Come vivere (quasi) di rendita: il Coast FIRE
L'indipendenza finanziaria è l'obiettivo finale della finanza personale. Ma vivere di rendita secondo il modello F.I.R.E. non è sempre un obiettivo realizzabile e senza controindicazioni. Una sua versione più soft è il Coast FIRE.

227. Come vivere (quasi) di rendita: il Coast FIRE
Risorse
Punti Chiave
Criticità del FIRE classico: complessità di raggiungimento e rischio di sequenza.
Il Coast FIRE è un'alternativa realistica e flessibile per la libertà finanziaria anticipata.
Strategie di prelievo dal portafoglio in pensione: Guardrail, Bucket e CAPE Ratio.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Questo è un podcast che parla soprattutto di finanza personale, investimenti e mercati, ma con un chiaro e preciso obiettivo che attraversa tutti gli episodi e che in qualche modo ne costituisce la ragion d’essere: costruire il percorso migliore possibile per realizzare la LIBERTA’ FINANZIARIA.
Cosa sia libertà finanziaria è una definizione piuttosto soggettiva.
Diciamo però che quella rappresenta il raggiungimento di un bilancio economico famigliare in cui — mettiamola così — i soldi non sono più un problema.
Data questa definizione, chiaramente si apre un mondo di possibilità.
Per alcuni, libertà finanziaria significa creare un patrimonio per realizzare specifici obiettivi come comprare una casa, pagare l’università ai figli o lasciare una grossa eredità.
Per altri significa diventare ricchi ed elevare significativamente lo standard di vita.
Per altri significa smettere di lavorare anzitempo e vivere di rendita.
Quest’ultimo è sicuramente il sogno definitivo di chiunque si affaccia all’inizio a questo meraviglioso mondo del personal finance e scopre quel mito leggendario che è diventato celebre sotto l’acronimo FIRE, che sta Financial Independence Retire Early, ossia: indipendenza finanziaria, pensionamento anticipato.
Quando però si approfondiscono abbastanza i temi di cui parliamo qui, aumentano gli anni di esperienza con maggiore consapevolezza finanziaria e si passano centinaia di ore su file di pianificazione, asset allocation e tutte quelle belle cose che la maggior parte di voi ha fatto trasformando dei fogli Excel in mostri mitologici a sette teste e quarantanove grafici, ci si rende conto che il FIRE, preso in sé e per sé nella sua forma più pura, ha due problemi:
– Uno è MATEMATICO: a meno che uno abbia un mix non comune tra alta capacità di risparmio e predisposizione ad una vita molto frugale, l’obiettivo classico del FIRE, cioè di vivere di rendita già a partire dai propri quarant’anni, è piuttosto complicato — e tra pochissimo vedremo perché;
– L’altro problema invece è, diciamo, PSICOLOGICO: andare in FIRE — oppure, tradotto in Italiano: non fare una beata mazza — per il resto della vita è una prospettiva incredibilmente sexy finché ciascuno di noi è qua a spaccarsi il posteriore ogni giorno da anni barcamenandosi tra il proprio lavoro, la vita famigliare e tutto il resto. Ma probabilmente se uno riuscisse davvero ad andare in Fire, dopo qualche mese comincerebbe a sentire la mancanza di una dimensione professionale: sad but true, l’uomo non è fatto per non lavorare. Il rischio è di avere una situazione finanziaria solida, ma una totale mancanza di appagamento.
L’episodio di oggi non vedevo l’ora di scriverlo, perché è l’occasione per mettere insieme un po’ di idee sua una versione più realistica e realizzabile del FIRE — e che in ultima istanza rappresenta meglio l’idea di Libertà Finanziaria che più appartiene al mio pensiero. Negli Stati Uniti, la formula più vicina a ciò che secondo me rappresenta la forma libertà finanziaria più sostenibile e compatibile con la nostra ineliminabile esigenza di sentirci utili nel mondo è il cosiddetto COAST FIRE, dove COAST è scritto “coast”, come la parola inglese per costa.
Oggi quindi parleremo di queste cose:
– Nella prima parte ripercorriamo brevemente tutto ciò che c’è da sapere sul FIRE, come calcolare il nostro livello di presunta libertà finanziaria e quali sono eventualmente le criticità da tenere di conto.
– Nella seconda spiegheremo cos’è il COAST FIRE e perché è un’alternativa più realistica e probabilmente più sensata per la maggior parte di noi.
– Nella terza, se nel frattempo non avrò esaurito il tempo, parliamo delle migliori strategie per finanziare qualunque forma di FIRE uno abbia raggiunto, ossia come prelevare soldi dal portafoglio minimizzando i rischi sia di finire senza soldi prima di schiattare, sia di schiattare con troppi soldi — che come vedremo, per quanto strano possa sembrare, è in realtà il rischio più probabile.
Partiamo dall’inizio.
Nel 1994 William Bengen scrive il paper che è universalmente considerato l’atto di nascita del FIRE, o comunque la sua base teorica più importante: Determining Withdrawal Rates Using Historical Data.
Nel 1998 viene invece pubblicato un altro paper da tre ricercatori del Trinity College passato alla storia come il Trinity Study.
Senza entrare troppo nel dettaglio, questi due paper sono quelli che hanno fondato i principi più noti del FIRE, che possiamo riassumere in questo modo: un portafoglio diversificato di azioni e titoli di Stato sarebbe quasi certamente in grado di sopravvivere senza esaurirsi per almeno 30 anni se preleviamo il 4% all’anno.
Siccome il 4% di qualcosa è un venticinquesimo, è da qui che nasce l’idea che una volta che il mio portafoglio raggiunge un valore equivalente a 25 volte la mia spesa annuale lorda, allora posso ragionevolmente ritenere di poter vivere di rendita per almeno 30 anni.
Facciamo un esempio numerico facile giusto per capirci, che magari via audio qualcuno si perde via.
Diciamo che per vivere mi servono 40.000 € lordi all’anno — e dico lordi perché ovviamente quando prelevo dal portafoglio dovrò pagare delle tasse, quindi l’importo netto sarebbe circa, boh, un media intorno a 35.000 €, a seconda di quanti titoli di stato abbiamo che abbassano le tasse sul capital gain. Ricordiamoci che le tasse si pagano sul capital gain, cioè sulla differenza tra il prezzo medio a cui abbiamo acquistato i nostri asset negli anni e il prezzo a cui li vendiamo, non su tutto l’importo che preleviamo.
Comunque se il target è 40.000 €, allora 40.000 * 25 fa un milione di euro.
Con un milione di euro in un portafoglio diversificato di azioni e obbligazioni dovrei poter sopravvivere per almeno 30 anni prelevando 40.000 € il primo anno e aggiustando poi il prelievo per inflazione negli anni successivi al primo, così che il mio potere d’acquisto resta sempre lo stesso.
Ora, tutto bellissimo, però da qui nascono una serie di problemi.
Il PRIMO PROBLEMA riguarda il fatto che non è una cosa semplicissima da realizzare, se non a condizione di avere già molto capitale a disposizione, oppure una fortunata combinazione tra reddito molto alto e uno stile di vita molto frugale.
Facciamo un esempio più concreto.
Diciamo che io ad un certo punto voglio andare in FIRE e che per finanziare la vita della mia famiglia mi servono 3.000 € netti al mese reali, cioè l’equivalente di quello che OGGI posso comprare con 3.000 € netti.
Assumiamo un’inflazione media del 2,5% all’anno, che in Europa potrebbe essere una ragionevole approssimazione di lungo termine.
Se voglio applicare il FIRE alla lettera, succede questo:
Ad esempio: Se voglio andare in FIRE tra 10 anni mi serviranno quasi 1.350.000 €. Con questa cifra preleverò il 4% all’anno, 54.000 €, circa 46.000 € al netto delle tasse, che in valore reale, adeguato ad un’inflazione del 2,5% all’anno per 10 anni, sono appunto i 3.000 € netti che volevo.
Però come faccio ad andare in Fire tra 10 anni a queste condizioni?
Ipotizziamo che il portafoglio renda 6% all’anno, praticamente mi servono 8.000 € al mese se parto da zero, 7.000 se parto già da un patrimonio di 100.000 €.
Scenario irrealistico ai più.
Se invece voglio andare in FIRE tra 20 anni e avere sempre la possibilità di prelevare l’equivalente di 3.000 € netti reali, mi serviranno quasi 1.750.000 €. Dovrò versare 3.800 € al mese partendo da zero o circa 3.000 al mese se parto già con un patrimonio di 100.000 €.
Capite che anche in questo caso la cosa è forse fattibile per qualche famiglia in più, anche perché i 3.800 € al mese varranno sempre meno nel corso dei prossimi 20 anni, però nemmeno questa è una passeggiata alla portata di molti.
In generale c’è una rule of thumb, cioè una regoletta di massima che senza stare a fare troppo i conti aiuta a capire quanto ci serve per andare in FIRE.
Immaginiamo di avere un reddito e una capacità di risparmio costante e di voler spendere in FIRE esattamente tanto quanto spendiamo oggi, bisogna fare: 7 diviso la nostra percentuale di risparmio.
Non è precisissima, in alcuni casi è meglio 6, in altri 8, e poi dipende dal rendimento del portafoglio.
Però se vogliamo avere una indicazione alla buona funziona abbastanza bene.
Se per esempio riesco a risparmiare il 30% del mio reddito ogni mese, allora 7 diviso 30% fa circa 26-27 anni. In 26-27 anni raggiungerei la cifra che mi serve. E così via, la formula funziona abbastanza bene con un risparmio tra il 20 e il 60% e un rendimento del portafoglio intorno al 6-7%.
Queste ovviamente sono tutte assunzioni estremamente semplificative, ma vi danno l’idea che la cosa è realizzabile in teoria, ma in pratica, se uno volesse davvero realizzare il FIRE duro e puro, potrebbe farlo solo a condizione di fare molti sacrifici durante la fase di accumulo e avere uno stile di vita piuttosto contenuto in quella decumulo.
E questo è il primo problema.
Però anche ammesso di essere in grado di risolverlo, c’è un altro problema da considerare.
Il SECONDO PROBLEMA è che molto probabilmente — come dire — questa regola meccanica, spesa annuale per 25 e poi prelievo del 4% all’anno aggiustato per inflazione, non è detto che funzioni.
Il nome di questo problema, molto caro a chi vi parla e spero anche a tutti voi che mi seguite, dato che è forse uno dei concetti più importanti di tutto l’ambaradan della finanza personale, è RISCHIO DI SEQUENZA.
Per chi fosse qui con noi da poco, il rischio di sequenza è semplicemente il fatto che l’ordine in cui si susseguono periodi di mercato positivi o negativi conta sul risultato finale se nel frattempo contribuisci o togli soldi dal portafoglio.
In pratica, se io oggi ho 100.000 € investiti e non tocco il mio portafoglio, è irrilevante se nei prossimi due anni il mio portafoglio fa -10% il primo e +20% il secondo o +20% il primo e -10% il secondo, alla fine mi ritroverò sempre con circa 108.000 €.
È molto diverso invece se io nel frattempo sto facendo un piano di accumulo, oppure se sono in FIRE e sto prelevando dal portafoglio.
Nel primo caso, se sto accumulando, il mio scenario migliore è il primo, -10% il primo anno e +20% il secondo.
Mettiamo che aggiungo 1.000 € al mese, arriverò a circa 135.000 € contro 131.000 del secondo caso.
Viceversa, se sto prelevando ogni anno, il mio scenario migliore è il secondo, +20% il primo anno e -10% il secondo, perché all’inizio del terzo anno mi ritroverei con 4.000 euro in più.
Il RISCHIO di SEQUENZA è un concetto importantissimo ed il motivo alla base di quello che diciamo sempre quando ci sono momenti negativi di mercato, ossia che durante la fase di accumulo dobbiamo essere felici che ciò accada perché il rischio di frequenza gioca a nostro favore, ci permette di acquistare a prezzi più bassi e quindi aumenta il rendimento atteso.
Al contrario quando entriamo in retirement o in fire o quel che volete, l’ideale è avere subito un periodo positivo e poi un periodo negativo, perché altrimenti se succede il contrario viene consumata una porzione maggiore del nostro portafoglio.
Che in pratica non è che un modo per dire: quando COMPRO è meglio se il mercato sta andando inizialmente giù, mentre quando VENDO è meglio se il mercato sta andando inizialmente su.
Nella fase di accumulo, però, è bene sapere che c’è questa cosa, ma non è che ci sia molto che ci possiamo fare, se non per una cosa che dirò più avanti.
Nella fase di decumulo, invece, fa una differenza esorbitante tra la vita e la morte, perché se decidiamo di andare in FIRE e ci dice sfiga e ci becchiamo la stessa sorte di chi ci è andato nel 2005, eh, tanti auguri, corriamo il rischio mortale che il nostro portafoglio sopravviva molto meno del previsto.
L’altro rischio, invece, che è chiaramente un happy problem, è esattamente quello opposto, ossia che becchiamo una sequenza fortunata, come chi è andato in FIRE magari nel 2015, con il mercato tornato ai massimi dopo la GFC e che ha corso praticamente ininterrottamente sino ad oggi, dato che giovedì l’S&P 500 ha chiuso finalmente ad un nuovo all time high, superando il record del 19 febbraio e praticamente sbattendosene di dazi, guerre, debito e tutto il resto.
Non sono stato troppo a specificare come deve essere fatto il portafoglio durante il retirement — e su questo dirò giusto un paio di cose prima della fine — perché in realtà, per quanto strano possa sembrare, l’asset allocation quando uno decide di andare in FIRE e vivere di rendita impatta molto meno del rischio di sequenza.
Il blog definitivo se uno vuole farsi un corso approfondito di livello pro sul FIRE, sul retirment, sul safe wtihdrawal rate, cioè sul tasso di prelievo sicuro per non esaurire il portafoglio quando uno è in pensione, non credo ci sia un posto migliore del sito Early Retirement Now, gestito da Karsten Jeske, un formidabile tizio tedesco/americano, PhD in Finanza, CFA, che ha lavorato alla Fed di Atlanta e poi come asset manager presso BNY Mellon. Dal 2018, tanti saluti a tutti, è andato in Fire da milionario e ora scrive questo blog, incredibilmente denso a approfondito, in cui spiega ogni dettaglio e cavillo da sapere per chi vuole andare in pensione anticipata.
È un filo tecnico, alcuni articoli hanno un po’ di matematica, ma complessivamente si capisce tutto.
Ecco, la serie sul retirement e sul safe withdrawal rate è composto da più di 50 articoli e ciascun articolo è lungo più o meno come un episodio del nostro podcast, quindi visto che arriva l’estate se non sapete cosa leggere…
Ad ogni modo, Karsten ha fatto due conti facendo delle regressioni statistiche basate sui dati storici e ha calcolato che l’asset allocation del portafoglio quando uno va in FIRE spiega solo un terzo dei risultati, mentre quasi due terzi del successo o del fallimento del programma “vado in FIRE e vivo di rendita” dipende dal rischio di sequenza.
Giusto per fare un esempio, chi fosse andato in pensione a partire dal 1969, con un portafoglio 75/25, quindi 75% S&P 500 e 25% Treasury intermedi, per i 30 anni successivi avrebbe avuto un rendimento reale, al netto dell’inflazione, di circa il 6,2%.
Lo stesso sarebbe capitato, con il medesimo portafoglio, a chi fosse andato in pensione nel 1979, dieci anni dopo, anzi leggermente meno 6%.
La cosa sconvolgente, però, è che il pensionato del 1969 avrebbe potuto prelevare al massimo il 3,8% all’anno per non finire i soldi prima dei trent’anni.
Invece il pensionato del 1979, a parità di rendimento medio reale, avrebbe potuto permettersi di prelevare addirittura il 9% all’anno!
Perché questo?
Beh chiaramente al primo ha detto proprio male il timing.
Dal 1969 all’inizio degli anni 80 il mercato è stato funestato dalla crisi petrolifera e dall’iperinflazione.
Partire in retirement con pesanti bear market è l’inferno.
Invece quello 1979 si sarebbe beccato i vent’anni migliori della storia del mercato americano, prima che poi iniziasse il decennio perduto.
Ma messo in quest’ordine, i dorati anni 80 e 90 hanno più che compensato il disastro dei primi 2000.
Questo è solo un esempio per farci capire che la dispersione dei risultati possibile, quando uno fa i calcoli per il FIRE, è veramente molto ampia.
A partire dallo stesso capitale e con lo stesso portafoglio, a seconda di come ti gira potresti finire sotto un ponte gli ultimi anni della tua vita o morire multimilionario.
Sempre ERN ha calcolato che la regola del 4% non assicura il 100% di sopravvivenza del portafoglio per 30 anni con nessuna asset allocation.
Sul suo sito c’è uno spettacolare calcolatore che farà impazzire tutti gli ingegneri, informatici e nerd vari che mi ascoltano e che vi metto in descrizione.
Impostate l’asset allocation che volete e potete aggiungere mezzo milione di altri parametri e vi fa tutte le simulazioni che volete in un google sheet piuttosto brutto ma veramente impressionante per completezza e precisione.
Se volete divertirvi, dateci dentro.
Per esempio un portafoglio come il mio, 34% S&P 500, 34% azioni ex Stati Uniti, 17% titoli di stato intermedi, 7% titoli di stato a lunga scadenza e 8% di oro, avrebbe avuto storicamente un tasso di successo del 100% per trent’anni prelevando il 4%, ma non partendo dalle valutazioni attuali.
Infatti nel file, se volete, troverete 5 scenari:
– Quello dal 1871 ad oggi
– Quello dal 1926, ossia da quando abbiamo i dati veri sull’S&P 500
– Quello in cui si comincia con un valore di CAPE Ratio inferiore a 20
– Quello con CAPE ratio superiore a 20 e infine
– Quello con CAPE ratio superiore a 20 e S&P 500 ai massimi storici, che esattamente dove siamo oggi.
Per chi non lo sapesse il CAPE ratio è il rapporto medio tra prezzi e utili dell’S&P 500 degli ultimi 10 anni adeguato per inflazione.
Al di là di cosa sia nel dettaglio, è semplicemente una misura molto usata per determinare quanto le azioni americane sono costose rispetto agli utili generati negli ultimi 10 anni.
È noto che c’è una correlazione negativa tra i valori del CAPE ratio e i rendimenti dei 10-15 anni successivi.
Più i valori di partenza sono elevati, minore è il rendimento atteso, perché chiaramente il rendimento di un investimento è fortemente condizionato dal prezzo a cui lo paghi.
Se andassi in FIRE oggi, con il mio portafoglio, non dovrei superare un prelievo del 3,5% all’anno.
Questo significa che per andare in FIRE non mi basterebbe il mio fabbisogno lordo per 25, bensì per 28,5, complicando ulteriormente il primo problema di cui parlavamo prima.
Ho fatto diverse prove con vari tipi di portafoglio e partendo dai prezzi di oggi, nessun portafoglio sembrerebbe in grado di sopravvivere 30 anni con un prelievo dl 4%, figuriamoci poi se uno vuole andare in FIRE alla mia età e sperare di vivere altri 40 anni o più.
Tutto ciò non è nuovo, se vi ricordate quando era venuta da noi la mia amica e angelo custode Christine Benz — a cui tra l’altro devo più di un favore visto che senza di lei non avrei mai conosciuto William Bernstein e Jason Zweig — dicevo Christine aveva appena curato lo studio annuale di Morningstar sul Safe Withdrawal rate e ci aveva confermato che un valore tra 3,5 e 3,7% era più realistico per un mix di azioni e obbligazioni.
Il motivo è semplicemente che le valutazioni americane sono molto elevate e i rendimenti attesi sono piuttosto bassi, come abbiamo già detto un sesquiliardo di volte.
Però, come dicevo prima, il problema è duplice.
Perché da una parte, siccome non posso rischiare di finire senza soldi, devo scegliere un tasso di prelievo conservativo, a meno che ovviamente non abbia altre entrate, però se parliamo di Fire puro non ci sono altre entrate.
D’altra parte riprendo un calcolo fatto da Michael Kitces, che è l’equivalente di Obi Wan Kenobi nel mondo del retirement planning, e che spesso citiamo.
Kitces ha calcolato che su 30 anni con 3,5% di prelievo annuo c’è un 50% di probabilità di finire con un patrimonio da 7 a 10 volte superiore a quello di partenza!
Come dicevo: happy problem!
Però happy fino ad un certo punto, perché esistenzialmente è un disastro: vuol dire vivere al di sotto dei propri mezzi, magari continuando a fare sacrifici tutta la vita, per poi morire multimilionario.
Per esempio, il signore andato in pensione nel 1979, diciamo con un milione di euro per fare i conti facili e con un portafoglio 75/25 ribilanciato annualmente, se avesse prelevato il 3,5% all’anno per trent’anni, nel 2009 si sarebbe ritrovato con un patrimonio da oltre 8 milioni di dollari!
E anche questo è da evitare, perché il senso di accumulare capitale è quello poi di poterlo spendere nel migliore dei modi.
Ma su come spenderlo, ci torniamo alla fine dell’episodio.
Ora, abbiamo però capito che rispetto all’ideale fighissimo del FIRE classico abbiamo due problemi.
– Il primo è che è molto complicato da raggiungere perché servono generalmente tanti soldi;
– Mentre il secondo, che acuisce anche il primo, è che la combinazione tra il rischio di sequenza e le elevate valutazioni attuali da cui partiamo oggi fanno sì che probabilmente il tasso di prelievo sicuro non sia 4%, ma forse un po’ meno e quindi non bastano più 25 volte la mia esigenza di spesa annuale lorda, ma forse 28-30.
E dopo tutto questo pippozzo iniziale, che però era imprescindibile per capire il senso del discorso, arriviamo finalmente alla soluzione più sostenibile, almeno per un più vasto numero di famiglie.
Questa soluzione è una versione moderata di FIRE che si chiama Coast FIRE e che funziona così.
– Si determina il capitale con cui si vuole andare in FIRE
– Si decide tra quanti anni si vuole andare in FIRE
– E infine si calcola quanto capitale bisogna avere ad un certo affinché io non debba più continuare a risparmiare come un pazzo per tutta la vita, perché poi basta il rendimento composto a raggiungere il target.
Anche qui, facciamo un esempio e poi se volete in descrizione c’è il link ad un calcolatore online chiamato Walletburst che vi permette di fare il conto.
Facciamo tutto il ragionamento preciso.
Diciamo che voglio andare in FIRE con 2.000 € netti al mese in valore reale, cioè tra 10-20-30 anni questi 2.000 euro devono permettermi di comprare quello che comprerei oggi.
Diciamo che ho 30 anni e che voglio andare in FIRE a 60, significa che ho 30 anni di tempo per arrivarci.
Il trick del Coast Fire consiste nel capire quanti soldi devo accumulare prima di essere ragionevolmente convinto che da lì in poi il capitale continuerà a crescere senza che io debba più aggiungere nulla.
Per semplicità ipotizziamo sempre di avere un portafoglio con un rendimento conservativo del 6% all’anno, 2,5% all’anno di inflazione e 3,5% di tasso di prelievo annuo.
Il numero finale da raggiungere a 60 anni è circa 1.700.000 di euro.
Se però io oggi avessi già 300.000 €, potrei non risparmiare più un euro e spendere tutto quello che guadagno per i prossimi 30 anni e so che a 60 avrò più o meno la cifra che mi serve.
Se invece non ho già quel patrimonio investito allora posso calcolare quanto devo mettere da parte prima di poter togliere il piede dall’acceleratore, smettere di risparmiare e lasciare che il mio capitale cresca da solo.
Per esempio posso decidere di spingere per i primi 20 anni di questo progetto, massimizzare il mio reddito, minimizzare le spese e investire al massimo nel mio portafoglio.
Se parto da zero, con 2.000 € al mese investiti raggiungerei i circa 940.000 € tra 20 anni che mi servono perché senza ulteriori contributi diventino circa 1.700.000 10 anni dopo.
È tanto?
È poco?
È irrealistico?
È troppo conservativo?
Ci sono mille variabili in gioco:
– Potrei non partire da zero e avere già un capitale da investire subito;
– Potrei non volere andare in FIRE con 2.000 netti al mese ma magari con 1.500;
– Inoltre i 2.000 € di contributo mensile sono tanti oggi, ma sempre meno con il passare del tempo per via dell’inflazione e dell’auspicabile aumento del reddito.
Il punto non è il calcolo in sé, che ciascuno può adattare alle proprie esigenze.
Il punto è capire quali sono i benefici del COAST FIRE, rispetto al FIRE classico.
– Il PRIMO è che fondamentalmente è un modo per raggiungere la libertà finanziaria… prima di raggiungerla. Mi spiego: una volta che ho raggiunto il target e poi lascio correre il portafoglio da solo, di fatto a quel punto nella mia vita si aprono molteplici opzioni.
– Per esempio posso elevare il mio stile di vita avendo a disposizione più risparmio che non devo più investire
– Oppure posso scegliere di cambiare lavoro per uno meno remunerato perché non ho bisogno di accumulare capitali nel mio portafoglio;
– Oppure chiaramente una diversa combinazione dei due.
– Il SECONDO è che rispetto al FIRE classico mi dà molta più flessibilità:
– Intanto posso prendermi maggior rischio nella mia asset allocation e provare a far rendere il mio portafoglio di più, perché nella peggiore delle ipotesi, se becco una sfortunata configurazione di mercato, posso semplicemente decidere di continuare a lavorare; in caso fortunato, invece, magari il target per il COAST fire lo raggiungo prima.
Per esempio negli ultimi 20 anni (2005-2024) l’MSCI world ha reso in media il 9% all’anno, quindi — rispetto all’esempio di prima — bastavano 1.000 € al mese invece che 2.000 € per arrivare allo stesso risultato.
Ovviamente sappiamo tutti molto bene cosa comporti investire 100% azionario, ma se il mio obiettivo è il coast fire, in realtà è un rischio che uno si può prendere e se le cose vanno male al massimo ridefinirà le priorità della sua vita.
– Il secondo livello di flessibilità riguarda il target stesso. Nel FIRE classico si punta ad arrivare ad un certo valore, tradizionalmente 25 volte la spesa necessaria, e poi da lì in poi si vive di rendita. Qui invece con il COAST si tratta di intraprendere un percorso progressivo di semi-indipendenza finanziaria, che permette di adattare il tragitto in corso d’opera, senza dover necessariamente essere vincolato ad alcuni target specifici.
A volte per esempio capita di sentirsi imprigionati in un lavoro che non ci piace ma che siamo costretti a portare avanti per responsabilità finanziaria. Il Fire sarebbe la soluzione definitiva, mentre il COAST Fire sarebbe un’opzione intermedia che permette di prendere altre decisioni professionali coperti da un certo margine di sicurezza. E facendo questo, magari si è disposti a prendersi rischi che prima non ci saremmo presi e si potrebbe aprire opportunità che non avevamo contemplato e che invece che ridurre il nostro reddito finiscono per aumentarlo.
Insomma, la flessibilità è un grandissimo asset e la possibilità di unire flessibilità finanziaria con flessibilità professionale, senza correre il rischio di uscire completamente dal mondo del lavoro troppo presto o di cominciare anzitempo a consumare il nostro portafoglio è forse la value proposition più forte dietro l’idea di questa forma soft di indipendenza finanziaria.
Ovviamente ci sono una serie di aspetti potenzialmente rischiosi da considerare.
Da un lato bisogna mettere in conto alcune incognite finanziaria che potrebbero non venir catturate adeguatamente dal nostro bellissimo file excel. Per esempio:
– Potrebbero aumentare le nostre esigenze di spesa per motivi che non conosciamo ancora, per esempio per motivi di salute
– Oppure il ritorno del nostro portafoglio potrebbe essere significativamente inferiore alle attese
– Potrebbe esserci un’inflazione più elevata
E così via
Altri rischi invece sono più di natura psicologica:
– Ad esempio smettere di investire mensilmente dopo averlo fatto per anni potrebbe essere stressante;
– Oppure potrebbe essere difficile accettare l’idea di diventare professionalmente meno produttivi o in carriera
– Oppure ancora potrebbero cambiare alcune dinamiche famigliari se uno dei due partner comincia a guadagnare meno.
Probabilmente le considerazioni più importanti riguardano aspetti non strettamente finanziari, ma più legati a scelte di vita e condivisione di obiettivi se si ragiona a livello famigliare.
Il suggerimento che mi sentirei di dare è infatti quello di non impazzire con i calcoli perché naturalmente c’è un ampio margine di errore, sia in negativo che ancor più probabilmente in positivo, cioè che tenderemo ad essere iperconservativi nelle nostre valutazioni.
Dicevo, il suggerimento è piuttosto di fare delle valutazioni sull’equilibrio generale che vogliamo nella nostra vita e sui valori in cui ci rispecchiamo.
I soldi come sempre devono essere solo e soltanto un mezzo in vista di un fine, di conseguenza devono essere messi al servizio del progetto di vita che si vuole realizzare.
È la pianificazione finanziaria quindi che deve piegarsi alle esigenze della nostra vita e non il contrario, altrimenti l’accumulazione di patrimonio diventa un gioco fine a se stesso e nel frattempo ci perdiamo le cose davvero importanti, che alla nostra vita darebbero un senso più pieno.
Prendo in prestito alcune parole del nostro Nick Maggiulli per determinare se il COAST faccia o meno al caso nostro.
È giusto per me:
– SE work-life balance e maggiore libertà rispetto ai vincoli della carriera sono per me un valore;
– SE sono disponibile a risparmiare aggressivamente soprattutto nella fase iniziale della mia carriera (come dice lui: Go big, then stop).
– SE mi piace comunque lavorare e riesco a coprire le mie spese correnti una volta che raggiungo il COAST Target e infine
– SE sono in grado di adattare facilmente il mio stile di vita in contesti variabili, sia personali che di mercati.
Non fa invece per me:
– SE sto cercando l’indipendenza finanziaria completa;
– SE sono profondamente avverso al rischio e sono a disagio all’idea di coprire le mie future esigenze di spesa grazie ai soli rendimenti del mercato;
– O naturalmente SE ho delle spese continuative che richiedono un reddito elevato.
Prima di chiudere c’è un’ultima riflessione da fare, che non riguarda solo il COAST ma qualunque forma di FIRE in generale, o comunque che ha a che fare con quando iniziamo a prelevare dal nostro portafoglio e cioè: quali sono le migliori strategie per ritirare soldi in maniera efficace rispetto alla conservazione a lungo termine del nostro capitale.
Come abbiamo detto prima, la regola del 4% aggiustata ogni anno per inflazione è subottimale e probabilmente 4% è un valore troppo elevato, perlomeno se uno va in pensione in anni come questi con le valutazioni azionarie piuttosto alte.
Oltre alla soluzione classica, ci sono due metodi principali.
Il primo è il cosiddetto metodo del Guardrail di Guyton e Klinger.
In pratica si basa sull’idea di avere un tasso di prelievo annuo variabile in base all’andamento del mercato all’interno di due “Guardrail” appunto.
Il modello potrebbe funzionare più o meno così:
– Parto con un tasso di prelievo che può anche essere il 4% e poi ogni anno aggiusto per inflazione come nel modello di Bengen;
– Però poi fisso due guardrail del 20%, cioè il prelievo deve sempre essere 4% +o- 20%, che poi vuol dire: mai di più del 4,8% e mai meno del 3,2%
– Se ad un certo punto il portafoglio va malino e il mio prelievo supererebbe il 4,8% del valore del portafoglio, allora tiro la cinghia e quell’anno prelevo un 10% in meno.
– Se invece il portafoglio va benissimo e il mio prelievo sarebbe meno del 3,2%, allora posso sbragare e prelevare un 10% in più.
Questa strategia non è universalmente apprezzata e per esempio sia ERN che Kitces ne riconoscono i pregi ma pure i limiti.
– Il pregio è che permette di gestire meglio il “consumo” del portafoglio, evitando di prelevare troppo se il mercato sta attraversando una fase negativa cosa che avrebbe un impatto negativo sul recupero futuro. E fare questo, in media, dovrebbe permettere di riuscire a spendere di più del proprio portafoglio, ma attenuando in parte il rischio di sequenza.
– Il difetto è che richiede un’ampia flessibilità e la capacità di poter ridurre anche significativamente la quantità di soldi a disposizione per un certo anno.
Un’altra strategia, che è la preferita di Christine Benz, è la cosiddetta Bucket Strategy, il metodo dei secchielli.
L’idea è dividere il portafoglio in tre parti:
– Cash per coprire circa tre anni di spese, quindi treasury bills o strumenti monetari che replicano il tasso di interesse a breve termine;
– Bond intermedi, prevalentemente titoli di stato ed eventualmente corporate bond di alta qualità per coprire da 4 a 7-8 anni di spese; e infine
– Azioni per tutto il resto.
In questo modo il primo bucket serve per pagare le spese a breve termine, mentre gli altri due servono per ripristinare progressivamente il primo man mano che il tempo scorre, con l’idea che quanto il mercato va bene si attinga principalmente dal bucket azionario mentre durante un bear market si attinge dal bucket obbligazionario.
In un’altra versione di questo modello di prelievo, valutata positivamente sia da Kitces che da ERN, non si va a ripristinare progressivamente i vari secchielli, ma li si svuota partendo dal primo Bucket, poi si passa al secondo e poi al terzo, cioè prima si consuma il cash, poi i bond e poi le azioni.
Alla base di questa alternativa c’è l’idea di conciliare la metodologia di prelievo con il concetto di equity glidepath che abbiamo già raccontano altre volte.
Nel 2013 Kitces e Wade Pfau scrissero un paper in cui mostravano come si potesse minimizzare l’impatto del rischio di sequenza modificando la regola classica che voleva che con il passare dell’età si passasse gradualmente ad un portafoglio sempre più obbligazionario.
Loro invece propongono un modello a U, in cui — detta alla buona — nei dieci anni prima del retirement si riduce la quota azionaria, mentre nei dieci anni successivi si ricomincia ad aumentarla.
Questa strategia dovrebbe realizzare due obiettivi:
– il primo è minimizzare l’impatto di un crollo del mercato subito all’inizio della pensione, che è lo scenario peggiore perché accelera il consumo del portafoglio;
– il secondo è minimizzare l’impatto dell’inflazione a lungo termine, che il grosso problema se hai un portafoglio prevalentemente obbligazionario.
Ecco allora che allora che la Strategia dei Secchielli non ripristinati va in questa direzione, perché indirettamente, man mano che esaurisci il primo, poi passi al secondo e solo alla fine attingi dal terzo, vai gradualmente ad aumentare la quota di azioni del portafoglio senza necessità di fare un ribilanciamento.
Poi naturalmente il portafoglio può essere comunque ribilanciato in base ad altre considerazioni di asset allocation, però lo stesso Kitces ha scritto un recente articolo in cui spiegava che la Bucket Strategy fatta in questo modo sarebbe un metodo più intuitivo per l’investitore medio per gestire l’idea di dover aumentare l’esposizione azionaria durante il pensionamento, cosa che invece va un po’ contro il senso comune.
ERN infine propone un metodo che si basa sul CAPE Ratio.
In molti suoi articoli ricorrono due idee:
– la prima idea è che i movimenti dei prezzi delle azioni siano un random walk solo nel breve-medio termine, mentre invece nel medio-lungo periodo tendono a subire una regressione verso la media piuttosto sistematica — e noi siamo molto d’accordo con quest’idea;
– la seconda idea è particolarmente interessante e anche su questo mi trova molto d’accordo, per quanto valga la mia inutile opinione, ossia: l’andamento del mercato azionario è imprevedibile, ma non del tutto casuale. Lui non la dice così, ma tradotta nei termini che usiamo spesso a the bull, il fatto che ci sia autocorrelazione nel breve — cioè nel breve si creano dei trend che perdurano per un po’ — e regressione verso la media nel lungo termine fa sì che in qualche modo l’andamento degli anni passati influisca su quello degli anni futuri. Noi ci possiamo fare molto poco per sfruttare questa cosa, però preso atto di ciò, ERN preferisce sempre usare i dati storici per fare le sue simulazioni invece che le cosiddette simulazioni di Montecarlo, in cui un programma simula decine di migliaia di variabili casuali, solitamente sulla base di rendimenti medi storici e deviazione standard.
ERN dice: non puoi prevedere il mercato. Ma non è così casuale come vorrebbe un puro random walk e nel lungo termine puoi aspettarti l’alternanza di determinati cicli.
Tornando al suo metodo, lui suggerisce di selezionare il tasso di prelievo del portafoglio partendo dallo Shiller CAPE Ratio, anzi dall’inverso che è UNO diviso CAPE ratio, chiamato CAPE Yield.
Che è la stessa roba dell’Earning Yield, solo che invece che partire dal PE ratio, parti dal CAPE ratio.
La sua formula è 1,5 + 0,5*CAPEY e questo sarebbe il tasso di prelievo dinamico da applicare via via.
Oggi per esempio il CAPE è all’astronomico valore di 35, quindi 1 diviso 35 fa 2,8% e qualcosa. Per 0,5, fa 1,4% + 1,5 fa circa 2,9%.
Se andassi in pensione nel 2025, dovrei applicare un tasso di prelievo del 2,9%.
Ovviamente questo ha senso se il grosso del mio portafoglio azionario è S&P 500.
Se invece ho un portafoglio con un’esposizione azionaria diversa, a logica, userò un valore diverso.
Per esempio il sempre eccellente tool Asset Allocation Interactive di Research Affiliates di Rob Arnott da il CAPE ratio di tutti i Paesi.
Per i paesi sviluppati ex US il CAPE attuale è intorno a 19.
Se facciamo una media tra Stati Uniti ed Ex Stati Uniti viene fuori circa 27, uno diviso 27 fa 3,7%, per 0,5 fa 1,85, + 1,5 fa 3,35%, quindi teoricamente potrei prelevare un po’ di più se ho un portafoglio più diversificato con valutazioni più basse — e infatti avevo detto all’inizio che il suo tool proponeva 3,5% come tasso di prelievo sicuro per il mio portafoglio per 30 anni, che scende a 3,25 per 40 anni.
Invece se ci trovassimo nel febbraio del 2009, con valori CAPE ratio per l’S&P 500 praticamente di un terzo, intorno a 13, potremmo considerare di prelevare anche magari il 6% all’anno, nell’aspettativa che prezzi così depressi preluderebbero a rendimenti futuri elevati.
Niente è scritto nella pietra, ma il CAPE ratio di un dato anno ha una correlazione statistica con i rendimenti dei dieci anni successivi dal 40 al 70% a seconda di come vengono fatti i calcoli.
Perfettamente inutile per fare previsioni.
Piuttosto elevata per considerarla irrilevante e finora si è dimostrata piuttosto attendibile sul lungo termine, benché forse, per come è costruita, tenda a sottostimare i rendimenti attesi di circa un 20%, come hanno calcolato Victor Hagani e James White, mostrando invece che una versione alternativa del CAPE che tenesse conto del reinvestimento degli utili non distribuiti avrebbe avuto un potere predittivo praticamente perfetto, almeno sino ad oggi.
Poi magari in futuro le cose cambieranno, è giusto che i prezzi siano elevatissimi, che i costi più bassi e la maggiore partecipazione azionaria giustifichino multipli più alti e qualunque altra considerazione. Tutto possibile.
Certo, l’ultimo che disse che il mercato aveva raggiunto un plateau che sarebbe rimasto permanentemente elevato fu il grande economista Irving Fisher, che ebbe la sfiga di pronunciare questa frase il 16 ottobre del 1929. Il 24 ottobre ci fu il giovedì nero e da lì in poi, beh, bene ma non benissimo…
Bene cari aspiranti giovani semi pensionati o finanziariamente semi liberi amici miei, spero che questa carrellata su alcune tematiche del FIRE vi sia piaciuta e che possa essere un utile spunto per le vostre pianificazioni a lunghissimo termine.
Ricordatevi che in descrizione vi metto il link a ERN, al suo Google Sheet di pianificazione e al tool per calcolare il target per il COAST — sempre che non mi dimentichi, quindi se non lo vedete qualcuno mi scriva che li metto.
Oh alla fine parlo di pensione anticipata perché ho 40 anni, sto tutto il giorno davanti al computer e inizio ad essere un po’ rincoglionito.
Prima di diventarlo del tutto vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che magari non vi mandano in FIRE ma in semi-libertà finanziaria vigilata con la condizionale forse sì, sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con il primo appuntamento di luglio in cui faremo il punto su questi primi pazzi 6 mesi dell’anno e parleremo anche di tante altre cose sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Questo è un podcast che parla soprattutto di finanza personale, investimenti e mercati, ma con un chiaro e preciso obiettivo che attraversa tutti gli episodi e che in qualche modo ne costituisce la ragion d’essere: costruire il percorso migliore possibile per realizzare la LIBERTA’ FINANZIARIA.
Cosa sia libertà finanziaria è una definizione piuttosto soggettiva.
Diciamo però che quella rappresenta il raggiungimento di un bilancio economico famigliare in cui — mettiamola così — i soldi non sono più un problema.
Data questa definizione, chiaramente si apre un mondo di possibilità.
Per alcuni, libertà finanziaria significa creare un patrimonio per realizzare specifici obiettivi come comprare una casa, pagare l’università ai figli o lasciare una grossa eredità.
Per altri significa diventare ricchi ed elevare significativamente lo standard di vita.
Per altri significa smettere di lavorare anzitempo e vivere di rendita.
Quest’ultimo è sicuramente il sogno definitivo di chiunque si affaccia all’inizio a questo meraviglioso mondo del personal finance e scopre quel mito leggendario che è diventato celebre sotto l’acronimo FIRE, che sta Financial Independence Retire Early, ossia: indipendenza finanziaria, pensionamento anticipato.
Quando però si approfondiscono abbastanza i temi di cui parliamo qui, aumentano gli anni di esperienza con maggiore consapevolezza finanziaria e si passano centinaia di ore su file di pianificazione, asset allocation e tutte quelle belle cose che la maggior parte di voi ha fatto trasformando dei fogli Excel in mostri mitologici a sette teste e quarantanove grafici, ci si rende conto che il FIRE, preso in sé e per sé nella sua forma più pura, ha due problemi:
– Uno è MATEMATICO: a meno che uno abbia un mix non comune tra alta capacità di risparmio e predisposizione ad una vita molto frugale, l’obiettivo classico del FIRE, cioè di vivere di rendita già a partire dai propri quarant’anni, è piuttosto complicato — e tra pochissimo vedremo perché;
– L’altro problema invece è, diciamo, PSICOLOGICO: andare in FIRE — oppure, tradotto in Italiano: non fare una beata mazza — per il resto della vita è una prospettiva incredibilmente sexy finché ciascuno di noi è qua a spaccarsi il posteriore ogni giorno da anni barcamenandosi tra il proprio lavoro, la vita famigliare e tutto il resto. Ma probabilmente se uno riuscisse davvero ad andare in Fire, dopo qualche mese comincerebbe a sentire la mancanza di una dimensione professionale: sad but true, l’uomo non è fatto per non lavorare. Il rischio è di avere una situazione finanziaria solida, ma una totale mancanza di appagamento.
L’episodio di oggi non vedevo l’ora di scriverlo, perché è l’occasione per mettere insieme un po’ di idee sua una versione più realistica e realizzabile del FIRE — e che in ultima istanza rappresenta meglio l’idea di Libertà Finanziaria che più appartiene al mio pensiero. Negli Stati Uniti, la formula più vicina a ciò che secondo me rappresenta la forma libertà finanziaria più sostenibile e compatibile con la nostra ineliminabile esigenza di sentirci utili nel mondo è il cosiddetto COAST FIRE, dove COAST è scritto “coast”, come la parola inglese per costa.
Oggi quindi parleremo di queste cose:
– Nella prima parte ripercorriamo brevemente tutto ciò che c’è da sapere sul FIRE, come calcolare il nostro livello di presunta libertà finanziaria e quali sono eventualmente le criticità da tenere di conto.
– Nella seconda spiegheremo cos’è il COAST FIRE e perché è un’alternativa più realistica e probabilmente più sensata per la maggior parte di noi.
– Nella terza, se nel frattempo non avrò esaurito il tempo, parliamo delle migliori strategie per finanziare qualunque forma di FIRE uno abbia raggiunto, ossia come prelevare soldi dal portafoglio minimizzando i rischi sia di finire senza soldi prima di schiattare, sia di schiattare con troppi soldi — che come vedremo, per quanto strano possa sembrare, è in realtà il rischio più probabile.
Partiamo dall’inizio.
Nel 1994 William Bengen scrive il paper che è universalmente considerato l’atto di nascita del FIRE, o comunque la sua base teorica più importante: Determining Withdrawal Rates Using Historical Data.
Nel 1998 viene invece pubblicato un altro paper da tre ricercatori del Trinity College passato alla storia come il Trinity Study.
Senza entrare troppo nel dettaglio, questi due paper sono quelli che hanno fondato i principi più noti del FIRE, che possiamo riassumere in questo modo: un portafoglio diversificato di azioni e titoli di Stato sarebbe quasi certamente in grado di sopravvivere senza esaurirsi per almeno 30 anni se preleviamo il 4% all’anno.
Siccome il 4% di qualcosa è un venticinquesimo, è da qui che nasce l’idea che una volta che il mio portafoglio raggiunge un valore equivalente a 25 volte la mia spesa annuale lorda, allora posso ragionevolmente ritenere di poter vivere di rendita per almeno 30 anni.
Facciamo un esempio numerico facile giusto per capirci, che magari via audio qualcuno si perde via.
Diciamo che per vivere mi servono 40.000 € lordi all’anno — e dico lordi perché ovviamente quando prelevo dal portafoglio dovrò pagare delle tasse, quindi l’importo netto sarebbe circa, boh, un media intorno a 35.000 €, a seconda di quanti titoli di stato abbiamo che abbassano le tasse sul capital gain. Ricordiamoci che le tasse si pagano sul capital gain, cioè sulla differenza tra il prezzo medio a cui abbiamo acquistato i nostri asset negli anni e il prezzo a cui li vendiamo, non su tutto l’importo che preleviamo.
Comunque se il target è 40.000 €, allora 40.000 * 25 fa un milione di euro.
Con un milione di euro in un portafoglio diversificato di azioni e obbligazioni dovrei poter sopravvivere per almeno 30 anni prelevando 40.000 € il primo anno e aggiustando poi il prelievo per inflazione negli anni successivi al primo, così che il mio potere d’acquisto resta sempre lo stesso.
Ora, tutto bellissimo, però da qui nascono una serie di problemi.
Il PRIMO PROBLEMA riguarda il fatto che non è una cosa semplicissima da realizzare, se non a condizione di avere già molto capitale a disposizione, oppure una fortunata combinazione tra reddito molto alto e uno stile di vita molto frugale.
Facciamo un esempio più concreto.
Diciamo che io ad un certo punto voglio andare in FIRE e che per finanziare la vita della mia famiglia mi servono 3.000 € netti al mese reali, cioè l’equivalente di quello che OGGI posso comprare con 3.000 € netti.
Assumiamo un’inflazione media del 2,5% all’anno, che in Europa potrebbe essere una ragionevole approssimazione di lungo termine.
Se voglio applicare il FIRE alla lettera, succede questo:
Ad esempio: Se voglio andare in FIRE tra 10 anni mi serviranno quasi 1.350.000 €. Con questa cifra preleverò il 4% all’anno, 54.000 €, circa 46.000 € al netto delle tasse, che in valore reale, adeguato ad un’inflazione del 2,5% all’anno per 10 anni, sono appunto i 3.000 € netti che volevo.
Però come faccio ad andare in Fire tra 10 anni a queste condizioni?
Ipotizziamo che il portafoglio renda 6% all’anno, praticamente mi servono 8.000 € al mese se parto da zero, 7.000 se parto già da un patrimonio di 100.000 €.
Scenario irrealistico ai più.
Se invece voglio andare in FIRE tra 20 anni e avere sempre la possibilità di prelevare l’equivalente di 3.000 € netti reali, mi serviranno quasi 1.750.000 €. Dovrò versare 3.800 € al mese partendo da zero o circa 3.000 al mese se parto già con un patrimonio di 100.000 €.
Capite che anche in questo caso la cosa è forse fattibile per qualche famiglia in più, anche perché i 3.800 € al mese varranno sempre meno nel corso dei prossimi 20 anni, però nemmeno questa è una passeggiata alla portata di molti.
In generale c’è una rule of thumb, cioè una regoletta di massima che senza stare a fare troppo i conti aiuta a capire quanto ci serve per andare in FIRE.
Immaginiamo di avere un reddito e una capacità di risparmio costante e di voler spendere in FIRE esattamente tanto quanto spendiamo oggi, bisogna fare: 7 diviso la nostra percentuale di risparmio.
Non è precisissima, in alcuni casi è meglio 6, in altri 8, e poi dipende dal rendimento del portafoglio.
Però se vogliamo avere una indicazione alla buona funziona abbastanza bene.
Se per esempio riesco a risparmiare il 30% del mio reddito ogni mese, allora 7 diviso 30% fa circa 26-27 anni. In 26-27 anni raggiungerei la cifra che mi serve. E così via, la formula funziona abbastanza bene con un risparmio tra il 20 e il 60% e un rendimento del portafoglio intorno al 6-7%.
Queste ovviamente sono tutte assunzioni estremamente semplificative, ma vi danno l’idea che la cosa è realizzabile in teoria, ma in pratica, se uno volesse davvero realizzare il FIRE duro e puro, potrebbe farlo solo a condizione di fare molti sacrifici durante la fase di accumulo e avere uno stile di vita piuttosto contenuto in quella decumulo.
E questo è il primo problema.
Però anche ammesso di essere in grado di risolverlo, c’è un altro problema da considerare.
Il SECONDO PROBLEMA è che molto probabilmente — come dire — questa regola meccanica, spesa annuale per 25 e poi prelievo del 4% all’anno aggiustato per inflazione, non è detto che funzioni.
Il nome di questo problema, molto caro a chi vi parla e spero anche a tutti voi che mi seguite, dato che è forse uno dei concetti più importanti di tutto l’ambaradan della finanza personale, è RISCHIO DI SEQUENZA.
Per chi fosse qui con noi da poco, il rischio di sequenza è semplicemente il fatto che l’ordine in cui si susseguono periodi di mercato positivi o negativi conta sul risultato finale se nel frattempo contribuisci o togli soldi dal portafoglio.
In pratica, se io oggi ho 100.000 € investiti e non tocco il mio portafoglio, è irrilevante se nei prossimi due anni il mio portafoglio fa -10% il primo e +20% il secondo o +20% il primo e -10% il secondo, alla fine mi ritroverò sempre con circa 108.000 €.
È molto diverso invece se io nel frattempo sto facendo un piano di accumulo, oppure se sono in FIRE e sto prelevando dal portafoglio.
Nel primo caso, se sto accumulando, il mio scenario migliore è il primo, -10% il primo anno e +20% il secondo.
Mettiamo che aggiungo 1.000 € al mese, arriverò a circa 135.000 € contro 131.000 del secondo caso.
Viceversa, se sto prelevando ogni anno, il mio scenario migliore è il secondo, +20% il primo anno e -10% il secondo, perché all’inizio del terzo anno mi ritroverei con 4.000 euro in più.
Il RISCHIO di SEQUENZA è un concetto importantissimo ed il motivo alla base di quello che diciamo sempre quando ci sono momenti negativi di mercato, ossia che durante la fase di accumulo dobbiamo essere felici che ciò accada perché il rischio di frequenza gioca a nostro favore, ci permette di acquistare a prezzi più bassi e quindi aumenta il rendimento atteso.
Al contrario quando entriamo in retirement o in fire o quel che volete, l’ideale è avere subito un periodo positivo e poi un periodo negativo, perché altrimenti se succede il contrario viene consumata una porzione maggiore del nostro portafoglio.
Che in pratica non è che un modo per dire: quando COMPRO è meglio se il mercato sta andando inizialmente giù, mentre quando VENDO è meglio se il mercato sta andando inizialmente su.
Nella fase di accumulo, però, è bene sapere che c’è questa cosa, ma non è che ci sia molto che ci possiamo fare, se non per una cosa che dirò più avanti.
Nella fase di decumulo, invece, fa una differenza esorbitante tra la vita e la morte, perché se decidiamo di andare in FIRE e ci dice sfiga e ci becchiamo la stessa sorte di chi ci è andato nel 2005, eh, tanti auguri, corriamo il rischio mortale che il nostro portafoglio sopravviva molto meno del previsto.
L’altro rischio, invece, che è chiaramente un happy problem, è esattamente quello opposto, ossia che becchiamo una sequenza fortunata, come chi è andato in FIRE magari nel 2015, con il mercato tornato ai massimi dopo la GFC e che ha corso praticamente ininterrottamente sino ad oggi, dato che giovedì l’S&P 500 ha chiuso finalmente ad un nuovo all time high, superando il record del 19 febbraio e praticamente sbattendosene di dazi, guerre, debito e tutto il resto.
Non sono stato troppo a specificare come deve essere fatto il portafoglio durante il retirement — e su questo dirò giusto un paio di cose prima della fine — perché in realtà, per quanto strano possa sembrare, l’asset allocation quando uno decide di andare in FIRE e vivere di rendita impatta molto meno del rischio di sequenza.
Il blog definitivo se uno vuole farsi un corso approfondito di livello pro sul FIRE, sul retirment, sul safe wtihdrawal rate, cioè sul tasso di prelievo sicuro per non esaurire il portafoglio quando uno è in pensione, non credo ci sia un posto migliore del sito Early Retirement Now, gestito da Karsten Jeske, un formidabile tizio tedesco/americano, PhD in Finanza, CFA, che ha lavorato alla Fed di Atlanta e poi come asset manager presso BNY Mellon. Dal 2018, tanti saluti a tutti, è andato in Fire da milionario e ora scrive questo blog, incredibilmente denso a approfondito, in cui spiega ogni dettaglio e cavillo da sapere per chi vuole andare in pensione anticipata.
È un filo tecnico, alcuni articoli hanno un po’ di matematica, ma complessivamente si capisce tutto.
Ecco, la serie sul retirement e sul safe withdrawal rate è composto da più di 50 articoli e ciascun articolo è lungo più o meno come un episodio del nostro podcast, quindi visto che arriva l’estate se non sapete cosa leggere…
Ad ogni modo, Karsten ha fatto due conti facendo delle regressioni statistiche basate sui dati storici e ha calcolato che l’asset allocation del portafoglio quando uno va in FIRE spiega solo un terzo dei risultati, mentre quasi due terzi del successo o del fallimento del programma “vado in FIRE e vivo di rendita” dipende dal rischio di sequenza.
Giusto per fare un esempio, chi fosse andato in pensione a partire dal 1969, con un portafoglio 75/25, quindi 75% S&P 500 e 25% Treasury intermedi, per i 30 anni successivi avrebbe avuto un rendimento reale, al netto dell’inflazione, di circa il 6,2%.
Lo stesso sarebbe capitato, con il medesimo portafoglio, a chi fosse andato in pensione nel 1979, dieci anni dopo, anzi leggermente meno 6%.
La cosa sconvolgente, però, è che il pensionato del 1969 avrebbe potuto prelevare al massimo il 3,8% all’anno per non finire i soldi prima dei trent’anni.
Invece il pensionato del 1979, a parità di rendimento medio reale, avrebbe potuto permettersi di prelevare addirittura il 9% all’anno!
Perché questo?
Beh chiaramente al primo ha detto proprio male il timing.
Dal 1969 all’inizio degli anni 80 il mercato è stato funestato dalla crisi petrolifera e dall’iperinflazione.
Partire in retirement con pesanti bear market è l’inferno.
Invece quello 1979 si sarebbe beccato i vent’anni migliori della storia del mercato americano, prima che poi iniziasse il decennio perduto.
Ma messo in quest’ordine, i dorati anni 80 e 90 hanno più che compensato il disastro dei primi 2000.
Questo è solo un esempio per farci capire che la dispersione dei risultati possibile, quando uno fa i calcoli per il FIRE, è veramente molto ampia.
A partire dallo stesso capitale e con lo stesso portafoglio, a seconda di come ti gira potresti finire sotto un ponte gli ultimi anni della tua vita o morire multimilionario.
Sempre ERN ha calcolato che la regola del 4% non assicura il 100% di sopravvivenza del portafoglio per 30 anni con nessuna asset allocation.
Sul suo sito c’è uno spettacolare calcolatore che farà impazzire tutti gli ingegneri, informatici e nerd vari che mi ascoltano e che vi metto in descrizione.
Impostate l’asset allocation che volete e potete aggiungere mezzo milione di altri parametri e vi fa tutte le simulazioni che volete in un google sheet piuttosto brutto ma veramente impressionante per completezza e precisione.
Se volete divertirvi, dateci dentro.
Per esempio un portafoglio come il mio, 34% S&P 500, 34% azioni ex Stati Uniti, 17% titoli di stato intermedi, 7% titoli di stato a lunga scadenza e 8% di oro, avrebbe avuto storicamente un tasso di successo del 100% per trent’anni prelevando il 4%, ma non partendo dalle valutazioni attuali.
Infatti nel file, se volete, troverete 5 scenari:
– Quello dal 1871 ad oggi
– Quello dal 1926, ossia da quando abbiamo i dati veri sull’S&P 500
– Quello in cui si comincia con un valore di CAPE Ratio inferiore a 20
– Quello con CAPE ratio superiore a 20 e infine
– Quello con CAPE ratio superiore a 20 e S&P 500 ai massimi storici, che esattamente dove siamo oggi.
Per chi non lo sapesse il CAPE ratio è il rapporto medio tra prezzi e utili dell’S&P 500 degli ultimi 10 anni adeguato per inflazione.
Al di là di cosa sia nel dettaglio, è semplicemente una misura molto usata per determinare quanto le azioni americane sono costose rispetto agli utili generati negli ultimi 10 anni.
È noto che c’è una correlazione negativa tra i valori del CAPE ratio e i rendimenti dei 10-15 anni successivi.
Più i valori di partenza sono elevati, minore è il rendimento atteso, perché chiaramente il rendimento di un investimento è fortemente condizionato dal prezzo a cui lo paghi.
Se andassi in FIRE oggi, con il mio portafoglio, non dovrei superare un prelievo del 3,5% all’anno.
Questo significa che per andare in FIRE non mi basterebbe il mio fabbisogno lordo per 25, bensì per 28,5, complicando ulteriormente il primo problema di cui parlavamo prima.
Ho fatto diverse prove con vari tipi di portafoglio e partendo dai prezzi di oggi, nessun portafoglio sembrerebbe in grado di sopravvivere 30 anni con un prelievo dl 4%, figuriamoci poi se uno vuole andare in FIRE alla mia età e sperare di vivere altri 40 anni o più.
Tutto ciò non è nuovo, se vi ricordate quando era venuta da noi la mia amica e angelo custode Christine Benz — a cui tra l’altro devo più di un favore visto che senza di lei non avrei mai conosciuto William Bernstein e Jason Zweig — dicevo Christine aveva appena curato lo studio annuale di Morningstar sul Safe Withdrawal rate e ci aveva confermato che un valore tra 3,5 e 3,7% era più realistico per un mix di azioni e obbligazioni.
Il motivo è semplicemente che le valutazioni americane sono molto elevate e i rendimenti attesi sono piuttosto bassi, come abbiamo già detto un sesquiliardo di volte.
Però, come dicevo prima, il problema è duplice.
Perché da una parte, siccome non posso rischiare di finire senza soldi, devo scegliere un tasso di prelievo conservativo, a meno che ovviamente non abbia altre entrate, però se parliamo di Fire puro non ci sono altre entrate.
D’altra parte riprendo un calcolo fatto da Michael Kitces, che è l’equivalente di Obi Wan Kenobi nel mondo del retirement planning, e che spesso citiamo.
Kitces ha calcolato che su 30 anni con 3,5% di prelievo annuo c’è un 50% di probabilità di finire con un patrimonio da 7 a 10 volte superiore a quello di partenza!
Come dicevo: happy problem!
Però happy fino ad un certo punto, perché esistenzialmente è un disastro: vuol dire vivere al di sotto dei propri mezzi, magari continuando a fare sacrifici tutta la vita, per poi morire multimilionario.
Per esempio, il signore andato in pensione nel 1979, diciamo con un milione di euro per fare i conti facili e con un portafoglio 75/25 ribilanciato annualmente, se avesse prelevato il 3,5% all’anno per trent’anni, nel 2009 si sarebbe ritrovato con un patrimonio da oltre 8 milioni di dollari!
E anche questo è da evitare, perché il senso di accumulare capitale è quello poi di poterlo spendere nel migliore dei modi.
Ma su come spenderlo, ci torniamo alla fine dell’episodio.
Ora, abbiamo però capito che rispetto all’ideale fighissimo del FIRE classico abbiamo due problemi.
– Il primo è che è molto complicato da raggiungere perché servono generalmente tanti soldi;
– Mentre il secondo, che acuisce anche il primo, è che la combinazione tra il rischio di sequenza e le elevate valutazioni attuali da cui partiamo oggi fanno sì che probabilmente il tasso di prelievo sicuro non sia 4%, ma forse un po’ meno e quindi non bastano più 25 volte la mia esigenza di spesa annuale lorda, ma forse 28-30.
E dopo tutto questo pippozzo iniziale, che però era imprescindibile per capire il senso del discorso, arriviamo finalmente alla soluzione più sostenibile, almeno per un più vasto numero di famiglie.
Questa soluzione è una versione moderata di FIRE che si chiama Coast FIRE e che funziona così.
– Si determina il capitale con cui si vuole andare in FIRE
– Si decide tra quanti anni si vuole andare in FIRE
– E infine si calcola quanto capitale bisogna avere ad un certo affinché io non debba più continuare a risparmiare come un pazzo per tutta la vita, perché poi basta il rendimento composto a raggiungere il target.
Anche qui, facciamo un esempio e poi se volete in descrizione c’è il link ad un calcolatore online chiamato Walletburst che vi permette di fare il conto.
Facciamo tutto il ragionamento preciso.
Diciamo che voglio andare in FIRE con 2.000 € netti al mese in valore reale, cioè tra 10-20-30 anni questi 2.000 euro devono permettermi di comprare quello che comprerei oggi.
Diciamo che ho 30 anni e che voglio andare in FIRE a 60, significa che ho 30 anni di tempo per arrivarci.
Il trick del Coast Fire consiste nel capire quanti soldi devo accumulare prima di essere ragionevolmente convinto che da lì in poi il capitale continuerà a crescere senza che io debba più aggiungere nulla.
Per semplicità ipotizziamo sempre di avere un portafoglio con un rendimento conservativo del 6% all’anno, 2,5% all’anno di inflazione e 3,5% di tasso di prelievo annuo.
Il numero finale da raggiungere a 60 anni è circa 1.700.000 di euro.
Se però io oggi avessi già 300.000 €, potrei non risparmiare più un euro e spendere tutto quello che guadagno per i prossimi 30 anni e so che a 60 avrò più o meno la cifra che mi serve.
Se invece non ho già quel patrimonio investito allora posso calcolare quanto devo mettere da parte prima di poter togliere il piede dall’acceleratore, smettere di risparmiare e lasciare che il mio capitale cresca da solo.
Per esempio posso decidere di spingere per i primi 20 anni di questo progetto, massimizzare il mio reddito, minimizzare le spese e investire al massimo nel mio portafoglio.
Se parto da zero, con 2.000 € al mese investiti raggiungerei i circa 940.000 € tra 20 anni che mi servono perché senza ulteriori contributi diventino circa 1.700.000 10 anni dopo.
È tanto?
È poco?
È irrealistico?
È troppo conservativo?
Ci sono mille variabili in gioco:
– Potrei non partire da zero e avere già un capitale da investire subito;
– Potrei non volere andare in FIRE con 2.000 netti al mese ma magari con 1.500;
– Inoltre i 2.000 € di contributo mensile sono tanti oggi, ma sempre meno con il passare del tempo per via dell’inflazione e dell’auspicabile aumento del reddito.
Il punto non è il calcolo in sé, che ciascuno può adattare alle proprie esigenze.
Il punto è capire quali sono i benefici del COAST FIRE, rispetto al FIRE classico.
– Il PRIMO è che fondamentalmente è un modo per raggiungere la libertà finanziaria… prima di raggiungerla. Mi spiego: una volta che ho raggiunto il target e poi lascio correre il portafoglio da solo, di fatto a quel punto nella mia vita si aprono molteplici opzioni.
– Per esempio posso elevare il mio stile di vita avendo a disposizione più risparmio che non devo più investire
– Oppure posso scegliere di cambiare lavoro per uno meno remunerato perché non ho bisogno di accumulare capitali nel mio portafoglio;
– Oppure chiaramente una diversa combinazione dei due.
– Il SECONDO è che rispetto al FIRE classico mi dà molta più flessibilità:
– Intanto posso prendermi maggior rischio nella mia asset allocation e provare a far rendere il mio portafoglio di più, perché nella peggiore delle ipotesi, se becco una sfortunata configurazione di mercato, posso semplicemente decidere di continuare a lavorare; in caso fortunato, invece, magari il target per il COAST fire lo raggiungo prima.
Per esempio negli ultimi 20 anni (2005-2024) l’MSCI world ha reso in media il 9% all’anno, quindi — rispetto all’esempio di prima — bastavano 1.000 € al mese invece che 2.000 € per arrivare allo stesso risultato.
Ovviamente sappiamo tutti molto bene cosa comporti investire 100% azionario, ma se il mio obiettivo è il coast fire, in realtà è un rischio che uno si può prendere e se le cose vanno male al massimo ridefinirà le priorità della sua vita.
– Il secondo livello di flessibilità riguarda il target stesso. Nel FIRE classico si punta ad arrivare ad un certo valore, tradizionalmente 25 volte la spesa necessaria, e poi da lì in poi si vive di rendita. Qui invece con il COAST si tratta di intraprendere un percorso progressivo di semi-indipendenza finanziaria, che permette di adattare il tragitto in corso d’opera, senza dover necessariamente essere vincolato ad alcuni target specifici.
A volte per esempio capita di sentirsi imprigionati in un lavoro che non ci piace ma che siamo costretti a portare avanti per responsabilità finanziaria. Il Fire sarebbe la soluzione definitiva, mentre il COAST Fire sarebbe un’opzione intermedia che permette di prendere altre decisioni professionali coperti da un certo margine di sicurezza. E facendo questo, magari si è disposti a prendersi rischi che prima non ci saremmo presi e si potrebbe aprire opportunità che non avevamo contemplato e che invece che ridurre il nostro reddito finiscono per aumentarlo.
Insomma, la flessibilità è un grandissimo asset e la possibilità di unire flessibilità finanziaria con flessibilità professionale, senza correre il rischio di uscire completamente dal mondo del lavoro troppo presto o di cominciare anzitempo a consumare il nostro portafoglio è forse la value proposition più forte dietro l’idea di questa forma soft di indipendenza finanziaria.
Ovviamente ci sono una serie di aspetti potenzialmente rischiosi da considerare.
Da un lato bisogna mettere in conto alcune incognite finanziaria che potrebbero non venir catturate adeguatamente dal nostro bellissimo file excel. Per esempio:
– Potrebbero aumentare le nostre esigenze di spesa per motivi che non conosciamo ancora, per esempio per motivi di salute
– Oppure il ritorno del nostro portafoglio potrebbe essere significativamente inferiore alle attese
– Potrebbe esserci un’inflazione più elevata
E così via
Altri rischi invece sono più di natura psicologica:
– Ad esempio smettere di investire mensilmente dopo averlo fatto per anni potrebbe essere stressante;
– Oppure potrebbe essere difficile accettare l’idea di diventare professionalmente meno produttivi o in carriera
– Oppure ancora potrebbero cambiare alcune dinamiche famigliari se uno dei due partner comincia a guadagnare meno.
Probabilmente le considerazioni più importanti riguardano aspetti non strettamente finanziari, ma più legati a scelte di vita e condivisione di obiettivi se si ragiona a livello famigliare.
Il suggerimento che mi sentirei di dare è infatti quello di non impazzire con i calcoli perché naturalmente c’è un ampio margine di errore, sia in negativo che ancor più probabilmente in positivo, cioè che tenderemo ad essere iperconservativi nelle nostre valutazioni.
Dicevo, il suggerimento è piuttosto di fare delle valutazioni sull’equilibrio generale che vogliamo nella nostra vita e sui valori in cui ci rispecchiamo.
I soldi come sempre devono essere solo e soltanto un mezzo in vista di un fine, di conseguenza devono essere messi al servizio del progetto di vita che si vuole realizzare.
È la pianificazione finanziaria quindi che deve piegarsi alle esigenze della nostra vita e non il contrario, altrimenti l’accumulazione di patrimonio diventa un gioco fine a se stesso e nel frattempo ci perdiamo le cose davvero importanti, che alla nostra vita darebbero un senso più pieno.
Prendo in prestito alcune parole del nostro Nick Maggiulli per determinare se il COAST faccia o meno al caso nostro.
È giusto per me:
– SE work-life balance e maggiore libertà rispetto ai vincoli della carriera sono per me un valore;
– SE sono disponibile a risparmiare aggressivamente soprattutto nella fase iniziale della mia carriera (come dice lui: Go big, then stop).
– SE mi piace comunque lavorare e riesco a coprire le mie spese correnti una volta che raggiungo il COAST Target e infine
– SE sono in grado di adattare facilmente il mio stile di vita in contesti variabili, sia personali che di mercati.
Non fa invece per me:
– SE sto cercando l’indipendenza finanziaria completa;
– SE sono profondamente avverso al rischio e sono a disagio all’idea di coprire le mie future esigenze di spesa grazie ai soli rendimenti del mercato;
– O naturalmente SE ho delle spese continuative che richiedono un reddito elevato.
Prima di chiudere c’è un’ultima riflessione da fare, che non riguarda solo il COAST ma qualunque forma di FIRE in generale, o comunque che ha a che fare con quando iniziamo a prelevare dal nostro portafoglio e cioè: quali sono le migliori strategie per ritirare soldi in maniera efficace rispetto alla conservazione a lungo termine del nostro capitale.
Come abbiamo detto prima, la regola del 4% aggiustata ogni anno per inflazione è subottimale e probabilmente 4% è un valore troppo elevato, perlomeno se uno va in pensione in anni come questi con le valutazioni azionarie piuttosto alte.
Oltre alla soluzione classica, ci sono due metodi principali.
Il primo è il cosiddetto metodo del Guardrail di Guyton e Klinger.
In pratica si basa sull’idea di avere un tasso di prelievo annuo variabile in base all’andamento del mercato all’interno di due “Guardrail” appunto.
Il modello potrebbe funzionare più o meno così:
– Parto con un tasso di prelievo che può anche essere il 4% e poi ogni anno aggiusto per inflazione come nel modello di Bengen;
– Però poi fisso due guardrail del 20%, cioè il prelievo deve sempre essere 4% +o- 20%, che poi vuol dire: mai di più del 4,8% e mai meno del 3,2%
– Se ad un certo punto il portafoglio va malino e il mio prelievo supererebbe il 4,8% del valore del portafoglio, allora tiro la cinghia e quell’anno prelevo un 10% in meno.
– Se invece il portafoglio va benissimo e il mio prelievo sarebbe meno del 3,2%, allora posso sbragare e prelevare un 10% in più.
Questa strategia non è universalmente apprezzata e per esempio sia ERN che Kitces ne riconoscono i pregi ma pure i limiti.
– Il pregio è che permette di gestire meglio il “consumo” del portafoglio, evitando di prelevare troppo se il mercato sta attraversando una fase negativa cosa che avrebbe un impatto negativo sul recupero futuro. E fare questo, in media, dovrebbe permettere di riuscire a spendere di più del proprio portafoglio, ma attenuando in parte il rischio di sequenza.
– Il difetto è che richiede un’ampia flessibilità e la capacità di poter ridurre anche significativamente la quantità di soldi a disposizione per un certo anno.
Un’altra strategia, che è la preferita di Christine Benz, è la cosiddetta Bucket Strategy, il metodo dei secchielli.
L’idea è dividere il portafoglio in tre parti:
– Cash per coprire circa tre anni di spese, quindi treasury bills o strumenti monetari che replicano il tasso di interesse a breve termine;
– Bond intermedi, prevalentemente titoli di stato ed eventualmente corporate bond di alta qualità per coprire da 4 a 7-8 anni di spese; e infine
– Azioni per tutto il resto.
In questo modo il primo bucket serve per pagare le spese a breve termine, mentre gli altri due servono per ripristinare progressivamente il primo man mano che il tempo scorre, con l’idea che quanto il mercato va bene si attinga principalmente dal bucket azionario mentre durante un bear market si attinge dal bucket obbligazionario.
In un’altra versione di questo modello di prelievo, valutata positivamente sia da Kitces che da ERN, non si va a ripristinare progressivamente i vari secchielli, ma li si svuota partendo dal primo Bucket, poi si passa al secondo e poi al terzo, cioè prima si consuma il cash, poi i bond e poi le azioni.
Alla base di questa alternativa c’è l’idea di conciliare la metodologia di prelievo con il concetto di equity glidepath che abbiamo già raccontano altre volte.
Nel 2013 Kitces e Wade Pfau scrissero un paper in cui mostravano come si potesse minimizzare l’impatto del rischio di sequenza modificando la regola classica che voleva che con il passare dell’età si passasse gradualmente ad un portafoglio sempre più obbligazionario.
Loro invece propongono un modello a U, in cui — detta alla buona — nei dieci anni prima del retirement si riduce la quota azionaria, mentre nei dieci anni successivi si ricomincia ad aumentarla.
Questa strategia dovrebbe realizzare due obiettivi:
– il primo è minimizzare l’impatto di un crollo del mercato subito all’inizio della pensione, che è lo scenario peggiore perché accelera il consumo del portafoglio;
– il secondo è minimizzare l’impatto dell’inflazione a lungo termine, che il grosso problema se hai un portafoglio prevalentemente obbligazionario.
Ecco allora che allora che la Strategia dei Secchielli non ripristinati va in questa direzione, perché indirettamente, man mano che esaurisci il primo, poi passi al secondo e solo alla fine attingi dal terzo, vai gradualmente ad aumentare la quota di azioni del portafoglio senza necessità di fare un ribilanciamento.
Poi naturalmente il portafoglio può essere comunque ribilanciato in base ad altre considerazioni di asset allocation, però lo stesso Kitces ha scritto un recente articolo in cui spiegava che la Bucket Strategy fatta in questo modo sarebbe un metodo più intuitivo per l’investitore medio per gestire l’idea di dover aumentare l’esposizione azionaria durante il pensionamento, cosa che invece va un po’ contro il senso comune.
ERN infine propone un metodo che si basa sul CAPE Ratio.
In molti suoi articoli ricorrono due idee:
– la prima idea è che i movimenti dei prezzi delle azioni siano un random walk solo nel breve-medio termine, mentre invece nel medio-lungo periodo tendono a subire una regressione verso la media piuttosto sistematica — e noi siamo molto d’accordo con quest’idea;
– la seconda idea è particolarmente interessante e anche su questo mi trova molto d’accordo, per quanto valga la mia inutile opinione, ossia: l’andamento del mercato azionario è imprevedibile, ma non del tutto casuale. Lui non la dice così, ma tradotta nei termini che usiamo spesso a the bull, il fatto che ci sia autocorrelazione nel breve — cioè nel breve si creano dei trend che perdurano per un po’ — e regressione verso la media nel lungo termine fa sì che in qualche modo l’andamento degli anni passati influisca su quello degli anni futuri. Noi ci possiamo fare molto poco per sfruttare questa cosa, però preso atto di ciò, ERN preferisce sempre usare i dati storici per fare le sue simulazioni invece che le cosiddette simulazioni di Montecarlo, in cui un programma simula decine di migliaia di variabili casuali, solitamente sulla base di rendimenti medi storici e deviazione standard.
ERN dice: non puoi prevedere il mercato. Ma non è così casuale come vorrebbe un puro random walk e nel lungo termine puoi aspettarti l’alternanza di determinati cicli.
Tornando al suo metodo, lui suggerisce di selezionare il tasso di prelievo del portafoglio partendo dallo Shiller CAPE Ratio, anzi dall’inverso che è UNO diviso CAPE ratio, chiamato CAPE Yield.
Che è la stessa roba dell’Earning Yield, solo che invece che partire dal PE ratio, parti dal CAPE ratio.
La sua formula è 1,5 + 0,5*CAPEY e questo sarebbe il tasso di prelievo dinamico da applicare via via.
Oggi per esempio il CAPE è all’astronomico valore di 35, quindi 1 diviso 35 fa 2,8% e qualcosa. Per 0,5, fa 1,4% + 1,5 fa circa 2,9%.
Se andassi in pensione nel 2025, dovrei applicare un tasso di prelievo del 2,9%.
Ovviamente questo ha senso se il grosso del mio portafoglio azionario è S&P 500.
Se invece ho un portafoglio con un’esposizione azionaria diversa, a logica, userò un valore diverso.
Per esempio il sempre eccellente tool Asset Allocation Interactive di Research Affiliates di Rob Arnott da il CAPE ratio di tutti i Paesi.
Per i paesi sviluppati ex US il CAPE attuale è intorno a 19.
Se facciamo una media tra Stati Uniti ed Ex Stati Uniti viene fuori circa 27, uno diviso 27 fa 3,7%, per 0,5 fa 1,85, + 1,5 fa 3,35%, quindi teoricamente potrei prelevare un po’ di più se ho un portafoglio più diversificato con valutazioni più basse — e infatti avevo detto all’inizio che il suo tool proponeva 3,5% come tasso di prelievo sicuro per il mio portafoglio per 30 anni, che scende a 3,25 per 40 anni.
Invece se ci trovassimo nel febbraio del 2009, con valori CAPE ratio per l’S&P 500 praticamente di un terzo, intorno a 13, potremmo considerare di prelevare anche magari il 6% all’anno, nell’aspettativa che prezzi così depressi preluderebbero a rendimenti futuri elevati.
Niente è scritto nella pietra, ma il CAPE ratio di un dato anno ha una correlazione statistica con i rendimenti dei dieci anni successivi dal 40 al 70% a seconda di come vengono fatti i calcoli.
Perfettamente inutile per fare previsioni.
Piuttosto elevata per considerarla irrilevante e finora si è dimostrata piuttosto attendibile sul lungo termine, benché forse, per come è costruita, tenda a sottostimare i rendimenti attesi di circa un 20%, come hanno calcolato Victor Hagani e James White, mostrando invece che una versione alternativa del CAPE che tenesse conto del reinvestimento degli utili non distribuiti avrebbe avuto un potere predittivo praticamente perfetto, almeno sino ad oggi.
Poi magari in futuro le cose cambieranno, è giusto che i prezzi siano elevatissimi, che i costi più bassi e la maggiore partecipazione azionaria giustifichino multipli più alti e qualunque altra considerazione. Tutto possibile.
Certo, l’ultimo che disse che il mercato aveva raggiunto un plateau che sarebbe rimasto permanentemente elevato fu il grande economista Irving Fisher, che ebbe la sfiga di pronunciare questa frase il 16 ottobre del 1929. Il 24 ottobre ci fu il giovedì nero e da lì in poi, beh, bene ma non benissimo…
Bene cari aspiranti giovani semi pensionati o finanziariamente semi liberi amici miei, spero che questa carrellata su alcune tematiche del FIRE vi sia piaciuta e che possa essere un utile spunto per le vostre pianificazioni a lunghissimo termine.
Ricordatevi che in descrizione vi metto il link a ERN, al suo Google Sheet di pianificazione e al tool per calcolare il target per il COAST — sempre che non mi dimentichi, quindi se non lo vedete qualcuno mi scriva che li metto.
Oh alla fine parlo di pensione anticipata perché ho 40 anni, sto tutto il giorno davanti al computer e inizio ad essere un po’ rincoglionito.
Prima di diventarlo del tutto vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che magari non vi mandano in FIRE ma in semi-libertà finanziaria vigilata con la condizionale forse sì, sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo mercoledì prossimo con il primo appuntamento di luglio in cui faremo il punto su questi primi pazzi 6 mesi dell’anno e parleremo anche di tante altre cose sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025