113. Come investire in ETF Fattoriali
Risorse
Punti Chiave
Il Factor Investing punta a extra-rendimenti sistematici esponendosi a specifici fattori di mercato, implementabili con ETF.
La sua implementazione è complessa per la variabilità dei rendimenti, l'importanza del timing e la necessità di una diversificazione attenta.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Dopo la scorpacciata di obbligazioni con l’ultimo episodio con Costantino Forgione, dalle cartolarizzazioni dei biglietti della Fiorentina all’Eni Messicana che sicuramente sarà presente nel portafoglio di Paolo Coletti, oggi si torna a parlare dell’asset class preferita da grandi e piccini: le azioni!
Dai diciamocelo: se non sei un investitore istituzionale, le obbligazioni non piacciono a nessuno e sono di una noia mortale. Costantino, niente di personale eh! Si scherza.
Le azioni però, beh, volete mettere l’eccitazione di un bel portafoglio azionario aggressivo invece che investire i vostri soldi in titoli di Stato che subito fa sentire più vecchi di nonna?
Oggi quindi si torna a parlare della parte azionaria del nostro portafoglio con uno dei pochi macro argomenti che ancora mancavano in questo nostro contenitore di inesauribile sapienza finanziaria e ancora più inesauribile distribuzione di scemenze.
Quest’argomento riguarda il cosiddetto FACTOR INVESTING e siccome qua si parla perlopiù di ETF, il tema sarà strettamente legato a Come Investire in ETF fattoriali, come del resto si capiva facilmente dal titolo perché non è che i titoli li faccio a cazzo.
E qui potreste dirmi: “ma scusa: ma 113 episodi ci volevano prima di parlare di questa roba?”.
Allora intanto ve ne avevo già parlato nell’episodio 57, anche se quello era un episodio di carattere descrittivo e in pratica avevo liquidato la questione dicendo: se volete diversificare ulteriormente ci sono gli ETF fattoriali, però non aspettatevi che se investite in quelli siete più ganzi e fate più soldi.
E poi morta lì.
Ora che siete tutti adulti e vaccinati invece, ho arbitrariamente deciso che siete pronti per affrontare quest’argomento in maniera un po’ più strutturata.
Se avessi fatto quest’episodio tempo fa, probabilmente avrei dovuto fare una montagna di premesse e poi l’episodio durava tre ore e vi seccavo tutti quanti dalla noia.
Oggi invece che siete attrezzati sulla finanza che tra un po’ potete entrare nel board della banca centrale europea, possiamo fiondarci su questo tema certi che ne sappiate abbastanza da non capire Roma per Toma alla fine di quest’episodio e combinare disastri con i vostri portafogli.
Prima di cominciare giusto un minuto e mezzo per il momento sponsor e vi ricordo che se vorrete investire in ETF fattoriali un modo per farlo a basso costo è tramite il nostro partner Scalable Capital, il broker online tra i leader in Europa che tutti presi a fare la piattaforma semplice e intuitiva praticamente si sono dimenticati di farsi pagare da chi la usa per investire.
Infatti già con l’account Free Broker non pagate nessun abbonamento, avete piani di accumulo senza costi d’ordine e potete comprare singoli ETF di Ishares, Xtrackers e Invesco senza commissioni per importi da almeno 250 €.
Se poi non volete pagare nemmeno gli ETF emessi da altre società, volete usare la piattaforma di intelligence Scalable Insights e volete avere il 4% di interessi annui sulla liquidità non investita per i primi 4 mesi e poi 2,6%, allora c’è il costosissimo abbonamento Premium Plus a ben 4,99 € al mese.
Ricordatevi che, come tutti i broker esteri, Scalable è in regime dichiarativo, quindi non fa da sostituto d’imposta.
Diversamente da altri broker esteri, però, Scalable vi manda a maggio un report già precompilato per il nostro 730, fatto insieme a KPMG, e il gioco è fatto.
Quindi non solo se ci sono stati “eventi fiscalmente rilevanti”, ossia se avete venduto qualcosa nel corso dell’anno passato mentre invece se non avete venduto niente e realizzato nessun capital gain da tassare vi attaccate, come alcuni Broker fanno: no, Scalable ve lo manda a prescindere.
Se volete aprire un account con Scalable e rendere miliardario chi vi parla come Roaring Kitty, il tizio che scrive su Reddit e tutti gli fanno salire le azioni di GameStop, c’è un link negli shownote dell’episodio cliccando sul quale direte a Scalable: “ok io faccio l’account ma caccia i soldi a quello di The Bull”.
Proprio così, esattamente con questa cattiveria.
Altrimenti andate sul sito Scalable.capital, fate tutto in incognito e niente Roaring Kitty, vorrà dire che si continua a star qua a lavorare e fare podcast a vita.
Torniamo a noi invece e fiondiamoci nel cuore dell’episodio e spieghiamo tutto quello che dovete sapere prima di investire in ETF Fattoriali, noti anche come Smart Beta.
Per spiegare come si deve che diavolo è sto factor investing, dobbiamo però partire da Alpha e Beta.
È noto che la finanza, per darsi un tono, usa le lettere greche come si fa in fisica così da far credere che ci sia uno straccio di fondatezza matematica dietro le sue elucubrazioni, ma come sapete bene di matematicamente fondato in finanza non c’è, sempre per usare concetti presi dal formalismo matematico, un bel C.D.N., che è un acronimo che sta per un cazzo di niente.
Comunque per un attimo facciamo finta che la finanza sia una scienza e spieghiamo cosa sono Alpha e Beta.
Per farla breve, Alpha e Beta possono essere viste come due forme di “outperformance”, ossia di rendimento supplementare di un certo investimento rispetto al suo mercato di riferimento.
Alpha è rendimento extra idiosincratico, ossia il rendimento extra che deriva dal fatto, per esempio, di aver pescato Nvidia 3 anni fa e di averci investito metà del portafoglio. Ciò che cerca di ottenere tipicamente un investitore è attivo è appunto questo alfa, ossia un extra rendimento derivato da specifiche decisioni.
Beta invece è la misura della sensibilità di un certo portafoglio rispetto al suo mercato, quindi per restare nel parallelismo potremmo definirlo extra rendimento sistematico.
State tranquilli che mo ci capiamo.
Allora ricordiamoci quello che dice il CAPM, il Capital Asset Pricing Model messo su negli anni ’60 da William Sharpe, quello dell’indice di Sharpe, e altri suoi amici: il rendimento di un portafoglio equivale al Rendimento risk-free, quello dei titoli di stato a breve solitamente, PIU’ Beta moltiplicato per il risk premium, ossia per la differenza tra il rendimento atteso di quel mercato e il rendimento risk free.
Quel beta è ciò che definisce il valore della sensibilità del mio portafoglio rispetto al suo mercato di riferimento, quindi in pratica ci dice se il mio portafoglio è più o meno volatile rispetto al mercato.
Se investo in un indice come l’S&P 500, per definizione Beta è uguale a uno perché sto investendo in tutto il mercato.
Se invece investo in un sottoinsieme dell’S&P 500 allora Beta cambia e può essere maggiore o minore di uno. Un Beta maggiore di uno significa che il mio investimento amplifica la volatilità del suo mercato di riferimento, ossia: cresce di più quando il mercato cresce e perde di più quando il mercato va giù. Un Beta minore di uno vul dire l’opposto.
Fino all’inizio degli anni ’90 Beta era l’unico fattore che il modello del CAPM prevedeva per spiegare il fatto che certi investimenti avessero un rendimento extra rispetto al mercato.
Il problema è che Beta spiegava circa 2/3 dei dati mentre rimaneva fuori circa un 30% di situazioni in cui non si riusciva a ricondurre l’extra performance di determinati portafogli a ciò che prevedeva il modello.
Forse perché la finanza non è una scienza e quindi i modelli sono delle mezze minchiate?
Forse.
Però gente molto più intelligente di me non si è arresa e ha tirato fuori altri due fattori che sembrerebbero colmare la lacuna.
Ancora una volta sono stati i nostri due super eroi, spesso citati, il premio Nobel Eugene Fama e il suo compagno di avventure Kenneth French a scrivere un bel paper nel 1992 e dire: “ragazzi, abbiamo capito tutto. Beta non è l’unico fattore. Ce ne sono altri due. La dimensione delle società e il loro valore contabile”.
Beta, Size e Value sono quindi diventati i fattori del cosiddetto Three Factor Model, ossia il modello a tre fattori, così chiamato con grandissima originalità.
In pratica sto modello aggiunge il fatto che le società più piccole (le cosiddette small cap) e quelle, per farla breve, con un price to book value contenuto (ossia con un rapporto tra prezzo per azione e valore patrimoniale netto più basso) tendono nel lungo termine ad avere un extra rendimento rispetto al mercato in cui sono inserite.
Non contenti, qualche anno dopo hanno aggiunto altri due fattori che sono la profittabilità della società e la quantità di capitale utilizzato per investimenti sulla crescita della società rispetto al suo valore patrimoniale.
Ora, senza entra troppo nel dettaglio, sembrerebbe che sia sul mercato americano che sul mercato azionale globale storicamente le small call e le società value avrebbero conseguito in media un rendimento superiore rispetto a quello del mercato in generale.
Successivamente in tanti hanno provato a individuare altri fattori che fondassero la possibilità di ottenere un extra rendimento sistematico rispetto al mercato e ad oggi i 6 fattori più comunemente riconosciuti sono, oltre a Size e Value, Momentum, Quality, Low Volatitly e High Dividend.
Se questi fattori sono effettivamente i principali criteri che permettono di ottenere un extra rendimento non idiosincratico, bensì sistematico, quindi non alpha ma beta, si capisce da dove deriva il nome di “smart beta” degli etf che li replicano.
Prima di spiegarli però facciamo una precisazione, che sennò so già che mi mandate mille messaggi per dirmi che in passato avevo detto cose diverse.
Sempre nell’episodio 57 avevo detto che, sulla base di analisi fatte da Jermey Siegel nel suo Stocks for the long Run, era stato dimostrato che l’investimento fattoriale sottoperforma il mercato, invece che portare extra rendimento.
Distinguiamo due cose:
– Questi singoli fattori, presi per sé, ha restituito un ritorno medio nel lunghissimo termine superiore al mercato in generale. E questa è una cosa.
– Creare portafogli che invece, implementando queste strategie fattoriali, siano sistematicamente in grado di battere il mercato, è invece tutt’altra cosa e Siegel infatti fa una simulazione che risale dal 1926 al 2021 in cui utilizza determinati criteri per sovrappesare le società che meglio esprimono un certo fattore e shortano quelle che lo esprimono meno e si vede che nessun fattore applicato sistematicamente batte il mercato nel lungo periodo.
In quella sede, oltre 60 episodi fa, non era il momento di metterci a fare disquisizioni troppo complicate, quindi non sono andato più di tanto nel dettaglio. Oggi invece, pur senza cambiare fondamentalmente opinione rispetto ad allora, come capirete, cerchiamo di capire le cose meglio.
Allora abbiamo due temi:
– Il PRIMO è che ci sono dei fattori che effettivamente sono in grado di produrre un extra rendimento sistematico rispetto al mercato. Appunto le small cap tradizionalmente rendono di più delle large cap, le società value rendono più delle growth e così via.
– Il SECONDO è come si possa trarre vantaggio da questa cosa. E vedremo che questo è tutt’altro che scontato.
Abbiamo detto che oggi i fattori più noti sono 6 e prendo un paper fatto da MSCI nel 2013 per definirli. Poi il paper ve lo linko negli shownote dell’episodio, così se non avete niente da fare e desiderate farvi due palle tante ve lo leggete tutto.
Dunque:
– SIZE è il fattore che cattura l’extra rendimento delle società più piccole — e qua non è che ci voleva un genio;
– VALUE è il fattore che cattura l’extra rendimento delle società con un prezzo per azione relativamente basso rispetto a indicatori come il book value, gli utili, il fatturato, il free cash flow e altre cose;
– MOMENTUM è il fattore che riflette l’extra rendimento di società che negli ultimi 3, 6 e 12 mesi sono cresciute di più rispetto al mercato, in base all’idea per cui una società che è cresciuta tanto di recente, tende a mantenere il suo slancio (momentum appunto) ancora per un po’;
– LOW VOLATILTY è il fattore che riflette l’extra rendimento di società con una volatilità inferiore al mercato o con un minor rischio specifico;
– DIVIDEND YIELD è il fattore che cattura l’extra rendimento di società con un rendimento da dividendo superiore alla media e infine
– QUALITY è il fattore che accomuna società con elevanti valori fondamentali come basso debito, stabile crescita degli utili, alto return on equity, elevato free cash flow e via dicendo.
Lo so che ve li siete già dimenticati tutti, ma almeno io il mio dovere di dirveli per bene l’ho fatto.
Bene.
Allora questi fattori hanno effettivamente restituito delle extra performance negli anni?
Usiamo come riferimento gli indici che ha realizzato MSCI, che ha preso il suo più famoso indice MSCI World e ha creato 6 sottoindici basati su questi 6 fattori e vediamo come è andata.
Purtroppo i dati partono da momenti diversi, per Value abbiamo ben 50 anni di dati, fino al 1974, mentre per l’MSCI small caps non possiamo andare più indietro del 2000.
Nel paper invece abbiamo i dati dal 1988 al 2013, non ho invece trovato dati aggregati abbastanza estesi nel tempo, quindi dovremo usare un po’ di immaginazione.
Se invece trovate fonti di dati più organiche, fatemi sapere.
Comunque vediamo come sono andati questi sottoindici negli ultimi decenni.
Non li analizziamo tutti uno per uno sennò stiamo qua fino a domani, però diciamo che tutti e sei, perlomeno nell’orizzonte temporale che gli indici di MSCI ci mettono a disposizione, hanno battuto e pure di parecchio il classico MSCi World.
Per esempio l’indice Value dal 1974 ad oggi ha reso lo 0,4% in più ogni anno rispetto al MSCI World. Quasi mezzo punto percentuale non è poca roba.
Se prendiamo invece l’indice Momentum, dove però abbiamo i dati solo dal 1994, abbiamo quasi 3 punti percentuali in più all’anno. E questo non c’è bisogno che vi dica che è tantissimo.
Quality, sempre a partire dal 1994, ha fatto ben 3,5 punti percentuali di rendimento in più rispetto all’MSCI World.
Insomma, praticamente tutti gli indici MSCI fattoriali battono l’MSCI World nel massimo orizzonte temporale che MSCI mette a disposizione.
Cambiano i dati a seconda dei periodi, però sembra che alla fine l’investimento fattoriale generi sempre un extra rendimento.
Ora come sapete bene esistono ETF che, ovviamente, replicano tutti gli indici fattoriali che abbiamo citato, quindi scegliere di investire esponendoci ad uno o più di questi fattori è piuttosto semplice.
Se facciamo un backtest sulla versione Europea di questi ETF scopriamo delle cose interessanti.
Anche qui purtroppo non ho dati che vanno troppo indietro nel tempo, ma riesco a risalire solo al dicembre del 2000, un momento peraltro un po’ particolare perché all’inizio della dot.com bubble e del decennio perduto che avrebbe causato la peggiore sofferenza per l’azionario dai tempi della grande depressione.
Comunque, dal dicembre 2000 ad oggi, un ETF sull’MSCI World ha fatto un poco lodevole 5,6% all’anno e sarebbe stato battuto da tutti gli indici fattoriali — e andiamo da Low Volatility che avrebbe fatto un 6,31% al quasi 8% all’anno dell’indice Small Caps.
Sembra la prova definitiva no?
Qualunque sottoindice fattoriale prendi, batte sempre l’indice generale.
E quindi ora voi potreste dirmi: “ahpperò! Ma quindi c’è un modo per battere il mercato! E scusa e non potevi dircelo un anno fa mannaggia a te!”
Già vi vedo che adesso volete scombinare tutti i vostri portafogli e usare solo ETF fattoriali per fare il botto!
Attenzione però.
Dovrebbe come minimo salirvi un dubbio.
Se fosse così semplice, se fosse una cosa certa ed evidente da oltre 30 anni che ci sono dei fattori che garantiscono un extra rendimento sistematico rispetto al mercato, com’è che i fondi attivi, gli hedge fund e gli altri fanno sistematicamente cagare e non battono il mercato alla grande?
Cioè non è che i gestori dei fondi questa cosa non la sanno.
Ma allora perché non la implementano nei loro portafogli?
Perché un conto è sapere che ci sono dei fattori in grado di garantire un “Beta” maggiore rispetto al mercato, ossia non un extra rendimento derivato da specifiche decisioni di investimento, che si chiamerebbe Alpha come abbiamo detto, ma derivato da un’esposizione sistematica ad un certo sottoinsieme del mercato che presenta caratteristiche comuni.
Un altro conto invece è fare un portafoglio che sia davvero in grado di fare questa cosa.
Riprendiamo tutti i dati che abbiamo snocciolato e che sembrano dire, in qualunque modo la prendiamo, che l’investimento fattoriale batte quello market cap weighted basato sull’intero indice, e proviamo però ad andare un po’ più in profondità.
Cominciamo dal back test sugli ETF europei.
Avevamo detto che dal dicembre 2000 ad oggi tutti gli indici fattoriali hanno battuto, in alcuni casi pure di molto, quello generale.
Proviamo però a cambiare la data di partenza.
Invece che cominciare con il dicembre 2000, quando era appena iniziata la discesa del baratro, partiamo dal dicembre 2004, a metà strada tra la bolla delle dot.com e l’inizio della grande crisi finanziaria del 2008.
Già questa piccola modifica cambia di parecchio lo scenario.
In questo caso solo Quality e Momentum battono l’MSCI world, Small Caps fa più o meno tanto quanto l’indice generale, circa 9% all’anno, mentre gli altri tre fattori restano nettamente indietro.
E ora guardiamo cosa è successo negli ultimi 10 anni, ossia dal marzo 2014, quando ormai l’azionario globale aveva recuperato dalla crisi ed era nuovamente tornato sui massimi, fino al marzo 2024.
Sorpresa sorpresa, quality e momentum sono gli unici che continuano a battere l’MSCI World, rispettivamente con un 13,5% e addirittura un 14,3% di rendimento medio annuo, l’MSCI World fa un eccellente 11,8% mentre gli altri fattori restano tutti indietro, con i due fattori originali di Fama e French, ossia Value e Small Caps che si attestano tra l’8,5 e il 9,5% all’anno.
Ora vediamo un’altra cosa, perché non si tratta solo di scegliere il momento giusto da cui far partire i backtest per fare uscire i risultati che vogliamo.
Torniamo a considerare il periodo dal dicembre 2000 ad oggi, nel quale come abbiamo visto tutti i fattori battono l’MSCI World.
Però invece che prendere il rendimento del mercato, che come sapete corrisponde al rendimento dell’investitore solo se questo mette soldi il primo giorno e poi non tocca mai più il suo portafoglio, immaginiamo un più verosimile scenario in cui l’investitore fa un classico piano di accumulo e versa un importo fisso mensile.
Cosa succede?
Momentum e Quality continuano a stravincere, Small Caps e MSCI World fanno invece tanto quanto e gli altri fattori restano addirittura tutti indietro.
Come è possibile vi chiederete?
Stesso backtest di prima, ma risultato finale completamente diverso.
Eh ragazzi, non dovete mai, mai e poi mai dimenticarvi il Sequence of Retruns Risk, ossia il rischio di sequenza dei rendimenti.
Se investite un po’ per volta, o se in generale mettete mano al cashflow del portafoglio (che è ciò che giustamente fa il 99,9% degli investitori) l’ordine in cui si susseguono gli up and down del mercato fa un’enorme differenza sul risultato finale.
Quindi non basta dire che un certo indice fattoriale in media ha fatto x% all’anno, perché quella media potrebbe essere il risultato netto di singoli valori lontanissimi tra di loro.
Se voi impostate la temperatura in casa di vostra nonna IN MEDIA a 20 gradi, ma questi 20 gradi sono la media tra 10° gradi in bagno e 30° in camera da letto, vi ritrovate una nonna che in media sta in totale comfort ma che nella realtà sta schiattata.
Occhio alle medie.
Come dice il titolo di un capitolo del terzo libro di Nassim Taleb Antifragile “mai attraversare un fiume che in media è profondo un metro”.
Ora lasciamo da parte nonne stecchite e attraversatori di fiumi aspiranti palombari e facciamo un’ultima considerazione prima di capire perché sti fattori hanno comportamenti un po’ strani.
Potreste dirmi: “ok, tutto chiaro, però sembra che Momentum e Quality siano i fattori a prova di bomba. In tutti i backtest che abbiamo fatto risultano di gran lunga i più performanti, sia prendendo i dati in dollari dal 1994 ad oggi, sia prendendo i dati in Euro usando gli ETF dal 2000 ai giorni nostri”.
A posto no? D’ora in poi investo solo in questi e non ho più dubbi che mi prenderò l’extra rendimento sistematico che garantiscono.
Andiamo con calma, prima di tirare conclusioni azzardate che poi fate minchiate.
Intanto gli indici Momentum e Quality, proprio per loro caratteristiche e per le società che negli ultimi 20 anni hanno sovrappesato, sono andate molto meglio nei momenti di up del mercato e hanno fatto molto male nei momenti di down.
Se prendiamo il decennio perduto, quindi dal 2000 alla fine del 2009, hanno fatto leggermente meglio del MSCI World, ma nettamente peggio di tutti gli altri fattori. Quindi possono portare sì extra rendimento beta, ma a condizione di tenere botta abbastanza a lungo da superare una cosa come un intero decennio perduto.
E poi c’è da fare un’altra considerazione.
Andiamo a prendere i due indici e vediamo quali sono le prime 10 società che, ad oggi, li compongono.
Le top 10 holdings di Momentum sono, in ordine di peso: Nvidia, Meta, Amazon, Eli Lilly, Boradcom, Microsoft, Google e Toyota (sì in realtà sono 9 e non 10 perché Google ha le Alphabet A e le Alphabet B che tecnicamente sono considerate due azioni diverse). Comunque queste prime 9 o 10 azioni come volete considerarle pesano il 42% del totale.
Le top 10 holdings di Quality sono, sempre in ordine di peso: Nvidia, Microsoft, Apple, Meta, Eli Lilly, Google, Novo Nordisk, Broadcom e Visa. Sempre 9 o 10 in base a come considerate Google e tutte insieme pesano per il 39% del totale.
Ora purtroppo non ho modo di sapere in ogni singolo anno quali sono stati i componenti dell’indice, anche perché a differenza degli indici generali, questi cambiano frequentemente la loro composizione per riflettere le variazioni nei valori fondamentali delle società.
Però capite che qualunque backtest che finisce ai giorni nostri fa stravincere Momentum e Quality per un motivo molto semplice: sono estremamente concentrati sulla manciata di società che negli ultimi 15 anni hanno stramegadominato il mercato, le solite note: Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta e più di recente Nvidia.
Se prendiamo gli ultimi 15 anni:
Apple è crescita del 29% all’anno.
Microsoft del 24%
Google del 20%
Meta del 24% (dal 2012 quando è stata quotata)
Amazon del 28% e
Sua maestà Nvidia addirittura del 51%
Capite che se queste società sono state presenti negli indici fattoriali anche solo nell’ultimo decennio, beh, probabilmente queste sono state le principali responsabili di questa sistematica outperformance degli indici momentum e quality in ogni orizzonte considerato.
Ve lo dico perché c’è qualche cazzaro ogni tanto sui social che fa dei post del tipo “ecco l’ETF che batte da 10 anni l’S&P 500!” e vi fa vedere magari un ETF sull’MSCI Quality Factor.
Ora al cialtrone di turno, qualcuno me l’avete anche segnalato voi, bisognerebbe dire che non è che questo è l’ETF che batte l’S&P 500.
E’ semplicemente l’ETF che si è trovato ad avere in pancia una concentrazione di queste società in un periodo storico in cui il grosso del rendimento azionario globale è stato in larga parte determinato dalla loro straordinaria performance.
Storicamente le società value e le small caps hanno sovraperformato il mercato, come previso dal modello di Fama e French.
Ma se negli ultimi 15 anni aveste puntato su Value o Small Caps avreste preso degli schiaffi memorabili.
Quindi i fattori funzionano, sì, ma è tutto molto relativo a periodi storici anche piuttosto lunghi che consideriamo.
Fissiamo qualche punto prima di passare alla parte su come investire in ETF fattoriali, ammesso e non concesso che sia necessario farlo.
PUNTO NUMERO UNO: l’investimento fattoriale tende a generare un extra rendimento sistematico nel lungo termine, almeno in linea di principio dato che una statistica realmente a lungo termine non esiste, perché incorporano un rischio maggiore. Questo maggior rischio tipicamente è legato alla loro maggiore concentrazione e il più delle volte si riflette in una maggiore deviazione standard. In linea di principio non potrebbe esserci maggior rendimento senza maggior rischio sistematico, almeno se crediamo che i mercati sono efficienti.
PUNTO NUMERO DUE: l’investimento fattoriale implica un’alta variabilità dei rendimenti nelle diverse fasi.
Come abbiamo visto l’investimento Value o in Small Caps ha una lunga tradizione di sovraperformance, eppure ci stiamo avvicinando ai due decenni di sottoperformance consecutivi.
Allo stesso modo oggi sembra scontato che investire in Momentum o Quality sia una garanzia di extra rendimento per il futuro, ma nulla implica che così sarà. Non sta scritto da nessuna parte che anche in futuro il grosso del rendimento del mercato sia concentrato in poche aziende dominanti e che quindi la maggior concentrazione di questi due sottoindici paghi sempre.
Inoltre un conto è vedere un backtest è sapere che su ampi orizzonti temporali succedono certe cose, un conto è essere in grado di sopportare un investimento di questo tipo e essere disposti ad avere fiducia, magari per interi decenni, che un certo fattore continuerà a garantire in media un extra rendimento anche se da 15 anni sta facendo schifo.
Concettualmente oggi un investitore che vuole prendere una decisione fattoriale dovrebbe puntare su quelle che stanno andando peggio, quindi Value e Small Cap, per aspettarsi una clamorosa regressione verso la media.
Ma sfido chiunque ad essere sereno a fare una cosa del genere e puntare tutto su società che da quando Fabio Grosso ci ha regalato il quarto mondiale fanno peggio di un banale MSCI World semplice semplice.
Sapere che un certo fattore è in grado di restituire un extra ritorno sistematico è una cosa.
Implementarlo nel portafoglio è tutt’altra.
TERZO PUNTO — e forse questa è la più importante di tutte: la grandissima variabilità dei risultati, anche per lunghi periodi di tempo, amplifica il rischio di sequenza tipico dell’investimento azionario.
Già noi sappiamo che investire nell’azionario globale, che pur ha fatto in media oltre l’8% all’anno da quasi mezzo secolo ad oggi, è pieno di insidie perché “dipende” da quando iniziamo ad investire e quanto investiamo nelle varie fasi.
Aver iniziato nel 2000 avrebbe avuto un certo risultato. Aver iniziato nel 2009 tutt’altro.
Ma con l’investimento fattoriale, dato che nessuno di noi investe one-shot all’inizio e poi mai più, la variabilità dei rendimenti è ulteriormente amplificata dal rischio di sequenza.
Io posso anche investire in un indice fattoriale che in media batte l’MSCI World di 1-2 punti percentuali all’anno, ma se il timing del mio piano di accumulo, o cmq il timing di quando metto o tolgo soldi dal portafoglio non è felice, ho un rischio elevato di ammazzare l’extra rendimento che quel fattore dovrebbe garantire.
Banalmente l’indice Momentum, che negli ultimi 10 anni ha battuto l’MSCI World in media di 1% all’anno, avrebbe fatto invece fatto leggermente peggio di un ETF sul MSCI World se avessi investito un po’ per volta ogni mese.
Come noto, un conto è il ritorno di un investimento. Un altro è il ritorno di un investitore.
Le singole decisioni che prendiamo e la disponibilità di risparmio che possiamo allocare sai nostri investimenti possono determinare delle differenze astronomiche.
Veniamo infine alla QUARTA CONCLUSIONE: come implementare nel portafoglio una strategia fattoriale.
Se sono chiari i punti precedenti, dire ok punto tutto su Value o Small Caps non è necessariamente una buona idea.
I fattori andamenti ciclici piuttosto variabili e quindi c’è una componente di timing dell’investimento che non si può trascurare.
E qui veniamo al punto su “come investire in ETF fattoriali.
Diciamo intanto che, sempre dal punto di vista teorico e non necessariamente dal punto di vista pratico dato che molto fa quali aziende effettivamente finiscono dentro un certo indice fattoriale, i 6 fattori possono essere raggruppati in due categorie:
– Quelli CICLICI e più aggressivi, tra molte virgolette, che sarebbero: Value, Small Caps e Momentum e
– Quelli DIFENSIVI, cioè gli altri tre: Quality, Low Volatilty e High Dividend.
Ricordiamo quali sono tipicamente le 4 fasi del ciclo economico.
Abbiamo:
– La CRESCITA: nella quale l’economia va bene, le azioni salgono e ad un certo punto salgono anche inflazione e tassi di interessi;
– Segue il RALLENTAMENTO: con l’inflazione che aumenta e il rialzo dei tassi di interesse che raffredda l’economia, di solito facendo andare giù sia azioni che obbligazioni e spingendo gli investitori verso i cosiddetti asset rifugio, come oro, cash, obbligazioni inflation linked e appunto titoli difensivi;
– A quel punto c’è la CONTRAZIONE o RECESSIONE, che le banche centrali cercando di contrastare tagliando i tassi di interesse e infine abbiamo
– La RIPRESA, con i bondi lunghi e le azioni che riprendono la loro corsa.
Stando ad un bel report colorato di Blackrock, durante la Ripresa storicamente danno il meglio di sé Value e Small Caps. Durante la Crescita comanda Momentum, mentre nelle fasi di rallentamento e recessione prevalgono Quality, Low Volatilty e High Yield, anche se in realtà Quality (avendo in pancia le società di cui abbiamo parlato prima) sta seguendo Momentum molto da vicino.
Cmq teoricamente uno dovrebbe far girare il proprio portafoglio sovrappesano o sottopesando in maniera ciclica i vari fattori a seconda della fase del ciclo economico in cui ci si trova.
Piccolo problema: si sa di essere in una certa fase solo a posteriori, non è che qualcuno ti avvisa prima. Quindi riuscire davvero a postare il portafoglio verso un fattore o l’altro nel momento giusto è molto più facile a dirsi che a farsi.
Personalmente ritengo che pensare di far “tiltare” il portafoglio come si dice da un fattore all’altro rischia di fare solo danni e per due motivi:
– Intanto perché beccare il timing è difficile al quadrato;
– E poi perché come sapete bene le compravendite comportano costi, tasse e tante altre amenità che incidono negativamente sul rendimento, anche considerato che gli ETF fattoriali tipicamente hanno dei TER altini (anche 0,3-0,4%) e dei costi impliciti legati al maggior turnover dei titoli al loro interno, che il fondo deve far girare più spesso rispetto all’indice generale.
Detto questo, ciò che io ritengo personalmente vale tanto quanto il 2 di picche a briscola,quindi fate un po’ di testa vostra e non state ad ascoltare me.
È secondo me più interessante vedere invece come sono correlati i diversi fattori, perché ad esempio una strategia potrebbe essere quella di scegliere fattori poco correlati tra loro per provare ad intercettare l’extra rendimento in diverse fasi di mercato.
Non è assolutamente detto che funzioni, ma concettualmente la logica non fa una piega.
I due fattori maggiormente correlati tra loro sono Value e Small Caps, circa 0,7 negli ultimi 25 anni.
Questo significa che tenderanno ad andare bene o male più o meno negli stessi momenti.
Sono molto correlati tra loro anche High-Dividend e Low Volatilty, circa 0,5.
La massima decorrelazione si ha invece tra Value e Quality e parliamo di un -0,56, che in pratica significa che hanno comportamenti nettamente divergenti l’uno dall’altro.
Non è un caso che un caro amico di The Bull, Mr. Rip, nel suo portafoglio abbia un’inclinazione verso questi due fattori, cercando di così di ottimizzare la sua diversificazione fattoriale.
Momentum infine ha una correlazione leggermente negativa verso Value, Small Caps e High Dividend, mentre ha una correlazione leggermente positiva con Low Volatilty e Quality.
Da uno studio di Evestment, un portafoglio con una combinazione di fattori difensivi (quindi Quality, Low Volatilty e Dividend) oppure con una combinazione equi pesata di tutti i 6 fattori ha un rendimento atteso a 5 anni superiore rispetto ad un portafoglio maggiormente spinto verso i fattori ciclici (Momentum, Value e Small Caps).
Capito tutto quanto, care amiche e cari amici di questo podcast, tiriamo le estreme conclusioni di quest’episodio:
– CONCLUSIONE UNO: Esiste sicuramente un extra-ritorno sistematico basato sull’investimento fattoriale, ma implementarlo in un portafoglio è tutt’altro che scontato per via del maggior rischio implicito e della maggiore variabilità, che a loro volta comportano un significativo rischio di sequenza.
Quindi magari imbrocchi pure la combinazione giusta di fattori nel momento giusto, ma non è detto che il rendimento del tuo investimento sia necessariamente migliore di quello che segue semplicemente l’indice market cap weighted.
– CONCLUSIONE DUE: se proprio uno deve dare un titl fattoriale al portafoglio, allora ha senso considerare i rapporti di correlazione tra i diversi settori e diversificarne di conseguenza l’esposizione.
– CONCLUSIONE TRE: il modo più semplice per farlo è usare gli ETF che replicano i sottoindici fattoriali di MSCI, che esistono sia per il mercato globale che per Europa e Stati Uniti, caso mai qualcuno sia così perverso da volere un tilt fattoriale su specifiche regioni.
Il modo invece più economico per farlo è tramite il nostro partner Scalable Capital che già a partire dal suo account gratuito Free Broker offre piani di accumulo a zero commissioni o l’acquisto di singoli ETF di Ishares, Xtrackers e Invesco, che di ETF fattoriali ne hanno in abbondanza, sempre a zero costi d’ordine per importi di almeno 250 €.
Per 4,99 € al mese invece potete avere Prime Plus, che aggiunge a quanto sopra la possibilità di acquistare qualunque ETF a zero commissioni per importi di oltre 250 €, altrimenti a 0,99 € a transazione, l’accesso illimitato a Scalable Insights e il 4% di interessi sulla liquidità per 4 mesi.
In descrizione trovate il link per aprire l’account su Scalable in 10 minuti usando il quale farete sì che Scalable mi paghi una commissione così grande che in confronto le azioni A di Berkshire Hathaway sembreranno delle penny stocks.
Vi ricordo che se usate il link non avrete alcun beneficio ulteriore rispetto alle condizioni già rasoterra di Scalable, quindi se non volete che alcuna commissione giunga nelle mie tasche potete benissimo andare direttamente sul sito Scalable.capital, fare tutto da lì e chi s’è visto s’è visto.
Detto questo grazie a tutti voi per aver scelto ancora una volta The Bull, per continuare a seguirmi e per essere ogni giorno sempre più numerosi.
Iniziamo ad intravedere i 2 milioni di episodi ascoltati e di questo passo potremmo farcela entro 3 o 4 settimane.
No davvero, grazie di cuore a ciascuno di voi.
Dal più fedele che si è sparato tutti i 113 episodi sino ad oggi anche più volte a chi è finito qui oggi per sbaglio e non ci rimetterà più piede, siete la cosa migliore di questa incredibile esperienza nata del tutto a caso esattamente 12 mesi fa.
E infatti il prossimo episodio sarà The Bullniversary! Il compleanno di The Bull e spegneremo la prima candelina con l’ospite più apprezzato di questo podcast.
E anche se torneremo su alcuni concetti base, base, base sono certo che soddisferemo l’interesse anche dei più agguerriti pignolazzi che per ascoltare l’episodio dovranno pagare solo 777 euro e 77 centesimi.
Per continuare invece il nostro viaggio verso la seconda candelina, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano i vantaggi innegabili dell’investimento fattoriale, tutte le insidie che nascondono e come identificare cazzari venditori di fumo su instagram che vi rivelano il clamoroso segreto dell’ETF che batte sempre l’S&P 500 ma fammi il piacere sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo per il nostro primo compleanno sempre qui, naturalmente, con The bull, il tuo podcast d finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Dopo la scorpacciata di obbligazioni con l’ultimo episodio con Costantino Forgione, dalle cartolarizzazioni dei biglietti della Fiorentina all’Eni Messicana che sicuramente sarà presente nel portafoglio di Paolo Coletti, oggi si torna a parlare dell’asset class preferita da grandi e piccini: le azioni!
Dai diciamocelo: se non sei un investitore istituzionale, le obbligazioni non piacciono a nessuno e sono di una noia mortale. Costantino, niente di personale eh! Si scherza.
Le azioni però, beh, volete mettere l’eccitazione di un bel portafoglio azionario aggressivo invece che investire i vostri soldi in titoli di Stato che subito fa sentire più vecchi di nonna?
Oggi quindi si torna a parlare della parte azionaria del nostro portafoglio con uno dei pochi macro argomenti che ancora mancavano in questo nostro contenitore di inesauribile sapienza finanziaria e ancora più inesauribile distribuzione di scemenze.
Quest’argomento riguarda il cosiddetto FACTOR INVESTING e siccome qua si parla perlopiù di ETF, il tema sarà strettamente legato a Come Investire in ETF fattoriali, come del resto si capiva facilmente dal titolo perché non è che i titoli li faccio a cazzo.
E qui potreste dirmi: “ma scusa: ma 113 episodi ci volevano prima di parlare di questa roba?”.
Allora intanto ve ne avevo già parlato nell’episodio 57, anche se quello era un episodio di carattere descrittivo e in pratica avevo liquidato la questione dicendo: se volete diversificare ulteriormente ci sono gli ETF fattoriali, però non aspettatevi che se investite in quelli siete più ganzi e fate più soldi.
E poi morta lì.
Ora che siete tutti adulti e vaccinati invece, ho arbitrariamente deciso che siete pronti per affrontare quest’argomento in maniera un po’ più strutturata.
Se avessi fatto quest’episodio tempo fa, probabilmente avrei dovuto fare una montagna di premesse e poi l’episodio durava tre ore e vi seccavo tutti quanti dalla noia.
Oggi invece che siete attrezzati sulla finanza che tra un po’ potete entrare nel board della banca centrale europea, possiamo fiondarci su questo tema certi che ne sappiate abbastanza da non capire Roma per Toma alla fine di quest’episodio e combinare disastri con i vostri portafogli.
Prima di cominciare giusto un minuto e mezzo per il momento sponsor e vi ricordo che se vorrete investire in ETF fattoriali un modo per farlo a basso costo è tramite il nostro partner Scalable Capital, il broker online tra i leader in Europa che tutti presi a fare la piattaforma semplice e intuitiva praticamente si sono dimenticati di farsi pagare da chi la usa per investire.
Infatti già con l’account Free Broker non pagate nessun abbonamento, avete piani di accumulo senza costi d’ordine e potete comprare singoli ETF di Ishares, Xtrackers e Invesco senza commissioni per importi da almeno 250 €.
Se poi non volete pagare nemmeno gli ETF emessi da altre società, volete usare la piattaforma di intelligence Scalable Insights e volete avere il 4% di interessi annui sulla liquidità non investita per i primi 4 mesi e poi 2,6%, allora c’è il costosissimo abbonamento Premium Plus a ben 4,99 € al mese.
Ricordatevi che, come tutti i broker esteri, Scalable è in regime dichiarativo, quindi non fa da sostituto d’imposta.
Diversamente da altri broker esteri, però, Scalable vi manda a maggio un report già precompilato per il nostro 730, fatto insieme a KPMG, e il gioco è fatto.
Quindi non solo se ci sono stati “eventi fiscalmente rilevanti”, ossia se avete venduto qualcosa nel corso dell’anno passato mentre invece se non avete venduto niente e realizzato nessun capital gain da tassare vi attaccate, come alcuni Broker fanno: no, Scalable ve lo manda a prescindere.
Se volete aprire un account con Scalable e rendere miliardario chi vi parla come Roaring Kitty, il tizio che scrive su Reddit e tutti gli fanno salire le azioni di GameStop, c’è un link negli shownote dell’episodio cliccando sul quale direte a Scalable: “ok io faccio l’account ma caccia i soldi a quello di The Bull”.
Proprio così, esattamente con questa cattiveria.
Altrimenti andate sul sito Scalable.capital, fate tutto in incognito e niente Roaring Kitty, vorrà dire che si continua a star qua a lavorare e fare podcast a vita.
Torniamo a noi invece e fiondiamoci nel cuore dell’episodio e spieghiamo tutto quello che dovete sapere prima di investire in ETF Fattoriali, noti anche come Smart Beta.
Per spiegare come si deve che diavolo è sto factor investing, dobbiamo però partire da Alpha e Beta.
È noto che la finanza, per darsi un tono, usa le lettere greche come si fa in fisica così da far credere che ci sia uno straccio di fondatezza matematica dietro le sue elucubrazioni, ma come sapete bene di matematicamente fondato in finanza non c’è, sempre per usare concetti presi dal formalismo matematico, un bel C.D.N., che è un acronimo che sta per un cazzo di niente.
Comunque per un attimo facciamo finta che la finanza sia una scienza e spieghiamo cosa sono Alpha e Beta.
Per farla breve, Alpha e Beta possono essere viste come due forme di “outperformance”, ossia di rendimento supplementare di un certo investimento rispetto al suo mercato di riferimento.
Alpha è rendimento extra idiosincratico, ossia il rendimento extra che deriva dal fatto, per esempio, di aver pescato Nvidia 3 anni fa e di averci investito metà del portafoglio. Ciò che cerca di ottenere tipicamente un investitore è attivo è appunto questo alfa, ossia un extra rendimento derivato da specifiche decisioni.
Beta invece è la misura della sensibilità di un certo portafoglio rispetto al suo mercato, quindi per restare nel parallelismo potremmo definirlo extra rendimento sistematico.
State tranquilli che mo ci capiamo.
Allora ricordiamoci quello che dice il CAPM, il Capital Asset Pricing Model messo su negli anni ’60 da William Sharpe, quello dell’indice di Sharpe, e altri suoi amici: il rendimento di un portafoglio equivale al Rendimento risk-free, quello dei titoli di stato a breve solitamente, PIU’ Beta moltiplicato per il risk premium, ossia per la differenza tra il rendimento atteso di quel mercato e il rendimento risk free.
Quel beta è ciò che definisce il valore della sensibilità del mio portafoglio rispetto al suo mercato di riferimento, quindi in pratica ci dice se il mio portafoglio è più o meno volatile rispetto al mercato.
Se investo in un indice come l’S&P 500, per definizione Beta è uguale a uno perché sto investendo in tutto il mercato.
Se invece investo in un sottoinsieme dell’S&P 500 allora Beta cambia e può essere maggiore o minore di uno. Un Beta maggiore di uno significa che il mio investimento amplifica la volatilità del suo mercato di riferimento, ossia: cresce di più quando il mercato cresce e perde di più quando il mercato va giù. Un Beta minore di uno vul dire l’opposto.
Fino all’inizio degli anni ’90 Beta era l’unico fattore che il modello del CAPM prevedeva per spiegare il fatto che certi investimenti avessero un rendimento extra rispetto al mercato.
Il problema è che Beta spiegava circa 2/3 dei dati mentre rimaneva fuori circa un 30% di situazioni in cui non si riusciva a ricondurre l’extra performance di determinati portafogli a ciò che prevedeva il modello.
Forse perché la finanza non è una scienza e quindi i modelli sono delle mezze minchiate?
Forse.
Però gente molto più intelligente di me non si è arresa e ha tirato fuori altri due fattori che sembrerebbero colmare la lacuna.
Ancora una volta sono stati i nostri due super eroi, spesso citati, il premio Nobel Eugene Fama e il suo compagno di avventure Kenneth French a scrivere un bel paper nel 1992 e dire: “ragazzi, abbiamo capito tutto. Beta non è l’unico fattore. Ce ne sono altri due. La dimensione delle società e il loro valore contabile”.
Beta, Size e Value sono quindi diventati i fattori del cosiddetto Three Factor Model, ossia il modello a tre fattori, così chiamato con grandissima originalità.
In pratica sto modello aggiunge il fatto che le società più piccole (le cosiddette small cap) e quelle, per farla breve, con un price to book value contenuto (ossia con un rapporto tra prezzo per azione e valore patrimoniale netto più basso) tendono nel lungo termine ad avere un extra rendimento rispetto al mercato in cui sono inserite.
Non contenti, qualche anno dopo hanno aggiunto altri due fattori che sono la profittabilità della società e la quantità di capitale utilizzato per investimenti sulla crescita della società rispetto al suo valore patrimoniale.
Ora, senza entra troppo nel dettaglio, sembrerebbe che sia sul mercato americano che sul mercato azionale globale storicamente le small call e le società value avrebbero conseguito in media un rendimento superiore rispetto a quello del mercato in generale.
Successivamente in tanti hanno provato a individuare altri fattori che fondassero la possibilità di ottenere un extra rendimento sistematico rispetto al mercato e ad oggi i 6 fattori più comunemente riconosciuti sono, oltre a Size e Value, Momentum, Quality, Low Volatitly e High Dividend.
Se questi fattori sono effettivamente i principali criteri che permettono di ottenere un extra rendimento non idiosincratico, bensì sistematico, quindi non alpha ma beta, si capisce da dove deriva il nome di “smart beta” degli etf che li replicano.
Prima di spiegarli però facciamo una precisazione, che sennò so già che mi mandate mille messaggi per dirmi che in passato avevo detto cose diverse.
Sempre nell’episodio 57 avevo detto che, sulla base di analisi fatte da Jermey Siegel nel suo Stocks for the long Run, era stato dimostrato che l’investimento fattoriale sottoperforma il mercato, invece che portare extra rendimento.
Distinguiamo due cose:
– Questi singoli fattori, presi per sé, ha restituito un ritorno medio nel lunghissimo termine superiore al mercato in generale. E questa è una cosa.
– Creare portafogli che invece, implementando queste strategie fattoriali, siano sistematicamente in grado di battere il mercato, è invece tutt’altra cosa e Siegel infatti fa una simulazione che risale dal 1926 al 2021 in cui utilizza determinati criteri per sovrappesare le società che meglio esprimono un certo fattore e shortano quelle che lo esprimono meno e si vede che nessun fattore applicato sistematicamente batte il mercato nel lungo periodo.
In quella sede, oltre 60 episodi fa, non era il momento di metterci a fare disquisizioni troppo complicate, quindi non sono andato più di tanto nel dettaglio. Oggi invece, pur senza cambiare fondamentalmente opinione rispetto ad allora, come capirete, cerchiamo di capire le cose meglio.
Allora abbiamo due temi:
– Il PRIMO è che ci sono dei fattori che effettivamente sono in grado di produrre un extra rendimento sistematico rispetto al mercato. Appunto le small cap tradizionalmente rendono di più delle large cap, le società value rendono più delle growth e così via.
– Il SECONDO è come si possa trarre vantaggio da questa cosa. E vedremo che questo è tutt’altro che scontato.
Abbiamo detto che oggi i fattori più noti sono 6 e prendo un paper fatto da MSCI nel 2013 per definirli. Poi il paper ve lo linko negli shownote dell’episodio, così se non avete niente da fare e desiderate farvi due palle tante ve lo leggete tutto.
Dunque:
– SIZE è il fattore che cattura l’extra rendimento delle società più piccole — e qua non è che ci voleva un genio;
– VALUE è il fattore che cattura l’extra rendimento delle società con un prezzo per azione relativamente basso rispetto a indicatori come il book value, gli utili, il fatturato, il free cash flow e altre cose;
– MOMENTUM è il fattore che riflette l’extra rendimento di società che negli ultimi 3, 6 e 12 mesi sono cresciute di più rispetto al mercato, in base all’idea per cui una società che è cresciuta tanto di recente, tende a mantenere il suo slancio (momentum appunto) ancora per un po’;
– LOW VOLATILTY è il fattore che riflette l’extra rendimento di società con una volatilità inferiore al mercato o con un minor rischio specifico;
– DIVIDEND YIELD è il fattore che cattura l’extra rendimento di società con un rendimento da dividendo superiore alla media e infine
– QUALITY è il fattore che accomuna società con elevanti valori fondamentali come basso debito, stabile crescita degli utili, alto return on equity, elevato free cash flow e via dicendo.
Lo so che ve li siete già dimenticati tutti, ma almeno io il mio dovere di dirveli per bene l’ho fatto.
Bene.
Allora questi fattori hanno effettivamente restituito delle extra performance negli anni?
Usiamo come riferimento gli indici che ha realizzato MSCI, che ha preso il suo più famoso indice MSCI World e ha creato 6 sottoindici basati su questi 6 fattori e vediamo come è andata.
Purtroppo i dati partono da momenti diversi, per Value abbiamo ben 50 anni di dati, fino al 1974, mentre per l’MSCI small caps non possiamo andare più indietro del 2000.
Nel paper invece abbiamo i dati dal 1988 al 2013, non ho invece trovato dati aggregati abbastanza estesi nel tempo, quindi dovremo usare un po’ di immaginazione.
Se invece trovate fonti di dati più organiche, fatemi sapere.
Comunque vediamo come sono andati questi sottoindici negli ultimi decenni.
Non li analizziamo tutti uno per uno sennò stiamo qua fino a domani, però diciamo che tutti e sei, perlomeno nell’orizzonte temporale che gli indici di MSCI ci mettono a disposizione, hanno battuto e pure di parecchio il classico MSCi World.
Per esempio l’indice Value dal 1974 ad oggi ha reso lo 0,4% in più ogni anno rispetto al MSCI World. Quasi mezzo punto percentuale non è poca roba.
Se prendiamo invece l’indice Momentum, dove però abbiamo i dati solo dal 1994, abbiamo quasi 3 punti percentuali in più all’anno. E questo non c’è bisogno che vi dica che è tantissimo.
Quality, sempre a partire dal 1994, ha fatto ben 3,5 punti percentuali di rendimento in più rispetto all’MSCI World.
Insomma, praticamente tutti gli indici MSCI fattoriali battono l’MSCI World nel massimo orizzonte temporale che MSCI mette a disposizione.
Cambiano i dati a seconda dei periodi, però sembra che alla fine l’investimento fattoriale generi sempre un extra rendimento.
Ora come sapete bene esistono ETF che, ovviamente, replicano tutti gli indici fattoriali che abbiamo citato, quindi scegliere di investire esponendoci ad uno o più di questi fattori è piuttosto semplice.
Se facciamo un backtest sulla versione Europea di questi ETF scopriamo delle cose interessanti.
Anche qui purtroppo non ho dati che vanno troppo indietro nel tempo, ma riesco a risalire solo al dicembre del 2000, un momento peraltro un po’ particolare perché all’inizio della dot.com bubble e del decennio perduto che avrebbe causato la peggiore sofferenza per l’azionario dai tempi della grande depressione.
Comunque, dal dicembre 2000 ad oggi, un ETF sull’MSCI World ha fatto un poco lodevole 5,6% all’anno e sarebbe stato battuto da tutti gli indici fattoriali — e andiamo da Low Volatility che avrebbe fatto un 6,31% al quasi 8% all’anno dell’indice Small Caps.
Sembra la prova definitiva no?
Qualunque sottoindice fattoriale prendi, batte sempre l’indice generale.
E quindi ora voi potreste dirmi: “ahpperò! Ma quindi c’è un modo per battere il mercato! E scusa e non potevi dircelo un anno fa mannaggia a te!”
Già vi vedo che adesso volete scombinare tutti i vostri portafogli e usare solo ETF fattoriali per fare il botto!
Attenzione però.
Dovrebbe come minimo salirvi un dubbio.
Se fosse così semplice, se fosse una cosa certa ed evidente da oltre 30 anni che ci sono dei fattori che garantiscono un extra rendimento sistematico rispetto al mercato, com’è che i fondi attivi, gli hedge fund e gli altri fanno sistematicamente cagare e non battono il mercato alla grande?
Cioè non è che i gestori dei fondi questa cosa non la sanno.
Ma allora perché non la implementano nei loro portafogli?
Perché un conto è sapere che ci sono dei fattori in grado di garantire un “Beta” maggiore rispetto al mercato, ossia non un extra rendimento derivato da specifiche decisioni di investimento, che si chiamerebbe Alpha come abbiamo detto, ma derivato da un’esposizione sistematica ad un certo sottoinsieme del mercato che presenta caratteristiche comuni.
Un altro conto invece è fare un portafoglio che sia davvero in grado di fare questa cosa.
Riprendiamo tutti i dati che abbiamo snocciolato e che sembrano dire, in qualunque modo la prendiamo, che l’investimento fattoriale batte quello market cap weighted basato sull’intero indice, e proviamo però ad andare un po’ più in profondità.
Cominciamo dal back test sugli ETF europei.
Avevamo detto che dal dicembre 2000 ad oggi tutti gli indici fattoriali hanno battuto, in alcuni casi pure di molto, quello generale.
Proviamo però a cambiare la data di partenza.
Invece che cominciare con il dicembre 2000, quando era appena iniziata la discesa del baratro, partiamo dal dicembre 2004, a metà strada tra la bolla delle dot.com e l’inizio della grande crisi finanziaria del 2008.
Già questa piccola modifica cambia di parecchio lo scenario.
In questo caso solo Quality e Momentum battono l’MSCI world, Small Caps fa più o meno tanto quanto l’indice generale, circa 9% all’anno, mentre gli altri tre fattori restano nettamente indietro.
E ora guardiamo cosa è successo negli ultimi 10 anni, ossia dal marzo 2014, quando ormai l’azionario globale aveva recuperato dalla crisi ed era nuovamente tornato sui massimi, fino al marzo 2024.
Sorpresa sorpresa, quality e momentum sono gli unici che continuano a battere l’MSCI World, rispettivamente con un 13,5% e addirittura un 14,3% di rendimento medio annuo, l’MSCI World fa un eccellente 11,8% mentre gli altri fattori restano tutti indietro, con i due fattori originali di Fama e French, ossia Value e Small Caps che si attestano tra l’8,5 e il 9,5% all’anno.
Ora vediamo un’altra cosa, perché non si tratta solo di scegliere il momento giusto da cui far partire i backtest per fare uscire i risultati che vogliamo.
Torniamo a considerare il periodo dal dicembre 2000 ad oggi, nel quale come abbiamo visto tutti i fattori battono l’MSCI World.
Però invece che prendere il rendimento del mercato, che come sapete corrisponde al rendimento dell’investitore solo se questo mette soldi il primo giorno e poi non tocca mai più il suo portafoglio, immaginiamo un più verosimile scenario in cui l’investitore fa un classico piano di accumulo e versa un importo fisso mensile.
Cosa succede?
Momentum e Quality continuano a stravincere, Small Caps e MSCI World fanno invece tanto quanto e gli altri fattori restano addirittura tutti indietro.
Come è possibile vi chiederete?
Stesso backtest di prima, ma risultato finale completamente diverso.
Eh ragazzi, non dovete mai, mai e poi mai dimenticarvi il Sequence of Retruns Risk, ossia il rischio di sequenza dei rendimenti.
Se investite un po’ per volta, o se in generale mettete mano al cashflow del portafoglio (che è ciò che giustamente fa il 99,9% degli investitori) l’ordine in cui si susseguono gli up and down del mercato fa un’enorme differenza sul risultato finale.
Quindi non basta dire che un certo indice fattoriale in media ha fatto x% all’anno, perché quella media potrebbe essere il risultato netto di singoli valori lontanissimi tra di loro.
Se voi impostate la temperatura in casa di vostra nonna IN MEDIA a 20 gradi, ma questi 20 gradi sono la media tra 10° gradi in bagno e 30° in camera da letto, vi ritrovate una nonna che in media sta in totale comfort ma che nella realtà sta schiattata.
Occhio alle medie.
Come dice il titolo di un capitolo del terzo libro di Nassim Taleb Antifragile “mai attraversare un fiume che in media è profondo un metro”.
Ora lasciamo da parte nonne stecchite e attraversatori di fiumi aspiranti palombari e facciamo un’ultima considerazione prima di capire perché sti fattori hanno comportamenti un po’ strani.
Potreste dirmi: “ok, tutto chiaro, però sembra che Momentum e Quality siano i fattori a prova di bomba. In tutti i backtest che abbiamo fatto risultano di gran lunga i più performanti, sia prendendo i dati in dollari dal 1994 ad oggi, sia prendendo i dati in Euro usando gli ETF dal 2000 ai giorni nostri”.
A posto no? D’ora in poi investo solo in questi e non ho più dubbi che mi prenderò l’extra rendimento sistematico che garantiscono.
Andiamo con calma, prima di tirare conclusioni azzardate che poi fate minchiate.
Intanto gli indici Momentum e Quality, proprio per loro caratteristiche e per le società che negli ultimi 20 anni hanno sovrappesato, sono andate molto meglio nei momenti di up del mercato e hanno fatto molto male nei momenti di down.
Se prendiamo il decennio perduto, quindi dal 2000 alla fine del 2009, hanno fatto leggermente meglio del MSCI World, ma nettamente peggio di tutti gli altri fattori. Quindi possono portare sì extra rendimento beta, ma a condizione di tenere botta abbastanza a lungo da superare una cosa come un intero decennio perduto.
E poi c’è da fare un’altra considerazione.
Andiamo a prendere i due indici e vediamo quali sono le prime 10 società che, ad oggi, li compongono.
Le top 10 holdings di Momentum sono, in ordine di peso: Nvidia, Meta, Amazon, Eli Lilly, Boradcom, Microsoft, Google e Toyota (sì in realtà sono 9 e non 10 perché Google ha le Alphabet A e le Alphabet B che tecnicamente sono considerate due azioni diverse). Comunque queste prime 9 o 10 azioni come volete considerarle pesano il 42% del totale.
Le top 10 holdings di Quality sono, sempre in ordine di peso: Nvidia, Microsoft, Apple, Meta, Eli Lilly, Google, Novo Nordisk, Broadcom e Visa. Sempre 9 o 10 in base a come considerate Google e tutte insieme pesano per il 39% del totale.
Ora purtroppo non ho modo di sapere in ogni singolo anno quali sono stati i componenti dell’indice, anche perché a differenza degli indici generali, questi cambiano frequentemente la loro composizione per riflettere le variazioni nei valori fondamentali delle società.
Però capite che qualunque backtest che finisce ai giorni nostri fa stravincere Momentum e Quality per un motivo molto semplice: sono estremamente concentrati sulla manciata di società che negli ultimi 15 anni hanno stramegadominato il mercato, le solite note: Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta e più di recente Nvidia.
Se prendiamo gli ultimi 15 anni:
Apple è crescita del 29% all’anno.
Microsoft del 24%
Google del 20%
Meta del 24% (dal 2012 quando è stata quotata)
Amazon del 28% e
Sua maestà Nvidia addirittura del 51%
Capite che se queste società sono state presenti negli indici fattoriali anche solo nell’ultimo decennio, beh, probabilmente queste sono state le principali responsabili di questa sistematica outperformance degli indici momentum e quality in ogni orizzonte considerato.
Ve lo dico perché c’è qualche cazzaro ogni tanto sui social che fa dei post del tipo “ecco l’ETF che batte da 10 anni l’S&P 500!” e vi fa vedere magari un ETF sull’MSCI Quality Factor.
Ora al cialtrone di turno, qualcuno me l’avete anche segnalato voi, bisognerebbe dire che non è che questo è l’ETF che batte l’S&P 500.
E’ semplicemente l’ETF che si è trovato ad avere in pancia una concentrazione di queste società in un periodo storico in cui il grosso del rendimento azionario globale è stato in larga parte determinato dalla loro straordinaria performance.
Storicamente le società value e le small caps hanno sovraperformato il mercato, come previso dal modello di Fama e French.
Ma se negli ultimi 15 anni aveste puntato su Value o Small Caps avreste preso degli schiaffi memorabili.
Quindi i fattori funzionano, sì, ma è tutto molto relativo a periodi storici anche piuttosto lunghi che consideriamo.
Fissiamo qualche punto prima di passare alla parte su come investire in ETF fattoriali, ammesso e non concesso che sia necessario farlo.
PUNTO NUMERO UNO: l’investimento fattoriale tende a generare un extra rendimento sistematico nel lungo termine, almeno in linea di principio dato che una statistica realmente a lungo termine non esiste, perché incorporano un rischio maggiore. Questo maggior rischio tipicamente è legato alla loro maggiore concentrazione e il più delle volte si riflette in una maggiore deviazione standard. In linea di principio non potrebbe esserci maggior rendimento senza maggior rischio sistematico, almeno se crediamo che i mercati sono efficienti.
PUNTO NUMERO DUE: l’investimento fattoriale implica un’alta variabilità dei rendimenti nelle diverse fasi.
Come abbiamo visto l’investimento Value o in Small Caps ha una lunga tradizione di sovraperformance, eppure ci stiamo avvicinando ai due decenni di sottoperformance consecutivi.
Allo stesso modo oggi sembra scontato che investire in Momentum o Quality sia una garanzia di extra rendimento per il futuro, ma nulla implica che così sarà. Non sta scritto da nessuna parte che anche in futuro il grosso del rendimento del mercato sia concentrato in poche aziende dominanti e che quindi la maggior concentrazione di questi due sottoindici paghi sempre.
Inoltre un conto è vedere un backtest è sapere che su ampi orizzonti temporali succedono certe cose, un conto è essere in grado di sopportare un investimento di questo tipo e essere disposti ad avere fiducia, magari per interi decenni, che un certo fattore continuerà a garantire in media un extra rendimento anche se da 15 anni sta facendo schifo.
Concettualmente oggi un investitore che vuole prendere una decisione fattoriale dovrebbe puntare su quelle che stanno andando peggio, quindi Value e Small Cap, per aspettarsi una clamorosa regressione verso la media.
Ma sfido chiunque ad essere sereno a fare una cosa del genere e puntare tutto su società che da quando Fabio Grosso ci ha regalato il quarto mondiale fanno peggio di un banale MSCI World semplice semplice.
Sapere che un certo fattore è in grado di restituire un extra ritorno sistematico è una cosa.
Implementarlo nel portafoglio è tutt’altra.
TERZO PUNTO — e forse questa è la più importante di tutte: la grandissima variabilità dei risultati, anche per lunghi periodi di tempo, amplifica il rischio di sequenza tipico dell’investimento azionario.
Già noi sappiamo che investire nell’azionario globale, che pur ha fatto in media oltre l’8% all’anno da quasi mezzo secolo ad oggi, è pieno di insidie perché “dipende” da quando iniziamo ad investire e quanto investiamo nelle varie fasi.
Aver iniziato nel 2000 avrebbe avuto un certo risultato. Aver iniziato nel 2009 tutt’altro.
Ma con l’investimento fattoriale, dato che nessuno di noi investe one-shot all’inizio e poi mai più, la variabilità dei rendimenti è ulteriormente amplificata dal rischio di sequenza.
Io posso anche investire in un indice fattoriale che in media batte l’MSCI World di 1-2 punti percentuali all’anno, ma se il timing del mio piano di accumulo, o cmq il timing di quando metto o tolgo soldi dal portafoglio non è felice, ho un rischio elevato di ammazzare l’extra rendimento che quel fattore dovrebbe garantire.
Banalmente l’indice Momentum, che negli ultimi 10 anni ha battuto l’MSCI World in media di 1% all’anno, avrebbe fatto invece fatto leggermente peggio di un ETF sul MSCI World se avessi investito un po’ per volta ogni mese.
Come noto, un conto è il ritorno di un investimento. Un altro è il ritorno di un investitore.
Le singole decisioni che prendiamo e la disponibilità di risparmio che possiamo allocare sai nostri investimenti possono determinare delle differenze astronomiche.
Veniamo infine alla QUARTA CONCLUSIONE: come implementare nel portafoglio una strategia fattoriale.
Se sono chiari i punti precedenti, dire ok punto tutto su Value o Small Caps non è necessariamente una buona idea.
I fattori andamenti ciclici piuttosto variabili e quindi c’è una componente di timing dell’investimento che non si può trascurare.
E qui veniamo al punto su “come investire in ETF fattoriali.
Diciamo intanto che, sempre dal punto di vista teorico e non necessariamente dal punto di vista pratico dato che molto fa quali aziende effettivamente finiscono dentro un certo indice fattoriale, i 6 fattori possono essere raggruppati in due categorie:
– Quelli CICLICI e più aggressivi, tra molte virgolette, che sarebbero: Value, Small Caps e Momentum e
– Quelli DIFENSIVI, cioè gli altri tre: Quality, Low Volatilty e High Dividend.
Ricordiamo quali sono tipicamente le 4 fasi del ciclo economico.
Abbiamo:
– La CRESCITA: nella quale l’economia va bene, le azioni salgono e ad un certo punto salgono anche inflazione e tassi di interessi;
– Segue il RALLENTAMENTO: con l’inflazione che aumenta e il rialzo dei tassi di interesse che raffredda l’economia, di solito facendo andare giù sia azioni che obbligazioni e spingendo gli investitori verso i cosiddetti asset rifugio, come oro, cash, obbligazioni inflation linked e appunto titoli difensivi;
– A quel punto c’è la CONTRAZIONE o RECESSIONE, che le banche centrali cercando di contrastare tagliando i tassi di interesse e infine abbiamo
– La RIPRESA, con i bondi lunghi e le azioni che riprendono la loro corsa.
Stando ad un bel report colorato di Blackrock, durante la Ripresa storicamente danno il meglio di sé Value e Small Caps. Durante la Crescita comanda Momentum, mentre nelle fasi di rallentamento e recessione prevalgono Quality, Low Volatilty e High Yield, anche se in realtà Quality (avendo in pancia le società di cui abbiamo parlato prima) sta seguendo Momentum molto da vicino.
Cmq teoricamente uno dovrebbe far girare il proprio portafoglio sovrappesano o sottopesando in maniera ciclica i vari fattori a seconda della fase del ciclo economico in cui ci si trova.
Piccolo problema: si sa di essere in una certa fase solo a posteriori, non è che qualcuno ti avvisa prima. Quindi riuscire davvero a postare il portafoglio verso un fattore o l’altro nel momento giusto è molto più facile a dirsi che a farsi.
Personalmente ritengo che pensare di far “tiltare” il portafoglio come si dice da un fattore all’altro rischia di fare solo danni e per due motivi:
– Intanto perché beccare il timing è difficile al quadrato;
– E poi perché come sapete bene le compravendite comportano costi, tasse e tante altre amenità che incidono negativamente sul rendimento, anche considerato che gli ETF fattoriali tipicamente hanno dei TER altini (anche 0,3-0,4%) e dei costi impliciti legati al maggior turnover dei titoli al loro interno, che il fondo deve far girare più spesso rispetto all’indice generale.
Detto questo, ciò che io ritengo personalmente vale tanto quanto il 2 di picche a briscola,quindi fate un po’ di testa vostra e non state ad ascoltare me.
È secondo me più interessante vedere invece come sono correlati i diversi fattori, perché ad esempio una strategia potrebbe essere quella di scegliere fattori poco correlati tra loro per provare ad intercettare l’extra rendimento in diverse fasi di mercato.
Non è assolutamente detto che funzioni, ma concettualmente la logica non fa una piega.
I due fattori maggiormente correlati tra loro sono Value e Small Caps, circa 0,7 negli ultimi 25 anni.
Questo significa che tenderanno ad andare bene o male più o meno negli stessi momenti.
Sono molto correlati tra loro anche High-Dividend e Low Volatilty, circa 0,5.
La massima decorrelazione si ha invece tra Value e Quality e parliamo di un -0,56, che in pratica significa che hanno comportamenti nettamente divergenti l’uno dall’altro.
Non è un caso che un caro amico di The Bull, Mr. Rip, nel suo portafoglio abbia un’inclinazione verso questi due fattori, cercando di così di ottimizzare la sua diversificazione fattoriale.
Momentum infine ha una correlazione leggermente negativa verso Value, Small Caps e High Dividend, mentre ha una correlazione leggermente positiva con Low Volatilty e Quality.
Da uno studio di Evestment, un portafoglio con una combinazione di fattori difensivi (quindi Quality, Low Volatilty e Dividend) oppure con una combinazione equi pesata di tutti i 6 fattori ha un rendimento atteso a 5 anni superiore rispetto ad un portafoglio maggiormente spinto verso i fattori ciclici (Momentum, Value e Small Caps).
Capito tutto quanto, care amiche e cari amici di questo podcast, tiriamo le estreme conclusioni di quest’episodio:
– CONCLUSIONE UNO: Esiste sicuramente un extra-ritorno sistematico basato sull’investimento fattoriale, ma implementarlo in un portafoglio è tutt’altro che scontato per via del maggior rischio implicito e della maggiore variabilità, che a loro volta comportano un significativo rischio di sequenza.
Quindi magari imbrocchi pure la combinazione giusta di fattori nel momento giusto, ma non è detto che il rendimento del tuo investimento sia necessariamente migliore di quello che segue semplicemente l’indice market cap weighted.
– CONCLUSIONE DUE: se proprio uno deve dare un titl fattoriale al portafoglio, allora ha senso considerare i rapporti di correlazione tra i diversi settori e diversificarne di conseguenza l’esposizione.
– CONCLUSIONE TRE: il modo più semplice per farlo è usare gli ETF che replicano i sottoindici fattoriali di MSCI, che esistono sia per il mercato globale che per Europa e Stati Uniti, caso mai qualcuno sia così perverso da volere un tilt fattoriale su specifiche regioni.
Il modo invece più economico per farlo è tramite il nostro partner Scalable Capital che già a partire dal suo account gratuito Free Broker offre piani di accumulo a zero commissioni o l’acquisto di singoli ETF di Ishares, Xtrackers e Invesco, che di ETF fattoriali ne hanno in abbondanza, sempre a zero costi d’ordine per importi di almeno 250 €.
Per 4,99 € al mese invece potete avere Prime Plus, che aggiunge a quanto sopra la possibilità di acquistare qualunque ETF a zero commissioni per importi di oltre 250 €, altrimenti a 0,99 € a transazione, l’accesso illimitato a Scalable Insights e il 4% di interessi sulla liquidità per 4 mesi.
In descrizione trovate il link per aprire l’account su Scalable in 10 minuti usando il quale farete sì che Scalable mi paghi una commissione così grande che in confronto le azioni A di Berkshire Hathaway sembreranno delle penny stocks.
Vi ricordo che se usate il link non avrete alcun beneficio ulteriore rispetto alle condizioni già rasoterra di Scalable, quindi se non volete che alcuna commissione giunga nelle mie tasche potete benissimo andare direttamente sul sito Scalable.capital, fare tutto da lì e chi s’è visto s’è visto.
Detto questo grazie a tutti voi per aver scelto ancora una volta The Bull, per continuare a seguirmi e per essere ogni giorno sempre più numerosi.
Iniziamo ad intravedere i 2 milioni di episodi ascoltati e di questo passo potremmo farcela entro 3 o 4 settimane.
No davvero, grazie di cuore a ciascuno di voi.
Dal più fedele che si è sparato tutti i 113 episodi sino ad oggi anche più volte a chi è finito qui oggi per sbaglio e non ci rimetterà più piede, siete la cosa migliore di questa incredibile esperienza nata del tutto a caso esattamente 12 mesi fa.
E infatti il prossimo episodio sarà The Bullniversary! Il compleanno di The Bull e spegneremo la prima candelina con l’ospite più apprezzato di questo podcast.
E anche se torneremo su alcuni concetti base, base, base sono certo che soddisferemo l’interesse anche dei più agguerriti pignolazzi che per ascoltare l’episodio dovranno pagare solo 777 euro e 77 centesimi.
Per continuare invece il nostro viaggio verso la seconda candelina, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano i vantaggi innegabili dell’investimento fattoriale, tutte le insidie che nascondono e come identificare cazzari venditori di fumo su instagram che vi rivelano il clamoroso segreto dell’ETF che batte sempre l’S&P 500 ma fammi il piacere sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo per il nostro primo compleanno sempre qui, naturalmente, con The bull, il tuo podcast d finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024