5 Motivi per non investire in Settori e Trend

Soprattutto in momenti di cambiamento, aumentano le sollecitazioni verso investimenti in particolari settori o su specifici trend. Parliamo dei 5 motivi per cui investire in settori e trend è spesso una scelta di investimento subottimale.

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5 Motivi per non investire in Settori e Trend

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Punti Chiave

L'investimento settoriale/tematico è subottimale per asimmetria dei rendimenti azionari, rischio specifico non compensato e timing errato dell'investitore.

Gli investitori soffrono un 'Return Gap' a causa della Recency Bias e dell'estrapolazione di performance passate, riducendo i rendimenti futuri.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

Questo 2025 ci ha già riservato in meno di tre mesi più emozioni degli ultimi due interi anni.
Eh sì che non ci eravamo fatti mancare niente: fallimenti di banche, tensioni sul più grande debito pubblico del mondo, harakiri estivi in Giappone, insomma, ci siamo divertiti.

Però poi è arrivato lui.
E dopo che è arrivato lui, è successo tutto e il contrario di tutto.
Durante la campagna elettorale Trump ha vinto sbandierando il suo intento di mettere dazi a destra e a manca e indebolire il dollaro.
E il mercato ha festeggiato.

Poi, una volta insediatosi alla Casa Bianca, l’S&P 500 è addirittura entrato in territorio di contrazione, -10 virgola qualcosa % giovedì scorso, perché Trump … beh … perché ha continuato a sbandierare il suo intento di mettere dazi a destra e a manca e indebolire il dollaro.

E tra l’altro su questo secondo punto ci sta riuscendo, anche se bisogna dire due cose:

– La prima è che il Dollar Index, che è l’indice che traccia il valore del dollaro rispetto alle principali valute estere, è praticamente tornato là dove si trovava il 5 novembre, la sera prima della vittoria di Trump;

– La seconda è, che per noi europei, si tratta più dell’euro che si è rafforzato come conseguenza soprattutto del piano di spesa mastodontico varato dalla Germania per rilanciare la sua economia.

Quindi sul tema dollaro debole, boh, per ora non so quanto c’entri Trump, i dazi, se applicati davvero e presi singolarmente, dovrebbero avere più l’effetto opposto.

Fa ridere che a volte il mercato vada su e giù praticamente per gli stessi motivi — e poi a posteriori noi costruiamo una narrazione che deve soddisfare il nostro bisogno di spiegazioni.

Perché il mercato americano è andato giù?

Boh per un mix di ragioni:

– In primis la straordinaria incertezza alimentata dagli annunci settimanali di Trump e da questa nuova moda che lui e Scott Bessent, il Segretario al Tesoro, hanno lanciato: alla domenica fanno un’intervista e dicono che non si può escludere una recessione e che le correzioni dei mercati sono una cosa buona. Vediamo anche se domenica prossima non ci sarà due senza tre;

– Dopodiché ci sarà una combinazione di fattori che hanno portato molti investitori a vendere azioni americane, molto care e che negli ultimi anni hanno generato ritorni stratosferici, per ribilanciare su azioni Europee che praticamente a gennaio te le tiravano dietro a prezzi più bassi dei panettoni invenduti;

– Mettici poi che al mercato piace andare dove ci sono governi che vogliono spendere e spandere, l’amministrazione Trump sembra sulla carta poco propensa, l’Europa invece improvvisamente vuole fare debito come non ci fosse un domani per investire in crescita e difesa militare — e qui ti spieghi perché l’MSCI Europe si è mangiato vivo l’MSCI US da inizio anno, con un gap di oltre il 15%.

Per questo straordinario ciclo quindicennale dell’S&P 500 siamo infin giunti al canto del cigno?

È stato il 2024 l’ultimo ballo prima di un nuovo decennio disastroso?

Ha gambe l’Europa per continuare questa sovraperformance?

Come sempre, impossibile da prevedere.

C’è da dire che è almeno dalla scorsa estate che vi sventolo report e stime in cui quasi tutti scommettevano su un decennio mediocre per l’S&P 500 al confronto di altri paesi sviluppati ex-US.

Ma questi primi due mesi e mezzo dell’anno sono solo rumore, del tutto inutili per formulare alcuna conclusione.

Non mi stupirebbe se a dicembre ci troveremo ancora una volta qua a dirci “ah l’eccezionalismo americano, ancora una volta hanno dominato loro e noi Europei muti, ogni anno partiamo come se fosse quello buono per vincere Champions e Serie A e poi alla fine usciamo agli ottavi e per un pelo arriviamo quarti in campionato”.

Bisogna riconoscere che, forse forse, quest’anno potrebbe davvero esserci qualcosa di diverso nell’aria.

Joachim Klements è una delle persone più smart ed esperte che si occupa di finanza in Europa.

Lunedì ha scritto un pezzo per Reuters in cui in realtà si è mostrato piuttosto ottimista sulle prospettive europee, in particolare se supportate dalle spese pazze della Germania.

Ha fatto una stima a 10 anni di utili, dividendi e buyback e variazione delle valutazioni delle azioni americane e di quelle dell’MSCI Europe e ha azzardato una previsione di rendimento di circa il 10% annualizzato per le azioni europee contro un 6% scarso dell’S&P 500.

Fosse così, davvero impressive.

Le previsioni lasciano il tempo che trovano, perché ovviamente non contemplano cigni neri e altri eventi imprevedibili altamente dirompenti, ma in effetti la sua stima si inserisce nel solco di tante altre, come quelle di Vanguard, Blackrock, JP Morgan e compagnia bella che sono molto più bullish sulle economiche azioni Europee e Giapponesi rispetto alle costosissime Large Cap Americane.

Comunque sia, ci vuole un attimo che i media finanziari cominciano ad annunciare che il vento è cambiato.

Mi ha scioccato un articolo di sua maestà il Wall Street Journal che qualche giorno fa titolava: “I giorni del set-and-forget investment (cioè imposta il portafoglio e lascialo andare) per molti americani sono appena terminati” e la tesi di fondo sarebbe che le politiche yo-yo di Trump avrebbero portato molti investitori a vendere azioni americane per reinvestire in fondi monetari, bond, oro e azioni difensive europee.

Investitori a caso intervistati dal quotidiano avrebbero commentato cose tipo:

– Credo che nessuno sappia cosa stia per accadere!

– Non so in che mondo ci stiamo trovano in questo momento!

– Non so quanto le cose che abbiamo studiato trovino applicazione in questo scenario!

Notizia shock: non sapete niente di quel che accadrà esattamente come negli anni passati non sapevate niente di quel che sarebbe accaduto.

Oggi vi sembra tutto ovvio.

Ma pure allora non sapevate un tubo.

La prova provata che nessuno sa niente?

A inizio gennaio il sentiment degli investitori Americani era a livelli record, oltre il 60% di bull contro una frazione di bear e in mezzo qualche indeciso.

Oggi lo stesso sondaggio dice che siamo a livelli di pessimismo così elevato che non si toccavano dal settembre 2022.

Curioso.

Il livello massimo di pessimismo è stato toccato praticamente il giorno prima che iniziasse un bull market allucinante che sta durando da oltre due anni.

E il picco di ottimismo invece il giorno prima di una correzione fulminea da -10% in tre settimane.

Quindi nessuno sa niente.

Ah e adesso attenzione.

Se mi gira farò un episodio ad hoc, ma ormai è un mese esatto che su LinkedIn, nei blog, sui media e quant’altro trovo gente affetta da quella brutta sindrome chiamata “iolavevodettismo”.

Una miriade di sedicenti guru della finanza che sono tutto un:

– “eh era ovvio, l’avevo detto che sarebbe accaduto”

– “eh erano mesi che dicevo di uscire dal mercato americano perché le valutazioni erano alte”

– “eh, l’avevo detto nel mio gruppo telegram — a pagamento — di fare questo e quello, oggi saresti ricchi”

Farò un episodio apposta dal titolo “Manuale d’istruzione per non farsi contagiare dalle scemenze di chi oggi sostiene di aver previsto tutto giusto in tempo” — o qualcosa del genere, forse così è un po’ lungo.

Però, davvero, purtroppo mi soffermo troppo a leggere certe cose e poi i feed dei miei social interpretano quell’attenzione come reale interesse e continuano a propormi ossessivamente contenuti di gente che dice cose inascoltabili e quindi mi tocca leggere più queste che altre, alimentando il circolo vizioso di altri ciarlatani autoproclamati geni della finanza che, chiaramente, in base a questo o quel dato “evidente” avevano da tempo previsto tutto e agito di conseguenza.

Se… come no.

Ormai ce ne sono alcuni dalla pubblicazione facile che mio malgrado leggo settimanalmente che pontificano su questo e quello ed erano le stesse persone che dicevano le stesse cose lo scorso agosto, lo scorso aprile, a ottobre 2023, a marzo dello stesso anno e via dicendo. Certo, poi si dimenticavano di fare post di rettifica il mese dopo quando il mercato sfondava nuovi massimi, ma che ci volete fare…

Fosse per loro, praticamente non avresti mai dovuto comprare una sola azione nella tua vita.

In compenso hanno chiamato 27 delle ultime 4 correzioni.

Eh sì, prima o poi ci prendi.

In momenti come questi, però, dove anche il Wall Street Journal prende abbagli madornali, è pieno di consigli su quali siano i settori da preferire, quali trend su cui puntare, quali mercati e via dicendo.

E questo naturalmente vale oggi con il mercato che sta attraversando un periodo di volatilità perlopiù negativa, così come negli anni passati in cui cresceva come un fungo dopo la pioggia.

Cambia solo la narrazione:

– Investi in settori difensivi e anticiclici in vista di una possibile contrazione economica;

– Investi in settori innovativi e ad alta crescita durante una fase di espansione.

Solite regole, giuste in teoria, fallimentari nella pratica.

Allora, lasciando perdere fantasiosi esperimenti di gestione attiva o stock picking, se investite in ETF fondamentalmente ci sono 4 macrocategorie:

– Gli ETF market cap weighted, cioè i grandi classici (l’MSCI World, l’S&P 500, lo Stoxx 600, il FTSE All World e così via);

– ETF fattoriali ( Momentum, value, quality, small caps, low volatility e compagnia bella);

– ETF settoriali (tecnologia, sanità, real estate, energia, beni discrezionali, finanziari e via dicendo) e poi abbiamo

– ETF tematici (intelligenza artificiale, difesa, cybersecurity, acqua, energie rinnovabili e qualunque altra idea sia venuta in mente al team di Sales and Marketing dell’emittente di turno).

Ora, come sapete molto bene, investire in un indice market-cap-weighted è il naturale punto di partenza dell’investitore, perché è in qualche modo l’unico portafoglio macro-consistent.

Questa è una considerazione un po’ astratta e figlia dei presupposti del CAPM e del modello dei mercati efficienti.

Però mettiamola così.

Tutti gli investitori del mondo teoricamente potrebbero detenere contemporaneamente un portafoglio che replica tutte le azioni globali investibili ponderate per capitalizzazione.

Non sarebbe invece possibile per tutti gli investitori del mondo investire contemporaneamente in un portafoglio con un tilt fattoriale, che so, che sovrappesa le società value. Sarebbe impossibile perché se ci sono investitori che sovrappesano Value servono necessariamente investitori che sottopesano Value, altrimenti i prezzi si adatterebbero immediatamente e avremmo di nuovo il portafoglio di mercato.

Al di là di sta pippa filosofico-finanziaria, il core di qualunque portafoglio, soprattutto retail, ha senso che parta da un indice ponderato per capitalizzazione, tendenzialmente globale.

Poi come ci ha spiegato, tra tante cose, Robert Arnott domenica scorsa, gli indici composti in base alla capitalizzazione di mercato sono subottimali. Questo non vuol dire che non vadano bene. Ma bisogna riconoscere che sono subottimali proprio per come sono costruiti.

Per definizione tenderanno a sovrappesare società che sono cresciute di più nel passato e che oggi hanno prezzi elevati — e quindi rendimenti attesi futuri inferiori — e a sottopesare società che nel passato hanno avuto difficoltà e che oggi hanno prezzi economici — e quindi rendimenti attesi futuri, ribadisco ATTESI, superiori.

Però, al di là di questo, l’investitore medio parte da qui, può scegliere il livello di rischio a cui si vuole esporre, investirà di conseguenza in maniera proporzionale in un vasto benchmark azionario, aggiungerà titoli di stato ed eventualmente altri diversificatori come obbligazioni corporate, oro, materie prime e real estate e ha fatto così un portafoglio perfettamente sensato.

Invece ogni deviazione da questo portafoglio presuppone una qualche decisione più o meno attiva rispetto al mercato per quello che è.

Come sappiamo Fama e French da una parte, Jegadeesh e Titman dall’altra, ma poi anche Cliff Asness e tanti altri hanno via via scoperto che il rischio di mercato non è sufficiente a spiegare la differenza di rendimento di diversi portafogli e che invece hanno un ruolo fondamentale altre fonti di rendimento, chiamati fattori.

Nessuno ha mai fornito una spiegazione coerente omnicomprensiva, però in qualche modo c’è abbastanza ricerca teorica ed evidenza empirica dietro al fatto che società Value, small caps, società con forte momentum o con elevati fondamentali di bilancio tendono ad avere una sovraperformance nel lungo termine.

Secondo Fama e French è perché l’investitore richiede un maggior compenso per il più elevato rischio che si assume.

Per altri invece, soprattutto per quelli della finanza comportamentale, è più un discorso legato al fatto che gli investitori sono affetti da bias e quindi prezzano in modo inefficiente gli asset per via di reazioni eccessive creando delle opportunità per chi invece non sovrareagisce.

Comunque sia, per un motivo o per l’altro, dare un’inclinazione fattoriale al portafoglio market cap weighted implica un maggior rendimento ATTESO nel lungo termine, sempre a condizione che l’investitore riesca a tenere fede abbastanza a lungo alla strategia, come sanno bene gli irriducibili del Value investing che stanno aspettando da oltre 15 anni che sottopesare le società growth paghi.

E fin qui abbiamo buttato giù in pillole più o meno il grosso di quel che ci sarebbe da sapere in un corso 101 di asset allocation: Parti da un portafoglio market cap weighted e o te lo tieni così o lo modifichi con regole sistematiche, sperando appunto ti portarti a casa un rendimento maggiore nel futuro, al prezzo (forse) di maggiore rischio, maggiore volatilità, maggiore stress, boh, dipende dalla tua scuola di pensiero.

Poi però ad un certo punto gli emittenti di ETF si saranno detti: “ma perché dobbiamo limitarci ai noiosi indici market cap weighted, oppure ai fattoriali che sono complicati da spiegare? Ma facciamo degli ETF settoriali e tematici! Così creiamo alla gente delle narrazioni sensate, questi saltano sui treni che pensano siano vincenti, noi gli carichiamo fee più alte e siamo tutti contenti, no?”.

Ecco partiamo dalla REGOLA UNIVERSALE INVOLIABILE ETERNA ED IMMUTABILE DELL’INVESTIMENTO: chi fa un prodotto di investimento ha come obiettivo principale quello di venderlo, non far guadagnare di più all’investitore.

Questo caso mai sarebbe un felice effetto secondario.

Ma lo scopo è creare il prodotto con i margini più alti possibili e che risponda meglio alla domanda degli investitori.

Se oggi vanno di moda i Jeans larghi, i brand di moda faranno i jeans larghi.

Se oggi vanno di moda l’intelligenza artificiale e la difesa, gli emittenti di ETF faranno strumenti sull’intelligenza artificiale e la difesa.

Potremmo chiudere l’episodio qui e dire che se certi prodotti esistono perché chi li fa pensa che ci sia un mercato per venderli, già di per sé è un buon motivo per non comprarli.

Ma siccome qua a The Bull diciamo le cose per bene — e io sono un po’ logorroico — vediamo i CINQUE MOTIVI principali per cui l’investimento in strumenti settoriali e tematici ha scarse probabilità di successo.

[senza musica e con audio che fa pensare ad una riflessione.

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Prima di vedere i 5 motivi per cui non investo in settori e temi però partiamo dicendo una cosa: c’è un presupposto teorico per cui gli asset manager tendono a sovra o sottopesare certi settori ed è il fatto che più o meno si sa che alcuni performano meglio ed altri peggio in determinate fasi del ciclo economico.

Il ciclo economico è fatto di quattro fasi: Espansione, Rallentamento, Recessione e Ripresa.

– Durante l’espansione, la crescita delle aziende raggiunge il suo picco e solitamente, sull’onda dell’entusiasmo, aumentano anche le spese per investimenti strutturali e i costi operativi. Allo stesso tempo, di norma tendono a salire i tassi di interesse per evitare surriscaldamenti dell’economia e quindi derive inflazionistiche.

In questa fase solitamente vanno bene i titoli Tecnologici e Media, che nelle fasi di espansione tendono a fare le corse più esplosive, e spesso anche i titoli Finanziari, che scontano il rialzo dei tassi. Vanno invece meno bene i settori considerati tipicamente difensivi e anticiclici come beni di prima necessità, utilities e sanità.

– Durante le fasi di rallentamento invece la crescita rallenta e gli ulteriori costi erodono gli utili a fronte di una domanda in discesa, drenata anche da una politica monetaria più restrittiva che aumenta il costo del denaro.

In questo contesto solitamente tengono botta i titoli delle società che producono beni indispensabili e che erano stati trascurati nella fase precedente, come appunto Beni di prima necessità, Healthcare e in alcune circostanze il settore manifatturiero. Il settore manifatturiero può sembrare controintuitivo se l’economia è in contrazione, però bisogna tenere presente che quando l’economia rallenta di solito va male prima il B2C e poi solo successivamente il B2B.

Se c’è puzza di recessione in arrivo una famiglia può per esempio disdire subito l’abbonamento a netflix o rimandare l’acquisto di un prodotto di elettronica.
Società che invece lavorano all’interno di una filiera industriale hanno altre aziende come clienti, contratti di fornitura tipicamente più lunghi e spesso hanno reazione meno elastiche alle variazioni del ciclo economico: reggono più a lungo e ci mettono di più a recuperare.

Ovviamente in questa fase tendono ad andare male i Beni discrezionali e il Real Estate.

– Se il rallentamento non termina con un soft landing, si va in recessione.
Il PIL si contrae. La domanda si riduce sia tra i consumatori che tra le aziende. Aumenta la disoccupazione. Scende la fiducia e tipicamente le Banche Centrali allentano la politica monetaria per ristimolare l’economia.

Questa è la classica fase in cui c’è un’ulteriore fuga verso i settori più anticiclici, in particolare il settore utilities.
Neanche a dirlo, i titoli tecnologici, che prosperano durante le fasi espansive, soffrono i momenti peggiori proprio durante le recessioni.

– Infine arriva la fase di ripresa.
L’economia comincia a rimbalzare, le aspettative dei consumatori migliorano, le aziende ricominciano ad assumere, la politica monetaria resta espansiva e si ricomincia a spendere anche per beni che non sono di primaria necessità.

In questa fase il mercato premia i consumi discrezionali, il real estate e il settore dei materiali, perché viene scontata anche un’imminente ripresa industriale sostenuta da una domanda in crescita di beni.

Per motivi uguali e contrari, i titoli difensivi tornano a sottoperformare.

Tutto chiarissimo.

E perfettamente sensato.

Basterebbe fare quella cosa di cui si legge sempre sui media finanziari che si chiama “sector rotation” e uno è sempre a posto.

Il problema è che questa cosa ha senso solo a due condizioni:

– La prima è che devi riconoscere in quale fase del ciclo economico ti trovi — e solitamente questa cosa avviene solo a posteriori;

– La seconda è che ciò deve avvenire in anticipo, altrimenti il rischio, come vedremo tra poco, è quello di avere un’idea giusta ma al momento sbagliato — e il momento (e quindi il prezzo) è forse il fattore più importante nella determinazione dei rendimenti futuri.

Fino al 19 febbraio eravamo in una fase espansiva, almeno in America.

Oggi dove siamo? Durante un rallentamento?

E in Europa siamo in una fase di ripresa?

Il ciclo economico non è così lineare ed è costellato da falsi segnali e brusche accelerazioni.

Già capire in quale ci troviamo è difficile. Lo scopriamo sempre almeno 6 mesi dopo con i dati di due trimestri del PIL.

Prevedere in anticipo il passaggio da una fase all’altra poi è pura fantascienza.

Detto questo, veniamo ai 5 motivi per cui investire in settori e temi, anche ammesso di conoscere l’evoluzione del ciclo economico, è il più delle volte subottimale.

Parlerò quasi esclusivamente di settori.

Poi quello che vale per i settoriali vale al quadrato per gli investimenti tematici, di cui parliamo alla fine.

MOTIVO NUMERO UNO: l’asimmetria dei rendimenti azionari.

Nel 2023 Hendrik Bessembinder ha pubblicato uno dei 10 paper che mi porterei dietro se fossi costretto a vivere su un’isola deserta, dal titolo: Long-term Shareholder Returns.

È un po’, come si dice, un one-stop-shop per chi volesse capire come funziona investire in azioni.

Con il suo team si è preso la briga di analizzare 64.000 azioni dal 1990 al 2020, quindi 31 anni di rendimenti azionari globali.

In perfetta coerenza con il suo più famoso paper del 2018 dedicato al mercato americano, Do Stocks outperform Treasury Bills?, il risultato di questo paper è ancora più netto.

Più di metà delle azioni in questo trentennio non hanno reso nemmeno tanto quanto i treasury bills. Un fondo monetario a zero rischio avrebbe fatto meglio di oltre 36.000 azioni.

Invece solo 1.536 azioni, quindi il 2,4% del totale, è stata responsabile del 100% della creazione netta di ricchezza.

– Appena 5 società sono state responsabili del 10% di tutta la ricchezza generata: Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet e Tencent;

– E appena 159 (cioè lo 0,25% del totale) hanno creato metà di tutta la ricchezza netta del mercato azionario in eccesso ai titoli di stato.

Cosa ci dice questa cosa?

Tra i numerosissimi insights di questo paper, quello che oggi forse più ci interessa è il fatto che la probabilità di avere in portafoglio questo manipolo di azioni vincenti creando delle concentrazioni specifiche sui settori è estremamente complicato.

Bessembinder ha calcolato che dal 1990 al 2020, un portafoglio composto da 100 azioni qualunque pesate per la loro capitalizzazione di mercato avrebbe fatto peggio del mercato in quasi il 60% dei casi.

Questo perché la tipica azione media, su un orizzonte di 10 anni ha un rendimento negativo nel 42% dei casi. Cioè se io prendo un’azione a caso e la tengo dieci anni ho una probabilità solo leggermente superiore a 1 su 2 che quell’azione non mi faccia perdere soldi.

E in 2 casi su 3 farebbe peggio di un fondo monetario.

Di per sé, già questi dati rappresentano una motivazione piuttosto convincente dell’elevato rischio implicito in decisioni di “sector rotation”, che chiaramente creano delle posizioni più concentrate e che quindi possono perdersi quei pochi big winner che fanno tutta la differenza.

MOTIVO DUE: il rischio specifico.

Tante volte in questo podcast abbiamo spiegato la differenza tra rischio specifico (detto anche idiosincratico o diversificabile) e rischio sistematico (detto anche rischio di mercato o rischio non diversificabile).

Secondo il modello del CAPM, del Capital Asset Princing Model, io investitore vengo remunerato in base al rischio sistematico che mi prendo, per esempio investendo in azioni invece che in titoli di stato risk-free.

Non vengo invece remunerato per il rischio specifico.

Per esempio investire nell’MSCI World Healthcare comporta un rischio maggiore che investire nell’MSCI World, perché oltre al rischio di mercato proprio dell’asset class, del fatto che sono azioni, abbiamo il rischio specifico delle singole società appartenenti allo stesso settore, soggetto a dinamiche cicliche, leggi, shock endogeni e via dicendo.

Ma il mercato non mi paga un premio supplementare per il fatto di assumermi il rischio, per esempio, che il CEO di uno dei più grossi colossi assicurativi sanitari possa venir assassinato da un fanatico ad una convention, come successo qualche mese fa all’Amministratore Delegato di United Health.

Quindi starei facendo una scommessa con rendimento atteso teoricamente pari a quello dell’MSCI World, ma rischio nettamente superiore.

Per esempio, guardiamo la performance degli indici settoriali di MSCI World, in Euro.

Dal 2016 ad oggi abbiamo avuto un po’ di tutto, tassi alti, bassi, crescita, recessione, quindi diversi regimi economici in cui i vari settori hanno avuto fortune alterne.

Per esempio da metà del 2020 alla fine del 2021 il settore Healthcare è esploso, grazie ai vaccini per il Covid.

Nel 2022 invece l’iperinflazione e la guerra in Ucraina hanno fatto sprofondare il settore Tech e hanno invece fatto volare il settore Energetico.

Ovviamente per diversi anni tranne il 2022 (e forse il 2025) Information Technology è invece volato, grazie al contributo delle solite note.

Come sono andate però le cose complessivamente?

Tech è stato il vincitore massivo per grandissima distanza.

Dal marzo 2016 al marzo 2025, nonostante il pesante calo di quest’ultimo mese, l’MSCI information Technology è cresciuto del 440%.

A parte questo settore, però, tutti gli altri settori hanno sottoperformato l’MSCI World, che in questo periodo ha fatto +170%.

L’unico che ha fatto tanto quanto è stato il settore finanziato, trainato soprattutto negli ultimi due anni grazie ai mostruosi profitti in particolare del settore bancario, derivante dai tassi molto più alti rispetto a quelli rasoterra post 2009.

Tutti gli altri settori invece sono stati sottoperformanti, con i Beni di prima necessità e le Utilities che hanno reso praticamente la metà.

Ora, è facile a sto punto che venga questo pensiero: “beh, era ovvio! In questi anni hanno sempre dominato le realtà tech, bastava investire in quelle. Era chiaro che avrebbero vinto loro e l’MSCI World ha battuti tutti i settori solo grazie al contributo di Apple, Microsoft e Nvidia”.

Eh sì, ma è proprio questo il punto, che ci porta al

MOTIVO NUMERO TRE: il prezzo e il bad timing.

Questo forse è il motivo principale alla base dell’inefficacia media dell’investimento settoriale.

Quando l’investitore sceglie tipicamente di sovrapesare un settore?

– Nel 2021 qualcuno avrebbe sovrapesato il settore energetico?

– Nel giugno 2022 invece, quando Information Tecnhology ha perso quasi il 40%, chi avrebbe sovrapesato il Tech una volta che è stato chiaro a tutti che avremmo avuto tassi di interesse 4-5 volte più alti che nell’ultimo decennio?

– Oppure ancora CHI un anno fa avrebbe scommesso che nei 12 mesi successivi il barbosissimo e tipicamente poco performante settore Utilities avrebbe doppiato Information Technology?

L’investitore sovrappesa un settore quando già ha iniziato a sentire da ogni parte che quel settore sta andando bene.

Come regola generale: se tu PENSI che un certo settore andrà bene, il mercato lo SA già.

Quindi le cose sono due:

– O ci sarà un’ulteriore sorpresa in positivo, che eccede le aspettative già riposte dal mercato nei prezzi attuali;

– Oppure devi investire in maniera contrarian, cioè devi intuire in anticipo che ad esempio mentre Tech sta volando devi puntare su Utilities o che durante i giorni più neri di una pandemia causata da un virus sconosciuto per cui non c’è cura e con le strutture sanitarie al collasso sia il momento di puntare su Healthcare.

Con il senno di poi è facile.

Ma la verità è che i settori sono il tipico investimento backward looking.

Si tende a sovrappesare un settore a posteriori, dopo che il mercato ha già scontato le sue aspettative di su di esso.

Secondo un report di Amundi sui flussi negli ETF europei a dicembre del 2024, dei 28 miliardi di euro che sono andati in ETF azionari, quasi 21 sono andati su strumenti focalizzati sull’azionario americano.

E ovviamente il primo settore d’interesse è stato quello tecnologico.

E ancora a gennaio 2025 14 miliardi su 23 sono andati sugli indici americani.

Solo a febbraio si è avuta un’inversione di tendenza con i flussi che si sono diretti più sugli indici europei e su strategie, diciamo difensive, volte a preferire settori anticiclici e fattori a bassa volatilità.

Ma il vento era già cambiato.
E probabilmente il grosso degli investitori si è mosso in ritardo.

Non è un caso che il grosso della corsa di questo inizio anno l’MSCI Europe l’abbia fatto fino al 3 marzo. Da lì oggi è leggermente sceso.

Non conta quindi indovinare la fase del ciclo economico in cui ci troviamo o in cui ci troveremo a breve e i settori che ne beneficeranno.

Bisognerebbe anche prendere decisioni in anticipo prima che il prezzo rifletta già le convinzioni che il mercato si è fatto.

I prezzi sono sempre sbagliati, come ci disse anche Fama.

Ma sono sbagliati a posteriori, mentre nel presente riflettono molto bene le opinioni generali.

E queste sono le stesse opinioni che ci portano a favorire un settore invece che un altro.

Non basta aver ragione in finanza.

Bisogna aver ragione al momento e soprattutto al prezzo giusto.

Questo ci porta alla

MOTIVAZIONE NUMERO QUATTRO: il Return Gap.

In passato avevamo già parlato del noto report di Morningstar che ogni anno fa il punto su questo tema.

Per chi non se lo ricordasse, il return gap è la differenza tra il rendimento di uno strumento finanziario e il rendimento dell’investitore in quello strumento.

Ovviamente se io investo il 1° gennaio nel fondo x e disinvesto il 31 dicembre, la mia performance e quella del fondo in quel dato anno coincidono.

Ma questa non è la norma.

Sono più tipiche due cose:

– La prima è che si investa tramite piani di accumulo — e quindi che l’investimento sia diluito nel tempo esponendosi al rischio di sequenza dei rendimenti;

– La seconda è che certi fondi ed ETF attraggano capitali proprio nei momenti peggiori, quelli in cui il rendimento atteso futuro è inferiore a quello passato.

Questi due discorsi ovviamente non valgono solo per i settoriali e i tematici, valgono per tutti gli strumenti finanziari in generale.

Però appunto uno investe in strumenti diversificati market cap weighted perché è il naturale punto di partenza in assenza di opinioni forti sull’andamento futuro del mercato.

E sappiamo che mediamente non è una cattiva idea.

Poi può scegliere di deviare dalla capitalizzazione di mercato, come dicevamo prima, privilegiando fattori diversi dal puro fattore mercato, quello che solitamente viene chiamato BETA.

Queste però sono decisioni sistematiche, non decisioni attive.

Molto spesso invece un fondo o un ETF viene scelto deliberatamente perché pecchiamo di ESTRAPOLAZIONE.

Cioè prendiamo i risultati più recenti, affetti come siamo da Recency Bias, e li estrapoliamo proiettandoli nel futuro.

– I migliori fondi attivi attraggono la maggior parte dei capitali al picco della loro performance e poi, un po’ perché più crescono più diventa difficile generare risultati sopra la media, un po’ per regressione verso la media, riportano in seguito performance deludenti;

– I migliori ETF (per quanto sia stupido parlare di “migliori” nel caso di ETF che replicano un benchmark) a loro volta attraggono la maggior parte dei capitali quando c’è un certo hype su un settore o un tema e in finanza c’è una legge newtoniana inviolabile per cui quando succede questo, il rendimento atteso in futuro necessariamente si riduce.

La classica frase che sento dire è: “eh ma il futuro sarà sempre più dominato dalla tecnologia. È ovvio che le società tech saranno sempre quelle che cresceranno di più nel futuro”.

Prima parte della frase molto giusta, il futuro sarà sempre più dominato dalla tecnologia.

Seconda parte molto sbagliata.

O meglio. Parzialmente fuori focus.

Per due ragioni:

– La prima è che il settore potrà anche avere una crescita cumulativa sopra la media, ma le società che lo rappresentano tendono ad avere crescite esplosive e poi grandi rallentamenti; non sono mai esistite società i cui profitti sono cresciuti del 20% all’anno per 30 anni.

– La seconda — ben più importante — è che non conta il fatto che certe società abbiano una crescita straordinaria illimitata. Se oggi il mercato pensa che la società X crescerà del 20% all’anno per 10 anni, questa crescita sarebbe effettivamente straordinaria e nettamente sopra la media del mercato, ma la sua azione non crescerebbe del 20% all’anno, perché la crescita straordinaria degli utili sarebbe già incorporata nel prezzo di partenza. Più le valutazioni sono elevate, maggiori devono essere le sorprese in positivo per continuare a far crescere il valore di quell’azione.

È per questo che in media e su lunghi intervalli temporali, le società value battono quelle growth.

Le società growth tendono ad avere prezzi alti e aspettative difficilmente sostenibili a lungo termine.

Le società value invece tendono ad essere sottovalutate dal mercato e bastano poche buone notizie per sovraperformare il mercato.

Torniamo però al Return Gap.

Morningstar ha calcolato che in media l’investitore lascia per strada circa l’1,1% all’anno rispetto allo strumento in cui investe.

Ma quando si tratta di fondi o ETF settoriali (lo studio di Morningstar non fa distinzione) il gap è addirittura del 2,6% e la motivazione principale è che il fondo settoriale tende ad essere più volatile e quindi il rischio di sequenza si amplifica.

Fosse solo una questione di rischio di sequenza, però, l’effetto dovrebbe essere neutro.

A volte investirò al momento giusto, altre volte in quello sbagliato.

Qui però il rischio di sequenza è amplificato da ciò che muove gli investitori.

La maggior parte degli investitori non ha un approccio contrarian, ma investe in un settore o in un tema DOPO che questo ha già avuto buone performance.

Di conseguenza, statisticamente l’impatto del rischio di sequenza è prevalentemente sul lato negativo.

Fin qui abbiamo parlato dei settoriali, ma il discorso si applica perfettamente anche ai cosiddetti Fondi o ETF Tematici, quelli appunto che investono in certo trend. Cambiamento Climatico, Animali domestici, finanza islamica, Batterie, E-sports, Uguaglianza di genere, Idrogeno, Uranio, Sfere del Drago, società il cui CEO fa sollevamento pesi (non sto scherzando) scegliete voi, ce n’è uno per ogni più balzana idea che possa venirvi in mente.

Il MOTIVO NUMERO CINQUE è valido in parte per i settoriali ma diventa macroscopico proprio con i tematici, ossia: la composizione arbitraria del fondo.

Per esempio due dei più grandi ETF sull’intelligenza artificiale sono di Xtrackers e Wisdomtree.

Ma se uno va a guardare dentro, la composizione ha delle differenze sostanziali e negli ultimi 5 anni c’è una divergenza di rendimento di oltre il 30%.

Uno può più o meno legittimamente decidere di puntare sull’intelligenza artificiale, ma chiaramente poi la scelta dello strumento diventa un tiro di dadi.

Ciò che attrae l’investitore medio su questi strumenti è solitamente l’idea, l’etichetta di marketing che gli viene messa sopra. Oltre a questo si tratta di una scommessa arbitraria su un manipolo di società che l’emittente del fondo ritiene rappresentative del trend e che quasi sempre arriva in ritardo, perché quando un trend diventa trend, solitamente quello è il momento di picco del prezzo e delle valutazioni — e quindi il momento mediamente peggiore per investirci.

Non è sempre così ovviamente, ma statisticamente è più probabile investire in un trend sopravvalutato che non sottovalutato.

Forse come assurdo consiglio generale mi verrebbe da dire: se proprio uno vuole investire in un settore o in un trend, prenda singolarmente 10 amici con un minimo di consapevolezza del mondo che sta loro attorno e chieda a ciascuno di citare i trend o i settori che secondo lui o lei andranno meglio nei prossimi anni.

Fatto questo sondaggio, scartate quelli che avranno ricevuto più consensi e puntate possibilmente su quelli che nemmeno sono stati nominati.

Reverse wisdom of the crowd.

Come Arnott ha fatto l’ETF con le società scartate dall’S&P 500, si potrebbe fare un ETF che chiamiamo “Anti Mega Trend che nessuno si ca*a” oppure “società obsolete destinate a fallire nei prossimi anni” e potrei scommetterci dei soldi che su 10 o 20 anni potrebbe battere l’MSCI World.

In attesa che trovi qualcuno abbastanza folle per realizzare quest’idea squinternata, più semplicemente, ignorate i fondi settoriali e tematici che fanno tanto bene a chi li emette e poco a chi li compra e seguite regole sistematiche per investire.
Punto.

Di solito funziona meglio.

Ma poi lo so che nonostante quest’episodio, qualcuno di voi starà pensando “ok, però io ho letto che in realtà c’è una nuova tecnologia che sta arrivando e che nei prossimi anni …”.

Eh…

Ma cosa devo fare…

Bene miei prodi compagni di avventura sui campi di battaglia della finanza, anche per oggi la nostra chiacchierata bisettimanale finisce qui mentre ci approssimiamo di gran carriera verso l’incredibile traguardo dei 200 episodi, evento che avverrà domenica 30 marzo e che, ovviamente, beh… non vi dico nulla ma ci sarà una grande sorpresa!

Nel frattempo mettete segui e attivate le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e lasciate una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che anche se nessuno me l’ha chiesto vi diranno che tutte le buone intuizioni che pensavate di aver avuto in realtà così non erano e che settori e trend sono buoni per i media, gli emittenti di fondi e le chiacchiere ma inutili per il portafoglio sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento insieme, con un tema di cui non vedo l’ora di parlarvi e soprattutto per spoilerare qualche prossimo ospite, sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025
Facile.it
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