Cos’è successo a Maggio sui Mercati e le Incognite dell’Intelligenza Artificiale
Consueto recap mensile sull'andamento dei mercati. Ripercorriamo il mese appena trascorso e vediamo come sono andati i principali indici azionari, obbligazionari, l'oro e tanti altri indicatori fondamentali per comprendere dove sta andando il mercato. Azioni di nuovo su, grande euforia a seguito di un possibile rallentamento dell'inflazione e forse futuri tagli dei tassi di interesse ma allo stesso tempo nubi nere si addensano all'orizzonte.

111. Cos’è successo a Maggio sui Mercati e le Incognite dell’Intelligenza Artificiale
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A Maggio, i mercati azionari hanno recuperato, spinti da utili record e speranze sui tassi.
Nvidia domina la crescita.
Però, minacce come l'inflazione, il debito e la concentrazione sull'AI indicano un futuro incerto e la necessità di nervi saldi.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Vi mancava un po’ il mondo della finanza dura e pura vero?
Negli ultimi due episodi abbiamo fatto qualche digressione parlando prima di previdenza complementare con gli amici di Ciao Elsa e poi di mondo del lavoro, consigli di carriera, negoziazione dello stipendio e tanto altro con Tomaso Mainini, capo di Michael Page.
Oggi però torniamo ai temi che tanto ci piacciono con il consueto recap del mese appena conclusosi.
Fortunatamente a sto giro il mese non mi è finito in mezzo alla settimana come ad Aprile, che avevo dovuto chiudere l’episodio a tarda sera tutto di fretta, mentre oggi sono qua, nel buio pesto di Sabato mattina ad un orario che molti non sanno neanche che esiste a scrivere sdraiato sul divano questa centundicesima puntata in cui vedremo gli highlights del mese di Maggio sui mercati che sicuramente non è stato avaro di spunti interessanti.
Eh sì perché Aprile era finito maluccio, poi sto mese mezzo rallentamento infinitesimale dell’inflazione è bastato a scaldare gli animi e ricaricare tutti i mercati, perlomeno fino all’ultima settimana, quando poi qualche falco della Fed ha pensato bene di dire “ah ragà, stiamo calmi, che qua l’inflazione è ancora alta, quindi di tagliare i tassi come volete voi pazzi investitori in azioni non se ne parla”.
Per chi non lo sapesse i Falchi sono quelli che propendono per una politica monetaria restrittiva e che quindi sono meno di manica larga sul discorso del taglio dei tassi di interesse, mentre al contrario le Colombe sono quelli che vedono le cose nel modo opposto.
Hawkish e dovish sono i due aggettivi che si usano negli Stati Uniti per indicare il punto di vista delle Federa Reserve, a seconda che abbia una posizione restrittiva o accomodante.
Comunque parleremo di come quest’altalena nelle previsioni sui tassi di interessi continui a dettare i tempi e le aspettative del mercato, mentre sullo sfondo l’economia reale sta continuando a dire la sua, perlomeno se si guardano i profitti record sia delle società di Wall Street che di buona parte delle società Europee.
Prima di vedere come sono andate le cose, i vari indici, gli etf e fare qualche considerazione intelligente — e per intelligente intendo che la copio da qualcun altro — permettetemi di ringraziare URBI, nuovo partner di questo podcast amante di tutti i servizi utili che semplificano la vita, soprattutto se sono gratis.
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– Altro tragitto per andare ad un altro appuntamento ai Parioli;
– Ritorno alla Stazione Termini;
– Nuovo treno per Milano e infine
– Rientro dalla Stazione a casa mia.
Per come sono fatto io, che a parte le 4 cose che mi appassionano per il resto sono di una pigrizia leggendaria, mi era già venuta la morte nel cuore al solo pensiero di dover prendere il biglietto del tram e poi andare sul sito di Trenitalia per il Frecciarossa e poi vai a sapere dove cazzo si comprano i biglietti della metro a Roma e poi come si prende un taxi e così via.
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Che dire: Buon viaggio!
Bene
Ora che sapete come fare per semplificarvi la vita ogni volta che dovete prendere un mezzo pubblico, veniamo a cosa è successo a Maggio sui mercati.
Come ricorderete Aprile è stato tutto incentrato sul fatto che l’inflazione continuava a salire e quindi tutti si sono cominciati a cagare addosso e si sono messi a vendere azioni e bond, facendo andare giù l’S&P 500 di un bel 5% e facendo salire il rendimento dei Treasury americani oltre il 4,7% – e tutti voi sapete benissimo che quando i rendimenti vanno su i prezzi delle obbligazioni vanno giù e se dopo 111 episodi questa cosa ancora non l’avete capita, ragazzi, vengo a prendervi a casa uno per uno.
A maggio invece festa grande!
Prima a inizio mese c’è stato il dato sui non farm payroll, ossia sulla creazione di nuovi posti di lavoro non agricoli di Aprile, che è stato leggermente inferiore alle attese, con il tasso di disoccupazione salito un filino verso il 4%.
E così siamo di nuovo nel mood “bad news is good news”.
Poi la seconda settimana del mese, come di consueto, è uscito il solito dato sull’indice dei prezzi al consumo, per gli amici il CPI, che altro non è se non la misura dell’inflazione anno su anno.
Il dato è stato quello previsto, 3,4%, ma dato che ultimamente c’erano solo sorprese negative, i mercati hanno festeggiato e per un po’ i futures hanno ricominciato a prezzare 3 tagli dei tassi da qui a fine anno.
In tutto ciò numeri da sballo per quanto riguarda i report del primo trimestre delle principali società quotate a Wall Street, con quasi l’80% delle società dell’S&P 500 che hanno riportato utili per azione superiori alle aspettative.
Attenzione.
Per chi non è avvezzo a sta roba, sembra un dato woooow!
In realtà i report sono quasi sempre superiori alle aspettative, perché le società cercano di dare agli analisti delle previsioni molto conservative, così poi quando escono numeri migliori del previsto, sbam!, sembra che siano state più performanti e le azioni vanno su.
Però in effetti che quasi l’80% abbia battuto le stime, e non di poco, è un dato abbastanza sorprendente.
Non solo.
Le società americane hanno mostrato i muscoli ancora una volta è la crescita anno su anno rispetto al primo trimestre del 2023 è stata addirittura del 5,9%, un numero obiettivamente impressionante.
Ma bando alle ciance, vediamo come sono andati i principali indici a maggio e, come sapete perfettamente, prendiamo l’andamento degli ETF in euro e non degli indici nelle valute locali perché dell’andamento dei portafogli di John Doe di Philadephia o di Akira Abe di Yokohama non ce ne po’ fregà de meno.
Dunque:
Partiamo dal re degli indici, sua maestà suprema onnipotente l’S&P 500: nel mese di maggio ha abbondantemente recuperato il tonfo di aprile, ha aggiornato i nuovi massimi oltre i 5.300 punti per poi assestarsi intorno ai 5.277.
La sua performance in Euro a maggio è stata +3,72%, che dall’inizio dell’anno fa un fantastico +12,86%.
Le cose ovviamente possono sempre cominciare ad andare male da un momento all’altro, ma finché dura godiamoci questo bull run che sembra non finire mai.
In realtà tra poco faremo qualche considerazione più specifica, perché obiettivamente non è tutto oro quel che luccica e l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.
Come dicevamo, un leggero assestamento dell’inflazione unito a utili del primo trimestre eccezionali hanno spinto l’S&P 500 praticamente per tutto il mese, nonostante qualche piccolo passo indietro nell’ultima settimana per via di una serie di altri dati e notizie su cui non vi sto ad annoiare che hanno fatto salire il rendimento dei Treasury americani.
Ormai tutti voi sapete perfettamente che il rendimento dei titoli di stato a 10 anni rappresenta il tasso di sconto per definizione utilizzato per attualizzare i flussi di cassa futuri derivanti dall’investimento in asset più rischiosi (tipo le azioni).
La dico in un altro modo: se uno deve attualizzare il rendimento futuro dell’investimento in azioni deve utilizzare un certo coefficiente chiamato discount rate, tasso di sconto appunto. Siccome questo coefficiente va al denominatore nella formula che si usa nella cosiddetta discounted cash flow analysis, più alto è questo coefficiente, minore sarà il valore attualizzato del mio investimento.
La dico in un modo ancora più semplice: se il rendimento dei titoli di stato a 10 anni, considerato risk-free rate, interesse senza rischio, aumenta, per definizione dovrebbe diminuire il premio al rischio derivante dal rendimento in azioni. Se si riduce il premio al rischio, gli investitori tendono ad essere meno propensi ad investire in azioni e vendono un po’ di azionario, motivo per cui spesso quando i rendimenti obbligazionari salgono gli indici azionari vanno giù.
Ma a parte questo il mese ha corso in maniera importante.
Vedremo però tra poco che, ancora una volta, c’è praticamente una sola società che conta, ormai da più di un anno.
Probabilmente mai nella storia una singola azienda è stata vista dal mercato come così determinante per i destini dell’intera economia del futuro.
Ovviamente stiamo parlando di Nvidia, la società dei miracoli di Santa Clara che progetta i chip per applicazioni legate all’intelligenza artificiale generativa più avanzati del mondo.
Dopo che l’anno scorso Nvidia aveva più che raddoppiato il suo valore, quest’anno continua la sua corsa irrefrenabile, portandosi a casa un 27% di crescita questo mese, dopo l’ennesima pubblicazione con i fuochi d’artificio dei suoi risultati trimestrali, ancora una volta nettamente sopra le attese per quanto riguarda fatturato e utili, per un totale di +127% da inizio anno.
Ad oggi Nvidia vale oltre 2,7 triliardi di dollari e sta insidiando il secondo posto di Apple tra le società più capitalizzate del mondo, scesa intorno ai 2,9 triliardi.
Microsoft invece continua a mantenere il suo dominio incontrastato a 3,1 triliardi, ma di questo passo Nvidia rischia di diventare presto la società con il più alto valore al mondo.
La cosa veramente spaventosa di Nvidia è che dall’ottobre del 2022, quindi nemmeno 2 anni fa, il suo valore è cresciuto di 10 volte.
E parliamo di una società che già allora valeva 270 miliardi di dollari.
Ormai Nvidia non è più una società, è praticamente un asset class indipendente che rappresenta, in questo momento, la più importante cartina di tornasole dell’economia mondiale, dato che abbiamo tutti dato per scontato che siamo definitivamente entrati nell’era dell’intelligenza artificiale, così come 30 anni fa si era entrati nell’era di internet.
Prima di procedere con i prossimi indici, però, un paio di considerazioni interessanti che sono una conseguenza della crescita sotto steroidi di Nvidia.
Intanto tutti parlano sempre e solo di Nvidia — e ci mancherebbe — ma in realtà si è creata una triangolazione strategica che collega la California, dove Nvidia progetta i suoi super chip, Amsterdam, sede della più importante società al mondo che produce costosissimi macchinari per stampare i chip, ASML Holding, ormai la seconda società più grande d’Europa dopo il colosso farmaceutico Novo Nordisk, e ovviamente Taiwan, isoletta nel Mar della Cina orientale destinato a diventare l’epicentro geopolitico del mondo nei prossimi anni, dove ha sede il più grande produttore di chip al mondo, Taiwan Semiconductor.
Quindi, detta male: Nvidia li progetta, ASML fa le macchine per stamparli, Taiwan Semiconductor li realizza.
Entrambe le società hanno avuto performance neanche lontanamente paragonabili a Nvidia, ma nella sua luce sono riuscite comunque a crescere rispettivamente del 31 e 38% da inizio anno.
La loro importanza non è però solo economica ma chiaramente hanno assunto una rilevanza strategica nei sottili equilibri internazionali.
Ho letto in qualche articolo che ASML, che ha installato molti dei suoi macchinari presso gli stabilimenti di Taiwan Semiconductor, ha predisposto una funzione per “spegnerli” da remoto in caso di invasione cinese di Taiwan, una sorta di pulsante di autodistruzione.
Non ci potevo crede.
Avete presente le banali trame dei più stupidi film d’azione americani, dove tipicamente c’è un supercattivo infinitamente ricco, rigorosamente non americano, che sta per conquistare il mondo attraverso qualche potentissimo strumento della morte e uno sterminato esercito di scagnozzi?
E poi dall’altra parte c’è il classico eroe americano belloccio e fisicato, ex poliziotto o ex militare con un pessimo carattere, che si intrufola nel covo segreto del nemico, sgomina tutti a mani nude, salva la futura fidanzata che per qualche motivo era stata rinchiusa in una cella segreta e alla fine arriva allo scontro finale con il supercattivo.
Questo, capito che ormai tutto è perduto, attiva il processo di autodistruzione, parte il countdown con tanto di serafica voce femminile che scandisce i secondi mancanti e i due devono scappare prima che esploda tutto e saltano fuori dal covo giusto un secondo prima che venga polverizzato.
Mentre ovviamente il cattivo probabilmente muore, o magari miracolosamente si salva anche se mezzo sfigurato nel caso il film vada bene e si decida di fare un ancora più brutto sequel.
Chiunque abba guardato Italia 1 tra gli anni ’90 e i primi 2000 sa bene di cosa sto parlando.
Ecco, la vicenda è più o meno la stessa, con i Cinesi che sono i super cattivi e l’unica differenza che sono i buoni a usare l’autodistruzione.
Sta cosa del pulsante di autodistruzione delle macchine per fare i chip mi ha veramente fatto spaccare.
Va beh, detta anche questa cazzata che se no non sono motivato a scrivere gli episodi di The Bull, c’è invece un’altra cosa seria legata al boom dell’intelligenza artificiale, ossia l’altro e inatteso boom del settore più noioso del mondo: quello delle utilities e in particolare delle società che si occupano di energia.
La tesi del mercato è che l’enorme quantità di energia che sarà richiesta per alimentare le applicazioni legate all’intelligenza artificiale manderà alle stelle i profitti delle società energetiche, tanto che 3 delle 5 società più performanti dell’S&P 500 da inizio anno sono tutte appunto in questo settore.
Sarà un trend da seguire?
Potrà forse essere un’idea mettere in portafoglio dei settoriali in questo ambito, così da beneficiare della loro crescita futura?
Come sempre, non ne ho la più pallida idea, ma magari qualcuno tra voi ha qualche idea più intelligente di quelle che vengono a me e imbrocca la scommessa del secolo.
Torniamo agli indici, abbiamo detto S&P 500 +3,7 a maggio e quasi +13% da inizio anno.
L’MSCI World invece, indice globale delle 1500 e fischia società più grandi del mondo sviluppato, sempre molto correlato ad S&P dato che ne rappresenta da solo il 67%, ha fatto a maggio +3,4% e da inizio anno è su di quasi il 12%.
Veniamo al vecchio continente e come sempre vediamo sia l’indice paneuropeo Stoxx 600 che il più ristretto Eurostoxx 50 delle società dell’eurozona.
Stoxx 600 ha fatto un ottimo 4,12%, collezionando un 11% da inizio anno, mentre l’indice soprattutto Franco-Tedesco dell’Eurostoxx ha fatto +3% a Maggio e +13,5% da gennaio ad oggi.
Di tutti i grandi indici mondiali, l’Eurostoxx 50 è stato fino ad ora il più performante anche grazie al non trascurabile contribuito della cosiddetta rivincita dei PIGS, acronimo tutt’altro che lusinghiero diventato celebre nel 2011 durante i mesi delle crisi dei debiti sovrani, che come sapete raggruppa Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. PIGS appunto.
I Paesi del mediterraneo, che per anni hanno preso schiaffi soprattutto dalla spocchiosissima super potenza economica europea della Germania, sono stati tra i Paesi che più sono cresciuti nell’era post Covid.
Il FTSE MIB, il principale indice del nostro un po’ sfigato mercato azionario, anche a Maggio ha detto la sua con un bel +4,23% e da inizio anno è su addirittura del 18%.
Continuerà l’inarrestabile corsa delle nostre blue chip?
Difficile dirlo, ma francamente anche difficile immaginarlo.
Sì, lo so, le previsioni non andrebbero mai fatte, ma come già detto anche in passato purtroppo la crescita delle principali società di piazza affari degli ultimi anni non è che sia il riflesso di un grande stato di salute dell’economia, quanto piuttosto una serie di fattori congiunturali.
Per strano che possa essere, tutti gli eventi capitati nel mondo negli ultimi 2 anni sembrano capitati apposta per valorizzare le nostre grandi società.
I venti di guerra iniziati nel febbraio 2022 hanno per esempio fatto correre Leonardo, la società partecipata dallo Stato e tra i leader mondiali nella produzione di elicotteri per uso civile e soprattutto militare, che è cresciuta ad oggi di oltre il 270%.
Il colosso energetico Eni, dal picco negativo di fine 2020 ad oggi ha fatto oltre il +140%.
Le due più grandi Banche italiane, Intesa e Unicredit, grazie all’impennata dei tassi di interesse e dei mega profitti che ne sono derivati, negli ultimi 2 anni sono cresciute rispettivamente del 90 e del 270%.
Bene così fino ad ora.
Ma mi riesce difficile pensare che questo bull run di piazza affari possa andare avanti all’infinito.
Però intanto, zitti zitti, quatti quatti, negli ultimi 5 anni il FTSE MIB è cresciuto tanto quanto l’S&P 500 e addirittura il doppio del DAX, il principale indice tedesco. E i tedeschi muti.
Lasciamo ora l’Europa e andiamo nel Sol Levante, con l’MSCI Japan che è stato praticamente flat a Maggio e conserva comunque un ottimo +9,5% da inizio anno, in attesa che la Bank of Japan faccia qualche operazione sui depressi tassi d’interesse giapponesi, gli unici rimasti pressoché a zero.
Da un lato, un innalzamento dei tassi rafforzerebbe lo yen quindi, a parità di altre condizioni, sarebbe favorevole per un investitore in euro.
Dall’altro ci sono da capire due cose:
Uno, che effetto avrà uno yen più forte sulle esportazioni giapponesi e di solito le valute domestiche forti non favoriscono l’export.
Due, i Giapponesi sono grandi compratori di Treasury americani, ma se i loro titoli di stato dovessero smettere di rendere 0, potrebbe esserci un sell-off di Treasury a favore dei decennali giapponesi, cosa che avrebbe chiaramente un impatto al rialzo dui rendimenti obbligazionari americani e sappiamo bene che questa cosa alle borse non piace mai troppo, anche considerato il livello mastodondico che il debito americano ha raggiunto.
Chiudiamo il capitolo azionario con i Paesi emergenti.
Anche l’MSCI Emerging Market è stato abbastanza inchiodato a Maggio e da inizio anno è cresciuto del 6,2%, anche grazie al risveglio della Cina e a dati sul suo prodotto interno lordo superiore alle aspettative.
Negli ultimi tre mesi, infatti, l’MSCI China è cresciuto di oltre il 10% e sappiamo quanto pesa la Cina sulle sorti dei mercati in via di sviluppo.
Vediamo invece velocemente il lato obbligazionario.
Le obbligazioni governative in Euro a media scadenza hanno avuto un mese difficile, con dati sull’inflazione meno incoraggianti del previsto e l’agognato inizio del ciclo di tagli dei tassi da parte della BCE che continua a rimanere sullo sfondo.
Probabilmente a inizio giugno un taglio da 0,25 punti ci sarà, già ampiamente scontato nei prezzi, ma poi le intenzioni di Christine Lagarde per i mesi a venire sono tutte da capire.
Come avevamo già detto, se la Fed non taglia perché di là dell’Atlantico l’inflazione non molla, noi Europei non possiamo tagliare troppo perché un euro debole riporterebbe dentro inflazione a causa dei maggiori costi per comprare materie prime, che ovviamente sono tutte prezzate in dollari.
Cmq i governativi a media scadenza hanno fatto -1,5% a Maggio e sono sotto del 2,15% da inizio anno.
Quelli a lunga scadenza, oltre i 15 anni per intenderci, sono invece scesi di oltre il 6%.
Questo a ulteriore testimonianza del fatto che i bond non si muovono QUANDO vengono modificati i tassi di interesse, ma quando cambiano le ASPETTATIVE rispetto al futuro andamento dei tassi.
Lato Treasury, invece, c’è stato un leggero calo dei rendimenti a maggio, ma se aveste investito a gennaio in un ETF con scadenze tra 7 e 10 anni oggi sareste sotto di circa lo 0,7%.
Come di consueto, uno sguardo alla superstar del 2024, l’oro.
A maggio se n’è stato bello quieto, ma da inizio anno siamo ad oltre +14,5%.
A proposito di oro.
Ho letto un interessante articolo di Daniel Rasmussen di Verdad che ha spiegato una serie di cose degne di nota:
– Intanto che l’andamento a 10 anni dell’oro ha una correlazione tutto sommato irrilevante con l’inflazione; è sì considerato un asset di protezione contro l’inflazione, ma in realtà sul lungo termine si muove secondo logiche tutte sue.
– Inoltre ha fatto vedere che il suo andamento è del tutto scollegato dall’uso che se ne fa a livello industriale o nel settore del lusso, quanto piuttosto sembra correlato alla crescita degli acquisti di oro attraverso gli ETF che lo tracciano. Ciò comunque non sembrerebbe sufficiente a spiegare la sua impennata di valore negli ultimi anni.
– Il principale driver della sua crescita soprattutto nel 2024 ha però un forte indiziato: la Cina e il suo tentativo di avere asset indipendenti dal dollaro e che in caso di invasione di Taiwan non possano essere confiscati o estromessi dal sistema di scambi internazionali, come invece accaduto con la Russia.
Alla luce di tutto ciò, è un buon momento per comprare oro in vista di nubi fosche all’orizzonte?
Probabilmente no.
Almeno questa è la sua tesi.
E il motivo riguarda proprio il fatto che se è vero che la Cina sta comprando quantità industriali di oro, questa cosa genera una spinta verso l’alto del prezzo, che però terminerà quando terminerà l’acquisto massiccio del biondo metallo.
Lo scenario base di Verdad, quindi, è che si possa assistere ad una regressione verso la media nei prossimi 10 anni, con il prezzo dell’oro più destinato a scendere che a salire.
Avete comprato oro di recente?
Eh-eh cazzi vostri!
No scherzo, non lo so e non ne ho la più pallida idea.
Io vi racconto cose che gente più intelligente di me pensa, poi fate voi.
Io non ho né oro, né bitcoin, né materie prime, né reit, né settoriali, né altra roba strana, ho il portafoglio più noioso della terra, fatto di azioni e obbligazioni, che riflette esattamente la mia personalità altrettanto noiosa.
Quindi ciascuno ragioni con la propria testa e si faccia il portafoglio che più si adatta alle proprie esigenze ma pure al proprio palato.
Ora, adesso che ci siamo fatti tutto questo bel giro a parlare dei risultati di maggio, che ce ne facciamo?
Da un lato, festa grande.
The Bull sta per compiere un anno!
Se nel giugno del 2023 uno avesse iniziato ad investire con un portafoglio super basic, diciamo 60/40 sempre per essere originali, fatto con MSCI World e Governativi Europei, si sarebbe portato a casa un 14% di crescita in 12 mesi.
Not bad per un portafoglio considerato tutto sommato poco aggressivo.
Però sappiamo bene che questa super crescita è stata dettata fondamentalmente da tre fattori:
– UNO: l’aspettativa di taglio nel 2024 dei tassi di interesse (ad oggi tutt’altro che scontata);
– DUE: l’euforia per l’Intelligenza artificiale, i cui benefici tangibili nell’economia reale sono però ancora tutti da dimostrare; e infine
– TRE: gli eccellenti profitti delle società, in particolare di quelle americane, che hanno goduto di un’imprevedibile tenuta dell’economia nonostante i tassi alti, anche se non dobbiamo dimenticare che buona parte delle economie occidentali ha beneficiato negli due anni di stimoli fiscali mastodontici derivanti dalle conseguenze del Covid.
Biden ha messo nelle tasche degli Americani triliardi di dollari tra sussidi e iniziative volte a stimolare la reindustrializzazione interna, con il risultato che l’economia Americana è cresciuta che è un piacere, ma accumulando un deficit del 7% rispetto che per un qualunque altro stato del mondo la cui valuta non è una riserva globale sarebbe allarmante.
E in Europa non è che abbiamo scherzato, con la montagna di soldi garantiti da debito europeo che confluiranno nel PNRR, oltre alle singole iniziative locali come la follia tutta nostrana del Superbonus 110%, che ha sicuramente sostenuto la crescita del PIL ma con dei costi per l’erario pubblico nei prossimi anni devastanti.
Quindi, tre motivi validi che hanno fatto crescere tutto — e soprattutto gli asset azionari, maggiormente legati all’economia reale — ma non esattamente tre motivi strutturali in grado di giustificare una crescita sostenuta a lungo termine.
Tra l’altro ricordiamoci che il grosso della crescita del PIL globale negli ultimi 20 anni è arrivata dalla Cina.
Se questa non riparte, o riparte ma Stati Uniti e Cina scazzano definitivamente, campa cavallo se ti aspetti che il PIL cresca in maniera significativa senza di lei e, soprattutto, siamo a posto se ci aspettiamo crescita sostenuta dall’ Europa, che se non si dà una svegliata rischia di diventare presto irrilevante nei destini del mondo.
Ci sarebbe anche un altro fattore “bonus”, diciamo, che nonostante tutto sta continuando a far crescere il valore dei mercati ed è la liquidità.
M2 è un indicatore globale che misura la quantità di moneta circolante disponibile, comprensiva anche di depositi e obbligazioni a breve termine.
Per effetto delle manovre fiscali degli ultimi anni e dei tassi bassi fino al 2022, il livello globale di M2 misurata prendendo in considerazione Stati Uniti, Banca Centrale Europea, Bank of Japan e Bank of China ad oggi è ai massimi storici, quasi 88 triliardi di dollari.
C’è quindi in giro una montagna di soldi che in parte vanno investiti e quindi le valutazioni azionari continuano a salire, forse, anche perché da qualche parte sti soldi vanno messi e quindi anche le valutazioni sono elevate, l’enorme disponibilità di liquidità globale continua a finire in asset finanziari creando quell’effetto di everything rally, il Rally di tutte le cose, come viene chiamato negli Stati Uniti.
Da capire, quindi, quanto durerà questo effetto doping monetario che probabilmente sta dando il suo bel contributo alla crescita di tutti i mercati.
E in effetti è da diverso tempo che il grosso della crescita dei mercati, soprattutto dell’S&P 500, non è dettato tanto dalla crescita di utili e dividendi, quanto piuttosto dalla crescita delle valutazioni, che è il motivo per cui diciamo sempre che oggi le azioni americane sono molto costose perché hanno prezzi in media di oltre 25 volte gli utili e di circa 20 volte gli utili previsti per i prossimi 12 mesi, un valore nettamente sopra le media di 17.
Se i prezzi attuali sono alti, per definizione i rendimenti futuri saranno inferiori.
Come sappiamo bene, se prendiamo l’inverso del price/earning ratio, ossia dividiamo gli utili per azione per i prezzi delle azioni otteniamo l’Earning Yield, ossia il rendimento legato ai profitti delle società.
Quando questo valore è inferiore al rendimento dei treasury a 10 anni, come è oggi, teoricamente il premio al rischio è negativo e quindi l’aspettativa è che i rendimenti azionari futuri saranno modesti.
Sempre tutto in teoria naturalmente, perché magari tra 10 anni saremo qui a fare il millesimo episodio di The Bull è il price/earning ratio dell’S&P 500 sarà 40 e ci sembrerà normale.
Detto questo, se da un lato so far so good, quali sono le minacce all’orizzonte?
Ovviamente una minaccia riguarda la possibilità che l’inflazione non vada giù e che quindi i tassi non solo non vengano tagliati, ma vengano pure alzati, ipotesi ventilata niente meno che da Jamie Diamon, il banchiere più potente del mondo in quanto CEO della banca più grande del mondo, JP Morgan.
Se i tassi non vanno giù — e anzi addirittura salgono — metà dello storytelling che sta sostenendo i mercati salterebbe e con esso i mercati azionari non la prenderebbero troppo bene.
Sempre collegato a questo c’è il fatto che tassi alti ad un certo punto si faranno sentire sull’economia reale.
Ad oggi molti privati e molte imprese hanno ancora goduto di tassi molto bassi su prestiti contratti prima del 2022 e quindi non hanno subito grosse ripercussioni.
Ma quando sarà necessario rifinanziare le proprie attività al 5, 6, 7% invece che all’1-2%, questa cosa potrebbe innescare una serie di conseguenze negative che tipicamente portano ad una recessione economica.
Altre minacce sono legate invece agli alti livelli di debito accumulati dai governi negli ultimi decenni, che sta mettendo in discussione la capacità del mercato di continuare ad assorbire l’enorme quantità di obbligazioni che continuano a venire emesse per rifinanziarlo.
L’unico modo per tenere la cosa in equilibrio è che con il debito ci sia crescita economica, ma se questa viene meno per via di un contesto di recessione, la domanda vera è fino a che punto questo debito resterà sostenibile senza causare un cataclisma globale?
Boh, meglio che non ci penso perché dormo male la notte sennò.
Senza guardare così lontano, però, c’è anche un altro tema che riguarda quanto sia realistica l’aspettativa che si è creata intorno all’intelligenza artificiale.
Perché ok tutto bello, l’economia è forte, i profitti spaccano, le aziende corrono e le famiglie continuano a spendere come se non ci fosse un domani, almeno in America.
Ma se poi andiamo a guardare, abbiamo un piccolo potenziale problema di concentrazione.
A maggio 4 società dell’S&P 500 hanno contribuito all’aumento di valore totale dell’indice per oltre 1,4 triliardi di dollari, più di quanto sono cresciute tutte le altre 296 società che hanno avuto un maggio positivo messe assieme. Queste 4 società sono, tanto per cambiare: Microsoft, Apple, Google e ovviamente Nvidia, che da sola ha dato un contributo alla capitalizzazione complessiva dell’S&P 500 per oltre 700 miliardi di dollari.
Come dire, Apple a parte che forse sta continuando a crescere perché ha annunciato il più colossale buyback di azioni della storia, che sarà alla fine di circa 110 miliardi, le altre sono tutte più o meno correlate al discorso dell’intelligenza artificiale.
Se tutta l’hype sull’intelligenza artificiale viene giù, è facile immaginare conseguenze catastrofiche, almeno nel breve — e qui ci sono tre scenari da considerare, che ho pescato e poi rielaborato da un’analisi del Wall Street Journal.
Scenario 1: La domanda di AI crolla perché ci si rende conto che le sue potenzialità sono state sopravvalutate o richiederanno molto più tempo per dispiegare le sue applicazioni pratiche.
Ad oggi in effetti ci sono poche applicazioni concrete di intelligenza artificiale.
Siamo tutti d’accordo che possa essere la grande rivoluzione tecnologica del nostro tempo.
Ma da lì a capire quali saranno i benefici economici che continueranno a far confluire triliardi di investimenti in Intelligenza Artificiale è tutta un’altra questione.
Scenario 2: Potrebbero crescere i competitor di Nvida. Oggi nessuno è in grado di contrastarla, ma un domani colossi come Google, Meta, la stessa Intel potrebbero voler smettere di pagare a peso d’oro i chip di Nvidia, farsi i propri e se anche di qualità inferiore potrebbero far scendere i prezzi, con un impatto sui profitti delle società come Nvidia e con gli impatti significativi che avrebbero sulle valutazioni del mercato azionario in generale.
Giusto per intenderci. Nvidia oggi pesa quasi il 6% del S&P 500.
Se qualcosa va storto e succede a Nvidia quel che successe a Cisco a inizio 2000, quando arrivò a perdere quasi il 90% del valore, questa cosa avrebbe un impatto diretto di oltre il 5% sul valore dell’S&P e indiretto incalcolabile, perché se va giù una società come Nvidia il mercato per mesi va giù a capofitto.
Scenario 3: L’idea che i modelli di Intelligenza di artificiale funzionino tanto meglio quanto più siano scalabili, e quindi tanto più siano in grado di fagocitare dati per migliorare, potrebbe non essere ciò che le aziende realmente vorranno e magari preferiranno più modeste soluzioni AI allenate con i dati proprietari per i propri scoppi specifici.
Se questa cosa fosse vera, certamente avrebbe un impatto negativo sulle vendite di Nvidia e su tutto il gigantesco indotto che ne deriva.
Insomma, giusto per restare allegri, tante buone notizie che vengono dai mercati e come sempre tante minacce all’orizzonte.
Ma come si dice: “this is feature, not bug”.
È una caratteristica intrinseca dei mercati finanziari, non un’anomalia.
Il mercato sarà sempre animato da tensioni contrapposte, fear and greed, paura che cose terribili possano accadere e al contrario timore di perdersi i treni migliori, dati economici positivi e prospettive negative, pace e guerra, insomma il mondo non è fatto per starsene tranquillo e permetterci di prendere decisioni a tavolino, a bocce fermo.
Quello non smette un attimo di muoversi, tutto cambia alla velocità della luce e raramente il corso della storia è una linea retta. Molto più spesso fa dei salti avanti e indietro del tutto imprevedibili e l’unica cosa che possiamo fare e avere i nervi salda, tenere la barra dritta e attraversare le varie fasi che ciclicamente il mercato ci presenterà.
Io lo so che voi siete tutti strateghi e volete comprare un po’ di questo e un po’ di quello convinti di aver capito come gira il fumo.
Fidatevi: non avete capito niente.
Nessuno l’ha capito.
E chi pensa di aver capito tutto è il più sfortunato perché sarà quello che si farà più male.
Un grande classico di questi giorni è: “ma cosa conviene fare in questo momento visto che la BCE sta per tagliare i tassi di interesse?”.
E a queste domande devo sempre rispondere: “eh che ne so. Manco loro lo sanno cosa conviene fare. Occhio a giocare con gli investimenti basandovi sul tempismo delle vostre decisioni”. In media cercare di essere tempestivi fa più danni che altro.
Se non vi fidate di me — e fate bene tra l’altro perché ci manca che per gli investimenti della vostra vita vi fidate dell’ultimo pirla su questa Terra che fa podcast — preparatevi perché mercoledì prossima torna a trovarci Costantino Forgione che gentilmente si è prestato a tenere qui, in esclusiva assoluta per The Bull, la masterclass definitiva sulle obbligazioni.
Se dopo l’episodio con lui avrete ancora dubbi sull’argomento, a quel punto getto la spugna.
Noi invece ci stiamo avvicinando all’anniversario di The Bull e segnatevi sull’agenda mercoledì 12 giugno, quando uscirà l’episodio di compleanno di questo podcast e il suo regalo sarà il graditissimo ritorno di uno degli ospiti che che più avete apprezzato lungo questi oltre 100 episodi insieme.
E intanto, ridendo e scherzando gli ascoltatori di The Bull si sono propagati con la progressione geometrica di un’epidemia influenzale in un asilo nido e siete in più di 100.000 ad aver ascoltato almeno un episodio di questo podcast, che ha visto premere play già oltre 2 milioni di volte.
100.000 grazie a ciascuno di voi che almeno una volta ci ha provato a sistemare le proprie finanze e 2 milioni di grazie per tutti coloro che continuano imperterriti questo viaggio insieme a me per motivi che continuano a sembrarmi incomprensibili.
Un grazie speciale oggi anche a Urbi, partner di The Bull per questo episodio e soluzione veramente figa per non dover mai più comprare un solo biglietto per muoversi in città.
Un consiglio, come dicevano i latini, gratis et amore dei, scaricatevi l’app, pigliatevi i 6€ di entry bonus che Urbi vi regala, e fatevi un giro a sbafo per Milano, Roma, Torino o in una delle miriadi di città in Italia e all’estero servite da Urbi.
Come da tradizione vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che a mani nude vi salvano dai supercattivi che vogliono farvi investire con commissioni al 2% e dall’autodistruzione finanziaria, sempre nuovi.
Se poi non ne avete ancora abbastanza di due episodi a settimana — e molti pazzi tra voi mi hanno chiesto di pubblicarne uno al giorno ma credo che a quel punto mi verrebbe un esaurimento — potete seguirmi sul profilo instagram thebull_finance.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ritroviamo mercoledì prossimo con Costantino Forgione e la Masterclass sulle obbligazioni sempre qui, naturalmente, con The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Vi mancava un po’ il mondo della finanza dura e pura vero?
Negli ultimi due episodi abbiamo fatto qualche digressione parlando prima di previdenza complementare con gli amici di Ciao Elsa e poi di mondo del lavoro, consigli di carriera, negoziazione dello stipendio e tanto altro con Tomaso Mainini, capo di Michael Page.
Oggi però torniamo ai temi che tanto ci piacciono con il consueto recap del mese appena conclusosi.
Fortunatamente a sto giro il mese non mi è finito in mezzo alla settimana come ad Aprile, che avevo dovuto chiudere l’episodio a tarda sera tutto di fretta, mentre oggi sono qua, nel buio pesto di Sabato mattina ad un orario che molti non sanno neanche che esiste a scrivere sdraiato sul divano questa centundicesima puntata in cui vedremo gli highlights del mese di Maggio sui mercati che sicuramente non è stato avaro di spunti interessanti.
Eh sì perché Aprile era finito maluccio, poi sto mese mezzo rallentamento infinitesimale dell’inflazione è bastato a scaldare gli animi e ricaricare tutti i mercati, perlomeno fino all’ultima settimana, quando poi qualche falco della Fed ha pensato bene di dire “ah ragà, stiamo calmi, che qua l’inflazione è ancora alta, quindi di tagliare i tassi come volete voi pazzi investitori in azioni non se ne parla”.
Per chi non lo sapesse i Falchi sono quelli che propendono per una politica monetaria restrittiva e che quindi sono meno di manica larga sul discorso del taglio dei tassi di interesse, mentre al contrario le Colombe sono quelli che vedono le cose nel modo opposto.
Hawkish e dovish sono i due aggettivi che si usano negli Stati Uniti per indicare il punto di vista delle Federa Reserve, a seconda che abbia una posizione restrittiva o accomodante.
Comunque parleremo di come quest’altalena nelle previsioni sui tassi di interessi continui a dettare i tempi e le aspettative del mercato, mentre sullo sfondo l’economia reale sta continuando a dire la sua, perlomeno se si guardano i profitti record sia delle società di Wall Street che di buona parte delle società Europee.
Prima di vedere come sono andate le cose, i vari indici, gli etf e fare qualche considerazione intelligente — e per intelligente intendo che la copio da qualcun altro — permettetemi di ringraziare URBI, nuovo partner di questo podcast amante di tutti i servizi utili che semplificano la vita, soprattutto se sono gratis.
URBI è l’app che uso quando devo spostarmi da qualche parte e che mi risolve una montagna di sbattimenti.
Per una volta non parliamo di risparmiare soldi ma di risparmiare un sacco di tempo e seccature quando ci si muove in città e non solo.
Un esempio? Qualche settimana fa sono andato a Roma in giornata e l’intera esperienza prevedeva:
– Tragitto per andare da casa mia alla Stazione centrale di Milano;
– Treno per Roma Stazione Termini;
– Tragitto per andare al mio appuntamento a Trastevere;
– Altro tragitto per andare ad un altro appuntamento ai Parioli;
– Ritorno alla Stazione Termini;
– Nuovo treno per Milano e infine
– Rientro dalla Stazione a casa mia.
Per come sono fatto io, che a parte le 4 cose che mi appassionano per il resto sono di una pigrizia leggendaria, mi era già venuta la morte nel cuore al solo pensiero di dover prendere il biglietto del tram e poi andare sul sito di Trenitalia per il Frecciarossa e poi vai a sapere dove cazzo si comprano i biglietti della metro a Roma e poi come si prende un taxi e così via.
Invece tac, apro Urbi e uno dopo l’altro prendo direttamente tutto quello che mi serve: Tram, Treno, Metropolitana, Taxi e se trovavo un calesse avrei preso pure quello in tre click.
E non solo: ho un’auto ibrida e mi rompo sempre le palle ogni volta che devo ricaricare la batteria elettrica e invece Urbi fa pure questo.
Apro URBI, vedo dov’è la colonnina convenzionata più vicina, faccio ricarica, pago con l’app e tanti saluti.
Ah, visto che si sta avvicinando il momento di viaggi e vacanze, Urbi è disponibile in tantissime città all’estero in modalità explorer.
Insomma, una sola app per treni, traghetti, taxi, pullman, car sharing, bike sharing, monopattini, risciò, carriole, parapendii, deltaplani e mongolfiere purché si tratti di mobilità condivisa.
Quanto costa?
Un bel niente.
Scaricate l’app, scegliete il metodo di pagamento con carta di credito, apple pay o satispay e comprate qualunque biglietto senza alcun sovrapprezzo.
Provato Urbi, non userete mai più altro strumento per muovervi in città o comprare un biglietto di un treno o un traghetto.
Per comodità vostra — e zero beneficio mio dato che l’app è gratuita — trovate negli shownote dell’episodio un link per scaricare l’app di Urbi.
Non solo, siccome i ragazzi di URBI sono grandi fan di The Bull, sempre negli shownote trovate il codice sconto URBI5THEBULL che come dice il nome vi regala 5 € di extra credito da spendere in mobilità oltre all’euro che URBI dà ad ogni nuovo iscritto.
Che dire: Buon viaggio!
Bene
Ora che sapete come fare per semplificarvi la vita ogni volta che dovete prendere un mezzo pubblico, veniamo a cosa è successo a Maggio sui mercati.
Come ricorderete Aprile è stato tutto incentrato sul fatto che l’inflazione continuava a salire e quindi tutti si sono cominciati a cagare addosso e si sono messi a vendere azioni e bond, facendo andare giù l’S&P 500 di un bel 5% e facendo salire il rendimento dei Treasury americani oltre il 4,7% – e tutti voi sapete benissimo che quando i rendimenti vanno su i prezzi delle obbligazioni vanno giù e se dopo 111 episodi questa cosa ancora non l’avete capita, ragazzi, vengo a prendervi a casa uno per uno.
A maggio invece festa grande!
Prima a inizio mese c’è stato il dato sui non farm payroll, ossia sulla creazione di nuovi posti di lavoro non agricoli di Aprile, che è stato leggermente inferiore alle attese, con il tasso di disoccupazione salito un filino verso il 4%.
E così siamo di nuovo nel mood “bad news is good news”.
Poi la seconda settimana del mese, come di consueto, è uscito il solito dato sull’indice dei prezzi al consumo, per gli amici il CPI, che altro non è se non la misura dell’inflazione anno su anno.
Il dato è stato quello previsto, 3,4%, ma dato che ultimamente c’erano solo sorprese negative, i mercati hanno festeggiato e per un po’ i futures hanno ricominciato a prezzare 3 tagli dei tassi da qui a fine anno.
In tutto ciò numeri da sballo per quanto riguarda i report del primo trimestre delle principali società quotate a Wall Street, con quasi l’80% delle società dell’S&P 500 che hanno riportato utili per azione superiori alle aspettative.
Attenzione.
Per chi non è avvezzo a sta roba, sembra un dato woooow!
In realtà i report sono quasi sempre superiori alle aspettative, perché le società cercano di dare agli analisti delle previsioni molto conservative, così poi quando escono numeri migliori del previsto, sbam!, sembra che siano state più performanti e le azioni vanno su.
Però in effetti che quasi l’80% abbia battuto le stime, e non di poco, è un dato abbastanza sorprendente.
Non solo.
Le società americane hanno mostrato i muscoli ancora una volta è la crescita anno su anno rispetto al primo trimestre del 2023 è stata addirittura del 5,9%, un numero obiettivamente impressionante.
Ma bando alle ciance, vediamo come sono andati i principali indici a maggio e, come sapete perfettamente, prendiamo l’andamento degli ETF in euro e non degli indici nelle valute locali perché dell’andamento dei portafogli di John Doe di Philadephia o di Akira Abe di Yokohama non ce ne po’ fregà de meno.
Dunque:
Partiamo dal re degli indici, sua maestà suprema onnipotente l’S&P 500: nel mese di maggio ha abbondantemente recuperato il tonfo di aprile, ha aggiornato i nuovi massimi oltre i 5.300 punti per poi assestarsi intorno ai 5.277.
La sua performance in Euro a maggio è stata +3,72%, che dall’inizio dell’anno fa un fantastico +12,86%.
Le cose ovviamente possono sempre cominciare ad andare male da un momento all’altro, ma finché dura godiamoci questo bull run che sembra non finire mai.
In realtà tra poco faremo qualche considerazione più specifica, perché obiettivamente non è tutto oro quel che luccica e l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.
Come dicevamo, un leggero assestamento dell’inflazione unito a utili del primo trimestre eccezionali hanno spinto l’S&P 500 praticamente per tutto il mese, nonostante qualche piccolo passo indietro nell’ultima settimana per via di una serie di altri dati e notizie su cui non vi sto ad annoiare che hanno fatto salire il rendimento dei Treasury americani.
Ormai tutti voi sapete perfettamente che il rendimento dei titoli di stato a 10 anni rappresenta il tasso di sconto per definizione utilizzato per attualizzare i flussi di cassa futuri derivanti dall’investimento in asset più rischiosi (tipo le azioni).
La dico in un altro modo: se uno deve attualizzare il rendimento futuro dell’investimento in azioni deve utilizzare un certo coefficiente chiamato discount rate, tasso di sconto appunto. Siccome questo coefficiente va al denominatore nella formula che si usa nella cosiddetta discounted cash flow analysis, più alto è questo coefficiente, minore sarà il valore attualizzato del mio investimento.
La dico in un modo ancora più semplice: se il rendimento dei titoli di stato a 10 anni, considerato risk-free rate, interesse senza rischio, aumenta, per definizione dovrebbe diminuire il premio al rischio derivante dal rendimento in azioni. Se si riduce il premio al rischio, gli investitori tendono ad essere meno propensi ad investire in azioni e vendono un po’ di azionario, motivo per cui spesso quando i rendimenti obbligazionari salgono gli indici azionari vanno giù.
Ma a parte questo il mese ha corso in maniera importante.
Vedremo però tra poco che, ancora una volta, c’è praticamente una sola società che conta, ormai da più di un anno.
Probabilmente mai nella storia una singola azienda è stata vista dal mercato come così determinante per i destini dell’intera economia del futuro.
Ovviamente stiamo parlando di Nvidia, la società dei miracoli di Santa Clara che progetta i chip per applicazioni legate all’intelligenza artificiale generativa più avanzati del mondo.
Dopo che l’anno scorso Nvidia aveva più che raddoppiato il suo valore, quest’anno continua la sua corsa irrefrenabile, portandosi a casa un 27% di crescita questo mese, dopo l’ennesima pubblicazione con i fuochi d’artificio dei suoi risultati trimestrali, ancora una volta nettamente sopra le attese per quanto riguarda fatturato e utili, per un totale di +127% da inizio anno.
Ad oggi Nvidia vale oltre 2,7 triliardi di dollari e sta insidiando il secondo posto di Apple tra le società più capitalizzate del mondo, scesa intorno ai 2,9 triliardi.
Microsoft invece continua a mantenere il suo dominio incontrastato a 3,1 triliardi, ma di questo passo Nvidia rischia di diventare presto la società con il più alto valore al mondo.
La cosa veramente spaventosa di Nvidia è che dall’ottobre del 2022, quindi nemmeno 2 anni fa, il suo valore è cresciuto di 10 volte.
E parliamo di una società che già allora valeva 270 miliardi di dollari.
Ormai Nvidia non è più una società, è praticamente un asset class indipendente che rappresenta, in questo momento, la più importante cartina di tornasole dell’economia mondiale, dato che abbiamo tutti dato per scontato che siamo definitivamente entrati nell’era dell’intelligenza artificiale, così come 30 anni fa si era entrati nell’era di internet.
Prima di procedere con i prossimi indici, però, un paio di considerazioni interessanti che sono una conseguenza della crescita sotto steroidi di Nvidia.
Intanto tutti parlano sempre e solo di Nvidia — e ci mancherebbe — ma in realtà si è creata una triangolazione strategica che collega la California, dove Nvidia progetta i suoi super chip, Amsterdam, sede della più importante società al mondo che produce costosissimi macchinari per stampare i chip, ASML Holding, ormai la seconda società più grande d’Europa dopo il colosso farmaceutico Novo Nordisk, e ovviamente Taiwan, isoletta nel Mar della Cina orientale destinato a diventare l’epicentro geopolitico del mondo nei prossimi anni, dove ha sede il più grande produttore di chip al mondo, Taiwan Semiconductor.
Quindi, detta male: Nvidia li progetta, ASML fa le macchine per stamparli, Taiwan Semiconductor li realizza.
Entrambe le società hanno avuto performance neanche lontanamente paragonabili a Nvidia, ma nella sua luce sono riuscite comunque a crescere rispettivamente del 31 e 38% da inizio anno.
La loro importanza non è però solo economica ma chiaramente hanno assunto una rilevanza strategica nei sottili equilibri internazionali.
Ho letto in qualche articolo che ASML, che ha installato molti dei suoi macchinari presso gli stabilimenti di Taiwan Semiconductor, ha predisposto una funzione per “spegnerli” da remoto in caso di invasione cinese di Taiwan, una sorta di pulsante di autodistruzione.
Non ci potevo crede.
Avete presente le banali trame dei più stupidi film d’azione americani, dove tipicamente c’è un supercattivo infinitamente ricco, rigorosamente non americano, che sta per conquistare il mondo attraverso qualche potentissimo strumento della morte e uno sterminato esercito di scagnozzi?
E poi dall’altra parte c’è il classico eroe americano belloccio e fisicato, ex poliziotto o ex militare con un pessimo carattere, che si intrufola nel covo segreto del nemico, sgomina tutti a mani nude, salva la futura fidanzata che per qualche motivo era stata rinchiusa in una cella segreta e alla fine arriva allo scontro finale con il supercattivo.
Questo, capito che ormai tutto è perduto, attiva il processo di autodistruzione, parte il countdown con tanto di serafica voce femminile che scandisce i secondi mancanti e i due devono scappare prima che esploda tutto e saltano fuori dal covo giusto un secondo prima che venga polverizzato.
Mentre ovviamente il cattivo probabilmente muore, o magari miracolosamente si salva anche se mezzo sfigurato nel caso il film vada bene e si decida di fare un ancora più brutto sequel.
Chiunque abba guardato Italia 1 tra gli anni ’90 e i primi 2000 sa bene di cosa sto parlando.
Ecco, la vicenda è più o meno la stessa, con i Cinesi che sono i super cattivi e l’unica differenza che sono i buoni a usare l’autodistruzione.
Sta cosa del pulsante di autodistruzione delle macchine per fare i chip mi ha veramente fatto spaccare.
Va beh, detta anche questa cazzata che se no non sono motivato a scrivere gli episodi di The Bull, c’è invece un’altra cosa seria legata al boom dell’intelligenza artificiale, ossia l’altro e inatteso boom del settore più noioso del mondo: quello delle utilities e in particolare delle società che si occupano di energia.
La tesi del mercato è che l’enorme quantità di energia che sarà richiesta per alimentare le applicazioni legate all’intelligenza artificiale manderà alle stelle i profitti delle società energetiche, tanto che 3 delle 5 società più performanti dell’S&P 500 da inizio anno sono tutte appunto in questo settore.
Sarà un trend da seguire?
Potrà forse essere un’idea mettere in portafoglio dei settoriali in questo ambito, così da beneficiare della loro crescita futura?
Come sempre, non ne ho la più pallida idea, ma magari qualcuno tra voi ha qualche idea più intelligente di quelle che vengono a me e imbrocca la scommessa del secolo.
Torniamo agli indici, abbiamo detto S&P 500 +3,7 a maggio e quasi +13% da inizio anno.
L’MSCI World invece, indice globale delle 1500 e fischia società più grandi del mondo sviluppato, sempre molto correlato ad S&P dato che ne rappresenta da solo il 67%, ha fatto a maggio +3,4% e da inizio anno è su di quasi il 12%.
Veniamo al vecchio continente e come sempre vediamo sia l’indice paneuropeo Stoxx 600 che il più ristretto Eurostoxx 50 delle società dell’eurozona.
Stoxx 600 ha fatto un ottimo 4,12%, collezionando un 11% da inizio anno, mentre l’indice soprattutto Franco-Tedesco dell’Eurostoxx ha fatto +3% a Maggio e +13,5% da gennaio ad oggi.
Di tutti i grandi indici mondiali, l’Eurostoxx 50 è stato fino ad ora il più performante anche grazie al non trascurabile contribuito della cosiddetta rivincita dei PIGS, acronimo tutt’altro che lusinghiero diventato celebre nel 2011 durante i mesi delle crisi dei debiti sovrani, che come sapete raggruppa Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. PIGS appunto.
I Paesi del mediterraneo, che per anni hanno preso schiaffi soprattutto dalla spocchiosissima super potenza economica europea della Germania, sono stati tra i Paesi che più sono cresciuti nell’era post Covid.
Il FTSE MIB, il principale indice del nostro un po’ sfigato mercato azionario, anche a Maggio ha detto la sua con un bel +4,23% e da inizio anno è su addirittura del 18%.
Continuerà l’inarrestabile corsa delle nostre blue chip?
Difficile dirlo, ma francamente anche difficile immaginarlo.
Sì, lo so, le previsioni non andrebbero mai fatte, ma come già detto anche in passato purtroppo la crescita delle principali società di piazza affari degli ultimi anni non è che sia il riflesso di un grande stato di salute dell’economia, quanto piuttosto una serie di fattori congiunturali.
Per strano che possa essere, tutti gli eventi capitati nel mondo negli ultimi 2 anni sembrano capitati apposta per valorizzare le nostre grandi società.
I venti di guerra iniziati nel febbraio 2022 hanno per esempio fatto correre Leonardo, la società partecipata dallo Stato e tra i leader mondiali nella produzione di elicotteri per uso civile e soprattutto militare, che è cresciuta ad oggi di oltre il 270%.
Il colosso energetico Eni, dal picco negativo di fine 2020 ad oggi ha fatto oltre il +140%.
Le due più grandi Banche italiane, Intesa e Unicredit, grazie all’impennata dei tassi di interesse e dei mega profitti che ne sono derivati, negli ultimi 2 anni sono cresciute rispettivamente del 90 e del 270%.
Bene così fino ad ora.
Ma mi riesce difficile pensare che questo bull run di piazza affari possa andare avanti all’infinito.
Però intanto, zitti zitti, quatti quatti, negli ultimi 5 anni il FTSE MIB è cresciuto tanto quanto l’S&P 500 e addirittura il doppio del DAX, il principale indice tedesco. E i tedeschi muti.
Lasciamo ora l’Europa e andiamo nel Sol Levante, con l’MSCI Japan che è stato praticamente flat a Maggio e conserva comunque un ottimo +9,5% da inizio anno, in attesa che la Bank of Japan faccia qualche operazione sui depressi tassi d’interesse giapponesi, gli unici rimasti pressoché a zero.
Da un lato, un innalzamento dei tassi rafforzerebbe lo yen quindi, a parità di altre condizioni, sarebbe favorevole per un investitore in euro.
Dall’altro ci sono da capire due cose:
Uno, che effetto avrà uno yen più forte sulle esportazioni giapponesi e di solito le valute domestiche forti non favoriscono l’export.
Due, i Giapponesi sono grandi compratori di Treasury americani, ma se i loro titoli di stato dovessero smettere di rendere 0, potrebbe esserci un sell-off di Treasury a favore dei decennali giapponesi, cosa che avrebbe chiaramente un impatto al rialzo dui rendimenti obbligazionari americani e sappiamo bene che questa cosa alle borse non piace mai troppo, anche considerato il livello mastodondico che il debito americano ha raggiunto.
Chiudiamo il capitolo azionario con i Paesi emergenti.
Anche l’MSCI Emerging Market è stato abbastanza inchiodato a Maggio e da inizio anno è cresciuto del 6,2%, anche grazie al risveglio della Cina e a dati sul suo prodotto interno lordo superiore alle aspettative.
Negli ultimi tre mesi, infatti, l’MSCI China è cresciuto di oltre il 10% e sappiamo quanto pesa la Cina sulle sorti dei mercati in via di sviluppo.
Vediamo invece velocemente il lato obbligazionario.
Le obbligazioni governative in Euro a media scadenza hanno avuto un mese difficile, con dati sull’inflazione meno incoraggianti del previsto e l’agognato inizio del ciclo di tagli dei tassi da parte della BCE che continua a rimanere sullo sfondo.
Probabilmente a inizio giugno un taglio da 0,25 punti ci sarà, già ampiamente scontato nei prezzi, ma poi le intenzioni di Christine Lagarde per i mesi a venire sono tutte da capire.
Come avevamo già detto, se la Fed non taglia perché di là dell’Atlantico l’inflazione non molla, noi Europei non possiamo tagliare troppo perché un euro debole riporterebbe dentro inflazione a causa dei maggiori costi per comprare materie prime, che ovviamente sono tutte prezzate in dollari.
Cmq i governativi a media scadenza hanno fatto -1,5% a Maggio e sono sotto del 2,15% da inizio anno.
Quelli a lunga scadenza, oltre i 15 anni per intenderci, sono invece scesi di oltre il 6%.
Questo a ulteriore testimonianza del fatto che i bond non si muovono QUANDO vengono modificati i tassi di interesse, ma quando cambiano le ASPETTATIVE rispetto al futuro andamento dei tassi.
Lato Treasury, invece, c’è stato un leggero calo dei rendimenti a maggio, ma se aveste investito a gennaio in un ETF con scadenze tra 7 e 10 anni oggi sareste sotto di circa lo 0,7%.
Come di consueto, uno sguardo alla superstar del 2024, l’oro.
A maggio se n’è stato bello quieto, ma da inizio anno siamo ad oltre +14,5%.
A proposito di oro.
Ho letto un interessante articolo di Daniel Rasmussen di Verdad che ha spiegato una serie di cose degne di nota:
– Intanto che l’andamento a 10 anni dell’oro ha una correlazione tutto sommato irrilevante con l’inflazione; è sì considerato un asset di protezione contro l’inflazione, ma in realtà sul lungo termine si muove secondo logiche tutte sue.
– Inoltre ha fatto vedere che il suo andamento è del tutto scollegato dall’uso che se ne fa a livello industriale o nel settore del lusso, quanto piuttosto sembra correlato alla crescita degli acquisti di oro attraverso gli ETF che lo tracciano. Ciò comunque non sembrerebbe sufficiente a spiegare la sua impennata di valore negli ultimi anni.
– Il principale driver della sua crescita soprattutto nel 2024 ha però un forte indiziato: la Cina e il suo tentativo di avere asset indipendenti dal dollaro e che in caso di invasione di Taiwan non possano essere confiscati o estromessi dal sistema di scambi internazionali, come invece accaduto con la Russia.
Alla luce di tutto ciò, è un buon momento per comprare oro in vista di nubi fosche all’orizzonte?
Probabilmente no.
Almeno questa è la sua tesi.
E il motivo riguarda proprio il fatto che se è vero che la Cina sta comprando quantità industriali di oro, questa cosa genera una spinta verso l’alto del prezzo, che però terminerà quando terminerà l’acquisto massiccio del biondo metallo.
Lo scenario base di Verdad, quindi, è che si possa assistere ad una regressione verso la media nei prossimi 10 anni, con il prezzo dell’oro più destinato a scendere che a salire.
Avete comprato oro di recente?
Eh-eh cazzi vostri!
No scherzo, non lo so e non ne ho la più pallida idea.
Io vi racconto cose che gente più intelligente di me pensa, poi fate voi.
Io non ho né oro, né bitcoin, né materie prime, né reit, né settoriali, né altra roba strana, ho il portafoglio più noioso della terra, fatto di azioni e obbligazioni, che riflette esattamente la mia personalità altrettanto noiosa.
Quindi ciascuno ragioni con la propria testa e si faccia il portafoglio che più si adatta alle proprie esigenze ma pure al proprio palato.
Ora, adesso che ci siamo fatti tutto questo bel giro a parlare dei risultati di maggio, che ce ne facciamo?
Da un lato, festa grande.
The Bull sta per compiere un anno!
Se nel giugno del 2023 uno avesse iniziato ad investire con un portafoglio super basic, diciamo 60/40 sempre per essere originali, fatto con MSCI World e Governativi Europei, si sarebbe portato a casa un 14% di crescita in 12 mesi.
Not bad per un portafoglio considerato tutto sommato poco aggressivo.
Però sappiamo bene che questa super crescita è stata dettata fondamentalmente da tre fattori:
– UNO: l’aspettativa di taglio nel 2024 dei tassi di interesse (ad oggi tutt’altro che scontata);
– DUE: l’euforia per l’Intelligenza artificiale, i cui benefici tangibili nell’economia reale sono però ancora tutti da dimostrare; e infine
– TRE: gli eccellenti profitti delle società, in particolare di quelle americane, che hanno goduto di un’imprevedibile tenuta dell’economia nonostante i tassi alti, anche se non dobbiamo dimenticare che buona parte delle economie occidentali ha beneficiato negli due anni di stimoli fiscali mastodontici derivanti dalle conseguenze del Covid.
Biden ha messo nelle tasche degli Americani triliardi di dollari tra sussidi e iniziative volte a stimolare la reindustrializzazione interna, con il risultato che l’economia Americana è cresciuta che è un piacere, ma accumulando un deficit del 7% rispetto che per un qualunque altro stato del mondo la cui valuta non è una riserva globale sarebbe allarmante.
E in Europa non è che abbiamo scherzato, con la montagna di soldi garantiti da debito europeo che confluiranno nel PNRR, oltre alle singole iniziative locali come la follia tutta nostrana del Superbonus 110%, che ha sicuramente sostenuto la crescita del PIL ma con dei costi per l’erario pubblico nei prossimi anni devastanti.
Quindi, tre motivi validi che hanno fatto crescere tutto — e soprattutto gli asset azionari, maggiormente legati all’economia reale — ma non esattamente tre motivi strutturali in grado di giustificare una crescita sostenuta a lungo termine.
Tra l’altro ricordiamoci che il grosso della crescita del PIL globale negli ultimi 20 anni è arrivata dalla Cina.
Se questa non riparte, o riparte ma Stati Uniti e Cina scazzano definitivamente, campa cavallo se ti aspetti che il PIL cresca in maniera significativa senza di lei e, soprattutto, siamo a posto se ci aspettiamo crescita sostenuta dall’ Europa, che se non si dà una svegliata rischia di diventare presto irrilevante nei destini del mondo.
Ci sarebbe anche un altro fattore “bonus”, diciamo, che nonostante tutto sta continuando a far crescere il valore dei mercati ed è la liquidità.
M2 è un indicatore globale che misura la quantità di moneta circolante disponibile, comprensiva anche di depositi e obbligazioni a breve termine.
Per effetto delle manovre fiscali degli ultimi anni e dei tassi bassi fino al 2022, il livello globale di M2 misurata prendendo in considerazione Stati Uniti, Banca Centrale Europea, Bank of Japan e Bank of China ad oggi è ai massimi storici, quasi 88 triliardi di dollari.
C’è quindi in giro una montagna di soldi che in parte vanno investiti e quindi le valutazioni azionari continuano a salire, forse, anche perché da qualche parte sti soldi vanno messi e quindi anche le valutazioni sono elevate, l’enorme disponibilità di liquidità globale continua a finire in asset finanziari creando quell’effetto di everything rally, il Rally di tutte le cose, come viene chiamato negli Stati Uniti.
Da capire, quindi, quanto durerà questo effetto doping monetario che probabilmente sta dando il suo bel contributo alla crescita di tutti i mercati.
E in effetti è da diverso tempo che il grosso della crescita dei mercati, soprattutto dell’S&P 500, non è dettato tanto dalla crescita di utili e dividendi, quanto piuttosto dalla crescita delle valutazioni, che è il motivo per cui diciamo sempre che oggi le azioni americane sono molto costose perché hanno prezzi in media di oltre 25 volte gli utili e di circa 20 volte gli utili previsti per i prossimi 12 mesi, un valore nettamente sopra le media di 17.
Se i prezzi attuali sono alti, per definizione i rendimenti futuri saranno inferiori.
Come sappiamo bene, se prendiamo l’inverso del price/earning ratio, ossia dividiamo gli utili per azione per i prezzi delle azioni otteniamo l’Earning Yield, ossia il rendimento legato ai profitti delle società.
Quando questo valore è inferiore al rendimento dei treasury a 10 anni, come è oggi, teoricamente il premio al rischio è negativo e quindi l’aspettativa è che i rendimenti azionari futuri saranno modesti.
Sempre tutto in teoria naturalmente, perché magari tra 10 anni saremo qui a fare il millesimo episodio di The Bull è il price/earning ratio dell’S&P 500 sarà 40 e ci sembrerà normale.
Detto questo, se da un lato so far so good, quali sono le minacce all’orizzonte?
Ovviamente una minaccia riguarda la possibilità che l’inflazione non vada giù e che quindi i tassi non solo non vengano tagliati, ma vengano pure alzati, ipotesi ventilata niente meno che da Jamie Diamon, il banchiere più potente del mondo in quanto CEO della banca più grande del mondo, JP Morgan.
Se i tassi non vanno giù — e anzi addirittura salgono — metà dello storytelling che sta sostenendo i mercati salterebbe e con esso i mercati azionari non la prenderebbero troppo bene.
Sempre collegato a questo c’è il fatto che tassi alti ad un certo punto si faranno sentire sull’economia reale.
Ad oggi molti privati e molte imprese hanno ancora goduto di tassi molto bassi su prestiti contratti prima del 2022 e quindi non hanno subito grosse ripercussioni.
Ma quando sarà necessario rifinanziare le proprie attività al 5, 6, 7% invece che all’1-2%, questa cosa potrebbe innescare una serie di conseguenze negative che tipicamente portano ad una recessione economica.
Altre minacce sono legate invece agli alti livelli di debito accumulati dai governi negli ultimi decenni, che sta mettendo in discussione la capacità del mercato di continuare ad assorbire l’enorme quantità di obbligazioni che continuano a venire emesse per rifinanziarlo.
L’unico modo per tenere la cosa in equilibrio è che con il debito ci sia crescita economica, ma se questa viene meno per via di un contesto di recessione, la domanda vera è fino a che punto questo debito resterà sostenibile senza causare un cataclisma globale?
Boh, meglio che non ci penso perché dormo male la notte sennò.
Senza guardare così lontano, però, c’è anche un altro tema che riguarda quanto sia realistica l’aspettativa che si è creata intorno all’intelligenza artificiale.
Perché ok tutto bello, l’economia è forte, i profitti spaccano, le aziende corrono e le famiglie continuano a spendere come se non ci fosse un domani, almeno in America.
Ma se poi andiamo a guardare, abbiamo un piccolo potenziale problema di concentrazione.
A maggio 4 società dell’S&P 500 hanno contribuito all’aumento di valore totale dell’indice per oltre 1,4 triliardi di dollari, più di quanto sono cresciute tutte le altre 296 società che hanno avuto un maggio positivo messe assieme. Queste 4 società sono, tanto per cambiare: Microsoft, Apple, Google e ovviamente Nvidia, che da sola ha dato un contributo alla capitalizzazione complessiva dell’S&P 500 per oltre 700 miliardi di dollari.
Come dire, Apple a parte che forse sta continuando a crescere perché ha annunciato il più colossale buyback di azioni della storia, che sarà alla fine di circa 110 miliardi, le altre sono tutte più o meno correlate al discorso dell’intelligenza artificiale.
Se tutta l’hype sull’intelligenza artificiale viene giù, è facile immaginare conseguenze catastrofiche, almeno nel breve — e qui ci sono tre scenari da considerare, che ho pescato e poi rielaborato da un’analisi del Wall Street Journal.
Scenario 1: La domanda di AI crolla perché ci si rende conto che le sue potenzialità sono state sopravvalutate o richiederanno molto più tempo per dispiegare le sue applicazioni pratiche.
Ad oggi in effetti ci sono poche applicazioni concrete di intelligenza artificiale.
Siamo tutti d’accordo che possa essere la grande rivoluzione tecnologica del nostro tempo.
Ma da lì a capire quali saranno i benefici economici che continueranno a far confluire triliardi di investimenti in Intelligenza Artificiale è tutta un’altra questione.
Scenario 2: Potrebbero crescere i competitor di Nvida. Oggi nessuno è in grado di contrastarla, ma un domani colossi come Google, Meta, la stessa Intel potrebbero voler smettere di pagare a peso d’oro i chip di Nvidia, farsi i propri e se anche di qualità inferiore potrebbero far scendere i prezzi, con un impatto sui profitti delle società come Nvidia e con gli impatti significativi che avrebbero sulle valutazioni del mercato azionario in generale.
Giusto per intenderci. Nvidia oggi pesa quasi il 6% del S&P 500.
Se qualcosa va storto e succede a Nvidia quel che successe a Cisco a inizio 2000, quando arrivò a perdere quasi il 90% del valore, questa cosa avrebbe un impatto diretto di oltre il 5% sul valore dell’S&P e indiretto incalcolabile, perché se va giù una società come Nvidia il mercato per mesi va giù a capofitto.
Scenario 3: L’idea che i modelli di Intelligenza di artificiale funzionino tanto meglio quanto più siano scalabili, e quindi tanto più siano in grado di fagocitare dati per migliorare, potrebbe non essere ciò che le aziende realmente vorranno e magari preferiranno più modeste soluzioni AI allenate con i dati proprietari per i propri scoppi specifici.
Se questa cosa fosse vera, certamente avrebbe un impatto negativo sulle vendite di Nvidia e su tutto il gigantesco indotto che ne deriva.
Insomma, giusto per restare allegri, tante buone notizie che vengono dai mercati e come sempre tante minacce all’orizzonte.
Ma come si dice: “this is feature, not bug”.
È una caratteristica intrinseca dei mercati finanziari, non un’anomalia.
Il mercato sarà sempre animato da tensioni contrapposte, fear and greed, paura che cose terribili possano accadere e al contrario timore di perdersi i treni migliori, dati economici positivi e prospettive negative, pace e guerra, insomma il mondo non è fatto per starsene tranquillo e permetterci di prendere decisioni a tavolino, a bocce fermo.
Quello non smette un attimo di muoversi, tutto cambia alla velocità della luce e raramente il corso della storia è una linea retta. Molto più spesso fa dei salti avanti e indietro del tutto imprevedibili e l’unica cosa che possiamo fare e avere i nervi salda, tenere la barra dritta e attraversare le varie fasi che ciclicamente il mercato ci presenterà.
Io lo so che voi siete tutti strateghi e volete comprare un po’ di questo e un po’ di quello convinti di aver capito come gira il fumo.
Fidatevi: non avete capito niente.
Nessuno l’ha capito.
E chi pensa di aver capito tutto è il più sfortunato perché sarà quello che si farà più male.
Un grande classico di questi giorni è: “ma cosa conviene fare in questo momento visto che la BCE sta per tagliare i tassi di interesse?”.
E a queste domande devo sempre rispondere: “eh che ne so. Manco loro lo sanno cosa conviene fare. Occhio a giocare con gli investimenti basandovi sul tempismo delle vostre decisioni”. In media cercare di essere tempestivi fa più danni che altro.
Se non vi fidate di me — e fate bene tra l’altro perché ci manca che per gli investimenti della vostra vita vi fidate dell’ultimo pirla su questa Terra che fa podcast — preparatevi perché mercoledì prossima torna a trovarci Costantino Forgione che gentilmente si è prestato a tenere qui, in esclusiva assoluta per The Bull, la masterclass definitiva sulle obbligazioni.
Se dopo l’episodio con lui avrete ancora dubbi sull’argomento, a quel punto getto la spugna.
Noi invece ci stiamo avvicinando all’anniversario di The Bull e segnatevi sull’agenda mercoledì 12 giugno, quando uscirà l’episodio di compleanno di questo podcast e il suo regalo sarà il graditissimo ritorno di uno degli ospiti che che più avete apprezzato lungo questi oltre 100 episodi insieme.
E intanto, ridendo e scherzando gli ascoltatori di The Bull si sono propagati con la progressione geometrica di un’epidemia influenzale in un asilo nido e siete in più di 100.000 ad aver ascoltato almeno un episodio di questo podcast, che ha visto premere play già oltre 2 milioni di volte.
100.000 grazie a ciascuno di voi che almeno una volta ci ha provato a sistemare le proprie finanze e 2 milioni di grazie per tutti coloro che continuano imperterriti questo viaggio insieme a me per motivi che continuano a sembrarmi incomprensibili.
Un grazie speciale oggi anche a Urbi, partner di The Bull per questo episodio e soluzione veramente figa per non dover mai più comprare un solo biglietto per muoversi in città.
Un consiglio, come dicevano i latini, gratis et amore dei, scaricatevi l’app, pigliatevi i 6€ di entry bonus che Urbi vi regala, e fatevi un giro a sbafo per Milano, Roma, Torino o in una delle miriadi di città in Italia e all’estero servite da Urbi.
Come da tradizione vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che a mani nude vi salvano dai supercattivi che vogliono farvi investire con commissioni al 2% e dall’autodistruzione finanziaria, sempre nuovi.
Se poi non ne avete ancora abbastanza di due episodi a settimana — e molti pazzi tra voi mi hanno chiesto di pubblicarne uno al giorno ma credo che a quel punto mi verrebbe un esaurimento — potete seguirmi sul profilo instagram thebull_finance.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ritroviamo mercoledì prossimo con Costantino Forgione e la Masterclass sulle obbligazioni sempre qui, naturalmente, con The Bull — il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
Francesca B., 6 Apr 2024