instagram a thebull_finance e se esce qualcosa di interessante ne parleremo sicuramente in un futuro episodio, tanto mi sa che per un po’ parlermo più di cose del genere che di bull market.

Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che in base agli stessi principi potete sia investire con successo che sconfiggere i Cartaginesi sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossimo per un nuovo appuntamento assieme, sempre qui, naturalmente, con The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025
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