Ha senso tenersi informati se i mercati hanno già prezzato tutto?

Il mercato ha già scontato nei prezzi tutte le informazioni disponibili. Ha quindi senso tenersi informati su vicende economiche e finanziarie? I tre motivi per cui una maggiore consapevolezza può essere un alleato dell'investitore.

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Ha senso tenersi informati se i mercati hanno già prezzato tutto?
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

228. Ha senso tenersi informati se i mercati hanno già prezzato tutto?

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Punti Chiave

La consapevolezza migliora decisione e rapporto con portafoglio.

Conoscere scenari aiuta risk management e gestione emotiva.

Mercato prezza breve termine; non la regressione alla media, consentendo scelte.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

Tanto per cambiare, l’S&P 500 ha sfondato nuovi massimi, perlomeno in dollari, mentre sappiamo che per gli investitori in euro c’è almeno un 10% di gap da colmare.

In questi primi sei pazzi mesi abbiamo visto di tutto, i mercati ex US che stanno andando meglio di quello americano come non si vedeva da un decennio, la Germania che ha improvvisamente deciso di emettere fantastiliardi di euro di debito per finanziare riforme e difesa, un crollo contemporaneo di S&P 500, Treasury e dollaro manco gli Stati Uniti fossero la Turchia, un Presidente ambrato che a colpi di tweet ha disintegrato 24 anni di globalizzazione, ha mandato il mercato ad uno zero virgola da un bear maker e poi di nuovo su in tempi record e in un contesto del genere non ci stupiamo più nemmeno del fatto che dei missili lanciati dall’Iran su basi americane in Qatar sia stato festeggiato dai mercati manco la Fed avesse tagliato i tassi di interesse.

Sono successe tante cose in questi 6 mesi.

Tante che, come raccontammo un paio di episodi fa, forse sono destinate a cambiare il corso della storia.

Oggi però non parliamo di questo, o meglio.

Facciamo un passo indietro rispetto a tutto questo.

Eh sì perché lo spunto per quest’episodio è arrivato da delle discussioni che ci sono state su alcuni social la scorsa settimana a proposito di quell’episodio dedicato appunto ai “5 trend che hanno già cambiato il futuro”.

In breve in quell’episodio, oltre a parlare di alcune cose di stretta attualità come il bombardamento americano in Iran e a portare alcune riflessioni di Howard Marks sull’importanza di lasciare il mercato il più libero possibile senza che il governo ci metta troppo le mani dentro, avevo raccontato alcuni macrotrend che si sono resi evidenti in questo 2025, come il corso del dollaro, la spinta fiscale in Cina ed Europa, l’avanzata tecnologica cinese e così via.

Alla fine dell’episodio, nel consueto recap in cui tiro un po’ le somme dei film che mi faccio quando scrivo una puntata, dissi che conoscere questo genere di informazioni non permette di avere un vantaggio competitivo rispetto al mercato e che uno non dovrebbe costruire un portafoglio in base a certi trend; piuttosto l’episodio era stato un’occasione per raccontare quali forze si stanno dispiegando nel mondo, quali impatti possono avere, far prendere consapevolezza di alcune possibili conseguenze a medio termine e rimarcare ancora una volta, con argomenti di attualità, l’importanza della diversificazione proprio perché cose che ci potevano sembrare ovvie fino a pochi mesi prima — e magari guidare le nostre decisioni in maniera avventata — possono invece sempre stravolgersi in un battito di ciglia.

La discussione sul web però si è concentrata attorno all’obiezione: “è inutile parlare di queste cose perché tanto è tutto già prezzato. Bisogna parlare solo di cose che hanno impatto pratico sul portafoglio, altrimenti uno ha troppe informazioni e finisce per prendere decisioni sbagliate”.

Allora, fermo restando che la fotografia di Gene Fama che ho inquadrettato e apposto sulla mensola sopra la mia scrivania veglia su di me e mi ricorda di non fare cazzate con i miei soldi perché il mercato è più smart di quanto io lo sarò mai, e che tentare di indovinare il futuro sia una minchiata, ci sono tre motivi per cui non sono completamente d’accordo con la tesi e per cui ritengo importante commentare l’attualità e cercare di guardare oltre ad essa.

L’episodio di oggi vuole quindi essere una discussione sulle motivazioni per cui ritengo abbia del valore parlare di eventi economici, fatti di mercato, trend e prospettive future non tanto per migliorare il proprio portafoglio, quanto invece per migliorare la gestione del nostro portafoglio e la nostra relazione con i nostri investimenti nel tempo, se per questo far rivoltare San John Bogle nella tomba.

Prima di parlare di questi tre motivi e ragionare su che implicazioni abbia il fatto che “è già tutto prezzato dal mercato” permettetemi di ricordarvi che chi come me crede fermamente nella bontà dell’investimento a lungo termine in indici di mercato è il broker più Boglehead d’Europa Scalable Capital, sponsor di quest’episodio.

E come il buon Jack, anche i ragazzi di Scalable credono a tal punto nell’importanza di tenere i costi d’investimento più bassi possibile che usando il link in descrizione non solo è possibile aprire un conto gratuito e fare piani di accumulo in ETF a zero costi d’ordine, ma i nuovi clienti riceveranno il 3,5% annuo d’interessi sulla liquidità non investita fino al 31 dicembre 2025.

Se usate il link in descrizione chi vi parla riceverà una commissione così corposa che se Trump lascia i dazi all’Europa al 50% potrei andare dalla Von der Leyen e dirle: “sta serena Ursula, offro io”.

Si applicano termini e condizioni, investire comporta dei rischi ma per sapere quanti rischi è giusto prendersi state con me fino alla fine dell’episodio perché vi svelerò il nome del nostro prossimo straordinario ospite che è una massima autorità mondiale per rispondere esattamente a questa domanda.

Torniamo a noi e ai tre motivi per cui ok che il mercato prezza tutto ma questo non significa che commentare l’attualità economico-finanziaria sia utile come una tisana bruciagrassi per perdere peso.

Il PRIMO è il più banale: il fatto che non tutti i contenuti di questo podcast debbano necessariamente portare gli ascoltatori a mettere mani al portafoglio non significa che i contenuti siano inutili. Io leggo tutti i giorni il WSJ, il FT e una ventina tra newsletter e blog di finanza, ma non per questo ogni giorno modifico la mia asset allocation.

Però intato voglio sapere cosa succede nel mondo e quali sono gli scenari che si potrebbero prospettare e poi in generale avere più informazioni mi permette di capire meglio come certe dinamiche economiche e finanziarie si interconnettano e influenzino tra di loro, incrementando il mio livello di consapevolezza rispetto a ciò che accade intorno e me e soprattutto di ciò che può accadere ai miei soldi.

Quando alle elementari impari che l’acqua evapora, va in cielo, si ricondensa, fa le nuvole e poi torna giù come pioggia non è un’informazione che migliora il livello di idratazione dei bambini dai 6 agli 11 anni, però sapere perché ogni tanto piove mi fa stare al mondo con più consapevolezza rispetto ad assistere passivamente a fenomeni di cui non so spiegarmi la ragione.

Il SECONDO motivo è in qualche modo una conseguenza del primo.

Una cosa che ho riscontrato all’inizio sulla mia pelle e che poi mi ha riconfermato l’aver interagito con decine di migliaia tra voi è che ciò che più fa smattare quando succede qualcosa di negativo sui mercati non è il fatto in sé, almeno entro certi limiti, ma il fatto di non capire perché qualcosa stia accadendo.

Paradossalmente la maggior parte di voi ha vissuto molto meglio il -20 e fischia % dell’S&P 500 di marzo e aprile rispetto al movimento nettamente più contenuto dei titoli di Stato Europei che a fine marzo hanno avuto un modesto calo dopo che la Germania ha deciso di infrangere il suo gigantesco salvadanaio.

Perché?

Perché ormai, dopo due anni che parliamo due volte a settimana del mercato azionario, uno se lo aspetta che ogni tanto un 20% possa capitare, sa che spesso ciò è una buona occasione di acquisto se ha soldi da parte e quasi nessuno ha faticato a capire che l’introduzione di dazi crea la prospettiva di crescita più bassa, inflazione più alta e quindi profitti futuri inferiori.

Magari qualcuno si è incazzato, però tantissimi tra voi mi hanno scritto: “ah figo compro a sconto così rendimenti futuri maggiori!”.

Ad oggi, tra l’altro, pure al netto del calo del dollaro, chi l’ha fatto davvero ha avuto perfettamente ragione.

Ciò che manda fuori di testa è stato invece non capire perché una votazione nel parlamento tedesco dovrebbe innescare un rialzo dei rendimenti sulla parte lunga della curva obbligazionaria e quindi un significativo calo dei prezzi degli ETF obbligazionari europei in portafoglio.

Infatti alla maggior parte di chi mi segue — benché la cosa continui ad essere per me sorprendente — fanno più paura i bond delle azioni, anche se i primi comportano un rischio che è una frazione delle seconde.

Penso che il motivo sia semplicemente psicologico.

È piuttosto umano, infatti, che si abbia paura soprattutto di ciò che non si conosce o che si fa più fatica a capire.

E benché i bond siano indubbiamente MENO rischiosi delle azioni, in effetti hanno un comportamento poco intuitivo, tanto che c’è ancora qualcuno che non è del tutto convinto del fatto che i bond singoli siano migliori agli ETF di bond anche se sempre di quelli stessi bond sono fatti.

Di conseguenza sapere le cose, capire cosa sta accadendo nel mondo e prenderne consapevolezza non implica che uno poi costruirà un portafoglio con un miglior Sharpe Ratio, ma semplicemente che vivrà meglio future situazioni negative perché meglio comprenderà le implicazioni tra una certa causa e i suoi possibili effetti.

Per esempio non andrà in sbattimento la prossima volta che vedrà un -3% in un giorno ai suoi ETF obbligazionari nonostante ci avesse investito proprio per ridurre il rischio del portafoglio, perché capirà la causa, comprenderà gli effetti e si ricorderà che i prezzi vanno giù quando i rendimenti vanno su e che man mano i suoi ETF incorporeranno nuovi bond con rendimenti più alti.

Perché per esempio se sanno anche i sassi che investire con un approccio buy and hold è probabilmente la migliore idea di investimento che un risparmiatore può avere, durante i crolli di mercato ci sono i panic selling?

Perché più conosci le cose, maggiore sarà la capacità della tua ragione di controllare le tue emozioni e migliore sarà il tuo processo decisionale. Se invece hai delle conoscenze meno solide è lì che il tuo istinto guida malissimo le tue decisioni.

Non è quindi questione di fare portafogli che rendano di più a parità di rischio.

Si tratta di essere pronti a gestire emotivamente determinati possibili scenari futuri, sapendo che possono capitare, evitando di prendere decisioni di pancia animati da impulsi che spesso coincidono con “scarsa conoscenza”.

Come abbiamo tante volte in passato, poi, un conto è fare market timing — cioè provare a sfruttare determinate informazioni per prendere decisioni d’investimento più profittevoli — e sappiamo quanto questa cosa sia difficile e praticamente impossibile in via sistematica; un conto invece è fare risk management, cioè decidere di adattare il proprio portafoglio in base al livello di rischio che uno, date certe informazioni, è disposto a prendersi.

Nel corso di Corporate Finance all’MBA facevamo scenario analysis, o what-if analysis.

Ci davano un caso, noi dovevamo fare una stima dello scenario base, di uno scenario positivo e di uno negativo e poi formulare delle “raccomendation”, dei consigli — come se fossimo consulenti di quella società — in modo da reagire a seconda di quale scenario si sarebbe verificato.

Questo non significa provare a prevedere il futuro.

Significa fare delle assunzioni e sapere che nei prossimi anni ci sarà un 95% di probabilità che si verifichi un qualche scenario compreso tra molto positivo e molto negativo, lasciando naturalmente un 5% di spazio ai cigni neri contro cui poco si può fare.

Poi nell’ambito di quel range di possibilità uno formula le azioni che si metterebbe ad intraprendere, così da essere già pronto quando si dovessero verificare senza farsi cogliere completamente nel panico.

Con il nostro portafoglio il discorso deve essere lo stesso.

Scelgo il mio portafoglio in base a tutte le cose che abbiamo detto in questo podcast, la mia tolleranza, capacità e necessità di prendere rischi, la mia pianificazione, il mio reddito, il mio debito famigliare, l’orizzonte temporale dei miei obiettivi, la mia preferenza soggettiva per determinati stili d’investimento (come ad esempio con il factor investing) e così via.

Una volta scelto il portafoglio, però, non è che devo modificarlo ogni mercoledì e domenica quando esce The Bull, ma è importante consolidare la mia consapevolezza degli scenari che possono verificarsi per fare un periodico riassessment che il portafoglio che ho scelto sia quello effettivamente giusto per la mia situazione se certi scenari avversi dovessero verificarsi.

E a quel punto decido consapevolmente se prendermi certi rischi mi sta bene oppure no, secondo valutazioni che in parte sono strettamente finanziarie mentre altre più propriamente soggettive.

~~La regoletta di The Bull che racconto ogni tanto, ossia di avere un’allocation base in azioni e obbligazioni nella fase di accumulo legata a età e tassi di interesse risponde ad un’idea di questo genere se ci pensate.~~

~~Non è che pretende di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento in ogni fase di mercato.~~

~~Semplicemente mette insieme due idee di buon senso con un buon track record storico:~~

– ~~La prima è che man mano che ti avvicini alla pensione solitamente conviene ridurre la quota azionaria;~~

– ~~La seconda è che più i tassi di interesse sono elevati, minore è il premio al rischio per l’investimento azionario; quindi, avere per esempio il 70% di azioni quando i titoli di stato intermedi rendono 1% o 4% non è la stessa cosa in termini di rapporto tra rischio e rendimento.
Se avessi avuto 30 anni nel 2000, con i tassi americani al 6%, avrei fatto meglio ad avere 65% in azioni, invece che 95%.
Se invece avessi avuto 30 nel 2010, con i tassi a 0, avrei fatto meglio ad avere il 95% in azioni, invece che il 65%.~~

~~Poi non è una regola scritta nella pietra, ma proprio perché prevedere il futuro è difficile, una rule of thumb come questa evita se non altro di prendere decisioni stupide, come avere un portafoglio zeppo di bond con i tassi a zero, che poi si sarebbe sfracellato al suolo al primo rigurgito di inflazione nel 2022.~~

~~Quella di The Bull, come anche altre regole — ben più famose e nobili della mia — come per esempio la regola di Merton di cui avevamo parlato nell’episodio 184, sono regole sistematiche, non si basano sui trend, però usano dati che arrivano dall’attualità:~~

– ~~I tassi di interesse per la regola di The Bull;~~

– ~~L’Earning yield nel caso di Merton.~~

~~Anzi, la regola di Merton aggiunge un ulteriore pezzo al discorso.~~

~~Se vi ricordate la regola di Merton dice di investire in azioni una quota del proprio capitale investibile equivalente a: rendimento in eccesso atteso dalle azioni (per esempio: Earning Yield meno rendimento dei titoli di stato indicizzati all’inflazione) DIVISO il quadrato della deviazione standard per GAMMA, dove GAMMA è il coefficiente di avversione al rischio: se voglio poco rischio, GAMMA avrà un valore alto e quindi la quota di azioni si riduce e viceversa se posso accettare tanto rischio.~~

~~Quello che fa la formula di Merton è quindi mettere insieme fatti oggettivi (come una stima del rendimento atteso che si basa sui prezzi attuali del mercato) e fatti soggettivi (come appunto la mia avversione al rischio) per tirare fuori un portafoglio che risponda alle mie esigenze.~~

Sapere le cose che succedono sui mercati e i loro possibili sviluppi non è quindi qualcosa che migliora il rendimento atteso del portafoglio: può farlo come anche no, perché c’è una grossa componente casuale in questo.

Quello che fa però è migliorare l’aderenza del mio portafoglio alle mie esigenze soggettive perché mi prepara a possibili scenari e mi permette di costruire un portafoglio adatto alla mia disposizione personale.

Alcuni esempi:

– Il dollaro potrebbe andare avanti a perdere fino a toccare il minimo del 2008 con il cambio a 1,58: è possibile? Certo. Mi sta bene accollarmi un -30% supplementare sull’S&P 500 dovuto esclusivamente al cambio?

– Se sono in fase di accumulo e ho un lungo orizzonte probabilmente sì, anzi potrei anche vederla come un’opportunità e se il dollaro continua ad andare giù magari sono pure contento;

– Se invece sono in una diversa fase della vita, magari mi rendo conto che questo è un rischio che non sono disposto a prendermi, anche a costo di rinunciare a del rendimento — e allora magari deciderò che la mia esposizione verso il dollaro è eccessiva rispetto a ciò che sono disposto a tollerare e che preferisco fare diversamente.

Oppure

– Europa, Giappone e Mercati emergenti hanno valutazioni piuttosto basse e sono previsti significativi incentivi monetari o fiscali in tutti e tre i mercati: ci voglio investire di più oppure no?

– Se sono disposto a prendermi maggiore rischio investendo in mercati con un rapporto medio tra prezzo e utili più bassi, nell’aspettativa di provare a prendermi un rendimento di lungo termine posso farlo.

– Se invece ho capito che, proprio perché i mercati sono generalmente efficienti, allora investire in mercati più economici è potenzialmente più redditizio ma anche più rischioso — non è un’opportunità gratis — allora posso decidere se la cosa mi interessa o se starmene tranquillo con il mio ETF globale market-cap weighted.

Non è che sono decisioni di market timing.

Sono solo decisioni informate che riflettono la mia preferenza soggettiva rispetto a determinati possibili scenari.

Dal punto di vista della razionalità economica potrebbe essere sub-ottimale.

Ma penso sempre che prendere una decisione consapevole e deliberata che poi si dovesse rivelare “sbagliata” (in termini di rendimento realizzato) sia meglio che subire gli stessi effetti negativi senza aver preso alcune decisione consapevole.

Quindi i primi due punti sono:

– Sapere le cose è importante perché investo meglio e decido meglio se sono perché il mio portafoglio prende a comportarsi in un certo modo; e

– Sapere le cose è importante perché aiutano il mio processo di risk management.

E così vengo al TERZO MOTIVO: ma cosa prezzano davvero i mercati?

Cioè, dire che è perfettamente inutile fare qualunque cosa al di là di avere un paio di ETF market cap weighted perché i mercati hanno già prezzato ogni cosa non è esattamente ciò che è implicito nel concetto di mercati efficienti.

L’ipotesi dei mercati efficienti dice che i prezzi riflettono tutte le informazioni disponibili e che il mercato tende ad eliminare molto velocemente le opportunità di arbitraggio.

Cosa significa? Significa che se ci fosse un’ovvia opportunità sul mercato per ottenere un certo rendimento ad un rischio inferiore, allora quell’informazione farebbe salire immediatamente i prezzi per ricreare l’equilibrio.

Dai prezzi attuali non è quindi possibile prendere decisioni informate con un vantaggio competitivo o, come disse Gene Fama quando venne qui a dicembre, you can’t beat the market, non puoi battere il mercato — e, aggiungerei, non puoi battere il mercato, a parità di rischio assunto.

Perché invece se sei disposto ad assumerti più rischio puoi puntare ad un rendimento superiore — e questo è il senso del factor investing.

Però, oltre a questo, non è che il mercato prezza il futuro in maniera corretta.

Prezza le informazioni che si hanno oggi rispetto al futuro, PIU/MENO una serie di distorsioni emotive che alimentano i movimenti dei prezzi sui mercati, PIU/MENO il fatto che i diversi investitori hanno diverse esigenze e quindi alcuni sono disposti a prendersi un lato di un trade e altri sono disposti a prendersi l’altro.

Quindi intanto il fatto che non si possa sfruttare sistematicamente a proprio vantaggio, non significa che il mercato già prezzato tutto correttamente.

Ex post sappiamo che il mercato non ha quasi mai prezzato le cose in maniera adeguata.

Il punto però è che noi inevitabilmente prendiamo decisioni che vanno sempre a violare la tesi secondo cui TUTTO è GIA’ PREZZATO, anche se vogliamo essere degli investitori perfettamente passivi.

Se tutto fosse davvero perfettamente prezzato dal mercato, allora anche la stessa decisione di investire tot in azioni e tot in obbligazioni sarebbe una violazione di questo principio.

Esisterebbe un solo portafoglio, ossia quel mix di azioni e obbligazioni con il miglior rapporto tra rischio e rendimento e io dovrei solo decidere se prendermi più rischio investendo a leva o meno rischio tenendo più cash.

~~Per chi si ricorda la teoria moderna del portafoglio, Harry Markowitz aveva introdotto l’idea della frontiera efficiente, ossia quella linea immaginaria su cui si collocano tutte le combinazioni di portafogli di azioni e obbligazioni che hanno il massimo rendimento atteso per ciascun livello di rischio.~~

~~Voi immaginatevi il classico grafico cartesiano.~~

~~Sull’asse verticale c’è il rendimento e su quello orizzontale c’è il rischio, che Markowitz misurava come varianza.~~

~~Ora immaginatevi dentro il grafico una specie di C sbilenca, come se fosse una C maiuscola in corsivo inclinata verso destra e molto allungata.~~

~~Tutti i portafogli che hanno un rapporto tra rischio e rendimento che cascano sulla C sono mean-variance efficient, cioè efficienti dal punto di vista del rapporto tra rischio e rendimento e non avrebbe senso investire in portafogli che cascano sotto la C perché dovrei prendermi più rischio per lo stesso rendimento.~~

~~In pratica i portafogli sulla C sono quelli con il maggior rendimento atteso per ogni dato livello di rischio, o viceversa.~~

~~Ok, grafico cartesiano e dentro c’è questa linea curva che ricorda una C.~~

~~Ora, prendiamo il tasso d’interesse senza rischio, per esempio il rendimento di un titolo di stato Americano a tre mesi.~~

~~Se oggi per esempio il rendimento di un Treasury Bill è circa 4% io mi metto sull’asse verticale, che è quello dei rendimenti, e tiro una riga che parte dal 4% ed è tangente la curva C.~~

~~In quel punto in cui la riga tocca la C si trova il portafoglio con il miglior rapporto rischio-rendimento, con il miglior Sharpe Ratio.~~

~~A questo punto la teoria finanziaria prevede che io debba investire in quel portafoglio e che se voglio più rendimento non dovrò aumentare la quantità di azioni, perché in proporzione mi assumerei più rischio per il rendimento supplementare, ma dovrei invece investire a leva nel portafoglio con il miglior sharpe ratio.~~

~~Viceversa, se voglio meno rischio non aumento le obbligazioni, ma faccio il contrario, cioè investo di meno e mi tengo del cash.~~

Questo modello è bellissimo ma quali sono i problemi?

– Intanto i rendimenti e qualunque misura di rischio si utilizzino sono delle stime basati sui dati passati o su quelli attesi, quindi con un siderale margine di errore;

– Poi ovviamente si assume che i rendimenti siano distribuiti normalmente, cioè seguano le regole statistiche della curva di Gauss, invece sappiamo che non è così proprio per niente e che in finanza accadono eventi molto più estremi e molto più spesso di quel che la statistica direbbe;

– Inoltre, nei paper finanziari un investitore prende soldi in prestito al tasso risk-free, ma nella realtà non è così, la leva si paga;

– Infine, il tutto si basa su un’ipotesi iper razionale, ossia che l’investitore sia avverso al rischio e che quindi il suo portafoglio ottimale sia quello con il rapporto tra rischio e rendimento più alto. In realtà la finanza comportamentale ha messo in luce che quell’investitore iperrazionale non esiste.

Quindi se diciamo che tutto è già prezzato e non ha senso fare altro che investire seguendo questa logica, allora bisognerebbe investire esattamente in questo modo, oppure prendere atto che ci sono una serie di decisioni discrezionali che uno andrà a prendere che non sono completamente coerenti con l’idea che il mercato abbia già prezzato tutto. Perché poi, la verità dei fatti, è che non è così.

Cosa prezza infatti il mercato?

Il mercato prezza le informazioni attuali e cerca di fare una stima sul futuro prevedibile.

Ma quando per esempio si vuole stimare il valore intrinseco di un’azione cosa si fa?

Si prendono gli utili attesi dell’anno prossimo, si formula una stima a naso del tasso di crescita di quegli utili e li si scontano in base ad un tasso che rifletta il rischio percepito e il rendimento atteso.

Però al di là del fatto che queste previsioni ci prendono poco, comunque vanno a stimare dei valori molto prossimi al presente.

Quel è il futuro che si può considerare prevedibile?

2? 3? 5 anni?

Se si dice che “è tutto già prezzato”, bisognerebbe specificare che ciò che è prezzato è “tutto ciò che verosimilmente ci si aspetta che accada nei prossimi 2-3 forse 5 anni”.

Ma ci sono delle cose che invece il mercato non prezza e che ciononostante non è che siano completamente imprevedibili.

Sappiamo ad esempio che i prezzi delle azioni si muovono molto di più rispetto alle variazioni nei fondamentali, come disse Robert Shiller nel 1981.

Ci sono cose che nei prezzi non sono incorporate.

E la cosa più importante che non prezza, su cui peraltro sia un iper-razionalista come Fama che un comportamentalista come Shiller sono d’accordo, è la regressione verso la media.

Shiller ha inventato il CAPE ratio nel 1998 e ha mostrato che c’è un’elevata correlazione negativa tra i prezzi di oggi e i rendimenti di domani. Se oggi compriamo un indice che ha un prezzo elevato rispetto agli utili che ha generato negli ultimi 10 anni, possiamo aspettarci rendimenti inferiori nei prossimi 10-15 anni e viceversa.

Fama e French nel 1988 scrissero un paper dal titolo Dividend Yields and Expected Stock Returns e fecero vedere che c’è una forte correlazione tra dividendi e rendimenti futuri.

Quando i rendimenti da dividendo sono elevati perché i prezzi sono bassi, allora il rendimento atteso è a sua volta elevato, perché i prezzi tenderanno a salire e quindi il rendimento da dividendo a scendere; viceversa, quando il rendimento da dividendo è basso, cioè i prezzi sono elevati rispetto ai dividendi distribuiti, allora i rendimenti futuri saranno mediocri, perché i prezzi tenderanno a scendere e il dividend yield a salire.

Per esempio, oggi siamo in questa situazione, dividend yield ai minimi storicie rapporto prezzo utili quasi ai massimi storici.

Questo non vuol dire che l’anno prossimo il mercato crollerà.

Sappiamo che questi indicatori sono perfettamente inutili per previsioni a breve termine.

Ma sono piuttosto realistici per le prospettive di medio-lungo termine.

E la regressione verso la media, che è una forza onnipresente nella storia dei mercati, non è qualcosa che viene prezzato.

Ma quello che un investitore può fare è decidere di posizionare una parte del suo portafoglio per intercettarne gli effetti, sapendo che ciò avrà un rendimento atteso superiore ma pure un rischio superiore.

Quindi per esempio scegliere di sottopesare mercati con valutazioni elevate e di sovrappesarne altri con valutazioni inferiori non è incoerente con la teoria dei mercati efficienti e con l’idea che tutto sia già prezzato, ma semplicemente riconosce il fatto che il premio al rischio varia nel tempo e non è fisso e immutabile — e questa cosa me l’ha confermata Gene Fama stesso, al quale ho scritto prima di fare quest’episodio per esserne certo.

Peraltro in questo preciso contesto storico sottopesare mercati costosi e sovrappesare quelli più economici implica anche una minore concentrazione valutaria, dato che significa avere meno esposizione al dollaro, quindi anche in ottica di gestione del rischio personale e di preferenza soggettiva può essere qualcosa di preferibile.

Chi per esempio segue Ben Felix sa che anche lui è per lo più un fan di Fama e dall’ipotesi dei mercati efficienti.

Ma il portafoglio modello della sua società ha un 30% della quota azionaria investita nel mercato canadese, 15 volte di più rispetto al peso del Canada nell’MSCI ACWI.

Ben Felix sa bene che i prezzi esprimono tutte le informazioni disponibili e che un indice market cap weighted è la migliore rappresentazione possibile dello status quo di un mercato, ma ciononostante ritiene che dare ai suoi clienti una significativa esposizione azionaria al mercato domestico migliori la diversificazione e il profilo di rischio del portafoglio.

Ora, non è che se lo fa Ben Felix è giusto per forza.

Ma è solo per dire che ci sono tanti modi per prendere decisioni sul proprio portafoglio che non violano l’idea generale che i mercati siano fondamentalmente efficienti ad incorporare nei prezzi le informazioni disponibili.

Aggiungo una cosa.

In questo podcast ho parlato sino alla nausea di investimento passivo e della sua virtuosità.

Ma bisogna anche riconoscere che nella realtà, questa cosa esiste solo in forma debole.

L’unico portafoglio passivo è il market portfolio, che è un’astrazione accademica dato che non è possibile fare un portafoglio che replichi tutti gli asset investibili della Terra.

Investire nell’MSCI ACWI è una buona approssimazione dell’idea di investimento passivo, ma bisogna ricordarsi che è ben lungi dall’essere una sua implementazione rigorosa.

Quando gli americani hanno cominciato a parlare della superiorità dell’investimento passivo, inteso come compra tutto il mercato e stai fermo quello che avevano in mente era il loro mercato e nemmeno solo l’S&P 500, ma il total stock market.

L’estensione ad un indice azionario globale fatto prevalentemente di large caps come l’MSCI World o l’MSCI ACWI è forse la migliore approssimazione che abbiamo di quell’idea, ma bisogna consapevoli che resta una decisione con delle imperfezioni: su tutte, la selezione discrezionale dei titoli e la variabile valutaria.

Poi, pistola alla tempia, continua ad essere la prima risposta che darei a chi mi chiedesse qual è il modo più semplice per investire in azioni a lungo termine: un ETF globale market cap weighted.

Massima resa, minima spesa.

Ma oltre a ciò uno può prendere una serie di decisioni informate che non violano le sacre leggi dell’investimento passivo, dei mercati efficienti e di San Gene e San Jack.

Mettermi a comprare azioni di società esposte all’intelligenza artificiale penso sia una scemenza perché lì sì che il mercato probabilmente ha già più che prezzato il motivo per cui ti è venuta la bella idea di investirci.

Mentre invece introdurre delle deviazioni sistematiche al portafoglio rispetto alla composizione di un indice globale e che espongono per esempio a logiche di regressione verso la media non rappresentano scelte attive che pretendono di saperne di più di quel che nei prezzi c’è già. Semplicemente si espongono a dinamiche che il mercato non prezza ancora.

– Sottopesare mercati con valutazioni elevate va in questa direzione;

– Introdurre tilt fattoriali va in questa direzione;

– Ma anche la semplice e innocua attività di ribilanciamento va in questa direzione. Se dovessi basarmi esclusivamente sul fatto che il mercato ha già prezzato tutto non avrebbe senso ribilanciare, invece sappiamo che, proprio per questioni di risk management e non per aumentare il rendimento atteso, ribilanciare alleggerendo gli asset più performanti per comprare quelli meno performante fa parte di una delle buone norme di comportamento dell’investitore di buon senso.

Per concludere, dunque, sì è tutto già prezzato, è assurdo pensare di fare scommesse pretendendo di avere informazioni privilegiate rispetto alla media di tutto gli investitori.

Non è però inutile seguire quello che succede sui mercati e nel più vasto ambito dell’economia:

– Perché la consapevolezza migliora il mio rapporto con il portafoglio e il mio processo decisionale

– Perché conoscere possibili scenari aiuta il mio risk management e

– Perché il mercato prezza cose nel futuro prossimo ma dà anche informazioni oggi che riguardano il suo possibile comportamento in un futuro più a lungo termine che invece non è ancora in grado di prezzare.

Quando è venuto da noi Jason Zweig disse una cosa mi rimase impressa: il 95% del tempo lo passo a decidere su cosa non scrivere.

E quando venne da noi Barry Ritholtz disse che dopo 15 anni decise finalmente di scrivere un nuovo libro e che per lui l’unico argomento degno di essere trattato riguardava “come non investire”.

Sulla falsa riga di questi due giganti, potrei dire che molto di questo podcast segue quest’impostazione, senza che nemmeno me ne fossi accorto.

Ci sono capitoli dedicati a, diciamo così, “istruzioni per l’uso”, con informazioni pratiche e direttamente implementabili nei portafogli; molti altri invece sono invece dedicati a informare proprio per “evitare di agire”.

La storia della finanza insegna che dire “investi, buy and hold e non fare più niente” è una cosa che funziona con poche persone.

La realtà è che poi le persone vogliono avere il controllo, vogliono reagire alle situazioni contingenti e vogliono soprattutto sapere perché al loro portafoglio succedono determinate cose.

Fornire contenuti attraverso questo podcast è spesso un modo per fondare su base sempre più consolidate i buoni motivi per cui un investitore o non dovrebbe agire per niente o al limite dovrebbe farlo solo con piena consapevolezza e prendendo decisioni informate.

Ma tra non agire e decidere di non agire perché come investitore ho piena consapevolezza di quel che sta accadendo nel mondo e dei possibili scenari futuri c’è un mezzo una differenza abissale che riguarda la qualità del rapporto a lungo termine con il mio portafoglio e con la dimensione finanziaria della mia vita.

Questi sono i my two cents sull’argomento, ogni commento o riflessione più o meno direttamente collegata è sempre ben gradita.

Solitamente il primo episodio del mese parliamo dell’andamento dei mercati, ma visto che siamo a fine semestre, facciamo un po’ il punto la prossima settimana e la chiacchierata di oggi è stata per me un’ulteriore occasione per spiegare perché nonostante sia un fermo sostenitore dell’investimento “passivo BARRA sistematico”, dedichi tanto tempo a parlare anche di attualità, trend, economia e altre cose che potrebbero sembrare solo inquinamento informativo, ma che invece ritengo preziose per la qualità della vita dell’investitore.

O almeno queste sono le cose che a me piace conoscere.

E quindi le condivido con voi, sperando di rendervi un servizio gradito e partendo dal presupposto che se fossi dall’altra parte vorrei che qualcuno mi queste cose me le raccontasse.

Domenica prossima invece avremo un fantastico ospite che ci è venuto a trovare e che oltre ad essere stato citato tante volte in passato, casualmente è stato citato pure oggi.

Sarà infatti con noi Victor Haghani, uno dei fondatori del mitologico hedge fund long term capital management e oggi alla guida della società di Wealth Management ELM.

Personaggio straordinario con una preparazione incredibile, Haghani è una delle persone più cordiali e generose che abbia mai conosciuto e non posso che ringraziare sin da ora un gigante della finanza come lui per aver accetto il mio invito.

Ci parlerà di cose estremamente interessanti, a partire dalla sua personale risposta alle domande delle domande ossia: quanto del mio portafoglio dovrei investire in asset rischiosi?

E parleremo inoltre del suo ultimo bellissimo libro, The Missing Billionaires e vi lascerò anche una serie link utilissimi al sito di Elm in cui si trova un tool di asset allocation, articoli interessantissimi e tanto altro ancora.

Non perdetevelo, Victor Haghani, domenica 6 luglio, solo a The Bull.

Nell’attesa invece vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti anche se il mercato ha già prezzato tutto sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossimo con Victor Haghani, sempre qui, naturalmente con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025
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