Il leggendario Portafoglio 60/40 – E’ ancora valido Oggi?

Il portafoglio composto al 60% da azioni e 40% da obbligazioni è il più famoso è utilizzato modello di asset allocation di sempre. Dopo un secolo in cui ha fatto il suo, ultimamente le cose sembrano scricchiolare un po' e soprattutto al di là dell'Atlantico ci si sta chiedendo se forse abbia perso un po' la sua gloriosa efficienza. Puntata un filo tenica, ma fondamentale per capire cosa sta succedendo proprio in queste settimane in cui non sentite parlare d'altro che di tassi di interesse, rendimenti delle obbligazioni e così via, e per capire meglio cosa fare con i vostri portafogli.

Difficoltà
30 minuti
The Bull - No Thumb

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Punti Chiave

Il portafoglio 60/40 ha avuto la peggiore performance nel 2022 per la mancata decorrelazione azioni-obbligazioni, crollate insieme.

L'impatto di inflazione e tassi d'interesse richiede una rivalutazione dell'asset allocation, specialmente sulla quota obbligazionaria.

Trascrizione Episodio

Bentornati a THE BULL – Il tuo podcast di Finanza Personale.

Care amiche e cari amici di questo podcast puntata importantissima oggi che non dovete assolutamente perdervi, perché andremo a sviscerare il più famoso portafoglio di investimento di tutti i tempi che quanto mai come in questi giorni è diventato un tema particolarmente caldo.

I motivi ve li spiegherò strada facendo, quindi non mettetemi fretta che il tema merita il dovuto dettaglio.

Perché vi voglio parlare di questa cosa?

Intanto perché il portafoglio 60/40, ossia il portafoglio composto al 60% da prodotti azionari e al 40% da prodotti obbligazionari, è quello che ho citato più spesso nella stragrande maggioranza degli esempi che ho fatto in tutto il podcast.

Avete presente tutte quelle volte che vaneggio conteggi strani per farvi vedere quanto avreste guadagno oggi se questo e quest’altro, e quanto invece potreste aspettarvi di guadagnare nel futuro se quest’altro ancora?

Ok, nella maggior parte di queste situazioni ho preso come modello questo portafoglio perché è di gran lunga il più massicciamente utilizzato per l’asset allocation dell’investitore medio, soprattutto negli Stati Uniti, dai tempi in cui il buon Warren Buffett girava in calzoni corti.

Poi Warren Buffet il portafoglio 60/40 non l’ha mai usato manco per niente, ma questa è un’altra storia e se vi interessa riascoltatevi l’episodio 29.

Dicevo, uso sempre questo portafoglio negli esempi perché è storicamente il più utilizzato ed è inoltre un’impostazione di asset allocation che, per l’investitore privato medio tra i 35 e i 55 anni, grossomodo va ad intercettare un bilanciamento mediamente accettabile tra la volatilità delle azioni e la stabilità delle obbligazioni.

O meglio, in teoria dovrebbe essere così.

Il 60% in azioni fa il grosso del rendimento, mentre il 40% in obbligazioni protegge nelle fasi di turbolenza.

In teoria dovrebbe funzionare in questo modo: le azioni solitamente crollano quando l’economia rallenta, la disoccupazione sale, i consumi si riducono e tutto ciò fa sì che i profitti delle società quotate diminuiscano facendo scendere il valore delle loro azioni.

Contestualmente i prezzi delle obbligazioni tendono a salire in queste circostanze perché gli investitori cercano maggior sicurezza nei loro rendimenti fissi.

Storicamente le banche centrali tagliano i tassi di interesse durante le recessioni per incentivare i prestiti, i mutui, le attività imprenditoriali, la crescita del mercato del lavoro e così via.

Questa cosa fa salire i prezzi delle obbligazioni emesse in precedenza perché chiaramente riduce i rendimenti delle obbligazioni di nuova emissione (ricordatevi sempre che quando i tassi scendono, i prezzi delle obbligazioni più vecchie e con cedole più alte salgono, dato che le nuove obbligazioni emesse offriranno interessi inferiori).

Il comportamento inverso di azioni e obbligazioni è fondamentalmente la base della cosiddetta Teoria Moderna del Portafoglio elaborata dal Nobel per l’economia Harry Markowitz.

Come tutte le cose inventate dai premi Nobel per l’economia, anche questa funziona benissimo tranne quando non funziona.

Quello che vedremo oggi è che questa cosa ha in effetti funzionato piuttosto bene per praticamente un secolo, mentre nel 2022 si è clamorosamente inceppata e ora si tratta di capire se nel 2023 e nei prossimi anni avrà ancora senso.

Seguitemi bene quindi perchè il menu dell’episodio prevede:

– spiegazione di come è fatto un portafoglio 60/40;

– racconto delle sue performance storiche;

– spiegazione di che cazzo sta succedendo in questi due anni (e in particolare nelle ultime settimane); e infine

– spunti pratici per prendere decisioni per il vostro portafoglio (decisioni che naturalmente dovete prendere voi perché io mi guardo bene dal dirvi cosa fare).

Allora, come sapete bene voi che mi seguite da un po’ di tempo, qua non parliamo mai di portafogli fatti da azioni e obbligazioni singole, per motivi raccontati un numero stomachevole di volte, ma sempre di portafogli di ETF.

Parlando di ETF, parliamo di fatto dell’andamento degli indici di mercato, quindi escludiamo la situazione di trovarci con un portafoglio 60/40 che però si muove in maniera diversa da quel che sta succedendo sulle borse mondiali.

Dunque costruiamo un bel portafoglio di ETF 60/40 e vediamo un po’ che ha fatto nel passo e che diavolo sta succedendo oggi.

Visto che ormai siamo tutti grandi ed esperti, facciamo un portafoglio un po’ meno banale del classico portafoglio che cito con due ETF e immaginiamoci una situazione un po’ più realistica di questo tipo.

Prendiamo 50.000 € e li investiamo in questo modo:

– 13.000 € nell’azionario Globale;

– 12.000 € nell’S&P 500;

– 5.000 € nei mercati emergenti;

– 20.000 € in obbligazioni governative Globali.

Quindi, precisamente, 60% azioni e 40% obbligazioni.
Per le obbligazioni ho scelto solo quelle governative perché quando gli americani investono in un portafoglio 60/40, di solito il 40 è composto esclusivamente da Treasury ossia da titoli di stato del governo a Stelle e Strisce.

Idealmente avrei forse diviso la parte obbligazionaria tra un ETF europeo e uno Globale ma non ho trovato ETF con dati che andassero abbastanza indietro per fare dei backtest abbastanza lunghi.

Allora un portafoglio così negli ultimi 30 anni, per un investitore Europeo, quindi considerando il cambio euro-dollaro, avrebbe reso circa il 7%.

Tra l’altro curiosamente avrebbe reso leggermente di più senza ribilanciamenti e leggermente di meno ribilanciando.

Per tutti gli ascoltatori che quindi sono andati un po’ in sbattimento sul tema dei ribilanciamenti, state sereni, finché usate portafogli di questo tipo il ribilanciamento non è una cosa di vitale importanza.

Quindi come sarebbero andate le cose?

L’equivalente di 50.000 € nel 1994 oggi sarebbero circa 387.000 €.

Visto che siamo anche diventati bravi con l’inflazione trasformiamo tutto in termini reali e quindi questi 387.000 € di oggi sarebbero valsi, agli occhi dell’investitore del 1994, circa 210.000 €, quindi in pratica il suo rendimento REALE sarebbe stato poco meno del 5%, decisamente buono grazie ad un’inflazione che soprattutto dopo il 2000 è stata mediamente molto bassa.

Per il futuro non sarei così ottimista, viste le prospettive di inflazione e tassi d’interesse più alti e più a lungo.

Ora immaginiamo di fare una cosa diversa, ossia teniamo buono questo rendimento anche per i prossimi 30 anni, stimando però un’inflazione più alta al 3%, e diciamo che partiamo con 20.000 € e che mettiamo 6.000 € all’anno

(quindi 500 euro al mese), supponendo però di aumentare anno dopo anno il nostro contributo del 3%, cercando così di fregare in qualche modo l’inflazione. Quindi, oltre ai 20.000 iniziali, 6.000 il primo anno, 6.180 il secondo, 6.556 il terzo e così via.

In pratica se non ho fatto casino con Excel in questo modo dovremmo raggiungere oltre 1 milione e cento nel 2053.

In termini reali, però, sappiamo che stiamo parlando di un po’ meno di mezzo milione di Euro odierni.

Se non avessimo fatto questo upgrade del 3% all’anno sui nostri contributi mensili e ci fossimo limitati ai 6.000 € di versamenti, ci saremmo fermati a circa 700 mila euro, con un corrispondente valore reale di circa 300.000.

Quindi in qualche modo siamo riusciti a parare i colpi dell’inflazione, intervenendo sui nostri versamenti annui.

Ora, tutto bellissimo se esistesse un investimento certo che ogni anno, puntuale come il panettone a Natale, restituisse un rendimento fisso del 7% per 30 anni.

O meglio, esiste una cosa del genere, anche se non con un rendimento così alto.

Per esempio potreste comprare un BTP a 30 anni che oggi rende il 4,5% all’anno.

Oppure un Treasury a 30 anni che rende addirittura il 5%.

Però non sto neanche a dirvi, se avete ascoltato THE BULL sino a qua, perché in entrambi i casi non sarebbe una grande idea per voi.

Comunque dicevamo, abbiamo questo portafoglio bello bello che negli ultimi 30 anni ha reso circa il 7% all’anno, ma questa è una media, perché il suo rendimento effettivo anno dopo anno è stato molto più schizofrenico, con anni pazzeschi come il 1999 con un 34% di rendimento e anche il recente 2021 con un fantastico +25%, e anni invece drammatici come il circa -20% del 2002 e 2008 e il non invidiabile -13% dell’anno scorso.

Negli Stati Uniti però c’è un po’ di scalpore in questi mesi perché il loro portafoglio standard per eccellenza, quello fatto al 60% di azioni di società dell’S&P 500 e al 40% di Treasury Americani a media scadenza (intorno ai 10 anni), ha fatto proprio nel 2022 il suo anno peggiore di tutto il secolo alle nostre spalle, facendo -17% e battendo così i precedenti record negativi che erano cascati però in anni drammatici per l’economia, come il 1974 tormentato dalle crisi petrolifere figlie della guerra dello Yom Kippur e il 2008 funestato dal crollo di Lehman Brothers, dalla crisi dei mutui e tutto il resto.

L’anno scorso ok l’invasione dell’Ucraina, ok la super inflazione, ok la contrazione dell’economia dopo l’ubriacatura post Covid, però in realtà il 2022 non è stato un anno caratterizzato da gravi crisi finanziarie di alcun tipo, soprattutto negli Stati Uniti, che comunque hanno visto la propria economia tenere bene – e tutt’ora lo sta facendo – pur a fronte di rialzi sotto steroidi dei tassi di interesse e delle tensioni geopolitiche globali con la Cina, la Russia e il Medio Oriente.

Perché allora c’è stato questo tracollo del portafoglio per eccellenza, proprio quest’anno, tanto da metterne in discussione la sua inossidabile validità per il futuro?

Il motivo è molto semplice.
Mai come nel 2022 la decorrelazione tra azioni e obbligazioni non ha funzionato.

Tradotto: invece che muoversi in direzioni opposte, azioni e obbligazioni sono crollate nello stesso momento.

Nel 2008, per esempio, l’anno in cui l’azionario americano era sprofondato di quasi il 40%, la funzione di decorrelazione delle obbligazioni aveva funzionato benissimo, tanto che persino in quell’anno così drammatico, probabilmente il singolo anno peggiore della storia post bellica, il mix 60/40 aveva funzionato benissimo facendo sì che, per un investitore americano, il contraccolpo finale di fine anno sarebbe stato un più modesto -14%.

Certo, un disastro!

Però un conto è vedere un portafoglio da 100.000 dollari scendere a 86.000, un altro è vederlo scendere verso i 60.000 €.

Lì tutto aveva funzionato benissimo perché si era arrivati alla fine del 2007 con tassi di interesse molto alti, paragonabili a quelli odierni, e quindi una volta che si è scatenata la crisi immobiliare seguita immediatamente da quella bancaria e poi da quella economica, la Federal Reserve ha prontamente abbassato i tassi portandoli in tempi brevi praticamente a zero.

Come ormai tutti voi sapete, dato che sull’argomento vi ho tartassato oltre la soglia dell’umana sopportazione, quando i tassi di interesse scendono, i prezzi delle obbligazioni che erano state emesse prima dei tagli salgono e la combinazione di duration lunghe e tagli importanti fa schizzare verso l’alto le quotazioni.

Infatti i prezzi dei Treasury a 10 anni nel 2008 sono saliti di circa il 20% in un anno.

Facciamo i calcoli su un portafoglio da 100.000 dollari per semplicità.

60.000 erano investiti in azioni e sono diventati 38.000 € alla fine della tormenta finanziaria del 2008.

40.000 erano invece investiti in obbligazioni e sono diventati 48.000 a seguito del taglio dei tassi.

Totale? alla fine del 2008 quel portafoglio sarebbe stato di 86.000, appunto il 14% in meno del valore di inizio anno, ma ben più al sicuro del quasi -40% visto dall’azionario.

Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 si era invece preparata la tempesta perfetta, i cui ingredienti sono stati:

– tassi ancora a zero per finanziare la ripresa dopo la pandemia;

– esplosione dell’inflazione a seguito dell’accelerazione impressionante dell’economia globale in occidente, grazie agli stimoli arrivati dalle banche centrali e all’euforia irrazionale verso un mondo che si pensava sarebbe andato per sempre alla velocità della luce grazie alla trasformazione digitale imposta dal covid; e infine

– invasione dell’Ucraina e shock energetici, soprattutto sul gas, che hanno dato un bel contributo all’inflazione generale.

Risultato?

Le banche centrali, che all’inizio avevano erroneamente bollato l’inflazione come “fenomeno transitorio”, hanno dovuto in fretta e furia alzare a manetta i tassi di interesse, in un anno in cui i mercati azionari hanno fatto dei bei passi indietro dopo il 2021 quasi da record.

L’effetto di questi rialzi così imponenti e rapidi ha causato la più grande crisi obbligazionaria che si ricordi – e che sta durando tutt’ora – facendo sprofondare i valori di tutte le obbligazioni emesse in pratica nel precedente decennio caratterizzato da tassi di interesse rasoterra.

L’azionario ha fatto -18%.

L’obbligazionario ha fatto -15%.

Il nostro portafoglio 60/40 ha fatto in America -17%, la peggiore performance della storia della finanza americana.

Per un investitore europeo invece la storia è stata un po’ diversa, perché come vi ho spiegato tante volte quando noi investiamo in prodotti denominati in dollari (cioè la maggior parte della roba che abbiamo mediamente nei portafogli) dobbiamo considerare anche il fattore cambio euro-dollaro.

Paradossalmente l’anno scorso il cambio euro-dollaro è stato per noi favorevole – almeno dal punto di vista degli investitori, meno dal punto di vista di chi esporta e di chi deve acquistare materie prime denominate in dollari.

Però per chi aveva investito nell’s&p 500, c’è stato questo fenomeno strano quando in autunno si è visto il clamoroso sorpasso del dollaro sull’euro, con l’euro è arrivato a valere meno di dollaro (cosa che in generale non piace né agli europei né agli americani).

L’effetto finanziario, però, è stato che un portafoglio 60/40 in Europa avrebbe retto meglio, accusando a fine anno solo, si fa per dire, un -13%.

Gli europei però si erano già presi due gigantesche mazzate nel passato, quando invece era successa la cosa inversa.

Nel 2002 e nel 2008, infatti, i portafogli 60/40 di un investitore europeo avevano perso molto di più di quelli Americani, pur se avessero investito negli stessi medesimi prodotti.

Provo a buttare lì una spiegazione semplicistica.

Chiedo a Mario Draghi, nel caso stesse ascoltando il podcast, se vuole scrivermi a thebull_finance su instagram per confermarmi quest’interpretazione o se la vede diversamente.

Comunque la butto lì: in quegli anni era successo che le azioni sono crollate a picco, ma le obbligazioni hanno invece tenuto per i tagli applicati dalla Fed per rilanciare l’economia dopo i tracolli della bolla delle dot.com e di quella immobiliare.

Senza entrare nel tecnico, perché il mondo delle valute è estremamente complesso e sempre di difficile interpretazione, però quando una banca centrale taglia i tassi di interesse la valuta di quel paese tende ad indebolirsi, fosse anche solo per il fatto che i tagli dei tassi sono propedeutici all’aumento della quantità di moneta disponibile in un certo mercato e come sapete tutti molto bene per la legge della domanda e dell’offerta, quando la quantità e disponibilità di un certo bene aumenta, il suo prezzo diminuisce e viceversa.

Così è successo che noi Europei ci siamo beccati la doppia incul**ta di un mercato andato a picco e di una cambio euro-dollaro che ci ha pure sfavorito.

Questa è la mia interpretazione migliore sul perché i portafogli 60/40 in Europa hanno fatto peggio dell’america in passato, rispetto a quel che è successo nel 2022.

Ora, veniamo ai giorni nostri.

In che situazione ci troviamo?

Quest’anno l’azionario è andato mediamente bene, anche se il trimestre da Agosto a Ottobre, almeno fino al giorno in cui è stato pubblicato questo episodio, le borse hanno fatto corposi passi indietro rispetto al rally che si era protratto fino a Luglio.

Abbiamo comunque un azionario globale e Americano ancora abbondantemente in positivo oltre il 10%.

L’obbligazionario invece è in profondo rosso per via dei continui aumenti dei tassi e per la sorprendente solidità dell’economia Americana che non lascia pensare che la Fed possa presto abbassare i tassi di interesse, cosa che ha causato un crollo dei prezzi dell’obbligazioni e un conseguente aumento dei rendimenti (che come sapete bene si muovono sempre in direzioni opposte).

Non lo sapete bene? Come dite? Vi siete persi per strada?

Ok breve parentesi, rispieghiamo questa cosa un’altra volta.

Se io investitore mi aspetto che i tassi non scenderanno a breve, anzi potrebbero ancora alzarsi, io pretenderò un rendimento maggiore per comprare delle obbligazioni, perché sto già anticipando il rapporto tra prezzo e rendimento nella mia previsione rispetto a quanto e quando verranno tagliati i tassi di interesse nel prossimo futuro.

Diciamolo in un altro modo: più vanno su e tassi e più a lungo stanno alti, meno valgono le obbligazioni emesse in precedenza, perché le nuove obbligazioni emesse oggi sono costrette ad offrire rendimenti molto più alti per convincere gli investitori a comprarle e quindi questo fa crollare il prezzo delle obbligazioni emesse in passato per far sì che si adeguino ai rendimenti attuali.

Chiaro?

quindi tassi che continuano a star su in alto UGUALE prezzi delle obbligazioni che continuano a scendere.

Ma poi c’è un altro fatto, più sottile e potenzialmente minaccioso.

Il debito pubblico degli Stati Uniti continua a crescere in maniera incontrollabile per via dei suoi continui deficit di bilancio.

Questa cosa comporta che il governo a Stelle e Strisce dovrà riversare nel prossimo futuro una valanga di Treasury per continuare a finanziare le sue gigantesche casse.

Contemporaneamente, grandi acquirenti di titoli di stato americano come Cina e Giappone, per motivi diversi hanno ridotto di molto i loro acquisti di Treasury.

Il mix che si è quindi creato è composto da:

– tassi alti che non scenderanno a breve;

– aumento dell’offerta di obbligazioni americane;

– riduzione della domanda da parte di grandi compratori.

Risultato finale: nel mese di Ottobre i titoli di stato Americani a 10 anni hanno sfiorato il 5% di rendimento, una crescita shock dato che solo un paio di anni fa rendevano quasi zero.

Questa cosa non piace mai alle borse.

Perchè?

Perché un investitore dice: “ma se io posso ottenere il 5% investendo nell’asset più sicuro della Terra, ossia i titoli di stato della nazione più ricca e potente del mondo, ma chi me lo fa fare di rischiare ad investire nel mercato azionario, in cui possono capitarmi anni a -30 o -40%”?

E quindi più i rendimenti dei titoli di stato sono alti, peggio vanno di solito le azioni e soprattutto quelle azioni definite “Growth”, tipicamente tecnologiche (come Tesla, Google, Facebook, Nvidia, e così via) che di solito performano meglio quando i tassi sono bassi e quindi costa loro meno investire enormi capitali per lo sviluppo di nuove tecnologie.

Chiaro?

Mala tempora currunt, dicevano i Romani, che tradotto significa: “sono ca**i da cag**e” se il trend non si inverte.

Cosa può succedere ora?

Come sempre può succedere di tutto ed è impossibile fare previsioni.

Ma se vogliamo fare un esercizio di scuola, simulando scenari basandoci su cosa è successo in passato, possiamo aspettarci qualcosa di simile al 2002 e 2008, pur senza dover mettere in conto necessariamente – e speriamo – dei crolli epocali del mercato.

Però in effetti siamo in contesto simile, con tassi di interesse molto alti, azioni che hanno raggiunto valutazioni molto elevate rispetto al reale profitto delle società che rappresentano e una prospettiva di rallentamento dell’economia all’orizzonte che potrebbe diventare una recessione.

Non è quindi da escludere che il mercato azionario possa fare dei bei salti indietro prima che le Banche Centrali in America e in Europa taglino nuovamente i tassi di interesse, sempre che nel frattempo l’inflazione sia scesa verso il 2%, inducendo così un pressoché immediato aumento dei valori delle obbligazioni e una successiva risalita delle azioni che di solito beneficiano di situazioni con tassi bassi.

Per noi Europei in tutto ciò c’è poi l’incognita del cambio.

Se i tassi vengono tagliati in America prima che in Europa, è possibile assistere a quello che è successo nel 2002 e nel 2008, con il dollaro che si indebolisce causando un’ulteriore perdita di valore nei nostri investimenti.

Se invece Fed e BCE vanno in sincronia, l’oscillazione tra dollaro ed euro potrebbe non essere così importante.

Poi, come detto tante volte, nel breve periodo le fluttuazioni nel cambio euro-dollaro possano avere impatti importanti nel portafoglio. Nel lungo termine invece gli effetti tendono a mitigarsi.

Dimostrazione?

Negli ultimi 30 anni un portafoglio 60/40 in America avrebbe fatto circa l’8% all’anno, un portafoglio 60/40 impostato come abbiamo fatto noi (quindi con tanta America sì ma anche con un po’ di azionario globale, mercati emergenti e obbligazioni non Americane) avrebbe fatto grosso modo il 7%.

Certo 1 punto percentuale non è poca cosa, però dovrebbe bastare a far vedere come comunque i due portafogli andrebbero fondamentalmente in parallelo.

Esiste un modo per bypassare il problema del cambio euro-dollaro.

In teoria sì, usando ETF che prevedono la copertura valutaria.

Però è difficile dire che sul lungo termine sia una scelta conveniente, dato che sicuramente ci sono più costi da sostenere, mentre non è certo il vantaggio di non essere soggetti al cambio tra le due valute.

Tra l’altro se prendiamo la differenza di performance dal 2006 a oggi un ETF sull’S&P 500 classico rispetto a uno “hedged”, vediamo che quello con copertura valutaria si sarebbe perso per strada ben il 3% di rendimento all’anno.

Tradotto: avessi investito 10.000 € in entrambi, nel caso di quello con copertura valutaria avrei guadagnato circa 18.000 € in meno.

Detto questo, arrivati ad oggi che dobbiamo fare?

Allora, long story short, la risposta breve per chi non ha troppa voglia di star qui ad arrovelarsi sulle dinamiche macro economiche è: non fare niente.

Continuate a mettere dentro soldi, nel rispetto della vostra pianificazione finanziaria, in maniera coerente con l’asset allocation che avete scelto.

Per la maggior parte di voi, con un’età compresa tra i 30 e 55 anni, qualunque allocation che vada da 70/30 a 50/50 probabilmente avrà senso, sempre che dentro non ci sia roba strana o non investiate in prodotti bizzarri.

Sappiate solo che potranno esserci delle turbolenze, come sempre del resto, e quindi aspettatevi di dover prendere qualche decisione qualora lo scenario dovesse subire particolari cambiamenti.

In particolare tenete d’occhio i tassi di interesse.

Se oggi i tassi di interesse americani e europei sono intorno al 5%, allora sappiate che le vostre obbligazioni nel portafoglio potranno fare molto bene quando i tassi verranno tagliati e quindi faranno probabilmente bene la loro funzione di contrappeso rispetto alle azioni.

Quando però i tassi dovessero tornare nettamente più bassi, occhio che il portafoglio che avete oggi potrebbe non essere più quello giusto.

Se tra qualche anno abbiamo tassi, che ne so, dell’1%, e voi avete un portafoglio identico a come ce l’avete oggi, non si può escludere che si verifichi nuovamente quanto è accaduto nel 2022, ossia che con tassi bassi salga l’inflazione e che quindi ad un certo punto le banche centrali rialzino i tassi danneggiando contemporaneamente sia azioni che obbligazioni.

Morale della favola: quando i tassi sono molto bassi, attenzione ad avere troppe obbligazioni nel portafoglio, perché da un lato renderanno molto poco, dall’altro rischiano di perdere molto se le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi.

Più volte mi sono permesso di suggerire una formuletta che tiene conto di questo fatto e che va oltre il classico: investi in azioni una percentuale uguale a 100 meno i tuoi anni.

Noi invece abbiamo detto: investi in azioni una percentuale uguale a 125 meno i tuoi anni meno il tasso vigente della fed per 5.

In una situazione come questa, con i tassi intorno al 5%, i due risultati saranno identici.

Ma per tutto il decennio alle nostre spalle, caratterizzato da tassi molto bassi, un portafoglio 80/20 avrebbe fatto nettamente meglio di un 60/40, anche se avrebbe dovuto sopportare tonfi più importanti.

Nel decennio precedente invece, quando invece abbiamo avuto tassi mediamente più alti e un paio di crisi finanziarie mica da ridere, un portafoglio 60/40 avrebbe battuto nettamente l’80/20.

Quindi se dovesse esserci un prossimo tracollo finanziario delle azioni, aspettiamoci un risalita delle obbligazioni, ma subito dopo potrebbe aver senso alleggerire la quota obbligazionaria e reinvestirla in quella azionaria.

Nessuno sa se i tassi torneranno mai a zero come abbiamo visto tante volte dal 2000 ad oggi.

Anzi, trattandosi più di un’eccezione che di una regola, se la regressione verso la media continua ad avere la sua validità, aspettiamoci un riallineamento a tassi di interesse più alti come storicamente è stato nel passato.

Se però per qualche motivo ritorniamo con tassi rasoterra, ricordatevi tutti di non sovrappesare le obbligazioni nel portafoglio, perché con tassi bassi i rendimenti fanno schifo e c’è solo il rischio che i tassi vengano alzati demolendo successivamente il valore delle vostre obbligazioni.

Ragazzi spero che questo episodio sia stato utile per darvi alcune linee guida e far aumentare la vostra consapevolezza sui motivi per cui sui mercati succedono certe cose e su come comportarvi di conseguenza.

Questo, affinché in ultima istanza siate il più possibile liberi e indipendenti di gestire i vostri investimenti nella maniera che riterrete più opportuna e senza andare fuori di testa se ogni tanto i mercati fanno i capricci (e in effetti hanno un carattere particolarmente capriccioso).

Alcune novità invece stanno per arrivare all’interno di questo podcast, che grazie a voi è cresciuto in maniera esponenziale settimana dopo settimana.

Davvero, ringrazio immensamente ciascun singolo, prezioso e per me inestimabile ascoltatore di The Bull che ha trasformato una mezza cazzata che mi era venuta in un’afosa giornata di giugno in uno dei podcast di finanza più ascoltati d’Italia.

Vorrei poterlo fare singolarmente e con chiunque di voi mi abbia scritto su instagram a thebull_finance l’ho già fatto, quindi scrivetemi quello che vi pare e datemi la possibilità di ringraziarvi personalmente, uno per uno, per il sostegno che date a questo podcast seguendolo settimana dopo settimana.

Grazie soprattutto a voi, dicevo, il mondo di The Bull si allarga e nelle prossime settimane avremo episodi in collaborazione con dei partner che hanno voluto associare il loro nome alla missione di questo podcast e avremo inoltre, grosso modo intorno alla metà di novembre, un ospite molto speciale che verrà a trovarci e stiamo parlando di una cintura nera di terzo dan in fatto di finanza e investimenti, con oltre 30 anni di esperienza sulle spalle navigando nelle agitate acque dei mercati finanziari.

Non vi spoilero nulla, continuate a seguirci e ogni settimana ci sarà qualcosa di nuovo, sempre e comunque con l’obiettivo di portarvi informazioni e strumenti che possano migliorare la vostra vita finanziaria.

Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifica su qualunque piattaforma utilizziate per ascoltare il podcast e a consigliarlo a chiunque conosciate sulla faccia della Terra.

Vi sono inoltre molto grato se volte lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti fatti al 60% da utili informazioni su risparmio, finanza e investimenti e al 40% da tutte le cazzate che mi passano per la testa sempre nuovi.

Per questo episodio invece, è davvero tutto, e noi ci ritroviamo qui mercoledì, con una puntata speciale in cui non saremo soli, sempre a parlare di come mettere a posto ogni aspetto delle nostre finanze, sempre, naturalmente con THE BULL – Il tuo Podcast di Finanza Personale

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
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