Come investire sull’Europa e sui Mercati Emergenti

Per quanto l'amiamo, non di sola America è fatta la finanza! Nonostante lo strapotere indiscusso di Wall Street, i mercati Europei e quelli dei Mercati Emergenti sono rappresentano importanti opportunità di investimento per il nostro portafoglio di lungo termine. Vediamo che performance storiche hanno avuto questi mercati, quali strumenti ci permettono di investirci e se sia in generale una buona idea farlo.

Difficoltà
30 minuti
The Bull - No Thumb

Risorse

Punti Chiave

Il dominio USA non è garantito: la diversificazione globale (USA, Europa, EM) è cruciale per un portafoglio a lungo termine.

Analisi di performance e strumenti per Europa e Mercati Emergenti; allocazioni bilanciate offrono rendimenti attesi simili.

Trascrizione Episodio

Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale

America, America e sempre America in questo podcast, alla fine mi rendo conto che per quanto mi ci sforzi, non posso farci niente, alla fine sono innamorato di quello staterello là al di là dell’Atlantico e il mio cervello proprio non ce la fa a dissociare il mondo della finanzia dal mercato delle grandi aziende Americane.

Che volete che vi dica, ciascuno c’ha i suoi bias, voi che mi ascoltate vi beccate questo.

Io sono un po’ Americanofilo, lo devo ammettere, e obiettivamente quando si parla di finanza è difficile non far riferimento all’unica superpotenza assoluta globale che domina incontrastata i mercati di tutto il mondo.

E’ incredibile come dei banali dati di discutibile importanza sul mercato del lavoro, sui consumi e addirittura sulle opinioni di una popolo che rappresenta appena il 4% di tutta l’umanità presente sulla Terra siano spesso l’unica cosa che conta nei destini di tutta la finanza globale.

E quindi perdonatemi, ma alla fine proprio, di non parlare di Stati Uniti quando parlo di finanza, proprio non mi riesce.

E non mi è riuscito nemmeno oggi, nell’unico episodio di tutto The Bull che non è dedicato agli Stati Uniti, bensì fondamentalmente a tutto il resto del mondo che conta, ossia alla cara vecchia Europa e ai Mercati Emergenti.

A maggior ragione, quindi, si è reso necessario questo episodio perché, prima di affrontare in un prossimo appuntamento (forse già il prossimo, vediamo come mi gira) il tema del peso degli Stati Uniti negli indici globali, oggi cerchiamo di mettere a fuoco il fatto che esistono tanti mercati oltre a quelli che si trovano a Wall Street e che importante conoscerli bene per prendere decisioni consapevoli per i propri portafogli.

Oggi parliamo appunto di come investire sull’Europa e sui Mercati Emergenti.

Disclaimer: alla fine dell’episodio non vi dirò né se sia meglio investire su queste due aree in maniera significativa, né se invece convenga sovrainvestire in America.

Non vi dico proprio un tubo, vi do le informazioni dopodiché fate voi quello che vi pare con i vostri soldi.

Intanto perché è necessario fare un episodio ad hoc su questo argomento?

Innanzitutto perché noi investitori chiaramente stiamo vivendo dentro un bias del tutto particolare, dovuto al fatto che fondamentalmente da 15 anni a questa parte, la spaventosa crescita del mercato azionario mondiale è stata in larga parte trainata dall’impetuosa cavalcata delle grandi società americane, con i supercampioni tecnologici oggi note come le magnifiche Sette che hanno fatto da padrone assolute del mercato.

In buona sostanza, qualunque impostazione di portafoglio, qualunque asset allocation, qualunque cosa aveste pensato fosse una buona idea 15 anni fa avrebbe sottoperformato un semplice investimento al 100% nell’S&P 500.

Se all’indomani della spaventosa crisi del 2008 avessimo messo 10.000 € in un ETF sull’S&P 500 oggi, anche grazie ad un cambio euro/dollaro favorevole per noi europei, avremmo in tasca 83.000 €, grazie ad un rendimento medio annuo di quasi il 15,7%, una roba folle su un così lungo periodo di tempo.

L’S&P 500 non è cresciuto così tanto se consideriamo il tuo total return in dollari, quindi senza considerare il tema del cambio con l’euro, ma parliamo comunque di un 12,6% di rendimento annuo, che tanto sarebbe bastato a trasformare 10.000 dollari in quasi 60.000.

Avessimo fatto lo stesso investimento sul MSCI Europe o sui mercati emergenti come sarebbe andata?

Non che sarebbe andata malissimo, intendiamoci, però il confronto resta impietoso.

In questi 15 anni l’Europa avrebbe fatto quasi il 9% all’anno, comunque ragguardevole, mentre un investimento sul blocco dei mercati emergenti, Cina inclusa, avrebbe fatto l’8,69% di media.

Quindi 10.000 € investiti 15 anni fa in Europa sarebbero oggi 34.000, mentre sarebbero circa 33.000 se investiti sugli Emerging Marketing.

Ecco spiegato il motivo per cui, per chi come me prima del 2008 manco aveva un reddito e quindi sicuramente non pensava all’asset allocation del proprio portafoglio (io per la verità avrei iniziato ad investire solo MOOOOOOLTO dopo purtroppo), cmq dicevo questo è il motivo per cui la nostra percezione è tutta sbilanciata sulla performance devastante del mercato americano rispetto a qualunque altro mercato mondiale.

Ma è sempre andata così?

Beh, non esattamente, diciamo che dipende dal periodo che prendiamo in considerazione.

Prima di vedere però come sono andati i vari mercati, capiamo prima cosa c’è dentro questi mercati e quali strumenti abbiamo a disposizione per investirci.

Partiamo dall’Europa.

Quando parliamo di investire sull’Europa ci riferiamo fondamentalmente ad un investimento aggregato sulle società a maggiore capitalizzazione del vecchio continente.

Spesso facciamo riferimento all’indice Stoxx 600, che racchiude le 600 società più capitalizzate del continente, però questo è stato creato nel 1998, mentre la solita gentilissima Morgan Stanley Capital International, che è il nome per esteso di quel che noi siamo abituati a chiamare MSCI, ha creato l’indice MSCI Europe fin dal 1987, al pari degli altri che citiamo di solido, come l’MSCI World e l’MSCI All Country.

Usiamo quindi quest’indice per fare i nostri ragionamenti.

Questo è composto da 428 società con sede principale in Europa e come sempre avviene, i pesi dei vari Paesi nell’indice non riflettono neanche lontanamente i corrispondenti PIL.

Infatti l’indice è composto al 22% da UK, 18,5% dalla Francia, 15% dalla Svizzera, 13% dalla Germania e poi via via tutti gli altri.
L’Italia qua dentro non conta una mazza, con circa un 3% di peso totale.

Il che è abbastanza ridicolo dato che l’Italia ha il quarto PIL europeo, dietro a Germania, Francia e Regno Unito, ma sicuramente davanti anni luce a Svizzera, Olanda e tutte le altre.

Se prendiamo le aziende principali, ad oggi, cosa abbiamo?

Le prime 10 società, che pesano per il 22% del totale, sono:

– Novo Nordisk,

– Nestlé

– ASML

– Shell

– LVMH (la holding di Louis Vuitton per intenderci)

– Novartis

– Astrazeneca

– Roche

– SAP

– Total.

Rispetto all’S&P 500, dominato praticamente da sole società Tecnologiche, qui abbiamo un mix più diversificato tra Farmaceutico, Energia, Lusso, Alimentari e Tecnologia.

Come sono andate le performance di questo indice negli ultimi 40 anni?

Beh, tutto sommato sono state abbastanza in linea con l’azionario globale.

8% giusto giusto l’MSCI Europe
8,15% l’MSCI World
7,98% l’MSCI All Country.

Il problema dell’Europa è che da diverso tempo fa fatica a tenere il passo di altri mercati globali, perché se prendiamo invece gli ultimi 10 anni le performance sono state:

8,9% MSCI World
8,16% MSCI All Country e addirittura
4,46% MSCI Europe, roba che quasi quasi un BTP Valore, che ha pure una tassazione più bassa, mi conviene di più.

Qual è il motivo?

Eh, difficile da individuare e dovremmo probabilmente azzardare delle considerazioni di natura politica e socio-economica globale piuttosto complesse.

È un fatto che il vecchio continente, un tempo il centro indiscusso del mondo, oggi abbia perso quasi del tutto il suo ruolo di primo piano.

Se vi interessa è uscito a giugno un inquietante articolo sul Wall Street Journal che vi linko negli shownote, in cui viene fatta un’analisi lucida e drammatica di un declino del nostro continente che davvero lascia poco spazio a grandi moti di speranza.

Per farla breve, comunque, nel 2008 l’Europa aveva fondamentalmente lo stesso Prodotto Interno Lordo, aggiustato per inflazione e a parità di potere di acquisto, degli Stati Uniti, nell’ordine di circa 14 triliardi di dollari.

Oggi l’Europa è inchiodata a 15 triliardi, mentre gli Stati Uniti sono quasi a 27 triliardi.

Questo significa che mentre l’economia dell’eurozona è cresciuta fondamentalmente del 6% negli ultimi 15 anni, praticamente niente quindi, quella degli Stati Uniti è cresciuta dell’82%!

Adattando la celebre invettiva di Dante nel sesto canto del Purgatorio sullo stato della politica Italiana oggi potremmo ben dire:

“Ahi serva Europa, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello”

In tutta onestà, speriamo tutti che l’Europa si riprenda presto il suo ruolo di protagonista nelle sorti nel mondo, ma chiaramente senza una politica comunitaria comune, senza una forte unità tra tutti gli Stati membri, sarà davvero possibile che le grandi potenze di un tempo come Germania, Francia, Regno Unito e pure la stessa Italia, possano avere una qualche voce in capitolo nei confronti di colossi come Stati Uniti, Cina, India e futuri potenziali grandi Paesi abitati da centinaia di milioni di abitanti come il Brasile, l’Indonesia, il Pakistan, la Nigeria e così via.

Oggi siamo d’accordo, non contano ancora una cippa.
Ma il mondo sta cambiando e purtroppo, senza una svolta coraggiosa sul senso dell’Unione Europea, l’inerzia degli equilibri del mondo non è affatto a nostro favore.

Però l’economia non basta a spiegare l’andamento di un mercato.

L’altro lato della medaglia è che un’Europa che ha sofferto negli ultimi anni, tutto sommato potrebbe anche riservare buone notizie agli investitori, dato che la valutazione media delle sue società più importanti è piuttosto a buon mercato e quindi potrebbe dare delle interessanti opportunità da qui ai prossimi anni.

In fondo quest’anno l’MSCI Europe si è portato a casa quasi un 16% ad oggi, al di sotto del 21% dei primi della classe Americani ma, come vedremo tra poco, ben sopra alla performance addirittura negativa della Cina.

Conviene secondo me aumentare l’esposizione sull’Europa per i prossimi anni?

Boh, e che ne so?

Forse sì, perché dopo questa debacle degli ultimi 10 anni, potrebbe essere una regressione verso la media e quindi riportare l’MSCI Europe più vicino al suo 8% di media storica.

Forse no, perché magari l’Europa ha fatto il suo tempo e quindi il suo declino lascerà spazio all’ascesa di altri mercati.

Chi lo sa.

Chi però volesse investire sull’Europa, che potrebbe fare?

Chiaramente esistono una montagna di ETF che replicano i mercati Europei in tutte le salse e, a meno che vogliate investire in specifici mercati (come sul Dax tedesco o sul CAC 40 Francese), le opzioni più sensate mi sembrano due:

– O un ETF sullo Stoxx 600 (o sull’MSCI Europe, che però non cambia assolutamente nulla in termini di rendimento)

– Oppure potete fare una scommessa più specifica solo sulle più grandi società Europee, in questo caso escludendo il Regno Unito, e prendere un ETF sullo Stoxx 50, sapendo che le 10 società più grandi (soprattutto Tedesche e Francesi) peseranno per oltre il 40% di tutto l’indice.

Bene.

Andiamo ora dall’altra parte del mondo.

Cosa sono i Mercati Emergenti.

Qua la questione è più politica che economica, perché la decisione che un Paese sia emergente piuttosto che sviluppato dipende tutta dalla definizione che ne viene data da chi fa gli indici.

Giusto per citare il caso più clamoroso, la Cina è il più pesante dei paesi cosiddetti emergenti e non rientra nel gruppo dei Paesi sviluppati nonostante abbia il secondo prodotto interno lordo più grande del mondo.

Quindi, per ora ci prendiamo gli emergenti per quel che sono

Anche qui, ci basiamo sull’indice della venerabile Morgan Stanley Capital International dedicato al loro, ossia al MSCI Emerging Markets.

Non è l’unico, ci sono anche altri indici, ma teniamo questo per coerenza con gli altri.

Purtroppo non va così indietro come quelli sui paesi sviluppati, ma abbiamo dati aggregati di soli 23 anni, ossia dal 2000 a oggi.

Chi abbiamo dentro questo bella accozzaglia di Paesi di variegate origini e tradizioni?

Dunque:

– Cina, 28%

– Taiwan, 16% (che per ora continuiamo a chiamare Taiwan e non “quell’isoletta lì sotto parte liberamente unita alla Repubblica Popolare Cinese);

– India, 16%

– Corea del Sud, 13%

– Brasile, 5,6% e via via tutti gli altri come Arabia Saudita, Messico, Thailandia, Sudafrica ecc.

Top holdings? Ossia quali sono le 10 società più importanti dentro l’indice, che pesano un 20% del totale? Abbiamo:

– Taiwan Semiconductors;

– Tencent (la società che possiede WeChat, il Whatsapp cinese)

– Samsung

– Alibaba

– PDD (che è la società dietro l’ecommerce che tutti voi conoscete come Temu);

e poi le altre 5 non ve le dico, tanto i nomi non vi direbbero un tubo.

Come sono andate le azioni di questo gruppetto di società negli anni passati?

Diciamo che dal 2000 a oggi hanno fatto piuttosto bene, 7,4% contro il 6% scarso fatto dagli indici globali dopati di Stati Uniti.

In che senso mi direte? Come può essere che i mercati emergenti hanno fatto il 7,4 e l’azionario globale, con dentro soprattutto la superpotenza economico-finanziaria globale che performa sui mercati più di chiunque altro da sempre, abbia fatto solo un 6% scarso?

Eh ragazzi, può succedere, però attenzione, ce sta il trucco!

Il trucco c’è ma non si vede!

No non è vero si vede benissimo, basta andare a guardare da quando vengono misurate le performance dei vari indici.

Data di partenza, 29 dicembre 2000.
Eh grazie al cazzo!

Praticamente era iniziata a esplodere la internet bubble da pochi mesi e da lì in poi sarebbe iniziato il decennio perduto, segnato dalla grande crisi finanziaria del 2008 e terminato solo a metà 2009.

Se invece di partire dal 29 dicembre 2000 iniziassimo il confronto solo due anni dopo, allora l’azionario globale avrebbe registrato un sontuoso 9% all’anno, altro che 6% scarso.

Diciamo che questo è uno di quei, non frequentissimi e molto sfigati casi, in cui uno avrebbe iniziato ad investire tutti i propri soldi proprio al picco di un mercato gonfiato, subito prima di sperimentare un tracollo con pochi precedenti nella storia e non avesse mai più aggiunto un solo centesimo all’investimento.

Comunque sia, in questi 23 anni i mercati emergenti hanno fatto complessivamente molto bene, con alcuni anni pirotecnici come il 2009 in cui l’indice avrebbe fatto addirittura il +78% o il 2017 con il suo +37%.

In realtà, tuttavia, negli ultimi 10 anni le performance di questi mercati non sono stati esattamente da incorniciare.

Dal 2013 ad oggi l’indice ha fatto appena un misero +2%, contro l’8,31% del MSCI World.

L’ultimo decennio, quindi, segnato dalla grande ascesa delle big tech Americane, ha visto una nuova conferma dello stradominio finanziario del mondo occidentale nei confronti del blocco dei Paesi Emergenti.

Come si può investire sui Paesi Emergenti?

Direi che anche qui ci sono due macro opzioni, non necessariamente alternativa.

– L’opzione base è investire in un ETF che replica l’indice MSCI Emerging Markets e via;

– L’altra opzione, più creativa, è selezionare un ETF che investa in questi mercati ad esclusione della Cina.
Perché uno dovrebbe fare questa cosa? Beh, quest’anno l’indice chiude con un 6% tirato, ma se togliamo la Cina invece tutto sommato si difende bene portandosi a casa oltre il 13% di crescita, dato che la Cina sono tre anni che sembra aver perso la rotta e a non riuscire più a convincere gli investitori internazionali a scommettere sulla sua economia.

In base all’idea che vi siete fatti della Cina, potete quindi decidere se investire nei mercati emergenti sapendo che la Cina avrà comunque il suo peso determinante, oppure escluderla e puntare su India, Messico, Taiwan, Corea e via dicendo.

Benissimo, fatto tutto lo spiegone di come investire su Europa e Mercati Emergenti, torniamo alla domandona di una decina di minuti fa, ossia: gli Stati Uniti hanno sempre dominato i mercati?

Se prendo questi 3 blocchi, Stati Uniti, Europa e Mercati Emergenti riesco a fare un backtest solo a partire dal 1994 — chi è più bravo di me può provare a farlo andando più indietro.

Potrei farlo andando più indietro ma avrei solo i dati espressi in dollari, quindi non sarebbero validi dal punto di vista di un investitore europeo.

E’ vero che per fare un backtest come Dio comanda sarebbe opportuno avere almeno 40-50 anni di dati, però non facciamo i pignoli maestrini tutti professori di Statistica, già 30 sono un base abbastanza solida e soprattutto in questi 30 anni non ci siamo fatti mancare nulla, un paio di crisi finanziarie devastanti, una recessione globale, una pandemia, l’11 settembre, un po’ di guerre qua e là e giusto due o tre innovazioni tecnologiche di scarsa importanza, come l’avvento di Internet che veramente ha inciso poco sulla configurazione attuale del mondo e così via.

Quindi non è che prendiamo 30 anni tranquilli in cui non è successo una mazza; prendiamo trent’anni in cui è letteralmente cambiato il mondo.

Come sono andate le cose in questi ultimi 30 anni?

Allora, spoiler alert: se prendiamo tutti questi 30 anni gli Stati Uniti stravincono sempre e comunque.

Però c’è una deformazione prospettica.
Gli Stati Uniti stravincono sempre perché veniamo da 15 anni di crescita spaventosa dell’S&P 500. Se invece facessimo un’inversione del corso della storia e mettessimo il primo decennio del 2000 DOPO il secondo decennio del 2000, anche lasciando invariate le performance dei singoli anni, avremmo oggi un quadro ben diverso.

Comunque, presi tutti sti 30 anni come è andata?

S&P 500: 10,41% di rendimento medio annuo.

MSCI Europe: 6,81% mentre

MSCI Emerging Markets: tracolliamo addirittura al 4,63% (non chiedetemi il tool di backtest dove abbia preso i dati fino al 1994, dato che l’indice parte del 2000, ma lo prendiamo per buono).

Vista così uno dice, va beh ma perché ci stai a smartellare i cosiddetti con sta roba? È chiaro che il mercato Americano è il big winner di sempre, God bless America, continuiamo ad investire tutti lì, tra l’altro il cambio c’ha detto quasi sempre bene e tanti saluti.

Eh no cari miei! Non si ragiona così, perché voi belli belli state guardando 30 anni in cui gli ultimi 15 sono stati segnati da una spaventosa crescita del mercato americano guidato in particolare dalle mega company tecnologiche della West Coast.

Prendiamo invece i 10 anni che vanno dal 2000 al 2010.

Qui la storia invece è completamente diversa e stiamo parlando di un decennio intero.

Nel famoso decennio perduto il mercato americano avrebbe fatto addirittura il -2% all’anno per dieci anni, mentre quello europeo sarebbe rimasto fondamentalmente flat, inchiodato al punto di partenza.

Come abbiamo visto prima i mercati emergenti invece si sono portati a casa un onestissimo 7% all’anno in quel periodo disgraziato per l’occidente.

Quindi è vero che negli ultimi 30 anni gli Stati Uniti hanno massacrato qualunque altro mercato, in termini di rendimento, però 30 anni ragazzi so tanti! Sono praticamente un’intera vita di investimento.
Mentre invece siete dentro i vostri investimenti, vi assicuro che se beccate il decennio sbagliato è dura convincersi del fatto che la vostra strategia sia quella giusta.

Cioè vi sfido ad aver iniziato ad investire nel 2000 e poi nel 2009 a ritrovarvi ancora convinti che la cosa giusta da fare sia sovrappesare l’America!

Di conseguenza, se prendiamo un vasto orizzonte temporale, per come sono andate le cose non ci sono dubbi che l’investimento migliore del mondo sarebbe stato sul mercato americano (per non parlare di cosa sarebbe successo investendo solo nel Nasdaq).

Ma il punto è che nessuno ci garantisce che anche nei prossimi 10 anni un investimento all in sugli Stati Uniti sovraperformerà tutti gli altri mercati, oltre al fatto che ciò andrebbe nettamente contro l’idea di avere un investimento diversificato, come strumento di maggiore assicurazione sulla vita nel lungo termine.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: ok, va bene non investire tutto in America.
Ma quindi in che proporzioni dovremmo investire tra America, Europa e Mercati Emergenti?

Risposta d’istino: boh… e che diavolo ne so io?
Non ne ho la benché minima idea, se lo sapessi farei all’in a leva 5x sul mercato che andrà meglio e shorterei gli altri per fare palate di soldi, ma chiaramente non lo sa nessuno e, per quanto vi possa sembrare strano, ebbene sì, nemmeno l’autore di The Bull vostro lo sa.

Però posso dirvi una cosa sorprendente: probabilmente non è così importante.

Già, colpo di scena!
Scegliere un’allocazione quasi casuale — purché sempre di buon senso, perché è chiaro che se fate 20% Azionario Globale e 80% Thailandia non è che sia proprio la stessa cosa — dicevo un’allocazione sensata più o meno casuale ha più o meno le stesse probabilità di generare lo stesso rendimento di un’allocazione in cui chirurgicamente abbiamo spaccato il capello in 4 per scegliere gli esatti pesi da dare alle varie regioni.

Non ci credete?

Beh, sappiate che, scartata l’ipotesi di investire in un solo mercato per rispettare il principio della diversificazione, se metto a confronto un investimento sul MSCI World (quindi tutto il mondo sviluppato con il 70% di America), un investimento sul MSCI All Country (quindi tutto il mondo emergenti compresi con il 60% di America) e un investimento con un terzo America, un terzo Europa e un terzo Emergenti, negli ultimi 30 anni avrebbero fatto tutti sempre, praticamente, lo stesso risultato.

Mediamente, un 7,7% di rendimento all’anno, ironicamente con un leggero vantaggio per il portafoglio un terzo, un terzo, un terzo.

Per la cronaca, nello stesso periodo un portafoglio 70/30 avrebbe fatto circa il 6,7%, quindi sicuramente un bel punto di rendimento in meno all’anno, che su trent’anni pesa come un macigno, ma anche un andamento decisamente meno da infarto, con una perdita massima in un solo anno che non sarebbe andata oltre il 22%, contro il ben oltre 30% di un investimento 100% azionario nel 2002 e nel 2008.

Benissimo, detto questo spero di avervi creato ancora più confusione in testa e che adesso non sappiate più che cacchio fare con i vostri investimenti.

Beh quando abbiamo iniziato questo podcast eravamo tutti alle prime armi — cioè voi eravate alle prime armi per la precisione — e quindi per semplificare il tutto abbiamo sempre detto: azionario globale, pigliatevi un bell’indice già bello confezionato e via.

VWCE and Chill si dice spesso, ossia prendetevi il Vanguard FTSE All World e non fate altro.

Che poi in realtà non è che sia una cattiva idea, visto come sono andate le cose dagli anni ’90 ad oggi.

Però poi siamo cresciuti tutti — e per tutti intendo sempre voi, io sono sempre allo stesso punto — e abbiamo imparato che:

– UNO: I risultati passati non sono predittivi dei valori futuri, quindi viva il mercato a Stelle e Strisce, ma nessuno ci garantisce che anche in futuro continuerà a sovraperformare tutti;

– DUE: vedere come sono andate le cose lungo trent’anni può essere ingannevole, perché magari noi ci troviamo ad investire dentro un decennio sfigato e non è bello per dieci anni vedere i nostri soldi non aumentare mai;

– TRE: investire in azioni è fichissimo e si possono fare palate di soldi, ma se al buon Harry Markowitz il premio Nobel non glie l’hanno dato a cazzo, costruire un portafoglio diversificato tra diverse asset class è comunque sempre una buona idea per evitare di investire nell’asset class sbagliata nel momento sbagliato e prendersi una palata sui denti.

Poi, come abbiamo detto nello scorso episodio, potete scegliere di gestire la parte obbligazionaria come fa il Prof. Coletti e poi investire solo in azioni, oppure investire in un portafoglio di ETF azionari e obbligazionari, ma comunque la girate, i vostri soldi sempre un po’ in azioni e un po’ in obbligazioni è meglio che ci stiano.

– QUATTRO: quel maledetto uccellaccio che chiamiamo Cigno Nero, grazie agli insegnamenti del grande Nassim Taleb, ogni tanto sbuca fuori e fa crollare tutte le nostre certezze, quindi avere eccessive concentrazioni nel nostro portafoglio può avere effetti devastanti in presenza di eventi estremi.
Quindi puntare tutto sugli Stati Uniti sembra oggi una scelta no brainer, eppure la storia insegna che ciò che oggi ci appare scontato, un domani potrebbe non esserlo affatto.

Quindi?

Che si fa?

Fate un po’ il cazzo che vi pare, tanto qualunque cosa vi dicessi io o che vi dicesse anche il più brillante investitore di tutti i tempi dovrebbe comunque superare la prova della realtà, che è assolutamente chiara se ci guardiamo indietro e del tutto oscura e imperscrutabile se vogliamo lo sguardo in avanti.

Qualche regola di buon senso invece per orientarsi in mezzo a tanta incertezza:

REGOLA UNO: evitate concentrazioni eccessive in singoli mercati o settori, perché per quanto sensato vi possa sembrare, spesso i cicli economici hanno delle svolte impreviste e rischiamo di trovarci con il cerino in mano.

REGOLA DUE: allo stesso tempo non abbiate troppo timore del fatto che poche grandi aziende possano avere un peso esorbitante all’interno di certi indici. Ferma restando la regola numero UNO, è ok che poche società portino un contributo enorme e che la maggior parte delle altre abbia performance ininfluenti.

Se la regola del buon Alfredo Pareto continua ad avere la sua validità indicativa, è più probabile che il 20% delle società più performanti di un mercato contribuisca all’80% del rendimento totale che non che più o meno tutte le società contribuiscano nel medesimo modo.

Se prendiamo quindi le 1500 società dell’MSCI World, possiamo aspettarci che circa 300 di esse siano responsabili del 80% del rendimento di tutto l’indice, quindi fa parte della natura delle cose che ci sia un’asimmetria sulla distribuzione dei rendimenti e che quindi ci saranno sempre poche società che faranno davvero la differenza su un intero mercato e tante che avranno una performance anonima in ogni singolo anno che prenderemo a riferimento.

REGOLA TRE: non state a diventare matti e a cambiare ogni due per tre l’asset allocation.

Avete investito nell’azionario all world con il 60% di Stati Uniti? Va bene.

Avete investito un terzo Stati Uniti, un terzo Europa e un terzo Emergenti? Va bene lo stesso.

Avete investito alla Coletti, praticamente con un Equally Weighted globale dove tutti i paesi contano più o meno allo stesso modo? Va assolutamente bene anche così.

Per quello che ne sappiamo oggi, la prospettiva di rendimento a lungo termine di queste tre impostazioni è che nell’orizzonte di riferimento della vostra vita da investitore sul Pianeta Terra, tutte e tre queste allocation possano produrre circa un 7% di rendimento medio all’anno.

Attenzione: non vuol dire che sicuramente sarà così!
Significa solo che, proiettando nel futuro le performance del passato e simulando diversi scenari, il ritorno atteso sarà circa 7%.

Poi potrebbe essere che voi iniziate oggi con l’azionario all world, poi tra 5 anni l’America salta per aria e a dominare saranno Cina, Messico, Brasile e Thailandia, allora sarà il portafoglio equally weighted ad avere la meglio.

Oppure al contrario l’America consoliderà ulteriormente il suo primato finanziario ed economico globale, la Cina si schianta su stessa, i paesi Brics non decollano, l’Europa continua a stagnare e alla fine avere tanta America nel portafoglio si rivela la scelta che paga di più.

Ad oggi, non possiamo prevedere niente di tutto ciò.

Possiamo solo supporre che, sulla base delle informazioni che abbiamo a disposizione, il ritorno atteso di impostazioni di portafoglio mediamente sensate e differenziate, vada grosso modo a regredire versa la media storica che appunto si aggira su circa il 7%.

Stiamo parlando solo di azioni chiaramente.

Se ci mettete dentro anche le obbligazioni, naturalmente il ritorno atteso si abbassa, così come anche (in teoria) la volatilità.

Ma a parità di componente obbligazionaria, sulla parte azionaria possiamo aspettarci quanto descritto sopra con la medesima probabilità.

Ed è per questo che io investo 100% nell’S&P 500…

No! Sto scherzando!

Non ve lo dico in cosa investo che poi mi copiate, magari perdete soldi e poi vi incazzate con me.

Prendetevi voi i vostri rischi, sbagliate con la vostra testa e incazzatevi solo con voi!

Detto questo, ci appropinquiamo alla conclusione dell’episodio.

Grazie come sempre a tutti voi che mi accompagnate, settimana dopo settimana, in questo splendido viaggio assieme all’interno della finanza personale, del risparmio, dell’investimento e di ciò che serve per provare a realizzare l’impresa ultima, ossia raggiungere la libertà finanziaria e levarci dalle palle per sempre il tema economico dal novero die problemi di cui dovremo occuparci nella vita.

Per qualunque cosa vi venisse in mente (purché non mi chiediate come bilanciare il vostro portafoglio sui vari mercati perché non ne ho la più pallida idea), scrivetemi su instagram a thebull_finance, oppure su LinkedIn.

Come sempre a questo punto arrivati, invito chi non l’avesse ancora fatto a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify o su qualunque altra piattaforma utilizziate per ascoltare il podcast e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che investire sull’America è figo ma pure non lo è, come il famoso gatto di Schroedinger che ancora ci chiediamo se dentro quella maledetta scatola sia vivo o morto, sempre nuovi.

Per questo episodio invece, è davvero tutto, e noi ci ritroviamo qui domenica prossima, Vigilia di Natale, per un altro imperdibile appuntamento con questo nostro viaggio insieme dentro il mondo dei vostri soldi e dei vostri sogni di gloria finanziaria, sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo Podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant