I Rendimenti passati sono indicativi dei Rendimenti futuri (a volte)

A volte le performance passate di determinate azioni anticipano le performance future, almeno nei 3-5 anni successivi. Oggi parliamo della diatriba tra Teoria dei Mercati Efficienti di Fama e l'Economia Comportamentale di Thaler e come nascono le idee alla base di Value e Momentum.

Difficoltà
30 minuti
The Bull - No Thumb
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

144. I Rendimenti passati sono indicativi dei Rendimenti futuri (a volte)

00:00

Risorse

Punti Chiave

I rendimenti passati non predicono il futuro nel breve, ma sono una base statistica valida nel lungo termine se accompagnati da diversificazione.

Il dibattito Fama vs Thaler suggerisce che i mercati sono trend-following nel breve (Momentum) e mean-reverting nel medio-lungo (Value).

Trascrizione Episodio

Benvenuti a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Attenzioni: i rendimenti passati non sono indicativi delle performance future.

Questo è il disclaimer per eccellenza di qualsivoglia strumento di investimento, un po’ come nelle pubblicità dei farmaci in cui per 25 secondi ti fanno vedere tutti i meravigliosi benefici del prodotto in questione e poi negli ultimi 5 secondi una voce velocissima dice cose tipo “attenzione, il farmaco potrebbe non curare la malattia per cui lo stiamo pubblicizzando e anzi causare problemi ancora più gravi e che non avresti mai avuto se non avessi visto questo spot e non è da escludere che assumendolo per curarti un banale raffreddore potresti anche schiattare”.

Beh è giusto.

Sono 143 puntate che diciamo, attenzione: i rendimenti passati vanno presi con le pinze perché nessuno ci garantisce che quelli futuri li seguiranno.

Come diciamo spesso, investire è un po’ come guidare guardando nello specchietto retrovisore.

Ora, non è neanche del tutto inutile considerare i rendimenti passati, soprattutto se li proiettiamo nel lungo termine e attraverso un portafoglio diversificato.

Più l’orizzonte è lungo e maggiori sono diversificazione e decorrelazione degli asset in portafoglio, maggiore è la probabilità che si verifichino queste due cose:

– La prima è la regressione verso la media: i rendimenti passati non si ripetono necessitarmente nel futuro, però a livello di asset class, perlomeno se consideriamo le due regine (azioni e obbligazioni), c’è una significativa ricorrenza di lungo termine nei valori medi.
L’S&P 500 per esempio come sappiamo ha un rendimento medio storico intorno al 10% e se prendiamo blocchi consecutivi di 30 anni andiamo da un valore medio minimo di 8% all’anno ad un massimo di oltre il 14%, ottenuto per esempio da chi ha iniziato ad investire nel 1970 fino al 1999.
L’azionario dei paesi sviluppati ha un rendimento medio annuo intorno all’8% e qui su orizzonti di 30 consecutivi, almeno se consideriamo gli ultimi 50, abbiamo risultati ancora più compatti, tra il 6% di chi avesse iniziato nel 1989 e terminato i trent’anni nel 2018 al 9% del periodo 1980 — 2009, il che peraltro sembra strano perché si concluderebbe nell’anno in cui l’S&P 500 avrebbe toccato il fondo della grande crisi finanziaria, anche se bisogna dire che in realtà, mentre l’economia era a pezzi, il mercato americano quel solo anno sarebbe cresciuto del 25%, inaugurando quell’impressionante bull run che dura ancora oggi.

Questo per dire cosa?
Per dire che i rendimenti futuri non sono prevedibili, ma statisticamente c’è una tendenza dei rendimenti a convergere verso i loro valori medi di lungo termine.
Questo vuol dire che chi tra voi ha messo il primo euro nell’MSCI world nel 2024 vedrà quell’euro cresciuto in media tra il 6 e il 9% all’anno nel 2053?
Non necessariamente.
Ma probabilmente più sì che no.

– La seconda cosa riguarda appunto la diversificazione e la decorrelazione tra gli asset in portafoglio.
Se ho un portafoglio maggiormente diversificato, avrò di conseguenza meno rischio specifico.
Pertanto sarà meno probabile che il mio rendimento sia pregiudicato (o amplificato ovviamente, perché il rischio è sempre simmetrico) da un singolo evento estremo.
Per esempio anche l’MSCI Europe ha un rendimento di lungo termine simile all’MSCI World. Ma chiaramente da qui ai prossimi trent’anni è più probabile che l’indice più vasto e diversificato produca una performance più in linea con la sua media storica rispetto ad un indice più specifico.
Stesso discorso se in portafoglio ho più asset.
Se ho un portafoglio con 60% azioni, 30% obbligazioni aggregate globali e 10% oro e so che, più o meno circa, le azioni hanno fatto 8% all’anno, le obbligazioni 4% e l’oro 5%, la media ponderata fa circa 6,5%.
Nei prossimi 30 anni non è detto che farò 6,5% di media all’anno, ma è verosimile che la distribuzione dei redimenti probabili non sarà particolarmente larga.
Non è un caso che i portafogli a là All Weather o Golden Butterfly oscillino meno e abbiano dei rendimenti medi, tra moltissime virgolette, maggiormente prevedibili.

Quindi, questo era solo per dire che è vero che i rendimenti passati non sono predittivi di quelli futuri, soprattutto nel breve termine, ma non sono neanche campati per aria e forniscono quanto meno una base statistica accettabile, che è l’unico strumento per prevedere il futuro che abbiamo davvero a disposizione.

Tra l’altro, nel lungo termine ci sono delle metriche abbastanza realistiche per provare a stimare i rendimenti futuri.

Il rendimento dell’azionario, grossomodo, è dato a spanne dalla somma tra il rendimento da dividendo, la variazione nell’utile per azione e la variazione nel rapporto tra prezzi e utili.

Anche se l’avevo già detta, lo so che avete appena fatto una faccia tipo: “eh, cos’è che ha appena detto sto qua?”.

Facciamo il solito esempio per capirci.

Prendiamo un indice a caso: l’S&P 500.

Se apriste il mio armadio trovereste camice solo bianche e azzurre, magliette verdi, blu o grigie e maglioni blu.

L’originalità non è mai stata il mio forte.

Il fatto di avere ben due paia di sneakers assolutamente identiche lo conferma.

Dicevo, S&P 500.

Il suo rendimento futuro sarà dato dalla somma tra:

– Quanto pagano in media le sue società in dividendi;

– Quanto variano gli utili per azione (cioè sarà positivo se gli utili aumentano o negativo se diminuiscono) e infine

– Quanto variano le valutazioni (ossia se aumentano i multipli, cioè il rapporto tra i prezzi delle azioni e i loro utili per azione).

Oggi il dividend yield dell’S&P 500 è circa 1,5%. Facciamo finta che resta questo anche in futuro.

Se l’anno prossimo gli utili per azione crescono, che ne so, del 5% e il rapporto prezzo/utili, che oggi è intorno a 28, aumenta dell’8% e va così a 30, in teoria l’anno prossimo l’S&P dovrebbe crescere del 14,5%, cioè 1,5 + 5 + 8.

Sul singolo anno in realtà è un tiro di dadi.

Se però uno lo proietta a 10 anni, già inizia ad avere una qualche indicazione di massima.

Capite anche perché molti credono che il prossimo decennio non sarà un decennio altrettanto dorato per l’S&P 500, perché dopo che gli utili sono cresciuti per 5 trimestri di fila prima o poi dovranno rallentare e perché, soprattutto, le già altissime valutazioni azionarie non potranno crescere per sempre, sennò ad un certo punto ci troviamo con l’S&P 500 che in media costerà 50 volte gli utili.

Se fate 1 diviso 50 fa 2%.

Questa cosa, come detto altre volte, si chiama earning yield.

Con un earning yield del 2%, probabilmente conviene tutta la vita investire in titoli di Stato.

Oggi l’S&P è a 3,6%, il Treasury a 10 anni è al 3,8%, insomma siamo lì lì.

I due numeri non sono direttamente comparabili, però storicamente quando i due valori sono vicini il premio al rischio si assottiglia molto.

Vi ricordo cosa ho detto un paio di episodi fa, quando ho citato lo studio che Vanguard aveva fatto per confermare la formula di The Bull che diceva che nei contesti ad alti tassi d’interesse, quindi sopra il 5%, e in particolare all’inizio dei cicli espansivi, il rendimento medio di azioni e bond è stato molto simile.

Comunque, sto divagando, torniamo al tema.

Questo è il lungo termine e va bene. Abbiamo un po’ di indicatori e più o meno una qualche idea ce la possiamo fare.

Nel breve, invece, chiunque giustamente fa il disclaimer di cui all’inizio perché come tutti sappiamo il mercato è schizofrenico e fa un po’ quel che gli pare.

Tu pensi che ci sarà una recessione e quello cresce del 50% in due anni.

Tu pensi che tutto stia andando per il meglio e traaaac, una casuale pandemia inventata in un fantomatico laboratorio di Wuhan e -30% in un mese.

Ovviamente ogni riferimento a pandemie realmente accadute e laboratori farmaceutici pasticcioni nella repubblica popolare sono del tutto accidentali.

Salutiamo intanto gli amici cinesi che ci stanno vicini attraverso tutti i device che state usando per ascoltare quest’episodio.

Fatte tutte queste premesse, nell’episodio di oggi vorrei in realtà parlarvi di una cosa interessante che ho letto in un articolo su Morningstar che metteva a confronto due grandi filosofie, quella dei Mercati Efficienti del premio nobel Eugene Fama e il suo arcinemico mortale l’economia comportamentale inventata dal premio nobel Daniel Kahneman e oggi massimamente rappresentata dal premio nobel Richard Thaler, e faceva vedere che in realtà sembra che siano dei modi per prevedere i rendimenti futuri nel breve-medio termine, a partire dai rendimenti del passato.

Andiamo con ordine.

Facciamo un po’ di chiarezza sue queste due filosofie.

Chi mi segue da un po’ sa che do per scontato che ci muoviamo in un contesto in cui vale la cosiddetta Ipotesi dei Mercati Efficienti inventata da Fama, ossia l’idea che il movimento nel breve dei prezzi sia un “random walk”, un movimento casuale senza memoria, e che i prezzi degli asset incorporino già tutte le informazioni disponibili.

Questa cosa avrebbe due conseguenze immediate:

a) la prima è che non sia possibile battere il mercato in maniera sistematica;

b) la seconda è che non sia possibile aumentare il rendimento di un investimento senza aumentarne proporzionalmente il rischio.

In principio l’unico fattore di rischio era quello di mercato, chiamato Beta, ossia la sua volatilità relativa, mentre poi Fama e il suo amichetto Kenneth French hanno scoperto i fattori. Se investo in small caps, in società value, in società particolarmente profittevoli e così via il mercato paga un rendimento supplementare per compensare il fatto che mi sto assumendo maggior rischio.

Almeno così, detta un po’ da bigliettino nel bacio perugina, dice la teoria.

Tutta sta bella storia, che è un po’ la colonna vertebrale anche di questo podcast, si baserebbe su un assunto di fondo, almeno se prendiamo la efficient market hypothesis in maniera forte (cosa a cui a dire il vero non crede neanche Eugene Fama stesso). Questo assunto è che tutti gli operatori sul mercato siano razionali e si comportino in maniera razionale.

Hanno delle informazioni, le incorporano nei prezzi, si comportano di conseguenza.

In realtà questa cosa è difficilmente sostenibile, perché in effetti di comportamenti palesemente irrazionali sul mercato ne vediamo almeno due al mese.

E qui c’è l’altra scuola.

Tra l’altra fa ridere che sia Eugene Fama che Richard Thaler insegnano alla mitologica University of Chicago.

Avranno gli uffici a pochi metri di distanza, ci sono i loro quadri appesi nei corridoi della stessa università, ma vedono il mondo in maniera molto diversa.

Thaler, per farla breve, sostiene che gli investitori siano tutt’altro che razionali e che il loro comportamento sia viziato da bias, come ad esempio l’overconfidence che li porta ad accessi di ottimismo o il loss aversion che li porta a sovrareagire quando ci sono dei momenti di crisi.

Il recente 5 agosto vi dice qualcosa?

Ecco, se non è vero che il comportamento degli investitori è perfettamente razionale, allora ci potrebbero essere delle inefficienze che, se sfruttate, potrebbero permettere di ottenere maggiori rendimenti rispetto al mercato.

Alla fine, per la rubrica “cose inutili da sapere”, vi butto lì come vedo conciliabili queste due teorie, perché come sapete mi piacciono entrambe e probabilmente non ce n’è una completamente giusta e una completamente sbagliata.

Ma facciamo prima un altro passo.

Dicevamo, secondo Fama il comportamento dei prezzi è imprevedibile perché si muovono per random walk.

Punto.

Questo è sicuramente vero nel breve termine.

In realtà, nel 1985 Thaler fece uscire un paper dal titolo Does the Stock Market Overreact in cui aveva provato a testare quella che aveva chiamato la Overreaction Hypothesis, cioè appunto l’ipotesi che il mercato in media reagisse troppo male a certi momenti negativi, perdendosi così delle opportunità.

Thaler scoprì che negli ultimi 50 anni portafogli composti da circa la trentina di azioni americane che avevano performato peggio avrebbero sovraperformato il mercato di circa il 20% nei 3 anni successivi.

Cioè tu prendi le 30 società peggiori (non è chiaro se dell’S&P 500 o di tutto il Russell 3000, cmq cambia poco), ci investi per 3 anni e in media questo portafoglio batte il benchmark del 20% – o di circa il 6% all’anno se preferite.

Tanto!

In pratica Thaler avrebbe scoperto una scorciatoia semplicissima a quello che fanno con molta fatica i value investor, che cercando di scovare le migliori società sottovalutate.

Prendi le 30 peggiori, tienile per tre anni, in media quelle ti faranno battere il mercato.

Teoricamente, però, questa cosa non è che fosse in qualche modo prevista dall’ipotesi dei mercati efficienti.

In fondo, Fama stesso identificò in “value” uno dei fattori in grado di portare extraperformance.

In pratica investire nelle 30 società peggiori può essere un modo di vedere l’investimento in società value, ossia con un prezzo basso relativamente al loro valore contabile.

Comunque sia, se le scoperte del 1985 di Thaler funzionassero ancora oggi, in pratica avremmo un modo per prevedere i vincitori del 2027 a partire dalle performance dei peggiori del 2024.

Nel 1993, invece, uscì un altro paper piuttosto importante dal titolo: “Returns to buying winners and selling losers”. Cioè i rendimenti derivanti dall’investimento nei vincitori e dalla vendita dei perdenti.

Gli autori non ve li dico perché sono impronunciabili.

Trovate tutto nella descrizione dell’episodio.

Fondamentalmente cosa scopre questo paper.

Beh, scopre il momentum, che era un fattore che Fama, anche quando estese il modello da 3 fattori a 5 fattori, non aveva considerato.

Il paper dice infatti che un portafoglio long short basato su momentum, cioè che solitamente è fatto comprando il 30% di società che ha fatto meglio negli ultimi 6 mesi e vendendo il 30% di società che hanno fatto peggio negli ultimi 6 mesi, nei 6 mesi successivi è stato ottenuto in media un extra rendimento del 12% rispetto al mercato.

Al di là dei numeri, il messaggio è: se investi nei recenti vincitori, mediamente ottieni nel breve un extra rendimento.

Questa cosa si mantiene nel primo anno di vita del portafoglio, poi gli effetti si dissipano anche perché altrimenti sarebbero incoerenti con la scoperta di Thaler ossia, che intorno ai 3-5 anni, i perdenti di allora tendono a sovraperformare il mercato.

Qui la teoria dei mercati efficienti non è che abbia troppi appigli.

Momentum è difficilmente spiegabile con la teoria del rischio/rendimento.

Il paper dice che non sembra che ci sia un extra rendimento giustificato dal fatto che l’investitore si assume maggior rischio, ma più probabilmente da una sorte di “overreaction” anche qui ma di segno opposto, rispetto al comportamento dei prezzi.

Cioè l’azioni che salgono portano più investitori ad investirci, almeno nel breve, e questa cosa fa salire i prezzi.

Ora, noi possiamo sfruttare queste due cose? Ossia il fatto che nel breve i vincenti tendono ad essere ancora più vincenti, mentre nel medio termine i perdenti tendono a diventare i nuovi vincenti?

Sì e no.

Partiamo dai no:

1) Il primo NO deriva dal fatto che questi due studi hanno rispettivamente 30 e quasi 40 anni. Una volta che si sa che certe cose funzionano e tutti vi ci si buttano, smettono di funzionare, o comunque funzionano meno.

Che esistono i fattori Value e Momentum si sa da un pezzo.

Non è necessariamente detto che investire secondo questi fattori sia una garanzia di sovraperformance.

2) Il secondo NO è legato alla complessità di implementazione.

Ricordatevi che investire in un fattore non significa comprare un ETF con scritto value o in uno con scritto momento.

Significa investire nel 30% delle società più rappresentative di quel fattore e andare short, qunidi vendere allo scoperto, il 30% delle società meno rappresentative.

Gli ETF sono solo long, almeno quelli UCITS qua da noi. Non hanno la parte short.

Implementare portafogli long short è roba da hedge fund.

Ha una serie di costi da sostenere, perché banalmente vendere allo scoperto un’azione non è gratis ma intanto devi pagare qualcuno che ti presta l’azione da vendere.

Ci sono costi sul turnover del portafoglio, soprattutto quelli momentum, che devono ruotare spesso le azioni in cui investono.

E poi ci sono i costi dell’hedge fund.

Quindi magari nel paper funzionano anche, ma nella pratica il risultato al netto dei costi non è così stupefacente.

3) Il terzo no riguarda il solito rischio di sequenza. Più un portafoglio è dinamico, più si espone a volatilità, maggiore è la possibilità che il rendimento del mio investimento — che di solito è graduale, non one shot tutto insieme — diverga dal rendimento degli asset sottostante.

Cioè investire nelle stesse identiche azioni prese in esame dai paper non è detto che avrebbe dato gli stessi risultati.

Il Sì, entro certi limiti, è fatto di due cose.

Una più pratica, una un po’ più “filosofica” diciamo.

1) quella pratica è che, anche se hanno solo la gamba long, comunque gli ETF fattoriali hanno effettivamente mostrato una certa capacità di sovraperformance, almeno su lunghi orizzonti temporali.

Dal 1998 ad oggi, cioè da quando ho i dati per i backtest, l’MSCI World ha fatto 7% all’anno, mentre l’equivalente Value ha fatto 8,22% mentre Momentum addirittura 9,62%.

Ed è interessante constatare che Value ha fatto particolarmente bene nel primo decennio, funestato dalle due grandi crisi, mentre Momentum ha corso ad un ritmo incredibile del 2010 in poi.

È anche interessante il fatto che un portafoglio azionario metà Momentum e Metà Value avrebbe reso circa il 9,11%, con uno Sharpe Ratio nettamente migliore del solo MSCI Wordl, 0,56 contro 0,43.

Come spesso capita, tuttavia, la differenza diventa molto meno significativa se vengono confrontati due piani di accumulo mensile sui due portafogli.

Non è un caso, che proprio per le loro caratteristiche e per il fatto di essere una delle coppie meno correlate tra loro, Value e Momentum si trovino spesso all’interno degli stessi portafogli.

Da una parte l’idea è quella di cercare di catturare l’extra rendimento sia delle società più sottovalutate che di quelle più performanti mentre dall’altra si vuole cercare di creare una duplice dinamica che sia prociclica, con Momentum, durante le fasi positive, e anticiclica (o comunque meno ciclica diciamo così) con Value durante le fasi più negative.

2) veniamo a quella filosofica.

Questi paper e i relativi approcci che sfruttano Value e Momentum di fatto descrivono le due leggi fondamentali della finanza, perlomeno in ambito azionario.

Le azioni sono trend-following nel breve termine e mean reverting nel medio-lungo.

Avere questa consapevolezza, ossia sapere che ciò che sta salendo non salirà per sempre e che allo stesso tempo ciò che in passato ha avuto performance negative non necessariamente rappresenta un cattivo investimento all’interno di un portafoglio diversificato fa parte di quell’insieme di strumenti di buon senso di cui bisogna esser sempre attrezzati quando si ragiona sul proprio portafoglio.

Non cercare di correre dietro alle azioni più “hot”.

E non giudicare le azioni dalla loro recente performance negativa.

Incorporare queste due idee nella composizione del proprio portafoglio potrebbe non portare ad extra rendimenti, ma probabilmente ad una migliore gestione del rischio e delle nostre aspettative verso i nostri investimenti.

Ci resta però un punto aperto.

Ma quindi ha ragione Fama o ha ragione Thaler?

Beh, come facile immaginare non c’è una risposta univoca.

Ho letto un altro articoletto sul sito del CFA insitute che, sempre su questo tema, faceva un backtest confrontando le performance di due hedge fund che sono direttamente collegati ai due premi Nobel.

Uno è Dimensional Fund (team Fama), mentre l’altro è Fuller and Thaler Asset Management (team Thaler ovviamente).

L’articolo faceva vedere che l’hedge fund che si rifà alle teorie di Thaler e quindi cerca di sfruttare le inefficienze dettate da overreaction degli investitori ha performato mediamente meglio.

Sembrerebbe quindi che Thaler abbia ragione.

Ma sinceramente non ho trovato questo test particolarmente significativo.

Il fatto che un hedge fund che applica una certa strategia abbia battuto un altro è il risultato di molteplici fattori, alcuni dei quali ascrivibili sotto la voce caso, che certamente non dice granché rispetto alla validità teorica dei due modelli.

E probabilmente perché i due modelli non sono così inconciliabili, ma raccontano dei pezzi della stessa storia.

Io la vedo così — e qui arriva la parte inutile dell’episodio.

La teoria dei mercati efficienti è valida nella sua forma debole, non in quella forte.

Ossia, i mercati sono fondamentalmente efficienti, gli investitori sono prevalentemente razionali e nel lungo termine la maggior parte dei dati supporta il modello di Fama, tanto che appunto, come noto, la stragrande maggioranza degli investitori attivi, dei gestori e degli hedge fund non riesce a battere il mercato in maniera sistematica.

Nel breve e in certe aree del mercato, come ad esempio negli ambiti meno liquidi ed efficienti, come i mercati emergenti, le small cap, i mercati obbligazionari, quello delle materie prime e così via, si manifestano maggiori opportunità di sfruttare le inefficienze e i comportamenti irrazionali degli investitori.

Le tesi secondo cui il fatto che ci siano bolle va contro la teoria di Fama o che essa presupponga degli investitori perfettamente razionali, beh, non credo siano così decisive.

Una volta che riconosciamo che gli individui non sono per niente razionali come pensiamo, allora le informazioni di mercato che vengono incorporate nei prezzi conterranno anche questa componente di irrazionalità.

Nei prezzi di Nvidia, per esempio, oggi sono incorporate delle aspettative razionali, ma anche delle aspettative emotive degli investitori.

La finanza è un fatto umano, non naturale.

Non deve rispondere a leggi scientifiche.

E’ sufficiente che rifletta quella razionalità bacata che ci portiamo appresso perché sia abbastanza efficiente da avere un senso per noi.

Attenzione che adesso provo a fare un salto mortale carpiato senza rete.

Chi ha fatto filosofia al liceo sicuramente avrà consumato i pochi neuroni funzionanti che si hanno intorno ai 17 anni studiando Kant.

Kant non si occupava di finanza naturalmente, il suo problema era capire come facciamo a conoscere le cose e come facciamo a essere sicuri che una certa conoscenza abbia valore oggettivo.

Il buon uomo trovò una soluzione geniale, che ne fece uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi.

In pratica disse: “non c’è bisogno che stiamo a diventar matti a cercare di trovare dentro di noi chissà quale principio, chissà quale collegamento divino, per fondare la validità della nostra conoscenza. Semplicemente noi non conosciamo le cose come sono in sé e per sé, ma sempre filtrate attraverso i nostri sensi e degli schemi che abbiamo preconfezionati nel nostro intelletto”.

Quando per esempio vediamo un corpo cadere dall’alto verso il basso diciamo “la gravità CAUSA la caduta di quel corpo”.

Il corpo lo vediamo con gli occhi, il concetto di “causa” invece fa parte del modo stesso in cui il nostro cervello capisce quel che gli sta intorno e tira le sue conclusioni.

Non è importante che se arrivasse domani sulla Terra un essere superiore questo vedrebbe le cose diversamente.

Ai fini della nostra conoscenza del mondo, la forma limitata e imperfetta della nostra capacità di conoscere, su cui non possiamo farci nulla perché così ce l’abbiamo e così ce la teniamo, è quel che serve per dire che una volta che conosciamo qualcosa quella conoscenza è oggettiva e siamo tutti d’accordo sia vera, dato che tutti abbiamo più o meno un cervello che funziona allo stesso modo.

Va beh anche se non avete capito una cippa, è come dire: “se abbiamo tutti degli occhiali con le lenti azzurre, è ok dire che gli alberi sono azzurri, perché tanto nessuno di noi può togliersi gli occhiali e dire che invece sono verdi”.

Qui il punto è un po’ lo stesso.

Non serve la razionalità assoluta perché i mercati siano prevalentemente efficienti.

È sufficiente che noi siamo tendenzialmente razionali e che tutti, chi più chi meno, condividiamo una serie di bias che ogni tanto ci fanno agire in maniera poco razionale.

La razionalità dell’investitore incorporata nei prezzi non è una razionalità perfettamente logica.

È al limite una ragionevolezza di lungo termine che prende qualche buca nel breve.

E in effetti l’insieme di tutte le decisioni irrazionali del mercato messe assieme tendono nel lungo termine a compensarsi l’un l’altra e come dicevamo all’inizio, più si allunga lo sguardo più si vedono i ritorni del mercato convergere verso i propri valori medi.

Un ultimo punto.

Per riassumere il senso di quest’episodio che alla fine è diventata una discussione Fama contro Thaler, possiamo dire questo: i mercati sono fondamentalmente efficienti — e cmq abbastanza efficienti perché la stragrande maggioranza di noi poveri cristi farebbe meglio a investire in maniera passiva e non provare a battere i benchmark — e dove non lo sono è per un mix di bias soggettivi e caratteristiche di alcuni segmenti di nicchia del mercato, più illiquidi e opachi.

C’è però un altro motivo per cui l’ipotesi dei mercati efficienti non può essere accolta nella sua forma fortissima, ma solo nella sua versione più debole.

Permettetemi di raccontarvi del cosiddetto Paradosso di Grossman Stiglitz.

In pratica il paradosso dice che se il mercato fosse perfettamente efficiente e tutte le informazioni disponibili fossero già completamente incorporate nei prezzi, allora non ci sarebbe nessun incentivo a investire risorse in attività di analisi e ricerca per generare quelle informazioni.

Invece il mercato deve essere in parte inefficiente (o deve essere creduto inefficiente) perché continuino ad esserci degli incentivi per tutti gli analisti a ricercare e sfruttare queste informazioni.

Il paradosso credo si possa risolvere abbastanza facilmente.

Nel breve ci sono inefficienze che possono essere sfruttate.

Nel lungo termine è molto difficile che un singolo riesca a sfruttarle sistematicamente.

Oh, oggi partiti piano, poi è diventato quasi un esercizio di logica ai confini del dibattito filosofico.

E io che pensavo di dire solo perché Value e Momentum sono fattori sensati all’interno di un portafoglio.

Poi è un attimo che mi scappa la mano, perché la finanza in fondo è sì uno strumento per renderci più ricchi — almeno si spera — ma proprio perché è una cosa perfettamente umana non è altro che uno straordinario specchio pieno di dati di come siamo fatti, di come ragioniamo e di come ci comportiamo in base alle nostre idee e alle nostre emozioni.

Ci avete fatto caso?

Ora che investite da un po’ ve ne sarete resi conto.

Ciascuno è, come investitore, quello che è nella vita.

Noi siamo il modo in cui investiamo.

E diventare investitori migliori, imparare a governare le nostre emozioni e allenare la nostra capacità decisionale di fronte all’incertezza del futuro, in qualche modo, chissà, magari è una strada per diventare persone migliori.

Eh la finanza è molto più filosofia di quel che vi sareste mai immaginati cominciando ad ascoltare vostro malgrado questo podcast di cui non riuscite più a liberarvi.

Bene care amiche e cari amici miei, ci avviamo a chiudere anche l’episodio di oggi.

Vi ricordo che il 1° ottobre esce il mio libro (o è uscito, per chi ascolterà quest’episodio tra un po’) sei già ricco ma non lo sai, edito da Rizzoli, dove ho riassunto un po’ tutte le basi di quel che racconto qui nella speranza di aiutare ciascuno di voi a costruire un futuro finanziariamente libero.

Se poi invece avete già capito tutto e il libro non vi serve, potete sempre comprarlo e regalarlo alla vostra metà che The Bull non lo vuole ascoltare, ai vostri amici, ai parenti, a gente che vi sta sulle palle per fargli un dispetto o al vostro barbiere, che potrà così metterlo lì a fianco a Quattroruote, la Gazzetta e TV sorrisi e canzoni per i clienti in attesa.

Come sempre a questo punto arrivati vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi ingannano facendovi credere che ho scoperto un modo per prevedere i rendimenti futuri e invece vi beccate un tale pippone che adesso sarete pieni di dubbi esistenziali dovendo scegliere se essere dei Fama o dei Thaler sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima a parlare di mercati, broker, lo stato degli investimenti in Italia e tanto altro con un nuovo ospite, sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant