199. 5 Lezioni sulla Vita (che ho imparato dalla Finanza)
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Il rischio è il prezzo del biglietto della vita; l'eccesso di sicurezza è una minaccia da evitare.
Le pratiche benefiche sono spesso controintuitive; la pazienza permette all'effetto cumulativo di manifestarsi.
La preparazione è superiore alla previsione per affrontare l'incertezza intrinseca della vita e degli investimenti.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Sarà per autosuggestione dovuta al numero di questo episodio, però in effetti, arrivati all’appuntamento 199, provo inevitabilmente una sensazione di fine ciclo, come se una stagione si chiudesse e una nuova stesse per cominciare.
Beh, in qualche modo è così.
Nel prossimo trimestre annuncerò un po’ di novità che riguardano The Bull, sempre con l’obiettivo di arricchire l’offerta di informazioni, strumenti e spunti per dare agli ormai quasi 400.000 di voi che in questi due anni mi hanno seguito con più o meno frequenza tutto ciò che serve per gestire al meglio i propri soldi.
Diciamo che i primi 100 episodi di The Bull erano stati: Personal Finance 101 e poi una graduale serie di approfondimenti su tematiche di risparmio e investimenti.
Con i 100 successivi invece siamo andati decisamente più in profondità su tante tematiche e abbiamo cominciato a portare qui ospiti straordinari dal mondo della finanza USA, da Eugene Fama a Robert Arnott, e firme del giornalismo italiano come Mariangela Pira e Federico Fubini.
Entrambi i format continueranno e posso dirvi che ho già in calendario ben cinque appuntamenti con altri personaggi eccezionali, sia investitori professionisti che grandissimi divulgatori.
E visto che anche le parentesi economico-geopolitiche sono state molto apprezzate, un altro dei miei (pochi) giornalisti italiani preferiti verrà a trovarci tra fine Aprile e inizio Maggio.
I prossimi 100 episodi cosa ci aspettano invece?
Beh, lo scoprirete un po’ per volta.
Sicuramente continueranno ad esserci approfondimenti su asset allocation e pianificazione del retirement (altrimenti noto come momento in cui possiamo considerare quello “economico” un problema superato); ci saranno tantissime interviste con superstar da tutto il mondo; commenteremo l’attualità e i mercati e verranno tanti esperti a parlare di tematiche legate ad aspetti che magari io tocco meno, ma che sono fondamentali per la gestione di tutte le proprie finanze, come i mutui, le assicurazioni, il mercato immobiliare, le tasse e tanto altro ancora.
E poi, per ora non posso dire molto, ma diciamo che non si tratterà solo di contenuti sempre nuovi.
Ci sarà anche dell’altro.
Sapendo però che c’è tutta questa carne quasi pronta a finire sulla brace appena la carbonella si scalda, con l’episodio 199 sento l’esigenza di staccarci per un attimo da tematiche strettamente pratiche di portafoglio e mercati, per diventare più introspettivo e fare un po’ un bilancio che dalla finanza si espande al più vasto ambito della vita.
Il mio interesse per la finanza è scoccato il 15 settembre del 2008, giorno del fallimento di Lehman Brothers. Il terrore e l’angoscia, dovuti più all’incapacità di comprendere cosa stesse accadendo, che non al dilagare della grande crisi finanziaria, mi spinsero a volerne capire di più.
Il mio amore per la finanza, invece, è definitivamente sbocciato su una spiaggia di Martinica nel marzo del 2012, quando per ben 2 volte in 9 giorni lessi da cima a fondo il Cigno Nero di Nassim Taleb.
Non c’è da stupirsi che tornai a casa più o meno dello stesso colore di quando ero partito.
E a parte gli anni dell’MBA, 2017 e 2018, in questi ultimi 2 anni in particolare la ricerca finanziaria è diventata una costante quotidiana, da quando ho deciso di divulgare all’Italia tutta ogni cosa che ritenessi utile sapere sulla finanza in generale.
Lungo questo percorso ascendente, entrato ormai nel suo diciassettesimo anno, ho imparato diverse cose di finanza.
Ma al di là dell’obiettivo di lungo termine di conseguire la mia libertà finanziaria, forse il motivo per cui la finanza tanto mi ha appassionato è che, una volta rimosso tutto il suo inutilmente complesso gergo tecnico, è una straordinaria rappresentazione della vita.
E allora in quest’ultimo episodio che chiude il secondo ciclo di The Bull voglio parlare delle 5 lezioni sulla vita che la finanza mi ha insegnato.
Ma siccome un professore di filosofia greca molti anni fa mi disse primum vivere, deinde philosophari, quindi prima assicurati di portare a casa la pagnotta, poi puoi cominciare a farti i film sulla struttura trascendentale della realtà, la pagnotta di oggi è gentilmente offerta proprio da chi ha fatto della sicurezza la propria ragion d’essere, il nostro partner dai paesi nordici NordVPN.
Che tra l’altro stando 6 mesi su 12 con 3 ore di luce al giorno, quando stai così tanto al buio ci credo che ti viene la fissa che ti fregano le cose da sotto il naso.
Almeno online con NordVPN uno sta sereno, si guarda i programmi in streaming anche mentre viaggia senza rischiare di connettersi all’hacker con passamontagna seduto in treno di fianco a te e non deve più preoccuparsi di virus o malware né temere che le sue informazioni personali vengano violate. Hai presente quanto ti arrivano notifiche tipo “la tua password è finita in una fuga di dati!”. Ecco, così non succede e il tutto come sempre senza perdere qualità di navigazione.
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E anche sta settimana la spesa è salva, quindi con l’approvazione del mio vecchio prof. veniamo alle 5 lezioni che la finanza può insegnare sulla vita.
LEZIONE NUMERO UNO: Il Rischio è una cosa buona, tranne quando non lo è affatto.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi 199 episodi e che dovremmo incidere su ogni parete di casa nostra per evitare di dimenticarcene è che Rischio e Rendimento sono lo Yin e lo Yang della finanza, non c’è l’uno senza l’altro e solitamente, sono piuttosto proporzionali: un rendimento atteso elevato presuppone un rischio altrettanto elevato, quasi impossibile che non sia così (nota mentale per il prossimo corso di trading sponsorizzato su instagram che vi insegna scoprire in anticipo la nuova Amazon — triste storia vera).
Questo lo sappiamo bene: no pain, no gain, per avere un guadagno, devo prendermi dei rischi.
Mentre invece non è necessariamente vero il contrario: prendermi dei rischi elevati, NON implica ottenere dei rendimenti elevati, anzi.
Maggiori i rischi, minore la probabilità di ottenere un guadagno in generale.
Tante parole abbiamo speso per descrivere i vari tipi di rischio e la fondamentale importanza della chiave di volta di tutta la nostra architettura finanziaria personale: la diversificazione, l’arma letale per disintegrare il rischio non remunerato, quello che mi prendo senza nulla in cambio.
In finanza però il concetto di rischio è neutro, perché sappiamo bene che nell’ambito di un portafoglio diversificato ed esclusi i casi di perdita permanente del capitale, esso ha a che fare con la dispersione dei possibili risultati dei miei investimenti, che possono essere tanto negativi quanto positivi rispetto ad un’aspettativa media. Nel linguaggio comune invece — e in Italiano in particolare — rischio suona come una brutta parola, tanto che fa un po’ parte della nostra cultura latina, mediterranea, romano-cattolica o come volete chiamare il modo di pensare tipico del Sud Europa, tendiamo a respingere il rischio, partendo dal presupposto che rischiare sia qualcosa di sbagliato.
In media, non abbiamo il rischio nel sangue e rispetto alle nostre controparti anglosassoni, tendiamo a rifuggire il rischio e ad avere in generale un approccio più conservativo alla vita.
E io sono il primo ad avere, dentro le ossa, una spiccata avversione al rischio che molte volte mi ha portato alla paralisi, a non prendere decisioni per paura di dover affrontare dei rischi che non avrei potuto sopportare o che — peggio ancora — mi avrebbero portato ad una qualche forma di fallimento.
Nella cultura latina, come anche in quella giapponese per la verità, siamo ostili al rischio perché probabilmente temiamo il fallimento — e il fallimento per noi è una vergogna.
Nella cultura anglosassone invece non è così.
Il rischio è incoraggiato e il fallimento è una buona cosa.
Nessuno in America penserebbe mai di giudicare un imprenditore perché in passato le sue società sono fallite.
Anzi! Diffidare di chi non ha mai fallito, perché probabilmente non ha ancora acquisto l’esperienza necessaria.
Non è un caso che in America abbiano il Chapter 11, un meccanismo legale grazie al quale un’azienda può liberamente presentarsi al tribunale fallimentare e dire “hey guys, we are going broke!”, stiamo per fallire.
A quel punto il tribunale sospende tutte le azioni legali dei creditori e, dietro la presentazione di un piano di ristrutturazione, consente alla società in difficoltà di guadagnare tempo per riorganizzarsi.
Il modello americano, a cui tanto devono i colossi di oggi della silicon valley, incentiva le persone di talento e con delle idee a prendersi rischi, sapendo che probabilmente servono 999 società fallite per avere una Apple o una Google e che solo incentivando l’assunzione di rischio ogni tanto a qualcuno viene un’idea da un Trilione di dollari.
Non sorprende che lì oltre il 60% delle famiglie possegga azioni, risky asset.
Da noi invece la stragrande maggioranza della nostra ricchezza si trova in conti correnti, case, titoli di stato e polizze. Asset — teoricamente — basso rischio.
Io sono sempre stato uno molto più italiano che americano.
Il rischio non è decisamente il mio mestiere.
Ma quando ho cominciato ad investire soldi veri, fino al punto in cui la quasi totalità dei miei averi si trova a navigare sulle agitate acque dei mercati, ho iniziato a comprendere dove sbagliavo.
Il rischio non è un aspetto negativo della finanza come della vita, da cui stare alla larga come fosse una malattia.
No, il rischio è semplicemente il prezzo del biglietto per assistere allo spettacolo.
Il vantaggio della finanza è che permette di comprendere e concettualizzare il rischio, cosa che nella vita è molto più complicata.
Purtroppo, non c’è ancora stato uno Eugene Fama che abbia formulato l’ipotesi dell’esistenza efficiente, in cui tutte le informazioni disponibili vengono rapidamente incorporate nella nostra comprensione della vita in generale coordinando rischio e rendimento delle nostre azioni. La vita è un ambito molto più opaco.
Però la finanza mi ha fornito un modello mentale forte.
Il rischio va accolto e possibilmente la sua assunzione incoraggiata.
Ma con due implicazioni.
La PRIMA IMPLICAZIONE è che c’è un livello massimo di rischio oltre il quale non si deve andare. Non bisogna assumersi rischi se c’è una probabilità significativa di fare GAME-OVER. Rischiare, sbagliare e fallire va benissimo. Ma finché rimaniamo nel gioco.
Quando invece finiamo le vite, come nei videogiochi, la partita finisce — e questa è l’unica cosa da evitare.
La finanza mi ha insegnato a investire in azioni, quindi a prendermi rischi senza nessuna garanzia, nell’aspettativa di avere dei benefici nel futuro.
Ma mi ha anche insegnato che serve il fondo di emergenza, che il rischio che devo prendermi è quello, che voglio, posso e devo assumermi e niente di più e che la cosa più importante è che nel peggiore degli scenari (o quasi) io possa comunque rimanere in piedi.
Finché sono vivo posso ricominciare la partita.
Se sono morto no.
Nella vita stessa cosa.
Il consiglio che darei un domani a mia figlia è: rischia il più possibile, ma solo fino al punto in cui quel rischio è remunerato da un possibile rendimento e il potenziale fallimento non diventa un game over.
Con questo framework in testa, prendo oggi praticamente ogni decisione della mia vita.
Dalla più scema, come scegliere se effettuare o meno un certo sorpasso in auto se sono in ritardo, a quella più seria, come lasciare un lavoro sicuro per uno che lo è decisamente meno, ma solo dopo che un numero interminabile di file excel mi ha convinto che sì, fallire è possibile, ma fare game over probabilmente no.
La SECONDA IMPLICAZIONE è in qualche modo la controparte di quello che abbiamo appena detto, ossia che l’eccesso di GARANZIE e SICUREZZA sono esse stesse delle minacce.
Il rischio non solo è una cosa che, entro un limite massimo, è da incoraggiare per conseguire cose positive.
È anche una condizione necessaria, la cui assenza è addirittura una situazione patologica.
Cioè la conclusione a cui sono giunto è che il rischio è la norma; l’assenza di rischio è una deformazione negativa.
E questo è vero nella stragrande maggioranza degli ambiti della vita.
A volte semplicemente non ce ne accorgiamo, ma se ci prestiamo attenzione, vi sfido a trovare dei contesti in cui cancellare completamente ogni rischio sia davvero una cosa positiva.
Nel terzo film della trilogia del cavaliere oscuro di Christopher Nolan c’è Bruce Wayne tutto rotto che le ha prese di santa ragione da Bain, il cattivo di turno del film.
Come ogni cattivo che si rispetti, anche Bain commette il solito errore che dalla notte dei tempi fanno tutti i cattivi dei film, ossia imprigionano l’unico eroe che alla fine gli farà il culo invece che farlo fuori subito alla prima occasione buona.
Invece niente, il miliardario che va in giro di notte travestito da Batman viene mandato in questa ironica prigione in un non meglio precisato deserto in Asia che non ha alcuna cella, semplicemente è una profonda buca sottoterra da cui non è possibile uscire se non saltando da una piattaforma posta a decine di metri d’altezza ad una qualche metro più in là, da cui poi è possibile risalire fino all’uscita.
Ogni prigioniero può tentare il salto tutte le volte che vuole, assicurato da una corda, onde evitare il salto, praticamente impossibile, non finisca con un volo nel vuoto dall’esito mortale.
Anche Bruce Wayne ci prova e fallisce miseramente.
Finché un giorno si illumina quando un veterano della prigione gli spiega che l’unica persona che è mai riuscita a fuggire dalla cella è riuscita nel salto impossibile perché non ha usato la corda.
La paura di morire, quindi, gli avrebbe dato quello slancio in più per arrivare dall’altra parte.
Ok, l’esempio è una cretinata, però il principio è convincente.
La possibilità di fallire e cadere, senza morire sfracellati al suolo — vedi punto precedente, è la condizione necessaria per quasi tutti i successi che possiamo avere nella vita.
Chiunque ha figli sa quanto doloroso sia esporli a qualunque minaccia e quanto invece li si vorrebbe tenere sempre protetti e al sicuro.
Ma purtroppo questa è una ricetta certa per il disastro.
I bambini devono cadere, ammalarsi, piangere, sanguinare, litigare con altri bambini, avere paura e affrontare ogni giorno le piccole sfide che li aspettano.
Così saranno in grado, si spera, di affrontare le grandi sfide che toccheranno loro nella vita.
Gli stress li rendono più robusti e, per citare il mio eroe Nassim Taleb, antifragili. Più vengono gradualmente sottoposti a stress maggiori, entro certi limiti, più migliorano.
Tenerli sotto una campana di vetro, invece, li rende solo fragili.
Un altro esempio viene dalla mia esperienza professionale precedente, quando per 15 anni mi sono confrontato con il mondo del lavoro italiano.
Mi spiace dire una cosa estremamente impopolare.
Ma vi assicuro, perché l’ho toccata con mano, che l’ipertutela e regolamentazione e sindacalizzazione del lavoro in Italia è una dei più grandi ostacoli allo sviluppo della nostra economia.
L’Italia è praticamente l’unico Paese sviluppato in cui licenziare un dipendente è praticamente impossibile.
Il tempo indeterminato, soprattutto in una società oltre i 15 dipendenti, è inviolabile, salvo che per decisione del lavoratore stesso.
Ogni volta che ho avuto clienti Tedeschi, Svizzeri, Israeliani, Inglesi, Americani, Giapponesi e via dicendo ho sempre dovuto spiegare, di fronte alla loro grande incredulità, che non avrebbero potuto licenziare un dipendente a tempo indeterminato in Italia dopo il periodo di prova, qualunque fosse il motivo.
Certo, non voglio fare di tutta un’erba un fascio.
Ci sono validi motivi per cui negli anni sono state istituite delle tutele che proteggessero i lavoratori più deboli.
Ed è giusto e sacrosanto che sia così.
Ma attenzione agli effetti perversi di questa cosa:
– Numero UNO: disincentiva le assunzioni. Se un imprenditore sa che assumere un dipendente significa doverselo tenere per la vita, qualunque cosa succederà, ci penserà molte volte prima di procedere, creando così un mercato del lavoro più statico e con meno opportunità per tutti.
– Numero DUE: disincentiva la qualità delle offerte di assunzione. Per lo stesso motivo di cui sopra, in media un’azienda sarà naturalmente portata a tenere il freno a mano tirato, offrendo dove può contratti a tempo determinato o retribuzioni più basse, per compensare il rischio di dover sopportare a tempo indeterminato il costo di un lavoratore inefficiente o che magari non è più sostenibile se si riduce il volume di business dell’azienda.
– Numero TRE: disincentiva la produttività. Premetto che sono un grande fan delle retribuzioni con componente variabile. Tutti i lavori di questo mondo dovrebbero prevedere la possibilità di guadagnare di più proporzionalmente alla qualità e alla produttività del lavoratore. E questo sarebbe l’incentivo positivo. Però sappiamo che servono anche dei deterrenti, perché così è la natura umana. Il numero di volte in cui una società mi ha raccontato di avere lavoratori poco produttivi, demotivati e parcheggiati nel proprio lavoro sicuro precludendo la possibilità di assumere invece nuove persone ben più determinate a portare un contributo attivo è incalcolabile.
– Numero QUATTRO: disincentiva gli investimenti in generale. Se il costo del lavoro per un’impresa è fisso e scolpito nella pietra, l’azienda sarà meno incentivata a prendersi rischi investendo magari nella sua innovazione o nell’espansione del suo business, perché se le cose dovessero andare male non avrebbe la possibilità di ridurre il costo del lavoro.
Il mio sogno?
Il sistema svizzero per esempio.
Possibilità per le aziende di licenziare sempre e comunque senza giusta causa (chiaramente con esclusione di evidenti abusi, come in caso di maternità, malattia o altre cause di forza maggiore).
Preavviso crescente con l’anzianità.
Assegno di disoccupazione a carico dello stato che copre fino all’80% dello stipendio, fino a 2 anni, a condizione che il disoccupato dimostri di essere attivo nella ricerca di un nuovo lavoro, a partecipare a corsi di formazione e ad accettare offerte di lavoro ragionevoli.
Invece in Italia cosa abbiamo?
Il jobs act, introdotto nel 2014, che sembrava andare in questa direzione, ma vi assicuro che viene applicato pochissimo perché i licenziamenti senza giusta causa, ma pure quelli con giusta causa, sono tutti legalmente impugnabili.
E poi abbiamo la NASPI, l’indennità di disoccupazione, che però non ha affatto vincoli così stringenti come quella svizzera (oltre che essere più bassa).
E questo porta a situazioni patologiche in cui percettori di NASPI svolgono magari lavori in nero e sono disincentivati a ricollocarsi sul mercato del lavoro.
Vi potrei citare altre mille deformazioni patologiche del mercato del lavoro italiano, ma il concetto credo sia chiaro.
Noi Italiani, ma in realtà l’Unione Europa tutta c’ha sto vizio, ragioniamo sempre più in termini di regolamentazioni, garanzie e tutele, soprattutto dello status quo, invece che creare dei sistemi incentivanti fatti in maniera tale da coordinare indirettamente gli sforzi dei singoli verso il bene comune.
Per chi fosse interessato all’argomento, il nobel per l’economia Richard Thaler scrisse anni fa un famoso libro assieme al giurista Cass Sunstein da titolo Nudge, tradotto in italiano con “La spinta gentile”, che affronta proprio questo tema.
A livello individuale, sociale e politico il rischio va quindi accolto e incentivato, prevedendo dei guardrail minimi per evitare i game over.
E per il resto dei sistemi che incentivino le persone a dare il meglio.
Messi in situazioni più sfidanti siamo tutti persone migliori di quel che pensiamo.
Le zone di eccessivo comfort e sicurezza, invece, sono contrari ai principi biologici che ci hanno portato ad evolverci fino a diventare la specie dominante sul pianeta.
Tornando alla finanza: prodotti con capitale garantito, ETF con i buffer, certificati con le barriere, tutte cose che sembrano sexy sulla carta ma sono quasi sempre delle incu*late nella pratica sono un esempio paradigmatico di quel che solitamente accade nella vita: Le garanzie si pagano e spesso ad un prezzo sommerso che non saremmo mai disposti ad accettare se lo comprendessimo pienamente.
LEZIONE NUMERO DUE: le pratiche che portano davvero dei benefici sono controintuitive in finanza come nella vita.
Fondamentalmente perché non comprendiamo l’effettivo cumulativo del compounding, di quel che volgarmente chiamiamo rendimento composto.
Quali sono le regole d’oro quando si investe:
– Rinuncia ai tuoi certi soldi oggi per averne (forse) di più domani;
– Ribilancia, quindi vendi le cose che stanno andando meglio e compra quelle che stanno andando peggio;
– Sii contrarian, diventa aggressivo quando l’economia cade a rotoli e diventa conservativo quando tutto sta andando incredibilmente bene (la parte dei tassi di interesse della formula di The Bull);
– Non giudicare la bontà delle tue azioni dai risultati che stai ottenendo e da quelli degli altri intorno a te, ma dalla bontà del processo a lungo termine che hai costruito;
– Sii paziente, perché i piccoli progressi che oggi non vedi ad un certo punto un domani esploderanno (sempre forse);
Nella vita succede lo stesso.
Le migliori decisioni che dobbiamo prendere sono quasi sempre contrarie al nostro istinto e spesso contrarie al senso comune.
Negli anni ’60 Walter Mischel fece un famoso esperimento in cui metteva dei bambini in una stanza con un marshmallow e questi dovevano resistere e non mangiarlo. I bambini sono stati poi seguiti per anni e si è visto che quelli che riuscivano a resistere, contro il proprio istinto, avevano avuto più successo nella vita.
Il mio esempio preferito, già fatto più volte in passato, è il fitness (o lo sport in generale).
Per avere risultati devi fare tutto ciò che va contro istinto e senso comune.
– Devi rinunciare oggi (ai tuoi soldi, al piacere di cibo e alcol, al tempo libero, ad un’ora di sonno più e a qualunque altra cosa che non sia prevista dalla routine che ti ha scritto il tuo personal trainer) per un beneficio, forse, che arriverà domani ma i cui non puoi essere certo.
– Devi fare una maledetta fatica. Nel momento in cui il tuo corpo smette di fare fatica, quello è il momento in cui smette di progredire.
– Devi avere pazienza, sapendo che avrai subito tutte le cose negative (fatica, dolore, costi, frustrazioni varie, demotivazione, fame, sonno e via dicendo) mentre i benefici arriveranno solo nel tempo. E non sarà un processo lineare, ma esponenziale. All’inizio non vedrai alcun progresso, poi di punto in bianco ti sembrerà di essere un’altra persona.
Lo stesso succede nell’apprendimento.
Quando voglio imparare una lingua, gli scacchi, un linguaggio di programmazione o la fisica quantistica, non importa cosa, il processo è il medesimo.
All’inizio sarà più una sofferenza che altro e spesso mi chiederò se mai alla fine i miei forzi non saranno risultati vani.
Qualcuno di buon cuore ti dirà “vedrai che ce la farai”.
In realtà sta mentendo.
Non lo puoi sapere. Forse non ce la farai. Ma ciò non cambia il fatto che comunque l’unica strada è abbracciare l’incertezza, combattere gli istinti conservativi che abbiamo per natura, intraprendere la via del sacrificio e sperare che alla fine andrà bene.
La prossima volta che vi troverete di fronte a qualcosa che penserete di non essere mai in grado di fare, non rinunciatevi, ma pensate a due cose.
La prima è che, sì, forse alla fine non ce la farete davvero.
L’altra è che, probabilmente, accettando per abbastanza tempo di fare cose contrarie al mio istinto pigro e orientato al piacere immediato, l’effetto cumulativo del mio apprendimento mi porterà più lontano di quanto potrei immaginarmi.
L’S&P 500 in media è cresciuto del 10% all’anno per un secolo. 10% è poca cosa, non cambia la vita di nessuno.
Ma nell’arco di 40 anni vuol dire moltiplicare di 45 volte la mia ricchezza di partenza.
Il compunding è un atto di fede.
Non lo vediamo e comunque le crescite esponenziali non le capiamo.
Ma nella vita poche cose sono lineari.
Sono molto più frequenti situazioni piatte per lungo che tempo che poi crescono in maniera esorbitante all’improvviso senza che ce ne fossimo accorti.
LEZIONE NUMERO TRE: Il talento è sopravvalutato. La pazienza e l’esposizione al caso contano molto di più.
Le narrazioni prevalenti della società occidentale in cui tutti noi siamo cresciuti tiene in altissima considerazione il concetto di talento, tanto oggi il “talent” è proprio un vero e proprio lavoro — anche se spesso di talento nei talent non è che ce ne sia proprio tanto.
Ma noi siamo affetti da survivorship bias, quindi vediamo solo chi ha successo e siccome abbiamo bisogno di spiegazioni causali, di storie coerenti per soddisfare la nostra umana esigenza di senso logico, tendiamo a far coincidere la causa del successo con il talento.
Perché è l’unica cosa che vediamo, mentre il cimitero di quelli con talento che di successo non ne hanno avuto non lo va a vistare nessuno.
La finanza però mi ha insegnato che spesso il talento rappresenta una chiave fallace per comprendere la realtà.
Warren Buffett notoriamente disse che investire non è un gioco in cui quello con un QI di 160 batte quello con un QI di 130. Una volta che hai un’intelligenza nella media, ciò di cui hai bisogno è il temperamento per controllare gli impulsi che mettono nei guai gli altri investitori.
E sappiamo benissimo, noi che ci frequentiamo in questo podcast, che la pazienza e costanza di un investitore a lungo termine avrebbe fatto nella maggior parte dei casi più soldi di brillanti hedge fund manager e gestori armati di phd e ogni altro presunto vantaggio competitivo.
Anche nella vita funziona così.
Il più delle volte.
Certo, ci sono fenomeni che obiettivamente vincono nel proprio ambito perché il loro talento, unito alla loro preparazione e disciplina, diventa inarrivabile.
Ma questo è più tipico in quei campi dove l’incertezza non ha praticamente alcun impatto.
Pensate agli scacchi.
Gli scacchi sono 100% deterministici.
Non c’è caso.
Solitamente, il più forte vince, almeno nelle partite a tempo lungo, c’è pochissimo margine per eventi fortuiti.
Ma nella stragrande maggioranza degli ambiti della vita, soprattutto in quelli in cui ha un peso determinante il caso, la volatilità, la fortuna, il destino, chiamatelo come vi pare in base alla vostra predisposizione filosofica, ecco, qui il talento è spesso solo la punta dell’iceberg — e a volte non è nemmeno necessario.
Steve Jobs era uno scappato di casa, un po’ troppo allegro nell’uso di LSD, incapace di superare esami al college e che probabilmente sarebbe finito a fare il barbone se non avesse incontrano Wozniak, quello cha davvero ha inventato il pc.
È stata la perseveranza e la sua incredibile fede nella propria visione a portarlo a creare l’azienda più grande del mondo. E gli ci sono voluti praticamente 40 anni.
Jack Ma, il fondatore di Alibaba, era un insegnante di inglese squattrinato.
Racconta spesso che quando KFC aprì in Cina si presentarono in 24 ai colloqui per l’assunzione dello staff e ne assunsero 23. Tutti tranne lui.
Per due volte fu bocciato agli esami di ammissione all’università.
Per 10 volte fu respinto da Harvard.
Lo stesso fondatore di KFC iniziò a provare a vendere la sua ricetta per il pollo fritto solo a 60 anni. E ricevette 1.009 rifiuti prima che una società accettasse di provarla facendo poi di KCF una delle più grandi catene di fast food al mondo.
J.K. Rowling era una madre single disoccupata che scriveva Harry Potter nei bar. Fu respinta da 12 editori, finché la minuscola case editrice Bloomsbury decise di pubblicare la Pietra Filosofale e il resto, beh potete immaginare.
Il mio esempio preferito? Sylvester Stallone.
Un mediocre attore di origini italiane, con una bassa istruzione e un problema neurologico che gli causava dei difetti di pronuncia.
Una descrizione antitetica a quello che uno può avere in mente pensando al talento.
Scrisse da solo la sceneggiatura del primo Rocky e mise a chiunque come condizione che l’avrebbe venduta solo a condizione di recitare il ruolo da protagonista.
Ricevette oltre 1.500 rifiuti.
Nel 1977 Rocky vinse l’oscar come miglior film e Stallone ebbe la nomination come migliore attore protagonista.
La storia è piena di questi aneddoti macroscopici e potrei farci un podcast intero.
Ma nella vita di tutti giorni ci saranno milioni di situazioni in cui persone piene di talento non vanno da nessuna parte e meticolosi sgobboni, armati di costanza e pazienza arrivano al successo.
La morale però qui non è: “se ci credi arriverai dove vuoi!”.
No, questa è una stronzata.
Ci hanno insegnato a credere a scemenze del genere, ma la verità è credere in qualcosa non è neanche lontanamente sufficiente per avere successo.
La morale è piuttosto che la pazienza, unita alla conoscenza da un lato e alla predisposizione al sacrificio dall’altra, ingredienti essenziali per essere buoni investitori, può far fare molto più strada rispetto ad un talento puro ma indisciplinato.
LEZIONE NUMERO QUATTRO: Le medie non esistono.
Parliamo di media in continuazione, ma la verità è che si tratta solo di un modo comodo per descrivere alla buona dei fenomeni variabili.
Hendrik Bessembinder ci ha insegnato che solo il 2,6% di tutte le azioni portano il 100% del rendimento, mentre tra tutte le altre metà rende tanto quanto un treasury bill, l’altra metà ha un rendimento inferiore o addirittura negativo.
Che il mercato in media faccia 8-10% all’anno sappiamo bene quanto poco informativa possa essere come informazione.
Gli stessi singoli anni hanno risultati molto distanti dalla media.
+20% o -13% sono risultati ben più frequenti del risultato medio.
La media è solo una costruzione a posteriori per raccontare in maniera semplificata il decorso degli eventi. Ma il racconto vero e fatto di impetuose salite e di crolli, di crescite e declini, di fortune e sfortune.
E la vita è così.
La vita non è mai una media, ma un’alternanza sistematica di salite e discese.
Nel nostro lavoro, nella nostra vita privata, con i nostri famigliari, tutto è un susseguirsi di fasi positive e fasi negative.
Sapere che non c’è successo senza insuccesso, che non c’è gioia senza dolore, che non c’è … beh insomma avete capito, è una grande lezione per avere un approccio più pacifico e meno ansioso alla vita in generale.
Le cose stanno andando bene? Ottimo, sappi che niente dura per sempre, quindi non sederti sugli allori e preparati a quando il vento cambierà.
Le cose stanno andando male? Escluse situazioni tragiche, ci sta, fa parte della normale routine delle cose. La cattiva notizia è che fa male. Fa soffrire. Ci rende infelici. La buona notizia è che “this too shall pass”, anche questa passerà.
Nei momenti positivi bisogna essere felice e goderne. E a volte li diamo per scontati e ce ne dimentichiamo.
Nei momenti negativi invece bisogna fare esperienza. Sapendo che sono soprattutto queste le situazioni in cui miglioriamo davvero.
Nessuno migliora mai quando tutto bene.
È soprattutto nelle difficoltà che, se non ci facciamo abbattere, passiamo al livello successivo.
Nei mercati la media non c’è mai.
Ci sono i bull market e poi ci sono le correzioni e i bear market.
E ogni volta ci stupiamo e andiamo in sbattimento.
Invece attraversare le tempeste è l’unico modo che esiste per imparare davvero a navigare.
Ad ogni bear market, chi mantiene controllo e disciplina ne beneficerà al bull market successivo.
Ad ogni difficoltà nella vita reale, chi mantiene controllo e disciplina ne beneficerà quando la difficoltà sarà passata.
L’ultimo giorno prima di andarcene potremo calcolare la media della nostra vita.
Ma le nostre vite saranno state più delle azioni che dei bond.
Con grandi alternanze di picchi e crolli, auspicabilmente però con una traiettoria di lungo termine verso l’alto.
LEZIONE NUMERO CINQUE: Il futuro è incerto, meglio prepararsi che prevederlo.
Quante volte abbiamo detto che i rendimenti passati non sono predittivi dei rendimenti futuri?
Quante volte abbiamo detto di non scegliere uno strumento in base a cosa ha fatto in passato?
Quante volte abbiamo detto che gli errori di investimento del passato non contano più e conta solo quel che facciamo d’ora in poi?
Il passato è l’unica cosa certa, ma ormai è alle nostre spalle.
Possiamo trarne a volte qualche insegnamento, ma ormai se ne sta là dietro e non tornerà più.
C’è solo il futuro davanti a noi e il futuro è per definizione incerto.
Ma l’incertezza non è qualcosa che dobbiamo combattere o una minaccia che grava sulle nostre decisioni.
L’esposizione all’incertezza è l’essenza stessa dalla finanza.
Investire significa scambiare una certezza (i miei soldi oggi), con qualcosa di incerto (i rendimenti futuri).
Ma il nostro atteggiamento di default, prima di prendere una decisione, solitamente qual è?
È cercare di prevedere i possibili esiti e identificare il momento giusto per prendere la decisione migliore.
Nei miei primi quasi 40 anni di vita ho imparato due cose in maniera indipendente, una dalla vita stessa e una dalla finanza, per poi scoprire che le due cose convergono verso la stessa conclusione.
– Dalla vita ho imparato che ci possono essere decisioni giuste e decisioni sbagliate, ma niente è nocivo come l’indecisione. Se devo pensare a tutte le cose migliori e peggiori della mia vita, tutte le cose migliori sono capitate quando ho deciso; le cose peggiori quando sono stato indeciso.\
Purtroppo a volte ci incagliamo nell’attesa che arrivi il momento giusto per prendere una decisione importante. La brutta notizia è che il momento giusto non arriverà mai. La buona notizia è che non è così importante.\
Si dice spesso che un rimorso sia meglio di un rimpianto.\
Sono perfettamente d’accordo.
– Dalla finanza ho imparato che cercare di indovinare il momento giusto per investire sia una pessica pratica e che provare a prevedere cosa succederà sui mercati in qualunque orizzonte temporale ci interessi sia un esercizio tanto divertente quanto inutile.\
Il momento migliore per prendere una decisione di investimento? Adesso, al netto di altre considerazioni di pianificazione finanziaria personale.\
\
Ma in media la risposta è sempre quella. Indovinare il momento giusto è quasi impossibile, decidere è quasi sempre meglio che non decidere.
La morale a cui convergono i due insegnamenti dalla vita e dalla finanza è che la PREPARAZIONE è superiore alla PREVISIONE.
Tutto questo podcast, se vogliamo, è un’immensa discussione su come prepararsi al meglio di fronte a molteplici scenari.
– Non investiamo il fondo di emergenza perché shit happens — e dobbiamo essere sempre pronti;
– Diversifichiamo in asset che rendono poco perché non sappiamo se quelli che hanno sempre fatto bene in passato lo faranno anche in futuro;
– Investiamo in più o meno azioni a seconda della distanza temporale che abbiamo dai nostri obiettivi
E così via.
Allo stesso modo nella vita è importante prendere decisioni senza affidarci alle nostre previsioni, ma preparandoci al fatto che gli scenari potranno essere molto diversi da quelli che speravamo.
Se pensiamo che ci sia il RISCHIO che possano presentarsi scenari avversi, saremo portati a prendere meno decisioni nella vita — e a perderci per strada molto di quel che la vita ha da offrire.
Se invece sappiamo che l’INCERTEZZA è parte integrante delle decisioni che dobbiamo prendere, allora le prenderemo con maggiore consapevolezza e accetteremo più serenamente e più preparati ogni scenario avverso che dovesse verificarsi.
Dalla finanza ho imparato tante altre cose, ma ho imparato anche a darci un taglio ad un certo punto perché i miei flussi di pensiero tendono a dilagare e quindi per il momento mi fermerei qua, magari le prossime 5 lezioni sulla vita apprese dalla finanza saranno l’oggetto dell’episodio 299.
Ma arrivato all’episodio 199, invece, potrei mai lasciarvi senza anticiparvi chi sarà con noi per festeggiare l’appuntamento numero 200 di The Bull?
Per me è letteralmente un mito della divulgazione finanziaria.
Credo che sia la singola persona nel mondo della finanza USA di cui ho divorato più contenuti in assoluto e certamente ha avuto un ruolo centrale nella formazione di tutto il pensiero che riverso bisettimanalmente in questo podcast.
Ho spesso parlato dei miei 4 pilastri, i due Nick e i due Ben.
Nick Protasoni lo conoscete bene, Nick Maggiulli mi ha promesso che entro la fine dell’anno verrà a trovarci.\
Ben Felix è alle prese con un importante problema di salute e mentre gli auguriamo il meglio sa che lo aspettiamo a braccia aperte non appena la situazione si sarà stabilizzata.
Per l’episodio 200 di The Bull, invece, non avrei potuto sperare di meglio se non avere qui il creatore di una delle newsletter finanziarie più belle di tutti i tempi, a Wealth of Common Sense, e di uno dei podcast slash canali youtube di finanza più belli di tutti i tempi, Animal Sprits, il Director of Institutional Asset Management presso Ritholtz Wealth Management, uno dei punti di riferimento assoluti nella consulenza indipendente negli Stati Uniti, il mio eroe Ben Carlson.
Per l’ultimo episodio con l’uno davanti vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi parlano di finanza e di vita, ma pure di palestra, cavalieri oscuri, maghetti inglesi e pollo fritto sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima, appuntamento 200 di The Bull con Ben Carlson, sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Sarà per autosuggestione dovuta al numero di questo episodio, però in effetti, arrivati all’appuntamento 199, provo inevitabilmente una sensazione di fine ciclo, come se una stagione si chiudesse e una nuova stesse per cominciare.
Beh, in qualche modo è così.
Nel prossimo trimestre annuncerò un po’ di novità che riguardano The Bull, sempre con l’obiettivo di arricchire l’offerta di informazioni, strumenti e spunti per dare agli ormai quasi 400.000 di voi che in questi due anni mi hanno seguito con più o meno frequenza tutto ciò che serve per gestire al meglio i propri soldi.
Diciamo che i primi 100 episodi di The Bull erano stati: Personal Finance 101 e poi una graduale serie di approfondimenti su tematiche di risparmio e investimenti.
Con i 100 successivi invece siamo andati decisamente più in profondità su tante tematiche e abbiamo cominciato a portare qui ospiti straordinari dal mondo della finanza USA, da Eugene Fama a Robert Arnott, e firme del giornalismo italiano come Mariangela Pira e Federico Fubini.
Entrambi i format continueranno e posso dirvi che ho già in calendario ben cinque appuntamenti con altri personaggi eccezionali, sia investitori professionisti che grandissimi divulgatori.
E visto che anche le parentesi economico-geopolitiche sono state molto apprezzate, un altro dei miei (pochi) giornalisti italiani preferiti verrà a trovarci tra fine Aprile e inizio Maggio.
I prossimi 100 episodi cosa ci aspettano invece?
Beh, lo scoprirete un po’ per volta.
Sicuramente continueranno ad esserci approfondimenti su asset allocation e pianificazione del retirement (altrimenti noto come momento in cui possiamo considerare quello “economico” un problema superato); ci saranno tantissime interviste con superstar da tutto il mondo; commenteremo l’attualità e i mercati e verranno tanti esperti a parlare di tematiche legate ad aspetti che magari io tocco meno, ma che sono fondamentali per la gestione di tutte le proprie finanze, come i mutui, le assicurazioni, il mercato immobiliare, le tasse e tanto altro ancora.
E poi, per ora non posso dire molto, ma diciamo che non si tratterà solo di contenuti sempre nuovi.
Ci sarà anche dell’altro.
Sapendo però che c’è tutta questa carne quasi pronta a finire sulla brace appena la carbonella si scalda, con l’episodio 199 sento l’esigenza di staccarci per un attimo da tematiche strettamente pratiche di portafoglio e mercati, per diventare più introspettivo e fare un po’ un bilancio che dalla finanza si espande al più vasto ambito della vita.
Il mio interesse per la finanza è scoccato il 15 settembre del 2008, giorno del fallimento di Lehman Brothers. Il terrore e l’angoscia, dovuti più all’incapacità di comprendere cosa stesse accadendo, che non al dilagare della grande crisi finanziaria, mi spinsero a volerne capire di più.
Il mio amore per la finanza, invece, è definitivamente sbocciato su una spiaggia di Martinica nel marzo del 2012, quando per ben 2 volte in 9 giorni lessi da cima a fondo il Cigno Nero di Nassim Taleb.
Non c’è da stupirsi che tornai a casa più o meno dello stesso colore di quando ero partito.
E a parte gli anni dell’MBA, 2017 e 2018, in questi ultimi 2 anni in particolare la ricerca finanziaria è diventata una costante quotidiana, da quando ho deciso di divulgare all’Italia tutta ogni cosa che ritenessi utile sapere sulla finanza in generale.
Lungo questo percorso ascendente, entrato ormai nel suo diciassettesimo anno, ho imparato diverse cose di finanza.
Ma al di là dell’obiettivo di lungo termine di conseguire la mia libertà finanziaria, forse il motivo per cui la finanza tanto mi ha appassionato è che, una volta rimosso tutto il suo inutilmente complesso gergo tecnico, è una straordinaria rappresentazione della vita.
E allora in quest’ultimo episodio che chiude il secondo ciclo di The Bull voglio parlare delle 5 lezioni sulla vita che la finanza mi ha insegnato.
Ma siccome un professore di filosofia greca molti anni fa mi disse primum vivere, deinde philosophari, quindi prima assicurati di portare a casa la pagnotta, poi puoi cominciare a farti i film sulla struttura trascendentale della realtà, la pagnotta di oggi è gentilmente offerta proprio da chi ha fatto della sicurezza la propria ragion d’essere, il nostro partner dai paesi nordici NordVPN.
Che tra l’altro stando 6 mesi su 12 con 3 ore di luce al giorno, quando stai così tanto al buio ci credo che ti viene la fissa che ti fregano le cose da sotto il naso.
Almeno online con NordVPN uno sta sereno, si guarda i programmi in streaming anche mentre viaggia senza rischiare di connettersi all’hacker con passamontagna seduto in treno di fianco a te e non deve più preoccuparsi di virus o malware né temere che le sue informazioni personali vengano violate. Hai presente quanto ti arrivano notifiche tipo “la tua password è finita in una fuga di dati!”. Ecco, così non succede e il tutto come sempre senza perdere qualità di navigazione.
Per chi ama la sicurezza al buio, ma pure alla luce del sole, www.nordvpn.com/thebull o link in descrizione, per avere 2 anni di abbonamento ad un prezzo scontatissimo + 4 mesi in regalo.
E anche sta settimana la spesa è salva, quindi con l’approvazione del mio vecchio prof. veniamo alle 5 lezioni che la finanza può insegnare sulla vita.
LEZIONE NUMERO UNO: Il Rischio è una cosa buona, tranne quando non lo è affatto.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi 199 episodi e che dovremmo incidere su ogni parete di casa nostra per evitare di dimenticarcene è che Rischio e Rendimento sono lo Yin e lo Yang della finanza, non c’è l’uno senza l’altro e solitamente, sono piuttosto proporzionali: un rendimento atteso elevato presuppone un rischio altrettanto elevato, quasi impossibile che non sia così (nota mentale per il prossimo corso di trading sponsorizzato su instagram che vi insegna scoprire in anticipo la nuova Amazon — triste storia vera).
Questo lo sappiamo bene: no pain, no gain, per avere un guadagno, devo prendermi dei rischi.
Mentre invece non è necessariamente vero il contrario: prendermi dei rischi elevati, NON implica ottenere dei rendimenti elevati, anzi.
Maggiori i rischi, minore la probabilità di ottenere un guadagno in generale.
Tante parole abbiamo speso per descrivere i vari tipi di rischio e la fondamentale importanza della chiave di volta di tutta la nostra architettura finanziaria personale: la diversificazione, l’arma letale per disintegrare il rischio non remunerato, quello che mi prendo senza nulla in cambio.
In finanza però il concetto di rischio è neutro, perché sappiamo bene che nell’ambito di un portafoglio diversificato ed esclusi i casi di perdita permanente del capitale, esso ha a che fare con la dispersione dei possibili risultati dei miei investimenti, che possono essere tanto negativi quanto positivi rispetto ad un’aspettativa media. Nel linguaggio comune invece — e in Italiano in particolare — rischio suona come una brutta parola, tanto che fa un po’ parte della nostra cultura latina, mediterranea, romano-cattolica o come volete chiamare il modo di pensare tipico del Sud Europa, tendiamo a respingere il rischio, partendo dal presupposto che rischiare sia qualcosa di sbagliato.
In media, non abbiamo il rischio nel sangue e rispetto alle nostre controparti anglosassoni, tendiamo a rifuggire il rischio e ad avere in generale un approccio più conservativo alla vita.
E io sono il primo ad avere, dentro le ossa, una spiccata avversione al rischio che molte volte mi ha portato alla paralisi, a non prendere decisioni per paura di dover affrontare dei rischi che non avrei potuto sopportare o che — peggio ancora — mi avrebbero portato ad una qualche forma di fallimento.
Nella cultura latina, come anche in quella giapponese per la verità, siamo ostili al rischio perché probabilmente temiamo il fallimento — e il fallimento per noi è una vergogna.
Nella cultura anglosassone invece non è così.
Il rischio è incoraggiato e il fallimento è una buona cosa.
Nessuno in America penserebbe mai di giudicare un imprenditore perché in passato le sue società sono fallite.
Anzi! Diffidare di chi non ha mai fallito, perché probabilmente non ha ancora acquisto l’esperienza necessaria.
Non è un caso che in America abbiano il Chapter 11, un meccanismo legale grazie al quale un’azienda può liberamente presentarsi al tribunale fallimentare e dire “hey guys, we are going broke!”, stiamo per fallire.
A quel punto il tribunale sospende tutte le azioni legali dei creditori e, dietro la presentazione di un piano di ristrutturazione, consente alla società in difficoltà di guadagnare tempo per riorganizzarsi.
Il modello americano, a cui tanto devono i colossi di oggi della silicon valley, incentiva le persone di talento e con delle idee a prendersi rischi, sapendo che probabilmente servono 999 società fallite per avere una Apple o una Google e che solo incentivando l’assunzione di rischio ogni tanto a qualcuno viene un’idea da un Trilione di dollari.
Non sorprende che lì oltre il 60% delle famiglie possegga azioni, risky asset.
Da noi invece la stragrande maggioranza della nostra ricchezza si trova in conti correnti, case, titoli di stato e polizze. Asset — teoricamente — basso rischio.
Io sono sempre stato uno molto più italiano che americano.
Il rischio non è decisamente il mio mestiere.
Ma quando ho cominciato ad investire soldi veri, fino al punto in cui la quasi totalità dei miei averi si trova a navigare sulle agitate acque dei mercati, ho iniziato a comprendere dove sbagliavo.
Il rischio non è un aspetto negativo della finanza come della vita, da cui stare alla larga come fosse una malattia.
No, il rischio è semplicemente il prezzo del biglietto per assistere allo spettacolo.
Il vantaggio della finanza è che permette di comprendere e concettualizzare il rischio, cosa che nella vita è molto più complicata.
Purtroppo, non c’è ancora stato uno Eugene Fama che abbia formulato l’ipotesi dell’esistenza efficiente, in cui tutte le informazioni disponibili vengono rapidamente incorporate nella nostra comprensione della vita in generale coordinando rischio e rendimento delle nostre azioni. La vita è un ambito molto più opaco.
Però la finanza mi ha fornito un modello mentale forte.
Il rischio va accolto e possibilmente la sua assunzione incoraggiata.
Ma con due implicazioni.
La PRIMA IMPLICAZIONE è che c’è un livello massimo di rischio oltre il quale non si deve andare. Non bisogna assumersi rischi se c’è una probabilità significativa di fare GAME-OVER. Rischiare, sbagliare e fallire va benissimo. Ma finché rimaniamo nel gioco.
Quando invece finiamo le vite, come nei videogiochi, la partita finisce — e questa è l’unica cosa da evitare.
La finanza mi ha insegnato a investire in azioni, quindi a prendermi rischi senza nessuna garanzia, nell’aspettativa di avere dei benefici nel futuro.
Ma mi ha anche insegnato che serve il fondo di emergenza, che il rischio che devo prendermi è quello, che voglio, posso e devo assumermi e niente di più e che la cosa più importante è che nel peggiore degli scenari (o quasi) io possa comunque rimanere in piedi.
Finché sono vivo posso ricominciare la partita.
Se sono morto no.
Nella vita stessa cosa.
Il consiglio che darei un domani a mia figlia è: rischia il più possibile, ma solo fino al punto in cui quel rischio è remunerato da un possibile rendimento e il potenziale fallimento non diventa un game over.
Con questo framework in testa, prendo oggi praticamente ogni decisione della mia vita.
Dalla più scema, come scegliere se effettuare o meno un certo sorpasso in auto se sono in ritardo, a quella più seria, come lasciare un lavoro sicuro per uno che lo è decisamente meno, ma solo dopo che un numero interminabile di file excel mi ha convinto che sì, fallire è possibile, ma fare game over probabilmente no.
La SECONDA IMPLICAZIONE è in qualche modo la controparte di quello che abbiamo appena detto, ossia che l’eccesso di GARANZIE e SICUREZZA sono esse stesse delle minacce.
Il rischio non solo è una cosa che, entro un limite massimo, è da incoraggiare per conseguire cose positive.
È anche una condizione necessaria, la cui assenza è addirittura una situazione patologica.
Cioè la conclusione a cui sono giunto è che il rischio è la norma; l’assenza di rischio è una deformazione negativa.
E questo è vero nella stragrande maggioranza degli ambiti della vita.
A volte semplicemente non ce ne accorgiamo, ma se ci prestiamo attenzione, vi sfido a trovare dei contesti in cui cancellare completamente ogni rischio sia davvero una cosa positiva.
Nel terzo film della trilogia del cavaliere oscuro di Christopher Nolan c’è Bruce Wayne tutto rotto che le ha prese di santa ragione da Bain, il cattivo di turno del film.
Come ogni cattivo che si rispetti, anche Bain commette il solito errore che dalla notte dei tempi fanno tutti i cattivi dei film, ossia imprigionano l’unico eroe che alla fine gli farà il culo invece che farlo fuori subito alla prima occasione buona.
Invece niente, il miliardario che va in giro di notte travestito da Batman viene mandato in questa ironica prigione in un non meglio precisato deserto in Asia che non ha alcuna cella, semplicemente è una profonda buca sottoterra da cui non è possibile uscire se non saltando da una piattaforma posta a decine di metri d’altezza ad una qualche metro più in là, da cui poi è possibile risalire fino all’uscita.
Ogni prigioniero può tentare il salto tutte le volte che vuole, assicurato da una corda, onde evitare il salto, praticamente impossibile, non finisca con un volo nel vuoto dall’esito mortale.
Anche Bruce Wayne ci prova e fallisce miseramente.
Finché un giorno si illumina quando un veterano della prigione gli spiega che l’unica persona che è mai riuscita a fuggire dalla cella è riuscita nel salto impossibile perché non ha usato la corda.
La paura di morire, quindi, gli avrebbe dato quello slancio in più per arrivare dall’altra parte.
Ok, l’esempio è una cretinata, però il principio è convincente.
La possibilità di fallire e cadere, senza morire sfracellati al suolo — vedi punto precedente, è la condizione necessaria per quasi tutti i successi che possiamo avere nella vita.
Chiunque ha figli sa quanto doloroso sia esporli a qualunque minaccia e quanto invece li si vorrebbe tenere sempre protetti e al sicuro.
Ma purtroppo questa è una ricetta certa per il disastro.
I bambini devono cadere, ammalarsi, piangere, sanguinare, litigare con altri bambini, avere paura e affrontare ogni giorno le piccole sfide che li aspettano.
Così saranno in grado, si spera, di affrontare le grandi sfide che toccheranno loro nella vita.
Gli stress li rendono più robusti e, per citare il mio eroe Nassim Taleb, antifragili. Più vengono gradualmente sottoposti a stress maggiori, entro certi limiti, più migliorano.
Tenerli sotto una campana di vetro, invece, li rende solo fragili.
Un altro esempio viene dalla mia esperienza professionale precedente, quando per 15 anni mi sono confrontato con il mondo del lavoro italiano.
Mi spiace dire una cosa estremamente impopolare.
Ma vi assicuro, perché l’ho toccata con mano, che l’ipertutela e regolamentazione e sindacalizzazione del lavoro in Italia è una dei più grandi ostacoli allo sviluppo della nostra economia.
L’Italia è praticamente l’unico Paese sviluppato in cui licenziare un dipendente è praticamente impossibile.
Il tempo indeterminato, soprattutto in una società oltre i 15 dipendenti, è inviolabile, salvo che per decisione del lavoratore stesso.
Ogni volta che ho avuto clienti Tedeschi, Svizzeri, Israeliani, Inglesi, Americani, Giapponesi e via dicendo ho sempre dovuto spiegare, di fronte alla loro grande incredulità, che non avrebbero potuto licenziare un dipendente a tempo indeterminato in Italia dopo il periodo di prova, qualunque fosse il motivo.
Certo, non voglio fare di tutta un’erba un fascio.
Ci sono validi motivi per cui negli anni sono state istituite delle tutele che proteggessero i lavoratori più deboli.
Ed è giusto e sacrosanto che sia così.
Ma attenzione agli effetti perversi di questa cosa:
– Numero UNO: disincentiva le assunzioni. Se un imprenditore sa che assumere un dipendente significa doverselo tenere per la vita, qualunque cosa succederà, ci penserà molte volte prima di procedere, creando così un mercato del lavoro più statico e con meno opportunità per tutti.
– Numero DUE: disincentiva la qualità delle offerte di assunzione. Per lo stesso motivo di cui sopra, in media un’azienda sarà naturalmente portata a tenere il freno a mano tirato, offrendo dove può contratti a tempo determinato o retribuzioni più basse, per compensare il rischio di dover sopportare a tempo indeterminato il costo di un lavoratore inefficiente o che magari non è più sostenibile se si riduce il volume di business dell’azienda.
– Numero TRE: disincentiva la produttività. Premetto che sono un grande fan delle retribuzioni con componente variabile. Tutti i lavori di questo mondo dovrebbero prevedere la possibilità di guadagnare di più proporzionalmente alla qualità e alla produttività del lavoratore. E questo sarebbe l’incentivo positivo. Però sappiamo che servono anche dei deterrenti, perché così è la natura umana. Il numero di volte in cui una società mi ha raccontato di avere lavoratori poco produttivi, demotivati e parcheggiati nel proprio lavoro sicuro precludendo la possibilità di assumere invece nuove persone ben più determinate a portare un contributo attivo è incalcolabile.
– Numero QUATTRO: disincentiva gli investimenti in generale. Se il costo del lavoro per un’impresa è fisso e scolpito nella pietra, l’azienda sarà meno incentivata a prendersi rischi investendo magari nella sua innovazione o nell’espansione del suo business, perché se le cose dovessero andare male non avrebbe la possibilità di ridurre il costo del lavoro.
Il mio sogno?
Il sistema svizzero per esempio.
Possibilità per le aziende di licenziare sempre e comunque senza giusta causa (chiaramente con esclusione di evidenti abusi, come in caso di maternità, malattia o altre cause di forza maggiore).
Preavviso crescente con l’anzianità.
Assegno di disoccupazione a carico dello stato che copre fino all’80% dello stipendio, fino a 2 anni, a condizione che il disoccupato dimostri di essere attivo nella ricerca di un nuovo lavoro, a partecipare a corsi di formazione e ad accettare offerte di lavoro ragionevoli.
Invece in Italia cosa abbiamo?
Il jobs act, introdotto nel 2014, che sembrava andare in questa direzione, ma vi assicuro che viene applicato pochissimo perché i licenziamenti senza giusta causa, ma pure quelli con giusta causa, sono tutti legalmente impugnabili.
E poi abbiamo la NASPI, l’indennità di disoccupazione, che però non ha affatto vincoli così stringenti come quella svizzera (oltre che essere più bassa).
E questo porta a situazioni patologiche in cui percettori di NASPI svolgono magari lavori in nero e sono disincentivati a ricollocarsi sul mercato del lavoro.
Vi potrei citare altre mille deformazioni patologiche del mercato del lavoro italiano, ma il concetto credo sia chiaro.
Noi Italiani, ma in realtà l’Unione Europa tutta c’ha sto vizio, ragioniamo sempre più in termini di regolamentazioni, garanzie e tutele, soprattutto dello status quo, invece che creare dei sistemi incentivanti fatti in maniera tale da coordinare indirettamente gli sforzi dei singoli verso il bene comune.
Per chi fosse interessato all’argomento, il nobel per l’economia Richard Thaler scrisse anni fa un famoso libro assieme al giurista Cass Sunstein da titolo Nudge, tradotto in italiano con “La spinta gentile”, che affronta proprio questo tema.
A livello individuale, sociale e politico il rischio va quindi accolto e incentivato, prevedendo dei guardrail minimi per evitare i game over.
E per il resto dei sistemi che incentivino le persone a dare il meglio.
Messi in situazioni più sfidanti siamo tutti persone migliori di quel che pensiamo.
Le zone di eccessivo comfort e sicurezza, invece, sono contrari ai principi biologici che ci hanno portato ad evolverci fino a diventare la specie dominante sul pianeta.
Tornando alla finanza: prodotti con capitale garantito, ETF con i buffer, certificati con le barriere, tutte cose che sembrano sexy sulla carta ma sono quasi sempre delle incu*late nella pratica sono un esempio paradigmatico di quel che solitamente accade nella vita: Le garanzie si pagano e spesso ad un prezzo sommerso che non saremmo mai disposti ad accettare se lo comprendessimo pienamente.
LEZIONE NUMERO DUE: le pratiche che portano davvero dei benefici sono controintuitive in finanza come nella vita.
Fondamentalmente perché non comprendiamo l’effettivo cumulativo del compounding, di quel che volgarmente chiamiamo rendimento composto.
Quali sono le regole d’oro quando si investe:
– Rinuncia ai tuoi certi soldi oggi per averne (forse) di più domani;
– Ribilancia, quindi vendi le cose che stanno andando meglio e compra quelle che stanno andando peggio;
– Sii contrarian, diventa aggressivo quando l’economia cade a rotoli e diventa conservativo quando tutto sta andando incredibilmente bene (la parte dei tassi di interesse della formula di The Bull);
– Non giudicare la bontà delle tue azioni dai risultati che stai ottenendo e da quelli degli altri intorno a te, ma dalla bontà del processo a lungo termine che hai costruito;
– Sii paziente, perché i piccoli progressi che oggi non vedi ad un certo punto un domani esploderanno (sempre forse);
Nella vita succede lo stesso.
Le migliori decisioni che dobbiamo prendere sono quasi sempre contrarie al nostro istinto e spesso contrarie al senso comune.
Negli anni ’60 Walter Mischel fece un famoso esperimento in cui metteva dei bambini in una stanza con un marshmallow e questi dovevano resistere e non mangiarlo. I bambini sono stati poi seguiti per anni e si è visto che quelli che riuscivano a resistere, contro il proprio istinto, avevano avuto più successo nella vita.
Il mio esempio preferito, già fatto più volte in passato, è il fitness (o lo sport in generale).
Per avere risultati devi fare tutto ciò che va contro istinto e senso comune.
– Devi rinunciare oggi (ai tuoi soldi, al piacere di cibo e alcol, al tempo libero, ad un’ora di sonno più e a qualunque altra cosa che non sia prevista dalla routine che ti ha scritto il tuo personal trainer) per un beneficio, forse, che arriverà domani ma i cui non puoi essere certo.
– Devi fare una maledetta fatica. Nel momento in cui il tuo corpo smette di fare fatica, quello è il momento in cui smette di progredire.
– Devi avere pazienza, sapendo che avrai subito tutte le cose negative (fatica, dolore, costi, frustrazioni varie, demotivazione, fame, sonno e via dicendo) mentre i benefici arriveranno solo nel tempo. E non sarà un processo lineare, ma esponenziale. All’inizio non vedrai alcun progresso, poi di punto in bianco ti sembrerà di essere un’altra persona.
Lo stesso succede nell’apprendimento.
Quando voglio imparare una lingua, gli scacchi, un linguaggio di programmazione o la fisica quantistica, non importa cosa, il processo è il medesimo.
All’inizio sarà più una sofferenza che altro e spesso mi chiederò se mai alla fine i miei forzi non saranno risultati vani.
Qualcuno di buon cuore ti dirà “vedrai che ce la farai”.
In realtà sta mentendo.
Non lo puoi sapere. Forse non ce la farai. Ma ciò non cambia il fatto che comunque l’unica strada è abbracciare l’incertezza, combattere gli istinti conservativi che abbiamo per natura, intraprendere la via del sacrificio e sperare che alla fine andrà bene.
La prossima volta che vi troverete di fronte a qualcosa che penserete di non essere mai in grado di fare, non rinunciatevi, ma pensate a due cose.
La prima è che, sì, forse alla fine non ce la farete davvero.
L’altra è che, probabilmente, accettando per abbastanza tempo di fare cose contrarie al mio istinto pigro e orientato al piacere immediato, l’effetto cumulativo del mio apprendimento mi porterà più lontano di quanto potrei immaginarmi.
L’S&P 500 in media è cresciuto del 10% all’anno per un secolo. 10% è poca cosa, non cambia la vita di nessuno.
Ma nell’arco di 40 anni vuol dire moltiplicare di 45 volte la mia ricchezza di partenza.
Il compunding è un atto di fede.
Non lo vediamo e comunque le crescite esponenziali non le capiamo.
Ma nella vita poche cose sono lineari.
Sono molto più frequenti situazioni piatte per lungo che tempo che poi crescono in maniera esorbitante all’improvviso senza che ce ne fossimo accorti.
LEZIONE NUMERO TRE: Il talento è sopravvalutato. La pazienza e l’esposizione al caso contano molto di più.
Le narrazioni prevalenti della società occidentale in cui tutti noi siamo cresciuti tiene in altissima considerazione il concetto di talento, tanto oggi il “talent” è proprio un vero e proprio lavoro — anche se spesso di talento nei talent non è che ce ne sia proprio tanto.
Ma noi siamo affetti da survivorship bias, quindi vediamo solo chi ha successo e siccome abbiamo bisogno di spiegazioni causali, di storie coerenti per soddisfare la nostra umana esigenza di senso logico, tendiamo a far coincidere la causa del successo con il talento.
Perché è l’unica cosa che vediamo, mentre il cimitero di quelli con talento che di successo non ne hanno avuto non lo va a vistare nessuno.
La finanza però mi ha insegnato che spesso il talento rappresenta una chiave fallace per comprendere la realtà.
Warren Buffett notoriamente disse che investire non è un gioco in cui quello con un QI di 160 batte quello con un QI di 130. Una volta che hai un’intelligenza nella media, ciò di cui hai bisogno è il temperamento per controllare gli impulsi che mettono nei guai gli altri investitori.
E sappiamo benissimo, noi che ci frequentiamo in questo podcast, che la pazienza e costanza di un investitore a lungo termine avrebbe fatto nella maggior parte dei casi più soldi di brillanti hedge fund manager e gestori armati di phd e ogni altro presunto vantaggio competitivo.
Anche nella vita funziona così.
Il più delle volte.
Certo, ci sono fenomeni che obiettivamente vincono nel proprio ambito perché il loro talento, unito alla loro preparazione e disciplina, diventa inarrivabile.
Ma questo è più tipico in quei campi dove l’incertezza non ha praticamente alcun impatto.
Pensate agli scacchi.
Gli scacchi sono 100% deterministici.
Non c’è caso.
Solitamente, il più forte vince, almeno nelle partite a tempo lungo, c’è pochissimo margine per eventi fortuiti.
Ma nella stragrande maggioranza degli ambiti della vita, soprattutto in quelli in cui ha un peso determinante il caso, la volatilità, la fortuna, il destino, chiamatelo come vi pare in base alla vostra predisposizione filosofica, ecco, qui il talento è spesso solo la punta dell’iceberg — e a volte non è nemmeno necessario.
Steve Jobs era uno scappato di casa, un po’ troppo allegro nell’uso di LSD, incapace di superare esami al college e che probabilmente sarebbe finito a fare il barbone se non avesse incontrano Wozniak, quello cha davvero ha inventato il pc.
È stata la perseveranza e la sua incredibile fede nella propria visione a portarlo a creare l’azienda più grande del mondo. E gli ci sono voluti praticamente 40 anni.
Jack Ma, il fondatore di Alibaba, era un insegnante di inglese squattrinato.
Racconta spesso che quando KFC aprì in Cina si presentarono in 24 ai colloqui per l’assunzione dello staff e ne assunsero 23. Tutti tranne lui.
Per due volte fu bocciato agli esami di ammissione all’università.
Per 10 volte fu respinto da Harvard.
Lo stesso fondatore di KFC iniziò a provare a vendere la sua ricetta per il pollo fritto solo a 60 anni. E ricevette 1.009 rifiuti prima che una società accettasse di provarla facendo poi di KCF una delle più grandi catene di fast food al mondo.
J.K. Rowling era una madre single disoccupata che scriveva Harry Potter nei bar. Fu respinta da 12 editori, finché la minuscola case editrice Bloomsbury decise di pubblicare la Pietra Filosofale e il resto, beh potete immaginare.
Il mio esempio preferito? Sylvester Stallone.
Un mediocre attore di origini italiane, con una bassa istruzione e un problema neurologico che gli causava dei difetti di pronuncia.
Una descrizione antitetica a quello che uno può avere in mente pensando al talento.
Scrisse da solo la sceneggiatura del primo Rocky e mise a chiunque come condizione che l’avrebbe venduta solo a condizione di recitare il ruolo da protagonista.
Ricevette oltre 1.500 rifiuti.
Nel 1977 Rocky vinse l’oscar come miglior film e Stallone ebbe la nomination come migliore attore protagonista.
La storia è piena di questi aneddoti macroscopici e potrei farci un podcast intero.
Ma nella vita di tutti giorni ci saranno milioni di situazioni in cui persone piene di talento non vanno da nessuna parte e meticolosi sgobboni, armati di costanza e pazienza arrivano al successo.
La morale però qui non è: “se ci credi arriverai dove vuoi!”.
No, questa è una stronzata.
Ci hanno insegnato a credere a scemenze del genere, ma la verità è credere in qualcosa non è neanche lontanamente sufficiente per avere successo.
La morale è piuttosto che la pazienza, unita alla conoscenza da un lato e alla predisposizione al sacrificio dall’altra, ingredienti essenziali per essere buoni investitori, può far fare molto più strada rispetto ad un talento puro ma indisciplinato.
LEZIONE NUMERO QUATTRO: Le medie non esistono.
Parliamo di media in continuazione, ma la verità è che si tratta solo di un modo comodo per descrivere alla buona dei fenomeni variabili.
Hendrik Bessembinder ci ha insegnato che solo il 2,6% di tutte le azioni portano il 100% del rendimento, mentre tra tutte le altre metà rende tanto quanto un treasury bill, l’altra metà ha un rendimento inferiore o addirittura negativo.
Che il mercato in media faccia 8-10% all’anno sappiamo bene quanto poco informativa possa essere come informazione.
Gli stessi singoli anni hanno risultati molto distanti dalla media.
+20% o -13% sono risultati ben più frequenti del risultato medio.
La media è solo una costruzione a posteriori per raccontare in maniera semplificata il decorso degli eventi. Ma il racconto vero e fatto di impetuose salite e di crolli, di crescite e declini, di fortune e sfortune.
E la vita è così.
La vita non è mai una media, ma un’alternanza sistematica di salite e discese.
Nel nostro lavoro, nella nostra vita privata, con i nostri famigliari, tutto è un susseguirsi di fasi positive e fasi negative.
Sapere che non c’è successo senza insuccesso, che non c’è gioia senza dolore, che non c’è … beh insomma avete capito, è una grande lezione per avere un approccio più pacifico e meno ansioso alla vita in generale.
Le cose stanno andando bene? Ottimo, sappi che niente dura per sempre, quindi non sederti sugli allori e preparati a quando il vento cambierà.
Le cose stanno andando male? Escluse situazioni tragiche, ci sta, fa parte della normale routine delle cose. La cattiva notizia è che fa male. Fa soffrire. Ci rende infelici. La buona notizia è che “this too shall pass”, anche questa passerà.
Nei momenti positivi bisogna essere felice e goderne. E a volte li diamo per scontati e ce ne dimentichiamo.
Nei momenti negativi invece bisogna fare esperienza. Sapendo che sono soprattutto queste le situazioni in cui miglioriamo davvero.
Nessuno migliora mai quando tutto bene.
È soprattutto nelle difficoltà che, se non ci facciamo abbattere, passiamo al livello successivo.
Nei mercati la media non c’è mai.
Ci sono i bull market e poi ci sono le correzioni e i bear market.
E ogni volta ci stupiamo e andiamo in sbattimento.
Invece attraversare le tempeste è l’unico modo che esiste per imparare davvero a navigare.
Ad ogni bear market, chi mantiene controllo e disciplina ne beneficerà al bull market successivo.
Ad ogni difficoltà nella vita reale, chi mantiene controllo e disciplina ne beneficerà quando la difficoltà sarà passata.
L’ultimo giorno prima di andarcene potremo calcolare la media della nostra vita.
Ma le nostre vite saranno state più delle azioni che dei bond.
Con grandi alternanze di picchi e crolli, auspicabilmente però con una traiettoria di lungo termine verso l’alto.
LEZIONE NUMERO CINQUE: Il futuro è incerto, meglio prepararsi che prevederlo.
Quante volte abbiamo detto che i rendimenti passati non sono predittivi dei rendimenti futuri?
Quante volte abbiamo detto di non scegliere uno strumento in base a cosa ha fatto in passato?
Quante volte abbiamo detto che gli errori di investimento del passato non contano più e conta solo quel che facciamo d’ora in poi?
Il passato è l’unica cosa certa, ma ormai è alle nostre spalle.
Possiamo trarne a volte qualche insegnamento, ma ormai se ne sta là dietro e non tornerà più.
C’è solo il futuro davanti a noi e il futuro è per definizione incerto.
Ma l’incertezza non è qualcosa che dobbiamo combattere o una minaccia che grava sulle nostre decisioni.
L’esposizione all’incertezza è l’essenza stessa dalla finanza.
Investire significa scambiare una certezza (i miei soldi oggi), con qualcosa di incerto (i rendimenti futuri).
Ma il nostro atteggiamento di default, prima di prendere una decisione, solitamente qual è?
È cercare di prevedere i possibili esiti e identificare il momento giusto per prendere la decisione migliore.
Nei miei primi quasi 40 anni di vita ho imparato due cose in maniera indipendente, una dalla vita stessa e una dalla finanza, per poi scoprire che le due cose convergono verso la stessa conclusione.
– Dalla vita ho imparato che ci possono essere decisioni giuste e decisioni sbagliate, ma niente è nocivo come l’indecisione. Se devo pensare a tutte le cose migliori e peggiori della mia vita, tutte le cose migliori sono capitate quando ho deciso; le cose peggiori quando sono stato indeciso.\
Purtroppo a volte ci incagliamo nell’attesa che arrivi il momento giusto per prendere una decisione importante. La brutta notizia è che il momento giusto non arriverà mai. La buona notizia è che non è così importante.\
Si dice spesso che un rimorso sia meglio di un rimpianto.\
Sono perfettamente d’accordo.
– Dalla finanza ho imparato che cercare di indovinare il momento giusto per investire sia una pessica pratica e che provare a prevedere cosa succederà sui mercati in qualunque orizzonte temporale ci interessi sia un esercizio tanto divertente quanto inutile.\
Il momento migliore per prendere una decisione di investimento? Adesso, al netto di altre considerazioni di pianificazione finanziaria personale.\
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Ma in media la risposta è sempre quella. Indovinare il momento giusto è quasi impossibile, decidere è quasi sempre meglio che non decidere.
La morale a cui convergono i due insegnamenti dalla vita e dalla finanza è che la PREPARAZIONE è superiore alla PREVISIONE.
Tutto questo podcast, se vogliamo, è un’immensa discussione su come prepararsi al meglio di fronte a molteplici scenari.
– Non investiamo il fondo di emergenza perché shit happens — e dobbiamo essere sempre pronti;
– Diversifichiamo in asset che rendono poco perché non sappiamo se quelli che hanno sempre fatto bene in passato lo faranno anche in futuro;
– Investiamo in più o meno azioni a seconda della distanza temporale che abbiamo dai nostri obiettivi
E così via.
Allo stesso modo nella vita è importante prendere decisioni senza affidarci alle nostre previsioni, ma preparandoci al fatto che gli scenari potranno essere molto diversi da quelli che speravamo.
Se pensiamo che ci sia il RISCHIO che possano presentarsi scenari avversi, saremo portati a prendere meno decisioni nella vita — e a perderci per strada molto di quel che la vita ha da offrire.
Se invece sappiamo che l’INCERTEZZA è parte integrante delle decisioni che dobbiamo prendere, allora le prenderemo con maggiore consapevolezza e accetteremo più serenamente e più preparati ogni scenario avverso che dovesse verificarsi.
Dalla finanza ho imparato tante altre cose, ma ho imparato anche a darci un taglio ad un certo punto perché i miei flussi di pensiero tendono a dilagare e quindi per il momento mi fermerei qua, magari le prossime 5 lezioni sulla vita apprese dalla finanza saranno l’oggetto dell’episodio 299.
Ma arrivato all’episodio 199, invece, potrei mai lasciarvi senza anticiparvi chi sarà con noi per festeggiare l’appuntamento numero 200 di The Bull?
Per me è letteralmente un mito della divulgazione finanziaria.
Credo che sia la singola persona nel mondo della finanza USA di cui ho divorato più contenuti in assoluto e certamente ha avuto un ruolo centrale nella formazione di tutto il pensiero che riverso bisettimanalmente in questo podcast.
Ho spesso parlato dei miei 4 pilastri, i due Nick e i due Ben.
Nick Protasoni lo conoscete bene, Nick Maggiulli mi ha promesso che entro la fine dell’anno verrà a trovarci.\
Ben Felix è alle prese con un importante problema di salute e mentre gli auguriamo il meglio sa che lo aspettiamo a braccia aperte non appena la situazione si sarà stabilizzata.
Per l’episodio 200 di The Bull, invece, non avrei potuto sperare di meglio se non avere qui il creatore di una delle newsletter finanziarie più belle di tutti i tempi, a Wealth of Common Sense, e di uno dei podcast slash canali youtube di finanza più belli di tutti i tempi, Animal Sprits, il Director of Institutional Asset Management presso Ritholtz Wealth Management, uno dei punti di riferimento assoluti nella consulenza indipendente negli Stati Uniti, il mio eroe Ben Carlson.
Per l’ultimo episodio con l’uno davanti vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi parlano di finanza e di vita, ma pure di palestra, cavalieri oscuri, maghetti inglesi e pollo fritto sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima, appuntamento 200 di The Bull con Ben Carlson, sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025