Asset allocation: la regola di The Bull

Azioni, obbligazioni, oro… ok, ma in che proporzioni li metto nel portafoglio? In questa puntata vediamo come si costruisce davvero un portafoglio: dal classico 60/40 ai “lazy portfolio”, fino alle versioni più fantasiose come l’All Season di Ray Dalio o il Golden Butterfly. Con un concetto chiave: non esiste il portafoglio perfetto, ma quello che ti fa dormire tranquillo la notte.

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38 minuti

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Punti Chiave

La costruzione del portafoglio può essere statica (Lazy Portfolio, 60/40) o dinamica (che si adatta alle variazioni di mercato e alla vita).

La regola di The Bull (125-età-tasso risk-free*5) è un punto di partenza per l'Asset Allocation dinamica.

Aggiungere il 5-15% di Oro migliora la diversificazione e protegge dagli scenari di alta incertezza.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Ci siamo, è finalmente arrivato il momento di mettere assieme un po’ di pezzi e iniziare a dar forma al nostro portafoglio di investimento.

Facciamo però prima una bella checklist delle attività preliminari:

– Numero UNO: abbiamo un budget, sappiamo quanto guadagniamo, quante  spese fisse abbiamo e quanto risparmio obbligatoriamente dedichiamo  ogni mese ai nostri investimenti; tutto il resto ce lo possiamo  spendere senza ritegno;

– Numero DUE: abbiamo un fondo di emergenza che copra da 3 a 12 mesi  di spese future, a seconda di quanto è instabile la mia posizione  professionale. Questi soldi vanno messi in uno strumento separato  dal nostro conto corrente principale, come un Conto Deposito  svincolabile o — forse meglio ancora — un ETF monetario, ossia un  ETF che in pratica replica il tasso dei prestiti interbancari. In  parola povere se i tassi di interesse della BCE sono circa al 2%,  più o meno un ETF monetario renderà 2%, tassato prevalentemente come  titoli di Stato, qunidi solo al 12,5% e non al 26% come qualunque  altro profitto finanziario.

– Numero TRE … beh … il numero tre è che dobbiamo cominciare ad  investire. E oggi vediamo come fare.

Allora, naturalmente non esiste una ricetta universale per investire con il massimo successo. Se ci fosse, sarebbe già perfettamente nota e per via dell’efficienza dei mercati la sua efficacia verrebbe ridotta dal fatto che la userebbero tutti. Come sappiamo, il mercato difficilmente regala opportunità “gratis”.

Quello che però possiamo fare è proporre dei modelli utili per guidare le nostre decisioni finanziarie con buon senso e metodo, così che poi ciascuno possa costruirsi il portafoglio che desidera in base al proprio profilo di investitore, alla propria pianificazione finanziaria e agli obiettivi di vita che vuole realizzare.

Perché — ricordiamoci — alla fine i soldi ci servono per spenderli per migliorarci la vita, non per accumularli come zio paperone e star lì a guardare il nostro tesoretto fino a consumarci l’anima.

Quello che cerco di spiegare in The Bull da un paio d’anni è che esistono diversi approcci alla costruzione del portafogli, che si possono però raggruppare sotto tre categorie:

– Il primo è l’approccio ATTIVO, che consiste nella scelta  discrezionale di titoli e strumenti che andranno a comporre il  portafoglio. A meno che però non abbiate battuto la testa e vi siate  dimenticati tutto quello che abbiamo detto nei video precedenti,  beh, sapete già perché questa non sarà mai la strada che  proporremo.  Il motivo è molto semplice: bassa probabilità di ottenere risultati  eccezionali e alta probabilità di ottenere risultati mediocri e il  motivo principale non è che i gestori di fondi attivi sono poco  competenti, anzi: il motivo principale sono i costi. Nella maggior  parte dei casi la competenza del gestore non è in grado di produrre  un rendimento sufficientemente alto e sufficientemente a lungo per  compensare l’impatto dei costi.

Gli altri due approcci sono quelli che invece scaldano il nostro cuore — e per l’idea che mi sono fatto io negli anni, leggendo migliaia e migliaia di pagine di finanza e soprattutto intervistando decine di straordinari professionisti, investitori, professori di finanza, divulgatori — come dire, io ho inclinazione verso l’ultimo approccio.

– Il secondo approccio potremmo chiamarlo PASSIVO o STATICO e consiste  nell’idea di scegliere un modello di portafoglio e in buona sostanza  tenercelo per tutta la vita con minimi adattamenti — o almeno fino  a quando andiamo in pensione e quindi terminerà la nostra fase di  accumulo.

C’è una nobile tradizione di grandi protagonisti della storia della finanza, che hanno dato un grosso contributo a buona parte delle cose di cui parlo ossessivamente da due anni e mezzo, che è fortemente a favore di una gestione pressoché statica del portafoglio: il fondatore di Vanguard John Bogle, il professore di Princeton Burton Malkiel autore del besteller planetario A Spasso per Wall Street, Charles Ellis (di cui vi consiglio il libro scritto con Malkiel Come investire), l’ex neurologo diventato guru della finanza persaonel William Bernstein (autore di libri clamorosi come I 4 pilastri dell’investimento) sono solo alcuni dei grandi nomi che suggeriscono portafogli molto essenziali che richiedono solo minimi aggiustamenti in base alla fase della vita in cui ci si trova.

Celebri esempi di portafogli statici pensati per essere mantenuti praticamente immutati nel corso della vita sono i cosiddetti Lazy Portfolios, portafogli “pigri” proprio perché non richiedono all’investitore una particolare attività di manutenzione, se non un periodico ribilanciamento.

Come dite?

Alla parola “ribilanciamento” avete aggrottato la fronte?

Va beh, faremo un video dedicato e se volete ci sono tanti episodi audio di The Bull sul tema.

Però, per farla breve: ribilanciare vuol dire tenere le proporzioni dei vari asset dentro il portafoglio sempre più o meno stabili.

Se per esempio io oggi decido che il mio portafoglio ideale è fatto al 50% di azioni e al 50% di obbligazioni è probabile che tra qualche anno mi troverò con molte più azioni che obbligazioni, perché in media le azioni hanno un rendimento maggiore.

Oppure magari durante una crisi economica i prezzi delle azioni possono crollare, e quindi il mio portafoglio avrà in media più obbligazioni che azioni.

Ribilanciare vuol dire fare in modo di tenere l’asset allocation allineata ai pesi che avevo previsto.

Se ad un certo punto ho troppe azioni posso investire per un po’ solo in obbligazioni per ripristinare i pesi giusti, oppure posso vendere un po’ di azioni e comprare un po’ di obbligazioni.

E ovviamente l’opposto: se ho troppe obbligazioni investo solo in azioni o vendo un po’ di obbligazioni per comprare azioni.

Questa cosa sembra completamente controintuitiva perché in pratica consiste nel vendere gli asset che stanno andando meglio per comprare quelli che stanno andando peggio.

Però avremo modo di capire perché questa cosa è perfettamente logica e tipicamente una buona idea per il rendimento a lungo termine del portafoglio.

Ci arriveremo, per ora teniamola qui-

Dicevo, i portafogli lazy sono dei portafogli modello pre-confenzionati, pensati per rimanere sempre quelli senza troppi aggiustamenti.

Faremo un video dedicato ai Lazy Portfolio — anzi se state guardando questo video dopo metà ottobre del 2025 lo troverete già pronto in un’altra playlist — e vedremo quelli principali.

Facciamo però giusto tre esempi:

Il portafoglio più famoso della storia, come avevamo detto nel video sei, è il cosiddetto SESSANTA/QUARANTA, ossia un portafoglio composto al 60% da azioni e al 40% da titoli di stato.

Questo portafoglio, come tutta la finanza, del resto, è nato negli Stati Uniti, quindi quando solitamente se ne parla si fa riferimento a S&P 500 e Treasury con scadenza intermedia.

Se volessimo però europeizzarlo, dato che noi non abitiamo negli Stati Uniti e quindi non ha nessun senso investire solo in asset americani, la composizione potrebbe essere:

– 60% su un indice come l’MSCI All Country World o MSCI World, se  volessimo solo i paesi sviluppati e

– 40% su un indice come il Bloomberg Euro Aggregate Treasury. Se  vogliamo invece avere un indice obbligazionario globale, potremmo  usare il Bloomberg Global Aggregate Bond con copertura valutaria in  Euro.

Approfittiamo per dire una cosa al volo sulla copertura valutaria.

Come dicevamo nello scorso video, sulle obbligazioni si tende a dare maggior peso a quelle denominate in Euro, perché il rischio cambio è più alto del rischio dell’investimento stesso.

Scoprirete presto però, appunto, che ci sono tanti etf con la dicitura Eur hedged, cioè che coprono il cambio, ossia annullano gli effetti dei cambi valutari.

Sembrerebbe una manna dal cielo, perché uno dice: “con questi investo in quello che voglio e non devo preoccuparmi del rischio cambio”.

Mmmhhh no…

Mi spiace..

Non funziona così.

Se in finanza qualcosa sembra una manna dal cielo, molto probabilmente non è una manna dal cielo, siete voi che vi state perdendo qualcosa.

Questo qualcosa, nel caso degli strumenti a cambio coperto, è il costo implicito del cambio, che tra l’altro è un costo infimo perché non lo vedete nel TER dell’ETF, ma è un costo indiretto che va ad erodere il rendimento.

Un po’ alla buona potremmo dire che questo costo corrisponde circa alla differenza tra i tassi di interesse della valuta estera e quelli della nostra valuta.

Per esempio prendiamo il caso che più ci interessa: euro/dollaro.

Nel momento in cui sto registrando i tassi di interesse fissati dalla Federal Reserve negli Stati Uniti sono circa al 4%.

Quelli della BCE sono al 2%.

Se quindi investo in uno strumento in euro con il cambio coperto nei confronti del dollaro, devo aspettarmi almeno un 2% di costi in più, che andranno a mangiarsi via una quota equivalente di rendimento.

Quanto avrebbe reso nel passato un portafoglio fatto così?

Allora, il problema è che l’Euro esiste solo dal 1999 ed ETF che replicano titoli di Stato in Euro esistono da ancora meno.

Per fare un backtest un po’ più significativo usiamo un trucco, utilizziamo un indice di titoli di Stato dei Paesi Sviluppati con copertura in euro, che probabilmente prima del 99 utilizza il vecchio marco tedesco come proxy per l’euro.

Il risultato a spanne degli ultimi 40 anni è stato un dignitosissimo 7,5% medio all’anno.

Tradotto: l’equivalente di 10.000 € investiti a gennaio 1985, a dicembre 2024 sarebbero diventati circa 184.000.

Se invece oltre ai 10.000 € iniziali avessi investito anche 200 € al mese per questi 40 anni, oggi avrei circa 670.000 €.

Come potete vedere qui, non si sarebbe trattato di un viaggio di salute.

Ci sarebbe stato un lunghissimo periodo estremamente fortunato dal 1985 al 1999, avremmo visto i sorci verdi dal 2000 al 2009 e nuovamente avremmo avuto una corsa stellare fino al 2024, interrotta solo dal brusco shock del 2022.

Nel complesso però, si capisce perché questo portafoglio abbia avuto tanta gloria, dato che per anni ha fornito una diversificazione quasi ideale:

– Quando le azioni andavano bene portavano rendimenti pazzeschi;

– Quando andavano male i titoli di stato salivano di prezzo e  limitavano i danni.

Nel suo momento peggiore, un portafoglio così avrebbe perso quasi il 30% del suo valore, a marzo 2003 e a febbraio 2009.

Nel primo caso ci avrebbe messo quasi 6 anni a tornare al punto di partenza.

Ovviamente queste statistiche si riferiscono ad un portafoglio in cui metto soldi all’inizio e poi non aggiungo più nulla.

Se invece investo mese per mese in genere succede che la crescita è un po’ più lenta, ma anche i cali sono meno bruschi, soprattutto se avvengono nei primi anni.

Questa cosa si chiama rischio di sequenza, è un concetto importantissimo e fondamentale quando si investe, al pari di quello del ribilanciamento, ma ci torneremo in un altro video sennò questo due 2 ore.

Se vi piace un portafoglio fatto così, questa è sicuramente una soluzione a basso consumo.

Non richiede nessuna riflessione particolare, giusto un minimo di manutenzione una volta all’anno per ribilanciare e poco altro.

Scordatevi però che anche nei prossimi 40 anni renda in media 7,5% all’anno.

Non è impossibile, ma poco probabile.

I motivi li abbiamo spiegati nello scorso video.

L’ambiente ideale per un portafoglio 60/40 è composto da:

– Bassa inflazione;

– Basso debito pubblico;

– Tassi di interesse in discesa per molti anni, che negli Stati Uniti  sono passati dal 19% del 1981 a 0% nel 2020;

– Prezzi delle azioni che crescono più degli utili e diventano via via  più cari;

Che è esattamente quello che è successo nei 40 anni precedenti il 2022.

In futuro invece possiamo aspettarci;

– Inflazione più alta;

– Elevati debiti pubblici;

– Tassi di interesse più alti o comunque che non potranno scendere di  20 punti percentuali;

– Prezzi delle azioni che non potranno gonfiarsi all’infinito,  soprattutto quelle americane, visto che già oggi il prezzo medio  delle azioni dell’S&P 500 è 22 volte gli utili medi, rispetto alla  media storica di 15.  Questo non vuol dire necessariamente che succederanno cose brutte  nel futuro, ma è probabile che i rendimenti futuri saranno un po’  più bassi del passato perché oggi partiamo da prezzi molto più  elevati.

Il 60/40 resta comunque un portafoglio degno di rispetto.

L’importante è settarsi aspettative corrette.

Forse un rendimento medio composto di lungo termine compreso tra il 5 e il 6% è più realistico.

Se l’inflazione non va fuori controllo e resta nell’ordine del 2% in europa sarebbe comunque tanta roba.

Se investo 500 € al mese per 30 anni al 6% fa 500.000 €; per 40 anni fa un milione di euro.

E questo è uno

Negli anni però sono nati altri modelli di portafoglio pensati proprio per rispondere bene in momenti in cui invece sia azioni che obbligazioni vanno male, tipicamente quando aumenta l’inflazione o in generale ci sono shock economici di varia natura.

Uno di questi è il famoso portafoglio All Season proposto dal leggendario fondatore del più grande Hedge Fund del mondo Bridgewater Associates, Ray Dalio.

Scioccato dall’iperinflazione degli anni ’70 e preoccupato che cose del genere possano accadere in futuro, Dalio fu uno dei primi a pensare a modelli di portafoglio chiamati “risk parity”, dove cioè il rischio del portafoglio viene distribuito in parti uguali tra i vari componenti.

Per esempio, siccome le azioni sono più rischiose delle obbligazioni, lui mette più obbligazioni che azioni e poi aggiunge anche altri asset non correlati, come materie prime e oro.

In realtà per fare un vero portafoglio risk-parity bisogna usare la leva finanziaria e altri accorgimenti non esattamente alla portata dell’investitore medio.

Qualche anno fa, però, intervistato da Tony Robbins, Dalio propose questa formula per l’investitore privato.

– 30% Azioni

– 40% Titoli di Stato a lunga scadenza (quindi oltre i 10-15 anni)

– 15% Titoli di Stato a scadenza intermedia

– 7,5% di oro e

– 7,5% di materie prime.

Anche qui, per avere un back test significativo uso qualche trucco.

Intanto prendo i dati in dollari e non in Euro, altrimenti non ho modo di andare indietro oltre 10-15 anni.

Uso solo titoli di Stato americani.

E poi faccio 15% di oro, senza materie prime, per lo stesso motivo, perché gli indici sulle commodities non esistono da tantissimo.

Risultato degli ultimi 40 anni?

Circa 7,6% di rendimento medio annuo, che probabilmente per un investitore europeo, ipotizzando che avesse avuto gli strumenti per investire in questa roba 40 anni fa — cosa non vera — sarebbe stato più probabilmente un 6,5% di rendimento, quindi un po’ meno del 60/40.

La cosa mirabile di questo portafoglio e che per esempio nel decennio peggiore, quello dal 2000 al 2009, il 60/40 avrebbe perso quasi il 30% ad un certo punto e complessivamente avrebbe reso un 2-3% di media, a seconda della valuta che consideriamo.

L’ALL Season invece avrebbe continuato a rendere circa 6-7% all’anno, perché avendo meno azioni avrebbe sofferto meno, mentre avendo tante obbligazioni a lungo termine in quel periodo si sarebbero apprezzate molto visto che la federal reserve taglio i tassi in maniera importante, da circa il 6% a zero.

Possiamo aspettarci che questo sia il portafoglio perfetto che andrà sempre bene in ogni circostanza di mercato?

Personalmente ho qualche dubbio, soprattutto perché il punto di forza di quel portafoglio dal 1981 al 2011 sono stati i titoli di stato a lunga scadenza, che in quel periodo, in dollari, hanno reso addirittura l’11% di media all’anno, più delle azioni.

In futuro però boh…

Debiti molto alti.

Tassi che non possono più scendere così tanto.

Non lo so.

C’è molta diffidenza generale verso i titoli di debito a lunghissima scadenza.

Solo nel 2022 i titoli obbligazionari con scadenze sopra i 20 anni hanno perso facilmente anche il 40% del loro valore.

Diversamente dalle azioni, che in un paio d’anni possono fare anche +50%, le obbligazioni invece ci mettono una vita a recuperare dei crolli così pesanti.

Un portafoglio invece molto interessante pensato per provare a cogliere capra e cavoli rispetto ai due precedenti è il cosiddetto Golden Butterfly.

Questo portafoglio è estremamente semplice ed è fatto in questo modo:

– 20% azioni di grandi società

– 20% azioni di piccole società

– 20% di titoli di stato a lunga scadenza

– 20% di titoli di stato a breve scadenza

– 20% di oro

Ci sarebbero tante cose da spiegare sulla ratio di ogni singolo elemento del portafoglio, ma per ora non complichiamoci la vita e proviamo a vedere un backtest semplificato.

Anche qui, per avere dati in euro che vanno molto indietro nel tempo bariamo un po’ e facciamo:

– 40% MSCI world (quindi solo società a grande e media  capitalizzazione)

– 40% titoli di stato intermedi

– 20% oro

Un portafoglio così avrebbe reso più o meno come l’All Season, circa 7,5% in dollari e 6,5% in euro e come nel caso dell’All Season, anche questo avrebbe avuto una vita molto più rilassata, dato che se escludiamo il 2022, annus horribilis per tutti i portafogli con tanti bond, la sua perdita massima sarebbe stata più più della metà della perdita massima accusata da un 60/40.

In dollari almeno.

In euro il discorso è un po’ diverso perché nei primi anni 2000 l’euro si era rafforzato parecchio sul dollaro, quindi un europeo avrebbe subito danni più gravi dallo scoppio della bolla delle dot-com, accentuati dalla svalutazione del dollaro contro l’euro.

Già da questi tre esempi dovreste aver capito una logica di carattere generale, su cui torneremo spesso.

Più un portafoglio ha un’elevata quota di azioni, maggiore sarà il rendimento atteso di lungo termine, ma probabilmente servirà più stomaco, perché le azioni rendono di più perché ogni tanto hanno dei crolli molto importanti, e non tutti sono disposti a sopportare magari un -40/-50% del valore dei propri risparmi.

Più un portafoglio è diversificato con bond e altre cose — come oro e materie prime — in linea generale minore sarà il rendimento atteso, ma il viaggio sarà un po’ più tranquillo.

Questa cosa che ho appena detto è generalmente corretta, ma non del tutto corretta.

Bisognerebbe fare tante precisazioni anche di natura matematica, che magari faremo in futuro e che già tante volte sono state fatte nei vari episodi di The Bull.

Diciamo solo una cosa.

Uno può dire: “va beh sticazzi il viaggio, se investire in azioni alla fine rende di più, porto pazienza, ogni tanto crollano, ma alla fine divento multimilionario”.

Sì, in teoria è vero.

In pratica ci sono un po’ di asterischi da mettere:

– NUMERO UNO: non è sempre vero che le azioni rendano più delle altre  asset class; per esempio dal 1981 al 2011 i titoli di stato hanno  reso generalmente di più. Dal 2000 al 2025 l’oro ha reso più delle  azioni. Dipende molto da quando inizi ad investire e dai decenni che  la storia ti riserva. La statistica è una cosa. La tua vita è  un’altra.

– NUMERO DUE: avere un portafoglio con un minor rendimento atteso ma  anche minore volatiltià non da’ solo sollievo psicologico, ma ha un  valore anche tangibile in termini economici.

– Intanto io non so cosa mi succederà nella vita. Non so se avrò  effettivamente bisogno dei miei soldi tra 30 anni o se tra 15  voglio cambiare vita e comprarmi una casa al mare o se voglio  lanciare una start-up e qundi ho bisogno di un patrimonio di  riserva stabile. Più il portafoglio è volatile, meno può  supportare i vari obiettivi della mia vita durante il corso  della mia vita.  Ricordiamoci che l’obiettivo non è solo avere un tot di soldi  quando vado in pensione, ma soprattutto finanziare gli obiettivi  della mia vita in maniera continua.  Ci torneremo su questo concetto.

– L’altro beneficio è aritmetico. Se io investo un po’ ogni mese  il mercato in cui investo può anche fare in media — che so —  7-8-9% all’anno. Ma guadagnerò di meno se per esempio gli anni  buoni ce li ho all’inizio, mentre guadagnerò di più se inizio  con anni negativi e poi arrivano anni positivi.  E ovviamente succede l’esatto opposto se invece di aggiungere  soldi al portafoglio, tolgo soldi al portafoglio, una volta che  inizio a vivere di rendita.  È il rischio di sequenza a cui accennavamo prima.  Quindi meno il portafoglio traballa, minore sarà questo rischio  e io potrò pianificare meglio il mio futuro.

– NUMERO TRE: sulla carta è facile dire, va beh, -40%, eh che sarà  mai? Tanto poi risale. Fidatevi:

– Uno, non lo sai se risale. Finora è andata così, però in futuro  vai a sapere

– Due, quando il mercato fa -40% non è che intorno sono rose e  fiori. Probabilmente è successo un macello apocalittico  nell’economia reale. Nel 2008 fallivano banche, le imprese  chiudevano ogni giorno, milioni di persone hanno perso il lavoro  e la casa. Bisogna avere uno stomaco enorme per digerire certe  cose.  Certo in quei momenti investire in azioni sarebbe la cosa  ideale, perché da lì in poi solitamente fanno grandi  rendimenti.  MA mentre ti ci trovi dentro, potresti maledirti per essere  stato troppo avido e non aver diversificato di più il  portafoglio.

Regola generale della finanza comportamentale: perdere 1.000 € fa male il doppio di quanto faccia piacere guadagnare 1.000 €.

Il rapporto con perdite e guadagni non è simmetrico.

Tenetene conto nella scelta del vostro portafoglio.

Come regola di massima, il grande William Bernstein, che tra l’altro ho intervistato in The Bull all’episodio 214, ha sempre suggerito questa regola di buon senso: pensa alla massima perdita che sei in grado di sopportare e moltiplica per 2-2,5, quella dovrebbe essere la massima quantità di azioni da mettere in portafoglio:

– Sei disposto a sopportare al massimo un 20% di calo del tuo  portafoglio? Allora non più di 40-50% in azioni;

– Se disposto a sopportare tranquillamente anche un -40% o più? Allora  anche 80-100% va bene.

Comunque se volete farvi una bella carrellata di tutti i principali portafogli lazy vi consiglio due siti fatti molto bene:

– Uno è  www.portfoliocharts.com
– L’altro è  www.lazyportfolioetfs.com


Dove potete fare backtest su qualunque cosa e considerare se qualche portafoglio pre-confenzionato di cui vi innamorate e che volete scegliere come veicolo di investimento standard senza troppe noie.

Questi sono solo 3, ma ce ne sono decine e decine, dal Global Market Portfolio al No Brainer Portfolio, dal Dave Swensen al Larry Swedroe, dal William Bernstein al Rick Ferri e così via.

Questi portafogli sono stati pensati per avere una soluzione di investimento “plug-and-play”, mediamente solida e di buon senso, che non richiede alcun adattamento né alla propria specifica situazione, né al contesto macroeconomico in cui l’investitore si trova. Si sceglie un portafoglio e si tiene quello più o meno per sempre.

Bene.

Questa era la versione statica basata sul modello del portafoglio pigro.

Dall’altra parte però esiste una altrettanto nobile schiera di grandi ricercatori e investitori che ha un approccio più “quantitativo” e preferisce l’idea di una gestione che potremmo chiamare dinamica o sistematica del portafoglio basata non su decisioni discrezionali, ma su regole sistematiche che ci portano a modificare il portafoglio nel tempo e ad avere una gestione, diciamo, più pensata dei nostri investimenti. Tra questi figurano il premio nobel Robert Merton, John Campbell, Cliff Asness, Antti Ilmanen, Robert Arnott, Meb Faber, Victor Haghani — solo per citare alcune rockstar del panorama finanziario americano.

Naturalmente è impossibile dire che un approccio sia oggettivamente “migliore” dell’altro. Esiste una forte componente soggettiva che porta a concludere che per qualcuno è meglio il primo approccio, mentre per qualcun altro è meglio il secondo.

Diciamo che l’approccio statico e “pigro” è probabilmente adatto a chi rientra in almeno una di queste situazioni:

1. Se si vuole dedicare il minore tempo possibile alla gestione del  portafoglio: in questo caso magari ci si vuole  concentrare esclusivamente sulla creazione di reddito, si è  soddisfatti con un portafoglio basilare di buon senso in cui  investire e non si desidera impiegare energie cognitive e tempo per  occuparsi dei propri investimenti in maniera ‘attiva’.

2. Poi, se Il capitale a disposizione è contenuto: non  c’è una soglia oggettiva, però se il portafoglio è  significativamente inferiore ai 100.000 € il valore aggiunto di una  gestione dinamica è irrisorio. Con capitali da sei cifre in su,  invece, il beneficio marginale di una gestione dinamica aumenta.

3. Se si è all’inizio del percorso di investimento o la capacità di  risparmio e investimento mensile è relativamente elevata rispetto al  valore del portafoglio: in questo caso il singolo  fattore conta di più è il capitale che viene investito  periodicamente e quindi la gestione del portafoglio passa in secondo  piano.  Cioè se ho 10.000 € investiti e sto aggiungendo 500 € al mese,  ovviamente è questo che fa tutta la differenza.  Se invece ho 200.000 €. Investiti e aggiungo anche 1.000 e al mese,  ciò che conta è soprattutto il rendimento del portafoglio, non i  risparmi che aggiungo.

4. E poi c’è il punto più tecnico ovvero: ha senso una gestione  statica se si pensa che il premio al rischio dell’investimento  azionario sia costante e che il rendimento atteso per il futuro sia  in linea con quello storico.

Se invece si pensa che il premio al rischio vari nel tempo e che ci sono momenti in cui è più alto e altri in cui è più basso, allora può valer la pena avere una gestione dinamica.

E questa è la posizione di chi scrive.

Vi ricordate? Il prezzo di un’azione esprime il rapporto tra i profitti futuri e il rendimento atteso, cioè il rendimento minimo che pretendo per investirci. E questo rendimento minimo è dato dalla somma tra l’interesse pagato da un investimento quasi a zero rischio come un titolo di stato e il premio al rischio.

Senza stare a complicarci troppo la vita spiegando il perché, sembra invece più probabile che il premio al rischio non sia fisso, ma cambi nel tempo. Qualcuno dice che dipende dalle varie fasi del ciclo economico, che lo porta ad essere elevato durante una crisi e più basso durante un boom economico;

Qualcun altro invece pensa che sia più una questione motiva, cioè il premio al rischio varia per la tendenza umana ad oscillare tra momenti tra avversione alle perdite ed eccesso di ottimismo.

Qualunque sia il motivo, sono stati prodotti abbastanza paper tipo QUESTO e QUESTO che fanno vedere in maniera piuttosto evidente questa alternanza nei rendimenti attesi di lungo termine dei mercati azionari:

– Quando per esempio il rapporto tra prezzi e utili è basso,  solitamente alla fine di una crisi economica, il rendimento dei  10-15 anni successivi tende ad essere molto positivo;

– Quando invece è alto, solitamente alla fine di una lunga fase di  espansione economica (tipo quella in cui ci troviamo o in cui ci  trovavamo nel 1999), il rendimento dei 10-15 anni successivi tende  ad essere mediocre.

Non è una cosa certa, non è scritta nella pietra e non è che si possa sfruttare così bene da fare soldi a palate.

Però diciamo che si possono usare dei criteri per provare ad adattare un asset allocation che varia nel tempo in base ad una serie di criteri che sono sia oggettivi — e legati appunto al contesto di mercato — sia soggettivi, legati cioè sia alla mia propensione al rischio che ai miei obiettivi.

Ora, ci sarebbe un modello che tiene insieme tutti questi elementi e che parte da un’idea del 1969 del premio Nobel Robert Merton e che parte da questa formula qua:

k =

però forse non è il caso di tramortirvi con una roba che ha dentro 5 lettere, di cui tre lettere greche e un valore quadratico.

Se siete interessati a questa cosa — di cui io sono letteralmente innamorato — vi consiglio gli episodi 184 e 230 di The Bull.

E poi sicuramente a partire da metà ottobre faremo un video su questo argomento più nel dettaglio.

Ovviamente se state guardando questo video con un po’ di ritardo rispetto a quando è uscito, probabilmente quel video l’ho già fatto e lo trovate alla sezione asset allocation.

È più intuitiva, anche se un po’ meno flessibile e decisamente imperfetta, ma per cominciare può essere più che sufficiente.

Questa formuletta è nota come la Formula di The Bull — cioè è nota a chi segue il mio podcast, al di fuori non la conosce nessuno.

L’idea molto semplice che ci sta dietro è questa:

– Partiamo da un portafoglio molto semplice, fatto solo da un ETF  azionario, per esempio sull’MSCI ACWI, e uno obbligazionario, per  esempio un ETF sul Bloomberg Euro Aggregate Treasury. Quando  dobbiamo investire nell’uno e quanto nell’altro?

– La formula parte dal presupposto che tipicamente, man mano che ci  avviciniamo alla pensione, una persona voglia sempre meno azioni e  sempre più obbligazioni, perché avrà più capitale, meno esigenza di  far crescere ulteriormente i propri soldi e una maggiore esigenza di  ridurre il rischio dei propri investimenti, perché avrà meno anni di  fronte a sé per sopportare una crisi e i relativi tempi di recupero.

– L’altro presupposto è che uno dei più importanti market mover in  finanza, cioè una di quelle cose che fa muovere i mercati, sono i  tassi di interesse.

– Cosa succede tipicamente: quando i tassi di interesse sono più alti,  solitamente il premio al rischio azionario è più basso e viceversa,  quanto i tassi sono molto bassi c’è poca convenienza a investire in  obbligazioni e il mercato azionario tende a crescere di più.  Più o meno e in media.

Ora, noi dobbiamo chiederci.

Se voglio investire a medio-lungo termine, qual è l’asset con meno rischio in cui mi conviene investire?

Probabilmente un titolo di Stato decennale di paesi senza rischio di credito, come Germania e Stati Uniti.

Ora, ammettiamo appunto di voler investire nell’MSCI ACWI. Questo indice è composto per quasi due terzi da azioni americane, quasi un terzo da società degli altri Paesi sviluppati e meno del 10% da società dei Paesi emergenti. Lasciamo da parte i titoli di stato dei Paesi Emergenti, che difficilmente possono essere considerati “senza rischio”, i principali asset senza rischio con scadenza decennale restano i titoli di Stato americani, tedeschi, inglesi, australiani, svizzeri e giapponesi.

Senza complicarci troppo la vita — che tanto essere precisi in una formula che è imprecisa per definizione non ha senso — prendiamo i due titoli di Stato più importanti, i Treasury e i Bund e facciamo una media ponderata del rendimento che hanno in questo momento.

Diciamo che i Treasury rendono 4% e i bund 2,5%.

Abbiamo detto che gli Stati Uniti pesano due terzi dell’MSCI ACWI, quindi la media ponderata è circa 3,5%.

Se vogliamo usare 4% va bene lo stesso.

Se vogliamo usare 2,5% va bene lo stesso.

Se vogliamo usare una media ponderata precisa di tutti i principali titoli di stato in proporzione ai pesi che i singoli mercati hanno nell’MSCI ACWI va bene lo stesso.

Ci interessa l’ordine di grandezza, non il numero preciso.

A questo punto, ipotizziamo di avere 40 anni e inseriamo tutti questi numerini nella celebre formula di The Bull che suggerisce di allocare in azioni una percentuale del proprio capitale investibile uguale a

125 — anni — tasso senza rischio  500

Quindi nel nostro caso

125 — 40 — 0,035  500 = circa 67%

Un’allocazione equilibrata a 40 anni con questi livelli di interessi ‘senza-rischio’ sarebbe quindi circa 67% azioni, per esempio nel MSCI ACWI, e 33% titoli di stato, per esempio nel Bloomberg Euro Aggregate Treasury.

Se vi state chiedendo perché ho considerato i anche i titoli di stato americani se poi investiamo solo in quelli Europei, beh, a logica direi che il motivo è che a me interessano le variazioni nel premio al rischio azionario. Quindi se so che investirò due terzi della parte azionaria in società americane, il premio al rischio delle azioni americane sarà probabilmente legato al rendimento dei titoli di stato americani.

Potrei usare un’altra interpretazione è invece che usare i titoli decennali basarmi sui titoli a breve scadenza, che sarebbe il vero tasso senza rischio, dato che quelli decennali hanno un po’ di rischio duration.

Però oggi la curva è molto piatta e cambierebbe davvero poco.

Se quelli a breve rendessero 1% e quelli decennali 4% già sarebbe un altro discorso, ma oggi siamo lì lì.

A distanza di oltre due anni dalla prima volta che ne ho parlato, continuo a ritenere che sia una buona regola, basata su questi due principi:

a) Ridurre progressivamente l’esposizione azionaria man mano che ci si  avvicina alla fine della vita lavorativa;

b) Ridurre l’esposizione obbligazionaria quando i rendimenti sono più  bassi e aumentarla quando sono più alti, così da evitare per  esempio il bagno di sangue di chi nel 2021 aveva fatto il pieno di  obbligazioni con i tassi di interesse a zero e l’anno dopo si è  trovato sotto del 30% su un’asset class che dovrebbe essere senza  rischio.

Questa formula ha ovviamente qualche limite: il primo è che non considera direttamente fattori che incidono sul profilo soggettivo di rischio dell’investitore; il secondo è che non considera direttamente i rendimenti attesi per diversi mercati, ma ipotizza che sulla parte azionaria si investa in un indice globale PUNTO, limitando altre possibilità.

Ora, è vero che l’età e i task risk-free sono parzialmente correlati ad entrambi i punti, perché ovviamente con l’avanzare dell’età solitamente si riduce anche la capacità di assumersi rischi mentre più sono alti i tassi, minori sono i rendimenti azionari attesi (il più delle volte almeno).

Però ovviamente questa formula è solo una regola di massima per aiutare l’investitore a bilanciare la quantità di rischio che si vuole prendere con la sua situazione personale e i tassi d’interesse di un certo momento.

Fatto questo suggerisco un paio di possibili accorgimenti

PRIMO ACCORGIMENTO: considerate sia la vostra propensione al rischio che l’orizzonte temporale dei vostri obiettivi:

– Per esempio, se non ve la sentite di rischiare dei cali del 30%, un  portafoglio con il 67% di azioni questo rischio lo corre. In tal  caso riducete un po’ la parte azionaria. Al contrario se siete tutti  capitan coraggio fate il contrario.

– Oppure, se siete certi che i soldi che avete nel vostro portafoglio  OGGI non vi serviranno sicuramente per i prossimi 15-20 anni è un  conto. Se invece avete il dubbio che magari tra 5-10 anni volete  fare qualche grossa spesa — tipo cambiare casa e comprarne una più  grande, o vi si sposano tre figli di fila e vi tocca pagare tutto,  insomma le solite cose della vita, ecco tenete conto anche di  questo.  Per esempio si può fare un doppio check e fare 7 moltiplicato per il  numero di anni in cui sicuramente non metterete mano ai vostri  risparmi.

– Forse vi servono tra 5 anni? 35%-40% di azioni al massimo, anche  se la formula vi fovess suggerire 60 o 70%

– Vi servono sicuramente tra non prima di 10-15 anni? Seguite  quello che prescrive la formula e se avete stomaco potete osare  anche di più.

SECONDO ACCORGIMENTO: come abbiamo detto sia nell’altro video che parlando dei lazy portfoglio, ci sono dei buoni motivi per pensare che una certa quota di asset cosiddetti reali, possa essere una buona idea.

Reali vuol dire che in qualche modo si apprezzano se sale l’inflazione, tipicamente oro, materie prime, bond indicizzati all’inflazione.

Ci sono poi anche asset più complessi, ma per ora non li tocchiamo.

Sui bond indicizzati all’inflazione ho un’opinione un po’ altalenante, perché non mi è chiaro fino in fondo se il gioco valga la candela, dato che la protezione dall’inflazione che offrono si paga in termini di rendimento atteso nel lungo termine.

Se però l’inflazione è qualcosa che preoccupa particolarmente, in particolare se si è in una fase avanzata della vota con una componente obbligazionaria rilevante, si può considerare di avere una parte di bond indicizzati all’inflazioni (ed esistono ETF che per esempio replicano solo i titoli di stato europei inflation-linked).

Anche sulle materie prime non ho un’opinione forte.

Da un lato direi: se devo diversificare, diversifico bene.

Dall’altro non è l’investimento più efficiente del mondo.

Ho sicuramente una posizione più positiva sull’oro.

Come asset in sé mi sta un po’ qua.

Warren Buffett ha ragione a considerarlo una cosa assurda: spendiamo soldi e risorse per scavare buche per tirarlo fuori per poi scavare altre buche, costruire caveau e rificcarcelo dentro.

E questa cosa per 8 miliardi di persone ha valore.

Un alieno che ci osservasse dall’alto avrebbe qualche problema a comprenderlo.

D’altra parte, i dati ci sono.

L’oro è uno dei migliori asset per diversificare un portafoglio e il suo rendimento reale da quanto il suo prezzo è svincolato dal dollaro è stato ben superiore a quello delle obbligazioni.

Ci sono diversi paper interessanti che hanno provato a identificare la quantità di oro ideale da tenere il portafoglio, e c’è per esmempio

QUESTO

Che suggerisce di allocare un 5% fisso nel portafoglio

QUESTO

Che suggerisce tra il 5 e il 15% per massimizzare il rapporto tra rischio e rendimento

E infine QUESTO che sostiene che partendo da un portafoglio 60/40, si otterrebbe il miglior rapporto tra rischio e rendimento con il 12% in oro.

Insomma, qualcosa nell’ordine del 10% di oro potrebbe essere una buona idea per avere una riserva di valore alternativa nel portafoglio con un comportamento fondamentalmente indipendente da azioni e obbligazioni.

Anche visivamente ci si può rendere conto facilmente di come l’oro sia sempre andato un po’ per la sua strada negli ultimi 50 anni rispetto ad azioni e obbligazioni:

Come si può inserire l’oro in portafoglio a questo punto?

Diciamo che la formula di The Bull suggerisce 67% in azioni e 33% in obbligazioni, ma io voglio mettere il 10% in oro, cosa faccio?

Semplicemente moltiplico le percentuali che mi sono uscite per (UNO MENO la % di oro che voglio in portafoglio).

In questo caso sarà 67%  (1 — 10%), ossia 90% = 60%

Naturalmente le obbligazioni saranno 33%  (1-10%) = 30%

Ecco che ho il mio portafoglio 60 azioni, 30 obbligazioni, 10 oro.

Ovviamente non è una regola scritta nella pietra, nessuno sa se sia meglio investire in oro o meno.

Diciamo che può essere considerata una piccola assicurazione proprio sul fatto che non sappiamo cosa succederà all’economia privata e ai bilanci pubblici e che appunto nel dubbio una maggiore diversificazione solitamente è una buona amica di un portafoglio a lungo termine.

Tiriamo un po’ le somme di questo episodio bello denso, ma fondamentale.

Abbiamo toccato solo alcuni principi di massima, ma già abbiamo dato diversi principi di asset allocation.

a) Se rientrate in uno dei 4 casi per cui ha senso un’allocazione statica, allora di norma:

– portafogli con più azioni hanno maggior rendimento atteso ma sono più ballerini

– mentre portafogli con meno azioni e maggiormente diversificati hanno rendimento atteso inferiore ma tendono ad essere più stabili, soprattutto nei momenti più critici

b) Se invece siete per un’allocazione dinamica

– la regola di The Bull 125 — anni — interesse senza rischio dovrebbe essere una buona indicazione di quante azioni avere;

– se avete una bassa tolleranza al rischio riducete, altrimenti aumentate

– se avete obiettivi più di medio termine riducete, altrimenti va bene così

c) Aggiungere 5-15% di oro — o eventualmente materie prime — può essere un’idea per diversificare il portafoglio in vista di contesti di mercato caratterizzati da alto debito, tassi crescenti, inflazione più reattiva e bassa crescita economica.

Qui dentro c’è già parecchio di quello che può servirvi per cominciare a costruire un portafoglio che vi permetterà di investire con buon senso del 90% delle persone che conoscete e che stanno gestendo i propri soldi di pancia.

Torneremo presto su questi e altri temi per raffinare sempre di più la costruzione del nostro portafoglio, ma per ora questa basta e avanza per cominciare — quindi datevena mossa che siete in ritardo di una vita all’appuntamento con la vostra libertà finanziaria.

Come sempre vi invito a iscrivervi al canale, mettere like e attivare le notifiche per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi danno regole pigre, regole dinamiche, regole segrete piene di lettere greche per fare un po’ di suspance per i video futuri sempre nuovi.

Per questo episodio è davvero tutto e noi ci rivediamo con il prossimo video, molto molto molto pratico dedicato a come si selezionano i migliori ETF, sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024
Facile.it
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