Il Mercato è troppo concentrato! E due possibili Alternative

Le prime 10 società dell'S&P 500 pesano da sole il 34% dell'intero indice. Il mercato è troppo concentrato? o forse le cose non stanno proprio così? E ci possono essere delle alternative solide in questo momento all'investimento "market cap weighted"?

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142. Il Mercato è troppo concentrato! E due possibili Alternative

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Il mercato azionario globale è iperconcentrato (es.34% S&P 500, 25% MSCI World per le top 10), guidato dalla crescita delle aziende tech.

La concentrazione suggerisce alternative: S&P 500 Equal Weight, bilanciamento internazionale (55/45 USA/altri), o più obbligazioni in periodi di tassi alti.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale

Per chi ascolterà quest’episodio nella giornata della sua uscita, buon Fed Day a tutti quanti!

Oggi ci sarà “the most anticipated”, il più atteso meeting del comitato della Federal Reserve che decide la politica monetaria probabilmente dai tempi della grande crisi finanziaria.

È dall’autunno del 2022 che non si aspetta altro che il momento in cui Jerome Powell darà finalmente il via ai tagli dei tassi di interesse e questo momento è finalmente giunto.

L’unica cosa che non sappiamo ancora è se la Fed taglierà, come da prassi, di 0,25 punti percentuali, oppure di 0,5.

Sto registrando quest’episodio il giorno prima della sua uscita e in questo momento il FedWatch, che monitora i futures sul Fed Funds Rate, stima addirittura un 70% di probabilità che la Fed faccia questo taglio supersized di 0,5%, che sarebbe davvero un mezzo colpo di scena.

La maggior parte dei commentatori sono piuttosto propensi verso questo megataglio, perché tutti convinti che la Fed sia, come dicono da quelle parti, “behind the curve”, cioè è indietro dispetto alla reale curva dei tassi e che quindi se aspetta ancora un po’ che l’inflazione scenda del tutto dal già ottimo 2,6% di Agosto, il rischio concreto è che per evitare l’inflazione Powell mandi l’economia in recessione e lasci milioni di americani senza lavoro.

Adesso, non che 25 basis points sui tassi d’interesse facciano tutta sta differenza.

Però c’è da aspettarsi che mercato e consumatori reagiranno in maniera diversa a seconda dell’entità del taglio, che comunque avrà un effetto piuttosto immediato non solo per gli investitori, ma anche su mutui, carte di credito, prestiti vari, ecc. e sappiamo tutti quanto piaccia agli americani indebitarsi fino al collo per vivere una vita al di sopra dei propri limiti.

Staremo a vedere.

Questa sera Powell svelerà la decisione e, che sia 0,25 o 0,5, da domani comincia una nuova era e si entra in un nuovo scenario caratterizzato probabilmente da altre dinamiche rispetto a quelle che abbiamo visto negli ultimi due anni.

Comunque torneremo a parlarne nei prossimi episodi, una volta saputa la decisione effettiva della Fed.

Oggi invece vi avevo annunciato un episodio sulle minacce a lungo termine dell’investimento in ETF.

Però poi ho pensato che nel giorno del taglio dei tassi e dopo aver fatto alcuni ragionamenti su come scegliere la duration delle obbligazioni nell’episodio precedente, forse oggi aveva più senso un altro argomento, che peraltro non è del tutto indipendente dal cambio della politica monetaria degli Stati Uniti.

Il tema di oggi, per farla breve, è il seguente: “il mercato azionario americano, e di conseguenza quello globale, è oggi estremamente concentrato, ossia una manciata di pochissime società hanno acquisito un peso enorme. Queste società sono le solite note, in particolare: Apple, Microsoft, Nvidia, Google, Amazon e Meta. Le prime 10 società pesano per il 34% dell’intero S&P 500 e più o meno queste stesse 10 società pesano per il 25% dell’intero MSCI World.

Come abbiamo già avuto modo di dire anche in passato, quest’enorme concentrazione sta facendo venire a molti una serie di dubbi sull’opportunità di continuare ad investire sovrappesando così tanto nei portafogli questa manciata di colossi, peraltro quasi tutti legati al mondo informatico”.

Oggi quindi vediamo una serie di cose interessanti che intanto vi riassumo.

Parleremo appunto di questa concentrazione, di come ci si è arrivati e di che implicazioni ha.

Citeremo alcune possibili alternative di investimento rispetto quello classico su un indice globale market cap weighted.

E infine diremo ancora due parole sulla parte obbligazionaria, perché di recente la Chief Economist Europe di Vanguard ha fatto un’intervista sul Financial Times in cui ha spiegato che dopo aver ascoltato questo strano podcast italiano che parla di finanza personale in mezzo a tali e tante scemenze che non è chiaro se il suo creatore ci è ci fa, ha condotto uno studio sul rapporto tra l’asset allocation e i tassi d’interesse che… va beh state a sentire fino alla fine.

Prima di entrare nel cuore dell’episodio concedetemi un minuto per ricordarvi che l’unico modo per investire con la massima consapevolezza è studiare, apprendere, conoscere. Se però non c’avete tempo per leggervi libri da 500 pagine alla volta che già fate fatica a trovare il tempo per leggere la lista della spesa al sabato mattina, il nostro partner 4books, sponsor dell’episodio di oggi, mette a disposizione migliaia di audioriassunti in 15 minuti dei migliori libri mai scritti su qualunque tematica possa venirvi in mente, dalla finanza alla cucina, dalla fisica alla meditazione, passando per business, marketing, cura dei figli, economia e quel che volete.

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Portato a casa il pane anche per oggi veniamo a noi.

A dimenticavo.

Non starò a dire in continuazione chi ha detto cosa sennò che palle, però sappiate che il grosso dei contenuti di quest’episodio è tratto da 3 paper, oltre all’articolo del financial times della signora di Vanguard mia grande follower.

Il primo è di Michael Maubussin, che appunto ha fatto uscire di recente una bella analisi per Morgan Stanley sul tema della concentrazione del mercato e sulle sue possibili interpretazioni e conseguenze.

Gli altri due sono:

– Uno di Standard and Poor’s, che come vedremo cerca leggermente di incensare il suo indice S&P 500 Equal Weight, che poi in onore del grande matematico, esperto di finanza e santo protettore dei BTP sarà presto ribattezzato S&P 500 Paolo Coletti;

– L’altro invece è di Verdad, che ha prodotto l’ennesimo intelligentissimo articolo in cui propone una semplice alternativa al MSCI World.

Gli articoli di Verdad sono veramente una chicca, perché hanno due grandissimi pregi.

Sono estremamente interessanti ma soprattutto sono brevi! Brevissimi!

In pratica in quella nuova unità di tempo che ho dovuto introdurre per misurare la mia vita e che consiste nel numero di minuti che mia figlia ci mette a ciucciarsi il biberon al mattino, riesco a leggere un articolo di Verdad e la newsletter unhedged del Financial Times.

Molto bello anche il loro podcast.

Così, sponsorizzazioni gratuite non richieste.

Allora il punto come sappiamo è che negli ultimi 10 anni la concentrazione del mercato americano è salita in maniera esorbitante, tanto che le prime 10 società nel 2014 pesavano per il 14% dell’S&P 500, mentre oggi come detto siamo arrivati al 34%.

Questa cosa ha un serie di implicazioni che adesso vedremo, ma un modo estremamente indicativo di vedere la cosa è che se noi prendiamo la capitalizzazione media delle società dell’S&P 500, questa è di circa 100 miliardi di dollari. Se invece prendiamo la capitalizzazione media ponderata per il peso che ciascuna società ha nell’indice, questa supera i 1.000 miliardi di dollari.

Quindi un portafoglio traccia l’S&P 500 via market cap ha come sottostante una capitalizzazione di mercato di 10 volte superiore alla capitalizzazione media delle sue singole società prese tutte con lo stesso peso.

Ora, ci sono diverse motivazioni che hanno portato a questa situazione che non riguarda solo la concentrazione dell’S&P, ma contestualmente anche il peso dominante degli Stati Uniti negli indici globali.

Il motivo principale è che la crescita degli utili delle società americane dell’ultimo decennio è stata praticamente doppia rispetto a quella delle società Europee e Giapponesi, tanto che negli ultimi 15 anni l’S&P è cresciuto in media del 13,4% annualizzato, contro il 6% degli altri mercati sviluppati.

A questo motivo di fondo, che di per sé è solido perché dice che queste società sono cresciute tanto perché estremamente profittevoli, si aggiungono una serie di fattori collaterali:

– C’è da una parte un tema di momentum e trend-following; nel breve-medio termine, l’autocorrelazione dell’azionario, ossia il fatto che il mercato azionario tende a creare dei trend e a seguirli per un po’, si è creato un po’ questo effetto valanga per cui più certe società crescevano, più continuavano a crescere ad un ritmo superiore alle altre;

– Dall’altra parte c’è da notare cosa fanno le società che più di ogni altre hanno guidato questa crescita. Tutte le magnifiche 6, Tesla ormai è stata retrocessa e non è più magnifica per nessuno, si occupano di hardware, software o internet, con Apple che è la più clamorosa integrazione di tutti i tempi tra hardware, software, servizi digitali e e-commerce vestita da società che vende beni di consumo. Se adesso ci aggiungiamo la recente “Ai frenzy”, l’euforia sull’intelligenza artificiale, ecco che abbiamo questo supermegatrend per cui le società leader nel mondo della tecnologia informatica sono quelle meglio posizionate per creare dei monopoli globali.

La dico in maniera più chiara.

È la prima volta nella storia dell’umanità, almeno che mi venga in mente, in cui esiste un’industry che permette alle sue società più rappresentative di scalare così tanto da non avere praticamente limiti di crescita.

È difficile che una banca cresca su scala così globale e che crei prodotti così competitivi che l’utilizzatore farebbe fatica a cambiare, così come chi usa gli iPhone piuttosto che passare ad un Samsung si taglia una mano.

È difficile che un produttore di auto diventi egemone come lo sono Word e Excel sui computer di tutto il mondo.

È difficile che una società farmaceutica detenga un monopolio globale nella produzione di tutti i principali farmaci, mentre oggi solo Nvidia fa quei benedetti chip, nessuno in occidente si sogna di fare ricerche con strumenti diversi da Google, per tutti noi e-commerce uguale innanzitutto amazon e provate a immaginare la vostra vita senza instagram e whatsapp.

Non è casuale che questa sovraperformance degli Stati Uniti, in questo quindicennio, sia coinciso con l’esplosione di queste società, in questo settore, il primo nella storia a permettere davvero ai suoi leader non solo di essere i primi del mercato, ma praticamente dei vincitori che prendono tutto.

Nel 2007 Nassim Taleb parlava già di Extremistan, dove the winner takes all.

Quello dell’information technology BARRA internet BARRA intelligenza artificiale è davvero il settore che più di ogni altro rappresenta l’extremistan in cui pochi vincitori prendono davvero tutto.

Certo adesso c’è qualche sentenza antitrust contro Google, pure Apple c’ha le sue grane, Microsoft ha salvato Apple negli anni ’90 per evitare problemi di monopolio… è chiaro che si sta cercando di porre un argine a questo oligopolio di megatech, ma per il momento è come pretendere di proteggersi da un uragano tropicale con un ombrello di quelli richiudibili che vendono all’uscita della metro.

Comunque, solo per dire che questa concentrazione del mercato non è casuale e non è un’allucinazione collettiva.

Le cose in futuro possono cambiare, ma per ora queste 6 società pesano da sole un quarto del più grande mercato azionario del Pianeta per motivi molto precisi. Poi ci sarà anche la componente irrazionale del mercato, però questo fatto è innegabile.

Il punto ora è: investire in questa iperconcentrazione dei vincitori di ieri è una strategia vincente per i prossimi anni?

Risposta breve: nessuno lo sa ovviamente.

Risposta lunga: nel prosieguo dell’episodio.

Partiamo da una riflessione sul perché oggi le aziende americane pesano per il 70% dell’MSCI world.

Come sappiamo, almeno in teoria, il prezzo di un’azione dovrebbe riflettere il valore dei suoi flussi di cassa futuri attualizzato in base ad un tasso di sconto che in qualche modo dovrebbe corrispondere al suo rendimento atteso.

In altre parole, si stima quale sarà il free cash flow che la società sarà in grado di generare nell’orizzonte prevedibile e di cui in qualche modo l’azionista sarà proprietario, per la quota che gli compete, e lo si “attualizza”, cioè si calcola quanto dovrebbe valere oggi l’azione rispetto al guadagno futuro che mi aspetto di conseguire.

L’ho detto male, ma giusto per capirci, tanto poi nella realtà non è davvero così.

Ad ogni modo la profittabilità di una società, comunque la si definisca, è un buon proxy a medio lungo termine del reale valore della sua azione.

Nel breve un’azione può andare su e giù. Ma nel medio lungo termine, se quella società non fa utili, prima o poi tutto il castello di carta viene giù. Se invece fa sempre più utili, il mercato prezza in maniera sempre crescente l’azione.

Ora negli ultimi 12 mesi, almeno stando ai dati di Verdad, di tutto il profitto netto generato dalle società incluse nell’MSCI World, il 55% arriva dagli Stati Uniti, mentre il 45% dagli altri paesi sviluppati.

Perché allora il peso degli Stati Uniti è 70%?

Secondo Verdad per questi due motivi:

– Il primo è che le valutazioni delle azioni non rifletto solo i cosiddetti “trailing earnings”, cioè gli utili degli ultimi 12 mesi, ma essendo foward looking anticipano anche i “forward earnings”, ossia gli utili attesi dei prossimi 12 mesi. Dato che le prospettive di crescita degli utili americani sono maggiori di quelli delle società europee, giapponesi, canadesi e via dicendo, c’è circa un 10% di “premio” su queste valutazioni, dovuto a questa maggiore aspettativa.

– Il secondo, per arrivare a 70% e fare cifra tonda, è un concetto tecnico.
In pratica gli indici come S&P e MSCI non si basano esattamente sulla capitalizzazione assoluta delle società, bensì su quello che viene chiamato float-adjusted market cap, ossia sulla capitalizzazione di mercato del flottante disponibile, ossia delle azioni che sono effettivamente scambiabili pubblicamente su un exchange.
Faccio un esempio paradigmatico che vale per tutti così ci capiamo. Saudi Aramco, il fondo sovrano della famiglia reale araba è tra le 10 società più grandi al mondo, con una capitalizzazione di oltre 1.700 miliardi di dollari.

Il motivo per cui non la trovate negli indici globali come l’MSCI All Country o il FTSE All World è che sul mercato sono disponibili meno del 2% delle azioni, quindi in pratica è una società quasi esclusivamente privata, anche se tecnicamente quotata in borsa.
Ora questo è un esempio estremo, però in Europa e Giappone ci sono molte più società che negli Stati Uniti dove una significativa quota azionaria è detenuta magari dai fondatori o comunque da soci privilegiati e non è disponibile sui mercati.
Di conseguenza le società americane, in indici che si basano su float-adjusted market cap, hanno una valorizzazione maggiore, nell’ordine del 5%.

55% per gli utili passati.

10% per gli utili futuri.

5% per questo discorso tecnico sul flottante.

Ecco perché, secondo Verdad, il 70% del MSCI World è Stati Uniti.

Per ora lasciamo da parte questa cosa, perché ci tornerà utile alla fine dell’episodio.

Torniamo al tema della concentrazione del mercato americano.

Abbiamo detto che le prime 10 società dell’S&P 500 pesano per il 34% del totale dell’indice.

Questa concentrazione è tanta? È nella media? È — tra virgolette — poca?

Confrontiamola intanto con quel che succede negli altri paesi.

Se paragoniamo l’S&P 500 a qualunque mercato nazionale, il 34% rappresentato dalle prime 10 società è una concentrazione bassissima.

Le prime 10 società del Dax, il principale indice tedesco, fanno circa il 60% del totale.

CAC 40, Francia, Idem.

FTSE MIB, il nostro indice delle blue chip, addirittura 70%.

FTSE 100, Regno Unito, siamo al 50%.

Nikkei, Giappone, 40%.

Insomma, l’S&P 500 è tra i grandi indici dei paesi sviluppati, quello meno concentrato.

Il punto però è che confrontare il mercato americano con singoli mercati nazionali è probabilmente fuorviante, se pensiamo che il prodotto interno lordo della sola California è il doppio di quello dell’Italia.

Questa cosa è clamorosa.

Se la California fosse uno Stato a se stante sarebbe il quinto al mondo per prodotto interno lordo, dietro solo a Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania.

Forse il confronto più giusto è tra S&P 500 e, per esempio, Stoxx 600, l’indice pan europeo delle società a più alta capitalizzazione.

Le prime 10 dello Stoxx 600 pesano per circa il 20% del totale.

Se prendiamo invece l’MSCI world ex US, quindi tutti i paesi sviluppati meno gli Stati Uniti, le prime 10 pesano meno del 15%.

Vista così, ok l’S&P 500 è decisamente molto concentrato.

L’altro ragionamento è: ma è sempre stato così concentrato.

Da una parte no, è dagli anni 60 che le prime 10 società non pesavano così tanto nel principale indice di mercato a stelle e strisce.

Nel 2013, per esempio, le prime 10 società pesavano per meno del 14% dell’S&P. Da allora, il peso dei primi 10 della classe, che peraltro non sono tutte le stesse di 10 anni fa, oggi è quasi due volte e mezza quella di allora.

Prima di allarmarci troppo, però, questo è un dato descrittivo, non è un giudizio di valore.

Cioè non stiamo dicendo, le prime 10 pesano il 34% dell’indice, quindi “disastro!” e “sciagura!” “corriamo tutti ai ripari”.

No.

Stiamo solo dicendo che questo è lo status quo.

Quando guardiamo al passato, non basta dire: “nel 2013 il mercato era meno concentrato, quindi era meglio”.

Dipende.

Perché in effetti ci sono due considerazioni, che fa Maubussin nel suo paper, che meritano attenzione.

Prima considerazione.

Nel 2023, l’ultimo anno preso in considerazione dal paper, in cui il peso delle prime 10 era del 27%, non ancora 34% e probabilmente tutta la differenza l’ha fatta Nvidia negli ultimi 9 mesi, comunque dicevo il peso era 27% ma queste prime 10 avevano contribuito per quasi il 70% di tutta la profittabilità delle società americane quotate.

E questa non è stata un’eccezione, benché forse un dato particolarmente vistoso.

Negli ultimi 10 anni in media le 10 società più grandi hanno pesato per circa il 20% del mercato e hanno portato in media quasi metà dell’intero profitto prodotto dalle società quotate.

E negli ultimi 30 anni, le prime 10 società più grandi hanno pesato in media il 17% del mercato, portando il 46% del profitto totale.

Come dire: le aspettative che oggi sono prezzate nei prezzi astronomici delle società americane potrebbero essere esagerate, ma è difficile negare che ci sia un certo supporto nei valori fondamentali di queste società.

Giusto per la cronaca, per profittabilità Maubussin intende il Ritorno sul capitale investito MENO il WACC, cioè il weighted average cost of capital, il costo medio ponderato del capitale, il tutto moltiplicato per il capitale investito.

Si lo so non c’avete capito una fava e vi siete già dimenticati la formula.

Fa niente.

Nel 2023 le società quotate negli Stati Uniti hanno prodotto circa 480 miliardi di dollari di economic profit calcolato in questo modo, di cui oltre 330 miliardi l’hanno portato a casa solo le prime 10.

Ecco questo è tutto quello che c’è da capire.

La seconda considerazione invece è un attimo tecnica, seguitemi un secondo perché interessante.

Maubussin si chiede: ma il mercato è troppo concentrato OGGI o forse era troppo poco concentrato dieci anni fa?

E questa sembra la madre di tutte le pippe mentali invece è una domanda a cui lui trova una risposta arguta.

Lui dice: ammettiamo che oggi le società siano prezzate in maniera corretta dato che, in effetti, la montagna di profitti generati da Apple and Company potrebbe giustificare la loro valutazione attuale, e supponiamo che invece fossero prezzate al ribasso 10 anni fa.

Ecco la madre di tutte le elucubrazioni paranoiche che possono venire a uno che si occupa di finanza tra troppi anni: “quale sarebbe dovuta essere la concentrazione effettiva di queste 10 società se negli ultimi 10 anni fossero cresciute come il resto della media del mercato?”.

Capito?

Cioè si chiede: se il mercato avesse prezzato correttamente Apple, Microsoft, Nvidia e compagnia bella 10 anni fa, invece che prezzarle realtivamente poco e vederle poi crescere ad un ritmo doppio (e pure di più) rispetto alla media dell’S&P, quanto sarebbero state grandi allora?

La risposta è che la concentrazione reale, aggiustata secondo questo ragionamento, di 10 anni fa sarebbe salita a quasi il 20%, invece che 14% come effettivamente era.

E questa cosa ci porterebbe a dire: ok oggi il mercato americano è estremamente concentrato sulle prime 10 società, ma non così tanto di più di quanto effettivamente lo era 10 anni fa.

Ffff

Mazza che fatica dire sta cosa.

Non oso immaginare voi che mi state ascoltando.

Va beh, long story short.

Lasciate perdere come ha fatto il calcolo, il punto che voleva mostrare è che già 10 anni fa un’alta concentrazione era presente, solo che il mercato ci ha messo un po’ a riconoscerla.

Ora, quali implicazioni ha tutto questo bel ragionamento?

Sennò stiamo qua a fare mille statistiche che non ce ne po’ frega de meno.

Invece vogliamo trarne delle indicazioni utili, no?

Allora le cose degne di nota sono queste — e lo sono perché potrebbero essere particolarmente vere in questo specifico momento storico in cui ci troviamo.

PRIMA COSA DEGNA DI NOTA:

Il mercato tende, come dicevamo, ad essere autocorrelato e quindi a seguire i suoi trend e il suo momentum fino ad un certo punto.

Più certe società crescono, più tendono a crescere.

Però, arrivati ad una certa arriva l’inesorabile regressione verso la media.

A quel punto, quando il trend comincia a regredire è lì che un portafoglio realmente diversificato gioca le sue carte.

Dico “realmente” perché in effetti da una parte è vero che se investo per esempio nell’MSCI World investo su 1.500 aziende.

Se però le prime 10 pesano per il 25%, è chiaro che il mio rischio idiosincratico aumenta, ossia il rischio specifico legato a singole società.

E invece a noi, che siamo tutti seguaci di Markowitz, Sharpe e Fama, piace avere solo rischio sistematico, non specifico.

E su quel che si può fare, beh, ne parliamo alla fine.

SECONDA COSA DEGNA DI NOTA — e questa è interessante:

Il mercato tende a produrre dei rendimenti sopra la media in periodi in cui la concentrazione aumenta, mentre esattamente il contrario avviene quando la concentrazione diminuisce.

Tradotto: finché le prime 10 continuano a pesare sempre di più probabilmente i ritorni del mercato saranno wow!

Nel momento in cui la concentrazione diminuisce, allora aspettiamoci che pure i nostri guadagni si ridimensioneranno.

Se pensiamo di trovarci all’apice di questa concentrazione — e in effetti prima o poi questa finirà, non è che domani Nvidia può pesare il 90% del mercato — allora aspettiamoci dei rendimenti meno entusiasmanti.

E in effetti sono mesi che diciamo che tutte le stime sui prossimi 10 anni non è che vedono un S&P 500 in grandissimo splendore.

Tra l’altro due conseguenze indirette di questa cosa sono che durante le fasi di concentrazione crescente le Large cap, come prevedibile, sovraperformano le small cap e che la percentuale di sottoperformance dei fondi attivi rispetto agli indici aumenta. Cioè più la concentrazione del mercato sulle Large Cap aumenta, più difficile diventa per i fondi gestiti pareggiare il benchmark, fosse anche solo per il fatto che i fondi comuni d’investimento tendono a non avere singole posizioni molto concentrate, perdendosi così ciò che determina il grosso del rendimento dell’indice in quella fase.

TERZA COSA DEGNA DI NOTA:

Abbiamo detto che man mano che aumenta il peso delle prime società dell’indice, questo risulta via via più esposto a rischi idiosincratici.

Un esempio su tutti: di recente la correlazione dell’S&P 500 con i treasury a 10 anni ha cominciato a divergere rispetto alla correlazione che c’è tra i Treasury e la versione equal weight dell’indice.

Cosa significa questa cosa?

Significa per esempio che quando il rendimento dei Treasury scende, questa cosa generalmente innesca una crescita delle realtà più piccole, che sono sensibili al tema dei tassi di interesse e del costo dei finanziamenti in generale.

Ultimamente però è successo in numerose giornate che i Treasury scendessero ma allo stesso tempo l’S&P finisse la giornata in rosso, perché magari una brutta sessione di borsa per la sola Nvidia è stata sufficiente a surclassare tutto il guadagno che le 200-300 società più piccole dell’S&P si sono portate a casa.

È successo più volte infatti che magari più di 350 società dell’S&P finissero la giornata in positivo e ciononostante l’S&P andasse giù.

In fondo, le prime 6 sono talmente grandi che basta che una sola di loro si prenda una batosta come si deve e non basta la performance di centinaia di società a compensarla.

La sola Apple ha una capitalizzazione di 3.300 miliardi.

Il giorno che registra un -5%, brutto ma non clamoroso, l’S&P vede sparire dalla sua capitalizzazione 160 miliardi di dollari e dato che la capitalizzazione media di una qualunque società dell’S&P è meno di 100 miliardi, ne servono 160 che crescono dell’1% quel giorno solo per pareggiare gli effetti magari di un leggero calo nelle vendite degli iPhone in Cina.

Ora, detto tutto quello che abbiamo detto sino ad ora, cosa ci portiamo a casa?

Due cose:

1) la prima è che il mercato è concentrato, ok, i prezzi sono molto alti, ok, ma ci sono anche dei buoni motivi per cui le cose stiano così, quindi il sistematico allarmismo sulla bolla imminente che sta per scoppiare come se fossimo nel 1999 lascia un po’ il tempo che trova.

2) non è comunque un fatto da ignorare completamente.

Anche qui, il tema è sempre “market timing” contro “gestione del rischio”, oggetto di un paio di episodi fa a cui mi sono affezionato.

Mi sono affezionato ad una cosa che ho scritto io, va come nascono i disturbi della personalità…

Dicevo, il punto non è tanto fare qualcosa ORA perché il mercato è così o cosà.

Il punto è sapere che, statisticamente, quando la concentrazione del mercato arriva ad un picco e poi regredisce verso la media, ciò che ha fatto andare bene il mercato fino a quel momento potrebbe farlo andare meno bene.

Se sto davvero investendo a 20-30 anni mi interesserà il giusto.

Se invece anche le oscillazioni di medio periodo sono rilevanti per il mio portafoglio — o per il mio stato d’animo — la situazione attuale ha portato diverse persone a proporre soluzioni alternative (o integrative) all’investimento classico nel mercato azionario market cap weighted.

Quindi prima di chiudere l’episodio parliamo di queste tre possibili alternative, diciamola così, ad un MSCI World classico senza troppe storie.

In realtà tutti i paper a cui faccio riferimento hanno in mente quasi sempre l’S&P 500, perché gli americani investono solo in quello, ma lo stesso discorso vale anche per l’MSCI world.

PRIMA IDEA, dedicata proprio alla concentrazione del mercato americano: l’S&P 500 equal weight.

Come dicevo all’inizio qualche settimana fa Standard and Poor’s ha fatto uscire un paper per incensare il proprio indice equal weight, ossia quella versione dell’S&P in cui tutte le società contano uguale.

Nonostante nell’ultimo decennio non ci sia stata partita, in realtà è un fatto noto che nel lungo termine la versione equal weight dell’S&P 500 avrebbe sovraperformato l’indice standard.

Tra l’altro la decorrelazione tra le due versioni dell’indice è impressionante, perché se guardate il grafico delle performance dagli anni ’70 ad oggi si vede chiaramente che uno va bene esattamente nei periodi in cui l’altro va male e viceversa.

Vi salto tutto li pippone sulla disamina tecnica per cui succede questa cosa e sul perché c’è una leggera sovraperformance dell’equal weight rispetto alla versione standard dell’indice. Se volete vi lascio tutti i paper in descrizione.

Diciamo solo queste cose:

– Intanto l’indice equal weight assegna un peso mediamente maggiore alla maggior parte delle società, dato che tutte pesano un 500esimo dell’indice, e così facendo viene catturata una quota maggiore di performance di quelle società che hanno un rendimento al di sopra del valore mediano dell’indice. In gergo tecnico, questa cosa si chiama esposizione all’asimmetria positiva dei rendimenti.
Dato che nell’indice equal weight c’è una evidente “positive skewness”, ossia quel tipo di asimmetria nelle distribuzioni statistiche in cui il valore medio è più grande del valore mediano, questa cosa fa sì che l’effetto di alcune società che hanno performance eccezionali abbia maggiore impatto sul rendimento dell’indice in generale.
Nella versione standard, invece, se Harley Davidson o Black and Decker un anno crescono del 200%, il mercato a malapena se ne accorge, perché il 200% di Black and Decker vale meno dell’1% di Apple.

– L’altra cosa degna di nota è che l’S&P 500 equal weight è di fatto un S&P 500 con un tilt fattoriale verso small caps, società value e dividend stocks. Come da teoria di Fama e French, l’esposizione fattoriale, in particolare a small caps e value, genera nel lungo termine un extra rendimento rispetto al mercato.

Se uno quindi vive male l’idea dell’iperconcentrazione del più importante mercato in cui ha messo i soldi, allora esistono ETF sull’S&P 500 equal weight che possono diversificare l’esposizione al mercato americano.

Giusto per la cronaca, i due più grandi disponibili in Europa sono di Xtrackers, che gestisce oltre 6 miliardi di asset, e di Ishares, 2 miliardi.

Attenzione.

Come sempre, non stiamo dicendo che questo indice farà meglio dell’S&P classico, che magari va avanti a crescere per la sua strada al ritmo del 13% all’anno per altri 10 anni.

Stiamo solo dicendo che statisticamente nelle fasi in cui la concentrazione del mercato va a diminuire i rendimenti dell’S&P diminuiscono e small caps, value, dividend stocks e quindi l’indice Equal weighted tendono ad andare meglio.

SECONDA IDEA, questa dedicata invece all’esposizione internazionale: 55/45.

In che senso mi chiederete?

Vi ricordate cosa dicevo prima?

Verdad ha calcolato che solo il 55% del profitto generato dal mercato azionario dei paesi sviluppati è imputabile alle società americane, mentre il restante 15% del suo peso negli indici globali dipende da aspettative future e dal discorso del flottante.

Un modo per ridurre quindi il peso della concentrazione dell’S&P nell’MSCI world è aumentare l’esposizione verso altri paesi sviluppati portando il bilanciamento da 70/30 a circa 55/45.

Teoricamente — e ribadisco teoricamente, non è per nessuna ragione al mondo un consiglio d’investimento — bilanciare in questo modo il portafoglio azionario dovrebbe riflettere meglio la reale creazione di profitto, che è ciò a cui in ultima istanza si rifanno le valutazioni azionarie, e contemporaneamente tiltare l’esposizione verso le società value, nettamente più economiche, di Europa e Giappone.

Tradotto: se riduco gli Stati Uniti e aumento Europa e Giappone, di fatto sto aumentato la quota di value nel mio portafoglio (e anche di small caps a dire il vero).

LA TERZA IDEA invece riguarda proprio il bilanciamento in generale del portafoglio: aumentare la quota obbligazionaria.

Suona un po’ strana questa cosa, infatti va un attimo contestualizzata.

Come dicevo all’inizio, ho letto sul Financial Times l’articolo di questa persona di Vanguard che per farla breve consigliava di aumentare la quota di bond in portafoglio in questo momento, proprio perché la Fed sta per cominciare a tagliare i tassi.

Ho ironizzato sul fatto che in pratica lei e il suo team di ricerca hanno fatto uno studio corposo perfetto per puntellare l’idea intuitiva di cui spesso parlo in questo podcast.

Avete presente?

% azioni = 125 meno età meno tassi per 5.

Sembra controintuitivo, perché la formula di The Bull dice che teoricamente la quota azionaria dovrebbe aumentare quando diminuiscono i tassi, non viceversa.

In realtà le due cose sono coerenti, perché quello che questo studio dimostra è che nelle fasi definite “a tassi alti”, ossia sopra il 5%, il rendimento a 10 anni dell’MSCI World e del Bloomberg US aggregate è stato fondamentalmente lo stesso, intorno al 7%.

Invece nei periodi a “tassi bassi”, tra 0 e 5%, il rendimento azionario è risultato nettamente superiore, con quello dei bond aggregate americani fermo intorno al 4,5%.

Quindi il suggerimento di Vanguard è, prima che inizi il ciclo di tagli, avere più bond in portafoglio finché si è in un contesto a “tassi alti” può essere una buona idea perché mediamente rendono tanto quanto le azioni, ma con una frazione della loro volatilità.

È in effetti ciò è coerente con la previsione a 10 anni di Vanguard che vede azioni globali e obbligazioni investment grade portare più o meno lo stesso 5% medio annuo.

Viceversa, in un contesto con tassi molto bassi, come poteva essere un punto qualunque tra il 2009 e il 2021, avere troppi bond in portafoglio non sarebbe mai stata una grande idea.

Hai capito che ganzi quelli di Vanguard?

Hanno fatto un mega studione finito sul Financial Times e io pirla che ne parlavo più o meno di pancia da un anno e fischia.

No scherzo naturalmente, lo studio è ovviamente molto rigoroso e analitico.

Però insomma, dai, una delle idee più sedimentate di The Bull a quanto pare aveva le sue buone fondamenta.

Bene, care amiche e cari amici di questo podcast, anche per oggi l’episodio l’abbiamo portato a casa.

Grazie mille a tutti come sempre per l’ascolto, l’attenzione e soprattutto l’affetto con cui mi seguite lungo questa eterna maratona senza fine nel mondo della finanza.

Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di produrre contenuti che vi buttano lì una mezza idea per la vostra asset allocation e poi un anno dopo arriva Vanguard e ci dice che aveva senso sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima a parlare davvero delle possibili bolle causate dagli ETF, sempre qui, naturalmente con The bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025
Facile.it
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