I Rischi negli Investimenti
Oggi parliamo dei diversi tipi di rischio quando si investe, della loro definizione e del significato che assumono nella pianificazione finanziaria della nostra vita. Dal rischio teorico come volatilità al rischio pratico di fallire gli obiettivi della nostra vita.Conoscere il rischio è fondamentale per gestire al meglio i nostri investimenti lungo tutto il corso della nostra vita.

84. I Rischi negli Investimenti
Risorse
Punti Chiave
Il rischio finanziario è la volatilità dei rendimenti (sistemico remunerato, idiosincratico non remunerato).
La diversificazione attenua il rischio idiosincratico.
Allinea il portafoglio agli obiettivi di vita e gestisci la liquidità, poiché il risparmio è l'unica variabile controllabile.
Trascrizione Episodio
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Avevo atteso più di 80 episodi, ho fatto di tutto per non parlarne e per cercare di infondere solo ottimismo in chiunque mi avrebbe ascoltato lungo l’incredibile vita di questo podcast nato con un paio di airpods e poco più ma oggi, oltre 2.400 minuti dopo la prima volta che vi ho dato il Benvenuto a The Bull, non posso più esimermi.
È arrivato il momento di parlare del tema del Rischio negli investimenti e di cosa significhi realmente.
Ebbene sì, ora che ciascuno di voi ormai starà dominando le tematiche che trattiamo qui, al punto che quando deve scegliere la pizza da ordinare invece che pizze ci vede ormai solo dei portafogli e la relativa asset allocation a base di mozzarella, pomodoro e salame piccante, è giunto il momento di parlare anche dei rischi che tutta sta bella cosa degli investimenti comporta.
Sì ogni tanto ci giriamo intorno, è vero.
Rischio/rendimento, orizzonte temporale, pianificazione, tutte ste fregnacce le abbiamo dette mille volte.
Ma diciamoci la verità.
Davvero di RISCHIO non ne abbiamo mai parlato.
E allora oggi vi beccate quasi mezz’ora a capire i rischi negli investimenti finanziari e proviamo a ragionare assieme sui concetti fondamentali legati al rischio per evitare che qualcuno si fa prendere la mano e fa qualche cagata e poi viene a dare la colpa a me.
Io invece vi avviso prima; oltre ad avervi raccontato tutta una serie di robe sugli ETF, le azioni, le obbligazioni e tutta l’allegra combriccola, oggi parliamo proprio di tutti i rischi connessi al fatto che i vostri soldi non se ne stanno belli tranquilli al sicuro sui conti correnti, ma sparsi in giro chissà dove investiti in roba che manco noi sappiamo bene, tra azioni di aziende sparse nel sud est asiatico e obbligazioni di paesi che era dall’ora di geografia alle elementari che non sentivamo più nominare.
Tra un attimo però.
Vogliamo prima parlare un attimo di una cosa troppo divertente?
Alla fine pare che non solo voi, in decine di migliaia, ascoltiate il mio podcast.
Sapete chi altro lo ascolta?
Secondo me lo ascolta … Goldman Sachs!!!
Eh sì!
E mica si limitano solo ad ascoltare le cazzate che ho da dire quelli di Goldman.
No no, mi stanno proprio sentire per capire come impostare la loro strategia globale.
Non ci credete?
Vi ricordate che il 3 gennaio, primo episodio di The Bull di questo 2024, vi avevo parlato delle previsioni sull’anno appena iniziato?
Se non ve lo ricordate, andate ad ascoltarvi l’episodio 68.
In pratica all’inizio dell’episodio prendevo un po’ per il culo Goldman e la sua arcirivale JP Morgan per i soliti forecast che sparano ogni anno sul risultato target dell’S&P 500, fallendo puntualmente in maniera miserabile la previsione.
JP Morgan è super pessimistica e vede un finale d’anno addirittura a 4.200 punti, il che vorrebbe dire che l’S&P 500 dovrebbe fare circa un -15% dai valori attuali per atterrare lì.
Non che sia impossibile, intendiamoci, però tra tutte le Banche di Wall Street è stata di gran lunga la più funerea nelle previsioni.
Goldman invece aveva stimato un S&P a 5.100.
E noi?
Beh vi ricorderete che, pur precisando che la mia previsione fosse del tutto a cazzo e si basasse solo sul rendimento medio dell’S&P 500 negli anni che seguono anni di forte recupero, avevo ironicamente scommesso su 5.200 punti.
Oh, mica mi hanno preso sul serio quelli di Goldman e, notizia di lunedì scorso, Goldman ha alzato anche lei il suo target a 5.200?
Certo, ha giustificato questa decisione citando i dati particolarmente positivi arrivati dai report sul quarto trimestre presentati dalle società dell’S&P le settimane prima, ma in realtà sappiamo tutti che il merito è solo e soltanto di questo podcast.
Bene, detta anche sta cazzata, che non ha alcun collegamento con l’episodio di oggi, però non è che a Ferragosto potevo dirvi “oh sapete che a fine Febbraio Goldman ha copiato la mia previsione fatta a inizio Gennaio?”, eh, anche il timing è importante, soprattutto quando si devono dire cazzate.
Detto questo invece, veniamo al tema importantissimo di oggi: il RISCHIO.
Intanto per cominciare.
Che cos’è il rischio.
Dicesi RISCHIO, in finanza perlomeno, la probabilità che il risultato di un certo investimento differisca dal risultato atteso.
In base al Capital Asset Pricing Model, che è forse il modello classico più famoso di valutazione di un portafoglio di investimento, il rischio è inteso come volatilità dei risultati di un investimento.
La volatilità è in pratica “quanto si discosta il rendimento di un certo investimento rispetto al rendimento atteso in un dato intervallo di tempo”.
Come viene misurata tipicamente in finanza sta roba?
L’abbiamo già detto in passato, si usa la radice quadrata della varianza, che in statistica passa sotto il leggendario nome di Deviazione Standard.
E cosa vuol dire che un investimento ha una certa deviazione standard?
Facciamo un esempio.
Secondo portfolio visualizer, un investimento sull’S&P 500 ha storicamente una deviazione standard del 15%.
Se il rendimento medio dell’S&P, come ormai vi uscirà dalle orecchie, è di circa il 10% all’anno, una deviazione standard del 15% significa che circa 2/3 delle volte, il risultato dell’S&P cascherà tra un +15 e -15 punti percentuali rispetto alla performance media, che appunto è 10%.
Se tutto ciò è vero, quindi, non dovrebbe succedere più di un terzo degli anni che l’S&P 500 registri una performance annuale al di fuori di questo range (che quindi va da -5% a +25%).
Se parliamo invece di 2 deviazioni standard, ossia di uno scostamento fino al 30% dalla media, in positivo o in negativo, la statistica ci dice che circa il 5% delle volte l’S&P farà un risultato al di fuori del range compreso tra -20% e +40%.
In effetti negli ultimi 100 anni l’indice ha perso più del 20% solo 6 volte (di cui 3 negli anni ’30 della Grande Depressione, mentre le altre volte sono state nel 1974, nel 2002 e nel 2008).
E per 5 volte ha superato il 40% di total return, anche qui quasi tutte le volte eravamo nella prima metà del secolo scorso.
Quindi più o meno ci siamo.
In realtà la deviazione standard misura di solito la volatilità giornaliera, non quella annuale, ma non sottilizziamo troppo, l’importante è capire il concetto.
Comunque, finché ci guardiamo indietro, questa misura statistica descrive molto bene come sono andate le cose.
Il problema, come sempre, è usare la statistica per tirare a indovinare cosa succederà nel futuro.
Infatti in finanza si presuppone, anche se in realtà è una credenza bella e buona senza alcun fondamento scientifico, che la distribuzione dei rendimenti di un investimento segua la tipica forma a campana della curva di Gauss.
Avete presente?
Dai l’avrete vista mille volte.
È quella curva fatta a forma di collinetta, più o meno ripida, con le due code a destra e sinistra che si avvicinano sempre di più all’asse orizzontale man mano che si allontanano dal centro della curva.
Ecco questa cosa fighissima, inventata da uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, Carl Friedrich Gauss, è chiamata distribuzione normale.
Questa è una delle innumerevoli scoperte geniali di Gauss, un personaggio dal pessimo carattere che in 78 anni di vita avrebbe rivoluzionato l’algebra, la geometria, la statistica, la fisica, l’astronomia, l’ottica e se all’inizio dell’800 fosse esistito il fantacalcio avrebbe rivoluzionato pure quello e oggi le aste si farebbero in tutt’altro modo.
Tra l’altro, ironia della sorte, sto registrando quest’episodio il 23 febbraio, 169° anniversario della sua morte, mi avrà ispirato.
Comunque la distribuzione normale della deviazione standard è il suo contributo più celebre, tanto che prima dell’introduzione dell’euro, la banconota tedesca da 10 marchi rappresentava la sua bella facciona con di fianco un disegnino della curva a campana.
Come racconta Taleb nel Cigno Nero, probabilmente Gauss però si sarà rivoltato nella tomba una volta appreso che la sua geniale scoperta, nata per descrivere la distribuzione degli errori di misurazione e in generale per descrivere il comportamento di variabili casuali che tendono a concentrarsi intorno ad un valore medio, è finita nei libri di finanza.
Mai Gauss si sarebbe sognato di pensare che una roba come la finanza potesse funzionare sotto le regole della sua bella curvetta magica.
E invece sappiamo che agli Economisti piace far finta di essere dei veri scienziati e di infarcire i loro modelli di matematica tanto elegante e complessa quanto perfettamente inutile.
Tutta sta pappardella della deviazione standard, che appunto funziona benissimo per la descrizione statistica dei fenomeni studiati dalle vere scienze, eh, non è che in finanza funzioni poi così bene.
Tanto per fare un esempio, il famosissimo e già citato e più volte perculato hedge fund chiamato Long Term Capital Management, celebre per aver messo insieme nel 1994 un team di ultra geni che annoverava premi nobel, plurilaureati all’MIT e altre superstar della finanza, faceva soldi a palate sfruttando un sofisticatissimo meccanismo di arbitraggio sulle piccole differenze di prezzo di determinati asset.
Senza entrare nel tecnico, in pratica avevano messo su un modello incredibilmente complesso — e indubbiamente geniale — che sfruttava appunto piccole discrepanze nei prezzi di mercato, in particolare nel mercato obbligazionario, e soprattutto le oscillazioni dei prezzi legate alle variazioni dei tassi di interesse.
Siccome però queste variazioni erano molto piccole (perché come sappiamo il mercato è generalmente efficiente e quindi queste discrepanze di prezzo sono minime e durano poco, perché poi il mercato le riprezza correttamente una volta che le nuove informazioni vengono incorporate), ecco dicevo, dato che le variazioni su cui loro guadagnavano comprando un asset ad un certo prezzo e rivendendolo ad un prezzo leggerissimamente più alto erano minime, avevano bisogno di utilizzare una leva enorme per fare dei bei guadagni.
Insomma per farla breve, gli amici super geni premi nobel si sono trovati ad un certo punto con 5 miliardi di dollari di soldi loro e un’esposizione sul mercato di oltre 100 miliardi di dollari.
Per 4 anni era andato tutto bene, dato che avevano stimato che, perché potesse crollare la rischiosa — e incredibilmente redditizia — strategia di investimento che stavano applicando, sarebbe servita una concatenazione di eventi che rientrava nel range di 10 deviazioni standard.
10 deviazioni standard significa un evento così raro che si verifica forse una volta ogni 14 miliardi di anni.
Ecco.
Nel 1998 questo evento raro è successo (e si è trattato di un default su dei titoli di Stato russi e di tutta una serie di conseguenze) e Long Term Capital Managment è fallito in maniera spettacolare.
O che sfiga che un evento che capita una volta nell’intera storia dell’Universo, ti capita proprio nel 1998, 4 anni dopo che hai aperto l’hedge fund.
Va che a volte ti dice proprio male…
Scherzi a parte.
Ovviamente un evento con una probabilità di verificarsi nell’ordine di 10 deviazioni standard non si verificherà mai.
A meno che tu non abbia sbagliato a fare i calcoli o non abbia considerato che in finanza non è applicabile la distribuzione statistica propria dei fenomeni fisici, proprio perché in finanza succedono cose incredibilmente eccezionali molto più spesso di quel che ci si aspetta.
Per i più secchioni (o la manciata di matematici e ingegneri all’ascolto) consiglio di leggere The Misbehavior of Markets di Benoit Mandelbort, geniale matematico francese (nonché mentore di Nassim Taleb), che aveva teorizzato l’idea che la distribuzione dei rendimenti sui mercati finanziari fosse da interpretare attraverso una geometria frattale e non lineare.
Va beh, torniamo alle nostre cose pratiche, come sempre mi sono fatto trasportare…
Il punto è semplicemente che in finanza succedono cose che la statistica fa fatica a descrivere, perché tutto funziona bene fino al momento in cui succede qualcosa di strano e salta tutto.
E questo qualcosa di strano, succede molto più spesso di quanto non si immagini.
Ricordatevi sempre che basarsi sul fatto che qualcosa non sia mai capitato nella storia è una pessima idea, perché tutte le cose che non erano mai accadute prima, non erano mai accadute finché poi non sono accadute veramente.
Ora, fatto sto pippone fotonico sulla deviazione standard, giusta o sbagliata che sia questo è il modo in cui finanza si intende il “rischio” in senso tecnico.
Il rischio è quindi definito come la misura dello scostamento del rendimento del mio investimento rispetto al suo rendimento medio atteso.
Attenzione che, in questi termini, rischio è sia una cosa negativa che positiva, perché il fatto che un certo rendimento possa discostarsi dalla media, può voler dire, con la stessa probabilità, sia che può andare peggio ma anche che può andare meglio.
L’azione di una società tech super innovativa avrà una deviazione standard enorme, perché potrebbe benissimo fallire dopodomani ma anche diventare la nuova Google.
Ad ogni modo, quando si parla della teoria moderna del portafoglio, che con tutti i suoi limiti resta comunque ad oggi la base di riferimento nel mondo finanziario, l’idea di ottimizzare il portafoglio rispetto ad un certo profilo di rischio è legata appunto alla deviazione standard di un certo portafoglio.
La ridico in un altro modo.
Quando diciamo: “bisogna prima capire qual è la tua propensione al rischio per poi impostare il portafoglio di conseguenza”, in pratica stiamo dicendo che dobbiamo capire qual è la deviazione standard che sei disposto ad accettare nei tuoi investimenti, ossia quanto sei disposto a sopportare che il rendimento dei tuoi investimenti possa andare sulle montagne russe.
L’obiettivo della teoria moderna del portafoglio di Markowitz è quindi quello di mettere insieme l’asset allocation migliore che, data una certa deviazione standard, ottenga il rendimento migliore oppure, ancora meglio, che dato un certo rendimento atteso minimizzi la deviazione standard (ossia quanto balla il tuo portafoglio).
Statistici, matematici e ingegneri all’ascolto, lo so che non sono stato troppo rigoroso, non arrabbiatevi, ci sono un miliardo di inesattezze in quello che ho detto, ma qua si tratta solo di capire il concetto in generale.
Scrivetemi in privato per gli insulti sulle inesattezze formali.
Chiaro fino a qui?
Va beh, portatevi a casa solo questo.
Se voi vi aspettate che un certo investimento renda X, la deviazione standard è la misura della probabilità che quell’investimento si discosti da X e di quanto.
Più un investimento può allontanarsi dal risultato atteso, maggiore sarà la sua deviazione standard e quindi maggiore sarà il suo “rischio” in termini finanziari.
Bene.
Ora c’è però una cosa fondamentale da capire.
Una volta che prendiamo per buono che la volatilità di un investimento sia una misura corretta per definire il rischio — e tra poco vedremo perché lo è solo fino ad un certo punto — dobbiamo capire che ci sono 2 tipi di rischio.
Uno è il cosiddetto RISCHIO SISTEMICO.
Questo è il rischio di mercato, ossia il rischio che teoricamente viene remunerato secondo la solita relazione di cui parliamo sempre tra Rischio e Rendimento.
Investire in azioni piuttosto che in obbligazioni ha un rischio sistemico superiore, pertanto l’investimento in azioni, di solito almeno, richiede un rendimento superiore (altrimenti nessuno investirebbe in una cosa più rischiosa se non avesse l’aspettativa di guadagnare di più).
Allo stesso modo investire in obbligazioni a lungo termine piuttosto che a breve termine ha un rischio sistemico superiore, perché espone maggiormente alle variazioni future dei tassi di interesse e pertanto richiede un rendimento superiore.
E così via.
Poi però c’è anche il cosiddetto RISCHIO IDIOSINCRATICO, che è una parola molto complicata per dire semplicemente che ci sono dei rischi legati unicamente al particolare asset in cui investo.
Ad esempio, il fatto di investire in un ETF sul mercato francese, invece che sull’intero MSCI Europe o sull’MSCI World, ha un rischio idiosincratico, perché appunto il suo rischio è legato alla specificità del mercato azionario, dell’economia e della politica francese.
Questo tipo di rischio invece non è remunerato.
Ossia il mercato non premia il fatto di investire solo nella Francia invece che investire nell’MSCI Europe o nell’MSCI World.
Ho fatto un veloce backtest confrontando la performance dal 1992 ad oggi di questi 3 indici:
– MSCI World
– MSCI Europe e
– CAC 40 appunto (il principale indice Francese)
Al di là di chi ha fatto meglio e chi peggio, la cosa interessante per il discorso che stiamo facendo oggi è che, a fronte di rendimenti abbastanza simili (tutti compresi tra il 7,3 e l’8% medio annuo) la deviazione standard è nettamente più alta per l’indice francese di quello Europeo e globale.
Per la cronaca: 18,2% per il CAC 40, 15,3% per l’MSCI Europe e 14,2% per l’MSCI World.
In altri termini: più o meno a parità di rendimento atteso, l’indice più diversificato è quello con la deviazione standard più bassa — e quindi il rischio minore.
Investire quindi in un singolo mercato, rispetto ad un investimento diversificato su più mercati, non viene premiato dal mercato con un rendimento atteso superiore, nonostante ciò comporti teoricamente l’assunzione di un maggior rischio.
Comprendere questa cosa è estremamente importante.
Nell’episodio 36 avevamo parlato del cosiddetto Home Bias, ossia del pregiudizio secondo il quale un investitore tende a voler investire nel mercato di casa sua perché ritenuto più affidabile, di solito per il fatto che conosce meglio i nomi della società che vi sono quotate.
Certo, un conto essere un americano che investe solo nell’S&P 500.
È anche lui affetto da Home Bias, però quanto il mercato di casa tua pesa più di metà di tutto il mercato finanziario globale, già lo capisco di più.
L’italiano invece che investe in una manciata di società a caso del FTSE MIB perché convinto di conoscere bene i gioielli della nostra economia, beh, qui ci sarebbe parecchio da ridire, fosse anche solo per il fatto che si sta assumendo un rischio maggiore senza la ricompensa di un rendimento atteso superiore.
Attenzione che parliamo di rendimento atteso, non di rendimento reale.
È chiaro che se avessi investo su Ferrari 5 anni fa oggi mi sarei portato a casa un rendimento astronomico del 27% all’anno — e questo senza contare i dividendi.
Allo stesso modo un americano che avesse invece investito in Tesla 5 anni fa avrebbe fatto oltre il 60% all’anno (e nonostante Tesla oggi abbia praticamente dimezzato il suo valore rispetto al picco del 2021).
Quindi il fatto di assumersi del rischio idiosincratico non è di per sé né un bene né un male.
Anzi, è forse l’unico modo per sperare di ottenere dei rendimenti nettamente sopra la media del mercato.
Però sappiamo anche bene che questa cosa è molto difficile nel lungo termine e che, statisticamente, una strategia di investimento basata sull’assunzione di rischio idiosincratico ha pochissime probabilità di battere un investimento passivo diversificato a livello globale.
Avrete comunque capito che, in pratica, il rischio idiosincratico non viene remunerato dal mercato perché può essere attenuato attraverso la diversificazione, mentre invece quello sistemico no e pertanto richiede quello che in finanza viene chiamato risk premium, ossia il premio al rischio, che appunto è il fatto che un certo investimento considerato più rischioso deve prevedere un rendimento atteso superiore.
Quali sono, in generale, i vari rischi idiosincratici che possiamo assumerci per eccesso di concentrazione?
Per fare qualche esempio abbiamo:
– Il rischio geografico (come appunto il fatto di investire solo in aziende francesi);
– Il rischio settoriale;
– Il rischio valutario;
– Il rischio emittente (per esempio nel caso di fallimento di chi emette un’obbligazione);
– Il rischio liquidità (ossia il fatto che il mio investimento sia difficilmente liquidabile, qualora mi trovi ad investire in un asset poco scambiato sul mercato);
– E così via…
Ok, fin qua abbiamo detto che la misura ufficiale del rischio è la volatilità del mio investimento, misurata attraverso la deviazione standard.
A questo punto mi potreste dire.
Va beh, ok non investire solo in Tesla, in Ferrari o in chi per esse.
Sono 84 episodi che parliamo di ETF, mi prendo un ETF sull’azionario globale che replica l’MSCI All Country o il FTSE All World, teoricamente non ho rischio idiosincratico perché sto investendo nel mondo intero, se tutto ciò funziona l’unico rischio che ho è che il mio investimento balli parecchio, però di fatto nel lungo termine mi porterò a casa il massimo del rendimento e sti gran cazzi se ogni tanto passo da +30% a -40%.
Allora qui ci sarebbe intanto da fare qualche puntualizzazione sul fatto che non ci sia rischio idiosincratico perché nella misura in cui gli ETF che replicano quegli indici hanno il 60% di Stati Uniti, un po’ di rischio idiosincratico c’è.
Da questo punto di vista, il portafoglio del prof. Coletti equally weighted è pensato proprio per ridurre al minimo il rischio idiosincratico assegnando a tutti i paesi più o meno lo stesso peso.
(anche se forse la nostra chiacchierata gli ha innescato qualche riflessione sul fatto che tutto sommato investire un po’ di più del 13% negli Stati Uniti potrebbe essere una buona idea dopo tutto).
Comunque, diamo per buono che investire nel Vanguard FTSE All World o nell’Ishares MSCI All Country sia un investimento 100% azionario pienamente diversificato.
Dal punto di vista finanziario, ok, il mio rischio è una bella volatilità, ma niente di più.
Questo però non significa che i rischi siano finiti.
E qui viene il secondo tipo di rischio.
Che non è un rischio finanziario e tanto semplice da misurare con strumenti matematici.
Parliamo infatti del rischio di mancare i nostri obiettivi.
Seguitemi bene.
Noi non siamo entità astratte dalla vita reale che siamo chiamati a percorre lungo gli anni, i mesi e i giorni della nostra esistenza.
Cioè non basta dire, sopra i 30 anni il mercato azionario americano non ha mai reso meno del 7,8% all’anno, quindi basta tenere duro per 30 anni e sono a posto.
E in sti 30 anni?
Cioè praticamente la parte che conta davvero della tua vita qui dentro.
Di solito uno inizia ad investire in maniera seria almeno intorno ai 25-30 anni, perché prima, a meno che non ci abbiano pensato i genitori, non si hanno proprio soldi per farlo.
Se inizio a 28 anni, tenere botta 30 anni vuol dire arrivare a 58.
Per l’amor del cielo, uno a 58 anni oggi ha ancora come minimo altri 30, 40, forse addirittura 50 anni di aspettativa di vita.
Ma dai 28 ai 58 anni uno tipicamente fa tutte quelle cose “core” che definiscono la sua esistenza.
Si sposa, fa figli, compra casa, a volte divorzia, a volte si risposa, a volte fa altri figli, sviluppa la propria carriera professionale, viaggia, fa esperienze, impara cose e conosce gente.
Cioè hai voglia a dire per 30 anni non guardo i miei investimenti e quindi la volatilità non mi tange, daje 100% azionario e to the moon!
A meno che uno investa solo ed esclusivamente per andare in pensione e allora ok.
Fino a 65 anni non ci puoi andare, pure di più forse, quindi lì lo capisco.
Però francamente, per quanto pianifichi il pianificabile, non puoi mai sapere cosa ti capita nella vita.
Non puoi mai sapere quanti figli farai, in che università andranno, dove andrai a vivere e di che casa avrai bisogno, quali sfortune possano abbattersi sulla tua salute o sul tuo lavoro, cioè è difficile, nella vita reale e al di fuori delle simulazioni dei portafogli, dire: bom, investo 1.000 euro al mese per sempre nell’azionario globale e tanti saluti a tutti.
Il conto è facile.
L’MSCI All Country ha reso l’8,2% all’anno dal 1987 ad oggi.
Quindi 1.000 € al mese per i prossimi 30 anni saranno più di 1 milione e mezzo di euro, con una deviazione standard di circa il 14%, meno del CAC 40.
Qual è però il problema di tutto ciò?
Ce ne sono diversi.
PROBLEMA UNO:
Se è probabilmente vero che su 30 anni quello sarà il mio risultato, tanto fa anche il periodo in cui mi trovo ad investire.
Chi avesse iniziato nell’estate del 2000, poco prima che cominciasse la dot.com bubble, 10 anni dopo sarebbe ancora fondamentalmente in pari e se la sarebbe vista molto brutta durante le due crisi epocali del primo decennio di questo secolo.
Quindi sapere che in media farai l’8% all’anno è molto diverso dal dire che ogni anno farai l’8%.
Ci potranno essere interi decenni in cui potresti trovarti sistematicamente in negativo.
E questo non è per tutti.
PROBLEMA DUE:
Non sai cosa ti capita nella vita.
Il fatto di avere un portafoglio che spinge a manetta sui rendimenti non ti darà necessariamente maggiori possibilità economiche.
Anzi.
Per come la vedo il patrimonio deve in qualche modo poter essere sempre a disposizione delle varie necessità della vita che possono capitare.
È innegabile che sul lungo termine l’investimento più rischioso (inteso come rischio sistemico e non rischio idiosincratico) sarà quello con i rendimenti migliori.
Non esiste alcuna evidenza statistica che dica il contrario.
Da qui a 30 anni l’investimento più performante sarà quello 100% azionario.
Qualunque altra combinazione di azioni e obbligazioni, o materie prime, real estate o quel che vi pare, con ogni probabilità non batterà un portafoglio 100% azioni.
Il punto però è distinguere il rischio finanziario in senso stretto, quello definito dalla volatilità dei rendimenti, dal rischio reale, in ultima istanza, di non raggiungere i propri obiettivi.
Questa è secondo me la cosa più rilevante da considerare nella valutazione del rischio del proprio portafoglio.
Quindi se fino ad oggi il più delle volte abbiamo detto: “impostate il vostro portafoglio in base alla quantità di rischio che siete disposti ad assumervi”, ora che siete tutti grandi ed esperti aggiungerei: “impostate il portafoglio ANCHE in base agli obiettivi che volete conseguire”.
Facciamo un esempio: se tra 10 anni voglio poter disporre di 300.000 € per comprare una casa al mare (ammesso che bastino), cosa fai?
Abbiamo alcune opzioni.
Opzione 1)
Investo 1.500 € al mese nell’S&P 500, che come da tradizione rende il 10% circa all’anno e che quindi in 10 anni, fidatevi del mio file excel, farà circa 300.000 € (si ok, sono lordi, netti sarebbero circa 270.000 non è cambia molto).
Opzione 2)
Investo 1.750 € al mese in un portafoglio 60/40, che come da tradizione rende il 7% all’anno e faccio sempre circa 300.000 €.
Opzione 3)
Investo circa 1.950 € al mese in un portafoglio magari sempre 60/40 o giù di lì, ma mi sento pessimista e suppongo che il mio rendimento media sia uno scarso 5%, come se avessi iniziato nel 2004 e poi mi fossi preso nel bel mezzo la devastante crisi del 2008.
Quale opzione scegliereste?
Oh, non sto dicendo che investire tra 1.500 e quasi 2.000 € al mese sia una passeggiata alla portata di tutti — però siete voi che volete la casa al mare, mica io che appena un raggio di sole mi sfiora mi ustiono come un tedesco a Riccione.
Però se questo è il vostro obiettivo tra 10 anni, eh non è che avete molte alternative.
O a ottobre 2022 avete comprato solo azioni di Nvidia, Facebook e Microsoft, oppure, meglio ancora, avete fatto il pieno di Bitcoin, eh allora forse siete a buon punto, altrimenti trovare un investimento relativamente stabile che in 10 anni dia più del 10% all’anno dura.
Come avrebbe detto il buon Mike Bongiorno, quale busta scegliete?
La uno, la due o la tre?
Beh, è abbastanza facile comprendere che voi potete avere più controllo sulla vostra capacità di risparmiare 450 € in più al mese, quelli che vi servono per passare da 1.500 e 1.950, che non sulla performance anno dopo anno dell’S&P 500.
Quindi anche se siete disposti a tollerare la volatilità di un portafoglio 100% azionario, per quanto riguarda invece i vostri obiettivi questo tipo di portafoglio potrebbe benissimo non farvi raggiungere il risultato sperato, nel momento in cui a voi interessa.
Negli ultimi 25 anni, infatti, ci sono ben 6 gruppi di 10 anni consecutivi in cui l’S&P avrebbe mancato il target del 10%, mentre invece negli altri 10 casi avrebbe fatto anche meglio.
Se però voi eravate partiti nel 1999 eh, campa cavallo….
Poi è ovvio che gli investimenti azionari hanno maggiore probabilità, da un punto di vsta statistico, di riportare i migliori risultati.
Il problema è che voi non siete un campione statistico, ma un singolo caso tra i milioni di scenari possibili.
E se il vostro è il caso sfigato non è che poi potete fare a cambio con qualcun altro.
Quindi, i takeaway delle riflessioni di questo episodio sono i seguenti:
UNO: il concetto di rischio in termini finanziari è fondamentalmente una misura della volatilità di breve e medio termine. Di conseguenza, più l’orizzonte è lungo, maggiore è la probabilità che il mio investimento rispecchierà il rendimento medio atteso.
DUE: chiara a tutti la relazione tra rischio e rendimento, questa cosa vale per il rischio sistemico, mentre non vale per il rischio idiosincratico.
Se voglio prendermi rischi specifici (su determinate aree geografiche, determinati settori, determinate valute, determinate società e via dicendo), benissimo, ma devo essere consapevole che il mercato non remunera — in termini di rendimento atteso — questo tipo di rischio.
Quando si dice che la diversificazione è l’unico pasto gratis in finanza ci si riferisce esattamente a questo, ossia al fatto che diversificare permette di puntare al medesimo rendimento abbassando la soglia di rischio.
Ovviamente questa cosa funziona solo sul rischio idiosincratico.
Se invece pretendo di ottenere lo stesso rendimento di un investimento azionario ficcandoci dentro obbligazioni per abbassare il rischio, eh no belli, questa cosa non funziona.
Se qui abbassi il rischio sistemico a lungo termine abbassi pure il rendimento.
TRE: un conto è il rischio finanziario, un altro è il rischio legato ai miei obiettivi.
La mia asset allocation complessiva deve tenere sì conto della mia propensione al rischio, ma pure e soprattutto degli obiettivi che voglio realizzare nel corso della mia vita e che non posso (o non voglio) permettermi di fallire.
E qui, riprendendo cose già dette tante volte in passato, ci sono due aspetti importanti da tenere in considerazione.
– IL PRIMO è la capitale rilevanza del risparmio rispetto agli investimenti stessi. L’unica cosa che posso controllare è quanti soldi butto dentro al mio portafoglio. Più né metto, maggiori probabilità ho di raggiungere i miei obiettivi, pur se sono sfortunato a trovarmi in un ciclo economico non particolarmente positivo.
Viene spesso raccontato, infatti, che avrebbe fatto molta differenza iniziare ad investire nel 1973 e andare avanti per i 40 anni successivi, oppure iniziare nel 1983 e arrivare fino ad oggi. Nel secondo caso il mio patrimonio finale sarebbe stato di almeno un 20% in più.
A volte, quella che Nick Protasoni aveva chiamato The Sequence of Returns (quindi l’ordine in cui consegui i vari rendimenti lungo la vita), può fare una grande differenza e su sta roba non è che ci puoi fare molto, quindi concentrati sul risparmio.
– IL SECONDO è la gestione della liquidità.
Abbiamo fatto un intero episodio la settimana scorsa su questo (l’82 per chi se lo fosse perso), che invito caldamente a riascoltare.
Gestire la liquidità di breve, medio e lungo termine e straordinariamente importante, in particolare attraverso strumenti obbligazionari, per avere sempre dei cuscinetti a disposizione che ci permettano di far fronte alle incognite della vita senza andare a smantellare nei momenti peggiori il nostro portafoglio.
È quindi questa combinazione di pianificazione finanziaria in base ai propri obiettivi e gestione della liquidità per il breve, medio e lungo periodo l’unica vera bussola per orientare le nostre decisioni d’investimento rispetto a ciò che davvero è rilevante all’interno della nostra vita.
Bene cari amici e care amiche di The Bull, siamo giunti alla fine anche di quest’episodio.
Intanto annuntio vobis gaudium magnum, grazie a tutti voi abbiamo superato gli oltre mezzo milione di episodi ascoltati di The Bull, l’equivalente di 28 anni di fila ininterrotti con la mia voce che non si ferma neanche per un istante, uno scenario incredibilmente distopico degno del peggior film apocalittico di serie B su zombi sopravvissuti ad una catastrofe nucleare e l’umanità costretta ad ascoltare vita natural durante un bizzarro podcast di finanza personale.
Grazie come sempre a tutti voi che continuate ad ascoltarmi e a moltiplicarvi in decine di migliaia.
Continuate a diffondere il podcast, per ogni nuovo ascoltatore di The Bull l’Italia guadagna terreno nella sua rincorsa allo Zimbabwe e presto li acchiapperemo nella classifica dei popoli più finanziariamente acculturati del mondo.
Salvate i vostri amici e parenti dai loro investimenti strampalati e aiutateli a prendere consapevolezza affinché possano prendere per loro e i rispettivi cari le migliori decisioni finanziarie nella vita.
Per qualunque cosa scrivetemi su instagram a thebull_finance o su LinkedIn e sarò sempre felice di rispondervi e di NON darvi raccomandazioni di investimento altrimenti per 8 anni il podcast mi tocca registrarlo da San Vittore e secondo me nelle celle rimbomba tutto.
Come sempre, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove più vi piace e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre cercano di spiegarvi il rischio negli investimenti attraverso la distribuzione normale di normale hanno ben poco a partire dal loro autore sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo domenica prossima con il consueto appuntamento mensile su cosa è successo sui mercati a Febbraio — e sono successe cose piuttosto importanti — e per rispondere alle vostre domande sugli argomenti più disparati sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di finanza personale
Avevo atteso più di 80 episodi, ho fatto di tutto per non parlarne e per cercare di infondere solo ottimismo in chiunque mi avrebbe ascoltato lungo l’incredibile vita di questo podcast nato con un paio di airpods e poco più ma oggi, oltre 2.400 minuti dopo la prima volta che vi ho dato il Benvenuto a The Bull, non posso più esimermi.
È arrivato il momento di parlare del tema del Rischio negli investimenti e di cosa significhi realmente.
Ebbene sì, ora che ciascuno di voi ormai starà dominando le tematiche che trattiamo qui, al punto che quando deve scegliere la pizza da ordinare invece che pizze ci vede ormai solo dei portafogli e la relativa asset allocation a base di mozzarella, pomodoro e salame piccante, è giunto il momento di parlare anche dei rischi che tutta sta bella cosa degli investimenti comporta.
Sì ogni tanto ci giriamo intorno, è vero.
Rischio/rendimento, orizzonte temporale, pianificazione, tutte ste fregnacce le abbiamo dette mille volte.
Ma diciamoci la verità.
Davvero di RISCHIO non ne abbiamo mai parlato.
E allora oggi vi beccate quasi mezz’ora a capire i rischi negli investimenti finanziari e proviamo a ragionare assieme sui concetti fondamentali legati al rischio per evitare che qualcuno si fa prendere la mano e fa qualche cagata e poi viene a dare la colpa a me.
Io invece vi avviso prima; oltre ad avervi raccontato tutta una serie di robe sugli ETF, le azioni, le obbligazioni e tutta l’allegra combriccola, oggi parliamo proprio di tutti i rischi connessi al fatto che i vostri soldi non se ne stanno belli tranquilli al sicuro sui conti correnti, ma sparsi in giro chissà dove investiti in roba che manco noi sappiamo bene, tra azioni di aziende sparse nel sud est asiatico e obbligazioni di paesi che era dall’ora di geografia alle elementari che non sentivamo più nominare.
Tra un attimo però.
Vogliamo prima parlare un attimo di una cosa troppo divertente?
Alla fine pare che non solo voi, in decine di migliaia, ascoltiate il mio podcast.
Sapete chi altro lo ascolta?
Secondo me lo ascolta … Goldman Sachs!!!
Eh sì!
E mica si limitano solo ad ascoltare le cazzate che ho da dire quelli di Goldman.
No no, mi stanno proprio sentire per capire come impostare la loro strategia globale.
Non ci credete?
Vi ricordate che il 3 gennaio, primo episodio di The Bull di questo 2024, vi avevo parlato delle previsioni sull’anno appena iniziato?
Se non ve lo ricordate, andate ad ascoltarvi l’episodio 68.
In pratica all’inizio dell’episodio prendevo un po’ per il culo Goldman e la sua arcirivale JP Morgan per i soliti forecast che sparano ogni anno sul risultato target dell’S&P 500, fallendo puntualmente in maniera miserabile la previsione.
JP Morgan è super pessimistica e vede un finale d’anno addirittura a 4.200 punti, il che vorrebbe dire che l’S&P 500 dovrebbe fare circa un -15% dai valori attuali per atterrare lì.
Non che sia impossibile, intendiamoci, però tra tutte le Banche di Wall Street è stata di gran lunga la più funerea nelle previsioni.
Goldman invece aveva stimato un S&P a 5.100.
E noi?
Beh vi ricorderete che, pur precisando che la mia previsione fosse del tutto a cazzo e si basasse solo sul rendimento medio dell’S&P 500 negli anni che seguono anni di forte recupero, avevo ironicamente scommesso su 5.200 punti.
Oh, mica mi hanno preso sul serio quelli di Goldman e, notizia di lunedì scorso, Goldman ha alzato anche lei il suo target a 5.200?
Certo, ha giustificato questa decisione citando i dati particolarmente positivi arrivati dai report sul quarto trimestre presentati dalle società dell’S&P le settimane prima, ma in realtà sappiamo tutti che il merito è solo e soltanto di questo podcast.
Bene, detta anche sta cazzata, che non ha alcun collegamento con l’episodio di oggi, però non è che a Ferragosto potevo dirvi “oh sapete che a fine Febbraio Goldman ha copiato la mia previsione fatta a inizio Gennaio?”, eh, anche il timing è importante, soprattutto quando si devono dire cazzate.
Detto questo invece, veniamo al tema importantissimo di oggi: il RISCHIO.
Intanto per cominciare.
Che cos’è il rischio.
Dicesi RISCHIO, in finanza perlomeno, la probabilità che il risultato di un certo investimento differisca dal risultato atteso.
In base al Capital Asset Pricing Model, che è forse il modello classico più famoso di valutazione di un portafoglio di investimento, il rischio è inteso come volatilità dei risultati di un investimento.
La volatilità è in pratica “quanto si discosta il rendimento di un certo investimento rispetto al rendimento atteso in un dato intervallo di tempo”.
Come viene misurata tipicamente in finanza sta roba?
L’abbiamo già detto in passato, si usa la radice quadrata della varianza, che in statistica passa sotto il leggendario nome di Deviazione Standard.
E cosa vuol dire che un investimento ha una certa deviazione standard?
Facciamo un esempio.
Secondo portfolio visualizer, un investimento sull’S&P 500 ha storicamente una deviazione standard del 15%.
Se il rendimento medio dell’S&P, come ormai vi uscirà dalle orecchie, è di circa il 10% all’anno, una deviazione standard del 15% significa che circa 2/3 delle volte, il risultato dell’S&P cascherà tra un +15 e -15 punti percentuali rispetto alla performance media, che appunto è 10%.
Se tutto ciò è vero, quindi, non dovrebbe succedere più di un terzo degli anni che l’S&P 500 registri una performance annuale al di fuori di questo range (che quindi va da -5% a +25%).
Se parliamo invece di 2 deviazioni standard, ossia di uno scostamento fino al 30% dalla media, in positivo o in negativo, la statistica ci dice che circa il 5% delle volte l’S&P farà un risultato al di fuori del range compreso tra -20% e +40%.
In effetti negli ultimi 100 anni l’indice ha perso più del 20% solo 6 volte (di cui 3 negli anni ’30 della Grande Depressione, mentre le altre volte sono state nel 1974, nel 2002 e nel 2008).
E per 5 volte ha superato il 40% di total return, anche qui quasi tutte le volte eravamo nella prima metà del secolo scorso.
Quindi più o meno ci siamo.
In realtà la deviazione standard misura di solito la volatilità giornaliera, non quella annuale, ma non sottilizziamo troppo, l’importante è capire il concetto.
Comunque, finché ci guardiamo indietro, questa misura statistica descrive molto bene come sono andate le cose.
Il problema, come sempre, è usare la statistica per tirare a indovinare cosa succederà nel futuro.
Infatti in finanza si presuppone, anche se in realtà è una credenza bella e buona senza alcun fondamento scientifico, che la distribuzione dei rendimenti di un investimento segua la tipica forma a campana della curva di Gauss.
Avete presente?
Dai l’avrete vista mille volte.
È quella curva fatta a forma di collinetta, più o meno ripida, con le due code a destra e sinistra che si avvicinano sempre di più all’asse orizzontale man mano che si allontanano dal centro della curva.
Ecco questa cosa fighissima, inventata da uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, Carl Friedrich Gauss, è chiamata distribuzione normale.
Questa è una delle innumerevoli scoperte geniali di Gauss, un personaggio dal pessimo carattere che in 78 anni di vita avrebbe rivoluzionato l’algebra, la geometria, la statistica, la fisica, l’astronomia, l’ottica e se all’inizio dell’800 fosse esistito il fantacalcio avrebbe rivoluzionato pure quello e oggi le aste si farebbero in tutt’altro modo.
Tra l’altro, ironia della sorte, sto registrando quest’episodio il 23 febbraio, 169° anniversario della sua morte, mi avrà ispirato.
Comunque la distribuzione normale della deviazione standard è il suo contributo più celebre, tanto che prima dell’introduzione dell’euro, la banconota tedesca da 10 marchi rappresentava la sua bella facciona con di fianco un disegnino della curva a campana.
Come racconta Taleb nel Cigno Nero, probabilmente Gauss però si sarà rivoltato nella tomba una volta appreso che la sua geniale scoperta, nata per descrivere la distribuzione degli errori di misurazione e in generale per descrivere il comportamento di variabili casuali che tendono a concentrarsi intorno ad un valore medio, è finita nei libri di finanza.
Mai Gauss si sarebbe sognato di pensare che una roba come la finanza potesse funzionare sotto le regole della sua bella curvetta magica.
E invece sappiamo che agli Economisti piace far finta di essere dei veri scienziati e di infarcire i loro modelli di matematica tanto elegante e complessa quanto perfettamente inutile.
Tutta sta pappardella della deviazione standard, che appunto funziona benissimo per la descrizione statistica dei fenomeni studiati dalle vere scienze, eh, non è che in finanza funzioni poi così bene.
Tanto per fare un esempio, il famosissimo e già citato e più volte perculato hedge fund chiamato Long Term Capital Management, celebre per aver messo insieme nel 1994 un team di ultra geni che annoverava premi nobel, plurilaureati all’MIT e altre superstar della finanza, faceva soldi a palate sfruttando un sofisticatissimo meccanismo di arbitraggio sulle piccole differenze di prezzo di determinati asset.
Senza entrare nel tecnico, in pratica avevano messo su un modello incredibilmente complesso — e indubbiamente geniale — che sfruttava appunto piccole discrepanze nei prezzi di mercato, in particolare nel mercato obbligazionario, e soprattutto le oscillazioni dei prezzi legate alle variazioni dei tassi di interesse.
Siccome però queste variazioni erano molto piccole (perché come sappiamo il mercato è generalmente efficiente e quindi queste discrepanze di prezzo sono minime e durano poco, perché poi il mercato le riprezza correttamente una volta che le nuove informazioni vengono incorporate), ecco dicevo, dato che le variazioni su cui loro guadagnavano comprando un asset ad un certo prezzo e rivendendolo ad un prezzo leggerissimamente più alto erano minime, avevano bisogno di utilizzare una leva enorme per fare dei bei guadagni.
Insomma per farla breve, gli amici super geni premi nobel si sono trovati ad un certo punto con 5 miliardi di dollari di soldi loro e un’esposizione sul mercato di oltre 100 miliardi di dollari.
Per 4 anni era andato tutto bene, dato che avevano stimato che, perché potesse crollare la rischiosa — e incredibilmente redditizia — strategia di investimento che stavano applicando, sarebbe servita una concatenazione di eventi che rientrava nel range di 10 deviazioni standard.
10 deviazioni standard significa un evento così raro che si verifica forse una volta ogni 14 miliardi di anni.
Ecco.
Nel 1998 questo evento raro è successo (e si è trattato di un default su dei titoli di Stato russi e di tutta una serie di conseguenze) e Long Term Capital Managment è fallito in maniera spettacolare.
O che sfiga che un evento che capita una volta nell’intera storia dell’Universo, ti capita proprio nel 1998, 4 anni dopo che hai aperto l’hedge fund.
Va che a volte ti dice proprio male…
Scherzi a parte.
Ovviamente un evento con una probabilità di verificarsi nell’ordine di 10 deviazioni standard non si verificherà mai.
A meno che tu non abbia sbagliato a fare i calcoli o non abbia considerato che in finanza non è applicabile la distribuzione statistica propria dei fenomeni fisici, proprio perché in finanza succedono cose incredibilmente eccezionali molto più spesso di quel che ci si aspetta.
Per i più secchioni (o la manciata di matematici e ingegneri all’ascolto) consiglio di leggere The Misbehavior of Markets di Benoit Mandelbort, geniale matematico francese (nonché mentore di Nassim Taleb), che aveva teorizzato l’idea che la distribuzione dei rendimenti sui mercati finanziari fosse da interpretare attraverso una geometria frattale e non lineare.
Va beh, torniamo alle nostre cose pratiche, come sempre mi sono fatto trasportare…
Il punto è semplicemente che in finanza succedono cose che la statistica fa fatica a descrivere, perché tutto funziona bene fino al momento in cui succede qualcosa di strano e salta tutto.
E questo qualcosa di strano, succede molto più spesso di quanto non si immagini.
Ricordatevi sempre che basarsi sul fatto che qualcosa non sia mai capitato nella storia è una pessima idea, perché tutte le cose che non erano mai accadute prima, non erano mai accadute finché poi non sono accadute veramente.
Ora, fatto sto pippone fotonico sulla deviazione standard, giusta o sbagliata che sia questo è il modo in cui finanza si intende il “rischio” in senso tecnico.
Il rischio è quindi definito come la misura dello scostamento del rendimento del mio investimento rispetto al suo rendimento medio atteso.
Attenzione che, in questi termini, rischio è sia una cosa negativa che positiva, perché il fatto che un certo rendimento possa discostarsi dalla media, può voler dire, con la stessa probabilità, sia che può andare peggio ma anche che può andare meglio.
L’azione di una società tech super innovativa avrà una deviazione standard enorme, perché potrebbe benissimo fallire dopodomani ma anche diventare la nuova Google.
Ad ogni modo, quando si parla della teoria moderna del portafoglio, che con tutti i suoi limiti resta comunque ad oggi la base di riferimento nel mondo finanziario, l’idea di ottimizzare il portafoglio rispetto ad un certo profilo di rischio è legata appunto alla deviazione standard di un certo portafoglio.
La ridico in un altro modo.
Quando diciamo: “bisogna prima capire qual è la tua propensione al rischio per poi impostare il portafoglio di conseguenza”, in pratica stiamo dicendo che dobbiamo capire qual è la deviazione standard che sei disposto ad accettare nei tuoi investimenti, ossia quanto sei disposto a sopportare che il rendimento dei tuoi investimenti possa andare sulle montagne russe.
L’obiettivo della teoria moderna del portafoglio di Markowitz è quindi quello di mettere insieme l’asset allocation migliore che, data una certa deviazione standard, ottenga il rendimento migliore oppure, ancora meglio, che dato un certo rendimento atteso minimizzi la deviazione standard (ossia quanto balla il tuo portafoglio).
Statistici, matematici e ingegneri all’ascolto, lo so che non sono stato troppo rigoroso, non arrabbiatevi, ci sono un miliardo di inesattezze in quello che ho detto, ma qua si tratta solo di capire il concetto in generale.
Scrivetemi in privato per gli insulti sulle inesattezze formali.
Chiaro fino a qui?
Va beh, portatevi a casa solo questo.
Se voi vi aspettate che un certo investimento renda X, la deviazione standard è la misura della probabilità che quell’investimento si discosti da X e di quanto.
Più un investimento può allontanarsi dal risultato atteso, maggiore sarà la sua deviazione standard e quindi maggiore sarà il suo “rischio” in termini finanziari.
Bene.
Ora c’è però una cosa fondamentale da capire.
Una volta che prendiamo per buono che la volatilità di un investimento sia una misura corretta per definire il rischio — e tra poco vedremo perché lo è solo fino ad un certo punto — dobbiamo capire che ci sono 2 tipi di rischio.
Uno è il cosiddetto RISCHIO SISTEMICO.
Questo è il rischio di mercato, ossia il rischio che teoricamente viene remunerato secondo la solita relazione di cui parliamo sempre tra Rischio e Rendimento.
Investire in azioni piuttosto che in obbligazioni ha un rischio sistemico superiore, pertanto l’investimento in azioni, di solito almeno, richiede un rendimento superiore (altrimenti nessuno investirebbe in una cosa più rischiosa se non avesse l’aspettativa di guadagnare di più).
Allo stesso modo investire in obbligazioni a lungo termine piuttosto che a breve termine ha un rischio sistemico superiore, perché espone maggiormente alle variazioni future dei tassi di interesse e pertanto richiede un rendimento superiore.
E così via.
Poi però c’è anche il cosiddetto RISCHIO IDIOSINCRATICO, che è una parola molto complicata per dire semplicemente che ci sono dei rischi legati unicamente al particolare asset in cui investo.
Ad esempio, il fatto di investire in un ETF sul mercato francese, invece che sull’intero MSCI Europe o sull’MSCI World, ha un rischio idiosincratico, perché appunto il suo rischio è legato alla specificità del mercato azionario, dell’economia e della politica francese.
Questo tipo di rischio invece non è remunerato.
Ossia il mercato non premia il fatto di investire solo nella Francia invece che investire nell’MSCI Europe o nell’MSCI World.
Ho fatto un veloce backtest confrontando la performance dal 1992 ad oggi di questi 3 indici:
– MSCI World
– MSCI Europe e
– CAC 40 appunto (il principale indice Francese)
Al di là di chi ha fatto meglio e chi peggio, la cosa interessante per il discorso che stiamo facendo oggi è che, a fronte di rendimenti abbastanza simili (tutti compresi tra il 7,3 e l’8% medio annuo) la deviazione standard è nettamente più alta per l’indice francese di quello Europeo e globale.
Per la cronaca: 18,2% per il CAC 40, 15,3% per l’MSCI Europe e 14,2% per l’MSCI World.
In altri termini: più o meno a parità di rendimento atteso, l’indice più diversificato è quello con la deviazione standard più bassa — e quindi il rischio minore.
Investire quindi in un singolo mercato, rispetto ad un investimento diversificato su più mercati, non viene premiato dal mercato con un rendimento atteso superiore, nonostante ciò comporti teoricamente l’assunzione di un maggior rischio.
Comprendere questa cosa è estremamente importante.
Nell’episodio 36 avevamo parlato del cosiddetto Home Bias, ossia del pregiudizio secondo il quale un investitore tende a voler investire nel mercato di casa sua perché ritenuto più affidabile, di solito per il fatto che conosce meglio i nomi della società che vi sono quotate.
Certo, un conto essere un americano che investe solo nell’S&P 500.
È anche lui affetto da Home Bias, però quanto il mercato di casa tua pesa più di metà di tutto il mercato finanziario globale, già lo capisco di più.
L’italiano invece che investe in una manciata di società a caso del FTSE MIB perché convinto di conoscere bene i gioielli della nostra economia, beh, qui ci sarebbe parecchio da ridire, fosse anche solo per il fatto che si sta assumendo un rischio maggiore senza la ricompensa di un rendimento atteso superiore.
Attenzione che parliamo di rendimento atteso, non di rendimento reale.
È chiaro che se avessi investo su Ferrari 5 anni fa oggi mi sarei portato a casa un rendimento astronomico del 27% all’anno — e questo senza contare i dividendi.
Allo stesso modo un americano che avesse invece investito in Tesla 5 anni fa avrebbe fatto oltre il 60% all’anno (e nonostante Tesla oggi abbia praticamente dimezzato il suo valore rispetto al picco del 2021).
Quindi il fatto di assumersi del rischio idiosincratico non è di per sé né un bene né un male.
Anzi, è forse l’unico modo per sperare di ottenere dei rendimenti nettamente sopra la media del mercato.
Però sappiamo anche bene che questa cosa è molto difficile nel lungo termine e che, statisticamente, una strategia di investimento basata sull’assunzione di rischio idiosincratico ha pochissime probabilità di battere un investimento passivo diversificato a livello globale.
Avrete comunque capito che, in pratica, il rischio idiosincratico non viene remunerato dal mercato perché può essere attenuato attraverso la diversificazione, mentre invece quello sistemico no e pertanto richiede quello che in finanza viene chiamato risk premium, ossia il premio al rischio, che appunto è il fatto che un certo investimento considerato più rischioso deve prevedere un rendimento atteso superiore.
Quali sono, in generale, i vari rischi idiosincratici che possiamo assumerci per eccesso di concentrazione?
Per fare qualche esempio abbiamo:
– Il rischio geografico (come appunto il fatto di investire solo in aziende francesi);
– Il rischio settoriale;
– Il rischio valutario;
– Il rischio emittente (per esempio nel caso di fallimento di chi emette un’obbligazione);
– Il rischio liquidità (ossia il fatto che il mio investimento sia difficilmente liquidabile, qualora mi trovi ad investire in un asset poco scambiato sul mercato);
– E così via…
Ok, fin qua abbiamo detto che la misura ufficiale del rischio è la volatilità del mio investimento, misurata attraverso la deviazione standard.
A questo punto mi potreste dire.
Va beh, ok non investire solo in Tesla, in Ferrari o in chi per esse.
Sono 84 episodi che parliamo di ETF, mi prendo un ETF sull’azionario globale che replica l’MSCI All Country o il FTSE All World, teoricamente non ho rischio idiosincratico perché sto investendo nel mondo intero, se tutto ciò funziona l’unico rischio che ho è che il mio investimento balli parecchio, però di fatto nel lungo termine mi porterò a casa il massimo del rendimento e sti gran cazzi se ogni tanto passo da +30% a -40%.
Allora qui ci sarebbe intanto da fare qualche puntualizzazione sul fatto che non ci sia rischio idiosincratico perché nella misura in cui gli ETF che replicano quegli indici hanno il 60% di Stati Uniti, un po’ di rischio idiosincratico c’è.
Da questo punto di vista, il portafoglio del prof. Coletti equally weighted è pensato proprio per ridurre al minimo il rischio idiosincratico assegnando a tutti i paesi più o meno lo stesso peso.
(anche se forse la nostra chiacchierata gli ha innescato qualche riflessione sul fatto che tutto sommato investire un po’ di più del 13% negli Stati Uniti potrebbe essere una buona idea dopo tutto).
Comunque, diamo per buono che investire nel Vanguard FTSE All World o nell’Ishares MSCI All Country sia un investimento 100% azionario pienamente diversificato.
Dal punto di vista finanziario, ok, il mio rischio è una bella volatilità, ma niente di più.
Questo però non significa che i rischi siano finiti.
E qui viene il secondo tipo di rischio.
Che non è un rischio finanziario e tanto semplice da misurare con strumenti matematici.
Parliamo infatti del rischio di mancare i nostri obiettivi.
Seguitemi bene.
Noi non siamo entità astratte dalla vita reale che siamo chiamati a percorre lungo gli anni, i mesi e i giorni della nostra esistenza.
Cioè non basta dire, sopra i 30 anni il mercato azionario americano non ha mai reso meno del 7,8% all’anno, quindi basta tenere duro per 30 anni e sono a posto.
E in sti 30 anni?
Cioè praticamente la parte che conta davvero della tua vita qui dentro.
Di solito uno inizia ad investire in maniera seria almeno intorno ai 25-30 anni, perché prima, a meno che non ci abbiano pensato i genitori, non si hanno proprio soldi per farlo.
Se inizio a 28 anni, tenere botta 30 anni vuol dire arrivare a 58.
Per l’amor del cielo, uno a 58 anni oggi ha ancora come minimo altri 30, 40, forse addirittura 50 anni di aspettativa di vita.
Ma dai 28 ai 58 anni uno tipicamente fa tutte quelle cose “core” che definiscono la sua esistenza.
Si sposa, fa figli, compra casa, a volte divorzia, a volte si risposa, a volte fa altri figli, sviluppa la propria carriera professionale, viaggia, fa esperienze, impara cose e conosce gente.
Cioè hai voglia a dire per 30 anni non guardo i miei investimenti e quindi la volatilità non mi tange, daje 100% azionario e to the moon!
A meno che uno investa solo ed esclusivamente per andare in pensione e allora ok.
Fino a 65 anni non ci puoi andare, pure di più forse, quindi lì lo capisco.
Però francamente, per quanto pianifichi il pianificabile, non puoi mai sapere cosa ti capita nella vita.
Non puoi mai sapere quanti figli farai, in che università andranno, dove andrai a vivere e di che casa avrai bisogno, quali sfortune possano abbattersi sulla tua salute o sul tuo lavoro, cioè è difficile, nella vita reale e al di fuori delle simulazioni dei portafogli, dire: bom, investo 1.000 euro al mese per sempre nell’azionario globale e tanti saluti a tutti.
Il conto è facile.
L’MSCI All Country ha reso l’8,2% all’anno dal 1987 ad oggi.
Quindi 1.000 € al mese per i prossimi 30 anni saranno più di 1 milione e mezzo di euro, con una deviazione standard di circa il 14%, meno del CAC 40.
Qual è però il problema di tutto ciò?
Ce ne sono diversi.
PROBLEMA UNO:
Se è probabilmente vero che su 30 anni quello sarà il mio risultato, tanto fa anche il periodo in cui mi trovo ad investire.
Chi avesse iniziato nell’estate del 2000, poco prima che cominciasse la dot.com bubble, 10 anni dopo sarebbe ancora fondamentalmente in pari e se la sarebbe vista molto brutta durante le due crisi epocali del primo decennio di questo secolo.
Quindi sapere che in media farai l’8% all’anno è molto diverso dal dire che ogni anno farai l’8%.
Ci potranno essere interi decenni in cui potresti trovarti sistematicamente in negativo.
E questo non è per tutti.
PROBLEMA DUE:
Non sai cosa ti capita nella vita.
Il fatto di avere un portafoglio che spinge a manetta sui rendimenti non ti darà necessariamente maggiori possibilità economiche.
Anzi.
Per come la vedo il patrimonio deve in qualche modo poter essere sempre a disposizione delle varie necessità della vita che possono capitare.
È innegabile che sul lungo termine l’investimento più rischioso (inteso come rischio sistemico e non rischio idiosincratico) sarà quello con i rendimenti migliori.
Non esiste alcuna evidenza statistica che dica il contrario.
Da qui a 30 anni l’investimento più performante sarà quello 100% azionario.
Qualunque altra combinazione di azioni e obbligazioni, o materie prime, real estate o quel che vi pare, con ogni probabilità non batterà un portafoglio 100% azioni.
Il punto però è distinguere il rischio finanziario in senso stretto, quello definito dalla volatilità dei rendimenti, dal rischio reale, in ultima istanza, di non raggiungere i propri obiettivi.
Questa è secondo me la cosa più rilevante da considerare nella valutazione del rischio del proprio portafoglio.
Quindi se fino ad oggi il più delle volte abbiamo detto: “impostate il vostro portafoglio in base alla quantità di rischio che siete disposti ad assumervi”, ora che siete tutti grandi ed esperti aggiungerei: “impostate il portafoglio ANCHE in base agli obiettivi che volete conseguire”.
Facciamo un esempio: se tra 10 anni voglio poter disporre di 300.000 € per comprare una casa al mare (ammesso che bastino), cosa fai?
Abbiamo alcune opzioni.
Opzione 1)
Investo 1.500 € al mese nell’S&P 500, che come da tradizione rende il 10% circa all’anno e che quindi in 10 anni, fidatevi del mio file excel, farà circa 300.000 € (si ok, sono lordi, netti sarebbero circa 270.000 non è cambia molto).
Opzione 2)
Investo 1.750 € al mese in un portafoglio 60/40, che come da tradizione rende il 7% all’anno e faccio sempre circa 300.000 €.
Opzione 3)
Investo circa 1.950 € al mese in un portafoglio magari sempre 60/40 o giù di lì, ma mi sento pessimista e suppongo che il mio rendimento media sia uno scarso 5%, come se avessi iniziato nel 2004 e poi mi fossi preso nel bel mezzo la devastante crisi del 2008.
Quale opzione scegliereste?
Oh, non sto dicendo che investire tra 1.500 e quasi 2.000 € al mese sia una passeggiata alla portata di tutti — però siete voi che volete la casa al mare, mica io che appena un raggio di sole mi sfiora mi ustiono come un tedesco a Riccione.
Però se questo è il vostro obiettivo tra 10 anni, eh non è che avete molte alternative.
O a ottobre 2022 avete comprato solo azioni di Nvidia, Facebook e Microsoft, oppure, meglio ancora, avete fatto il pieno di Bitcoin, eh allora forse siete a buon punto, altrimenti trovare un investimento relativamente stabile che in 10 anni dia più del 10% all’anno dura.
Come avrebbe detto il buon Mike Bongiorno, quale busta scegliete?
La uno, la due o la tre?
Beh, è abbastanza facile comprendere che voi potete avere più controllo sulla vostra capacità di risparmiare 450 € in più al mese, quelli che vi servono per passare da 1.500 e 1.950, che non sulla performance anno dopo anno dell’S&P 500.
Quindi anche se siete disposti a tollerare la volatilità di un portafoglio 100% azionario, per quanto riguarda invece i vostri obiettivi questo tipo di portafoglio potrebbe benissimo non farvi raggiungere il risultato sperato, nel momento in cui a voi interessa.
Negli ultimi 25 anni, infatti, ci sono ben 6 gruppi di 10 anni consecutivi in cui l’S&P avrebbe mancato il target del 10%, mentre invece negli altri 10 casi avrebbe fatto anche meglio.
Se però voi eravate partiti nel 1999 eh, campa cavallo….
Poi è ovvio che gli investimenti azionari hanno maggiore probabilità, da un punto di vsta statistico, di riportare i migliori risultati.
Il problema è che voi non siete un campione statistico, ma un singolo caso tra i milioni di scenari possibili.
E se il vostro è il caso sfigato non è che poi potete fare a cambio con qualcun altro.
Quindi, i takeaway delle riflessioni di questo episodio sono i seguenti:
UNO: il concetto di rischio in termini finanziari è fondamentalmente una misura della volatilità di breve e medio termine. Di conseguenza, più l’orizzonte è lungo, maggiore è la probabilità che il mio investimento rispecchierà il rendimento medio atteso.
DUE: chiara a tutti la relazione tra rischio e rendimento, questa cosa vale per il rischio sistemico, mentre non vale per il rischio idiosincratico.
Se voglio prendermi rischi specifici (su determinate aree geografiche, determinati settori, determinate valute, determinate società e via dicendo), benissimo, ma devo essere consapevole che il mercato non remunera — in termini di rendimento atteso — questo tipo di rischio.
Quando si dice che la diversificazione è l’unico pasto gratis in finanza ci si riferisce esattamente a questo, ossia al fatto che diversificare permette di puntare al medesimo rendimento abbassando la soglia di rischio.
Ovviamente questa cosa funziona solo sul rischio idiosincratico.
Se invece pretendo di ottenere lo stesso rendimento di un investimento azionario ficcandoci dentro obbligazioni per abbassare il rischio, eh no belli, questa cosa non funziona.
Se qui abbassi il rischio sistemico a lungo termine abbassi pure il rendimento.
TRE: un conto è il rischio finanziario, un altro è il rischio legato ai miei obiettivi.
La mia asset allocation complessiva deve tenere sì conto della mia propensione al rischio, ma pure e soprattutto degli obiettivi che voglio realizzare nel corso della mia vita e che non posso (o non voglio) permettermi di fallire.
E qui, riprendendo cose già dette tante volte in passato, ci sono due aspetti importanti da tenere in considerazione.
– IL PRIMO è la capitale rilevanza del risparmio rispetto agli investimenti stessi. L’unica cosa che posso controllare è quanti soldi butto dentro al mio portafoglio. Più né metto, maggiori probabilità ho di raggiungere i miei obiettivi, pur se sono sfortunato a trovarmi in un ciclo economico non particolarmente positivo.
Viene spesso raccontato, infatti, che avrebbe fatto molta differenza iniziare ad investire nel 1973 e andare avanti per i 40 anni successivi, oppure iniziare nel 1983 e arrivare fino ad oggi. Nel secondo caso il mio patrimonio finale sarebbe stato di almeno un 20% in più.
A volte, quella che Nick Protasoni aveva chiamato The Sequence of Returns (quindi l’ordine in cui consegui i vari rendimenti lungo la vita), può fare una grande differenza e su sta roba non è che ci puoi fare molto, quindi concentrati sul risparmio.
– IL SECONDO è la gestione della liquidità.
Abbiamo fatto un intero episodio la settimana scorsa su questo (l’82 per chi se lo fosse perso), che invito caldamente a riascoltare.
Gestire la liquidità di breve, medio e lungo termine e straordinariamente importante, in particolare attraverso strumenti obbligazionari, per avere sempre dei cuscinetti a disposizione che ci permettano di far fronte alle incognite della vita senza andare a smantellare nei momenti peggiori il nostro portafoglio.
È quindi questa combinazione di pianificazione finanziaria in base ai propri obiettivi e gestione della liquidità per il breve, medio e lungo periodo l’unica vera bussola per orientare le nostre decisioni d’investimento rispetto a ciò che davvero è rilevante all’interno della nostra vita.
Bene cari amici e care amiche di The Bull, siamo giunti alla fine anche di quest’episodio.
Intanto annuntio vobis gaudium magnum, grazie a tutti voi abbiamo superato gli oltre mezzo milione di episodi ascoltati di The Bull, l’equivalente di 28 anni di fila ininterrotti con la mia voce che non si ferma neanche per un istante, uno scenario incredibilmente distopico degno del peggior film apocalittico di serie B su zombi sopravvissuti ad una catastrofe nucleare e l’umanità costretta ad ascoltare vita natural durante un bizzarro podcast di finanza personale.
Grazie come sempre a tutti voi che continuate ad ascoltarmi e a moltiplicarvi in decine di migliaia.
Continuate a diffondere il podcast, per ogni nuovo ascoltatore di The Bull l’Italia guadagna terreno nella sua rincorsa allo Zimbabwe e presto li acchiapperemo nella classifica dei popoli più finanziariamente acculturati del mondo.
Salvate i vostri amici e parenti dai loro investimenti strampalati e aiutateli a prendere consapevolezza affinché possano prendere per loro e i rispettivi cari le migliori decisioni finanziarie nella vita.
Per qualunque cosa scrivetemi su instagram a thebull_finance o su LinkedIn e sarò sempre felice di rispondervi e di NON darvi raccomandazioni di investimento altrimenti per 8 anni il podcast mi tocca registrarlo da San Vittore e secondo me nelle celle rimbomba tutto.
Come sempre, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove più vi piace e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre cercano di spiegarvi il rischio negli investimenti attraverso la distribuzione normale di normale hanno ben poco a partire dal loro autore sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci ritroviamo domenica prossima con il consueto appuntamento mensile su cosa è successo sui mercati a Febbraio — e sono successe cose piuttosto importanti — e per rispondere alle vostre domande sugli argomenti più disparati sempre qui, naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025