Cosa è successo a Febbraio sui Mercati – Siamo in una Bolla?

Consueto appuntamento mensile con il recap dei fatti salienti del mese di Febbraio: dati sull'inflazione, exploit di Nvidia e qualche ragionamento sul timore che, come nel 2000, l'euforia irrazionale dei mercati stia creando una nuova bolla. Infine BTP Valore e Crociere immaginarie.

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85. Cosa è successo a Febbraio sui Mercati – Siamo in una Bolla?

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Punti Chiave

Confronto tra l'euforia attuale per l'AI (Nvidia) e la bolla dot.com, analizzando multipli e concentrazione di mercato.

Analisi dell'impatto di inflazione e risultati Nvidia, con i rendimenti di Febbraio degli indici (Nikkei record) e del BTP Valore.

Trascrizione Episodio

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“Dream of californication”

Correva l’anno 1999 e tutto il mondo si stava preparando per la possibile apocalisse nucleare causata dal millennium bug, quel fenomeno per cui allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, i computer del mondo sarebbero impazziti perché avrebbero registrato un cambio di data dal 99 allo 00, dato che allora per risparmiare memoria tutti i software esprimevano le date con solo due cifre.

Ovviamente non successe assolutamente nulla, ma per mesi i media cavalcarono il panico su questa storia assurda — e credo che ci fosse anche uno speciale di Halloween dei Simpsons sull’argomento.

Era però anche l’anno in cui i Red Hot Chili Peppers pubblicarono il loro capolavoro Californication, oltre 15 milioni di copie vendute il tutto mondo e una pioggia di singoli indimenticabili come la canzone omonima dell’album, Scar Tissue, Otherside e così via.

Allora non lo sapevamo ancora, e io tanto meno visto che avevo 13 anni e a tutto pensavo fuorché ai mercati finanziari, ma il 99 sarebbe stato anche l’ultimo glorioso anno di un rally azionario senza precedenti, che dal 1975 alla fine dell’ultimo anno del millennio avrebbe registrato una crescita di quasi il 17% all’anno, una roba mai vista e che difficilmente mai più vedremo nella storia su un così lungo periodo di tempo

Chi avesse investito 10.000 dollari all’inizio del 1975 avrebbe festeggiato il Capodanno del nuovo millennio con quasi 500.000 dollari in tasca, senza aver mosso un solo dito per 25 anni.

Col senno di poi, sappiamo che la bonanza sarebbe finita di lì a poco, grossomodo nell’estate del 2000, quando quella che passò alla storia come dot.com bubble, la grande bolla speculativa delle nuove società tecnologiche legate a Internet, la straordinaria nuova invenzione arrivata nel mondo nel 1995, cominciò a conflagrare provocando un crollo azionario devastante che si protrasse per oltre 2 anni.

L’S&P 500, che al suo picco di metà 2000 arrivò a quasi 1.480 punti, precipitò nel marzo del 2003 addirittura nei pressi degli 830 punti, lasciando per strada oltre il 40% del suo valore (con il Nasdaq che invece arrivò a perdere fino all’80% dal suo massimo).

Un disastro.

Il nuovo millennio aveva sì scampato il temuto bug informatico, ma in confronto si beccò questa crisi devastante, una bella recessione economica, l’11 settembre e George W Bush, la guerra in Afghanistan prima e in Iraq dopo, alla ricerca di armi di distruzione di massa che alla fine si scoprì che non erano più pericolose di una scacciacani e via dicendo, questa nuova era della nostra storia contemporanea partì veramente con il piede più sbagliato possibile.

E come sapete, quando finalmente tutto sembrava essere tornato a posto, nel 2008 ci fu la detonazione finale di una bomba atomica finanziaria che fu la crisi dei mutui subprime che poi portò a quella che ormai nei libri di storia è chiamata la Grande Crisi Finanziaria, il peggior dissesto mai capitato alla finanza e all’economia globale occidentale dai tempi della grande depressione del 1929.

Perché stiamo parlando di questa cosa e perché Californication?

Beh parliamo di questo perché da mesi si stanno ormai sprecando i confronti tra quel che sta succedendo ora sui mercati azionari, in particolare — ovviamente — su quello Americano, e l’euforia irrazionale durata fino alla fine degli anni 90 che avrebbe appunto portato alla internet bubble di inizio millennio.

Inoltre non poteva che essere Californication la migliore colonna sonora di questa puntata, capolavoro dei Peppers del 1999 che racconta del più amato Stato americano dove, oltre alle colline di Beverly Hills alle spiagge di Malibu e a tanti altri luoghi iconici di migliaia di film e serie tv che ci hanno accompagnato nei decenni, si staglia la Silicon Valley, il centro mondiale per eccellenza dell’imprenditoria digitale, delle startup e ovviamente dei mega colossi tech che stanno dominando il mercato da un pezzo ormai.

A parte Microsoft e Amazon che se ne stanno dalle parti di Seattle e Tesla ormai stabilmente in Texas, in California abbiamo: Apple a Cupertino, Google a Mountain View, Meta a Menlo Park e poi Chevron, Wells Fargo, Walt Disney, Intel, HP, Cisco, Qualcom, Broadcom, Uber, Netflix, Salesforce, Visa, Paypal, Ebay ma soprattutto lei, la regina indiscussa dei mercati di questi ultimi due anni, una realtà pazzesca che sta demolendo qualunque record di crescita mai vista nella storia del capitalismo mondiale.

Ovviamente stiamo parlando della società di Santa Clara guidata da Jen-Sun Huang Nvidia.

Il colosso mondiale leader indiscusso nella progettazione dei più avanzati chip fondamentali per supportare le applicazioni di intelligenza artificiale generativa è senza dubbio diventata, in questo momento, la più importante società del mondo.

Parleremo tra un attimo di Nvidia, anche se dubito che potrò dire qualcosa che ancora non sia stato detto da praticamente chiunque negli scorsi mesi.

Prima di Nvidia e prima di parlare di cosa è successo sul mercato questo mese, permettetemi di ricordarvi che sia che vogliate investire su Nvidia, sia che vogliate investire sull’S&P 500, sia che vogliate investire su tutto l’azionario globale o in quel che vi pare, un modo economico e sicuro per farlo è attraverso il nostro partner Scalable Capital, broker tra i leader in Europa che da mesi accompagna questo podcast per promuovere, anche in Italia, un approccio all’investimento orientato al lungo termine, trasparente, senza stronzate e senza pubblicizzare strumenti di dubbia utilità (per usare un eufemismo) come CFD o roba simile, fatti apposta per far diventare ricco chi li vende e decisamente meno chi li compra.

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Detto questo, partiamo con la mania della bolla che si sta facendo largo.

Allora, ci troviamo in una bolla speculativa?

Siamo lì lì sul punto di vedere i mercati crollare perché sono cresciuti troppo senza motivo?

Tutto sto entusiasmo per l’intelligenza artificiale ricorda quello che c’era per l’avvento di internet nel ’99 che poi è conflagrato in un tracollo dei mercati che ha dato avvio al decennio perduto?

Tutto possibile.

Partiamo dal perché molti stanno iniziando a pensare che ci troviamo in una bolla.

MOTIVO UNO: I multipli delle società americane sono particolarmente alti — e quanto parliamo di multipli sapete che parliamo del price/earning ratio, ossia del rapporto tra prezzo delle azioni e utili delle rispettive società diviso per il numero di azioni sul mercato.

Il p/e ratio dell’S&P 500 è a circa 23 in questo momento (ho preso i dati dal Wall Street Journal).

Il che significa che il prezzo medio delle azioni delle grandi società americane è di 23 volte superiore all’utile per azione.

Esempio semplice.

Se una società ha emesso sul mercato 1 milione di azioni e nel 2023 ha guadagnato 10 milioni di dollari di utili, allora l’utile per ciascuna azione sarà di 10 dollari.

Se il p/e ratio è di 23, ciò significa che il prezzo di ciascuna azione di quella società sarà di 230 dollari, appunto 23 volte l’utile per azione.

È facile intuire che maggiore è il rapporto tra prezzi ed utili, maggiori sono le aspettative del mercato sui futuri guadagni di quella società e di conseguenza maggiore è il rischio che se quei guadagni futuri non si realizzeranno, allora il valore di quella società risulterà sopravvalutato e il prezzo tenderà a crollare.

In generale, c’è una correlazione storica abbastanza attendibile tra i multipli e il rendimento del mercato negli anni a venire.

Storicamente quando i multipli sono bassi gli anni successivi vedono i mercati crescere, quando solo alti, invece, il mercato tende ad andare meno bene.

Tra tutte le società dell’S&P, ovviamente le Magnifiche 7 spiccano anche in termini di rapporto tra prezzi e utili.

In particolare il prezzo di Nvidia e Microsoft viaggia oltre il valore di 30 volte i suoi utili, Amazon oltre 40 volte e Tesla addirittura oltre 50.

Apple, Google e Meta sono invece più in linea con il resto dell’S&P nell’ordine di 25 volte.

Tutto ciò sta portando molti a pensare che l’entusiasmo per l’intelligenza artificiale sia esagerato e si stanno sprecano le analogie con la bolla di internet del 99, quando anche allora molte società erano diventate incredibilmente sopravvalutate e avevano dei prezzi che riflettevano delle aspettative di guadagni futuri senza senso che non si sono mai realizzate.

Nel 1999, tuttavia, il rapporto medio tra prezzi e utili si attestava su un valore ben superiore intorno a 32-33, con picchi arrivati addirittura quasi a 40.

La società più rappresentativa della Internet bubble di inizio millennio era Cisco, tutt’ora esistente e allora leader nella realizzazione di infrastrutture di rete.

Cisco era nel 99 per la nascente Internet ciò che Nvidia è oggi per l’intelligenza artificiale.

Cisco realizzava in pratica l’infrastruttura che rendeva possibile la connessione ad internet di mezzo mondo.

Nvidia realizza i chip che rendono possibile le applicazioni di intelligenza artificiale generativa, che stanno trovano ampio spazio in praticamente qualunque settore.

Se tuttavia il rapporto tra prezzo e utili a 34 di Nvidia vi sembra esagerato, beh, all’alba della crisi del 2000, l’azione di Cisco era scambiata ad un prezzo di oltre 180 volte i suoi utili.

E non era l’unica società con queste folli valutazioni.

Quindi fare un confronto tout court tra la situazione attuale e la bolla di internet di inizio millennio, boh, magari è corretta, ma il livello di assurdità dell’euforia irrazionale di 25 anni fa (come notoriamente venne chiamata dall’allora capo della Fed Alan Greenspam e poi resa celebre dal premio nobel Robert Shiller con il suo omonimo libro) era decisamente ad altri livelli rispetto ad ora.

Tra l’altro cercando informazioni per fare quest’episodio mi sono imbattuto in un articolo del New York Times del maggio 2014 che si intitolava “It’s looking like 1999 in the Stock Market”, ossia il mercato azionario sembra quello del 1999.

Amici miei: 2014!

L’articolo era scettico sulla capitalizzazione di Facebook a 150 miliardi di dollari (oggi per ha superato il trilione di dollari) e di Airbnb a 10 miliardi (ora siamo a 100 miliardi e la società è entrata l’anno scorso nella cerchia di elite dell’S&P 500).

Per la cronaca, il rendimento dell’S&P 500 dalla data di uscita di quell’articolo ad oggi è stato di oltre il 200%, ossia si è triplicato in meno di 10 anni.

A voi giudicare quanto può aver senso chiamare le bolle in anticipo…

Oltre al discorso dei multipli alti, ce n’è un altro che torna in continuazione e che in effetti sembra un po’ più preoccupante.

Il MOTIVO DUE del perché molti stanno pensando che possiamo trovarci in una bolla è l’enorme concentrazione dei rendimenti in pochissime società.

Le Magnifiche 7 sono responsabili fondamentalmente del grosso della performance dell’S&P 500 dall’inizio dello scorso anno ad oggi e poche altre volte nella storia il rendimento dell’S&P 500 pesato per capitalizzazione è stato così tanto più alto di quello dell’S&P 500 equal weight, ossia lo stesso indice ma dove ogni società ha lo stesso peso e una Apple conta tanto quanto una Uber.

Il fatto che l’andamento superpositivo del mercato dipenda da una manciata di società sta facendo un po’ paura perché appunto basta che una di queste tracolli e il rischio è che con essa venga giù tutto il mercato.

La crescita esorbitante delle magnifiche 7, anche se da un po’ di mesi si parla più di magnifiche 6 perché Tesla ha perso oltre il 20% negli ultimi 6 mesi e non sembra in una fase di grande rimbalzo, ha comunque portato una grossa concentrazione del mercato, al punto che le prime 10 società (ossia le magnifiche 7 più Berkshire Hathaway, Eli Lilly e Broadcom) costituiscono oggi il 30% di tutto l’indice.

Obiettivamente, almeno negli ultimi 40 anni una concentrazione del genere non si era mai vista.

E questo in effetti potrebbe essere un problema.

D’altra parte, mentre tutti sono sconcertati dal fatto che le prime 10 società facciano da sole il 30% dell’S&P 500, in realtà questa cosa fa del mercato Americano quello più diversificato e meno concentrato tra tutti i più importanti mercati del mondo.

Volete sapere quanto pesano le prime 10 società negli altri principali indici?

Dunque:

– Regno Unito: 49%

– Germania e Francia: 58%

– Canada: 43%

– Italia, tanto per cambiare fanalino di coda: le prime 10 fanno ben il 66% del mercato, che per la cronaca sono Enel, Unicredit, Intesa, Stellantis, Ferrari, Eni, STMicroelectronics, Generali, Moncler e Prysmian.

Solo il Giappone è più diversificato degli Stati Uniti, con le prime 10 società che fanno il 26% del totale.

Tutto sommato, quindi, che 10 società facciano da sole il 30% dell’S&P 500 è tanto, ma non così tanto dopo tutto.

Se prendiamo lo Stoxx 50, l’indice delle 50 società più grandi dell’area Euro, le prime 10 pesano per quasi metà del totale.

Anche qui, sempre per soddisfare la vostra eventuale curiosità su quali siano le 10 società più grandi dell’Eurozona, queste sono: ASML Holding (sempre per restare in tema di Semiconduttori), LVMH (la holding di Louis Vuitton e Dior), SAP, Total, Siemens, L’Oreal, Sanofi, Allianz, Schneider Electric e Air Liquid.

Cmq dicevamo, sì, mercato americano estremamente concentrato, come mai nella storia, ma siamo comunque in una situazione ancora molto più virtuosa di quel che succede negli altri grandi mercati nazionali.

Inoltre non è la prima volta che succede.

Negli anni 50 e 60 le prime 10 aziende americane sono arrivate a rappresentare fino al 40% del mercato.

Negli anni ’70 si sono affermate le cosiddette Nifty Fifty, pezzi pregiati del capitalismo americano che avevano valutazioni nettamente sopra le media e che, nonostante abbiano duramente sofferto durante il bear market durato fino all’inizio del decennio successivo, si sono rivelati in molti casi dei long term winner.

Tra queste figurano Coca Cola, American Express, McDonalds, IBM, Philip Morris e così via.

Quindi ok, super ansia oggi che c’è sta concentrazione, ma obiettivamente nulla di particolarmente nuovo sotto il sole.

Questa cosa che abbiamo appena detto non è semplicemente un curioso aneddoto.

Investire in un singolo paese come la Germania, o in un singolo paese come gli Stati Uniti, è completamente diverso non solo per le dimensioni, ma anche per l’elevato livello di diversificazione che il mercato Americano possiede come caratteristica intrinseca.

C’è infine un altro fatto.

Che può certamente destare anche qualche motivo di preoccupazione a lungo termine, ma che per il momento prendiamo solo nella sua connotazione descrittiva.

Negli Stati Uniti l’anno scorso per la prima volta gli Index Fund ed ETF hanno superato, in volume, gli investimenti fatti tramite fondi comuni gestiti in modo attivo (in Italia no, siamo lontani anni luce ancora, con calma come sempre…).

Perché questa cosa è rilevante?

Beh, dato che la stragrande maggioranza degli indici è market cap weighted, ossia assegna un peso a ciascuna società proporzionale al suo valore di mercato (motivo per cui un movimento dell’1% di Apple o Microsoft pesa molto di più dell’1% fatto, che so, da Paramount o da Carnival), ecco, ovviamente se tutti investono in ETF le società più grosse ricevono automaticamente più capitali e quindi crescono un po’ di più delle altre.

Al di là del fatto se questa cosa sia un problema o meno — onestamente: non ne ho idea, ma presto tornerà Nick Protasoni a darci la sua saggia opinione — resta comunque un fatto che questa concentrazione in poche società possa venire ulteriormente alimentata proprio dagli investimenti passivi basati su market cap che tendono appunto a far confluire più soldi nelle società più capitalizzate.

Quindi, tiriamo un po’ le prime somme.

UNO: siamo in una bolla? Boh. Forse sì, forse no.

Cmq sappiate che se aveste investito tutti i vostri soldi nell’azionario globale all’apice della bolla del 2000, giusto un secondo prima che scoppiasse tutto, oggi avreste comunque triplicato il vostro patrimonio.

Quindi il fatto di essere in una bolla, in tutta onestà, non mi toglie il sonno la notte.

DUE: il mercato è troppo concentrato.

Sì, sarebbe meglio che non lo fosse e che tutte le società crescessero mano nella mano assieme allegramente, affinché appunto il rally delle borse continui “ad avere gambe” come si dice e non sia sostenuto solo da pochi titoli.

Però non è neanche un fatto così eccezionale.

È già successo, succederà ancora e forse più andremo avanti più pochi grandi colossi diventeranno sempre più grandi e i più piccoli resteranno indietro, secondo la famosa teoria dell’Extremistan di Nassim Taleb.

Benissimo, detto tutto questo, veniamo agli highlights del mese, che è stato particolarmente croccante.

Direi che i momenti topici di Febbraio sono stati fondamentalmente due.

PRIMO MOMENTO TOPICO: Martedì 13 sono usciti i consueti dati mensili sull’inflazione e, piccolo colpo di scena, l’indice dei prezzi al consumo, che è appunto quello che la misura, è salito a Gennaio di uno 0,1% in più rispetto alle attese e tanto è bastato a demoralizzare i mercati e far crollare tutti gli indici di un bel pezzo (con S&P e Nasdaq che hanno toccato anche i -2% quel giorno).

Perché tutto ciò? Perché come sapete tutto il mercato sta correndo un po’ per l’euforia sull’Intelligenza Artificiale e un po’ per la scommessa che la Federal Reserve taglierà presto i tassi di interesse.

Inflazione più alta del previsto, invece, non è cosa buona, anzi, ha già fatto cambiare idea a tutti e il primo taglio dei tassi — che qualcuno stimava già a Marzo — con ogni probabilità non verrà fatto prima dell’estate.

Risultato: azioni e obbligazioni tutte giù,

Le azioni perché i tassi alti non piacciono mai al mercato azionario, che ci legge un rischio di diminuzione dei profitti delle aziende, di aumento della disoccupazione e di potenziale recessione.

Le obbligazioni invece sono andate giù perché stanno scontando un taglio dei tassi che arriverà più avanti del previsto, cosa che comporta un aumento dei rendimenti e quindi un calo dei prezzi.

Come canticchio sempre a mia figlia per farla addormentare: “quando i tassi vanno su i prezzi vanno giù e quando i tassi vanno giù i prezzi vanno su”.

Di solito funziona.

Questa era la prima big news di Febbraio.

Poi è arrivato mercoledì 21, il giorno della pubblicazione dei dati trimestrali di Nvidia.

Forse mai nella storia un evento tanto noioso come la pubblicazione dei dati finanziari di una società è stato vissuto con una tale trepidazione, manco fosse il Superbowl.

E invece è stato l’evento dell’anno.

Forse il punto di svolta della nuova era dell’Intelligenza artificiale.

Insomma, Nvidia ha riportato un fatturato di 2 miliardi di dollari superiori alle attese e di un utile per azione di oltre il 10% maggiore delle stime.

Tutto ciò significa che Nvidia nel 2023 ha raddoppiato il proprio fatturato rispetto all’anno prima, passando da 30 a oltre 60 miliardi di dollari, e ha già detto che le stime per il primo quarter del 2024 sono già oltre i 24 miliardi di dollari.

Booooom!

I mercati di tutto il mondo sono letteralmente impazziti a questa notizia, fregandosene altamente del fatto che solo una settimana prima i dati sull’inflazione avevano raffreddato le rosee aspettative di un imminente taglio dei tassi di interesse.

Nvidia stessa, che già aveva più che triplicato il suo valore dall’inizio dell’anno scorso, in un solo giorno ha fatto un balzo del 17% e il suo incremento di valore giornaliero è stato il più grande mai visto nella storia.

In un solo giorno, il Nvidia ha infatti aumentato il suo market cap, ossia la sua valutazione di mercato, di oltre 277 miliardi di dollari.

Cioè in un giorno solo Nvidia è aumentata di un valore corrispondente a metà di tutto il nostro FTSE MIB.

In pratica Nvidia non è più un’azienda, ma il simbolo più emblematico di una nuova asset class.

Eh sì perché non si tratta più dei guadagni di una certa azienda che fa un certo prodotto.

Nvidia catalizza l’aspettativa di tutto il mercato nei confronti di una nuova rivoluzione tecnologica e industriale, destinata forse a diventare nei prossimi anni più dirompente di quanto non lo sia stato internet alla fine degli anni ’90.

Allora c’è stata una mega bolla e puff, all’inizio sembrava si fosse trattato solo di una grande allucinazione collettiva, tanto che sono diventati dei meme epici gli articoli di alcuni giornali dell’epoca, su tutti il britannico Daily Mail, che con un po’ troppa fretta avevano sentenziato che Internet fosse già praticamente finito e che si fosse trattato di una moda passeggera.

Invece vi sfido oggi a immaginare il nostro mondo se per un solo giorno non funzionasse la connessione internet.

Dio solo sa quali catastrofi potrebbero verificarsi, tanto è diventato pervasivo internet in praticamente qualunque anfratto della nostra esistenza.

Vedremo se anche l’intelligenza artificiale si rivelerà la più grande innovazione di questo secolo, così come forse internet lo è stata il secolo scorso.

Bene, questi sono stati i due super eventi di Febbraio.

Vediamo come sono andati i principali indici.

Come sempre prendo le performance degli ETF in Euro che replicano questi indici e non quelle degli indici stessi, perché alla fine a noi interessano come vanno i nostri investimenti e non ci frega una mazza di come sta il conto titoli di Mr. Jones di Cleveland.

Altra nota importante: i dati che sto per darvi si riferiscono ad ETF ad accumulazione, quindi esprimono il cosiddetto Total Return, che include anche il reinvestimento dei dividendi.

Dunque:

– S&P 500: +3,10% a Febbraio e addirittura +8,82% da inizio anno;

– MSCI World: +3,13% a Febbraio, +7,58% da inizio anno;

– Stoxx 600: +2,35% a Febbraio, +3,34% da inizio anno;

– MSCI mercati emergenti: +2,77% a Febbraio, +1,66% da inizio anno, dato che era un po’ in negativo il mese scorso.

Merita una menzione speciale invece il Nikkei, il principale indice Giapponese che, dopo un’agonia che durava addirittura dal 1989, ha finalmente superato il suo massimo storico, toccando i 40.000 punti.

Ci sono voluti 35 anni, ma alla fine il mercato azionario del Sol Levante, dopo aver vissuto una devastante crisi finanziaria quando la bolla scoppiata all’inizio del 1990 ha finito per polverizzare oltre l’80% del valore del suo mercato, ce l’ha fatta a tornare sui massimi storici.

Il Nikkei per la verità è un indice un po’ del menga perché, come il Dow Jones Americano, non è basato sulla capitalizzazione delle sue società ma utilizza il valore nominale dei prezzi delle single azioni e ciò comporta delle distorsioni come il fatto che per esempio un’enorme società come Toyota pesa nell’indice meno di società molto meno rilevanti ma che magari hanno un prezzo per azione superiore.

Cmq sia il Giappone ha fatto straordinariamente bene dall’inizio del 2023 ed è stato, dopo il Nasdaq Composite, l’indice che ha performato meglio a livello globale.

Uno dei driver di questa crescita è stata la politica della Bank of Japan che, al contrario di tutte le altre grandi banche centrali dei paesi sviluppati, ha tenuto i tassi di interesse negativi anche mentre la Fed e la BCE li portavano a livelli record per contrastare l’inflazione.

In Giappone in realtà l’inflazione non è mai stata particolarmente alta e quindi per ora questa strategia ha funzionato.

E perché i tassi bassi hanno fatto bene al mercato azionario Giapponese?

Eh perché se il Giappone tiene tassi di interessi negativi mentre Fed e BCE ce li hanno rispettivamente oltre al 5 e al 4%, lo Yen tende a perdere valore nei confronti di Dollaro ed Euro.

Dato che moltissime società Giapponesi vivono di export (si pensi appunto a Toyota, ma anche ai colossi dell’elettronica come Mitsubishi, Sony, Daikin, ecc.), allora uno Yen debole favorisce le esportazioni perché permette di vendere i propri prodotti a prezzi inferiori (e margini superiori).

Per un europeo che investe sul Giappone, ovviamente, questa cosa ha un impatto negativo perché parte della crescita del mercato azionario giapponese viene mangiata dalla svalutazione della sua valuta locale.

Ricordatevi sempre che se vuoi investite in Euro su asset che non sono in Euro, guadagnate quanto la valuta di quell’asset si apprezza mentre perdete quando quella si indebolisce.

Cmq sia, se qualcuno di voi stesse investendo in un ETF che replica l’MSCI Japan (che è un indice molto più attendibile che non il Nikkei), sappia che a Febbraio ha fatto +4,31% e che da inizio anno è su di quasi il 10%.

Negli ultimi 12 mesi, parliamo di un +24% circa.

Bentornati amici che ogni giorno vi godete per primi al mondo i raggi del sole e che grazie ai vostri cartoni animati ci avete regalato un’infanzia indimenticabile, fatta di ragazzini che giocavano un calcio violentissimo e sanguinoso su campi talmente lunghi che si perdevano all’orizzonte e di strani combattenti con la coda che cercavano ossessivamente sfere gialle per chiedere ad un drago di resuscitarli in continuazione e dove un singolo scontro con il cattivo di turno poteva durare anche un mese intero di episodi in cui praticamente non succedeva mai nulla.

Ci eravate mancati.

Ora, quando qualcuno obietta che “non è vero che i mercati azionari vanno sempre su, infatti il Giappone bla bla bla”, ecco ora pure il Giappone ha superato i suoi massimi storici, quindi ad oggi non mi risulta ci siano grandi mercati che possano confutare l’idea generale che i mercati azionari tendano sempre a crescere nel lungo termine.

Dopo questa digressione sulla patria di Holly e Goku, torniamo ai dati di Febbraio e passiamo alle obbligazioni.

– Obbligazioni governative europee con scadenze intermedie: -0,6% a Febbraio e -1,58% da inizio anno, mentre sulle scadenze lunghe siamo sotto di circa un 3% da inizio anno (diretta conseguenza di un taglio dei tassi più lontano del previsto)

– Titoli di Stato Americani a 10 anni: praticamente piatti da inizio anno.

Un’occhiata all’oro, infine: circa +0,9% da inizio anno, guadagnato quasi tutto a Febbraio.

Anche se come sapete non è la mia asset class del cuore, non si può però non parlare di Bitcoin, che anche grazie al lancio degli ETF in America dal mese scorso continua ad attrarre investitori e il suo prezzo è schizzato a oltre 61.000 dollari (quasi 57.000 €).

Da inizio anno ha fatto quasi il +50% e negli ultimi 12 mesi la sua crescita è stata di oltre il 150%.

Saranno estremamente felici due cari amici di The Bull, Andrea Febbraio e Paolo Coletti che come noto sono due grandi sostenitori della prima ora di Bitcoin e che staranno festeggiando la corsa della più celebre criptovaluta del mondo che sembra inarrestabile.

Siete dispiaciuti di aver perso il treno?

Beh, se credete anche voi che Bitcoin possa raggiungere un milione di euro, anche 57.000 € è un prezzo ridicolo.

Ricordate però che, per sua caratteristica intrinseca, questo è un asset estremamente volatile, che facilmente può perdere il 100% del suo valore in un amen.

Quindi se volete investire su Bitcoin, destinategli nel vostro portafoglio la porzione che ovviamente più si addice al vostro livello di rischio.

Benissimo, oggi tra la bolla dell’intelligenza artificiale e l’amarcord sui cartoni Giapponesi mi sono un po’ perso via, quindi non ho più tempo per fare le tradizionali 3 domande e risposte altrimenti sto episodio finisce settimana prossima.

Facciamo così, adesso vi parlo di un’ultima cosa e poi nella prossima settimana scrivetemi su instagram e fatemi sapere le vostre domande, dubbi, curiosità specifiche, insomma quello che vi pare così ne scelgo tre e in uno dei prossimi episodi rispondiamo alle Q&A.

Non posso però chiudere senza parlarvi, tra i fatti del mese più rilevanti sui mercati finanziari, dell’emissione del BTP Valore e di quella buffonata epica fatta dal nostro stimato governo che per promuoverlo ha fatto uno degli spot più agghiaccianti e moralmente deprecabili che abbia visto da anni.

Se va la foste persa, in pratica in questo spot ci sono due coppie di persone di mezz’età seduti a pranzo e una delle due viene invitata dall’altra a vedersi la settimana successiva, ma deve rifiutare perché … beh state a sentire per quale stronzata la settimana successiva sono via

SPOT

Cioè capito?

La pubblicità dice che se compri il BTP valore vai in Crocera grazie alle cedole!

Ora non c’è stato un solo youtuber, influencer o podcaster che non abbia preso per il culo sta cosa o non abbia addirittura denunciato il fatto che si sia trattato della promozione bella e buona di un prodotto finanziario attraverso uno spot sulla RAI, cosa in effetti di dubbia legalità.

Spot a parte, comunque, come funziona sto BTP Valore.

Si tratta naturalmente di un’obbligazione emessa dallo stato Italiano che ha queste caratteristiche:

– Scadenza marzo 2030, quindi dura 6 anni se lo prendete oggi;

– Ha una formula step-up, ossia le cedole aumentano nel tempo e all’emissione gli interessi dichiarati dal ministero sono: 3,25% per i primi 3 anni e 4% per gli ultimi 3;

– Infine per chi lo tiene fino a scadenza c’è un premietto finale dello 0,7%.

In pratica, per chi lo ha comprato all’emissione, che scadeva il 1° marzo, quindi per quando ascolterete quest’episodio il BTP valore potrete comprarlo solo sul mercato secondario in borsa e non più in emissione, il rendimento medio finale dovrebbe essere circa di un 3,7% lordo all’anno.

Comunque dato che la prima cedola, trimestrale, sarà dello 0,81%, in tanti ci siamo subito chiesti “ma quanti cazzo di BTP valore hanno comprato i due signori dello Spot per pagarsi la crociera?”.

Perché diamo per scontato che sta crociera intendessero pagarla con la prima cedola, non con il rendimento finale tra 6 anni.

Io non sono mai andato in Crociera, però suppongo che tra tutto serviranno circa 2.000 € per due persone tra viaggio, escursioni, cibo e tutto il resto no?

Bene, per pagarsi 2.000 di viaggio con la prima cedola che verrà emessa tra tre mesi, i due arzilli esploratori delle coste del mediterraneo dovrebbero aver comprato la bellezza di 247.000 € di BTP Valore.

Ora, ma due che avevano sul conto corrente 247.000 €, avevano bisogno proprio del BTP valore per pagarsi la Crociera?

O forse forse, dico forse eh, non è un mio pensiero…

Giorgia: ma non è che questa pubblicità l’avete fatta un filino ingannevole giusto con l’intento di far credere che se i risparmiatori italiani si comprano il debito del nostro malandato Stato diventano tutti ricchi in quattro e quattr’otto?

Chiedo per un amico eh…

Oh madonna santa…

Cmq, come sempre, il BTP valore non è un prodotto né buono né cattivo.

È una normalissima obbligazione come ce ne sono mille altre.

Vostra figlia nel 2030 inizia l’università e volete blindare 10.000 € che le serviranno per le rette e i libri?

Benissimo, il BTP valore è ottimo, tra 6 anni avete indietro i vostri 10.000 € che nel frattempo saranno diventati circa 12.250 €.

Altrimenti, se non avete una spesa specifica da sostenere nel marzo 2030, fondamentalmente il BTP valore non aggiunge nulla di più a qualunque altro prodotto obbligazionario dello stesso tipo che potreste voler mettere nel portafoglio.

Quindi per questo, come per qualunque altro, valgono le migliaia di parole spese a parlare del mondo obbligazionario, che potete comodamente ripassare riascoltarvi episodi come il 41, il 56 e il 79.

Bene, detto anche questo, care amiche e cari amici di The Bull, ci accingiamo a chiudere anche questo 85esimo episodio.

Siete ormai più di 20.000 che ascoltate stabilmente questo podcast, quindi 20.000 grazie di cuore a ciascuno di voi, a chi mi sta seguendo da mesi e che ormai si è fatto odiare da famiglia e amici a furia di smaronare tutti con la finanza personale a tutte le new entry che si stanno unendo a questo bel viaggio che stiamo facendo tutti assieme, ma che probabilmente questi ringraziamenti li scopriranno tra un bel po’ perché nel frattempo sono ancora al noioso episodio 4 in cui cercano di capire che cos’è un’obbligazione per la prima volta.

E bene che lo facciano, mica che poi comprano il BTP valore a cazzo pensando che alla scadenza possano comprarsi tutta Costa Crociere.

Vi ricordo infine che questo episodio è stato sponsorizzato da Scalable Capital e che al prezzo di due cappucci e due brioche al mese vi permette di attivare il piano Prime plus con cui avrete:

– PAC gratuiti;

– Acquisto di etf senza commissioni per importi superiori a 250 €;

– Accesso illimitato a Scalable Insights e

– Il 4% di interessi sulla liquidità non investita per i primi 4 mesi e poi 2,6% all’anno.

Nella descrizione dell’episodio trovate il link per attivare un account con Scalable e così facendo Scalable apre il suo abbondante portafoglio e mi riconosce una commissione.

Se invece volete attivare Scalable ma preferite che non venga generato alcun introito, andate direttamente su Scalable.capital e fate tutto da lì in incognito.

Come da consueta tradizione, invito infine tutti voi come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove a voi più piace e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi fanno due balle così con le bolle del passato per capire se siamo in una bolla nel presente ma che belle sono le bolle finché non scoppiano e si balla mentre chi era entrato sui minimi oggi si bulla sempre nuovi.

no davvero scusatemi, lo so che questa era terribile…

Per questo episodio, invece, è davvero tutto e noi ci ritroviamo mercoledì prossimo a fare un mega spiegone di come sono fatti tutti i principali indici, cosa c’è dentro, come ci si investe, così poi sapete tutto e non vi vengono più paturnie notturne animate da incubi sul cambio valutario o sulla vostra esposizione geografica e settoriale, sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025
Facile.it
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