Come raddoppiare (e dimezzare) il Portafoglio azionario
La storia del mercato azionario è una storia 8 raddoppi (e 2 dimezzamenti). Comprenderne il corso e le logiche è alla base di ogni buona decisione di investimento, così come capire che la strategia fatta di PAC e "buy and hold" resto quasi insuperabile.

149. Come raddoppiare (e dimezzare) il Portafoglio azionario
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Il market timing e le strategie "buy the dip" sono inefficaci e sottoperformano il buy-and-hold: le crescite di mercato sono concentrate.
La storia mostra che aspettare di investire ai minimi non batte il PAC o l'investimento costante, nemmeno con previsione perfetta.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Questo è un episodio dedicato ai market timer, agli scettici, ai timorosi, a quelli che “mmhhh… il mercato è ai massimi, forse in questo momento è meglio non investire” e a quelli che “mi tengo un po’ di soldi da parte così quando il mercato ha un altro 5 agosto compro a sconto e faccio il botto”.
Questo è un episodio dedicato alla storia del mercato azionario globale, che è una storia di raddoppi e dimezzamenti. E soprattutto è una storia che sembra fatta apposta per confonderci e indurci a prendere sistematicamente le decisioni più sbagliati.
Questo è infine un episodio per cercare di capire, una volta per tutte, che ogni qualvolta pensiamo di avere avuto una buona intuizione che ci metterebbe sulla corsia di sorpasso lungo la strada del nostro inseguimento di rendimenti sempre maggiori, con ogni probabilità si sarà trattato di una pessima idea.
E parliamo di questo ancora oggi, a 149 episodi arrivati, perché vedo che resta il più diffuso degli errori logici in cui molti tra voi incespicano, convinti invece che ci possano essere idee di semplice implementazione, a cui nessuno sul mercato avrebbe pensato, per batterlo.
L’errore riguarda appunto il fatto di credere che si possano mettere in piedi delle strategie attive in cui in pratica si entra e si esce in determinati momenti dal mercato confidando così di saltarsi le correzioni e di prendersi solo i benefici dei mercati che risalgono.
Eh ti piacerebbe vero?
Come direbbe un noto professore di matematica prestato alla divulgazione finanziaria su youtube.
Ecco nella stragrandissima maggioranza dei casi, non si può.
E oggi spiegheremo perché con un’angolatura nuova e dei dati che fino a poco tempo non conoscevo ma che ancora una volta hanno consolidato questa convinzione che sposo finché morte non ci separi che market timing, buy the dip, cash on sidelines e altre robe del genere sono solo dei miti senza applicazione reale.
Lo spunto principale per l’episodio di oggi è tratto un articolo pubblicato dal Man Institute a fine settembre, nel quale gli autori si sono messi a fare un po’ di conti su come davvero sono andate le cose negli ultimi 100 anni e della matematica controintuitiva che sta dietro alla spiegazione dei rendimenti che il mercato azionario ha prodotto.
Prima di addentrarci in questo tema, che spero troverete interessante almeno la metà di quanto l’abbia trovato io, ma è anche vero che io ho un concetto di “interessante” un po’ perverso, permettetemi di ringraziare Scalable Capital, sponsor dell’episodio di oggi che si è completamente rifatto il look.
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Certo, nel caso passerò l’inverno al gelo e senza acqua calda, ma non preoccupatevi, dovrei avere ancora una copia di Padre Ricco Padre Povero con cui alimentare un falò domestico. Almeno quel libro sarà utile per qualcosa.
Portata a casa la pagnotta anche questa settimana, veniamo al tema di oggi che tanto mi ha intrigato trasformare in episodio.
Partiamo dicendo che gli ultimi 100 anni del mercato azionario sono stati una storia, come dicevamo, di dimezzamenti e raddoppi.
Quando parliamo di mercato, tanto per cambiare, ci riferiamo qui al mercato americano, ma come lo studio di Man fa vedere chiaramente, se invece di prendere l’S&P 500 prendessimo un portafoglio equipesato composto in parti uguali di S&P 500, FTSE 100 (quindi mercato inglese), DAX (mercato tedesco) e Nikkei (mercato giapponese), l’andamento degli ultimi 100 anni sarebbe incredibilmente simile.
Perlomeno dalla prospettiva di un investitore in dollari.
Ho provato a fare un backtest in euro dalla fine degli anni ’70 ad oggi e in realtà ci sono circa 100 basis point all’anno di differenza di rendimento a favore dell’S&P 500.
Cioè per un investitore in Euro, negli ul timi 50 anni circa investire solo nell’S&P 500 avrebbe reso circa 1 punto percentuali all’anno in più rispetto ad un portafoglio fatto per un quarto SP, un quarto regno unito, un quarto germania e un quarto giappone.
Un punto percentuale abbondante di differenza lungo 50 fa una differenza di rendimento astronomica come sappiamo bene.
10.000 € investiti 50 anni fa con rendimento del 10% all’anno oggi sarebbero quasi 1 milione e 200.000.
Se il rendimento fosse stato anche solo del 9%, il valore finale si sarebbe fermato a 740.000.
Questa cosa la dico un episodio ogni 3, mi rendo conto che possa risultare noioso, ma è bene non dimenticarlo mai: piccole differenze di rendimento — e quindi piccole differenze di costo dei nostri strumenti di investimento — nel lungo termine provocano delle differenze gigantesche.
Comunque sia, il punto qui era solo dire che, ai fini del discorso di oggi, il fatto di prendere a modello il mercato americano è utile solo perché abbiamo un set di dati perfettamente coerente, ma la sostanza di quel che andremo a dire non cambia se prendessimo una diversa versione del mercato azionario globale dei paesi sviluppati.
Bene.
Dicevo, è una storia di dimezzamenti e raddoppi.
Per la precisione, la storia del mercato azionario è fatta di 3 grandi dimezzamenti, ossia di 3 volte in cui il mercato è crollato fino al punto di vedere dimezzato il suo valore, e di 8 grandi raddoppi, o meglio di 4 coppie di raddoppi del suo valore praticamente consecutivi.
Ok detta così non si capisce molto.
Ripercorriamola velocemente così risulta tutto più chiaro.
I dati partono dal 1927, che è da quando sono i disponibili i dati storici di Standard and Poor’s, quindi consideriamo il dicembre 1927 il giorno zero del mercato azionario, anche se naturalmente la sua storia è molto più antica.
Comunque il 1927 non segna l’inizio di un periodo di grande splendore, dato che a partire dal settembre del 1929 il mercato vide il proprio valore dimezzarsi in meno di un anno e mezzo, nel dicembre del 1930.
La Grande Depressione fu però a tal punto devastante, che un altro dimezzamento ebbe luogo.
Dal gennaio del 1931 all’Aprile del 1932, bastò un altro anno e mezzo scarso perché il mercato dimezzò nuovamente il suo valore.
In 2 anni e 7 mesi il mercato perse così il 75% del suo valore, prima metà e poi metà della metà — e peraltro non si fermò lì perché il fondo lo toccò a -85%.
Provate anche solo ad immaginarvi l’agghiacciante esperienza di vedere il vostro portafoglio azionario sprofondare di quasi tutto il suo valore nello spazio di pochi anni.
Ad oggi, fortunatamente, quell’esperienza di doppio dimezzamento rimase un unicum nella storia.
I danni della Grande Depressione ci misero un bel po’ a venir curati del tutto.
Servirono 27 anni, dal 1927 al dicembre 1954 perché finalmente il mercato raddoppiasse il suo valore, passando da un valore di 17.7 a 35.4.
Da qui però bastarono meno di 7 anni perché si assistette ad un altro raddoppio, quando nell’ottobre del 1961 il mercato raggiunse i 71 punti.
E questo si rivelerà un pattern ricorrente.
Un lungo periodo per conseguire un primo raddoppio e poi un secondo periodo, nettamente più breve, per assistere ad un nuovo +100%.
Per arrivare al raddoppio successivo, invece, dobbiamo attraversare i difficili anni ’70 e non saremmo arrivati ai 142 punti se non nel novembre del 1982, ben 21 anni dopo.
Solo 4 anni dopo, invece, il mercato raddoppiò nuovamente, raggiungendo i 286 punti nel febbraio del 1987.
Gli anni ’80 furono grandiosi, ma sappiamo anche che nell’ottobre del 1987 in un singolo sciagurato giorno, il 19, il Black Monday cancellò oltre il 20% del valore del mercato.
Il nuovo raddoppio arrivò 9 anni dopo il febbraio 87, ossia nel settembre del 1995, arrivando a 573 punti.
Ormai sappiamo tutti molto bene che il 1995 segnò l’inizio del quinquennio più spettacolare di sempre, con i mercati di tutto il mondo che ebbero una crescita da sogno, Giappone escluso, fino al brusco risveglio di inizio 2000.
Tant’è comunque che bastarono meno di tre anni perché già nel luglio del ’98, mentre due colpi di testa di Zidane regalarono alla Francia il primo mondiale, il mercato raddoppiò nuovamente arrivano a 1.146 punti.
Poi arrivò la dot-com bubble dei primi 2000, un’altra testata di Zidane nel 2006che questa volta il mondiale alla Francia lo fece perdere e a noi vincere e la grande crisi finanziaria innescata dal fallimento di Lehman Brothers.
E proprio in questo periodo arrivò il terzo — e ultimo sinora — dimezzamento della storia. In soli 17 mesi il mercato passò dai 1.562 punti dell’ottobre 2007 ai 770 del febbraio 2009.
Da lì in poi, come tutti sappiamo, il mercato non vide più un dimezzamento del proprio valore.
Anzi.
Complessivamente ci vollero 19 anni perché dall’ultimo raddoppio, quello del luglio del 1998, si arrivò ad un nuovo +100% assoluto, nel gennaio del 2017, con l’S&P 500 che toccò i 2.295 punti.
E come da procedura, anche questa volta il secondo raddoppio ci mise molto meno, perché bastarono meno di 5 anni perché nell’ottobre del 2021 si arrivasse ai 4.605 punti.
Attenzione che quando parliamo del mercato che fa +100%, non ci riferiamo ai raddoppi “relativi”, bensì a quelli assoluti.
Mi spiego, quando il mercato crolla e poi fa +100% non ha raddoppiato il suo valore.
Noi qui stiamo ripercorrendo il suo percorso che dai quasi 18 punti del 1927 ha portato, attraverso 8 raddoppi, ai 4.605.
Avete presente quando parliamo dell’assurda matematica controintuitiva della finanza?
Eccone un esempio plastico.
Un numerino piccolo come 18, diventa 4.605 raddoppiando solo 8 volte.
8 raddoppi che raccontano quasi tutta la storia dei mercati.
E come abbiamo visto chiaramente, il pattern è sempre lo stesso.
Un lungo periodo per completare il primo raddoppio e poi un brevissimo periodo per il secondo.
Momentum e trend following sono due caratteristiche stabili del comportamento del mercato azionario nel breve-medio termine.
Oggi dove siamo.
Venerdì l’S&P 500 ha archiviato l’ennesima settimana positiva dell’anno, toccando i nuovi massimi storici a 5.822 punti, salvo poi chiudere a 5.815.
Per il prossimo raddoppio successivo al 2021 dovremo aspettare i 9.062 punti.
L’S&P deve crescere ancora del 56% per arrivarci.
Se crescesse — dividendi esclusi — di circa il 9% all’anno, servirebbero poco più di 5 anni per arrivarci, quindi poco più di 8 dall’ottobre del 2021.
Possiamo quindi aspettarci che l’S&P 500 toccherà i 9.062 punti grosso modo a gennaio del 2030?
Pistola alla tempia direi di no.
Nessuno oggi scommetterebbe un euro su una crescita così sostenuta ancora per così tanto tempo.
È più verosimile una corsa più lenta o un bel tracollo che nel mezzo.
In media il primo raddoppio di ciascuna coppia di raddoppi è arrivato ogni 19 anni.
Se restiamo in media, quindi, questi 9.062 arriverebbero non prima del 2040.
Così fosse, il rendimento nominale dell’S&P per i prossimi 17 anni sarebbe un poco emozionante 3,8% all’anno. Includendo i dividendi arriveremmo grossomodo poco sopra al 5%.
5% all’anno, in effetti, non è lontano dalle stime che praticamente ogni banca o hedge fund ha ipotizzato nel proprio long term outlook.
Non granché.
Però il secondo raddoppio arriva in media ogni 4,7 anni.
Quindi entro la fine del 2045 dovremmo toccare, sempre con tutti i “se e i ma” del caso, i 18.124 punti.
Il rendimento medio composto dei prossimi circa 21 anni sarebbe quindi complessivamente, intorno ai 6,5% nominale, che con i dividendi arriverebbe intorno all’8% – che tra l’altro corrisponde al rendimento medio storico dell’azionario globale.
Ammettiamo che per un investitore europeo persista il gap di circa 1 punto percentuale di rendimento all’anno rispetto ad un investitore in dollari diversificato globalmente, ecco che abbiamo una stima a 20 anni per chi investe in MSCI World grosso modo intorno al 7% all’anno.
Non tantissimo, ma ditemi dove mettere la firma per avere un rendimento che mi garantisce in pratica di quadruplicare il mio patrimonio attuale entro il 2045.
Per esempio, 100.000 euro al 7% medio composto all’anno diventano poco più di 400.000 in 21 anni, che con un’inflazione in media del 2,5% fanno 250.000 € in valore reale.
Bene.
Con questo giochino dei raddoppi geometrici abbiamo tirato una stima, del tutto campata per aria e tutto sommato molto coerente con stime realizzate in modi ben più strutturati, dei rendimenti attesi di lungo termine delle azioni.
Non vale un tubo tutto ciò, mi raccomando, non prendetelo per oro colato.
È solo un modo per provare a gettare una prospettiva fondata rispetto alle nostre aspettative di lungo termine.
Fatti tutti i conti, veniamo agli aspetti pratici.
Perché vi ricordo che questo è un episodio dedicato a quelli che il “mercato è ai massimi, quindi aspetto ad investire”.
Allora, cosa abbiamo imparato da questa storia di dimezzamenti e raddoppi.
Beh, intanto abbiamo imparato che i raddoppi sono molto più frequenti e che la frequenza dei dimezzamenti è nell’ordine di “una volta in un’intera vita da investitore”.
Niente vieta che in futuro possa accadere più di frequente naturalmente.
Ma su base storica e statistica, un -50% capita una volta ogni mezzo secolo e tende comunque a non avere vita lunga.
Ci vuole invece pazienza per passare da una coppia di raddoppi ad un’altra.
Abbiamo visto che questi macroblocchi di grande crescita richiedono in media 19 anni per cominciare e durano in media 25 anni per completare il secondo raddoppio consecutivo.
Nella nostra vita da investitori ad un certo punto attraverseremo un periodo di circa 25 anni in cui vedremo il mercato fare due volte +100%.
Il terzo aspetto da considerare è infine che i bull market, cioè periodi consecutivi in cui il mercato cresce almeno del 20%, spiegano l’80% del rendimento complessivo del mercato.
Cosa significa questa cosa? Significa che perdersi anche solo un pezzo di un bull market rischia di compromettere in maniera irrecuperabile il rendimento di lungo termine del nostro portafoglio.
E non è una teoria.
L’articolo di Man si mette proprio a fare i conti.
Loro dicono: ammettiamo che uno non voglia fare buy-and-hold perché è da sfigati e voglia invece dare ascolto alle varie sirene ed entrare e uscire dal mercato applicando chissà qualche strategia.
Per esempio mi sono imbattuto in una breve discussione su linkedin tempo fa con un private banker che aveva scritto “sono anni che sostengo che si debba uscire dai PAC quando superano il rendimento storico e poi rientrare quando il mercato scende”.
Gli chiesi “hai dei dati a supporto di questa teoria”.
Risposta “no, ma ci metterò la testa”.
Ecco appunto…
Teorie del genere non hanno alcun senso, come molto poco senso ha provare a fare market timing usando le valutazioni, il CAPE ratio, il Fed Model — cioè earning yield meno rendimento dei titoli di stato — il warren buffett indicator o quel che volete voi.
Sbagliare di poco il timing può fare un’enorme differenza.
In questo articolo lo dimostrano e fanno vedere questa cosa fighissima.
Diciamo che uno decida di entrare nel mercato solo quando fa un MENO X % rispetto ad un massimo e poi di vendere quando fa un certo Più X% rispetto a quando comprato.
Oggi siamo ai massimi no, ancora un volta.
E uno di voi mi potrebbe dire.
Sì ok The Bull fighissimo, però oggi il mercato è ai massimi, mmhhh, secondo me non è un buon momento per investire.
Aspetto che il mercato faccia prima almeno, che ne so, -10% o -20%, quello che volete, per poi rivendere quando il mio investimento avrà fatto almeno +20, +30, +50, +100%, anche qui, come volete voi.
Chiaro il ragionamento.
Compro solo quando il mercato fa una certa correzione e poi vendo quando è salito di un certo valore.
Teoricamente è una strategia infallibile.
Compro sepre sotto i massimi e vendo sempre in profitto.
La quinta essenza della massima di warren buffett: “be greedy when others are fearful and be fearful when others are greedy”.
Peccato che nessuno di noi è Warren Buffett.
Neanche Warren Buffett, che nonostante la sua genialità, il suo fiuto e il suo talento, come noto da un paio di decenni non batte l’S&P 500.
Lo studio di dimostra che qualunque regola applichiate per fare questo buy the dip sistematico — cioè qualunque stramba regola vi inventiate per dire “compro quando fa così” e “vendo quando fa così” farebbe peggio di una strategia in cui … beh compro e basta e poi sto fermo ad aspettare.
La simulazione considera l’excess return, il ritorno in eccesso delle azioni oltre i Treasury Bills, oltre il cash.
Ricordate?
Ne avevamo parlato diffusamente anche lo scorso episodio.
Soprattutto nei paper accademici si usa l’excess return perché rende più semplice confrontare la performance di un asset class in differenti contesti storici, perché naturalmente un conto è un rendimento nominale annuo del 10% quando l’inflazione è molto bassa e di conseguenza molto bassi sono anche gli interessi pagati dalle obbligazioni a breve termine o dai fondi monetari, mentre un altro è quando i tassi di interesse sono magari al 6-7-8%.
Stesso rendimento nominale, ma diversissimo rendimento reale.
Se invece si usa l’excess return, si ottiene un rendimento confrontabile a parità di rischio che uno si assume.
La stessa formula dello Sharpe ratio funziona così.
Non è: rendimento diviso volatiltà. Ma rendimento in eccesso, ossia rendimento nominale MENO il rendimento degli asset senza rischio diviso la volatilità.
Dicevo, in media l’S&P 500 dal 1927 ad oggi ha un rendimento in eccesso medio annuo del 6,4%.
Se aggiungiamo il circa 3,3% che è il rendimento medio storico dei T-bills dal 1927 ad oggi, arriviamo a 9,7%, che è grosso modo quel 10% di rendimento medio annuo che attribuiamo di solito all’S&P 500.
Secondo Damodaran, che tiene traccia del rendimento storico di tutte le asset class dal 1928 ad oggi sul sito della New York Stern University, il rendimento nominale storico dell’S&P 500 è 9,8%, secondo altri database è leggermente più alto.
Se prendiamo la media degli ultimi 50 anni ci avviciniamo addirittura all’11%.
Comunque, dicevamo, buy-and-hold: rendimento in eccesso del 6,4%.
Cioè se avessi investito nel 1927 e poi tenuto sino ad oggi, questo è il rendimento medio che avrei ottenuto.
In realtà sappiamo anche che questa cosa vale anche su intervalli più ristretti ed è una buona approssimazione del rendimento medio di qualunque orizzonte di investimento di circa 30 anni.
Invece qualunque altra idea in cui entro quando X ed esco quando Y farebbe peggio.
C’è solo un caso in cui si otterrebbe un leggerissimo miglioramento, ossia entrando nel mercato quando si è a -5% dall’ultimo massimo raggiunto e vendendo quando il mio investimento è cresciuto del 70%.
Facendo sistematicamente così otterrei un risultato di qualche decimale migliore che fare buy and hold e basta.
Decisamente lo sbattimento non ne vale la pena.
Invece una cosa che sembrerebbe super intuitiva tipo:
– Compro ogni volta che il mercato entra in bear market, ossia quando fa -20% e poi
– Vendo ogni volta che recupera a fa, per esempio, +50%
Ecco in media produrrebbe un excess di return di 4,4%, contro il 6,4% di chi sta fermo e non fa nulla.
Quindi.
Cari miei.
Se adesso siete entrati un po’ nelle logiche dell’investimento e avete cominciato a farvi venire strane idee del tipo: “mmmhhh adesso aspetto ad investire così appena arriva un bel beark market, traaac, sono il più ganzo di tutti e faccio il botto”.
Ecco.
Oggi abbiamo dimostrato, dati alla mano, che la miglior combinazione possibile che potrete mai trovare non arriva a battere il mercato.
E questa cosa non funziona nemmeno se facciamo un PAC, che poi è il modo più naturale per tutti noi di investire.
C’è un famoso articolo di Nick Maggiulli, entrato poi anche nel suo libro spesso citato Just Keep Buying, che ha un titolo inequivocabile: nemmeno Dio batte il Dollar Cost Averaging (che in Italiano potrebbe essere: nemmeno Dio, che pur prevede il futuro, batterebbe un PAC).
Cosa dice Nick Maggiulli.
Dice, prendiamo due possibilità:
– Possibilità UNO: investo 100 dollari al mese, o la cifra che volete.
– Possibilità DUE: risparmio 100 dollari al mese e li investo tutti insieme soltanto ogni volta che il mercato si trova ai minimi in mezzo a due massimi, cioè appunto quando si trova in un dip. E sapere esattamente quando si toccano i minimi prima di una risalita che porterà ad un nuovo massimo presuppone appunto di poter prevedere il futuro, quindi una cosa che essere onnisciente potrebbe fare mentre un investitore normale no.
E Nick dimostra che quest’onniscienza comunque non basterebbe per battere il pac, perché il 70% delle volte il PAC avrebbe un ritorno superiore alla strategia buy-the-dip supportata dalla preveggenza divina.
E dato che noi la preveggenza divina non ce l’abbiamo, Maggiulli dimostra che basta sbagliare il timing sul dip, cioè non entrare perfettamente sui minimi anche solo anticipando o ritardando di un paio di mesi, che il PAC vincerebbe il 97% delle volte.
Al prossimo che se ne salterà fuori dicendo: eh no, lo dico sempre che il PAC bisogna farlo fino al momento x, poi uscire e poi rientrare al momento y, ecco ricordategli che nemmeno se lui fosse Dio starebbe facendo una cosa intelligente.
E con ogni probabilità non sarà un Dio quello con cui starete facendo questa conversazione.
Lo so che siete convinti fino ad un certo punto.
Dovrei farvi vedere grafici e numeri, magari un giorno questo canale avrà anche una sua versione video e tutto sarà più chiaro.
Fino ad allora, fidatevi e basta e portatevi a casa questo concetto.
Escluso il caso in cui siete in grado di prevedere sistematicamente il futuro dei mercati — cosa che non mi risulta qualcuno possa fare — ragionare sul timing, sull’andirivieni dentro e fuori dal mercato o su chissà quale altra balzana idea, ecco ricordatevi che sarà sempre subottimale rispetto a star dentro il mercato azionario, continuare a risparmiare e investire e non fare altro.
Oggi siamo ai massimi storici.
Per l’ennesima volta dall’inizio del 2024.
Non cominciare ad investire oggi perché siamo ai massimi non ha alcun fondamento.
Può essere dettato da una preoccupazione soggettiva.
Può essere dettato dall’idea di volersi posizionare su asset meno rischiosi.
Può essere quello che volete.
Ma, da un punto di vista matematico e statistico, non c’è alcun buon motivo per ritenere che investire quando i mercati stanno polverizzando record su record sia un errore.
Anzi.
È nel DNA dei mercati concentrare le crescite in certi momenti.
Fatevene una ragione e non sperate di poter avere qualche intuizione che nessun altro avrebbe avuto prima di voi.
Perché non funziona.
E poi, anche qui, non voglio dare rassicurazioni ingenue perché il futuro è imperscrutabile e io non ho assolutamente idea se investire in ETF azionari ci renderà più ricchi o più poveri.
La probabilità dice più ricchi.
Ma la probabilità è tutt’altro che una certezza.
Vi do però qualche numero, che personalmente trovo rassicurante quando penso ai worst scenario, cioè a cosa potrebbe succedere sbagliando in maniera clamorosa il momento di ingresso sui mercati.
Parliamo sempre di S&P 500 naturalmente.
Con un indice globale i numeri sarebbero diversi, ma ci metto la mano sul fuoco che il messaggio di fondo sarebbe lo stesso.
Quale sarebbe stato il momento peggiore in assoluto per iniziare ad investire?
Il settembre del 1929. Dopo 10 anni il mio portafoglio sarebbe stato ancora in negativo di quasi il 40%.
Il secondo peggior momento?
Marzo 2000. Dopo 10 anni sarei stato sotto ancora di circa il 3%.
Ecco questi sono stati gli unici due casi, in 100 anni di storia, in cui un investimento sarebbe rimasto negativo, in termini nominali, per oltre 10 anni.
Dopo 20 anni?
Chi avesse iniziato nel settembre del 29 si sarebbe ritrovato comunque con un +45%.
Chi invece fosse entrato al culmine della dot-com bubble, 20 anni dopo si sarebbe beccato il covid ma il suo portafoglio sarebbe stato su del 219%.
Dopo 30 anni?
Nel 1958 il guadagno complessivo sarebbe stato dell’851%.
Nel 2030, beh, non lo sappiamo ancora, ma a 24 anni da quel momento oggi saremmo su di oltre il 600%.
A 24 anni di distanza dal secondo peggior ingresso possibile sul mercato nella storia comunque mi sarei portato a casa un 7,5% all’anno medio composto.
Il percorso sarebbe stato parecchio stressante, ma quello in PAZIENZA sarebbe stato il miglior investimento che mai avrei potuto fare.
Perché tutto ciò ci sembra strano?
Perché la matematica che serve per capire la finanza non è la matematica con cui siamo abituati ad avere a che fare nella vita quotidiana.
Di solito ci interessano grandezze lineari e numeri interi.
In finanza è tutta una questione di esponenziali e percentuali.
Il nostro cervello, come ho raccontato nell’episodio 134, non è fatto per cogliere intuitivamente crescite esponenziali e rapporti tra percentuali.
– Non è fatto per capire intuitivamente che se un indice vale 17 punti e raddoppia per sole 8 volte arriva a 4.600.
– Non è fatto per capire che quando perdo il 50% del mio portafoglio devo aspettare di fare il 100% per tornare in pari.
– Non è fatto per capire la distribuzione disomogenea dei rendimenti del mercato. È vero che parliamo sempre di medie. Ma quella del mercato è una storia fatta di lunghi e lenti bull market, pochi momenti concentrati di crescite esplosive e pochissimi momenti di crolli fragorosi. Per come siamo abituati a ragionare, avere una comprensione intuitiva di cosa significhi questa cosa è praticamente impossibile.
Perché funziona così?
Difficile da dire.
Sicuramente a questa schizofrenia dell’andamento dei mercati contribuisce il fatto che solo poche società sono davvero responsabili dei rendimenti che investire in azioni può portare.
Uno dei paper più citati degli ultimi anni, anche qui a The Bull, è il bellissimo articolo di Hendrik Bessembinder del 2018: “Do Stocks outperform Treasury Bills”.
Nel paper Bessembinder fa i conti con tutte le oltre 29.000 società quotate nella storia del mercato americano e calcola tutti i rendimenti di ciascuna azione.
La sua scoperta è sconvolgente.
Una buona metà di tutte le azioni di tutto l’ultimo secolo ha a malapena reso tanto quanto i Treasury Bills.
Noi diciamo sempre che se tu prendi un’azione a caso dell’S&P 500, il tuo rendimento atteso è quello dell’S&P 500.
Concettualmente corretto.
Ma bisognerebbe aggiungere, che il rendimento più probabile che ti porterai a casa è quello che otterresti tenendo i soldi in un fondo monetario.
Bessembinder spiega invece che solo il 4% delle azioni più performanti di sempre è responsabile del 100% dell’excess return dell’azionario americano come asset class.
Quel 10% medio all’anno che l’S&P 500 elargisce generosamente da quando esiste è dovuto esclusivamente al contributo del 4% delle azioni più di successo.
In un altro paper di quest’anno, sempre Bessembinder ha fatto vedere quali sono state le azioni più performanti di sempre, sotto diversi punti di vista.
Qualche dato curioso:
– L’azione che ha portato il maggior rendimento in termini assoluti della storia del mercato americano è Altria, società poco conosciuta ma di cui è sicuramente più noto il suo principale brand: Philipp Morris. Il colosso del tabacco negli ultimi 98 anni ha reso il 265 milioni per 100. Tradotto. Un dollaro investito nel 1925, a fine 2023 sarebbe diventato 2,65 milioni di dollari. Il suo rendimento medio annuo composto è stato di oltre il 16%.
– Altri nomi celebri nella top 20 sono Boeing, IBM, Coca Cola, Pepsi, Universal e Johnson and Johnson. Se vi aspettavate Apple, Microsoft o Google, mi spiace, ma esistono da troppo poco e non sono ancora entrati tra i top contributor in senso assoluto.
– Se però guardiamo orizzonti più brevi, tra le società che sono state quotate per almeno 20 anni, Nvidia domina la classifica, con un rendimento medio di oltre il 33% nei suoi 25 anni di vita. E in questa classifica troviamo, tra i nomi celebri, anche Netflix, 32% all’anno, Amazon, 31,7% e Microsoft 26%. Non si trova invece Apple, che invece negli anni 80 e 90 ha avuto performance misere, finché poi Steve Jobs non è tornato alla guida e l’ha resa la società con il più alto valore al mondo.
Tutto questo solo per dire che il rendimento medio del mercato azionario è nettamente superiore al rendimento mediano ciascuna società.
Come dicevamo la volta scorsa, c’è un’asimmetria positiva, positive skewness, che fa sì che pochissimi top performer siano responsabili praticamente di tutto il rendimento.
E questo è il motivo principale per cui le gestioni attive e lo stock picking fanno una fatica bestia a battere il mercato.
Preso in generale, invece, il mercato azionario ha un’asimmetria negativa. Ossia il suo rendimento mediano in un dato anno è superiore al suo rendimento medio, il che significa che il mercato il più delle volte va bene e in circostanze episodiche va malissimo.
E questo è il motivo per cui è meglio fare buy-and-hold e non dentro e fuori perché altrimenti il tuo ritorno atteso sarà inferiore.
Bene, anche oggi vi ho rincoglionito di numeri, però quest’episodio era fondamentale.
Sento troppe stronzate dette in giro e dall’altra parte vorrei darvi sempre strumenti oggettivi — non la mia inutile opinione — per supportare le vostre decisioni di investimento.
Conoscere la storia e la statistica dei mercati è la cosa migliore che abbiamo per prendere decisioni sensate con i nostri soldi.
Grazie per avermi seguito sino a qui e, già che ci siamo, colgo l’occasione per condividere con voi che il mio libro è primo in classifica in Italia nella categoria tascabili nella sua settimana di uscita.
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Per chi non l’ha fatto perché magari continuava a vedere che su Amazon era sold-out, ora dovrebbe essere tutto risolto, i magazzini di Amazon sono di nuovo pieni, è disponibile con prime senza spese di spedizione e quini potete comprarne tutte le copie che volete per voi e per chi vi pare.
Siamo anche al 5° posto tra i top podcast d’Italia, grazie infinite anche per questo e a maggior ragione vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che, diversamente da qualunque ambito della vita dove vi hanno sempre detto di darvi una mossa, quando si investe è meglio stare fermi sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo imperdibile appuntamento insieme, almeno per me, poi voi vedete un po’ cosa avete da fare, sempre qui naturalmente con the bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale
Questo è un episodio dedicato ai market timer, agli scettici, ai timorosi, a quelli che “mmhhh… il mercato è ai massimi, forse in questo momento è meglio non investire” e a quelli che “mi tengo un po’ di soldi da parte così quando il mercato ha un altro 5 agosto compro a sconto e faccio il botto”.
Questo è un episodio dedicato alla storia del mercato azionario globale, che è una storia di raddoppi e dimezzamenti. E soprattutto è una storia che sembra fatta apposta per confonderci e indurci a prendere sistematicamente le decisioni più sbagliati.
Questo è infine un episodio per cercare di capire, una volta per tutte, che ogni qualvolta pensiamo di avere avuto una buona intuizione che ci metterebbe sulla corsia di sorpasso lungo la strada del nostro inseguimento di rendimenti sempre maggiori, con ogni probabilità si sarà trattato di una pessima idea.
E parliamo di questo ancora oggi, a 149 episodi arrivati, perché vedo che resta il più diffuso degli errori logici in cui molti tra voi incespicano, convinti invece che ci possano essere idee di semplice implementazione, a cui nessuno sul mercato avrebbe pensato, per batterlo.
L’errore riguarda appunto il fatto di credere che si possano mettere in piedi delle strategie attive in cui in pratica si entra e si esce in determinati momenti dal mercato confidando così di saltarsi le correzioni e di prendersi solo i benefici dei mercati che risalgono.
Eh ti piacerebbe vero?
Come direbbe un noto professore di matematica prestato alla divulgazione finanziaria su youtube.
Ecco nella stragrandissima maggioranza dei casi, non si può.
E oggi spiegheremo perché con un’angolatura nuova e dei dati che fino a poco tempo non conoscevo ma che ancora una volta hanno consolidato questa convinzione che sposo finché morte non ci separi che market timing, buy the dip, cash on sidelines e altre robe del genere sono solo dei miti senza applicazione reale.
Lo spunto principale per l’episodio di oggi è tratto un articolo pubblicato dal Man Institute a fine settembre, nel quale gli autori si sono messi a fare un po’ di conti su come davvero sono andate le cose negli ultimi 100 anni e della matematica controintuitiva che sta dietro alla spiegazione dei rendimenti che il mercato azionario ha prodotto.
Prima di addentrarci in questo tema, che spero troverete interessante almeno la metà di quanto l’abbia trovato io, ma è anche vero che io ho un concetto di “interessante” un po’ perverso, permettetemi di ringraziare Scalable Capital, sponsor dell’episodio di oggi che si è completamente rifatto il look.
L’ultima volta che ho aperto l’app sul mio smartphone la veste grafica era completamente rinnovata, con questi due nuovi grafici che ti mostrano sia il valore complessivo del portafoglio, comprensivo anche di depositi e prelievi, sia il rendimento assoluto dei tuoi investimenti, con la possibilità di selezionare qualunque intervallo di tempo vogliate analizzare.
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Certo, nel caso passerò l’inverno al gelo e senza acqua calda, ma non preoccupatevi, dovrei avere ancora una copia di Padre Ricco Padre Povero con cui alimentare un falò domestico. Almeno quel libro sarà utile per qualcosa.
Portata a casa la pagnotta anche questa settimana, veniamo al tema di oggi che tanto mi ha intrigato trasformare in episodio.
Partiamo dicendo che gli ultimi 100 anni del mercato azionario sono stati una storia, come dicevamo, di dimezzamenti e raddoppi.
Quando parliamo di mercato, tanto per cambiare, ci riferiamo qui al mercato americano, ma come lo studio di Man fa vedere chiaramente, se invece di prendere l’S&P 500 prendessimo un portafoglio equipesato composto in parti uguali di S&P 500, FTSE 100 (quindi mercato inglese), DAX (mercato tedesco) e Nikkei (mercato giapponese), l’andamento degli ultimi 100 anni sarebbe incredibilmente simile.
Perlomeno dalla prospettiva di un investitore in dollari.
Ho provato a fare un backtest in euro dalla fine degli anni ’70 ad oggi e in realtà ci sono circa 100 basis point all’anno di differenza di rendimento a favore dell’S&P 500.
Cioè per un investitore in Euro, negli ul timi 50 anni circa investire solo nell’S&P 500 avrebbe reso circa 1 punto percentuali all’anno in più rispetto ad un portafoglio fatto per un quarto SP, un quarto regno unito, un quarto germania e un quarto giappone.
Un punto percentuale abbondante di differenza lungo 50 fa una differenza di rendimento astronomica come sappiamo bene.
10.000 € investiti 50 anni fa con rendimento del 10% all’anno oggi sarebbero quasi 1 milione e 200.000.
Se il rendimento fosse stato anche solo del 9%, il valore finale si sarebbe fermato a 740.000.
Questa cosa la dico un episodio ogni 3, mi rendo conto che possa risultare noioso, ma è bene non dimenticarlo mai: piccole differenze di rendimento — e quindi piccole differenze di costo dei nostri strumenti di investimento — nel lungo termine provocano delle differenze gigantesche.
Comunque sia, il punto qui era solo dire che, ai fini del discorso di oggi, il fatto di prendere a modello il mercato americano è utile solo perché abbiamo un set di dati perfettamente coerente, ma la sostanza di quel che andremo a dire non cambia se prendessimo una diversa versione del mercato azionario globale dei paesi sviluppati.
Bene.
Dicevo, è una storia di dimezzamenti e raddoppi.
Per la precisione, la storia del mercato azionario è fatta di 3 grandi dimezzamenti, ossia di 3 volte in cui il mercato è crollato fino al punto di vedere dimezzato il suo valore, e di 8 grandi raddoppi, o meglio di 4 coppie di raddoppi del suo valore praticamente consecutivi.
Ok detta così non si capisce molto.
Ripercorriamola velocemente così risulta tutto più chiaro.
I dati partono dal 1927, che è da quando sono i disponibili i dati storici di Standard and Poor’s, quindi consideriamo il dicembre 1927 il giorno zero del mercato azionario, anche se naturalmente la sua storia è molto più antica.
Comunque il 1927 non segna l’inizio di un periodo di grande splendore, dato che a partire dal settembre del 1929 il mercato vide il proprio valore dimezzarsi in meno di un anno e mezzo, nel dicembre del 1930.
La Grande Depressione fu però a tal punto devastante, che un altro dimezzamento ebbe luogo.
Dal gennaio del 1931 all’Aprile del 1932, bastò un altro anno e mezzo scarso perché il mercato dimezzò nuovamente il suo valore.
In 2 anni e 7 mesi il mercato perse così il 75% del suo valore, prima metà e poi metà della metà — e peraltro non si fermò lì perché il fondo lo toccò a -85%.
Provate anche solo ad immaginarvi l’agghiacciante esperienza di vedere il vostro portafoglio azionario sprofondare di quasi tutto il suo valore nello spazio di pochi anni.
Ad oggi, fortunatamente, quell’esperienza di doppio dimezzamento rimase un unicum nella storia.
I danni della Grande Depressione ci misero un bel po’ a venir curati del tutto.
Servirono 27 anni, dal 1927 al dicembre 1954 perché finalmente il mercato raddoppiasse il suo valore, passando da un valore di 17.7 a 35.4.
Da qui però bastarono meno di 7 anni perché si assistette ad un altro raddoppio, quando nell’ottobre del 1961 il mercato raggiunse i 71 punti.
E questo si rivelerà un pattern ricorrente.
Un lungo periodo per conseguire un primo raddoppio e poi un secondo periodo, nettamente più breve, per assistere ad un nuovo +100%.
Per arrivare al raddoppio successivo, invece, dobbiamo attraversare i difficili anni ’70 e non saremmo arrivati ai 142 punti se non nel novembre del 1982, ben 21 anni dopo.
Solo 4 anni dopo, invece, il mercato raddoppiò nuovamente, raggiungendo i 286 punti nel febbraio del 1987.
Gli anni ’80 furono grandiosi, ma sappiamo anche che nell’ottobre del 1987 in un singolo sciagurato giorno, il 19, il Black Monday cancellò oltre il 20% del valore del mercato.
Il nuovo raddoppio arrivò 9 anni dopo il febbraio 87, ossia nel settembre del 1995, arrivando a 573 punti.
Ormai sappiamo tutti molto bene che il 1995 segnò l’inizio del quinquennio più spettacolare di sempre, con i mercati di tutto il mondo che ebbero una crescita da sogno, Giappone escluso, fino al brusco risveglio di inizio 2000.
Tant’è comunque che bastarono meno di tre anni perché già nel luglio del ’98, mentre due colpi di testa di Zidane regalarono alla Francia il primo mondiale, il mercato raddoppiò nuovamente arrivano a 1.146 punti.
Poi arrivò la dot-com bubble dei primi 2000, un’altra testata di Zidane nel 2006che questa volta il mondiale alla Francia lo fece perdere e a noi vincere e la grande crisi finanziaria innescata dal fallimento di Lehman Brothers.
E proprio in questo periodo arrivò il terzo — e ultimo sinora — dimezzamento della storia. In soli 17 mesi il mercato passò dai 1.562 punti dell’ottobre 2007 ai 770 del febbraio 2009.
Da lì in poi, come tutti sappiamo, il mercato non vide più un dimezzamento del proprio valore.
Anzi.
Complessivamente ci vollero 19 anni perché dall’ultimo raddoppio, quello del luglio del 1998, si arrivò ad un nuovo +100% assoluto, nel gennaio del 2017, con l’S&P 500 che toccò i 2.295 punti.
E come da procedura, anche questa volta il secondo raddoppio ci mise molto meno, perché bastarono meno di 5 anni perché nell’ottobre del 2021 si arrivasse ai 4.605 punti.
Attenzione che quando parliamo del mercato che fa +100%, non ci riferiamo ai raddoppi “relativi”, bensì a quelli assoluti.
Mi spiego, quando il mercato crolla e poi fa +100% non ha raddoppiato il suo valore.
Noi qui stiamo ripercorrendo il suo percorso che dai quasi 18 punti del 1927 ha portato, attraverso 8 raddoppi, ai 4.605.
Avete presente quando parliamo dell’assurda matematica controintuitiva della finanza?
Eccone un esempio plastico.
Un numerino piccolo come 18, diventa 4.605 raddoppiando solo 8 volte.
8 raddoppi che raccontano quasi tutta la storia dei mercati.
E come abbiamo visto chiaramente, il pattern è sempre lo stesso.
Un lungo periodo per completare il primo raddoppio e poi un brevissimo periodo per il secondo.
Momentum e trend following sono due caratteristiche stabili del comportamento del mercato azionario nel breve-medio termine.
Oggi dove siamo.
Venerdì l’S&P 500 ha archiviato l’ennesima settimana positiva dell’anno, toccando i nuovi massimi storici a 5.822 punti, salvo poi chiudere a 5.815.
Per il prossimo raddoppio successivo al 2021 dovremo aspettare i 9.062 punti.
L’S&P deve crescere ancora del 56% per arrivarci.
Se crescesse — dividendi esclusi — di circa il 9% all’anno, servirebbero poco più di 5 anni per arrivarci, quindi poco più di 8 dall’ottobre del 2021.
Possiamo quindi aspettarci che l’S&P 500 toccherà i 9.062 punti grosso modo a gennaio del 2030?
Pistola alla tempia direi di no.
Nessuno oggi scommetterebbe un euro su una crescita così sostenuta ancora per così tanto tempo.
È più verosimile una corsa più lenta o un bel tracollo che nel mezzo.
In media il primo raddoppio di ciascuna coppia di raddoppi è arrivato ogni 19 anni.
Se restiamo in media, quindi, questi 9.062 arriverebbero non prima del 2040.
Così fosse, il rendimento nominale dell’S&P per i prossimi 17 anni sarebbe un poco emozionante 3,8% all’anno. Includendo i dividendi arriveremmo grossomodo poco sopra al 5%.
5% all’anno, in effetti, non è lontano dalle stime che praticamente ogni banca o hedge fund ha ipotizzato nel proprio long term outlook.
Non granché.
Però il secondo raddoppio arriva in media ogni 4,7 anni.
Quindi entro la fine del 2045 dovremmo toccare, sempre con tutti i “se e i ma” del caso, i 18.124 punti.
Il rendimento medio composto dei prossimi circa 21 anni sarebbe quindi complessivamente, intorno ai 6,5% nominale, che con i dividendi arriverebbe intorno all’8% – che tra l’altro corrisponde al rendimento medio storico dell’azionario globale.
Ammettiamo che per un investitore europeo persista il gap di circa 1 punto percentuale di rendimento all’anno rispetto ad un investitore in dollari diversificato globalmente, ecco che abbiamo una stima a 20 anni per chi investe in MSCI World grosso modo intorno al 7% all’anno.
Non tantissimo, ma ditemi dove mettere la firma per avere un rendimento che mi garantisce in pratica di quadruplicare il mio patrimonio attuale entro il 2045.
Per esempio, 100.000 euro al 7% medio composto all’anno diventano poco più di 400.000 in 21 anni, che con un’inflazione in media del 2,5% fanno 250.000 € in valore reale.
Bene.
Con questo giochino dei raddoppi geometrici abbiamo tirato una stima, del tutto campata per aria e tutto sommato molto coerente con stime realizzate in modi ben più strutturati, dei rendimenti attesi di lungo termine delle azioni.
Non vale un tubo tutto ciò, mi raccomando, non prendetelo per oro colato.
È solo un modo per provare a gettare una prospettiva fondata rispetto alle nostre aspettative di lungo termine.
Fatti tutti i conti, veniamo agli aspetti pratici.
Perché vi ricordo che questo è un episodio dedicato a quelli che il “mercato è ai massimi, quindi aspetto ad investire”.
Allora, cosa abbiamo imparato da questa storia di dimezzamenti e raddoppi.
Beh, intanto abbiamo imparato che i raddoppi sono molto più frequenti e che la frequenza dei dimezzamenti è nell’ordine di “una volta in un’intera vita da investitore”.
Niente vieta che in futuro possa accadere più di frequente naturalmente.
Ma su base storica e statistica, un -50% capita una volta ogni mezzo secolo e tende comunque a non avere vita lunga.
Ci vuole invece pazienza per passare da una coppia di raddoppi ad un’altra.
Abbiamo visto che questi macroblocchi di grande crescita richiedono in media 19 anni per cominciare e durano in media 25 anni per completare il secondo raddoppio consecutivo.
Nella nostra vita da investitori ad un certo punto attraverseremo un periodo di circa 25 anni in cui vedremo il mercato fare due volte +100%.
Il terzo aspetto da considerare è infine che i bull market, cioè periodi consecutivi in cui il mercato cresce almeno del 20%, spiegano l’80% del rendimento complessivo del mercato.
Cosa significa questa cosa? Significa che perdersi anche solo un pezzo di un bull market rischia di compromettere in maniera irrecuperabile il rendimento di lungo termine del nostro portafoglio.
E non è una teoria.
L’articolo di Man si mette proprio a fare i conti.
Loro dicono: ammettiamo che uno non voglia fare buy-and-hold perché è da sfigati e voglia invece dare ascolto alle varie sirene ed entrare e uscire dal mercato applicando chissà qualche strategia.
Per esempio mi sono imbattuto in una breve discussione su linkedin tempo fa con un private banker che aveva scritto “sono anni che sostengo che si debba uscire dai PAC quando superano il rendimento storico e poi rientrare quando il mercato scende”.
Gli chiesi “hai dei dati a supporto di questa teoria”.
Risposta “no, ma ci metterò la testa”.
Ecco appunto…
Teorie del genere non hanno alcun senso, come molto poco senso ha provare a fare market timing usando le valutazioni, il CAPE ratio, il Fed Model — cioè earning yield meno rendimento dei titoli di stato — il warren buffett indicator o quel che volete voi.
Sbagliare di poco il timing può fare un’enorme differenza.
In questo articolo lo dimostrano e fanno vedere questa cosa fighissima.
Diciamo che uno decida di entrare nel mercato solo quando fa un MENO X % rispetto ad un massimo e poi di vendere quando fa un certo Più X% rispetto a quando comprato.
Oggi siamo ai massimi no, ancora un volta.
E uno di voi mi potrebbe dire.
Sì ok The Bull fighissimo, però oggi il mercato è ai massimi, mmhhh, secondo me non è un buon momento per investire.
Aspetto che il mercato faccia prima almeno, che ne so, -10% o -20%, quello che volete, per poi rivendere quando il mio investimento avrà fatto almeno +20, +30, +50, +100%, anche qui, come volete voi.
Chiaro il ragionamento.
Compro solo quando il mercato fa una certa correzione e poi vendo quando è salito di un certo valore.
Teoricamente è una strategia infallibile.
Compro sepre sotto i massimi e vendo sempre in profitto.
La quinta essenza della massima di warren buffett: “be greedy when others are fearful and be fearful when others are greedy”.
Peccato che nessuno di noi è Warren Buffett.
Neanche Warren Buffett, che nonostante la sua genialità, il suo fiuto e il suo talento, come noto da un paio di decenni non batte l’S&P 500.
Lo studio di dimostra che qualunque regola applichiate per fare questo buy the dip sistematico — cioè qualunque stramba regola vi inventiate per dire “compro quando fa così” e “vendo quando fa così” farebbe peggio di una strategia in cui … beh compro e basta e poi sto fermo ad aspettare.
La simulazione considera l’excess return, il ritorno in eccesso delle azioni oltre i Treasury Bills, oltre il cash.
Ricordate?
Ne avevamo parlato diffusamente anche lo scorso episodio.
Soprattutto nei paper accademici si usa l’excess return perché rende più semplice confrontare la performance di un asset class in differenti contesti storici, perché naturalmente un conto è un rendimento nominale annuo del 10% quando l’inflazione è molto bassa e di conseguenza molto bassi sono anche gli interessi pagati dalle obbligazioni a breve termine o dai fondi monetari, mentre un altro è quando i tassi di interesse sono magari al 6-7-8%.
Stesso rendimento nominale, ma diversissimo rendimento reale.
Se invece si usa l’excess return, si ottiene un rendimento confrontabile a parità di rischio che uno si assume.
La stessa formula dello Sharpe ratio funziona così.
Non è: rendimento diviso volatiltà. Ma rendimento in eccesso, ossia rendimento nominale MENO il rendimento degli asset senza rischio diviso la volatilità.
Dicevo, in media l’S&P 500 dal 1927 ad oggi ha un rendimento in eccesso medio annuo del 6,4%.
Se aggiungiamo il circa 3,3% che è il rendimento medio storico dei T-bills dal 1927 ad oggi, arriviamo a 9,7%, che è grosso modo quel 10% di rendimento medio annuo che attribuiamo di solito all’S&P 500.
Secondo Damodaran, che tiene traccia del rendimento storico di tutte le asset class dal 1928 ad oggi sul sito della New York Stern University, il rendimento nominale storico dell’S&P 500 è 9,8%, secondo altri database è leggermente più alto.
Se prendiamo la media degli ultimi 50 anni ci avviciniamo addirittura all’11%.
Comunque, dicevamo, buy-and-hold: rendimento in eccesso del 6,4%.
Cioè se avessi investito nel 1927 e poi tenuto sino ad oggi, questo è il rendimento medio che avrei ottenuto.
In realtà sappiamo anche che questa cosa vale anche su intervalli più ristretti ed è una buona approssimazione del rendimento medio di qualunque orizzonte di investimento di circa 30 anni.
Invece qualunque altra idea in cui entro quando X ed esco quando Y farebbe peggio.
C’è solo un caso in cui si otterrebbe un leggerissimo miglioramento, ossia entrando nel mercato quando si è a -5% dall’ultimo massimo raggiunto e vendendo quando il mio investimento è cresciuto del 70%.
Facendo sistematicamente così otterrei un risultato di qualche decimale migliore che fare buy and hold e basta.
Decisamente lo sbattimento non ne vale la pena.
Invece una cosa che sembrerebbe super intuitiva tipo:
– Compro ogni volta che il mercato entra in bear market, ossia quando fa -20% e poi
– Vendo ogni volta che recupera a fa, per esempio, +50%
Ecco in media produrrebbe un excess di return di 4,4%, contro il 6,4% di chi sta fermo e non fa nulla.
Quindi.
Cari miei.
Se adesso siete entrati un po’ nelle logiche dell’investimento e avete cominciato a farvi venire strane idee del tipo: “mmmhhh adesso aspetto ad investire così appena arriva un bel beark market, traaac, sono il più ganzo di tutti e faccio il botto”.
Ecco.
Oggi abbiamo dimostrato, dati alla mano, che la miglior combinazione possibile che potrete mai trovare non arriva a battere il mercato.
E questa cosa non funziona nemmeno se facciamo un PAC, che poi è il modo più naturale per tutti noi di investire.
C’è un famoso articolo di Nick Maggiulli, entrato poi anche nel suo libro spesso citato Just Keep Buying, che ha un titolo inequivocabile: nemmeno Dio batte il Dollar Cost Averaging (che in Italiano potrebbe essere: nemmeno Dio, che pur prevede il futuro, batterebbe un PAC).
Cosa dice Nick Maggiulli.
Dice, prendiamo due possibilità:
– Possibilità UNO: investo 100 dollari al mese, o la cifra che volete.
– Possibilità DUE: risparmio 100 dollari al mese e li investo tutti insieme soltanto ogni volta che il mercato si trova ai minimi in mezzo a due massimi, cioè appunto quando si trova in un dip. E sapere esattamente quando si toccano i minimi prima di una risalita che porterà ad un nuovo massimo presuppone appunto di poter prevedere il futuro, quindi una cosa che essere onnisciente potrebbe fare mentre un investitore normale no.
E Nick dimostra che quest’onniscienza comunque non basterebbe per battere il pac, perché il 70% delle volte il PAC avrebbe un ritorno superiore alla strategia buy-the-dip supportata dalla preveggenza divina.
E dato che noi la preveggenza divina non ce l’abbiamo, Maggiulli dimostra che basta sbagliare il timing sul dip, cioè non entrare perfettamente sui minimi anche solo anticipando o ritardando di un paio di mesi, che il PAC vincerebbe il 97% delle volte.
Al prossimo che se ne salterà fuori dicendo: eh no, lo dico sempre che il PAC bisogna farlo fino al momento x, poi uscire e poi rientrare al momento y, ecco ricordategli che nemmeno se lui fosse Dio starebbe facendo una cosa intelligente.
E con ogni probabilità non sarà un Dio quello con cui starete facendo questa conversazione.
Lo so che siete convinti fino ad un certo punto.
Dovrei farvi vedere grafici e numeri, magari un giorno questo canale avrà anche una sua versione video e tutto sarà più chiaro.
Fino ad allora, fidatevi e basta e portatevi a casa questo concetto.
Escluso il caso in cui siete in grado di prevedere sistematicamente il futuro dei mercati — cosa che non mi risulta qualcuno possa fare — ragionare sul timing, sull’andirivieni dentro e fuori dal mercato o su chissà quale altra balzana idea, ecco ricordatevi che sarà sempre subottimale rispetto a star dentro il mercato azionario, continuare a risparmiare e investire e non fare altro.
Oggi siamo ai massimi storici.
Per l’ennesima volta dall’inizio del 2024.
Non cominciare ad investire oggi perché siamo ai massimi non ha alcun fondamento.
Può essere dettato da una preoccupazione soggettiva.
Può essere dettato dall’idea di volersi posizionare su asset meno rischiosi.
Può essere quello che volete.
Ma, da un punto di vista matematico e statistico, non c’è alcun buon motivo per ritenere che investire quando i mercati stanno polverizzando record su record sia un errore.
Anzi.
È nel DNA dei mercati concentrare le crescite in certi momenti.
Fatevene una ragione e non sperate di poter avere qualche intuizione che nessun altro avrebbe avuto prima di voi.
Perché non funziona.
E poi, anche qui, non voglio dare rassicurazioni ingenue perché il futuro è imperscrutabile e io non ho assolutamente idea se investire in ETF azionari ci renderà più ricchi o più poveri.
La probabilità dice più ricchi.
Ma la probabilità è tutt’altro che una certezza.
Vi do però qualche numero, che personalmente trovo rassicurante quando penso ai worst scenario, cioè a cosa potrebbe succedere sbagliando in maniera clamorosa il momento di ingresso sui mercati.
Parliamo sempre di S&P 500 naturalmente.
Con un indice globale i numeri sarebbero diversi, ma ci metto la mano sul fuoco che il messaggio di fondo sarebbe lo stesso.
Quale sarebbe stato il momento peggiore in assoluto per iniziare ad investire?
Il settembre del 1929. Dopo 10 anni il mio portafoglio sarebbe stato ancora in negativo di quasi il 40%.
Il secondo peggior momento?
Marzo 2000. Dopo 10 anni sarei stato sotto ancora di circa il 3%.
Ecco questi sono stati gli unici due casi, in 100 anni di storia, in cui un investimento sarebbe rimasto negativo, in termini nominali, per oltre 10 anni.
Dopo 20 anni?
Chi avesse iniziato nel settembre del 29 si sarebbe ritrovato comunque con un +45%.
Chi invece fosse entrato al culmine della dot-com bubble, 20 anni dopo si sarebbe beccato il covid ma il suo portafoglio sarebbe stato su del 219%.
Dopo 30 anni?
Nel 1958 il guadagno complessivo sarebbe stato dell’851%.
Nel 2030, beh, non lo sappiamo ancora, ma a 24 anni da quel momento oggi saremmo su di oltre il 600%.
A 24 anni di distanza dal secondo peggior ingresso possibile sul mercato nella storia comunque mi sarei portato a casa un 7,5% all’anno medio composto.
Il percorso sarebbe stato parecchio stressante, ma quello in PAZIENZA sarebbe stato il miglior investimento che mai avrei potuto fare.
Perché tutto ciò ci sembra strano?
Perché la matematica che serve per capire la finanza non è la matematica con cui siamo abituati ad avere a che fare nella vita quotidiana.
Di solito ci interessano grandezze lineari e numeri interi.
In finanza è tutta una questione di esponenziali e percentuali.
Il nostro cervello, come ho raccontato nell’episodio 134, non è fatto per cogliere intuitivamente crescite esponenziali e rapporti tra percentuali.
– Non è fatto per capire intuitivamente che se un indice vale 17 punti e raddoppia per sole 8 volte arriva a 4.600.
– Non è fatto per capire che quando perdo il 50% del mio portafoglio devo aspettare di fare il 100% per tornare in pari.
– Non è fatto per capire la distribuzione disomogenea dei rendimenti del mercato. È vero che parliamo sempre di medie. Ma quella del mercato è una storia fatta di lunghi e lenti bull market, pochi momenti concentrati di crescite esplosive e pochissimi momenti di crolli fragorosi. Per come siamo abituati a ragionare, avere una comprensione intuitiva di cosa significhi questa cosa è praticamente impossibile.
Perché funziona così?
Difficile da dire.
Sicuramente a questa schizofrenia dell’andamento dei mercati contribuisce il fatto che solo poche società sono davvero responsabili dei rendimenti che investire in azioni può portare.
Uno dei paper più citati degli ultimi anni, anche qui a The Bull, è il bellissimo articolo di Hendrik Bessembinder del 2018: “Do Stocks outperform Treasury Bills”.
Nel paper Bessembinder fa i conti con tutte le oltre 29.000 società quotate nella storia del mercato americano e calcola tutti i rendimenti di ciascuna azione.
La sua scoperta è sconvolgente.
Una buona metà di tutte le azioni di tutto l’ultimo secolo ha a malapena reso tanto quanto i Treasury Bills.
Noi diciamo sempre che se tu prendi un’azione a caso dell’S&P 500, il tuo rendimento atteso è quello dell’S&P 500.
Concettualmente corretto.
Ma bisognerebbe aggiungere, che il rendimento più probabile che ti porterai a casa è quello che otterresti tenendo i soldi in un fondo monetario.
Bessembinder spiega invece che solo il 4% delle azioni più performanti di sempre è responsabile del 100% dell’excess return dell’azionario americano come asset class.
Quel 10% medio all’anno che l’S&P 500 elargisce generosamente da quando esiste è dovuto esclusivamente al contributo del 4% delle azioni più di successo.
In un altro paper di quest’anno, sempre Bessembinder ha fatto vedere quali sono state le azioni più performanti di sempre, sotto diversi punti di vista.
Qualche dato curioso:
– L’azione che ha portato il maggior rendimento in termini assoluti della storia del mercato americano è Altria, società poco conosciuta ma di cui è sicuramente più noto il suo principale brand: Philipp Morris. Il colosso del tabacco negli ultimi 98 anni ha reso il 265 milioni per 100. Tradotto. Un dollaro investito nel 1925, a fine 2023 sarebbe diventato 2,65 milioni di dollari. Il suo rendimento medio annuo composto è stato di oltre il 16%.
– Altri nomi celebri nella top 20 sono Boeing, IBM, Coca Cola, Pepsi, Universal e Johnson and Johnson. Se vi aspettavate Apple, Microsoft o Google, mi spiace, ma esistono da troppo poco e non sono ancora entrati tra i top contributor in senso assoluto.
– Se però guardiamo orizzonti più brevi, tra le società che sono state quotate per almeno 20 anni, Nvidia domina la classifica, con un rendimento medio di oltre il 33% nei suoi 25 anni di vita. E in questa classifica troviamo, tra i nomi celebri, anche Netflix, 32% all’anno, Amazon, 31,7% e Microsoft 26%. Non si trova invece Apple, che invece negli anni 80 e 90 ha avuto performance misere, finché poi Steve Jobs non è tornato alla guida e l’ha resa la società con il più alto valore al mondo.
Tutto questo solo per dire che il rendimento medio del mercato azionario è nettamente superiore al rendimento mediano ciascuna società.
Come dicevamo la volta scorsa, c’è un’asimmetria positiva, positive skewness, che fa sì che pochissimi top performer siano responsabili praticamente di tutto il rendimento.
E questo è il motivo principale per cui le gestioni attive e lo stock picking fanno una fatica bestia a battere il mercato.
Preso in generale, invece, il mercato azionario ha un’asimmetria negativa. Ossia il suo rendimento mediano in un dato anno è superiore al suo rendimento medio, il che significa che il mercato il più delle volte va bene e in circostanze episodiche va malissimo.
E questo è il motivo per cui è meglio fare buy-and-hold e non dentro e fuori perché altrimenti il tuo ritorno atteso sarà inferiore.
Bene, anche oggi vi ho rincoglionito di numeri, però quest’episodio era fondamentale.
Sento troppe stronzate dette in giro e dall’altra parte vorrei darvi sempre strumenti oggettivi — non la mia inutile opinione — per supportare le vostre decisioni di investimento.
Conoscere la storia e la statistica dei mercati è la cosa migliore che abbiamo per prendere decisioni sensate con i nostri soldi.
Grazie per avermi seguito sino a qui e, già che ci siamo, colgo l’occasione per condividere con voi che il mio libro è primo in classifica in Italia nella categoria tascabili nella sua settimana di uscita.
Grazie di cuore a tutti coloro che l’hanno comprato.
Per chi non l’ha fatto perché magari continuava a vedere che su Amazon era sold-out, ora dovrebbe essere tutto risolto, i magazzini di Amazon sono di nuovo pieni, è disponibile con prime senza spese di spedizione e quini potete comprarne tutte le copie che volete per voi e per chi vi pare.
Siamo anche al 5° posto tra i top podcast d’Italia, grazie infinite anche per questo e a maggior ragione vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che, diversamente da qualunque ambito della vita dove vi hanno sempre detto di darvi una mossa, quando si investe è meglio stare fermi sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con un nuovo imperdibile appuntamento insieme, almeno per me, poi voi vedete un po’ cosa avete da fare, sempre qui naturalmente con the bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025