Il modo migliore per Ribilanciare il portafoglio

Ribilanciare il portafoglio è fondamentale per gestire al meglio il rischio nel tempo. Ma in alcuni casi permette anche di ottenere un maggior rendimento e alcune semplici strategie di ribilanciamento sembrano più efficaci di altre.

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Il modo migliore per Ribilanciare il portafoglio
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

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Il ribilanciamento è essenziale per la gestione del rischio del portafoglio e può offrire un "bonus" di rendimento in mercati laterali.

La strategia "drift 10%" si rivela il miglior compromesso per bilanciare rischio e rendimento, permettendo ai trend di correre.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Allora lo scherzo è bello quando dura poco.

Il 2 aprile ci aveva fatto la gag dal Rose Garden della Casa Bianca con l’ormai mitologico cartellone da tombola con i dazi più pazzi di sempre e la grave minaccia sull’export dei pinguini delle isole Heard and MacDonald e poi ci siamo fatti tutti delle gran risate il 9 aprile quando “stop! Fermi tutti, It’s a great time tu by stocks! pausa di 90 giorni”.

Nei giorni successivi ci aveva rifatto lo scherzo dei dazi alla Cina arrivati al 145%, salvo poi che qualcuno gli facesse notare che praticamente qualunque bene d’uso comune nella tipica casa americana è fatta in Cina, dagli elettrodomestici, ai giocattoli, per non parlare dei loro sacri barbecue. Due settimane fa, stop anche qui!, 90 giorni di pausa e poi se ne riparla — e giù altre risate.

Ancora venerdì scorso il presidentissimo si sveglia, prende lo smartphone, apre il suo social personale Truth e avrà pensato “oggi che stronzata mi invento? Howard cosa scrivo?

Che annettiamo il Canada?

No Mr. President, l’abbiamo già detto.

Allora chiudo Harvard?

No Mr. President, ci abbiamo già provato ma il solito giudice comunista locale ha bloccato il suo ordine esecutivo che impediva l’iscrizione agli studenti stranieri.

Ci sono, 50% di dazi all’Unione Europea perché non fanno altro che depredare le aziende americane e comunque mi stanno sulle palle!
Splendida idea Mr. President!

E poi sai cosa faccio? 2 giorni dopo blocco tutto di nuovo!

Presidente pura art of the deal, questa è una strategia negoziale davvero formidabile!

E così è andata, al netto della licenza narrativa che mi sono preso.

50% di dazi all’unione europea annunciati con il solito post pieno di punti esclamativi venerdì.

Mercati in rosso ma non troppo perché ormai a ste sparate non ci crede più nessuno.

Domenica: dazi in pausa fino all’8 luglio dopo la telefonata con Ursula von der Leyen.

Però come dicevo, non fa più ridere.

Ormai il mercato non prezza più la variazione del valore presente dei flussi di cassa attesi dagli utili futuri delle aziende.

No No.

Prezza quanto ci metterà Trump a fare marcia indietro dopo l’ennesima enormità.

Quando gli hanno chiesto, “ma scusi, Presidente, ma come 50%, ma in che senso? Ma è forse un modo per negoziare con l’Europa?”

E lui

“No! Here’s the deal! 50 percent from June 1^st^”.

Seee dai, non ci ha creduto quasi nessuno.

Ok il mercato è andato subito un po’ giù, però alla fine ha chiuso venerdì con perdite che in quasi tutti i mercati sviluppati sono state al di sotto dell’1%.

Cioè, capite che l’applicazione di dazi al 50% su 500 miliardi di dollari di esportazioni europee negli stati uniti, vuol dire praticamente radere al suolo due economie.

Di fatto è un embargo.

Di fronte ad una notizia del genere i mercati avrebbero dovuto prezzare un’apocalisse economica. I paesi dell’area euro esportano il 1/5 delle proprie merci negli Stati Uniti. Praticamente cancellare una parte significativa di questo 20% significa sancire una gravissima recessione.

Altro che -1% con i principali indici europei che ronzano non troppo lontani dai massimi storici.

Tutto può sempre accadere e non poniamo limiti alla creatività politica, naturalmente: con Lord Dazimort al timone del mondo non possiamo escludere nulla.

Per ora, se non altro, i mercati non stanno credendo a nulla di quel che leggono su Truth, diventato il principale organo di comunicazione dell’amministrazione americana.

Che questa calma apparente sia l’occhio del ciclone, la classica bull trap, ciò la trappola che ti fa credere di essere in un bull market e invece sei solo all’inizio del baratro, oppure una nuova normalità schizofrenica in cui alla fine si troverà un accordo per tutti solo il tempo ce lo dirà.

Però noi sappiamo da sempre una cosa.

Non ne conosciamo mai i motivi in anticipo, ma sappiamo che investire non equivale al tranquillo giretto sul brucomela, ma ad un lunghissimo giro senza cinture allacciate sulle montagne russe.

C’è un rendimento quando investiamo perché dobbiamo sopportare una mortale incertezza per decenni.

Questo è il vero deal!

Avete presente quando provate a convincere l’amico o famigliare di turno e questo vi risponde scettico: “se va vabbé! La fa facile questo! Fosse così semplice lo farebbero tutti!”.

Eh, moh avete tutti capito perfettamente perché non è facile proprio niente.

Simple, but not easy.

Ogni volta c’è un motivo diverso per pensare che il giochino si sia definitivamente rotto e che la prossima crisi sarà quella definitiva.

Tutto ciò oivviamente fino al bull market successivo!

Quando ci saremo nuovamente dimenticati di ogni crisi passata e ci chiederemo nuovamente perché mai uno dovrebbe investire in altro se non nel Nasdaq a leva 3x o altre cose del genere.

Ecco, in realtà investire a lungo termine come si deve richiede tre ingredienti:

– PRIMO INGREDIENTE: una pianificazione finanziaria fatta bene implementata in un portafoglio che rifletta il livello di rischio che vogliamo, possiamo e dobbiamo assumerci. Ricordate? Tolleranza al rischio, capacità di prenderci certi rischi in base all’orizzonte temporale e necessità di prenderci certi rischi in base agli obiettivi da raggiungere.

– SECONDO INGREDIENTE: una disciplina comportamentale ferrea. Niente strizza quando le cose vanno giù, niente salto della quaglia quando le cose vanno su, niente sopravvalutazione della propria capacità di fare market timing o stock picking e via dicendo. Fondamentalmente, tanta pazienza senza cambiare idea sul futuro ogni 5 minuti.

Sì, sto parlando proprio con te! Caro il mio ascoltatore che assieme ad altre centinaia di tuoi compari mi hai scritto: “ma allora se negli ultimi tre mesi bla bla bla, allora non ha più senso fare bla bla bla bensì sarebbe meglio fare bla bla bla”.

Ovviamente al posto del bla bla bla inserite cause e conseguenze dell’ultima fantomatica teoria finanziaria che avete partorito sotto la doccia o — peggio ancora — davanti al vostro enorme foglio Excel.

Non è che uno investe a lungo termine — e poi ogni 3 mesi cambia idea.

Se cambiano gli obiettivi è giusto adattare il portafoglio.

Se cambia la propensione al rischio è giusto adattare il portafoglio.

Se uno ha adottato delle regole sistematiche di asset allocation (legate magari alle valutazioni, ai livelli di concentrazione, ai tassi di interesse o quant’altro) allora è giusto adattare il portafoglio.

Ma non è che se per 100 anni le cose sono andate in un modo e poi per 3 mesi in un altro allora si manda tutto in vacca e bisogna riparte da capo.

Ricordate?

Il viaggio non è su una placida monorotaia.

Ma è più simile a quello su quel boeing che l’anno scorso ha perso un portellone in quota.

Alla fine, l’aereo è atterrato, ma durante il viaggio non so in quanti sono riusciti a non farsela sotto.

– Il TERZO INGREDIENTE, invece, è proprio scegliersi una regola solida per RIBILANCIARE il nostro portafoglio.

Eh sì perché il ribilanciamento è un operazione importantissima per un motivo molto semplice: da qui a quando tiriamo le cuoia, il nostro portafoglio si muoverà in su e in giù, a destra e sinistra, nei modi e nei momenti più imprevedibili.

Quindi noi dobbiamo sapere a quali regole vogliamo sottoporlo per tenerne sotto controllo l’asset allocation.

E il tema è quanto più rilevante oggi, tanto più assistiamo ogni giorno a situazioni che fanno aumentare la volatilità dei nostri asset e che potrebbero tranquillamente sballare in maniera significativa l’impostazione del portafoglio.

Il discorso del ribilanciamento è di conseguenza IMPORTANTISSIMO per TRE FONDAMENTALI MOTIVO:

– Il primo motivo è che ribilanciare è innanzitutto uno strumento di risk management. Per motivi tecnici che vedremo tra pochissimo, l’assenza di ribilanciamento comporta inevitabilmente un aumento del suo rischio sistematico complessivo.

– Il secondo motivo è che, come abbiamo visto in passato parlando del Demone di Shannon e come rivedremo velocemente oggi, ribilanciare PUO’ portare un contributo in termini di extra rendimento, quello che William Bernstein in suo articolo addirittura del 1996 aveva chiamato “rebalancing bonus” o “rebalancing premium”. Sottolineo il PUO’. Poi faremo delle precisazioni.

– Il terzo motivo — perché ce ne vogliono sempre tre, è una legge non scritta dell’Universo — è che ribilanciare è una formidabile arma per controllare il nostro comportamento. Più siamo legati ad una regola oggettiva, meno saremo portati a fare stupidaggini con il nostro portafoglio, soprattutto quando presidenti color Fanta decidono che giocare a golf non era un passatempo sufficientemente stimolante e preferiscono sovvertire l’ordine economico globale a colpi di post.

Queste sono le tre ragioni chiave per cui bisogna sapere come RIBILIANCEREMO il nostro portafoglio nel corso del tempo.

Ora, la domanda vera è: qual è la regola migliore per ribilanciare?

Prima di rispondere a questa domanda facciamo alcune premesse per semplificare un po’ il discorso:

– PRIMA PREMESSA: tutti gli esempi che faremo si basano su modelli di portafoglio statici. Cioè ipotizziamo di avere un portafoglio con una certa allocation e di tenerla per sempre.

– SECONDA PREMESSA: faremo finta di non aggiungere o togliere mai un euro al portafoglio.

Questa sterilizzazione dei nostri esempi ci aiuterà a comprendere i principi di base e quelli che sembrano gli approcci migliori per ribilanciare.

Poi ciascuno chiaramente adatterà tutto quando al suo specifico portafoglio sapendo che l’asset allocation nel tempo varierà in base a determinati criteri, tra cui banalmente il fatto che con l’età che avanza probabilmente l’esposizione azionaria cambierà di conseguenza.

E poi sapendo che alcune attività di ribilanciamento potranno essere fatte gestendo ad hoc i flussi di cassa in ingresso e in uscita.

Ed è qui che comincia il nostro nuovo e importantissimo viaggio di oggi all’interno dei meandri di uno dei concetti più importanti del portfolio management: il ribilanciamento appunto.

Partiamo!

Eh Riccardo, devi parlare di NordVPN, ti ricordi?

Eh ho capito ma cosa c’entra con il discorso del ribilanciamento?

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[Ora, prima cosa: perché l’assenza di ribilanciamento dovrebbe aumentare il rischio del portafoglio nel tempo?

Il motivo è banale.

Immaginiamoci un portafoglio fatto … rullo di tamburi per l’idea creativa: azioni e obbligazioni.

Nel tempo il portafoglio tenderà a prendere un “drift”, una deriva verso l’asset con il rendimento medio superiore.

Facciamo un esempio.

Un investimento in un portafoglio 60% S&P 500 e 40% US Treasury nel 2010 e lasciato correre senza mai ribilanciare oggi avrebbe quasi il 90% di azioni.

È ovvio che un portafoglio con il 90% di azioni è nettamente più rischioso di uno con il 60%.

E non pensiamo che si tratti di cherry picking, dovuto al fatto che ho preso l’ultimo sfavillante quindicennio per le azioni americane.

Anche se lo faccio partire nel 2000 e mi prendo all’inizio tutto il decennio perduto, oggi avrei comunque quasi l’80% di azioni.

Quindi è chiaro che, al netto di altre considerazioni di pianificazione finanziaria, bisogna ribilanciare perché se il mio livello giusto di rischio richiede massimo — che ne so — 65% di azioni, allora non posso permettermi un portafoglio che ne abbia il 90%.

Il punto è capire dove sta l’equilibrio giusto nella regola di ribilanciamento.

Eh sì perché da un lato ribilanciare in qualche modo costa del rendimento assoluto.

È ovvio, se lascio correre il portafoglio aumenta la mia parte azionaria, aumenta il rischio ma in molti casi aumenterà pure il rendimento.

Quello che a me interessa, invece, è migliorare il risk-adjusted return, ciò sfruttare il ribilanciamento per conseguire il massimo rendimento possibile al minimo rischio possibile.

Attenzione che questa del risk-adjusted return non è una supercazzola statistica.

Ha un impatto sui soldi reali che mi finiscono nella saccoccia.

Per capire il perché seguite bene questo brevissimo ragionamento che è super importante.

Quando investo, in qualunque cosa investa, ovviamente non ho la certezza del rendimento futuro realizzato, ma posso solo stimare il rendimento atteso.

Il rendimento effettivamente realizzato cadrà da qualche parte in mezzo ad un certo range di possibilità.

Se investo una cifra X in MSCI World per 30 il mio rendimento medio composto alla fine sarà, boh sparo, 2% se mi ha detto molto male, 12% se mi ha detto molto bene.

Se investo in un portafoglio metà MSCI World e metà Bond Europei, il rendimento atteso sarà inferiore, ma probabilmente si stringerà anche il range dei risultati possibili. Che so, magari il rendimento composto medio realizzato sarà tra — sparo anche qui — 4 e 8%.

Questo non è irrilevante, nel senso che un portafoglio che mi permette di ridurre la probabilità di scenari disastrosi, anche se molto poco probabili, è fondamentale per la mia salute finanziaria a lungo termine.

E questa cosa vale anche per la strategia di ribilanciamento.

Quindi tutta la faccenda non è finalizzata a trovare la formula magica per creare rendimento extra.

Questa cosa può succedere come anche no, come vedremo.

L’obiettivo è invece trovare una regola di ribilanciamento che riduca lo spettro dei possibili risultati e quindi limiti soprattutto gli scenari molto negativi.

In termini statistici per fare un po’ i saputelli potremmo dire: “per tagliare la coda sinistra” oppure “per aumentare il rendimento mediano atteso, a parità di rendimento medio atteso”.

Iniziamo però a spiegare una distinzione importante.

Diciamo che, agli estremi, io posso fare due cose:

– O non ribilancio mai, quindi ho un puro portafoglio Buy-and-hold nel senso letterale;

– Oppure ribilancio regolarmente in maniera molto precisa, diciamo ogni mese.

È noto dai dati che un puro portafoglio buy-and-hold, senza mai ribilanciarlo, tenderà ad andare meglio quando il mercato ha un chiaro trend, sia di crescita che di contrazione.

Mentre una strategia con ribilanciamento funziona generalmente meglio nelle fasi — cosiddette — laterali, cioè quando il mercato va su e giù senza una direzione precisa, e c’è una certa volatilità.

Questo succede per motivazioni essenzialmente matematiche.

Ricordiamoci una cosa.

Seguitemi un secondo senza cominciare a sanguinare dal naso, sono più difficili le parole che il concetto in sé.

Ci siete?

Ok.

Allora noi sappiamo che quando investiamo vogliamo avere un rendimento no?

Che so? Investo 10.000 € e tra 10 anni me ne ritrovo 20.000 yeeeee fichissimo!!!

Il mio rendimento totale è stato quindi del 100%, perché appunto 20.000 è il doppio di 10.000.

Mo come faccio a sapere il rendimento medio annuo composto?

Vi ricordate?

Non è che posso fare 100% diviso 10 anni = 10% all’anno, questa sarebbe la media aritmetica.

Ma la cosa ganza degli investimenti finanziari, lo diciamo dall’episodio numero tre di questo Silmarillion della finanza di nome The Bull, è che i rendimenti sono composti.

Quindi si usa la formuletta 20.000 diviso 10.000 elevato alla (1 diviso 10) meno uno = 7,2% circa.

Questo 7,2%, chiamato media geometrica, è il rendimento medio annuo composto, che spesso si trova scritto con l’acronimo CAGR — compounded annual growth rate.

Ora, giriamo la cosa dall’altra parte.

Perché se il rendimento medio annuo aritmetico è 10%, in questo caso il rendimento medio geometrico — che è quello reale che ci portiamo a casa — è 7,2%?

Chi s’è magnato la differenza?

Se l’è magnata la volatilità.

La volatilità è na brutta bestia, perché se voi c’avete due asset che hanno un rendimento medio aritmetico identico ma una diversa volatilità, quello con meno volatilità, piaccia o non piaccia, vi fa fare più soldi.

Capito?

Esempio scemo super semplice.

Abbiamo due asset: A e B.

L’asset A fa

+30% il primo anno

-15% il secondo anno

+30% il terzo anno.

La media quanto fa? 30-15+30 diviso 3 fa naturalmente 15%.

L’asset B invece fa

+15% il primo anno

+15% il secondo anno

+15% il terzo anno.

Anche qui 15+15+15 diviso 3 fa sempre 15%.

Bene, allora com’è se investo 10.000 € nell’asset A, dopo tre anni mi ritrovo con 14.300 € circa, mentre gli stessi 10.000 € nell’asset B diventano più di 15.000?

Perché la volatilità del primo si è ciucciato via un po’ di rendimento.

Una regoletta matematicamente poco rigorosa ma abbastanza pratica per questi scopi dice che la media geometrica, cioè il rendimento composto, più o meno è uguale alla media aritmetica MENO metà della varianza.

Ecco perché più un asset è volatile, cioè maggiore è la sua varianza, maggiore è la dispersione per strada del rendimento reale che mi porto a casa.

Perché tutto sto pippone vi chiederete?

Eh, perché serve per spiegare quello che dicevo prima.

– Durante una fase rialzista se non ribilancio sfrutto il momentum dell’asset che sta andando meglio, e tipicamente sono le azioni, e quindi l’effetto cumulativo della crescita progressiva dell’asset è esponenziale. Se invece ribilancio — cioè vendo l’asset che sta andando meglio e compro quello che sta andando peggio — limito la crescita. Si dice quindi che la strategia BUY AND HOLD ha una convessità POSITIVA, cioè amplifica i guadagni.

Esempio semplice: gli ultimi due anni di bull market, 2023 e 2024.

– Portafoglio 60/40 buy and hold avrebbe reso il 16,4% all’anno, mentre

– Stesso portafoglio ma ribilanciato mensilmente, avrebbe reso il 15,3%.

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– Durante una fase laterale, invece, se ribilancio potrei conseguire un “rebalacing bonus”, perché in assenza di un chiaro asset che prevale, si dimostra matematicamente che il ribilanciamento aggiunge del rendimento

Prendiamo per esempio un anno abbastanza piatto come il 2011:

– Buy and hold, 7,6%

– Ribilanciato mensilmente, 8,1%

<!– –>

– Infine durante una fase ribassista spesso è vincente non ribilanciare, perché il discorso della media geometrica funziona anche in negativo. Quando il mercato cresce, cresce sempre più velocemente, mentre quanto va giù — come dire — il suo declino rallenta. Cioè se per assurdo il mercato perde l’1% al giorno per una settimana, in valore assoluto il danno fatto il lunedì è maggiore di quello fatto il venerdì. Se invece mentre il mercato va giù io continuo a comprare l’asset che sta scendendo, quello che ottengo è un’amplificazione del risultato negativo e quindi ottieniamo una CONVESSITA’ NEGATIVA.
Ribilanciare durante le discese, per dirla un po’ alla buona, è come continuare a buttare benzina sul fuoco.

Prendiamo per esempio il terribile biennio marzo 2007-febbraio 2009, piena Great Financial Crisis:

– Buy and hold, -9,5%

– Portafoglio ribilanciato mensilmente, -12,5% all’anno.

Nel 2019 era uscito un paper scritto da alcuni accademici, tra cui Campbell Harvey (quello che avevamo incontrato qualche episodio fa parlando di argento e del golden dilemma) che dimostrava che posticipare un ribilanciamento durante un trend negativo porta ad un rendimento migliore sia su finestre di 1, che di 3, che di 12 mesi.

Il trend viene definito come spread tra azioni e obbligazioni e il concetto è un filo tecnico, se volete vi lascio il paper in descrizione per chi si vuole divertire.

Quello che conta però è il concetto di fondo: in un mercato che sta attraversando un trend ribassista, posticipare un ribilanciamento è generalmente una strategia vincente.

E questo è uno dei motivi per cui bisogna stare un po’ attenti a cavalcare con troppo entusiasmo l’idea del buy the dip quando il mercato va giù, perché il timing conta.

~~Ora attenzione però ad una cosa molto importante.~~

~~Questa cosa che abbiamo appena descritto funziona ad una condizione imprescindibile: gli asset tra cui ribilancio devono essere NON CORRELATI.~~

~~Se invece vanno tutti e due nella stessa direzione, come accaduto ad esempio nel 2022, quando sia azioni che obbligazioni sono notoriamente conflagrate sotto i colpi dell’inflazione e del rialzo dei tassi della Fed, non c’è nessuna convenienza nel ribilanciamento mensile, anzi, buy and hold avrebbe perso leggermente meno.~~

Capito questo, il punto ora è capire come trovare l’equilibrio migliore per sfruttare al massimo i ribilanciamenti senza incrementare eccessivamente il rischio del portafoglio.

Inoltre siccome siamo pigri, io per primo, vogliamo farlo in maniera semplice e semi-automatica.

Per semplificarci la vita prendiamo in considerazione tre strategie estremamente banali da implementare e cerchiamo di capire quale sia, IN MEDIA, quella più efficace, ossia:

– Buy and hold, cioè non ribilanciamo mai;

– Ribilanciamento annuale e infine

– Drift 10%, cioè ribilanciamo solo se il peso di un asset aumenta o diminuisce più del 10% rispetto all’allocazione originaria, cioè si lascia correre il portafoglio fino a quel valore soglia poi lo si ribilancia. Questo chiaramente può succedere in pochi mesi oppure in periodi superiori ad alcuni anni.

Ho fatto un po’ di confronti usando il classico 60/40, il no regret portfolio (50% azioni, 25% bond, 25% oro) e una versione semplificata del mio portafoglio (68% azioni, 25% bond, 7% oro).

Per farlo ho preso cinque periodi storici:

– Il periodo complessivo dal 1994 al 2024;

– Il bull market dal 2009 al 2024;

– Il tragico 2000 — 2008;

– Quindi ho preso 1994-2008, cioè un bull market seguito da un lungo periodo negativo per le azioni e poi il contrario

– 2000-2024, cioè prima un periodo molto negativo e poi un lungo bull market

Così vediamo i comportamenti in diversi regimi secolari di mercato.

Ero preoccupato dal fatto che usando portafogli con asset sottostanti in diverse valute il risultato potesse essere condizionato dai cambi.

Per ogni portafoglio ho quindi fatto i backtest usando sia solo asset in dollari (quindi S&P 500, Treasury e Oro), sia portafogli basati su MSCI AC World, Global Government Bond e sempre Oro, che però appunto è denominato in dollari quindi per noi c’è il cambio con l’euro di mezzo.

Ovviamente i risultati in termini assoluti sono diversi, però tranne alcune anomalie marginali, le conclusioni che se ne traggono sono le stesse.

PRIMO RISULTATO: Non ribilanciare è la strategia con il maggior rendimento sia nel periodo complessivo, 94-2024, sia durante il bull market 2009-2024, sia durante il quasi decennio perduto 2000-2008.

Questo risultato ci dà due informazioni:

– Ci dice intanto che nel lungo termine far correre il portafoglio generalmente ha un effetto positivo, chiaramente a condizione che la supremazia del rendimento azionario si mantenga anche nel futuro;

– E ci dice anche che durante i periodi negativi ribilanciare non porta benefici diretti.

Il problema qual è però?

Il problema è che il portafoglio che mi ritrovo alla fine del periodo sarà completamente diverso da quello che avevo all’inizio.

Se io non ribilancio mai per anni, con tutti questi tre modelli di portafoglio finisco per avere dall’80 al 95% di azioni, che probabilmente non è una buona idea rispetto ad una pianificazione finanziaria standard che solitamente vorrebbe che la quota azionaria si riducesse in prossimità della pensione e che ricominciasse a risalire solo successivamente.

Quindi non ribilanciare mai non è probabilmente l’approccio corretto per la maggior parte degli investitori, perché il maggior rendimento chiaramente porta con sé una progressiva assunzione di rischio nel momento peggiore in cui dovrebbe prenderselo.

Inoltre, come dicevamo prime, la maggiore volatilità del portafoglio aumenta lo spettro dei risultati possibili.

SECONDO RISULTATO: non ribilanciare mai si rivela la strategia peggiore negli altri due periodi, cioè 2000-2024, prima un periodo negativo poi un lungo market, sia nel 1994-2008, quindi prima un bull market e poi il decennio con le due grandi crisi.

Il motivo proviamo a spiegarlo così:

– Mentre nel periodo più lungo la strategia buy and hold vince perché fondamentalmente arriviamo ad avere un portafoglio quasi completamente azionario, quindi le altre asset class praticamente si trovano ad avere un peso marginale sul risultato complessivo

– Nei due sottoperiodi in cui si alternano un lungo momento positivo e un lungo momento negativo, tra asset class che hanno presentato una bassa correlazione, si crea quel meccanismo che “estrae” extra rendimento proprio dal ribilanciamento; quello che accade infatti, è che il rendimento del portafoglio è superiore alla media ponderata del rendimento delle tre asset class prese singolarmente e va a battere quello del portafoglio non ribilanciato.

E qui veniamo al TERZO RISULTATO.

Avevamo già visto questa cosa in passato, ma qui l’abbiamo ripresentata in un’altra prospettiva.

La strategia basata su un drift del 10%, cioè non ribilancio finché il peso di un’asset class non aumenta o diminuisce del 10% rispetto a quella prevista, sembra il miglior compromesso possibile.

Nel trentennio complessivo, risulta solo leggermente inferiore, come rendimento assoluto, alla strategia buy and hold, ma chiaramente con rischio inferiore, infatti lo Sharpe Ratio, cioè il rapporto tra rischio e rendimento, è leggermente superiore.

La stessa cosa è vera anche durante il bull market degli ultimi 15 anni o nel periodo 2000-2008.

Se prendiamo invece i due periodi in cui si alternano un periodo positivo e uno negativo, quindi 1994-2008 e 2000-2024, la strategia con drift risulta sempre la migliore anche in termini assoluto.

Questo risultato è coerente con il dna proprio del mercato azionario, che come sappiamo tende ad avere un’autocorrelazione di breve termine e una tendenza alla regressione verso la media nel lungo termine.

– Lasciar correre di circa un 10% il peso delle diverse asset class nel portafoglio permette quindi di seguire il trend che si è creato e di non andare subito a sopprimerne il momentum, lo slancio di crescita, con un ribilanciamento affrettato;

– Allo stesso tempo però questo non prosegue all’infinito ma riporta il portafoglio entro il range stabilito per la propria asset allocation così da ottenere il rebalacing bonus di cui abbiamo parlato.

Il ribilanciamento annuale, invece, è un’idea tradizionale — molto americana — legata a specifici momenti in cui si pagano le tasse, ma non sembra un metodo particolarmente valido per sfruttare le logiche di ribilanciamento del portafoglio.

Oh, non che faccia una differenza madornale, se volete ribilanciare sempre a dicembre perché vi fa comodo bene così.

Però se guardiamo i numeri non sembra la strategia più proficua in media.

Ora, sono importantissime alcune precisazioni.

PRIMA PRECISAZIONE: 10% non è un numero magico.

È un numero approssimativo.

Probabilmente l’idea è che 5% avrebbe poco impatto, 20% invece snaturerebbe in maniera significativa il portafoglio.

Quello che ciascuno deve mettersi in tasca da questo ragionamento non è tanto il 10% per sé, quando piuttosto l’idea di concedere al proprio portafoglio un drift più o meno dell’ordine del 10% se vuole sfruttare questa cosa.

Posto naturalmente che il fatto che abbia funzionato in passato non è detto che funzioni anche per il futuro, come sempre quando si parla di finanza.

È solo un’evidenza statistica retrospettiva.

SECONDA PRECISAZIONE: i ragionamenti che abbiamo fatto sono on paper, sono fatti sulla carta e non tengono del fatto che nella realtà ci sono — si dice — delle frizioni, la più importante delle quali sono le tasse.

Se per ribilanciare devo vendere un asset eccessivamente in positivo per comprarne uno in negativo, a meno che non siano titoli di stato pagherò il 26% di tasse di capital gain.

Ora, questo è verissimo, e ciò ha un impatto sulla crescita rendimento composto del portafoglio.

Però conti alla mano è meno di quel che uno può pensare e bisogna sempre tenere presenti alcune cose

1) Intanto, piaccia o non piaccia, prima o poi ste tasse vanno pagate. È vero che prima le paghi, più azzoppa il rendimento composto, però, al netto di giochi di prestigio fiscali in isole esotiche di cui non voglio nemmeno sapere l’esistenza, prima o poi le tasse devi pagarle. Quindi solo in parte è un costo on-top, il grosso di esso è solo un’anticipazione.

2) poi bisogna considerare che tendenzialmente uno investe progressivamente nel portafoglio.

Nei primi anni è relativamente facile ribilanciare senza mai vendere.

Finché uno ha un portafoglio di 100.000 € e magari investe 500 € al mese, una parte significativa del ribilanciamento la può fare solo investendo nell’asset rimasto indietro.

Ovviamente se hai un 1.000.000 e versi 1000 euro al mese no, più complicato. Ma questo per dire che su 30-40 anni di investimento, in molti ribilanciamenti non si dovrà necessariamente vendere asset e pagare tasse.

3) non dimentichiamoci infine una cosa. Sti soldi li vorrai spendere! È vero che facciamo sempre ragionamenti a lungo termine, ma ricordiamoci che noi costruiamo dei portafogli con un approccio tendenzialmente goal-based. Cioè vogliamo pagare l’università ai figli, vogliamo comprare una casa, vogliamo finanziare il progetto dei nostri sogni, non è che investiamo solo per andare in retirement tra 30 anni e pagarci la pensione. Ci sono delle situazioni in cui prenderemo una parte del nostro portafoglio, venderemo e ci compreremo quel che ci pare. Se siamo un po’ astuti approfitteremo di quelle situazioni per ribilanciare, tanto le tasse le avremmo pagate comunque.

Questo ci porta alla TERZA PRECISAZIONE.

All’inizio dicevamo che avremmo fatto dei backtest un po’ sterilizzati, ipotizzando un portafoglio fisso nel marmo, sempre quello a vita e senza considerare i flussi di cassa.

La realtà naturalmente è diversa.

Per una certa fase della mia vita io contribuisco mensilmente nel mio portafoglio e questo contributo, finché il portafoglio non diventa rilevante, incide direttamente anche sull’asset allocation, quindi va gestita correttamente.

Qui ci sono tre strade principali:

– Uno può versare una percentuale fissa ogni mese sulle diverse asset class (che so, se verso mille euro: sempre 680 € in azioni, 250 in obbligazioni e 70 in oro); in media questo approccio rallenterà la velocità a cui si arriverà a superare il drift del 10%.

– Oppure uno può investire ogni mese in base alle proporzioni che il portafoglio HA in quel mese. Certo, non è che di mese in mese di solito sballa tanto, però avete visto ad aprile che ci sono momenti in cui l’asset allocation può moversi sensibilmente anche in breve tempo. In questo modo si rispetterebbe di più la logica del drift.

– L’ultima strada è investire ogni mese in maniera tale da riavvicinare l’asset allocation a quella desiderata. Questa però non sono convinto che sia la strada migliore. È fiscalmente efficiente, ma di fatto taglia un po’ le gambe a quello che dicevamo prima, cioè che i trend, soprattutto quelli più netti, sarebbe meglio farli correre un po’. Il problema è che è difficile sapere in anticipo se c’è un trend, quindi il principio base di assecondare un drift del 10% è proprio quello di avere una regola fissa per prendersi almeno un pezzo della maggior parte dei trend.

Questo ovviamente vale con il cash-in, ma volendo può valore anche per il cash out.

Quando ritiro una parte dei miei soldi, valuterò di volta in volta cosa vendere in base al fatto di avere o no delle esigenze di ribilanciamento in quel momento.

QUARTA PRECISAZIONE: questo discorso che abbiamo fatto oggi si concentra soprattutto sul ribilanciamento tra asset class. Ma in realtà, volendo, si applica anche all’interno delle singole asset class.

Il principio base del ribilanciamento qual è? È: vendere i vincenti e comprare i perdenti, quindi è una strategia contrarian.

La stessa cosa si può fare anche deviando per esempio dalla capitalizzazione di mercato di un indice azionario.

Se nel 2009 gli Stati Uniti pesavano il 50% dell’MSCI World e oggi il 72% e le loro valutazioni sono oltre un terzo più elevate di quelle degli altri Paesi, allora anche qui può essere applicata la medesima logica di ribilanciamento.

A meno che pensiamo che un certo mercato non sia soggetto a regressione verso la media e che invece vincerà per sempre, allora ribilanciare anche all’interno di un indice di mercato risponderà agli stessi principi di cui abbiamo parlato oggi.

Per considerazioni più di dettaglio, comunque, soprattutto sul peso degli US nel portafoglio, vi rimando all’episodio 215.

Ultima PRECISAZIONE.

Tutto questo discorso è bellissimo, ma va preso cum grano salis.

Le esigenze della vita cambiano, gli obiettivi cambiano, i redditi e le spese cambiano e anche l’asset allocation cambia di conseguenza.

IN linea di princpio ciascuno di noi si costruisce un portafoglio di riferimento e — con questo — abbiamo visto che il principio del drift del 10% sembra una valida guida; però è chiaro che questo portafoglio cambia nel tempo per una serie di motivi e quindi ci saranno sempre degli adattamenti in corso d’opera che si sposteranno un po’ dal nostro bel file excel.

Per riassumere, comunque, tiriamo un po’ le somme:

– NUMERO UNO: non andate in sbattimento con l’ansia da ribilanciamento. In media, se usate la strategia del drift, non dovrebbe capitarvi di ribilanciare più di una volta ogni paio d’anni, forse anche meno. Sulla carta sembra una cosa onerosa in termini operativi, in realtà ve ne dovrete occupare molto meno spesso di quel che sembra.

– NUMERO DUE: al netto di altre considerazioni di risk management, non ribilanciare il portafoglio non è un grosso problema. Anzi, a volte può essere pure benefico. Da quello che abbiamo appreso oggi, probabilmente nel dubbio conviene ribilanciare un po’ di meno che un po’ di più. Tra i due estremi, l’eccesso di ribilanciamento è forse peggio della carenza di ribilanciamento.

– NUMERO TRE: il massimo di questo “rebalancing bonus” si ha con asset decorrelati, cosa che si aggiunge alle tesi sul buon senso di un portafoglio diversificato. Tutte quelle volte che ci chiederemo qual è il senso di avere una certa asset class nel portafoglio che sembra solo messa lì a fare schifo — cough cough obbligazioni! — ricordiamoci che quell’asset forse è meno inutile di quel che sembra.

– NUMERO QUATTRO: se ci pensate, questa storia del drift è un po’ anche un messaggio esistenziale. Va bene le regole, però un 10% di elasticità — diciamocelo — fa stare meglio. In finanza come nella vita. Quindi: take it easy! La prossima volta che mangerete il 10% di pasta in più di quel che il vostro dietologo vi aveva ordinato o quando il 10% del progetto che avete ultimato non è venuto esattamente come volevate non pensate che avete sgarrato; dite che avete “driftato”!

E dopo questa perla di vita eccoci giunti alla fine anche di questo ultimo episodio di maggio e siamo ormai alle soglie del secondo giro di boa del nostro podcast.

Stay tuned perché grandi sorprese ci aspettano.

Ancora una volta vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che ribilanciare i portafogli è bello ma farli correre è meglio — per un po’ e senza esagerare — sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con il primo appuntamento di giugno in cui parleremo — se non cambio idea nel frattempo — dei tre temi più controversi della finanza sempre qui, naturalmente, con the bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024
Facile.it
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