Come impostare un Portafoglio “Goal-Based”
Il vero rischio per un investitore è non realizzare i propri obiettivi. Vediamo un esempio di impostazione di un portafoglio "Goal-Based", a partire dagli obiettivi e armonizzato in base ai diversi livelli di propensione al rischio.

175. Come impostare un Portafoglio “Goal-Based”
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Punti Chiave
Il Goal-Based Investing (GBI) ridefinisce il rischio come probabilità di non raggiungere un target minimo per obiettivi specifici, usando "conti mentali".
Fornisce un modello pratico (e un file) per costruire un portafoglio basato su obiettivi stratificati e tolleranza al rischio.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Che cosa hanno in comune il Padrino parte II, l’Impero colpisce ancora, Terminator 2 e Il Cavaliere Oscuro?
Sono quattro sequel universalmente considerati migliori del primo film.
Ok in realtà a me continua a piacere di più il primo Padrino e possiamo discutere se il secondo film di cioè che nasce come trilogia, come nel caso di Star Wars e del Batman più bello di tutti i tempi di Cristopher Nolan, possa essere considerato effettivamente un sequel.
Ma al di là di questo, a volte succede che il secondo film riesca in qualche modo a salire sulle spalle del primo.
Lo scorso episodio sul portafoglio Goal-Based ha riscosso un inaspettato apprezzamento, per cui vi ringrazio con il cuore in mano, quindi contrariamente a quel che prevedeva il mio piano editoriale scritto sulla scatola dell’ultimo panettone dell’anno, cambio di programma e facciamo subito un approfondimento su quest’argomento che sembra avervi innescato un certo interesse.
Ora, questo episodio sul Goal Based Investing parte seconda farà l’effetto che Pacino e De Niro hanno fatto nel Padrino DUE riuscendo forse a superare il più grande film di tutti i tempi che l’aveva preceduto? Oppure farà l’effetto del Padrino TRE, na schifezza di film che ti fa pensare che Francis Ford Coppola avrebbe forse fatto meglio a fermarsi al secondo?
A voi l’ardua sentenza.
L’idea di oggi però non è tanto di espandere ciò di cui abbiamo parlato domenica scorsa, quanto piuttosto provare a mettere a terra quanto abbiamo detto con un esempio pratico, così che poi ciascuno eventualmente possa cimentarsi per gli affari propri e fare un double check tra il portafoglio che ha impostato sinora e la coerenza con i propri obiettivi.
Brevissimo recap della puntata precedente.
La costruzione del portafoglio secondo la finanza classica si basa sull’idea che il denaro sia fungibile — e che quindi non abbia senso creare delle contabilità mentali separate per ciascuna porzione di patrimonio — e che l’obiettivo dell’investitore sia massimizzare il rapporto tra rischio e rendimento del portafoglio combinando tra loro asset diversificati e poco correlati.
Secondo la teoria del portafoglio moderno di Harry Markowitz, un portafoglio che si colloca su quella linea ideale che lui chiama frontiera efficiente sarebbe quello che massimizza il rendimento atteso per un certo livello di rischio complessivo che sono disposto ad assumermi o che minimizza il rischio per un certo livello di rendimento atteso.
Quali sono i due possibili limiti di questa impostazione?
– Il PRIMO è che l’investitore umano non ragiona così. Siamo affetti da deformazioni cognitive e da condizionamenti psicologici. Noi compriamo sia i biglietti della lotteria che le assicurazioni, quindi tendiamo ad avere diversi rapporti con il rischio a seconda dello scopo a cui sono destinati i nostri soldi.
E questa è l’idea di Mental Accounting, una delle tante scoperte dell’economia comportamentale creata da Kahneman e Tversky e che ha poi trovato la sua massima espressione in finanza con Richard Thaler.
Quindi, la Modern Portfolio Theory andrà forse abbastanza bene per il gestore istituzionale che deve rendere conto ai suoi clienti del rendimento prodotto per un certo livello di rischio a cui li ha esposti, ma non è il modo in cui in media noi umani pensiamo ai nostri soldi.
Per noi ha senso rischiare certi soldi per certi scopi ed essere allo stesso conservativi per altri.
– Il SECONDO limite è che rischio è definito come varianza dei rendimenti. Siccome la varianza è un valore al quadrato, per comodità in finanza si usa la sua radice quadrata, la deviazione standard, in maniera tale da usare una misura più pratica.
Detta alla buona se il rendimento medio dell’S&P 500 è 10% e la sua deviazione standard è 15%, allora, ammesso e non concesso che i rendimenti seguano una distribuzione normale, cioè si distribuiscano sulla curva a campana di Gauss come se fossero dei fenomeni completamente casuali, in 2/3 degli anni posso aspettarmi che l’S&P faccia tra -5% e +25% che 95 anni su 100 faccia tra il -20% e il +40%.
In realtà negli ultimi 100 anni abbiamo avuto 11 anni che hanno avuto risultato più estremi, oltre il -20 e il +40%, ma complessivamente la distribuzione è abbastanza normale con un evidente asimmetria negativa, che significa che il rendimento mediano di ogni singolo anno è superiore al rendimento medio.
Quando la mediana è superiore alla media vuol dire che ci sono più situazioni positive che negative, ma anche che quelle negative hanno un impatto più significativo, ossia relativamente pochi anni molto negativi abbassano la media.
Qual è però il limite dell’interpretazione del rischio come probabilità che il rendimento si discosti dalla media?
Al di là del fatto che in finanza accadono più fenomeni estremi di quello che la statistica basata sulle distribuzioni normali consentirebbe, il problema più importante è di natura pratica: a me investitore, il concetto di deviazione standard non dice un tubo.
A me interessa capire qual è il rischio di non realizzare i miei obiettivi.
Sulla scorta di queste considerazioni, nel 2000 Shefrin e Statman introducono la Behavioral Portfolio Theory che combina l’idea del portafoglio efficiente ideale per l’investitore con lo scopo a cui ciascuna porzione di denaro inclusa in quel portafoglio è destinato.
La mean-variance optimization, cioè l’ottimizzazione basata sulla media rendimenti e la varianza, non considera gli obiettivi dell’investitore.
La teoria comportamentale del portafoglio invece divide il portafoglio in mental accounts, in conti mentali ciacsuno dedicato ad un particolare obiettivo, con un proprio orizzonte temporale e un certo profilo di rischio.
Solo che “rischio”, in questo caso, non è più tanto la varianza dei rendimenti.
Il rischio viene misurato come la probabilità di non raggiungere un determinato risultato minimo accettabile per ciascun conto mentale.
Cioè il rischio è che il mio sotto-portafoglio non cresca abbastanza per raggiungere quel target minimo che mi ero prefissato per realizzare un certo scopo.
Di conseguenza l’investitore che adotta l’approccio comportamentale sceglierà la migliore combinazione di asset che si trova all’intersezione tra il rendimento atteso e la probabilità di non raggiungere un certo target minimo.
Vi ricorderete certamente che la scorsa volta avevamo parlato del Safety First Criterion di Andrew Roy, cioè del criterio “la sicurezza prima di tutto”, che è una semplice formuletta per confrontare diversi portafogli tra loro e capire quale massimizza, in teoria, la mia probabilità di realizzare un certo obiettivo minimo.
È simile allo Sharpe Ratio, solo che mentre questo si concentra sul rapporto tra rischio e rendimento in senso assoluto, il Criterio di Roy si concentra sul raggiungimento del target minimo accettabile.
La formula è:
– Rendimento atteso del portafoglio MENO
– Rendimento minimo accettabile il tutto DIVISO
– La deviazione standard del portafoglio.
In pratica è uguale allo Sharpe Ratio, solo che invece che qui il risk-free-rate è sostituito dal rendimento minimo accettabile.
Bene.
Diciamo un’ultima cosa e poi passiamo alla parte pratica dell’episodio.
Il modello comportamentale ha un grosso pregio e un piccolo difetto.
– Il grosso pregio è che per un investitore reale è molto più semplice ragionare in termini di rischio per ciascun obiettivo, che non di rischio in senso assoluto considerando l’intero portafoglio.
Cioè se io fossi un consulente finanziario, chiederei al mio cliente:
– Quali obiettivi vuoi realizzare?
– Quando li vogliamo realizzare?
– Quanti soldi ci servono per ciascun obiettivo?
– Quanto e in quali casi sei disposto a rischiare una parte dei tuoi soldi per ottenere un maggiore rendimento ma anche una minore probabilità di successo?
Jean Brunel, che ha scritto uno dei libri più importanti sul Goal Based Investing, dice: “non ha neanche troppo senso parlare all’investitore in termini di probabilità percentuali. Piuttosto, per ciascuno obiettivo, è meglio dirgli: senti, questo obiettivo X per te è un bisogno, qualcosa che vuoi, un desiderio o un sogno? A need, a want, a wish or a dream? Perché probabilmente vorrai essere quasi certo di soddisfare un bisogno, abbastanza certo di realizzare le tue volontà, sarai disposto a correre qualche rischio per un desiderio mentre morirai di per certo con qualche aspirazione non realizzata”.
La piramide di Maslow.
Alcuni bisogni sono primari e indispensabili, come la sicurezza e il sostentamento.
Altri sono aspirazionali, se li realizziamo siamo più felici, ma se non li realizziamo non finiamo sotto un ponte.
A quel punto, una volta che uno ragiona in termini di need, want, wish e dream si crea i suoi vari sottoportafogli prendendosi meno rischio per i bisogni più imprescinibili e più rischio per gli obiettivi aspirazionali, li mette insieme e alla fine salta fuori un unico portafoglio che sarebbe la combinazione armonizzata tra i vari sottoportafogli dedicati ai vari obiettivi.
Adesso facciamo un esempio pratico così capiamo come fare.
– Dicevamo che c’è anche un piccolo limite. Nel 2010 Markowitz, Statman e altri due hanno scritto l’importante paper Portfolio Optimization with Mental Accounts in cui hanno provato appunto a combinare la Modern Portfolio Theory con la Behavioral Portfolio Theory. Quello che è emerso che si può creare un portafoglio altrettanto efficiente usando questa metodologia dei conti mentali separati ma a condizione che non ci siano “costraints on allocation”, cioè a condizione che non vengano imposti dei limiti come ad esempio la possibilità di assumere posizioni short o a leva.
Altrimenti, portafogli che hanno solo posizioni lunghe non a leva costruite con il metodo dei conti mentali avrebbero qualche basis point in meno di rendimento atteso rispetto al portafoglio costruito con il modello di Markowitz.
Detto questo, stiamo parlando di sottigliezze, soprattutto per quel che riguarda i nostri scopi pratici e io sposo il fatto che sia più importante realizzare un obiettivo che non massimizzare il rendimento complessivo del portafoglio.
Eccoci qua.
Allora, capita tutta sta roba, volevo fare un esempio pratico che può essere utile per impostare i vostri portafogli secondo questa logica, così che sarà meno importante cercare di indovinare gli asset più performanti del futuro e ci potremo concentrare soprattutto su come allocare le nostre risorse in funzione dei nostri reali bisogni e rispetti alla nostra reale tolleranza al rischio.
Questo sarebbe un episodio ideale da fare via video.
Ma mentre sul discorso video ci stiamo lavorando — uuuhhhh spoiler alert — per il momento vi beccate l’audio ma vi propongo un workaround.
Nella descrizione dell’episodio, oltre ai paper citati e ai link degli sponsor per contribuire alla gita settimanale all’Esselunga di chi vi sta parlando, troverete anche il link ad un file Google Sheet in cui ho provato a impostare un portafoglio con questa logica e permettetemi di ringraziare sua sapienza Paolo Coletti che si è gentilmente prestato a correggere alcune imprecisioni.
Paolo ovviamente si è limitato ad aggiustare in un lampo alcune formule su cui avevo fatto un po’ di casino e non è entrato nel merito di considerazioni di metodo, quindi ogni responsabilità per eventuali errori sostanziali è unicamente del sottoscritto.
Istruzioni:
– Il file è in sola lettura, altrimenti ci mettete le mani sopra in 10.000 e viene fuori un macello. Chi desidera se lo scarica e modifica quello che vuole.
– Le celle sono tutte editabili, ma consiglio di modificare solo quelle in giallo, altrimenti modificate le formule.
Se però tra i vari ingegneri, statistici, matematici e informatici all’ascolto, qualcuno vuole migliorarlo si diverta pure.
Fare spreadsheet non è esattamente il mio talento migliore, quindi migliorare questo file non sarà una grande impresa.
– Se uno ascolta l’episodio con il file davanti o comunque dopo avergli dato un’occhiata secondo me si capisce meglio, ad ogni modo cercherò di spiegare tutto in maniera molto semplice e senza andare troppo nel dettaglio numerico, così anche chi è in viaggio non finisce per tamponare quello davanti che già la prima settimana di gennaio non piace a nessuno, iniziarla con il piede sbagliato anche no.
– Ultima istruzione: ho semplificato l’approccio. Non ho calcolato i portafogli sulla frontiera efficiente, ma ho semplicemente preso il rendimento atteso che posso aspettarmi da azioni e obbligazioni, la loro volatilità storica e ho dato per scontato che il portafoglio fosse solo una combinazione di azioni e obbligazioni. Naturalmente è una semplificazione estrema, ma poi se uno vuole aggiungere dettagli o raffinare meglio le stime, libero di farlo.
Quello che mi interessa, comunque, è far vedere un’idea di come partire dagli obiettivi, creare tre sottoportafogli, ipotizzare una stima di successo minima per ciascuno e tirare fuori poi un portafoglio generale.
Allora, come è fatto il file.
Nella prima colonna ho impostato 5 obiettivi, più o meno in ordine temporale.
5 perché me ne sono venuti in mente 5, se poi uno ne ha di più aggiunga le righe e ne mette quanti ne vuole.
Ho immaginato:
– Uno short term goal, quindi diciamo un certo capitale che vorrei avere più o meno nei prossimi 5 anni;
– Un medium term goal stessa cosa, su 10;
– Education, che potrebbe essere l’Università per i figli, arbitrariamente ho messo 15 anni, poi ciascuno metta quello che vuole in base all’età dei figli
E poi abbiamo i due obiettivi propriamente di lungo termine
– Uno l’ho chiamato Retirement, che come sapete tutti bene non è necessariamente quando vado in pensione, ma quando decido che non voglio più essere dipendente dal mio lavoro dalle 9 alle 18 dal lunedì al venerdì; qui ho messo 25 anni, però stesso discorso, se uno è a 10 anni dal FIRE metta la durata che vuole e infine
– L’obiettivo Bequest, diciamo così il “lascito”, ciò che voglio lasciare del mio patrimonio ad un erede mentre sono ancora in vita. Qui ho messo 40 anni.
Ovviamente questi sono obiettivi molto generici.
Uno può voler mettere l’acquisto di una casa o di una macchina.
Oppure un viaggio particolarmente elaborato.
O qualsiasi altro obiettivo specifico venga in mente.
Per semplificare, io ho semplicemente stratificato il portafoglio:
– Breve termine;
– Medio termine
– Lungo termine
– + i due obiettivi per la prole, università e lascito.
Per comodità ho messo come “investable asset”, cioè come capitale investibile di partenza, 100.000 €, giusto per avere una cifra tonda.
Chiaramente chi tra voi ha 25-30 anni magari 100.000 € da investire non li ha, diversi tra voi più senior invece hanno patrimoni con uno zero in più, quindi ciascuno adatterà la pianificazione in base alla disponibilità di partenza.
Per ciascun obiettivo c’è da assegnare un peso.
Io ho messo:
– 5% al breve termine
– 10% al medio termine
– 10% all’obiettivo università
– 65% per il retirement e
– Il restante 10% per il lascito.
Anche qui, numeri del tutto arbitrari.
Poi cosa ho messo.
C’è un box in cui uno può inserire:
– Quanti soldi investe ogni mese
– Il rendimento atteso della componente azionaria
– Il rendimento atteso della componente obbligazionaria e infine
– La volatilità, espressa come deviazione standard, di azioni e obbligazioni.
Sono tutti campi editabili.
Chiaramente quanti soldi investire ogni mese è una cosa soggettiva.
Ho messo 1.000 € sempre per il discorso estetico di avere le cifre tonde.
Per quanto riguarda i rendimenti attesi ho messo:
– 7,5% per le azioni, che è meno del rendimento medio storico annualizzato dell’MSCI World da quando MSCI si è messo a tracciare i dati negli anni ’80, che sarebbe 8,5%, e
– 3,5% per le obbligazioni, che è un po’ meno del rendimento medio storico del FTSE World Government Bond. Se oggi uno investisse in un mix di obbligazioni globali aggregate a media duration, 3,5% potrebbe essere una ragionevole approssimazione.
8,5% per le azioni è troppo conservativo?
Boh.
Per tutta una serie di motivi che abbiamo discusso spesso, come valutazioni elevate, riduzione dei costi e del premio al rischio, maggiore partecipazione al mercato e così via, in effetti quasi tutte le società di asset management scommettono su rendimenti futuri inferiori rispetto al passato.
Ad ogni modo, trattandosi di una pianificazione dove essere troppo ottimisti è sicuramente più dannoso che essere troppo ottimisti, preferisco avere una stima conservativa e una sorpresa positiva che non il contrario.
La volatilità delle azioni è invece quella storica dell’MSCI World, circa 15%.
Per i bond invece ho messo 5%.
5% forse è un po’ bassa, 6-7% credo rifletta di più i valori reali.
Ma nel file creava delle distorsioni e secondo me rischiava di creare una visione troppo “ottimistica” sulle azioni con dei paradossi per cui anche su orizzonti di breve termine, avere più azioni riduceva il rischio che avere più obbligazioni, cosa che probabilmente non riflette la realtà.
Mi sono poi ricordato che uno dei principi alla base modello risk parity del portafoglio All Weather di Ray Dalio era la sua considerazione che le azioni portano contribuiscono tre volte tanto rispetto alle obbligazioni governative alla rischiosità del portafoglio.
Se la deviazione standard per le azioni è 15%, ho messo 5% per i bond e in effetti credo funzioni meglio.
Torniamo al file.
Abbiamo detto che ciascuno assegna i pesi per ogni obiettivo, sceglie quanto investire ogni mese e automaticamente l’investimento mensile viene splittato secondo i pesi che abbiamo scelto (cioè se ho messo 10% per il goal Education, il 10% di mille euro al mese andrà nel sottoportafoglio Education).
Giocando sull’asset allocation tra azioni e obbligazioni per ciascun obiettivo viene fuori il rendimento atteso e il risultato economico che posso attendermi nell’orizzonte temporale scelto.
Per esempio, riprendiamo Education.
Ho allocato il 10%, quindi 10.000 € iniziali, 100 € al mese, 15 anni e ho impostato un portafoglio 60/40.
Con i dati inseriti viene fuori che il mio rendimento atteso per i prossimi 15 anni sarà circa 5,9% e che il portafoglio varrà circa 53.000 € nel 2040.
In valore reale fai che saranno grossomodo 35-40.000 €, a seconda dell’inflazione che ci sarà.
Ecco 35-40.000 € in valore odierno effettivamente sono un buon target per l’educazione universitaria.
Fin troppi se mia figlia vorrà studiare in un’Università pubblica a Milano, non del tutto sufficienti se vorrà andare alla Bocconi, decisamente insufficienti se vorrà andare a studiare all’estero.
E fin qui va beh, niente di che.
La parte tricky arriva subito dopo, quando dobbiamo mettere il valore soglia minimo.
E naturalmente questa decisamente è la cosa più soggettiva di tutta la questione.
Torniamo all’esempio dell’Università.
53.000 €, 35-40.000 in valore reale tra 15 anni, sono una cifra per garantire molte opzioni a mia figlia.
Però in effetti l’obiettivo minimo che possa fare l’Università senza troppi patemi, non che entri a Harvard.
Suppongo che 5 anni in una buona università Statale Italiana — e checché se ne dica ci sono ottime università statali in Italia, vedi la mia seconda alma mater il Politecnico di Milano, quello di Torino, quello di Bari, la Sapienza, la Statale di Milano, l’università di Padova, di Bologna, la Federico II di Napoli e tantissime altre — chiusa parentesi, dicevo 5 anni all’Università suppongo che possano richiedere circa 25.000 € per stare tranquilli, tra rette, libri e tutto quanto.
Poi chiaramente dipende dall’ISEE, dalle borse di studio e altre cose, però per gli obiettivi della mia pianificazione diciamo che:
– Io vorrei arrivare ad avere 60.000 € per l’Università di mia figlia, ma
– Ho bisogno di arrivare ad averne almeno 35.000 €, che appunto saranno grossomodo 25.000 tra 15 anni.
Per arrivare a quella cifra, partendo da 10.000 € e versando 100 € al mese mi serve un rendimento medio del 2,5%.
In pratica, pareggio l’inflazione su per giù.
Quindi dicevamo:
– 5,9% è il rendimento che mi aspetto da un portafoglio 60/40 per i prossimi 15 anni
– 2,5% è il rendimento minimo accettabile per il mio obiettivo.
Calcoliamo il criterio di Roy:
5,9% MENO 2,5% DIVISO la deviazione standard del portafoglio che è 9,22% viene 0,37
Ora sto 0,37 in sé e per sé non significa niente.
Però i fogli di calcolo hanno questa simpatica formula che si chiama DISTRIB.NORM.ST.N, che permette di calcolare quanto è probabile che un certo valore, in una distribuzione normale, sia più piccolo o uguale a un certo numero.
Attenzione, matematici all’ascolto: non è formalmente correttissimo quello che ho detto, anche se è una ragionevole approssimazione pratica, solo che non voglio annoiare a morte tutti gli altri ascoltatori.
Quindi quella formula mi permette di dire, largo circa,: preso il valore del criterio di Roy e gli anni che mi separano dal mio obiettivo, quanto è probabile che realizzi il mio obiettivo minimo?
Certo, ci sono una serie di semplificazioni non da poco:
– Stiamo assumendo che la distribuzione dei rendimenti sia normale e che la statistica sia perfettamente applicabile alla finanza;
– Stiamo inoltre ignorando il rischio di sequenza;
– Stiamo infine presupponendo che il rendimento di azioni e obbligazioni resti più o meno stabile e che la volatilità non cambi.
– Anche il modo in cui stimiamo la volatilità di un portafoglio è una semplificazione estrema.
È un modello profondamente imperfetto.
Ma a spanne nel file salta fuori che la probabilità di mandare mia figlia almeno in una buona università statale senza patemi da qui a 15 anni è quasi del 90%.
Fermo restando che è una stima da prendere molto con le pinze, mi sta bene?
Se 1 probabilità su 10 di fallire è per me accettabile, allora ho trovato la quadra.
Altrimenti quali altre opzioni ho?
Posso per esempio aumentare la quota di contribuzione mensile e ridurre il rendimento atteso minimo, così da arrivare al target dei 35.000 € dovendo affidarmi meno alle sorti del mercato.
O posso valutare una combinazione di maggior contributo mensile e minore esposizione azionaria.
Insomma, lo scopo è trovare il punto di equilibrio tra il sottoportafoglio che sto creando e l’obiettivo minimo che deve realizzare.
Come ultima colonna ho messo anche la probabilità che il rendimento ciascun sotto portafoglio sia negativo lungo l’intero periodo.
Comprensibilmente, è coerente che un investimento in un ETF 100% obbligazionario con orizzonte di 5 anni abbia maggiore probabilità di avere un rendimento negativo di un investimento in ETF 100% azionario su un orizzonte di 20 anni.
Ovviamente non consideriamo il caso di obbligazioni singole che rimborsano il capitale alla scadenza, ma del rendimento di un investimento obbligazionario rolling, in cui tutto è sistematicamente reinvestito.
I dati, soprattutto sull’azionario, devo dire che riflettono abbastanza bene quel che è successo storicamente.
– Sul singolo anno, la probabilità di un rendimento negativo è del 30%. In effetti circa 3 anni ogni 10 il mercato ha una performance negativa, perlomeno se utilizziamo l’S&P 500 come proxy.
– Su 5 anni, la probabilità scende al 13%, quindi in pratica se prendiamo 10 blocchi di 5 anni consecutivi avremo in media quasi 9 blocchi positivi e uno negativo.
– Su 10 anni, la probabilità di un rendimento scende ancora al 5% e in effetti è successo circa un 5% delle volte che su un periodo di 10 anni consecutivi, il mio rendimento medio annuo fosse negativo.
Questa cosa è successa dal 1999 al 2008 e dal 2000 al 2009, oltre che altre 2-3 volte durante la grande depressione.
Su orizzonti superiori a 20 anni la probabilità diventa praticamente nulla.
Certo, nulla sempre che la statistica funzioni anche in finanza.
Diciamo: ragionevolmente nulla.
Poi se arriva l’apocalisse, beh, amen, è stato bello finché è durato.
Comunque chiaro fino a qui?
Riepiloghiamo:
– Scelgo i miei obiettivi
– Assegno a ciascuno un peso e l’orizzonte temporale
– Imposto il portafoglio in base al rendimento che voglio ottenere
– E imposto il valore minimo accettabile che voglio raggiungere in base alla probabilità di fallimento che sono disposto a sopportare.
Una volta che ho fatto tutto questo lavoro, cosa succede?
Succede che automaticamente esce fuori il mio portafoglio complessivo.
Perché infatti dobbiamo ricordarci che stiamo facendo questa cosa per arrivare ad un unico portafoglio.
Noi abbiamo un solo portafoglio, i soldi contano tutti uguali, siamo noi che applichiamo diverse contabilità mentali a ciascuno di essi.
Con questo processo bottom-up, però, riusciamo a capire come posso impostare oggi un’unica asset allocation tenendo conto della stratificazione dei vari obiettivi che nel corso del tempo quel portafoglio deve aiutarmi a realizzare.
Nel caso del file che vi lascio in descrizione troverete queste allocation, fatte più o meno a caso:
– 100% bond per l’obiettivo a breve termine
– 50/50 per quello a medio termine
– 60/40 per l’Università
– 70/30 per il Retirement e
– 100% per il lascito.
Il risultato complessivo, chiamato Overall Portfolio, risulterà composto con un’asset allocation composta al 67% da azioni e al 33% da obbligazioni.
Per dare un senso ai dati dell’Overall Portfolio gli ho dato a sua volta un orizzonte di 25 anni, dato che la parte Retirement è quella che impatta di più.
Su 25 anni, il mio portafoglio 67/33 ha un rendimento atteso del 6,16%, un rendimento minimo del 3,5%, una probabilità di realizzarlo di quasi il 90% e una probabilità praticamente nulla di avere un rendimento nominale negativo.
Ovviamente, l’Overall Portfolio ha senso così oggi.
Da qui a 25 anni non è detto che avrà esattamente la forma che sto prevedendo in questo momento.
Potrei consumare parte del patrimonio per gli obiettivi di breve e medio termine.
Potrebbe ridursi la mia capacità di risparmio.
Potrei incorrere in uno sfortunato decennio perduto.
Ma allo stesso tempo vale anche il contrario.
Potrei aumentare la capacità di risparmio e non arrivare mai a toccare i soldi previsti neanche per gli obiettivi intermedi.
O il mercato potrebbe riservarmi una sequenza fortunata.
Quella è una fotografia che funziona nel momento in cui sto pianificando.
Nel corso della vita è naturale che prenderà forme diverse a seconda di come vorrò modificare i vari parametri.
Ora, facciamo alcune considerazioni.
PRIMA CONSIDERAZIONE: ci sono numerose “assumptions” in questo modello, numerose ipotesi. Stiamo immaginando che un investimento nell’azionario globale market cap weighted riporterà nel futuro QUEI rendimenti, stiamo considerando che i rendimenti azionari a 5 anni siano in media gli stessi che a 25 anni, stiamo assumendo che la volatilità annualizzata sia costante e soprattutto che la distribuzione dei rendimenti sia normale.
“Normale” nel senso statistico ovviamente.
Sono assunzioni tutt’altro che scontate.
Quindi è importante avere un approccio allo stesso tempo conservativo ed elastico per evitare di affidarsi eccessivamente a questi numeri.
Questo in due modi:
– Da una parte ipotizzando che i rendimenti possano essere più deludenti del previsto. Credo che la cosa migliore sia avere obiettivi ambiziosi, ma allo stesso tempo cercare di posizionare i target minimi in modo realistico e conservativo, cercando per quanto possibile di far dipendere i BISOGNI dalla nostra capacità di risparmio e lasciando alle buone notizie del mercato la responsabilità di realizzare i SOGNI.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che se la scala dei miei obiettivi, in ordine di importanza è: Bisogni, Volontà, Desideri e Sogni, imposterei una pianificazione tale per cui per i primi serva tanto risparmio e poco rendimento e via via che ci spostiamo verso desideri e sogni sia l’effetto del rendimento composto a fare l'”heavylifting”, a fare il grosso del lavoro.
Se ho un obiettivo quasi vitale da qui a 10 anni che posso raggiungere investendo 500 € al mese in un portafoglio che rende il 5% o investendo 370 € al mese in un portafoglio che rende il 10%, mi sembra ovvio che la prima strada sia quella da preferire. Il risultato finale è lo stesso ma nel primo caso è più probabile e dipende più da me che dalla buona sorte.
– Il secondo modo è mantenendo finestre flessibili sull’orizzonte temporale. Più l’obiettivo si può muovere nel tempo, maggiori sono le probabilità che abbiamo di realizzarlo.
Certo, l’università inizia in un momento ben preciso della vita dei nostri figli — e lì meglio lasciare poco margine.
Ma per quanto riguarda l’obiettivo del retirement, per esempio, posso pensare di posizionarlo tra 25 anni, ma anche di poterlo realizzare tra 20 oppure 30, a seconda di come andrà il mercato nei prossimi 2-3 decenni (e naturalmente in base anche a come andrà la mia carriera professionale)
La flessibilità della finestra temporale di ciascun obiettivo è una chiave per piegare a nostro vantaggio la discontinuità di mercati e quella fastidiosa caratteristica che hanno di avere comportamenti che in media sono una cosa, ma che nei singoli anni dalla media sono lontani anni luce.
SECONDA CONSIDERAZIONE: come dicevamo prima parlando della dinamicità dell’Overall Portfolio, questo lavoro non va fatto una volta per tutte, ma è un processo iterativo.
Almeno 1 o 2 volte all’anno bisognerebbe buttare un occhio alla nostra pianificazione e riadattarla in base a come stanno andando i nostri investimenti e a come possono modificarsi non solo i nostri obiettivi, ma anche il livello di priorità e importanza che attribuiamo ad essi.
Magari oggi per me è vitale raggiungere a tutti costi l’obiettivo X entro l’anno 2035, tra un anno invece scopro che tutto sommato anche se ci arrivo nell’anno 2040 o non ci arrivo affatto va bene lo stesso.
Ci saranno momenti in cui il rischio di sequenza giocherà a nostro favore — e questo potrebbe permetterci di accorciare la strada verso alcuni obiettivi e quindi ripensare l’allocazione complessiva dei vari sottoportafogli — e altri momenti in cui accadrà esattamente il contrario e quindi sarà necessario ridefinire alcune priorità.
TERZA CONSIDERAZIONE: il modello è chiaramente semplicistico.
Non considera la possibilità di includere altre asset class nel portafoglio come Oro o materie prime, che peraltro nel modello di Markowitz farebbero fatica a trovare spazio, visto che storicamente hanno un rendimento inferiore alle azioni ma una volatilità superiore.
Non considera l’impatto di strategie diverse dal possedere asset che replicano il mercato in maniera passiva, come ad esempio strategie fattoriali.
Ma soprattutto non considera l’effetto dei ribilanciamenti.
Come avevamo detto nell’episodio 152 sul Demone di Shannon, il ribilanciamento di asset tra loro poco correlati produce un effetto mediamente positivo sul rendimento realizzato, che risulta superiore al rendimento medio ponderato delle singole asset class.
Per esempio, il classico 60/40 fatto di S&P 500 e Treasury intermedi negli ultimi 50 anni ribilanciato con una tolleranza del 10%, cioè ogni volta che l’asset allocation si è spostata di almeno un 10% dai pesi originari, ha reso il 9,57% dal 1972 ad oggi.
La media ponderata di S&P 500 e Treasury intermedi presi singolarmente sarebbe invece di 8,96%.
E sappiamo molto bene che mezzo punto percentuale all’anno di differenza di rendimento fa una grande differenza nel lungo termine.
Insomma, come sempre, diciamo una serie di cose ma poi dobbiamo mettere mille asterischi.
La finanza è così.
Resta pur sempre più arte che scienza.
E se fosse possibile eliminare del tutto i rischi e avere delle previsioni certe sull’andamento futuro dei nostri investimenti, beh, probabilmente non avremmo alcun rendimento per motivi noti che conoscete.
Bene, care amiche e cari amici di The Bull, spero che quest’episodio vi sia piaciuto e che abbia aggiunto qualche utile strumento per aiutarvi a ragionare in maniera più consapevole sul vostro portafoglio.
Naturalmente nulla di quello che è stato detto oggi o nei 174 episodi precedenti deve essere inteso come una raccomandazione di investimento, né il file condiviso ha alcuna validità se non puramente illustrativa ed esemplificativa.
Va quindi usato per seguire meglio il ragionamento dell’episodio di oggi, ma non va inteso in alcun modo come strumento predittivo sulla performance futura dei vostri investimenti.
Detto questo vi ringrazio come sempre per avermi ascoltato anche oggi e vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che fanno i sequel di quelli precedenti sperando di fare la fine del Padrino II e non di Speed II sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima per un nuovo appuntamento insieme a risolvere un enigma dopo l’altro sino a che non avremo svelato il portafoglio perfetto sempre qui, naturalmente con The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Che cosa hanno in comune il Padrino parte II, l’Impero colpisce ancora, Terminator 2 e Il Cavaliere Oscuro?
Sono quattro sequel universalmente considerati migliori del primo film.
Ok in realtà a me continua a piacere di più il primo Padrino e possiamo discutere se il secondo film di cioè che nasce come trilogia, come nel caso di Star Wars e del Batman più bello di tutti i tempi di Cristopher Nolan, possa essere considerato effettivamente un sequel.
Ma al di là di questo, a volte succede che il secondo film riesca in qualche modo a salire sulle spalle del primo.
Lo scorso episodio sul portafoglio Goal-Based ha riscosso un inaspettato apprezzamento, per cui vi ringrazio con il cuore in mano, quindi contrariamente a quel che prevedeva il mio piano editoriale scritto sulla scatola dell’ultimo panettone dell’anno, cambio di programma e facciamo subito un approfondimento su quest’argomento che sembra avervi innescato un certo interesse.
Ora, questo episodio sul Goal Based Investing parte seconda farà l’effetto che Pacino e De Niro hanno fatto nel Padrino DUE riuscendo forse a superare il più grande film di tutti i tempi che l’aveva preceduto? Oppure farà l’effetto del Padrino TRE, na schifezza di film che ti fa pensare che Francis Ford Coppola avrebbe forse fatto meglio a fermarsi al secondo?
A voi l’ardua sentenza.
L’idea di oggi però non è tanto di espandere ciò di cui abbiamo parlato domenica scorsa, quanto piuttosto provare a mettere a terra quanto abbiamo detto con un esempio pratico, così che poi ciascuno eventualmente possa cimentarsi per gli affari propri e fare un double check tra il portafoglio che ha impostato sinora e la coerenza con i propri obiettivi.
Brevissimo recap della puntata precedente.
La costruzione del portafoglio secondo la finanza classica si basa sull’idea che il denaro sia fungibile — e che quindi non abbia senso creare delle contabilità mentali separate per ciascuna porzione di patrimonio — e che l’obiettivo dell’investitore sia massimizzare il rapporto tra rischio e rendimento del portafoglio combinando tra loro asset diversificati e poco correlati.
Secondo la teoria del portafoglio moderno di Harry Markowitz, un portafoglio che si colloca su quella linea ideale che lui chiama frontiera efficiente sarebbe quello che massimizza il rendimento atteso per un certo livello di rischio complessivo che sono disposto ad assumermi o che minimizza il rischio per un certo livello di rendimento atteso.
Quali sono i due possibili limiti di questa impostazione?
– Il PRIMO è che l’investitore umano non ragiona così. Siamo affetti da deformazioni cognitive e da condizionamenti psicologici. Noi compriamo sia i biglietti della lotteria che le assicurazioni, quindi tendiamo ad avere diversi rapporti con il rischio a seconda dello scopo a cui sono destinati i nostri soldi.
E questa è l’idea di Mental Accounting, una delle tante scoperte dell’economia comportamentale creata da Kahneman e Tversky e che ha poi trovato la sua massima espressione in finanza con Richard Thaler.
Quindi, la Modern Portfolio Theory andrà forse abbastanza bene per il gestore istituzionale che deve rendere conto ai suoi clienti del rendimento prodotto per un certo livello di rischio a cui li ha esposti, ma non è il modo in cui in media noi umani pensiamo ai nostri soldi.
Per noi ha senso rischiare certi soldi per certi scopi ed essere allo stesso conservativi per altri.
– Il SECONDO limite è che rischio è definito come varianza dei rendimenti. Siccome la varianza è un valore al quadrato, per comodità in finanza si usa la sua radice quadrata, la deviazione standard, in maniera tale da usare una misura più pratica.
Detta alla buona se il rendimento medio dell’S&P 500 è 10% e la sua deviazione standard è 15%, allora, ammesso e non concesso che i rendimenti seguano una distribuzione normale, cioè si distribuiscano sulla curva a campana di Gauss come se fossero dei fenomeni completamente casuali, in 2/3 degli anni posso aspettarmi che l’S&P faccia tra -5% e +25% che 95 anni su 100 faccia tra il -20% e il +40%.
In realtà negli ultimi 100 anni abbiamo avuto 11 anni che hanno avuto risultato più estremi, oltre il -20 e il +40%, ma complessivamente la distribuzione è abbastanza normale con un evidente asimmetria negativa, che significa che il rendimento mediano di ogni singolo anno è superiore al rendimento medio.
Quando la mediana è superiore alla media vuol dire che ci sono più situazioni positive che negative, ma anche che quelle negative hanno un impatto più significativo, ossia relativamente pochi anni molto negativi abbassano la media.
Qual è però il limite dell’interpretazione del rischio come probabilità che il rendimento si discosti dalla media?
Al di là del fatto che in finanza accadono più fenomeni estremi di quello che la statistica basata sulle distribuzioni normali consentirebbe, il problema più importante è di natura pratica: a me investitore, il concetto di deviazione standard non dice un tubo.
A me interessa capire qual è il rischio di non realizzare i miei obiettivi.
Sulla scorta di queste considerazioni, nel 2000 Shefrin e Statman introducono la Behavioral Portfolio Theory che combina l’idea del portafoglio efficiente ideale per l’investitore con lo scopo a cui ciascuna porzione di denaro inclusa in quel portafoglio è destinato.
La mean-variance optimization, cioè l’ottimizzazione basata sulla media rendimenti e la varianza, non considera gli obiettivi dell’investitore.
La teoria comportamentale del portafoglio invece divide il portafoglio in mental accounts, in conti mentali ciacsuno dedicato ad un particolare obiettivo, con un proprio orizzonte temporale e un certo profilo di rischio.
Solo che “rischio”, in questo caso, non è più tanto la varianza dei rendimenti.
Il rischio viene misurato come la probabilità di non raggiungere un determinato risultato minimo accettabile per ciascun conto mentale.
Cioè il rischio è che il mio sotto-portafoglio non cresca abbastanza per raggiungere quel target minimo che mi ero prefissato per realizzare un certo scopo.
Di conseguenza l’investitore che adotta l’approccio comportamentale sceglierà la migliore combinazione di asset che si trova all’intersezione tra il rendimento atteso e la probabilità di non raggiungere un certo target minimo.
Vi ricorderete certamente che la scorsa volta avevamo parlato del Safety First Criterion di Andrew Roy, cioè del criterio “la sicurezza prima di tutto”, che è una semplice formuletta per confrontare diversi portafogli tra loro e capire quale massimizza, in teoria, la mia probabilità di realizzare un certo obiettivo minimo.
È simile allo Sharpe Ratio, solo che mentre questo si concentra sul rapporto tra rischio e rendimento in senso assoluto, il Criterio di Roy si concentra sul raggiungimento del target minimo accettabile.
La formula è:
– Rendimento atteso del portafoglio MENO
– Rendimento minimo accettabile il tutto DIVISO
– La deviazione standard del portafoglio.
In pratica è uguale allo Sharpe Ratio, solo che invece che qui il risk-free-rate è sostituito dal rendimento minimo accettabile.
Bene.
Diciamo un’ultima cosa e poi passiamo alla parte pratica dell’episodio.
Il modello comportamentale ha un grosso pregio e un piccolo difetto.
– Il grosso pregio è che per un investitore reale è molto più semplice ragionare in termini di rischio per ciascun obiettivo, che non di rischio in senso assoluto considerando l’intero portafoglio.
Cioè se io fossi un consulente finanziario, chiederei al mio cliente:
– Quali obiettivi vuoi realizzare?
– Quando li vogliamo realizzare?
– Quanti soldi ci servono per ciascun obiettivo?
– Quanto e in quali casi sei disposto a rischiare una parte dei tuoi soldi per ottenere un maggiore rendimento ma anche una minore probabilità di successo?
Jean Brunel, che ha scritto uno dei libri più importanti sul Goal Based Investing, dice: “non ha neanche troppo senso parlare all’investitore in termini di probabilità percentuali. Piuttosto, per ciascuno obiettivo, è meglio dirgli: senti, questo obiettivo X per te è un bisogno, qualcosa che vuoi, un desiderio o un sogno? A need, a want, a wish or a dream? Perché probabilmente vorrai essere quasi certo di soddisfare un bisogno, abbastanza certo di realizzare le tue volontà, sarai disposto a correre qualche rischio per un desiderio mentre morirai di per certo con qualche aspirazione non realizzata”.
La piramide di Maslow.
Alcuni bisogni sono primari e indispensabili, come la sicurezza e il sostentamento.
Altri sono aspirazionali, se li realizziamo siamo più felici, ma se non li realizziamo non finiamo sotto un ponte.
A quel punto, una volta che uno ragiona in termini di need, want, wish e dream si crea i suoi vari sottoportafogli prendendosi meno rischio per i bisogni più imprescinibili e più rischio per gli obiettivi aspirazionali, li mette insieme e alla fine salta fuori un unico portafoglio che sarebbe la combinazione armonizzata tra i vari sottoportafogli dedicati ai vari obiettivi.
Adesso facciamo un esempio pratico così capiamo come fare.
– Dicevamo che c’è anche un piccolo limite. Nel 2010 Markowitz, Statman e altri due hanno scritto l’importante paper Portfolio Optimization with Mental Accounts in cui hanno provato appunto a combinare la Modern Portfolio Theory con la Behavioral Portfolio Theory. Quello che è emerso che si può creare un portafoglio altrettanto efficiente usando questa metodologia dei conti mentali separati ma a condizione che non ci siano “costraints on allocation”, cioè a condizione che non vengano imposti dei limiti come ad esempio la possibilità di assumere posizioni short o a leva.
Altrimenti, portafogli che hanno solo posizioni lunghe non a leva costruite con il metodo dei conti mentali avrebbero qualche basis point in meno di rendimento atteso rispetto al portafoglio costruito con il modello di Markowitz.
Detto questo, stiamo parlando di sottigliezze, soprattutto per quel che riguarda i nostri scopi pratici e io sposo il fatto che sia più importante realizzare un obiettivo che non massimizzare il rendimento complessivo del portafoglio.
Eccoci qua.
Allora, capita tutta sta roba, volevo fare un esempio pratico che può essere utile per impostare i vostri portafogli secondo questa logica, così che sarà meno importante cercare di indovinare gli asset più performanti del futuro e ci potremo concentrare soprattutto su come allocare le nostre risorse in funzione dei nostri reali bisogni e rispetti alla nostra reale tolleranza al rischio.
Questo sarebbe un episodio ideale da fare via video.
Ma mentre sul discorso video ci stiamo lavorando — uuuhhhh spoiler alert — per il momento vi beccate l’audio ma vi propongo un workaround.
Nella descrizione dell’episodio, oltre ai paper citati e ai link degli sponsor per contribuire alla gita settimanale all’Esselunga di chi vi sta parlando, troverete anche il link ad un file Google Sheet in cui ho provato a impostare un portafoglio con questa logica e permettetemi di ringraziare sua sapienza Paolo Coletti che si è gentilmente prestato a correggere alcune imprecisioni.
Paolo ovviamente si è limitato ad aggiustare in un lampo alcune formule su cui avevo fatto un po’ di casino e non è entrato nel merito di considerazioni di metodo, quindi ogni responsabilità per eventuali errori sostanziali è unicamente del sottoscritto.
Istruzioni:
– Il file è in sola lettura, altrimenti ci mettete le mani sopra in 10.000 e viene fuori un macello. Chi desidera se lo scarica e modifica quello che vuole.
– Le celle sono tutte editabili, ma consiglio di modificare solo quelle in giallo, altrimenti modificate le formule.
Se però tra i vari ingegneri, statistici, matematici e informatici all’ascolto, qualcuno vuole migliorarlo si diverta pure.
Fare spreadsheet non è esattamente il mio talento migliore, quindi migliorare questo file non sarà una grande impresa.
– Se uno ascolta l’episodio con il file davanti o comunque dopo avergli dato un’occhiata secondo me si capisce meglio, ad ogni modo cercherò di spiegare tutto in maniera molto semplice e senza andare troppo nel dettaglio numerico, così anche chi è in viaggio non finisce per tamponare quello davanti che già la prima settimana di gennaio non piace a nessuno, iniziarla con il piede sbagliato anche no.
– Ultima istruzione: ho semplificato l’approccio. Non ho calcolato i portafogli sulla frontiera efficiente, ma ho semplicemente preso il rendimento atteso che posso aspettarmi da azioni e obbligazioni, la loro volatilità storica e ho dato per scontato che il portafoglio fosse solo una combinazione di azioni e obbligazioni. Naturalmente è una semplificazione estrema, ma poi se uno vuole aggiungere dettagli o raffinare meglio le stime, libero di farlo.
Quello che mi interessa, comunque, è far vedere un’idea di come partire dagli obiettivi, creare tre sottoportafogli, ipotizzare una stima di successo minima per ciascuno e tirare fuori poi un portafoglio generale.
Allora, come è fatto il file.
Nella prima colonna ho impostato 5 obiettivi, più o meno in ordine temporale.
5 perché me ne sono venuti in mente 5, se poi uno ne ha di più aggiunga le righe e ne mette quanti ne vuole.
Ho immaginato:
– Uno short term goal, quindi diciamo un certo capitale che vorrei avere più o meno nei prossimi 5 anni;
– Un medium term goal stessa cosa, su 10;
– Education, che potrebbe essere l’Università per i figli, arbitrariamente ho messo 15 anni, poi ciascuno metta quello che vuole in base all’età dei figli
E poi abbiamo i due obiettivi propriamente di lungo termine
– Uno l’ho chiamato Retirement, che come sapete tutti bene non è necessariamente quando vado in pensione, ma quando decido che non voglio più essere dipendente dal mio lavoro dalle 9 alle 18 dal lunedì al venerdì; qui ho messo 25 anni, però stesso discorso, se uno è a 10 anni dal FIRE metta la durata che vuole e infine
– L’obiettivo Bequest, diciamo così il “lascito”, ciò che voglio lasciare del mio patrimonio ad un erede mentre sono ancora in vita. Qui ho messo 40 anni.
Ovviamente questi sono obiettivi molto generici.
Uno può voler mettere l’acquisto di una casa o di una macchina.
Oppure un viaggio particolarmente elaborato.
O qualsiasi altro obiettivo specifico venga in mente.
Per semplificare, io ho semplicemente stratificato il portafoglio:
– Breve termine;
– Medio termine
– Lungo termine
– + i due obiettivi per la prole, università e lascito.
Per comodità ho messo come “investable asset”, cioè come capitale investibile di partenza, 100.000 €, giusto per avere una cifra tonda.
Chiaramente chi tra voi ha 25-30 anni magari 100.000 € da investire non li ha, diversi tra voi più senior invece hanno patrimoni con uno zero in più, quindi ciascuno adatterà la pianificazione in base alla disponibilità di partenza.
Per ciascun obiettivo c’è da assegnare un peso.
Io ho messo:
– 5% al breve termine
– 10% al medio termine
– 10% all’obiettivo università
– 65% per il retirement e
– Il restante 10% per il lascito.
Anche qui, numeri del tutto arbitrari.
Poi cosa ho messo.
C’è un box in cui uno può inserire:
– Quanti soldi investe ogni mese
– Il rendimento atteso della componente azionaria
– Il rendimento atteso della componente obbligazionaria e infine
– La volatilità, espressa come deviazione standard, di azioni e obbligazioni.
Sono tutti campi editabili.
Chiaramente quanti soldi investire ogni mese è una cosa soggettiva.
Ho messo 1.000 € sempre per il discorso estetico di avere le cifre tonde.
Per quanto riguarda i rendimenti attesi ho messo:
– 7,5% per le azioni, che è meno del rendimento medio storico annualizzato dell’MSCI World da quando MSCI si è messo a tracciare i dati negli anni ’80, che sarebbe 8,5%, e
– 3,5% per le obbligazioni, che è un po’ meno del rendimento medio storico del FTSE World Government Bond. Se oggi uno investisse in un mix di obbligazioni globali aggregate a media duration, 3,5% potrebbe essere una ragionevole approssimazione.
8,5% per le azioni è troppo conservativo?
Boh.
Per tutta una serie di motivi che abbiamo discusso spesso, come valutazioni elevate, riduzione dei costi e del premio al rischio, maggiore partecipazione al mercato e così via, in effetti quasi tutte le società di asset management scommettono su rendimenti futuri inferiori rispetto al passato.
Ad ogni modo, trattandosi di una pianificazione dove essere troppo ottimisti è sicuramente più dannoso che essere troppo ottimisti, preferisco avere una stima conservativa e una sorpresa positiva che non il contrario.
La volatilità delle azioni è invece quella storica dell’MSCI World, circa 15%.
Per i bond invece ho messo 5%.
5% forse è un po’ bassa, 6-7% credo rifletta di più i valori reali.
Ma nel file creava delle distorsioni e secondo me rischiava di creare una visione troppo “ottimistica” sulle azioni con dei paradossi per cui anche su orizzonti di breve termine, avere più azioni riduceva il rischio che avere più obbligazioni, cosa che probabilmente non riflette la realtà.
Mi sono poi ricordato che uno dei principi alla base modello risk parity del portafoglio All Weather di Ray Dalio era la sua considerazione che le azioni portano contribuiscono tre volte tanto rispetto alle obbligazioni governative alla rischiosità del portafoglio.
Se la deviazione standard per le azioni è 15%, ho messo 5% per i bond e in effetti credo funzioni meglio.
Torniamo al file.
Abbiamo detto che ciascuno assegna i pesi per ogni obiettivo, sceglie quanto investire ogni mese e automaticamente l’investimento mensile viene splittato secondo i pesi che abbiamo scelto (cioè se ho messo 10% per il goal Education, il 10% di mille euro al mese andrà nel sottoportafoglio Education).
Giocando sull’asset allocation tra azioni e obbligazioni per ciascun obiettivo viene fuori il rendimento atteso e il risultato economico che posso attendermi nell’orizzonte temporale scelto.
Per esempio, riprendiamo Education.
Ho allocato il 10%, quindi 10.000 € iniziali, 100 € al mese, 15 anni e ho impostato un portafoglio 60/40.
Con i dati inseriti viene fuori che il mio rendimento atteso per i prossimi 15 anni sarà circa 5,9% e che il portafoglio varrà circa 53.000 € nel 2040.
In valore reale fai che saranno grossomodo 35-40.000 €, a seconda dell’inflazione che ci sarà.
Ecco 35-40.000 € in valore odierno effettivamente sono un buon target per l’educazione universitaria.
Fin troppi se mia figlia vorrà studiare in un’Università pubblica a Milano, non del tutto sufficienti se vorrà andare alla Bocconi, decisamente insufficienti se vorrà andare a studiare all’estero.
E fin qui va beh, niente di che.
La parte tricky arriva subito dopo, quando dobbiamo mettere il valore soglia minimo.
E naturalmente questa decisamente è la cosa più soggettiva di tutta la questione.
Torniamo all’esempio dell’Università.
53.000 €, 35-40.000 in valore reale tra 15 anni, sono una cifra per garantire molte opzioni a mia figlia.
Però in effetti l’obiettivo minimo che possa fare l’Università senza troppi patemi, non che entri a Harvard.
Suppongo che 5 anni in una buona università Statale Italiana — e checché se ne dica ci sono ottime università statali in Italia, vedi la mia seconda alma mater il Politecnico di Milano, quello di Torino, quello di Bari, la Sapienza, la Statale di Milano, l’università di Padova, di Bologna, la Federico II di Napoli e tantissime altre — chiusa parentesi, dicevo 5 anni all’Università suppongo che possano richiedere circa 25.000 € per stare tranquilli, tra rette, libri e tutto quanto.
Poi chiaramente dipende dall’ISEE, dalle borse di studio e altre cose, però per gli obiettivi della mia pianificazione diciamo che:
– Io vorrei arrivare ad avere 60.000 € per l’Università di mia figlia, ma
– Ho bisogno di arrivare ad averne almeno 35.000 €, che appunto saranno grossomodo 25.000 tra 15 anni.
Per arrivare a quella cifra, partendo da 10.000 € e versando 100 € al mese mi serve un rendimento medio del 2,5%.
In pratica, pareggio l’inflazione su per giù.
Quindi dicevamo:
– 5,9% è il rendimento che mi aspetto da un portafoglio 60/40 per i prossimi 15 anni
– 2,5% è il rendimento minimo accettabile per il mio obiettivo.
Calcoliamo il criterio di Roy:
5,9% MENO 2,5% DIVISO la deviazione standard del portafoglio che è 9,22% viene 0,37
Ora sto 0,37 in sé e per sé non significa niente.
Però i fogli di calcolo hanno questa simpatica formula che si chiama DISTRIB.NORM.ST.N, che permette di calcolare quanto è probabile che un certo valore, in una distribuzione normale, sia più piccolo o uguale a un certo numero.
Attenzione, matematici all’ascolto: non è formalmente correttissimo quello che ho detto, anche se è una ragionevole approssimazione pratica, solo che non voglio annoiare a morte tutti gli altri ascoltatori.
Quindi quella formula mi permette di dire, largo circa,: preso il valore del criterio di Roy e gli anni che mi separano dal mio obiettivo, quanto è probabile che realizzi il mio obiettivo minimo?
Certo, ci sono una serie di semplificazioni non da poco:
– Stiamo assumendo che la distribuzione dei rendimenti sia normale e che la statistica sia perfettamente applicabile alla finanza;
– Stiamo inoltre ignorando il rischio di sequenza;
– Stiamo infine presupponendo che il rendimento di azioni e obbligazioni resti più o meno stabile e che la volatilità non cambi.
– Anche il modo in cui stimiamo la volatilità di un portafoglio è una semplificazione estrema.
È un modello profondamente imperfetto.
Ma a spanne nel file salta fuori che la probabilità di mandare mia figlia almeno in una buona università statale senza patemi da qui a 15 anni è quasi del 90%.
Fermo restando che è una stima da prendere molto con le pinze, mi sta bene?
Se 1 probabilità su 10 di fallire è per me accettabile, allora ho trovato la quadra.
Altrimenti quali altre opzioni ho?
Posso per esempio aumentare la quota di contribuzione mensile e ridurre il rendimento atteso minimo, così da arrivare al target dei 35.000 € dovendo affidarmi meno alle sorti del mercato.
O posso valutare una combinazione di maggior contributo mensile e minore esposizione azionaria.
Insomma, lo scopo è trovare il punto di equilibrio tra il sottoportafoglio che sto creando e l’obiettivo minimo che deve realizzare.
Come ultima colonna ho messo anche la probabilità che il rendimento ciascun sotto portafoglio sia negativo lungo l’intero periodo.
Comprensibilmente, è coerente che un investimento in un ETF 100% obbligazionario con orizzonte di 5 anni abbia maggiore probabilità di avere un rendimento negativo di un investimento in ETF 100% azionario su un orizzonte di 20 anni.
Ovviamente non consideriamo il caso di obbligazioni singole che rimborsano il capitale alla scadenza, ma del rendimento di un investimento obbligazionario rolling, in cui tutto è sistematicamente reinvestito.
I dati, soprattutto sull’azionario, devo dire che riflettono abbastanza bene quel che è successo storicamente.
– Sul singolo anno, la probabilità di un rendimento negativo è del 30%. In effetti circa 3 anni ogni 10 il mercato ha una performance negativa, perlomeno se utilizziamo l’S&P 500 come proxy.
– Su 5 anni, la probabilità scende al 13%, quindi in pratica se prendiamo 10 blocchi di 5 anni consecutivi avremo in media quasi 9 blocchi positivi e uno negativo.
– Su 10 anni, la probabilità di un rendimento scende ancora al 5% e in effetti è successo circa un 5% delle volte che su un periodo di 10 anni consecutivi, il mio rendimento medio annuo fosse negativo.
Questa cosa è successa dal 1999 al 2008 e dal 2000 al 2009, oltre che altre 2-3 volte durante la grande depressione.
Su orizzonti superiori a 20 anni la probabilità diventa praticamente nulla.
Certo, nulla sempre che la statistica funzioni anche in finanza.
Diciamo: ragionevolmente nulla.
Poi se arriva l’apocalisse, beh, amen, è stato bello finché è durato.
Comunque chiaro fino a qui?
Riepiloghiamo:
– Scelgo i miei obiettivi
– Assegno a ciascuno un peso e l’orizzonte temporale
– Imposto il portafoglio in base al rendimento che voglio ottenere
– E imposto il valore minimo accettabile che voglio raggiungere in base alla probabilità di fallimento che sono disposto a sopportare.
Una volta che ho fatto tutto questo lavoro, cosa succede?
Succede che automaticamente esce fuori il mio portafoglio complessivo.
Perché infatti dobbiamo ricordarci che stiamo facendo questa cosa per arrivare ad un unico portafoglio.
Noi abbiamo un solo portafoglio, i soldi contano tutti uguali, siamo noi che applichiamo diverse contabilità mentali a ciascuno di essi.
Con questo processo bottom-up, però, riusciamo a capire come posso impostare oggi un’unica asset allocation tenendo conto della stratificazione dei vari obiettivi che nel corso del tempo quel portafoglio deve aiutarmi a realizzare.
Nel caso del file che vi lascio in descrizione troverete queste allocation, fatte più o meno a caso:
– 100% bond per l’obiettivo a breve termine
– 50/50 per quello a medio termine
– 60/40 per l’Università
– 70/30 per il Retirement e
– 100% per il lascito.
Il risultato complessivo, chiamato Overall Portfolio, risulterà composto con un’asset allocation composta al 67% da azioni e al 33% da obbligazioni.
Per dare un senso ai dati dell’Overall Portfolio gli ho dato a sua volta un orizzonte di 25 anni, dato che la parte Retirement è quella che impatta di più.
Su 25 anni, il mio portafoglio 67/33 ha un rendimento atteso del 6,16%, un rendimento minimo del 3,5%, una probabilità di realizzarlo di quasi il 90% e una probabilità praticamente nulla di avere un rendimento nominale negativo.
Ovviamente, l’Overall Portfolio ha senso così oggi.
Da qui a 25 anni non è detto che avrà esattamente la forma che sto prevedendo in questo momento.
Potrei consumare parte del patrimonio per gli obiettivi di breve e medio termine.
Potrebbe ridursi la mia capacità di risparmio.
Potrei incorrere in uno sfortunato decennio perduto.
Ma allo stesso tempo vale anche il contrario.
Potrei aumentare la capacità di risparmio e non arrivare mai a toccare i soldi previsti neanche per gli obiettivi intermedi.
O il mercato potrebbe riservarmi una sequenza fortunata.
Quella è una fotografia che funziona nel momento in cui sto pianificando.
Nel corso della vita è naturale che prenderà forme diverse a seconda di come vorrò modificare i vari parametri.
Ora, facciamo alcune considerazioni.
PRIMA CONSIDERAZIONE: ci sono numerose “assumptions” in questo modello, numerose ipotesi. Stiamo immaginando che un investimento nell’azionario globale market cap weighted riporterà nel futuro QUEI rendimenti, stiamo considerando che i rendimenti azionari a 5 anni siano in media gli stessi che a 25 anni, stiamo assumendo che la volatilità annualizzata sia costante e soprattutto che la distribuzione dei rendimenti sia normale.
“Normale” nel senso statistico ovviamente.
Sono assunzioni tutt’altro che scontate.
Quindi è importante avere un approccio allo stesso tempo conservativo ed elastico per evitare di affidarsi eccessivamente a questi numeri.
Questo in due modi:
– Da una parte ipotizzando che i rendimenti possano essere più deludenti del previsto. Credo che la cosa migliore sia avere obiettivi ambiziosi, ma allo stesso tempo cercare di posizionare i target minimi in modo realistico e conservativo, cercando per quanto possibile di far dipendere i BISOGNI dalla nostra capacità di risparmio e lasciando alle buone notizie del mercato la responsabilità di realizzare i SOGNI.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che se la scala dei miei obiettivi, in ordine di importanza è: Bisogni, Volontà, Desideri e Sogni, imposterei una pianificazione tale per cui per i primi serva tanto risparmio e poco rendimento e via via che ci spostiamo verso desideri e sogni sia l’effetto del rendimento composto a fare l'”heavylifting”, a fare il grosso del lavoro.
Se ho un obiettivo quasi vitale da qui a 10 anni che posso raggiungere investendo 500 € al mese in un portafoglio che rende il 5% o investendo 370 € al mese in un portafoglio che rende il 10%, mi sembra ovvio che la prima strada sia quella da preferire. Il risultato finale è lo stesso ma nel primo caso è più probabile e dipende più da me che dalla buona sorte.
– Il secondo modo è mantenendo finestre flessibili sull’orizzonte temporale. Più l’obiettivo si può muovere nel tempo, maggiori sono le probabilità che abbiamo di realizzarlo.
Certo, l’università inizia in un momento ben preciso della vita dei nostri figli — e lì meglio lasciare poco margine.
Ma per quanto riguarda l’obiettivo del retirement, per esempio, posso pensare di posizionarlo tra 25 anni, ma anche di poterlo realizzare tra 20 oppure 30, a seconda di come andrà il mercato nei prossimi 2-3 decenni (e naturalmente in base anche a come andrà la mia carriera professionale)
La flessibilità della finestra temporale di ciascun obiettivo è una chiave per piegare a nostro vantaggio la discontinuità di mercati e quella fastidiosa caratteristica che hanno di avere comportamenti che in media sono una cosa, ma che nei singoli anni dalla media sono lontani anni luce.
SECONDA CONSIDERAZIONE: come dicevamo prima parlando della dinamicità dell’Overall Portfolio, questo lavoro non va fatto una volta per tutte, ma è un processo iterativo.
Almeno 1 o 2 volte all’anno bisognerebbe buttare un occhio alla nostra pianificazione e riadattarla in base a come stanno andando i nostri investimenti e a come possono modificarsi non solo i nostri obiettivi, ma anche il livello di priorità e importanza che attribuiamo ad essi.
Magari oggi per me è vitale raggiungere a tutti costi l’obiettivo X entro l’anno 2035, tra un anno invece scopro che tutto sommato anche se ci arrivo nell’anno 2040 o non ci arrivo affatto va bene lo stesso.
Ci saranno momenti in cui il rischio di sequenza giocherà a nostro favore — e questo potrebbe permetterci di accorciare la strada verso alcuni obiettivi e quindi ripensare l’allocazione complessiva dei vari sottoportafogli — e altri momenti in cui accadrà esattamente il contrario e quindi sarà necessario ridefinire alcune priorità.
TERZA CONSIDERAZIONE: il modello è chiaramente semplicistico.
Non considera la possibilità di includere altre asset class nel portafoglio come Oro o materie prime, che peraltro nel modello di Markowitz farebbero fatica a trovare spazio, visto che storicamente hanno un rendimento inferiore alle azioni ma una volatilità superiore.
Non considera l’impatto di strategie diverse dal possedere asset che replicano il mercato in maniera passiva, come ad esempio strategie fattoriali.
Ma soprattutto non considera l’effetto dei ribilanciamenti.
Come avevamo detto nell’episodio 152 sul Demone di Shannon, il ribilanciamento di asset tra loro poco correlati produce un effetto mediamente positivo sul rendimento realizzato, che risulta superiore al rendimento medio ponderato delle singole asset class.
Per esempio, il classico 60/40 fatto di S&P 500 e Treasury intermedi negli ultimi 50 anni ribilanciato con una tolleranza del 10%, cioè ogni volta che l’asset allocation si è spostata di almeno un 10% dai pesi originari, ha reso il 9,57% dal 1972 ad oggi.
La media ponderata di S&P 500 e Treasury intermedi presi singolarmente sarebbe invece di 8,96%.
E sappiamo molto bene che mezzo punto percentuale all’anno di differenza di rendimento fa una grande differenza nel lungo termine.
Insomma, come sempre, diciamo una serie di cose ma poi dobbiamo mettere mille asterischi.
La finanza è così.
Resta pur sempre più arte che scienza.
E se fosse possibile eliminare del tutto i rischi e avere delle previsioni certe sull’andamento futuro dei nostri investimenti, beh, probabilmente non avremmo alcun rendimento per motivi noti che conoscete.
Bene, care amiche e cari amici di The Bull, spero che quest’episodio vi sia piaciuto e che abbia aggiunto qualche utile strumento per aiutarvi a ragionare in maniera più consapevole sul vostro portafoglio.
Naturalmente nulla di quello che è stato detto oggi o nei 174 episodi precedenti deve essere inteso come una raccomandazione di investimento, né il file condiviso ha alcuna validità se non puramente illustrativa ed esemplificativa.
Va quindi usato per seguire meglio il ragionamento dell’episodio di oggi, ma non va inteso in alcun modo come strumento predittivo sulla performance futura dei vostri investimenti.
Detto questo vi ringrazio come sempre per avermi ascoltato anche oggi e vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che fanno i sequel di quelli precedenti sperando di fare la fine del Padrino II e non di Speed II sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima per un nuovo appuntamento insieme a risolvere un enigma dopo l’altro sino a che non avremo svelato il portafoglio perfetto sempre qui, naturalmente con The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024