Come sono composti i principali Indici Azionari e come Investirci
Come sono composti i principali indici azionari? Che differenza c’è tra lo Stoxx 600 e l’Euro Stoxx 50? A quali valute siamo Quali società compongono i GRANOLAS? Parliamo di questo e molto altro nell'episodio di oggi per fare la radiografia a tutti i più importanti indici del mondo

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Punti Chiave
Prioritizza la pianificazione finanziaria e l'asset allocation sugli strumenti, definendo obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Comprendi la reale composizione degli indici azionari (geografia, settori, valute) per una diversificazione consapevole.
Trascrizione Episodio
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Care amiche e cari amici di questo podcast dallo sfavillante successo planetario, io ve lo dico, a sto giro l’episodio di oggi sarà noioso!
Sarà noioso perché non ci sono grandi riflessioni sul senso dell’universo, poche cazzate di contorno, oggi facciamo proprio i compiti: andiamo a vedere cosa c’è dentro, come sono fatti, che caratteristiche hanno e come si investe nei principali indici azionari.
È noioso ma è importante.
E so che lo è perché mi fate 100 domande al giorno su cosa ne penso di quest’ETF, cosa ne penso di quell’altro, se sia meglio investire un po’ più di lì o un po’ meno di là… insomma:
– UNO che ne so di cosa sia meglio e comunque della mia opinione non ve ne deve fregare di meno;
– DUE l’unica risposta intelligente che potrete dare alle vostre domande su cosa sia meglio fare PER VOI con i vostri portafogli è guardare cosa c’è dentro nei vari strumenti in cui volete investire e valutare di conseguenza se hanno senso per voi.
Ricordiamo delle cose importanti, a scanso di equivoci, perché poi lo so che dopo un po’ che si inizia ad investire ci si prende un po’ la mano e ci si dimentica dei fondamentali.
Punto 1)
Gli strumenti in cui investite sono l’ultima cosa nell’ordine di priorità a cui dovete prestare attenzione.
Ciò che conta maggiormente è la pianificazione finanziaria generale della vostra vita.
Una volta che avete i conti correnti a posto, il fondo di emergenza, degli investimenti a basso rischio per le spese di breve e medio termine, un reddito stabile e le spese sotto controllo, a quel punto basta aver chiara qual è la quota di risparmio che potete permettervi di investire senza troppi pensieri e solo da lì in poi ha senso ragionare su quali strumenti inserire nel portafoglio.
Punto 2)
A volte ho la sensazione che ci sia una tendenza alla sovracomplicazione.
La ricerca ossessiva del portafoglio migliore in senso assoluto è un esercizio perfettamente inutile.
L’80% del vostro rendimento di lungo termine sarà definito dall’asset allocation che sceglierete, più che dai singoli prodotti in cui investirete — questa cosa l’abbiamo detta mille volte.
Non è che voi fate i Value Investor e che quindi dovete studiarvi per anni i bilanci di singole aziende per cercare di prevedere quali potranno avere una sovraperformance del mercato negli anni a venire.
Se investite in indici, cercando solo una vasta esposizione al mercato, l’asset allocation è l’unica cosa che conta.
E l’asset allocation è una funzione della vostra pianificazione personale.
La decisione di avere il 100% del vostro portafoglio in azioni invece che 50% in azioni e 50% in obbligazioni o qualsiasi altra combinazione è ciò che avrà il maggiore impatto sul rendimento finale dei vostri investimenti.
Questa decisione però non è arbitraria.
Non è che vi svegliate domani mattina e decidete qual è la combinazione migliore di asset per il vostro portafoglio di investimento.
È piuttosto vero il contrario, ossia che sulla base degli obiettivi della vostra vita a breve, medio e lungo termine, fate reverse engineering e a ritroso definite l’orizzonte temporale dei vari blocchi del vostro capitale investito.
Sulla base di questo ragionamento viene poi fuori l’asset allocation più adatta a voi.
Una regola semplice potrebbe essere considerare:
– Quanti soldi mi servono nei prossimi 2 mesi e questo è quanto deve stare nel conto corrente; poi
– Quanti soldi mi possono servire tra 6-9-12 mesi (a seconda della vostra situazione) e questo è quanto deve stare nel fondo di emergenza;
– Quanti soldi mi serviranno verosimilmente tra 2 e 5 anni, e questo è solitamente quanto dovrebbe stare investito in strumenti obbligazionari con duration intermedie;
– Quanti soldi posso supporre che possano servirmi tra 5 e 10 anni — e qui lo so che serve la sfera di cristallo, oltre al fatto cha nei prossimi 5-10 anni cambieranno moltissime cose, si spera per il meglio, quant al vostro reddito e alle vostre spese — e comunque questa potrebbe essere la quota di capitale da allocare sempre in ambito obbligazionario e sempre con duration intermedie o al limite una parte con duration medio-lunghe.
Tutto il resto è chiaramente ciò che va nella parte azionaria.
Ora, è chiaro che non dovete per forza avere in mano già oggi tutti i soldi da allocare per i prossimi 15-20 anni.
Di solito non funziona così.
Di solito si procedere per accumulo progressivo.
Quindi qui si tratta di prendere carta, penna e calamaro (o foglio Excel forse ancora meglio) e fare 2 conticini.
Facciamo un esempio: diciamo che posso risparmiare e quindi investire 500 € al mese e diamo per scontato che conto corrente e fondo di emergenza siano già a posto.
Ok? Investo 500 euro al mese.
Diciamo inoltre per semplicità che parto dalla regoletta base base base che dice: metto in azioni una percentuale uguale 125 – i miei anni — i tassi di interesse per 5 (usiamo sempre quelli americani se abbiamo più America che Europa, altrimenti anche quelli della BCE vanno bene, tanto è una regola a spanne, non è così precisa).
Prendiamo un caso della mia età, quindi 38 anni.
Abbiamo 125 — 38 — 26 grossomodo.
Totale 61.
Quindi 61% in azioni e 39% in obbligazioni.
A sto punto proiettiamo negli anni quanti soldi investiti in azioni e obbligazioni ci troveremo ad avere, posto che più o meno metteremo ogni mese 300 € in azioni e 200 € in obbligazioni, visto che in totale risparmio e investo 500 € e che il 61% andrà da una parte e il 39% dall’altra.
Immaginiamo che le obbligazioni rendano circa il 3% all’anno e che le azioni circa l’8%, come da media dell’azionario globale dei paesi sviluppati degli ultimi 40 anni.
Se volete essere più conservativi abbassate queste due percentuali.
Dunque, investendo in questo modo e con questi rendimenti medi:
– Tra 2 anni potrei avere: circa 4.900 € in obbligazioni e 7.500 € in azioni
– Tra 5 anni: circa 13.000 € in obbligazioni e 19.500 in azioni
– Tra 10 anni: circa 28.000 € in obbligazioni e 42.000 in azioni.
A questo punto mi chiedo: questi importi sono adatti alla mia pianificazione finanziaria? Posto che ovviamente la parte obbligazionaria è più realistico che restituisca quei rendimenti (a meno che un domani non ci sia una variazione drastica dei tassi di interesse), mentre invece quella azionaria è una stima molto meno attendibile.
Su 20 anni è certamente possibile che il rendimento sia quello, su 10 potrebbe essere come anche essere di più o di meno, sotto i 10 anni può essere di tutto.
Se i 10 anni in questione fanno come durante il decennio perduto, ossia da inizio 2000 a fine 2009, praticamente sareste in pari o in leggera perdita.
Se i 10 anni in questione fanno come gli ultimi 10, il rendimento medio annualizzato passa addirittura all’11% per l’azionario globale e a quasi il 15% per l’S&P 500.
Però le azioni lo sappiamo che vanno lasciate lì e dimenticate.
La parte obbligazionaria è invece quella che deve proteggervi dalle varie eventualità della vita.
Comunque dicevo, fate questa proiezione e vi fate i vostri conti.
– Da qui a 2 anni avete particolari spese che pensate di poter serenamente gestire con il vostro reddito, la giacenza media sul conto, l’eventuale fondo di emergenza e questi 4.900 in obbligazioni? Benissimo.
– Stesso discorso a 5 anni: 13.000 € più o meno stabili nel portafoglio, oltre a tutto il resto, dovrebbero bastarvi per affrontare eventuali spese che dovessero capitare grossomodo intorno al 2028-29, tipo il cambio dell’auto, il rinnovamento della cucina, l’iscrizione di un figlio all’università e via dicendo?
– Tra 10 anni sarete sereni con circa 28.000 € poco volatili e tutto il resto in azioni?
Ecco, vi fate sti conti e se la pianificazione va bene così a posto, altrimenti modificate l’asset allocation di conseguenza: più obbligazioni se volete avere maggiore stabilità, più azioni se pensate invece che tutto sommato non abbiate bisogno di molti soldi stabili (perché magari avete un reddito alto, un alto tasso di risparmio, poche spese, poche variabili perché non avete figli, eccetera) e allora giù pesante con l’obiettivo di massimizzare il rendimento atteso.
Chiaro?
Poi ovvio che ci sono tante variabili su cui intervenire, oltre a modificare l’asset allocation:
– Potete aumentare il tasso risparmio tagliando delle spese;
– Potete aumentare il vostro reddito;
– Potete decidere di cambiare città e quindi di modificare il budget di conseguenza e così via.
Star dietro agli investimenti di per sé non richiede tanto tempo.
Però magari una volta ogni tre mesi buona prassi sarebbe prendervi un’ora con la vostra metà un momento tranquillo di una domenica pomeriggio, aprire il file Excel, vedere a che punto siete e se tutto procede secondo i piani e quando qualche evento importante si presenta nella vostra vita adattate la pianificazione di conseguenza.
Solo una cosa: ricordatevi dell’inflazione.
Se tra 10 anni avete 28.000 €, ecco ricordatevi che varranno meno dei 28.000 € di oggi.
Come sapete i soldi dimezzano il loro valore ogni circa 24 anni per effetto dell’inflazione, stimando un 3% di media, quindi da qui a 10 anni quei 28.000 varranno circa 21-22.000.
Per non stare a diventare matti i conti, per la parte obbligazionaria potete usare questa approssimazione.
Allora più o meno il rendimento obbligazionario si muove in linea con l’inflazione corrente, quindi se stimate che la vostra parte obbligazionaria renda in media il 3%, grossomodo questo 3% serve giusto giusto a pareggiare l’inflazione (in realtà resta un po’ più indietro per una questione matematica ma come ordine di grandezza non sballa troppo).
Pertanto per avere un idea del valore reale della vostra componente obbligazionaria tra un tot di anni basta considerare solo il capitale che ci mettete come se avesse rendimento ZERO.
Esempio: investo 200 € al mese in prodotti obbligazionari? Bene, tra 10 anni avrà, in valore reale, circa 200 per 120 mesi uguale 24.000 €, che grossomodo approssima il valore reale appunto del mio investimento capitalizzato, che invece in valore nominale sarà di circa 28.000.
Questa cosa funziona abbastanza bene entro i prossimi 10 anni, se invece fate questo giochino su 20 anni i valori divergono ed è meno preciso.
Okie?
Una volta che vi è chiara sta roba — e se non vi è chiara dopo 86 episodi, ragazzi le cose sono due: o io spiego di merda o voi ascoltate il podcast mentre fate altro e non prestate attenzione.
La uno è certamente possibile, per la due invece suggerisco di non ascoltare The Bull mentre siete sulla panca a tirar su il bilanciere che rischiate di non capire una cippa e soprattutto di farvi cadere 80 kg sul naso.
Ok, ho fatto sta digressione per ribadire ancora una volta che i prodotti finanziari — e in particolare gli ETF — sono fighissimi ma hanno senso solo e soltanto dentro la pianificazione finanziaria della vostra vita e della vostra famiglia.
Una volta che tutta sta roba è chiara nella vostra mente, allora si può andare a scegliere i prodotti.
Bene.
Ora andiamo a vedere che c’è sta dentro tutti questi begli indici di cui parliamo sempre, ma di cui alla fine scommetto che solo l’1% di voi sa davvero come siano fatti.
Oggi spacchettiamo per bene questi indici, vediamo la loro composizione, che valute sono coinvolte, quali settori, quali paesi, quali aziende e così via.
Menu della puntata: vedremo:
– L’azionario globale;
– L’azionario americano;
– L’azionario;
– L’azionario dei paesi emergenti e se ho ancora voce alla fine diamo un’occhiata veloce
– All’azionario di altri paesi sviluppati, in particolare Giappone, Canada e Australia.
Amici miei così vediamo veramente tutto il mondo e potete mettervi su il portafoglio azionario che volete, davvero per ogni gusto e palato.
Ok.
Partiamo dall’indice degli indici, l’indice di tutte le più grandi aziende del globo terraqueo, il FTSE All World, che per quei 3 o 4 che non lo conoscessero ancora si scrive F T S E, acronimo di Financial Times Stock Exchange.
Perché parliamo di questo e non dell’altrettanto celebre MSCI All Country World?
Semplicemente perché su Borsa Italiana è quotato uno dei prodotti più celebri tra gli investitori in ETF che è il Vanguard FTSE All World, che replica quest’indice e che spesso, soprattutto per chi bazzica il forum di Reddit italian personal finance, è considerata l’opzione di default, super base, per chi parte ad investire, ha pochi capitali, non sa da dove cominciare e quindi comincia con questo ETF che è, in effetti, la scelta più a prova di scemo dell’Universo: ti compri tutto il mondo e non ci pensi più.
Almeno sulla carta.
Però in effetti, senza con questo voler dare raccomandazioni di investimento naturalmente, per chi parte con pochi capitali, spesso questa diventa la prima scelta perché permette di investire in tutto l’azionario globale senza dover fare troppe riflessioni.
Come è composto?
L’indice racchiude la bellezza di 4.291 società, pesate naturalmente per capitalizzazione.
E voi direte: “ammazza, 4291 società, questo indice sì che è diversificato!”.
Eh mica tanto però… come sempre gli Stati Uniti hanno il peso preponderante nel gruppo e sono come il vostro amico bullo delle elementari che era alto un metro e sessanta e picchiava tutti se non giocavate a quello che voleva lui.
Allora i principali paesi rappresentati nell’indice sono:
– Stati Uniti: 61%
– Giappone: 6,5%
– Regno Unito: 3,7%
– Francia: 2,8%
– Cina: 2,6% e poi
– Svizzera, Canada, Germania, India e Australia con circa il 2% a testa.
In termini di macroregioni abbiamo quindi, più o meno:
– 60% Stati Uniti appunto
– Circa 15-16% di Europa
– Circa un altro 11-12% di Paesi sviluppati extra Europei e
– Il 10-15% che resta sono Paesi emergenti.
Le 10 società più grandi e pesanti dell’indice, che insieme rappresentano quasi il 20% del totale sono, tanto per cambiare: Microsoft, Apple, Nvidia, Google, Amazon, Meta, Berkshire Hathaway, Tesla, Eli Lilly e Broadcom, guarda un po’ le stesse prime 10 società dell’S&P 500.
È facile comprendere come l’investimento in un indice di questo tipo è sì molto diversificato … per il 40%!
Il 60% invece è grandi società degli Stati Uniti punto.
Adesso non entriamo nel dibattito se sia giusto sovrappesare così tanto il più grande mercato finanziario — nonché la più grande economia — del mondo intero.
Ne abbiamo discusso spesso e faremo sicuramente in seguito altri episodi dedicati.
Dato che però non esistono ETF globali con un’allocazione geografica uniforme, se oggi volete investire in un colpo solo in tutto il mondo, non avete alternative a questo e le cose da sapere sono le seguenti:
UNO: in termini di valute siete ovviamente esposti al 60% al dollaro, ma avete pure una certa dipendenza dalle sorti di Yen, Sterlina, Yuan, Dollaro Canadese, Rupia e Dollaro Australiano. L’Euro pesa davvero molto poco qua dentro.
DUE: in termini di settori, invece, come potete facilmente immaginare abbiamo nell’ordine:
– Informatica con il 25%,
– Banche e mondo finanziario in generale con il 15%
– E poi tutto il resto è più o meno uniforme tra Beni di consumo, Healthcare, Telecomunicazioni, industria manifatturiera, Utilities e via dicendo.
Volendo, l’unico indice che vi dà un’esposizione globale con una distribuzione geografica maggiormente uniforme — anche se non contempla i mercati emergenti – è l’MSCI World Value Factor, cioè un sottoindice delle società dei paesi sviluppati che seleziona solo quelle considerate Value, ossia sottoprezzate rispetto al loro valore intrinseco (e di solito significa basso rapporto tra prezzi e il loro book value, ossia la differenza tra gli asset e i debiti di una società).
Va però detto che si tratta di un indice molto parziale, che esclude intanto tutte le magnifiche 7 e seleziona solo un determinato tipo di società.
Cmq in questo modo avreste circa 35% Stati Uniti, 25% Giappone, 9% Regno Unito, quindi Francia, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Italia, Spagna ecc.
La vera alternativa all’investimento in un indice globale unico, invece, presuppone che investiate in almeno 3 ETF e la scelta più banale di tutti potrebbe essere:
– 40% Stati Uniti;
– 30% MSCI Europe;
– 30% MSCI Emerging Markets.
(o anche 33% a testa naturalmente)
Negli ultimi 10 anni un indice All World avrebbe fatto meglio (circa 10.8% contro il 9,5% all’anno), mentre negli ultimi 30 il risultato sarebbe stato molto simile (con il portafoglio di tre ETF che avrebbe fatto mezzo punto percentuale in più, 8,3% contro 7,8% di rendimento medio annuo).
Detto altrimenti: qualunque altra decisione aveste preso 30 anni fa, probabilmente vi avrebbe reso felici, solo leggermente più felici se aveste distribuito l’investimento in maniera uniforme sulle tre regioni.
Io non ho la più pallida idea di quale sia la cosa migliore da fare.
Chi mi segue da tempo avrà probabilmente intuito qual è la mia posizione, anche se ciò non costituisce assolutamente un buon motivo per decidere per un’impostazione o un’altra.
Scegliete invece quella che più rispecchia le vostre convinzioni e non avrete rimpianti — e sticazzi se una farà un po’ meglio mentre l’altra un po’ meno.
Next, prossimo indice, il nostro eroe: l’S&P 500.
E invece no.
Oggi non vi parlo di questo perché lo citiamo praticamente ad ogni puntata e per una volta gli diamo la giornata libera.
Vi stupisco e invece di parlare del superindice più amato del mondo, oggi vediamo l’MSCI USA.
Che differenza c’è tra l’MSCI USA e l’S&P 500?
Agli effetti pratici, praticamente nessuna.
Le prime 10 società sono le stesse, che poi sono le stesse anche dell’azionario globale.
I loro rendimenti sono praticamente gli stessi.
Se vogliamo, l’unica piccola differenza è che l’MSCI USA investe in 612 società anziché in 500, quindi è leggermente più diversificato (anche se probabilmente il fatturato di queste ulteriori 112 società messo assieme sarà inferiore al fatturato che Apple fa vendendo solo gli AirPods — che per la cronaca l’anno scorso hanno prodotto 14 miliardi di dollari, il quadruplo della nostra Ferrari per intenderci).
Anche qui lo stradominio è delle società tecnologiche, con il settore informatico che pesa per oltre il 30% del totale.
Esiste un modo, potreste chiedermi, per investire in maniera diversa sugli Stati Uniti senza necessariamente doversi riempire delle magnifiche 7 e di tutta la concentrazione di cui parliamo da mesi ormai?
Volendo esiste una via semplice per ottenere una qualche diversificazione rispetto alla composizione dell’S&P 500, senza diventare matti a comprare azioni singole o ETF settoriali.
Esistono ETF, che avevamo già citato, che replicano l’indice MSCI USA SRI, che sta per Social Responsibility Investments.
Questo sottoindice del MSCI USA, che dovrebbe selezionare solo le 168 società americane che rispondo a specifici requisiti di responsabilità sociale, potrebbe essere un’idea se uno vuole continuare ad investire negli Stati Uniti, ma senza dare così tanto peso alle solite mega tech.
Con questo indice vi prendete comunque un altro 4% di Microsoft e un 3% di Tesla, ma se andiamo a vedere le prime 10 società dell’indice, che pesano per il 30% del totale, abbiamo in ordine: Microsoft appunto, The Home Depot, Adobe, Tesla, Coca Cola, Pepsi, Verizon, Intuit, Walt Disney e Danhaer.
Comunque al di là di quali siano le società qua dentro, investire anche in questo indice è come dire un modo per ridurre la concentrazione dell’S&P 500 (ammesso e non concesso che ciò sia una cosa positiva) e distribuire quindi il nostro investimento americano su più società oltre alle solite note.
Per esempio, se uno investe già in un azionario globale e vuole un’ulteriore esposizione sugli Stati Uniti, con questo indice potrebbe investire in quel mercato senza replicare tutte le stesse società che già ha in portafoglio con l’azionario globale.
Come è andato quest’indice rispetto al fratello maggiore S&P 500 negli ultimi anni?
Ho i dati solo degli ultimi 7 anni, quindi il confronto lascia un po’ il tempo che trova.
Comunque, giusto per curiosità, è interessante sapere che l’indice ristretto (privo di Apple, Google, Meta, Nvidia, Berkshire, Eli Lilly e di tanti altri colossi) ha fatto meglio dell’S&P 500: quasi 17% di rendimento medio annuo contro il 15 e mezzo dell’S&P.
Ricordate sempre che questi confronti sono assolutamente inutili e non devono MAI essere usati come criterio per scegliere un ETF piuttosto che un altro.
Però è interessante notare che a volte siamo convinti di certe cose — in questo caso del fatto che senza le magnifiche 7 l’azionario americano non farebbe certi numeri — e invece scopriamo che ci sono sempre delle alternative di investimento che meritano riflessioni scevre da pregiudizi.
Detto questo, torniamo al di qua dell’Atlantico e vediamo gli indici Europei.
Il più onnicomprensivo è lo Stoxx 600, che replica le 600 società più capitalizzate d’Europa.
Qui parliamo di Europa geografica, non di Unione Europea.
I suoi paesi più rappresentati nell’ordine sono:
– Regno Unito, 21%
– Francia, 16,5%
– Svizzera, 15%
– Germania, 12,5%
– Olanda, 8,5%
– Svezia, 4,53%
– Spagna, 3,8%
– Italia, 3,6%
– Danimarca, 2%.
E poi una manciata di altri staterelli.
Le 10 società più importanti, che insieme fanno un quinto della capitalizzazione totale, sono invece:
– Novo Nordisk
– Asml Holding
– Nestle
– Novartis
– Astrazeneca, quella che diceva di aver scoperto il vaccino per il Covid e invece erano Zigulì
– Shell
– Roche
– LVMH
– SAP
– e Total
Come vedete, a parte SAP l’informatica è praticamente inesistente.
C’è l’olandese ASML che è un leader mondiale nei semiconduttori, poi abbiamo molto Farmaceutico, Food, Energia e Lusso.
Quanto rende l’Europa?
Mah, allora, storicamente rende anche molto bene.
Ho trovato dati dal 1987 ad oggi e in effetti finora si è portata a casa un eccellente 8% all’anno, in linea con l’azionario globale.
Tuttavia dall’inizio di questo millennio l’Europa fa davvero fatica a tenere il passo delle altre regioni sviluppate del mondo.
Avevamo già raccontato la triste statistica secondo la quale il PIL degli Stati Uniti, che fino ad una quindicina di anni fa era simile a quello Europeo, oggi è addirittura quasi il doppio del nostro (27.000 miliardi di dollari gli Americani contro 15.000 in Europa) e questa crescita asfittica del vecchio continente ha avuto una ripercussione anche nella scarsa performance dei suoi mercati azionari.
Negli ultimi 15 anni ha fatto un buon 7,5% all’anno, che però è meno della metà della corsa fatta dall’S&P 500 nello stesso periodo.
Questo però NON è un buon motivo per non investire in Europa.
Intanto perché non bisogna mai dimenticarsi il principio universale della regressione verso la media.
Se mediamente il mercato azionario europeo ha fatto discretamente bene mentre negli ultimi anni è rimasto indietro, è legittimo attendersi un riavvicinamento nel tempo alla sua performance di lungo periodo.
Inoltre gira da tempo una vasta convinzione nella comunità finanziaria secondo la quale i bassi prezzi delle azioni europee, unita alla qualità di alcune società di eccellenza, potrebbero rappresentare un’interessante opportunità di investimento per i prossimi anni.
Attenzione però che molti Americani stanno dicendo questa cosa, anche perché sono convinti che il dollaro nei prossimi anni potrebbe indebolirsi un po’, dato che ultimamente si è rafforzato parecchio.
Questo potrebbe portare ad un investitore americano circa un punto e mezzo percentuale di rendimento in più per effetto del cambio (stima di Vanguard, che sa tanto di chiaroveggenza ma va beh).
È comunque interessante raccontare che ormai si è fatto largo l’acronimo GRANOLAS, una sigla per raggruppare le cosiddette magnifiche 11 europee, ovvero società dall’ottimo stato di salute su cui Goldman Sachs qualche settimana ha dato un’esplicita raccomandazione di investimento.
Queste 11 società sono: GSK, Roche, ASML, Nestlé, Novo Nordisk, Novartis, L’Oreal, LVMH, Astrazeneca, Sap e Sanofi.
Chissà il povero stagista di turno di Goldman a cui avranno fatto fare le notti in ufficio finché non avesse tirato fuori un acronimo decente e simpatico per mettere insieme queste aziende e fare uscire poi il comunicato.
Ora, io chiaramente non vi do alcuna raccomandazione di investimento su queste specifiche società, anche perché non ho la più pallida idea se investire in queste sia una buona idea oppure no.
Se uno volesse investirci, però, vediamo come si può fare senza comprarle singolarmente una ad una.
Come potete immaginare, esse sono già comprese nello STOXX 600 naturalmente.
Se però voleste dar retta a Goldman e concentrare i vostri investimenti europei su questo gruppetto di società di élite, un’idea potrebbe essere investire in un indice più ristretto — e qui avete due strade.
Una è l’EURO STOXX 50, l’indice delle 50 più grandi società dell’area Euro.
Qui dentro, abbiamo, nell’ordine:
– ASML con quasi il 10%
– LVMH con il 6%
– SAP con il 5%
– L’Oreal e Sanofi entrambe con il 3,2%
Quindi investendo in questo si avrebbe quasi il 30% concentrato in 5 di queste società d’eccellenza.
L’altra idea è invece investire nello Stoxx Europe 50, che invece le ha dentro praticamente tutte e che concentra su di esse quasi metà dell’indice.
Il problema di questo secondo indice è che io ho trovato un solo ETF disponibile, di Ishares, non enorme (meno di 600 milioni) e a distribuzione.
Invece sull’EURO Stoxx 50 avete l’imbarazzo della scelta, con almeno 6 ETF oltre 1 miliardo di capitalizzazione.
A proposito di Euro.
Attenzione che investire in Europa NON è esente dal tema del cambio valutario.
Uno pensa: “ah io non voglio troppa esposizione al dollaro, quindi investo in Europa e sono a posto” e poi traaac! Scopri che lo Stoxx 600 esposto:
– Per il 21% alla Sterlina
– Per il 15% al Franco Svizzero
– Per il 4,5% alla Corona Svedese e
– Per il 3% a quella Danese.
In pratica quasi metà dell’indice Europeo non è in Euro.
Se invece questa cosa vi urta il sistema nervoso, l’EURO Stoxx 50 contiene solo società quotate in Germania, Francia, Olanda, Spagna, Italia, Finlandia e Belgio e almeno qua il problema del cambio valutario proprio non si pone.
Lasciamo ora la cara vecchia Europa e andiamo a cimentarci con il resto del mondo, partendo dai mercati Emergenti.
Qui poco da dire.
A meno che non vogliate avere un’esposizione diretta a singoli mercati, come Cina, India, Brasile, Taiwan, Arabia, Indonesia e così via, fondamentalmente i due indici di riferimento più importanti sono: l’MSCI Emerging Markets e il suo sottoindice che esclude la China.
Partiamo dalla composizione geografica del primo.
Abbiamo:
– Cina al primo posto con quasi il 20%
– India al secondo con il 18%, poi
– Taiwan al terzo con il 17% (cosa che ha fatto strabuzzare gli occhi a Paolo Coletti durante la nostra intervista, perché in effetti se quasi il 40% dell’indice è legato ai destini di Cina e Taiwan, la diversificazione è già andata a farsi friggere); poi abbiamo
– Corea del Sud, 12%
– Brasile, 5,5%
– Arabia Saudita, 4%
– Messico e Sudafrica, entrambi al 2,5%
– Indonesia al 2% e poi
– Il 16% restante diviso su altri staterelli.
Non sto a dirvi le prime 10 società, perché molte di esse non so nemmeno cosa facciano, però sono sicuramente interessanti le prime 4:
– Taiwan Semiconductor Manifacturing, la più importante società al mondo che produce semiconduttori (Nvidia li progetta e basta, non li fabbrica), con il 6%; poi
– Samsung con il 3%
– Tencent anche lei con il 3% e infine
– Alibaba con quasi il 2%.
Anche nei mercati emergenti, come negli Stati Uniti, come settori pesano tanto l’informatica e la finanza, oltre il 40% del totale.
Abbiamo visto in passato le performance di questo indice.
Se prendiamo gli ultimi 35 anni, da quando Morgan Stanley ci dà gentilmente i dati, quest’indice ha fatto pure meglio dell’azionario dei paesi sviluppati, 9,3 contro 8,3% di media all’anno.
Il problema è che la magia della narrazione di inizio anni 2000 sulle tigri asiatiche e sull’ascesa impetuosa di questi mercati si è un po’ inceppata e negli ultimi 10 anni gli emergenti hanno fatto uno scarso 3,2% all’anno.
La Cina, in particolare, è davvero la zavorra più pesante per questo indice.
Negli ultimi 30 anni, se prendiamo la sua performance convertita in dollari, il mercato Cinese misurato dall’MSCI China è rimasto praticamente fermo, riportando uno scarsissimo 0,1% medio annuo.
Certo da inizio millennio fino al 2018 aveva realizzato quasi un 10% all’anno.
Il problema è che dal 2018 ad oggi — e ormai è iniziato il 7° anno — il mercato cinese è andato solo in caduta libera.
Chi avesse investito sulla Cina a inizio 2018, oggi avrebbe registrato una perdita — questa volta la misuriamo in Euro — di oltre il 7% di media all’anno.
Certo, questa cosa non vuol dire assolutamente nulla.
Chi avesse investito negli Stati Uniti al picco del 2000 un secondo prima dello scoppio della internet bubble a marzo del 2009 sarebbe stato sotto di quasi il 10% all’anno, complessivamente del 60% in totale, e non sarebbe andato in pari prima del 2014.
Per rasserenarvi, comunque, lo sfortunato investitore che ha fatto all in sull’America il giorno prima che crollasse tutto, oggi avrebbe comunque quadruplicato il patrimonio.
La sua sfiga è che se invece di entrare sul mercato nel 2000 avesse cominciato anche solo nel ’95, oggi il suo patrimonio sarebbe aumentato di 16 volte.
Eh va beh…
A volte va così…
Cmq dicevamo la Cina.
Male male.
Non c’è pace per l’impero di Xi Jinping che dal punto di vista economico non ne sta imbroccando una, dalle folli limitazioni agli imprenditori illuminati (vedi il povero Jack Ma di Alibaba, che aveva creato un colosso che poteva mettere in ginocchio Amazon e poi gli hanno sputtanato tutto) alle assurde chiusure durante il Covid.
Per non parlare dell’immensa bolla immobiliare che si è creata e che non è ancora esplosa solo grazie ai colpi di bazooka delle iniezioni di denaro pubblico per tenere a galla una situazione che in occidente sarebbe già conflagrata.
Oggi è un’opportunità la Cina?
Boh.
In effetti ha fatto talmente cagare negli ultimi 5 anni che prima o poi darà un segno di vita.
Allo stesso tempo, è pur sempre un mercato torbido, governato da una dittatura, con il suo capo supremo che è sempre lì con la fissa che vuole invadere Taiwan e che comunque gli Stati Uniti proprio non li può vedere.
Non lo so.
A vostra sensibilità e coscienza.
Dicevo prima che l’alternativa, invece, è investire nel sottoindice MSCI Emerging Markets ex China, che appunto esclude la China dal gruppetto.
Qui abbiamo, beh, abbiamo gli stessi paesi di prima, un po’ più rappresentati perché manca il 20% di Cina.
Mentre la Cina l’anno scorso collassava, questo indice ha fatto piuttosto bene, trainato soprattutto dall’India, e si è portato a casa quasi un 18% di crescita.
Se volete investire negli emergenti ma la Cina non vi piace, ecco qua come fare.
Prima di chiudere, giusto una menzione per la parte del mondo che abbiamo lasciato fuori, ossia i paesi sviluppati oltre a Stati Uniti ed Europa.
Parliamo soprattutto di: Giappone, Canada e Australia.
Del Giappone abbiamo parlato abbondantemente nello scorso episodio, celebrando il suo ritorno ai massimi storici dopo ben 35 anni.
Se volete investire qui, la soluzione più semplice del mondo è un ETF che tracka l’indice
MSCI Japan, in cui tra le prime 10 società spiccano Toyota, Sony, Mitsubishi, Hitachi, Nintendo (quanto ti ho amata cara Nintendo negli anni ’90 e grazie per aver regalato al mondo quel patrimonio dell’Unesco chiamato Mario Bros) e poi altre che anche se ve le dico tanto il 99% di voi non le conosce.
Nota di colore.
Il signor Warren Buffett l’anno scorso ha investito 1300 miliardi di Yen, equivalenti a circa 9 miliardi di dollari, in queste 5 società: Itochu, Marubeni, Mitsubishi, Mitsui, e Sumitomo.
Così… la butto lì…
Per quanto riguarda gli altri invece, se proprio vi far star male non avere investimenti singoli negli altri paesi sviluppati, esistono naturalmente singoli ETF che replicano anche il mercato azionario Canadese e quello Australiano.
Se poi vi interessa tutto il mondo dei paesi più sviluppati del Pacifico, ad eccezione del Giappone, esistono indici, come il FTSE Developed Asia Pacific ex Japan, che vanno proprio a considerare questa regione.
Qui abbiamo, a livello geografico:
– Australia, con il 45%
– Corea del Sud con il 30%
– Hong Kong con l’11,5%
– Singapore con il 7,5% e
– Nuova Zelanda con il 3%.
Sì è praticamente tutto Australia e Corea, sono d’accordo.
Anche qui il 40% è fatto dal settore finanziario e da quello informatico, questa volta con la finanza al primo posto.
Se proprio ci tenete…
Bene, cari amici miei, abbiamo fatto una bella scorpacciata di indici.
Dopo questo giro del mondo in 80 ETF, ora conoscete tutto il globo in ogni suo anfratto più nascosto, quindi potete impacchettarvi il vostro bel portafoglio come meglio credete.
Qualunque sia la ricetta del portafoglio che vi volete cucinare, comunque, ricordatevi la premessa di quest’episodio: la pianificazione individuale governa qualunque decisione di investimento e conta molto di più della vostra visione sugli Stati Uniti, dei suggerimenti di Goldman o delle previsioni sull’andamento della Cina.
Fatta la vostra pianificazione a breve, medio e lungo termine potete sbizzarrirvi con i prodotti di investimento.
Ma finché questa non è stata fatta come si deve — e non viene revisionata di tanto in tanto — nessun investimento ha più senso di un altro.
Grazie mille per aver ascoltato anche questo 86° episodio e grazie di cuore per la costanza e la partecipazione con cui mi accompagnate da mesi, condividendo insieme questo viaggio di divulgazione finanziaria che porterà gli Italiani ad essere i più secchioni del mondo in materia di finanza personale.
Per fare questo, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove più preferite e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi fanno fare il giro del mondo dentro ai principali indici di borsa vi fanno scoprire che la Granola non è solo ottima dentro lo yogurt greco dopo che avete fatto palestra ma può anche darvi un’idea di investimento sulle magnifiche 11 d’Europa sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo domenica prossima in cui, allegria allegria, parleremo di crisi e di come prepararsi al peggio — salvo che poi non mi sveglio con un’altra idea meno fosca e ci occuperemo d’altro — sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di Finanza Personale.
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Care amiche e cari amici di questo podcast dallo sfavillante successo planetario, io ve lo dico, a sto giro l’episodio di oggi sarà noioso!
Sarà noioso perché non ci sono grandi riflessioni sul senso dell’universo, poche cazzate di contorno, oggi facciamo proprio i compiti: andiamo a vedere cosa c’è dentro, come sono fatti, che caratteristiche hanno e come si investe nei principali indici azionari.
È noioso ma è importante.
E so che lo è perché mi fate 100 domande al giorno su cosa ne penso di quest’ETF, cosa ne penso di quell’altro, se sia meglio investire un po’ più di lì o un po’ meno di là… insomma:
– UNO che ne so di cosa sia meglio e comunque della mia opinione non ve ne deve fregare di meno;
– DUE l’unica risposta intelligente che potrete dare alle vostre domande su cosa sia meglio fare PER VOI con i vostri portafogli è guardare cosa c’è dentro nei vari strumenti in cui volete investire e valutare di conseguenza se hanno senso per voi.
Ricordiamo delle cose importanti, a scanso di equivoci, perché poi lo so che dopo un po’ che si inizia ad investire ci si prende un po’ la mano e ci si dimentica dei fondamentali.
Punto 1)
Gli strumenti in cui investite sono l’ultima cosa nell’ordine di priorità a cui dovete prestare attenzione.
Ciò che conta maggiormente è la pianificazione finanziaria generale della vostra vita.
Una volta che avete i conti correnti a posto, il fondo di emergenza, degli investimenti a basso rischio per le spese di breve e medio termine, un reddito stabile e le spese sotto controllo, a quel punto basta aver chiara qual è la quota di risparmio che potete permettervi di investire senza troppi pensieri e solo da lì in poi ha senso ragionare su quali strumenti inserire nel portafoglio.
Punto 2)
A volte ho la sensazione che ci sia una tendenza alla sovracomplicazione.
La ricerca ossessiva del portafoglio migliore in senso assoluto è un esercizio perfettamente inutile.
L’80% del vostro rendimento di lungo termine sarà definito dall’asset allocation che sceglierete, più che dai singoli prodotti in cui investirete — questa cosa l’abbiamo detta mille volte.
Non è che voi fate i Value Investor e che quindi dovete studiarvi per anni i bilanci di singole aziende per cercare di prevedere quali potranno avere una sovraperformance del mercato negli anni a venire.
Se investite in indici, cercando solo una vasta esposizione al mercato, l’asset allocation è l’unica cosa che conta.
E l’asset allocation è una funzione della vostra pianificazione personale.
La decisione di avere il 100% del vostro portafoglio in azioni invece che 50% in azioni e 50% in obbligazioni o qualsiasi altra combinazione è ciò che avrà il maggiore impatto sul rendimento finale dei vostri investimenti.
Questa decisione però non è arbitraria.
Non è che vi svegliate domani mattina e decidete qual è la combinazione migliore di asset per il vostro portafoglio di investimento.
È piuttosto vero il contrario, ossia che sulla base degli obiettivi della vostra vita a breve, medio e lungo termine, fate reverse engineering e a ritroso definite l’orizzonte temporale dei vari blocchi del vostro capitale investito.
Sulla base di questo ragionamento viene poi fuori l’asset allocation più adatta a voi.
Una regola semplice potrebbe essere considerare:
– Quanti soldi mi servono nei prossimi 2 mesi e questo è quanto deve stare nel conto corrente; poi
– Quanti soldi mi possono servire tra 6-9-12 mesi (a seconda della vostra situazione) e questo è quanto deve stare nel fondo di emergenza;
– Quanti soldi mi serviranno verosimilmente tra 2 e 5 anni, e questo è solitamente quanto dovrebbe stare investito in strumenti obbligazionari con duration intermedie;
– Quanti soldi posso supporre che possano servirmi tra 5 e 10 anni — e qui lo so che serve la sfera di cristallo, oltre al fatto cha nei prossimi 5-10 anni cambieranno moltissime cose, si spera per il meglio, quant al vostro reddito e alle vostre spese — e comunque questa potrebbe essere la quota di capitale da allocare sempre in ambito obbligazionario e sempre con duration intermedie o al limite una parte con duration medio-lunghe.
Tutto il resto è chiaramente ciò che va nella parte azionaria.
Ora, è chiaro che non dovete per forza avere in mano già oggi tutti i soldi da allocare per i prossimi 15-20 anni.
Di solito non funziona così.
Di solito si procedere per accumulo progressivo.
Quindi qui si tratta di prendere carta, penna e calamaro (o foglio Excel forse ancora meglio) e fare 2 conticini.
Facciamo un esempio: diciamo che posso risparmiare e quindi investire 500 € al mese e diamo per scontato che conto corrente e fondo di emergenza siano già a posto.
Ok? Investo 500 euro al mese.
Diciamo inoltre per semplicità che parto dalla regoletta base base base che dice: metto in azioni una percentuale uguale 125 – i miei anni — i tassi di interesse per 5 (usiamo sempre quelli americani se abbiamo più America che Europa, altrimenti anche quelli della BCE vanno bene, tanto è una regola a spanne, non è così precisa).
Prendiamo un caso della mia età, quindi 38 anni.
Abbiamo 125 — 38 — 26 grossomodo.
Totale 61.
Quindi 61% in azioni e 39% in obbligazioni.
A sto punto proiettiamo negli anni quanti soldi investiti in azioni e obbligazioni ci troveremo ad avere, posto che più o meno metteremo ogni mese 300 € in azioni e 200 € in obbligazioni, visto che in totale risparmio e investo 500 € e che il 61% andrà da una parte e il 39% dall’altra.
Immaginiamo che le obbligazioni rendano circa il 3% all’anno e che le azioni circa l’8%, come da media dell’azionario globale dei paesi sviluppati degli ultimi 40 anni.
Se volete essere più conservativi abbassate queste due percentuali.
Dunque, investendo in questo modo e con questi rendimenti medi:
– Tra 2 anni potrei avere: circa 4.900 € in obbligazioni e 7.500 € in azioni
– Tra 5 anni: circa 13.000 € in obbligazioni e 19.500 in azioni
– Tra 10 anni: circa 28.000 € in obbligazioni e 42.000 in azioni.
A questo punto mi chiedo: questi importi sono adatti alla mia pianificazione finanziaria? Posto che ovviamente la parte obbligazionaria è più realistico che restituisca quei rendimenti (a meno che un domani non ci sia una variazione drastica dei tassi di interesse), mentre invece quella azionaria è una stima molto meno attendibile.
Su 20 anni è certamente possibile che il rendimento sia quello, su 10 potrebbe essere come anche essere di più o di meno, sotto i 10 anni può essere di tutto.
Se i 10 anni in questione fanno come durante il decennio perduto, ossia da inizio 2000 a fine 2009, praticamente sareste in pari o in leggera perdita.
Se i 10 anni in questione fanno come gli ultimi 10, il rendimento medio annualizzato passa addirittura all’11% per l’azionario globale e a quasi il 15% per l’S&P 500.
Però le azioni lo sappiamo che vanno lasciate lì e dimenticate.
La parte obbligazionaria è invece quella che deve proteggervi dalle varie eventualità della vita.
Comunque dicevo, fate questa proiezione e vi fate i vostri conti.
– Da qui a 2 anni avete particolari spese che pensate di poter serenamente gestire con il vostro reddito, la giacenza media sul conto, l’eventuale fondo di emergenza e questi 4.900 in obbligazioni? Benissimo.
– Stesso discorso a 5 anni: 13.000 € più o meno stabili nel portafoglio, oltre a tutto il resto, dovrebbero bastarvi per affrontare eventuali spese che dovessero capitare grossomodo intorno al 2028-29, tipo il cambio dell’auto, il rinnovamento della cucina, l’iscrizione di un figlio all’università e via dicendo?
– Tra 10 anni sarete sereni con circa 28.000 € poco volatili e tutto il resto in azioni?
Ecco, vi fate sti conti e se la pianificazione va bene così a posto, altrimenti modificate l’asset allocation di conseguenza: più obbligazioni se volete avere maggiore stabilità, più azioni se pensate invece che tutto sommato non abbiate bisogno di molti soldi stabili (perché magari avete un reddito alto, un alto tasso di risparmio, poche spese, poche variabili perché non avete figli, eccetera) e allora giù pesante con l’obiettivo di massimizzare il rendimento atteso.
Chiaro?
Poi ovvio che ci sono tante variabili su cui intervenire, oltre a modificare l’asset allocation:
– Potete aumentare il tasso risparmio tagliando delle spese;
– Potete aumentare il vostro reddito;
– Potete decidere di cambiare città e quindi di modificare il budget di conseguenza e così via.
Star dietro agli investimenti di per sé non richiede tanto tempo.
Però magari una volta ogni tre mesi buona prassi sarebbe prendervi un’ora con la vostra metà un momento tranquillo di una domenica pomeriggio, aprire il file Excel, vedere a che punto siete e se tutto procede secondo i piani e quando qualche evento importante si presenta nella vostra vita adattate la pianificazione di conseguenza.
Solo una cosa: ricordatevi dell’inflazione.
Se tra 10 anni avete 28.000 €, ecco ricordatevi che varranno meno dei 28.000 € di oggi.
Come sapete i soldi dimezzano il loro valore ogni circa 24 anni per effetto dell’inflazione, stimando un 3% di media, quindi da qui a 10 anni quei 28.000 varranno circa 21-22.000.
Per non stare a diventare matti i conti, per la parte obbligazionaria potete usare questa approssimazione.
Allora più o meno il rendimento obbligazionario si muove in linea con l’inflazione corrente, quindi se stimate che la vostra parte obbligazionaria renda in media il 3%, grossomodo questo 3% serve giusto giusto a pareggiare l’inflazione (in realtà resta un po’ più indietro per una questione matematica ma come ordine di grandezza non sballa troppo).
Pertanto per avere un idea del valore reale della vostra componente obbligazionaria tra un tot di anni basta considerare solo il capitale che ci mettete come se avesse rendimento ZERO.
Esempio: investo 200 € al mese in prodotti obbligazionari? Bene, tra 10 anni avrà, in valore reale, circa 200 per 120 mesi uguale 24.000 €, che grossomodo approssima il valore reale appunto del mio investimento capitalizzato, che invece in valore nominale sarà di circa 28.000.
Questa cosa funziona abbastanza bene entro i prossimi 10 anni, se invece fate questo giochino su 20 anni i valori divergono ed è meno preciso.
Okie?
Una volta che vi è chiara sta roba — e se non vi è chiara dopo 86 episodi, ragazzi le cose sono due: o io spiego di merda o voi ascoltate il podcast mentre fate altro e non prestate attenzione.
La uno è certamente possibile, per la due invece suggerisco di non ascoltare The Bull mentre siete sulla panca a tirar su il bilanciere che rischiate di non capire una cippa e soprattutto di farvi cadere 80 kg sul naso.
Ok, ho fatto sta digressione per ribadire ancora una volta che i prodotti finanziari — e in particolare gli ETF — sono fighissimi ma hanno senso solo e soltanto dentro la pianificazione finanziaria della vostra vita e della vostra famiglia.
Una volta che tutta sta roba è chiara nella vostra mente, allora si può andare a scegliere i prodotti.
Bene.
Ora andiamo a vedere che c’è sta dentro tutti questi begli indici di cui parliamo sempre, ma di cui alla fine scommetto che solo l’1% di voi sa davvero come siano fatti.
Oggi spacchettiamo per bene questi indici, vediamo la loro composizione, che valute sono coinvolte, quali settori, quali paesi, quali aziende e così via.
Menu della puntata: vedremo:
– L’azionario globale;
– L’azionario americano;
– L’azionario;
– L’azionario dei paesi emergenti e se ho ancora voce alla fine diamo un’occhiata veloce
– All’azionario di altri paesi sviluppati, in particolare Giappone, Canada e Australia.
Amici miei così vediamo veramente tutto il mondo e potete mettervi su il portafoglio azionario che volete, davvero per ogni gusto e palato.
Ok.
Partiamo dall’indice degli indici, l’indice di tutte le più grandi aziende del globo terraqueo, il FTSE All World, che per quei 3 o 4 che non lo conoscessero ancora si scrive F T S E, acronimo di Financial Times Stock Exchange.
Perché parliamo di questo e non dell’altrettanto celebre MSCI All Country World?
Semplicemente perché su Borsa Italiana è quotato uno dei prodotti più celebri tra gli investitori in ETF che è il Vanguard FTSE All World, che replica quest’indice e che spesso, soprattutto per chi bazzica il forum di Reddit italian personal finance, è considerata l’opzione di default, super base, per chi parte ad investire, ha pochi capitali, non sa da dove cominciare e quindi comincia con questo ETF che è, in effetti, la scelta più a prova di scemo dell’Universo: ti compri tutto il mondo e non ci pensi più.
Almeno sulla carta.
Però in effetti, senza con questo voler dare raccomandazioni di investimento naturalmente, per chi parte con pochi capitali, spesso questa diventa la prima scelta perché permette di investire in tutto l’azionario globale senza dover fare troppe riflessioni.
Come è composto?
L’indice racchiude la bellezza di 4.291 società, pesate naturalmente per capitalizzazione.
E voi direte: “ammazza, 4291 società, questo indice sì che è diversificato!”.
Eh mica tanto però… come sempre gli Stati Uniti hanno il peso preponderante nel gruppo e sono come il vostro amico bullo delle elementari che era alto un metro e sessanta e picchiava tutti se non giocavate a quello che voleva lui.
Allora i principali paesi rappresentati nell’indice sono:
– Stati Uniti: 61%
– Giappone: 6,5%
– Regno Unito: 3,7%
– Francia: 2,8%
– Cina: 2,6% e poi
– Svizzera, Canada, Germania, India e Australia con circa il 2% a testa.
In termini di macroregioni abbiamo quindi, più o meno:
– 60% Stati Uniti appunto
– Circa 15-16% di Europa
– Circa un altro 11-12% di Paesi sviluppati extra Europei e
– Il 10-15% che resta sono Paesi emergenti.
Le 10 società più grandi e pesanti dell’indice, che insieme rappresentano quasi il 20% del totale sono, tanto per cambiare: Microsoft, Apple, Nvidia, Google, Amazon, Meta, Berkshire Hathaway, Tesla, Eli Lilly e Broadcom, guarda un po’ le stesse prime 10 società dell’S&P 500.
È facile comprendere come l’investimento in un indice di questo tipo è sì molto diversificato … per il 40%!
Il 60% invece è grandi società degli Stati Uniti punto.
Adesso non entriamo nel dibattito se sia giusto sovrappesare così tanto il più grande mercato finanziario — nonché la più grande economia — del mondo intero.
Ne abbiamo discusso spesso e faremo sicuramente in seguito altri episodi dedicati.
Dato che però non esistono ETF globali con un’allocazione geografica uniforme, se oggi volete investire in un colpo solo in tutto il mondo, non avete alternative a questo e le cose da sapere sono le seguenti:
UNO: in termini di valute siete ovviamente esposti al 60% al dollaro, ma avete pure una certa dipendenza dalle sorti di Yen, Sterlina, Yuan, Dollaro Canadese, Rupia e Dollaro Australiano. L’Euro pesa davvero molto poco qua dentro.
DUE: in termini di settori, invece, come potete facilmente immaginare abbiamo nell’ordine:
– Informatica con il 25%,
– Banche e mondo finanziario in generale con il 15%
– E poi tutto il resto è più o meno uniforme tra Beni di consumo, Healthcare, Telecomunicazioni, industria manifatturiera, Utilities e via dicendo.
Volendo, l’unico indice che vi dà un’esposizione globale con una distribuzione geografica maggiormente uniforme — anche se non contempla i mercati emergenti – è l’MSCI World Value Factor, cioè un sottoindice delle società dei paesi sviluppati che seleziona solo quelle considerate Value, ossia sottoprezzate rispetto al loro valore intrinseco (e di solito significa basso rapporto tra prezzi e il loro book value, ossia la differenza tra gli asset e i debiti di una società).
Va però detto che si tratta di un indice molto parziale, che esclude intanto tutte le magnifiche 7 e seleziona solo un determinato tipo di società.
Cmq in questo modo avreste circa 35% Stati Uniti, 25% Giappone, 9% Regno Unito, quindi Francia, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Italia, Spagna ecc.
La vera alternativa all’investimento in un indice globale unico, invece, presuppone che investiate in almeno 3 ETF e la scelta più banale di tutti potrebbe essere:
– 40% Stati Uniti;
– 30% MSCI Europe;
– 30% MSCI Emerging Markets.
(o anche 33% a testa naturalmente)
Negli ultimi 10 anni un indice All World avrebbe fatto meglio (circa 10.8% contro il 9,5% all’anno), mentre negli ultimi 30 il risultato sarebbe stato molto simile (con il portafoglio di tre ETF che avrebbe fatto mezzo punto percentuale in più, 8,3% contro 7,8% di rendimento medio annuo).
Detto altrimenti: qualunque altra decisione aveste preso 30 anni fa, probabilmente vi avrebbe reso felici, solo leggermente più felici se aveste distribuito l’investimento in maniera uniforme sulle tre regioni.
Io non ho la più pallida idea di quale sia la cosa migliore da fare.
Chi mi segue da tempo avrà probabilmente intuito qual è la mia posizione, anche se ciò non costituisce assolutamente un buon motivo per decidere per un’impostazione o un’altra.
Scegliete invece quella che più rispecchia le vostre convinzioni e non avrete rimpianti — e sticazzi se una farà un po’ meglio mentre l’altra un po’ meno.
Next, prossimo indice, il nostro eroe: l’S&P 500.
E invece no.
Oggi non vi parlo di questo perché lo citiamo praticamente ad ogni puntata e per una volta gli diamo la giornata libera.
Vi stupisco e invece di parlare del superindice più amato del mondo, oggi vediamo l’MSCI USA.
Che differenza c’è tra l’MSCI USA e l’S&P 500?
Agli effetti pratici, praticamente nessuna.
Le prime 10 società sono le stesse, che poi sono le stesse anche dell’azionario globale.
I loro rendimenti sono praticamente gli stessi.
Se vogliamo, l’unica piccola differenza è che l’MSCI USA investe in 612 società anziché in 500, quindi è leggermente più diversificato (anche se probabilmente il fatturato di queste ulteriori 112 società messo assieme sarà inferiore al fatturato che Apple fa vendendo solo gli AirPods — che per la cronaca l’anno scorso hanno prodotto 14 miliardi di dollari, il quadruplo della nostra Ferrari per intenderci).
Anche qui lo stradominio è delle società tecnologiche, con il settore informatico che pesa per oltre il 30% del totale.
Esiste un modo, potreste chiedermi, per investire in maniera diversa sugli Stati Uniti senza necessariamente doversi riempire delle magnifiche 7 e di tutta la concentrazione di cui parliamo da mesi ormai?
Volendo esiste una via semplice per ottenere una qualche diversificazione rispetto alla composizione dell’S&P 500, senza diventare matti a comprare azioni singole o ETF settoriali.
Esistono ETF, che avevamo già citato, che replicano l’indice MSCI USA SRI, che sta per Social Responsibility Investments.
Questo sottoindice del MSCI USA, che dovrebbe selezionare solo le 168 società americane che rispondo a specifici requisiti di responsabilità sociale, potrebbe essere un’idea se uno vuole continuare ad investire negli Stati Uniti, ma senza dare così tanto peso alle solite mega tech.
Con questo indice vi prendete comunque un altro 4% di Microsoft e un 3% di Tesla, ma se andiamo a vedere le prime 10 società dell’indice, che pesano per il 30% del totale, abbiamo in ordine: Microsoft appunto, The Home Depot, Adobe, Tesla, Coca Cola, Pepsi, Verizon, Intuit, Walt Disney e Danhaer.
Comunque al di là di quali siano le società qua dentro, investire anche in questo indice è come dire un modo per ridurre la concentrazione dell’S&P 500 (ammesso e non concesso che ciò sia una cosa positiva) e distribuire quindi il nostro investimento americano su più società oltre alle solite note.
Per esempio, se uno investe già in un azionario globale e vuole un’ulteriore esposizione sugli Stati Uniti, con questo indice potrebbe investire in quel mercato senza replicare tutte le stesse società che già ha in portafoglio con l’azionario globale.
Come è andato quest’indice rispetto al fratello maggiore S&P 500 negli ultimi anni?
Ho i dati solo degli ultimi 7 anni, quindi il confronto lascia un po’ il tempo che trova.
Comunque, giusto per curiosità, è interessante sapere che l’indice ristretto (privo di Apple, Google, Meta, Nvidia, Berkshire, Eli Lilly e di tanti altri colossi) ha fatto meglio dell’S&P 500: quasi 17% di rendimento medio annuo contro il 15 e mezzo dell’S&P.
Ricordate sempre che questi confronti sono assolutamente inutili e non devono MAI essere usati come criterio per scegliere un ETF piuttosto che un altro.
Però è interessante notare che a volte siamo convinti di certe cose — in questo caso del fatto che senza le magnifiche 7 l’azionario americano non farebbe certi numeri — e invece scopriamo che ci sono sempre delle alternative di investimento che meritano riflessioni scevre da pregiudizi.
Detto questo, torniamo al di qua dell’Atlantico e vediamo gli indici Europei.
Il più onnicomprensivo è lo Stoxx 600, che replica le 600 società più capitalizzate d’Europa.
Qui parliamo di Europa geografica, non di Unione Europea.
I suoi paesi più rappresentati nell’ordine sono:
– Regno Unito, 21%
– Francia, 16,5%
– Svizzera, 15%
– Germania, 12,5%
– Olanda, 8,5%
– Svezia, 4,53%
– Spagna, 3,8%
– Italia, 3,6%
– Danimarca, 2%.
E poi una manciata di altri staterelli.
Le 10 società più importanti, che insieme fanno un quinto della capitalizzazione totale, sono invece:
– Novo Nordisk
– Asml Holding
– Nestle
– Novartis
– Astrazeneca, quella che diceva di aver scoperto il vaccino per il Covid e invece erano Zigulì
– Shell
– Roche
– LVMH
– SAP
– e Total
Come vedete, a parte SAP l’informatica è praticamente inesistente.
C’è l’olandese ASML che è un leader mondiale nei semiconduttori, poi abbiamo molto Farmaceutico, Food, Energia e Lusso.
Quanto rende l’Europa?
Mah, allora, storicamente rende anche molto bene.
Ho trovato dati dal 1987 ad oggi e in effetti finora si è portata a casa un eccellente 8% all’anno, in linea con l’azionario globale.
Tuttavia dall’inizio di questo millennio l’Europa fa davvero fatica a tenere il passo delle altre regioni sviluppate del mondo.
Avevamo già raccontato la triste statistica secondo la quale il PIL degli Stati Uniti, che fino ad una quindicina di anni fa era simile a quello Europeo, oggi è addirittura quasi il doppio del nostro (27.000 miliardi di dollari gli Americani contro 15.000 in Europa) e questa crescita asfittica del vecchio continente ha avuto una ripercussione anche nella scarsa performance dei suoi mercati azionari.
Negli ultimi 15 anni ha fatto un buon 7,5% all’anno, che però è meno della metà della corsa fatta dall’S&P 500 nello stesso periodo.
Questo però NON è un buon motivo per non investire in Europa.
Intanto perché non bisogna mai dimenticarsi il principio universale della regressione verso la media.
Se mediamente il mercato azionario europeo ha fatto discretamente bene mentre negli ultimi anni è rimasto indietro, è legittimo attendersi un riavvicinamento nel tempo alla sua performance di lungo periodo.
Inoltre gira da tempo una vasta convinzione nella comunità finanziaria secondo la quale i bassi prezzi delle azioni europee, unita alla qualità di alcune società di eccellenza, potrebbero rappresentare un’interessante opportunità di investimento per i prossimi anni.
Attenzione però che molti Americani stanno dicendo questa cosa, anche perché sono convinti che il dollaro nei prossimi anni potrebbe indebolirsi un po’, dato che ultimamente si è rafforzato parecchio.
Questo potrebbe portare ad un investitore americano circa un punto e mezzo percentuale di rendimento in più per effetto del cambio (stima di Vanguard, che sa tanto di chiaroveggenza ma va beh).
È comunque interessante raccontare che ormai si è fatto largo l’acronimo GRANOLAS, una sigla per raggruppare le cosiddette magnifiche 11 europee, ovvero società dall’ottimo stato di salute su cui Goldman Sachs qualche settimana ha dato un’esplicita raccomandazione di investimento.
Queste 11 società sono: GSK, Roche, ASML, Nestlé, Novo Nordisk, Novartis, L’Oreal, LVMH, Astrazeneca, Sap e Sanofi.
Chissà il povero stagista di turno di Goldman a cui avranno fatto fare le notti in ufficio finché non avesse tirato fuori un acronimo decente e simpatico per mettere insieme queste aziende e fare uscire poi il comunicato.
Ora, io chiaramente non vi do alcuna raccomandazione di investimento su queste specifiche società, anche perché non ho la più pallida idea se investire in queste sia una buona idea oppure no.
Se uno volesse investirci, però, vediamo come si può fare senza comprarle singolarmente una ad una.
Come potete immaginare, esse sono già comprese nello STOXX 600 naturalmente.
Se però voleste dar retta a Goldman e concentrare i vostri investimenti europei su questo gruppetto di società di élite, un’idea potrebbe essere investire in un indice più ristretto — e qui avete due strade.
Una è l’EURO STOXX 50, l’indice delle 50 più grandi società dell’area Euro.
Qui dentro, abbiamo, nell’ordine:
– ASML con quasi il 10%
– LVMH con il 6%
– SAP con il 5%
– L’Oreal e Sanofi entrambe con il 3,2%
Quindi investendo in questo si avrebbe quasi il 30% concentrato in 5 di queste società d’eccellenza.
L’altra idea è invece investire nello Stoxx Europe 50, che invece le ha dentro praticamente tutte e che concentra su di esse quasi metà dell’indice.
Il problema di questo secondo indice è che io ho trovato un solo ETF disponibile, di Ishares, non enorme (meno di 600 milioni) e a distribuzione.
Invece sull’EURO Stoxx 50 avete l’imbarazzo della scelta, con almeno 6 ETF oltre 1 miliardo di capitalizzazione.
A proposito di Euro.
Attenzione che investire in Europa NON è esente dal tema del cambio valutario.
Uno pensa: “ah io non voglio troppa esposizione al dollaro, quindi investo in Europa e sono a posto” e poi traaac! Scopri che lo Stoxx 600 esposto:
– Per il 21% alla Sterlina
– Per il 15% al Franco Svizzero
– Per il 4,5% alla Corona Svedese e
– Per il 3% a quella Danese.
In pratica quasi metà dell’indice Europeo non è in Euro.
Se invece questa cosa vi urta il sistema nervoso, l’EURO Stoxx 50 contiene solo società quotate in Germania, Francia, Olanda, Spagna, Italia, Finlandia e Belgio e almeno qua il problema del cambio valutario proprio non si pone.
Lasciamo ora la cara vecchia Europa e andiamo a cimentarci con il resto del mondo, partendo dai mercati Emergenti.
Qui poco da dire.
A meno che non vogliate avere un’esposizione diretta a singoli mercati, come Cina, India, Brasile, Taiwan, Arabia, Indonesia e così via, fondamentalmente i due indici di riferimento più importanti sono: l’MSCI Emerging Markets e il suo sottoindice che esclude la China.
Partiamo dalla composizione geografica del primo.
Abbiamo:
– Cina al primo posto con quasi il 20%
– India al secondo con il 18%, poi
– Taiwan al terzo con il 17% (cosa che ha fatto strabuzzare gli occhi a Paolo Coletti durante la nostra intervista, perché in effetti se quasi il 40% dell’indice è legato ai destini di Cina e Taiwan, la diversificazione è già andata a farsi friggere); poi abbiamo
– Corea del Sud, 12%
– Brasile, 5,5%
– Arabia Saudita, 4%
– Messico e Sudafrica, entrambi al 2,5%
– Indonesia al 2% e poi
– Il 16% restante diviso su altri staterelli.
Non sto a dirvi le prime 10 società, perché molte di esse non so nemmeno cosa facciano, però sono sicuramente interessanti le prime 4:
– Taiwan Semiconductor Manifacturing, la più importante società al mondo che produce semiconduttori (Nvidia li progetta e basta, non li fabbrica), con il 6%; poi
– Samsung con il 3%
– Tencent anche lei con il 3% e infine
– Alibaba con quasi il 2%.
Anche nei mercati emergenti, come negli Stati Uniti, come settori pesano tanto l’informatica e la finanza, oltre il 40% del totale.
Abbiamo visto in passato le performance di questo indice.
Se prendiamo gli ultimi 35 anni, da quando Morgan Stanley ci dà gentilmente i dati, quest’indice ha fatto pure meglio dell’azionario dei paesi sviluppati, 9,3 contro 8,3% di media all’anno.
Il problema è che la magia della narrazione di inizio anni 2000 sulle tigri asiatiche e sull’ascesa impetuosa di questi mercati si è un po’ inceppata e negli ultimi 10 anni gli emergenti hanno fatto uno scarso 3,2% all’anno.
La Cina, in particolare, è davvero la zavorra più pesante per questo indice.
Negli ultimi 30 anni, se prendiamo la sua performance convertita in dollari, il mercato Cinese misurato dall’MSCI China è rimasto praticamente fermo, riportando uno scarsissimo 0,1% medio annuo.
Certo da inizio millennio fino al 2018 aveva realizzato quasi un 10% all’anno.
Il problema è che dal 2018 ad oggi — e ormai è iniziato il 7° anno — il mercato cinese è andato solo in caduta libera.
Chi avesse investito sulla Cina a inizio 2018, oggi avrebbe registrato una perdita — questa volta la misuriamo in Euro — di oltre il 7% di media all’anno.
Certo, questa cosa non vuol dire assolutamente nulla.
Chi avesse investito negli Stati Uniti al picco del 2000 un secondo prima dello scoppio della internet bubble a marzo del 2009 sarebbe stato sotto di quasi il 10% all’anno, complessivamente del 60% in totale, e non sarebbe andato in pari prima del 2014.
Per rasserenarvi, comunque, lo sfortunato investitore che ha fatto all in sull’America il giorno prima che crollasse tutto, oggi avrebbe comunque quadruplicato il patrimonio.
La sua sfiga è che se invece di entrare sul mercato nel 2000 avesse cominciato anche solo nel ’95, oggi il suo patrimonio sarebbe aumentato di 16 volte.
Eh va beh…
A volte va così…
Cmq dicevamo la Cina.
Male male.
Non c’è pace per l’impero di Xi Jinping che dal punto di vista economico non ne sta imbroccando una, dalle folli limitazioni agli imprenditori illuminati (vedi il povero Jack Ma di Alibaba, che aveva creato un colosso che poteva mettere in ginocchio Amazon e poi gli hanno sputtanato tutto) alle assurde chiusure durante il Covid.
Per non parlare dell’immensa bolla immobiliare che si è creata e che non è ancora esplosa solo grazie ai colpi di bazooka delle iniezioni di denaro pubblico per tenere a galla una situazione che in occidente sarebbe già conflagrata.
Oggi è un’opportunità la Cina?
Boh.
In effetti ha fatto talmente cagare negli ultimi 5 anni che prima o poi darà un segno di vita.
Allo stesso tempo, è pur sempre un mercato torbido, governato da una dittatura, con il suo capo supremo che è sempre lì con la fissa che vuole invadere Taiwan e che comunque gli Stati Uniti proprio non li può vedere.
Non lo so.
A vostra sensibilità e coscienza.
Dicevo prima che l’alternativa, invece, è investire nel sottoindice MSCI Emerging Markets ex China, che appunto esclude la China dal gruppetto.
Qui abbiamo, beh, abbiamo gli stessi paesi di prima, un po’ più rappresentati perché manca il 20% di Cina.
Mentre la Cina l’anno scorso collassava, questo indice ha fatto piuttosto bene, trainato soprattutto dall’India, e si è portato a casa quasi un 18% di crescita.
Se volete investire negli emergenti ma la Cina non vi piace, ecco qua come fare.
Prima di chiudere, giusto una menzione per la parte del mondo che abbiamo lasciato fuori, ossia i paesi sviluppati oltre a Stati Uniti ed Europa.
Parliamo soprattutto di: Giappone, Canada e Australia.
Del Giappone abbiamo parlato abbondantemente nello scorso episodio, celebrando il suo ritorno ai massimi storici dopo ben 35 anni.
Se volete investire qui, la soluzione più semplice del mondo è un ETF che tracka l’indice
MSCI Japan, in cui tra le prime 10 società spiccano Toyota, Sony, Mitsubishi, Hitachi, Nintendo (quanto ti ho amata cara Nintendo negli anni ’90 e grazie per aver regalato al mondo quel patrimonio dell’Unesco chiamato Mario Bros) e poi altre che anche se ve le dico tanto il 99% di voi non le conosce.
Nota di colore.
Il signor Warren Buffett l’anno scorso ha investito 1300 miliardi di Yen, equivalenti a circa 9 miliardi di dollari, in queste 5 società: Itochu, Marubeni, Mitsubishi, Mitsui, e Sumitomo.
Così… la butto lì…
Per quanto riguarda gli altri invece, se proprio vi far star male non avere investimenti singoli negli altri paesi sviluppati, esistono naturalmente singoli ETF che replicano anche il mercato azionario Canadese e quello Australiano.
Se poi vi interessa tutto il mondo dei paesi più sviluppati del Pacifico, ad eccezione del Giappone, esistono indici, come il FTSE Developed Asia Pacific ex Japan, che vanno proprio a considerare questa regione.
Qui abbiamo, a livello geografico:
– Australia, con il 45%
– Corea del Sud con il 30%
– Hong Kong con l’11,5%
– Singapore con il 7,5% e
– Nuova Zelanda con il 3%.
Sì è praticamente tutto Australia e Corea, sono d’accordo.
Anche qui il 40% è fatto dal settore finanziario e da quello informatico, questa volta con la finanza al primo posto.
Se proprio ci tenete…
Bene, cari amici miei, abbiamo fatto una bella scorpacciata di indici.
Dopo questo giro del mondo in 80 ETF, ora conoscete tutto il globo in ogni suo anfratto più nascosto, quindi potete impacchettarvi il vostro bel portafoglio come meglio credete.
Qualunque sia la ricetta del portafoglio che vi volete cucinare, comunque, ricordatevi la premessa di quest’episodio: la pianificazione individuale governa qualunque decisione di investimento e conta molto di più della vostra visione sugli Stati Uniti, dei suggerimenti di Goldman o delle previsioni sull’andamento della Cina.
Fatta la vostra pianificazione a breve, medio e lungo termine potete sbizzarrirvi con i prodotti di investimento.
Ma finché questa non è stata fatta come si deve — e non viene revisionata di tanto in tanto — nessun investimento ha più senso di un altro.
Grazie mille per aver ascoltato anche questo 86° episodio e grazie di cuore per la costanza e la partecipazione con cui mi accompagnate da mesi, condividendo insieme questo viaggio di divulgazione finanziaria che porterà gli Italiani ad essere i più secchioni del mondo in materia di finanza personale.
Per fare questo, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove più preferite e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi fanno fare il giro del mondo dentro ai principali indici di borsa vi fanno scoprire che la Granola non è solo ottima dentro lo yogurt greco dopo che avete fatto palestra ma può anche darvi un’idea di investimento sulle magnifiche 11 d’Europa sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo domenica prossima in cui, allegria allegria, parleremo di crisi e di come prepararsi al peggio — salvo che poi non mi sveglio con un’altra idea meno fosca e ci occuperemo d’altro — sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di Finanza Personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025