Alla Ricerca del Portafoglio perfetto (Asset Allocation e Ciclo Economico)

Esiste il portafoglio perfetto per ogni stagione dei cicli economici? E come sono cambiate oggi le regole di asset allocation alla luce di 15 anni di tassi a zero, Covid e ritorno dell'inflazione. Meglio un portafoglio con poche azioni e meno volatile o uno più rischioso con maggior rendimento atteso? Questo e molto altro nell'episodio di oggi.

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122. Alla Ricerca del Portafoglio perfetto (Asset Allocation e Ciclo Economico)

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Punti Chiave

La tradizionale asset allocation (es.60/40) è messa in discussione dall'inflazione, tassi e correlazione azioni/obbligazioni.

Confronto di portafogli alternativi (All Weather, Golden Butterfly) e scelta basata su rischio e disciplina.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Allora, io ve lo dico subito così: patti chiari, amicizia lunga.

Questo è un episodio che vi insinuerà una montagna di dubbi vi costringerà a ragionare su che assetto dare al vostro portafoglio che con tanta fatica avevate finalmente impostato dopo la bellezza di 121 episodi da mezz’ora abbondante ciascuno ad ascoltare sto podcazzaro che parla di cose di finanza solo per avere il pretesto per dire scemenze e pubblicarle online facendo sembrare il tutto serio.

Vi ricordate come è andata?

A meno che abbiate cominciato proprio da questo episodio, il che sarebbe piuttosto strano e probabilmente non ci capireste un cazzo, fatto salvo che non siate persone mediamente esperte di finanza, al che la domanda che mi viene è: ma perché stai ascoltando sto podcast? Mah…

Dicevo che a meno che non abbiate cominciato proprio da questo episodio, lungo i 121 precedenti avrete fatto più o meno sto viaggio:

– Prima avete dovuto capire che una roba come la finanza personale esiste e che era il caso di darsi una mossa a gestire meglio i propri danari;

– Poi avete capito tutta la pappardella dei rendimenti finanziari, del passive investing, degli ETF, del perché banche e assicurazioni sono il posto giusto per investire come McDonalds e Burger Kings il ristorante ideale per un vegano e via dicendo;

– Poi avete dovuto superare la paura di prendere i vostri soldi, belli placidi e tranquilli sul conto, e decidervi a ficcarli chissà dove una volta premuto acquista su qualche piattaforma di trading;

– Infine, convinti di aver capito tutto sul discorso dell’asset allocation, vi siete messi a fare i vostri excel, avete studiato tutto quanto, vi siete fatti tutti i vostri film sull’allocazione ideale andando ad assegnare una precisa percentuale pure al mercato azionario del Turkmenistan … insomma … alla fine avevate individuato il vostro portafoglio definitivo per investire per la vita e poi…

… e poi SBAM! Arrivo io con questo episodio che — ve lo anticipo fin da qui — cerca di mettere insieme tutti i pezzi per capire quale sia OGGI il portafoglio perfetto anche se temo, amici miei, che alla fine vi resteranno diversi utili spunti per ragionare meglio con la vostra asset allocation, ma praticamente zero risposte definitive.

Comunque non è che me lo sono sognato di notte di scombinarvi le idee e mettere in crisi la vostra ormai consolidata convinzione che, male che vada uno si fa un 60/40 globale e passa la paura.

Sono settimane che leggo articoli e ascolto podcast in cui sta cosa di come ripensare le regole dell’asset allocation è diventata ormai l’argomento più hot della finanza.

Cioè se non parli di come ripensare l’impostazione del portafoglio alla luce del fatto che il post Covid ha di fatto messo fine ad un’era, se non altro l’era dei tassi a zero, non sei nessuno!

E può mai questo podcast esser nel gruppo dei nessuno?

Eh no dai!

Quindi da bravi copiatori seriali senza orgoglio né creatività, ecco che pure noi ci accodiamo senza fare storie e parliamo di questa cosa qua.

Ma questa cosa qua, poi, che cos’è?

Allora oggi dobbiamo capire fondamentalmente tre cose:

– NUMERO UNO: quali sono le fasi di un macro-ciclo economico standard;

– NUMERO DUE: cosa succede in ciascuna fase;

– NUMERO TRE: cosa è cambiato negli ultimi anni e cosa potrebbe prospettarci il futuro.

Partiamo con il dire che se prendiamo in considerazione il decennio scorso, quindi 2010-2019, praticamente niente avrebbe nemmeno lontanamente sfiorato la performance stellare di un portafoglio 100% azionario posizionato 100% sugli Stati Uniti: ergo il più scemo degli index fund o degli ETF sull’S&P 500 avrebbe fatto a pezzi qualunque sofisticato portafoglio, come abbiamo raccontato nell’episodio 115 sul paradosso della diversificazione prendendo in prestito le riflessioni di Meb Faber.

Se poi uno non se la sentiva di investire tutto quanto in stocks, probabilmente il glorioso portafoglio composto al 60% da Azioni Americane e al 40% da Treasury a scadenza intermedia avrebbe rappresentato il portafoglio con il miglior Sharpe Ratio, ossia con il miglior rapporto tra rischio e rendimento, il miglior risk-adjusted return.

In un recente articolo sul Financial Times, un signore che lavora in Goldman Sachs e che caso vuole di lavoro fa l’Head of asset allocation research ha scritto che in pratica negli ultimi 100 anni il 60/40 avrebbe prodotto il miglior rendimento per unità di rischio, mentre se consideriamo orizzonti di 10 anni, forse il portafoglio ideale è stato più un 40/60, quindi 40% azioni e 60% bonds.

Sicuramente, nei tre decenni che hanno preceduto il covid, quindi anni 90, 2000 e 2010, il 40/60 sarebbe risultato il portafoglio con il miglior Sharpe Ratio.

Attenzione: non il portafoglio con il rendimento più alto, bensì quello con il maggior rendimento rispetto alla sua deviazione standard, ossia a quanto rischio ci si assume.

Se confrontiamo infatti un portafoglio 100% azionario, un 60/40 e un 40/60 dal 1989 al 2019 ovviamente vince sempre chi ha più azioni: 10.38% all’anno per il primo, 8.99% per il secondo e 8.18% per il terzo.

Lo Sharpe ratio va invece al contrario, con il 40/60 che avrebbe ottimizzato al meglio il profilo di rischio/rendimento con un valore di 0,82, contro 0,70 e 0,52 degli altri due.

Ora, il punto è che in teoria dello Sharpe Ratio chi se ne frega, in fondo ciò che ci interessa è il portafoglio che rende di più no?

Beh, dipende…

In teoria sì.

In pratica, più no che sì.

Per due motivi:

– MOTIVO UNO: nel lungo termine teoricamente le azioni sono imbattibili, ma non sai mai quando effettivamente tu avrai bisogno di mettere mano al portafoglio. Ok il fondo di emergenza, ma mi riferisco a situazioni in cui vorrai davvero utilizzare una parte significativa del tuo patrimonio per realizzare obiettivi importanti per te e la tua famiglia o magari per risolvere una situazione particolarmente critica.
In fondo il nostro portafoglio serve per affiancare la realizzazione dei nostri obiettivi lungo la nostra vita, non è solo una roba che là in fondo, tra trent’anni deve aver vinto qualche gara immaginaria con qualche altro immaginario portafoglio.
Inoltre, come abbiamo detto mezzo milione di volte, un conto è il rendimento medio del mercato, un altro è la sequenza dei rendimenti. Può dirti bene o dirti male. Più un portafoglio è volatile, maggiore sarà il rischio di sequenza e di conseguenza la possibilità che i rendimenti che effettivamente ti becchi non siano così wow come pensavi (così come il contrario naturalmente, se hai culo saranno wow al quadrato).

– Il MOTIVO DUE invece è che le azioni battono quasi sempre le obbligazioni come rendimento. Il problema è che quel “quasi”, per quanto non probabilissimo non significa che non possa succedere il contrario. Anche nel lungo termine.
Se prendiamo per esempio i Treasury a lunga scadenza, quelli diciamo da 20 anni in su, nel trentennio che va dal 1981 al 2011 avrebbero battuto l’S&P 500, 10,79% contro poco meno del 10%.
Il motivo? Beh nel 1981 si era arrivati al picco nel ciclo di rialzo dei tassi di interesse successivi agli shock petroliferi e conseguente iperinflazione degli anni ’70. Lungo i trent’anni successivi, i tassi sono gradualmente scesi dal 19,1% (sì, avete capito bene, 19,1%, per la serie “i tassi al 5% sono alti, ormai possono solo scendere”) dicevo dal 19,1% allo 0,07% alla fine del 2011, a seguito del disastro economico causato dalla grande crisi finanziaria del 2008.

Se prendiamo un orizzonte di 20 anni, dal 2000 al 2020 stessa cosa, bond battono azioni 7,6% all’anno contro 6,95%.

Più o meno per lo stesso motivo: tassi al 6,5% nel 2000 e poi giù giù fino a zero nel 2020.

Comunque sia, 60/40, 40/60, quel che l’è, il portafoglio no brainer dell’ultimo mezzo secolo è spesso girato attorno a queste combinazioni e avrebbe portato a casa risultati di tutto rispetto con una volatilità tutto sommato contenuta.

Quando la correlazione tra azioni e obbligazioni era positiva, come fino alla fine degli anni ’90, sia azioni che obbligazioni portavano il loro contributo. Quando con il decennio perduto la correlazione è tornata negativa, mentre le azioni crollavano sotto i colpi della dot.com bubble e della great financial crisis i bond a lunga duration facevano dei rally perché la Fed tagliava sistematicamente i tassi.

Perché ora non si può andare avanti così come sì è fatto negli ultimi 50 anni?

In realtà si può andare avanti benissimo così e nulla vieta che la scelta sia virtuosa.

Però bisogna rendersi conto del fatto che siamo in uno scenario diverso, a causa di 15 anni di tassi a zero, roba mai vista nella storia della finanza.

Da dopo il Covid e a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’ondata di superinflazione che ha pervaso l’occidente ha portato a queste due cose:

– In primis la correlazione tra azioni e obbligazioni è andata ai massimi storici, al punto che oggi sembra possa venire un po’ meno il ruolo di diversificazione delle obbligazioni rispetto alle azioni. Ora è chiaro che noi conosciamo solo la correlazione passata, non quella futura, ma se tanto mi dà tanto, c’è da attendersi che nei prossimi anni la correlazione tra azioni e obbligazioni sarà più alta di quella a cui siamo stati abituati negli ultimi decenni.

– L’altra cosa, che in qualche modo è la ragione tecnica di quel che stiamo dicendo, è che oggi la Curva dei rendimenti è invertita.

Che vuol dire sta cosa?

Come aveva spiegato anche Costantino Forgione nell’episodio 112, normalmente la curva dei rendimenti obbligazionari cresce nel tempo, ossia i rendimenti delle obbligazioni con scadenze più lunghe sono superiori a quelli delle obbligazioni con scadenze più brevi.

Ha senso: se investo in bond a lunga scadenza mi assumo più rischi che non investendo in buoni del tesoro a un anno, quindi è giusto che rendano di più.

Oggi invece la curva dei rendimenti è in backwardation, ossia i rendimenti a lungo termine sono inferiori rispetto a quelli a breve termine.

Negli Stati Uniti un T-Bill a 1 mese rende oltre il 5% annualizzato, mentre un Treasury decennale rende il 4,3%.

Come è possibile questa cosa?

Concettualmente non ha senso no?

Beh ha senso perché questo fenomeno della curva invertita si verifica quando il mercato si aspetta una recessione, o comunque quando ritiene che nel breve-medio termine ci sarà un taglio dei tassi d’interesse.

Il mercato dice, più o meno: se io posso bloccare rendimenti a 10 anni al 4,3%, nonostante la previsione di un più o meno imminente taglio dei tassi, allora per assumermi il “rischio” — tra molte virgolette — di investire a breve e quindi dover poi reinvestire in obbligazioni che magari tra un anno renderanno meno, voglio essere remunerato di più.

Questo è il motivo per cui in questo momento sia negli Stati Uniti che in Europa le obbligazioni a breve rendono di più di quelle a lungo termine.

Qual è la conseguenza nella costruzione del portafoglio?

La conseguenza è che i bond lunghi incorporano già l’effetto di futuri tagli e che quindi quando un domani la Fed e la BCE dovessero tagliare i tassi per rianimare magari un mercato in crisi, non è detto che si inneschi un bond rally come accaduto in passato.

Certo, probabilmente se si presenta una crisi MOLTO grave, tipo 2008, allora un grosso taglio dei tassi avrebbe probabilmente il suo effetto.

Altrimenti non si può escludere che al prossimo bear market le obbligazioni non facciano quel contrappeso che ci si aspetterebbe che facessero.

Qual è il motivo principale che ha innescato tutta sta roba?

Sicuramente la questione è complessa, ma se dobbiamo dirlo in una parola: l’inflazione.

L’inflazione è forse il più importante fattore che determina l’aumento della correlazione tra azioni e obbligazioni riducendo la capacità di queste ultime di fare da contrappeso.

Non è tra l’altro da escludere che le obbligazioni, che tipicamente vengono considerate l’asset sicuro, risk-free, per definizione, perlomeno quelle governative tripla AAA o lì vicino, in futuro possano diventare paradossalmente più rischiose.

E ci sono tre motivi per dire questo:

– Il primo appunto riguarda il corso futuro che avrà l’inflazione, del tutto imprevedibile. Se la globalizzazione degli ultimi 25 anni aveva di fatto annientato l’inflazione in occidente, in particolare grazie al crollo dei prezzi di produzione grazie alla manodopera asiatica, oggi la deglobalizzazione in atto e le politiche di reindustrializzazione soprattutto in America (mentre qua in Europa stiamo ancora dormendo in piedi) potrebbero causare l’effetto inverso.

– Il secondo riguarda le politiche fiscali. Un governo Trump negli Stati Uniti, uno guidato dalla sinistra spendacciona in Francia e altre cose del genere potrebbe portare a politiche fiscali espansive, aumentando l’emissione di debito e quindi rendendo più rischioso l’investimento in titoli governativi.

– Il terzo riguarda il crescente rapporto tra debito e pil un po’ in tutti i paesi sviluppati,
Eh noi italiani siamo stati precursori e maestri di indebitamento! un debito pubblico senza senso ce l’abbiamo dagli anni ’80, ora tutti ci stanno venendo dietro.

Oh dio santo…

Cmq, alla luce di tutta questa situazione, che c’è frega?

Beh, intanto portiamoci a casa il fatto che ci troviamo in un momento storico in cui le cose potrebbero non funzionare esattamente come ci aspettiamo e che quindi le obbligazioni potrebbero non essere sempre e comunque quel porto sicuro che avevamo in mente.

Facciamo però un passo indietro e capiamo in generale come funzione un macro ciclo economico e che impatto ha sugli asset finanziari.

Il modello a 4 fasi, come noto, è di Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo.

Per descrivere al meglio le 4 fasi si usano due variabili: la crescita economica e l’inflazione. Dalle loro combinazioni risultano così questi 4 scenari:

– Crescita economica e inflazione in diminuzione, che è la situazione in cui l’azionario dà il meglio di sé, in particolare lato realtà growth e small caps, ma in generale anche le Large Cap prosperano; poi

– Crescita economica e inflazione in aumento: e qui il mercato azionario tende ad arrivare al picco, le obbligazioni iniziano a soffrire perché cominciano a scontare un futuro aumento dei tassi e i cosiddetti “real assets”, come gli immobili o le obbligazioni indicizzate all’inflazione possono apprezzarsi; la terza fase poi è

– Decrescita economica e inflazione in aumento, il peggio del peggio, in cui poche cose tendono ad acquistare valore, tipicamente l’oro e in alcuni casi le materie prime energetiche. Anche le obbligazioni a brevissimo termine tendono ad andare bene con i nuovi tassi alti. Infine la quarta fase è quella di

– Decrescita economica e inflazione in diminuzione, nella quale sono soprattutto le obbligazioni a lungo termine a correre, per via del solito discorso del taglio dei tassi per rianimare l’economia.

Un portafoglio 60/40 di solito funziona bene durante la prima fase, così così nella seconda e fa il suo nella quarta, dove mostra i benefici della sua diversificazione.

È nella terza fase che invece dà il peggio di sé, in cui sia azioni che obbligazioni vanno giù e si trovano ad essere positivamente correlate nel momento peggiore.

Ricordarsi questa pseudolegge semi universale: l’inflazione aumenta la correlazione tra azioni e obbligazioni e riduce i benefici della diversificazione.

E non è che queste fasi abbiano tutte la stessa durata o siano facilmente prevedibili.

Vanno un po’, per usare un termine statistico, a cazzo di cane.

Per esempio: la seconda metà degli anni ’60 e gli anni ’70 hanno visto una crescita molto bassa e la peggiore inflazione di sempre, quindi in quel periodo ha dominato la fase TRE (bassa crescita e inflazione crescente).

Negli anni ’80 e nel primo decennio del 2000 ci sono state pesanti recessioni, quindi la fase più presente è stata la 4, decrescita economia e inflazione in calo, motivo per cui dal 1981 al 2011, come detto prima, i bond lunghi hanno addirittura sovraperformato le azioni.

Negli anni ’90 e nel decennio scorso, infine, hanno dominato la crescita e un’inflazione contenuta, quindi la prima fase è stata quella più marcata e le azioni sono generalmente volate.

E oggi?

N’do stiamo?

Eh bella domanda.

Teoricamente abbiamo avuto l’ultimo momento della fase 4 con la Great Financial Crisis, da lì fase 1 con grande crescita e inflazione bassa praticamente fino al Covid, lì c’è stato per 6 mesi tutto e il contrario di tutto per poi entrare nella fase 2 di crescita esagerata e inflazione in rialzo. Il 2022 è stato decisamente un anno da fase 3, con crescita contratta e inflazione alle stelle e teoricamente questo 2023 e 2024 dovevano essere una fase 4, con una recessione ampiamente scontata e tagli a nastro dei tassi.

L’happy problem, invece, è che al momento l’economia tiene e forse si riesce nel miracolo del soft landing, ossia arrestare l’inflazione senza andare in recessione.

Questo ci proietterebbe nuovamente in una fase 1 e sarebbe un evento più unico che raro.

Però del resto l’eccezionalità del Covid, a seguito di un quindicennio di tassi a zero, ha letteralmente sconvolto l’andamento tipico del ciclo dei mercati e oggi non si capisce più una benamata mazza di niente.

Azioni che vanno su quando dovrebbero crollare.

Bond che crollano quando dovrebbero andare su.

Economia reale che tiene con i tassi al 5% in America e al 3,75% in Europa.

Inflazione che resta appiccicosa ma comunque sta scendendo.

Insomma, stanno succedendo cose che nessuno sta capendo davvero.

Sempre il nostro amico di Goldman sul Financial Times dice che in questo contesto di incertezza totale vede in particolare per le azioni una serie di minacce.

Le più gravi, almeno secondo lui, sarebbero:

– La deglobalizzazione, che può portare a contrazione economica e inflazione per i maggiori costi di produzione;

– La decarbonizzazione, che può portare a maggiori rischi di shock legati alle materie prime e ai maggiori costi legati alla transizione verde; e infine

– L’inverno demografico, che vede la popolazione invecchiare e crescere più lentamente. Sic et simpliciter l’economia tende a crescere finché la popolazione aumenta. Quando questa cosa s’inceppa, l’economia tutta si trova forse a dover fronteggiare la sua minaccia peggiore.
Quindi se volete far prosperare il vostro portafoglio fate più figli che potete.

Tutte queste belle cose portano il nostro amico di Goldman a dire che per il futuro forse converrà considerare una maggiore diversificazione multi-asset per far fronte a questi potenzialmente maggiori rischi strutturali.

E colpo di scena se ne esce pura con una ricetta!

Secondo Goldman the “optimal portfolio”, il portafoglio ideale per il prossimo decennio dovrebbe essere composto in questo modo, attenzione:

– Un terzo azioni, con una certa inclinazione verso quelle growth;

– Un terzo obbligazioni governative e

– Un terzo quel che lui chiama real assets, in particolare:

– Azioni legati a infrastrutture, al settore immobiliare e alle materie prime e

– Bond indicizzati all’inflazione.

Per i pesi che attribuisce a questi ultimi due, alla fine viene fuori un portafoglio complessivamente fatto al 53% da azioni e al 47% da bond, ma con una strutturazione interna che dovrebbe rispondere a queste esigenze:

– Le azioni, soprattutto quelle growth, quelle cioè fortemente sensibili ai tassi di interesse e tipicamente più performanti nelle FASI 1, alta crescita e bassa inflazione, dovrebbero garantire esposizione alle rivoluzioni tecnologiche che potranno derivare dall’intelligenza artificiale e da altre innovazioni, e lui fa l’esempio dei prodotti per la cura contro l’obesità che stanno trasformando il settore farmaceutico e stanno facendo letteralmente volare società come Eli Lilly e Novo Nordisk.

– I bond invece dovrebbero garantire un discreto rendimento in situazioni di stagnazione, qualora magari la crescita alimentata dalle innovazioni tecnologiche dovesse essere inferiore alle aspettative e infine

– Gli asset reali servirebbero a diversificare il rischio qualora dovesse esserci una ripresa dell’inflazione.

Insomma, in generale questo sarebbe un portafoglio che dovrebbe contemporaneamente conseguire due risultati, ossia: garantire un’esposizione alla parte più speculativa del mercato nel caso in cui AI & company dovessero effettivamente portare ad una rivoluzione della capacità produttiva dell’economia in genearle e quindi ad un lungo periodo di crescita e allo stesso tempo proteggerti in un contesto futuro in cui si prevede maggiore volatilità della componente inflazione.

Se uno volesse, potrebbe benissimo provare a farsi un portafoglio utilizzando ETF che replicano tutta sta roba.
Ci sono ETF sul settore delle infrastrutture, sul settore immobiliare (e qui parlo proprio di azioni, non di REIT) e infine sulle materie prime.

La mia perplessità è più che altro che gli ETF settoriali fanno delle selezioni arbitrarie delle società da replicare, quindi l’esposizione al mercato che ne risulta sarà piuttosto discrezionale, quindi in tutto ciò c’è indirettamente una componente di stock picking che … boh … mi convince fino ad un certo punto.

L’idea è sicuramente interessante ed è chiaro quali siano le sue fondamenta concettuali, d’altra parte resta da capire se un portafoglio fatto in questo modo vada a portare realmente valore aggiunto rispetto ai portafogli alla Ray Dalio o alla Meb Faber, cioè quei portafogli diversificati su diverse asset class decorrelate tra loro che cercano di attenuare la volatilità generale, aumentare lo Sharpe Ratio e portarsi a casa la migliore esposizione possibile a tutte le fasi del mercato.

Ora, il motivo per cui all’inizio vi dicevo che vi avrei insinuato mille dubbi riguarda il fatto che a questo punto si tratterà di scegliere tra due inclinazioni fondamentali.

Vorrete un portafoglio che cerca di portarsi a casa il massimo del rendimento attraverso una maggiore esposizione azionaria, pur al costo di maggiore volatilità e magari anche di lunghi momenti di sofferenza, rischio di sequenza e tutte le solite cose, oppure un portafoglio che vi farà girare il culo durante i bull market perché avrà sempre risultati mediocri ma che nei momenti di crisi mostrerà i muscoli e andrà meno giù degli altri?

Per vedere in maniera concreta queste due macro-alternative, facciamo la cosa che più ci piace fare qui a The Bull, ossia: un bel back test.

Anzi, non solo!

Oggi ci vogliamo rovinare.

Facciamo back test e Monte Carlo Simulation, quindi guardiamo sia come sono andate le cose nel passato per alcuni modelli di portafoglio, sia come statisticamente potrebbero performare nel futuro.

Ovviamente si usano sempre i dati passati, ma almeno si può avere un’idea di qual è la probabilità attesa per determinate fasce di rendimento.

Va beh, non si è capito un cazzo di quello che ho detto, ma tra poco sarà tutto più chiaro.

I tre portafogli modello che prendiamo sono i seguenti.

– Il classico 60/40, quindi solo azioni e bond governativi;

– Il portafoglio All Weather, quindi azioni, obbligazioni a lunga scadenza, obbligazioni a scadenza intermedia, oro e materie prime e infine

– Il Golden Butterfly, un’evoluzione del Permanent Porfolio di Harry Brown ideata da Tyler il tizio dietro allo splendido sito Portfolio Charts, che come noto è composto in parti uguali da Azioni, Small Cap Value, Bond Lunghi, Bond a breve scadenza e oro.

Partiamo dal passato e vediamo intanto come sono andati.

Per fare i conti devo per forza usare i dati in dollari, altrimenti se uso la versione con gli ETF Europei di questi portafogli non riesco ad andare più indietro di una ventina d’anni, cosa che renderebbe il back test piuttosto inutile.

Se tolgo la parte di materie prime all’All Weather e metto tutto oro, dato che non esiste un indice che tracca le materie prime da abbastanza tempo, ho i dati a partire dal 1987, quindi quasi 40 anni, che già inizia ad essere accettabile.

In questi 40 anni abbiamo un po’ di tutto:

– La grande crescita fino al 1999;

– Le grandi recessioni dei primi 2000;

– Di nuovo una grande crescita ma con tassi a zero nella seconda decade del 2000 e infinte

– La botta di inflazione del 2022.

A guardare il risultato secco, lungo questo 40 anni vince il 60/40 con un rendimento medio annuo — vi ricordo in dollari e con asset tutti Americani — dell’8,76%, contro 7,6% dell’All Weather e 7,95% del Golden Butterlfy.

Se guardiamo gli Sharpe Ratio non è che siano diversissimi, anche se il migliore è quello del Golden, 0,65, mentre il peggiore è quello del 60/40, a 0,61.

La deviazione standard, ossia la misura della volatilità del portafoglio, è chiaramente più alta per il 60/40, 9,73%, e più bassa per gli altri due, entrambi intorno a 7,4%.

Questo cosa significa.

Significa che il 60/40 nel lungo termine ha fatto nettamente meglio.

10.000 € investiti nell’87 sarebbero diventati 233.000 oggi, contro i 156.000 dell’All Weather e i 176.00 del Golden.

Però avremmo avuto drawdown decisamente più pesanti.

Durante il suo momento peggiore, il 60/40 avrebbe perso il 31% del proprio valore.

Il Golden, invece, non è mai sceso oltre il 17,4% e tra l’altro questa cosa sarebbe successa solo nel 2022, annus horribilis un po’ per tutti i portafogli. Se ci fermiamo al 2021, tra l’altro, il drawdown peggiore per l’All Weather si sarebbe fermato ad un accettabilissimo -12%, mentre con il 2022 andiamo addirittura al -22%.

Il motivo?

Nel 2022 sono andate malissimo sia le azioni, sia i bond, ossia l’85% dell’All Weather.

Ok, e questi sono i dati su tutto il periodo.

Vediamo però cosa sarebbe successo nei momenti peggiori.

Prendiamo per esempio il decennio perduto.

Non proprio esattamente quei dieci anni, altrimenti il test sarebbe troppo cherrypicked, diciamo dal 1995 al 2014.

Quindi 20 anni, 5 anni prima del decennio perduto e 5 anni dopo la grande crisi.

Qui le cose cambiano un po’, perché mentre il risultato sarebbe praticamente lo stesso per tutti, circa 8,9% all’anno, il 60/40 avrebbe avuto nel suo anno peggiore una perdita del 20%, mentre il Golden al massimo del 7% e l’All Weather non avrebbe MAI perso soldi in ogni singolo anno.

(sì ok un anno avrebbe fatto -0,3%, ma praticamente siamo in pari dai).

Un portafoglio che NON perde mai è veramente un sogno.

Anche in termini di Sharpe Ratio, il portafoglio di Dalio in questi vent’anni ha uno 0,92, contro lo 0,68 del 60/40.

Se prendiamo infine esattamente il decennio perduto, 2000-2009, il 60/40 fa a malapena un 2,5% all’anno, mentre l’All Weather quasi il 7% e il Golden addirittura il 7,62%.

Fare il 7% all’anno nel decennio in cui il mondo della finanza crolla a pezzi deve farti sentire il dio degli investimenti.

Vediamo l’altro lato della medaglia però.

Se prendiamo gli ultimi dieci anni, quindi dal 2014 al 2023, qui non c’è partita, il 60/40, grazie alla sua maggiore esposizione azionaria vince a man bassa sotto ogni punto di vista.

8% all’anno contro il 6% del Golden e il 5,6% dell’All Weather e miglior Sharpe Ratio, 1,02 contro rispettivamente 0,8 e 0,9.

Insomma, quando le cose vanno male, quei due portafogli fanno decisamente il loro.

Ma quando le cose vanno bene, ovviamente chi ha più azioni corre ad un’altra velocità.

E qui sei tu, cara ascoltatrice o caro ascoltatore di questo podcast che dà letteralmente i numeri, che devi sapere che tipo di investitore sei e che tipo di sofferenza preferisci:

– Preferisci soffrire quando il tuo portafoglio ha dei tonfi importanti durante i bear market;

– Oppure preferisci soffrire quando là fuori nel mondo tutti fanno soldi a palate e tu con il tuo portafoglietto superdiversificato fai il 6% all’anno mentre tutti gli altri fanno dall’8% in su?

Eh non c’è solo la sofferenza quando il portafoglio va male.

C’è anche quell’altra sofferenza, nota come invidia — non Nvidia quella dei chip, invidia quella del “ti rode il culo” che ti devasta l’anima se per 10 anni devi stare a guardare i tuoi vicini che comprando azioni a caso diventano ricchi e tu no.

Hai voglia a convincerti che — beh — nel lungo termine, lo sharpe ratio, la deviazione standard, bla bla bla…

Difficile comprarti la casa al mare con lo Sharpe Ratio.

Scegli il tuo portafoglio e avrai scelto il tipo di sofferenza a cui vorrai sottoporti.

Facciamo infine l’ultimo esperimento e proviamo a prevedere il futuro con una simulazione di monte carlo gentilmente offerta da portfolio visualizer, prima che mettano a pagamento pure questa funzione, che già il nuovo sito è una vera merda e non puoi più fare un sacco delle cose che gratuitamente potevi fare prima.

Per chi non lo sapesse, ma sicuramente almeno il 99,9% di voi lo sapranno già quindi scusate la pedanteria, una simulazione di Monte Carlo è metodo statistico basato su un algoritmo che genera valori casuali non correlati che seguono la distribuzione di probabilità che si suppone abbia il fenomeno che si sta analizzando.

In altre parole, si tratta di una simulazione in cui si prendono ad esempio i dati storici, come il rendimento passato di certe asset class o determinati portafogli, e si simulano dei possibili risultati futuri casuali che tengono conto della distribuzione di probabilità con cui si sono verificati questi rendimenti nel passato.

Come dire, è un modo per raccontare tutte le possibili storie che potrebbero capitare al tuo portafoglio cercando però di assegnare un certo livello di probabilità a ciascuna di esse.

I risultati più probabili saranno posizionati intorno al 50° percentile, mentre che ci si allontana dal 50° percentile avremo gli scenari via via meno probabili.

Tutto bellissimo, a condizione che i mercati si siano messi a studiare statistica e si ricordino che i rendimenti devono seguire una distribuzione normale, altrimenti va un po’ tutto a ramengo.

Però in attesa che qualcuno s’inventi qualche metodo più efficace per prevedere il futuro, la simulazione di Monte Carlo è il meglio che possiamo utilizzare per questo genere di cose.

Oddio, che sia il meglio non lo so, a parte un esame di statistica all’MBA non ne so molto sulla materia, quindi se c’è qualche esperto di statistica all’ascolto mi scriva.

Nel frattempo simuliamo con il monte carlo il possibile andamento futuro di questi 3 portafogli e consideriamo solo il 50° percentile sennò stiamo qua fino a domani.

Dunque per i prossimi 30 anni il Monte Carlo di portfolio visualizer, basato sui dati storici, prevede:

60/40:

– Da 6,5% a 12,5%, con il 9,35% all’anno posizionato al cinquantesimo percentile.

– La volatilità annualizzata è del 10%, mentre

– Lo Sharpe Ratio è intorno a 0,5.

9,35% mi sembra davvero tanto per un 60/40, però del resto la media degli ultimi 50 anni negli Stati Uniti è stata in effetti quella.

Se dobbiamo europeizzare l’investimento e tenere conto di tutte le motivazioni di cui parliamo spesso circa il fatto che i rendimenti futuri potrebbero essere inferiori rispetto a quelli passati, probabilmente i risultati intorno al decimo percentile, quindi intorno al 6,5% all’anno, sono più verosimili e sarebbe già tanta roba per un portafoglio fatto così.

Con l’All Weather abbiamo invece

– Un rendimento medio annuo che va dal 6,63% all’11,07%, con il 50° posizionato all’8,84%.

– La volatilità annualizzata è interno all’8,26% e infine

– Lo Sharpe Ratio e intorno a 0,55.

Da ultimo il Golden Butterfly:

– Rendimento medio annuo tra il 7,41 e l’11,66%, con il 50° he si trova intorno al 9,5%

– Una volatiltià annualizzata dell’8,45% e infine uno

– Sharpe ratio dello 0,61

Ora, visto così il Golden Butterfly sembra davvero il portafoglio perfetto.

Rendimento molto vicino a quello di un 100% azionario, ma con una volatilità praticamente della metà.

Detto altrimenti: come fare i soldi vivendo tranquilli.

Allo stesso tempo, se posso permettermi, queste stime mi sembrano mooolto generose, quindi sarei portato a resettare tutto al ribasso almeno di un paio di punti percentuali, per cui mi riterrei già abbondantemente soddisfatto.

Se il mio portafoglio facesse da adesso ai prossimi 30 anni il 7% all’anno in media, beh, ditemi solo dove mettere la firma.

Ad ogni modo ci si può basare su queste stime solo fino ad un certo punto, proprio perché le incertezze si posizionano da entrambi i lati.

– Se investo in un portafoglio classico che sovrappesa le azioni, potrei non solo soffrire un’alta volatilità, ma magari non ottenere davvero quei rendimenti che l’azionario ha dato nell’ultimo secolo;

– D’altra parte se investo in un portafoglio come All Weather o Golden, teoricamente comprimo il mio rischio, ma non è detto che questo minor rischio sia in grado di compensare il mancato rendimento derivante da una quota più limitata di equity.

Ancora una volta, investire significa che tipo di sofferenza vogliamo sceglierci.

Detto questo, la regola di The Bull che dice di impostare il portafoglio con azioni e obbligazioni in base alla regola 125 — anni — i tassi della fed per 5 ha ancora senso in questo momento?

– Da una parte ni, se considerati che la curva è invertita, la correlazione tra stocks e bonds è fortemente positiva, l’equity risk premium è piuttosto basso per via delle valutazioni molto alte e per l’incertezza sull’inflazione futura.
Soprattutto se uno vuole comprimere la volatilità del portafoglio e non vuole vivere cali troppo importanti, in teoria almeno, allora dovrebbe considerare dei portafogli che sottopesano le azioni e diversificano attraverso asset reali, come l’oro, le materie prime, i bond indicizzati all’inflazione, le azioni legate a infrastrutture e real estate, il cash e via dicendo.

– Dall’altra parte invece sì, continua ad essere valida soprattutto se la prospettiva di investimento è davvero di lungo termine e si vuole dare alle azioni la possibilità di esprimere tutto il loro potenziale di extra rendimento.

Detto altrimenti: se ci fa soffrire vedere il portafoglio andare giù, allora i portafogli — diciamo così — risk parity (anche se non sarebbe correttissima come definizione) possono essere un’opzione da considerare.

Se invece ci fa soffrire di più perderci le grandi cavalcate dell’azionario durante i suoi lunghi bull run, allora stocks and bonds con una significativa esposizione azionaria globalmente diversificata continua a rimanere l’opzione di default.

In definitiva, qualunque decisione prenderete vi provocherà una qualche forma di rimorso o di rimpianto.

Fatevene una ragione.

La cosa importante è che una volta scelta la strategia, quella venga mantenuta e non si provi a saltare di qua e di là in continuazione da un portafoglio all’altro, perché questa è probabilmente una ricetta sicura per il disastro.

Probabilmente qualunque tra questi portafogli, o mille altri costruiti con altrettanto buon senso, da qui ai prossimi decenni faranno il loro per far crescere il vostro patrimonio.

Qualcuno di più, qualcuno di meno.

Ma sapere che il rendimento atteso di tutti quanti è abbondantemente positivo, tutto sommato è una notizia confortante.

Almeno per me è così.

Tanto mi arrovello per capire quale sia la cosa migliore da fare.

Ma poi mi ricordo che la cosa che conta davvero è quanto risparmio riesco a investire il prima possibile qualunque sia il portafoglio.

Alla fine sarà questo, la mia capacità di generare extra reddito e risparmio, l’unica cosa che farà davvero tutta la differenza.

Grazie mille per avermi ascoltato per la 122esima volta, care amiche e cari amici di questo strampalato podcast artigianale che ieri alle 14:00, quando Spotify ha fatto uscire la consueta classifica giornaliera era il 6° podcast più amato d’Italia.

Grazie davvero a tutti voi che continuate a farlo stare lassù, in mezzo a giganti e superstar dell’intrattenimento italiano, per motivi che ancora faccio fatica a comprendere.

Grazie di cuore.

Come di consueto prima di chiudere, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi incasinano ogni certezza che vi eravate fatti e vi illudono di avervi fatto scoprire il portafoglio perfetto perché vince in tutte le stagioni dei mercati per poi concludere che alla fine quello che avete va bene così purché dentro continuiate a cacciarci i soldi sempre nuovi.

Per questo episodio è davvero tutto e noi ci ritroviamo domenica prossima con un ospite speciale che verrà a trovarci e di cui sfrutteremo la quarantennale esperienza nel mondo della finanza per parlare di tutti i temi che tanto appassionano questa straordinaria community di amanti del mondo della finanza e degli investimenti sempre qui, naturalmente, con The bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024
Facile.it
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