Il Portafoglio Modello di Ben Felix (come inserire Small Caps e Value)
Oggi vediamo il portafoglio modello di Ben Felix, portfolio manager e head of research di PWL Capital nonché superstar internazionale tra i creator di contenuti su finanza e investimento di buon senso. Vediamo la sua allocazione geografica, come inserisce i fattori Value e Small Caps e come trasporre questo portafoglio per un investitore Europeo.

116. Il Portafoglio Modello di Ben Felix (come inserire Small Caps e Value)
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Punti Chiave
L'investimento fattoriale può incrementare il rendimento del portafoglio, pur a condizione di assumersi un maggior rischio e un orizzonte temporale lungo.
Investire market cap weighted, seguendo un indice globale, probabilmente andrà bene per il 90% degli investitori.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Quanto mi piace parlare di asset allocation, studiare i portafogli, fare test e analisi alla spasmodica ricerca del portafoglio perfetto!
Chi mi segue da 116 episodi sa bene che il mio passatempo preferito è mettermi a fare i backtest con portafogli di ogni genere nella segreta speranza di trovare il Sacro Graal degli investimenti e trovare così la formula definitiva di un portafoglio onnipotente.
Probabilmente questa cosa non succederà mai — e forse è pure un bene perché il giorno che trovo il portafoglio per eccellenza, poi non so più cosa fare e mi tocca mettermi a fare un podcast di cronaca nera pure io per continuare a star là in alto nelle classifiche di Spotify e Apple Podcast.
Tra l’altro, grazie per le oltre 5.000 recensioni 5 stelle su Spotify, siamo gli unici nella top ten Italia che hanno ancora questo rating immacolato.
Sperando di non farvi cambiare idea in merito, oggi proseguiamo il nostro viaggio di accrescimento dell’italica consapevolezza finanziaria trasferendoci in Canada e facendo un episodio dedicato ad uno dei più amati creator di Finanza Personale, ossia Ben Felix, portfolio Manager e Head of Research presso la società di consulenza finanziaria PWL Capital.
Creator poi è riduttivo.
Ben è un Ingegnere Meccanico, con Master in Finanza, MBA, CPA, CFA e per un pelo non diventava pure NBA visto che al college giocava pure a Basket ad alto livello.
Ben Felix lo citiamo abbastanza spesso e come sapete si è conquistato una meritatissima fama internazionale grazie al suo podcast e canale youtube Rational Reminder in cui, assieme al suo collega Cameron Passmore, parla di investimenti basati su numeri, analisi e soprattutto tanto buon senso, senza la pretesa di vendere cialtronate o sedicenti metodi miracolosi per fare i soldi velocemente.
Il livello non è esattamente basic, diciamo che è una versione evoluta elevata al cubo delle cose di cui parliamo qui, oltre al fatto che è talmente autorevole che ha potuto vantare come ospiti premi Nobel come Eugene Fama, superstar come Morgan Housel o personaggi del calibro di Burton Malkiel, l’autore del celeberrimo A Random Walk down Wall Street, e tanti tanti altri.
E sti cazzi ? (de sica)
Eh mo ci arriviamo.
Oggi vi voglio parlare del suo Model Portfolio, un portafoglio modello che mette insieme il suo eminente punto di vista su temi come:
– L’allocazione geografica;
– L’inclinazione fattoriale e
– Il rendimento che realisticamente ci si potrebbe aspettare oggi, epurato delle fregnacce che si sentono dire in giro.
In più ci sono altri due spunti che mi hanno portato a fare questo episodio.
Il primo viene da uno di voi che mi ha mandato un esempio di portafoglio fatto da un consulente finanziario, fortunatamente fatto solo di ETF, che però, come dire, secondo me aveva fatto un’overdose di ETF fattoriali e gli era scappata un po’ la mano.
Come vedremo il portafoglio di Ben ha un tilt fattoriale che tocca però un sesto della parte azionaria del portafoglio, non il 70% come in quel caso.
E capiremo perché.
E poi, dopo l’episodio 113, un ascoltatore ha scritto in una recensione che l’episodio sui fattoriali era stato ridicolo e che non ci capisco una cippa sull’argomento.
Non ha scritto il motivo, quindi se non ha smesso di ascoltarmi lo invito ad approfondire il commento, altrimenti non so come colmare le lacune che questo ascoltatore deve aver rilevato.
Ragazzi scrivete quello che vi pare dove vi pare, ricevo sempre commenti quasi esclusivamente positivi che mi riempiono il cuore di gioia, però sono soprattutto le critiche che permettono di migliorare.
Quindi criticate fino a consumarvi i polpastrelli, ma non dite “mi ha fatto cagare il tuo episodio” punto, ditemi “mi ha fatto cagare perché hai sbagliato questo questo e questo”, sennò come faccio a sapere se davvero c’era qualcosa da sistemare nell’episodio o se semplicemente quel giorno ti sei svegliato male e te la sei presa con il primo podcaster improvvisato a caso?
Tra l’altro, niente di personale perché il 99% di quello che dico qui non riflette le mie idee, ma è tutta roba che prendo da altre parti.
Come sapete io sono come un collettore di idee intelligenti partorite da altri.
Nel caso di quell’episodio mi ero basato su alcuni paper fatti da gente ben più preparata di me, quindi nel caso prendetevela con loro.
Comunque sia, nel dubbio intanto vediamo il portafoglio di Ben che è un buon esempio di come uno potrebbe inserire ETF fattoriali nel proprio e poi vedremo anche un paio di versioni per Europei che manin manella ho preparato così avete anche la pappa pronta se volte cimentarvi con qualcosa del genere da questo lato dell’Atlantico.
Almeno su Ben Felix sono certo non ci sia nulla da ridire.
Quindi, menu del giorno:
– Breve recap su cosa sia il factor investing
– Portafoglio modello di Ben Felix
– Versione europea del portafoglio modello con una serie di colpi di scena interessanti e infine
– Boh, non lo so ancora, quando arrivo a scrivere la fine dell’episodio tireremo qualche conclusione e dirò due o tre scemenze come al solito.
Prima di cominciare, concedetemi 60 secondi per ringraziare 4books, sponsor dell’episodio di oggi.
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Alla domenica e al mercoledì esce The Bull, gli altri giorni che invece non sapete cosa fare perché dopo aver sentito The Bull non volete più ascoltare altri podcast, potete farvi un paio di audioriassunti al giorno e ridendo e scherzando in un batter d’occhio diventerete degli esperti di teoria delle stringhe o di come fare correttamente la panca piana mentre scrivete un piano di marketing che Philip Kotler spostati per la vostra ultima start-up.
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Molto bene, ora che ci siamo presi cura della vostra cultura personale, veniamo ai vostri strampalati investimenti.
Partiamo dal discorso del factor investing, breve recap.
Per farla breve, ormai è stato detto in tutte le salse del mondo che è quasi impossibile ottenere ciò che viene chiamato alpha, ossia un extra rendimento del portafoglio di natura idiosincratica, cioè basato su specifiche scelte del gestore che pesca certe azioni invece di altre rispetto al suo mercato di riferimento.
Per chi avesse dubbi, si guardi lo Spiva scorecard del 2023 e ancora una volta constaterà che oltre il 95% dei fondi attivi non è in grado di battere il proprio benchmark.
Il solito Eugene Fama assieme a Kenneth French mise però insieme un modello negli anni ’90, chiamato modello a tre fattori, che in pratica spiegò che esiste la possibilità di ottenere un extra rendimento sistematico per un portafoglio, basato sull’utilizzo dei cosiddetti fattori.
In particolare, Fama e French formalizzarono il fatto che le società più piccole, le Small Cap, tendono ad avere un rendimento medio superiore alle Large Cap mentre le società Value, quelle con un rapporto tra book value e market cap più alto, tendono a battere il resto del mercato.
I due fattori nel paper originale erano chiamati SMB, che stava per Small Minus Big, quindi piccole meno grandi, e HML, ossia High minus Low, quindi alto book value meno basso book value.
Questi due valori differenziali esprimono quindi l’extra rendimento sistematico dei due fattori rispetto al mercato.
Oggi ai due fattori originali Size e Value, si sono aggiunti anche Momentum, Quality, Dividend e Low Volatility.
Adesso non ritorno su tutta la disamina, riascoltatevi nel caso l’episodio 113, comunque basti sapere che se prendiamo per esempio l’indice MSCI world e lo confrontiamo con i suoi sottoindici fattoriali, ossia sei sottoindici che selezionano solo le società che rispondo a questi 6 fattori, tutti i 6 sottoindici hanno una performance storica di lungo periodo superiore all’indice generale.
I motivi per cui non è necessariamente una buona idea investire tout court in uno di questi per provare a battere il mercato li abbiamo visti sempre in quell’episodio e che potremmo riassumere in questo modo:
– UNO: un conto è la teoria (e i rendimenti del passato) e un conto è la pratica;
– DUE: i fattoriali sono mediamente più volatili, quindi tendono a sovraperformare nel lungo termine ma espongono al rischio di sequenza nel medio;
– TRE: cosa più importante, se fosse così semplice lo farebbero tutti.
Allora partiamo dall’amico ascoltatore che mi ha fatto vedere la proposta che gli era stata avanzata.
A parte il pastrocchio di 15 ETF che gli ha messo insieme il consulente, in sé e per sé non è che il portafoglio fosse “sbagliato”.
Certo, molto molto aggressivo, ma se compatibile con le esigenze dell’investitore va benissimo.
Dico aggressivo perché alla fine sulla carta sembrava un 60/40, che di per sé non sarebbe aggressivo, ma con dentro roba molto spinta, ad esempio:
– Il 40% è fatto di ETF fattoriali (Momentum, Quality, Small cap e Value), mentre il restante 20% azionario era distribuito tra un 5% di globale e un 15% di emergenti;
– Poi c’era un circa 15% di obbligazioni governative ultralunghe (sopra i 25 anni, che sono ipersensibili alle variazioni dei tassi di interesse)
– E poi c’era un altro 5% di Treasury che, va bene che sono Treasury, ma essendo in dollari c’è un rischio intrinseco nel cambio che fa un po’ venire meno il discorso di avere obbligazioni per puntellare la parte azionaria.
Il resto ok c’era un po’ di oro, obbligazioni inflation linked e governative intermedie.
Ora, niente da dire in sé.
Però non è esattamente un 60/40 questo.
I fattoriali hanno caratteristiche particolari ed espongono il portafoglio ad un’ampia volatilità, quindi serve un bello stomaco per sopportare quest’allocation.
Inoltre c’è un altro fatto: questa è di fatto una gestione attiva. Può benissimo avere successo, ma scegliere di assegnare determinati pesi a Momentum, Quality, Small Cap e Value nel portafoglio, oltre a tutto il resto, è del tutto arbitrario.
E’ come dire: questo consulente suppone di aver individuato una combinazione di asset che dovrebbe performare meglio rispetto al mercato.
Che è esattamente ciò che non riesce quasi mai a nessuno.
Non dico che non succederà.
Dico solo che costruire il portafoglio in questo modo presuppone una precisa decisione di discostarsi dalla composizione del mercato sulla base della convinzione che facendo così sia meglio e porti a risultati migliori.
Richiamo un esempio già fatto in passato.
È un po’ come la pizza.
Obiettivamente la pizza è una delle cose più buone del mondo.
Però la pizza è acqua, farina, lievito (lievito madre se volete fare i fighi), sale, olio, pomodoro e mozzarella.
Aggiungere la spianata calabra o i datterini gialli può dare quel quid in più come i fattoriali nel portafoglio.
Se però voglio aggiungere il crudo di parma 24 mesi devo togliere il sugo e mettere eventualmente i pomodori freschi (mi raccomando: diffidate delle pizzerie che vi mettono il crudo sul sugo, non si fa).
Così come se voglio aggiungere altri ingredienti dovrò equilibrare togliendo qualcos’altro.
Se invece ordino una margherita con sopra il crudo, i funghi, la provola, il mascarpone, i fiori di zucca fritti, la tartare di Fassona e il Guacamole, tutti ingredienti che presi per se sono eccezionali, il risultato, come potete immaginare, sarà una vera merda.
Idem con i portafogli.
Se fate un minestrone di tutto non è che estraete il meglio di ogni ingrediente.
I fattoriali servono per dare un’inclinazione al portafoglio, un titl come si dice, cercando di ottenere un extra-rendimento sistematico senza comprometterne la struttura, il backbone.
Anche perché l’obiettivo di un portafoglio non è riempirlo di ETF sotto steroidi e poi sperare che tra 30 anni abbia fatto il botto.
L’obiettivo è cercare di dargli un’impostazione adeguata agli obiettivi che man mano questo portafoglio dovrà aiutarmi a realizzare nella vita.
Vediamo quindi un portafoglio con una leggera inclinazione fattoriale come potrebbe essere fatto — e affidiamoci quindi a sua Saggezza Benjamin Felix.
Ben Felix sceglie di aderire al modello originario di Fama e French e di dare un’inclinazione fattoriale al suo portafoglio verso i fattori Size (quindi Small Caps) e Value (quindi società con un alto book value, un alto valore patrimoniale netto rispetto alla loro capitalizzazione di mercato).
Attenzione che il portafoglio che stiamo per mostrare è 100% azionario.
Questo non vuol dire che lui proponga questo tipo di allocazione, ma propone questa allocazione per la parte azionaria del portafoglio.
Poi vediamo aggiungere le obbligazioni cosa comporta.
Allora, il suo portafoglio è fatto così, tutto attraverso ETF:
– 30% di mercato azionario Canadese (eh lui è canadese e i canadesi piace investire nel mercato di casa loro);
– 30% di total stock market Americano (ossia tutto il cosiddetto Russell 3000, non solo l’S&P 500 ma tutte le 3.000 e qualcosa società quotate negli Stati Uniti, così da mettere dentro anche un pochino di Small Caps, posto che comunque l’S&P peserà per più del 90% del totale).
– Poi 16% MSCI EAFE, che sta per Europa, Australasia e Far East, in pratica tutto il mondo sviluppato tranne il nord America.
– Quindi 8% di Mercati Emergenti e a sto punto arrivano i fattoriali:
– 10% di Small cap value Stati Uniti (quindi società a bassa capitalizzazione con in più un alto valore contabile rispetto al prezzo di mercato) e infine
– 6% di Small cap value dei Paesi sviluppati extra Stati Uniti.
Ben Felix costruisce quindi un portafoglio in cui solo il 16% della parte azionaria è basata su fattori.
Il resto segue fondamentalmente un indice market cap weighted con un certo sovrappeso del mercato domestico.
Felix ce l’ha sta cosa del 30% sul mercato domestico, cosa di cui aveva discusso anche nel celebre episodio con Scott Cederburg, quel professore che ha scritto il paper più letto dell’anno in cui in pratica diceva che il portafoglio meno rischioso per andare in pensione sarebbe 100% azionario.
Cederburg diceva: 50% mercato domestico e 50% internazionale, mentre Felix fa giustamente notare che un conto è se il tuo mercato domestico sono gli Stati Uniti, un altro è se è il Canada, un altro ancora è se l’Olanda (e io aggiungerei pure l’Italia, anche se Ben non si sogna nemmeno di citarla).
Quindi lui propende per un più ragionevole 30% mercato domestico e 70% internazionale, più o meno market cap weighted.
Allora, vediamo intanto come è andato questo portafoglio e poi passiamo alla parte più interessante, ossia alla sua versione europea che ho messo assieme esclusivamente per voi, care amiche e cari amici di questo spazio dove mischiamo pizze e portafogli come se Sorbillo aprisse un ristorante in Piazza Affari.
I dati che ci dà Ben Felix vanno dal 2000 al 2020, poi ho integrato io con Portfolio Visualizer fino al 2024.
Diciamo che il periodo non è dei migliori per fare un back test perché partire proprio con il decennio perduto può essere un po’ fuorviante.
Comunque in questi 24 anni il portafoglio di Ben Felix avrebbe fatto circa un 6,26% all’anno.
Nello stesso periodo il mercato azionario Americano avrebbe fatto il 7,2%.
Mentre un portafoglio allocato più o meno allo stesso modo, quindi 30% Stati Uniti e il restante 70% sul mercato azionario globale avrebbe fatto circa un 5,3%.
Quindi questo portafoglio avrebbe reso circa un punto percentuale in più all’anno grazie alla spolverata di tilt fattoriale verso le realtà small cap value, ovviamente al costo, tra virgolette, di una maggiore deviazione standard e questa cosa è coerente con il modello del Capital Asset Pricing Model: per avere un rendimento maggiore, in linea di principio bisogna esporsi ad un rischio maggiore e il rischio è espresso esattamente in termini di deviazione standard.
Ora, tutto bello però di come investono in Canada ci interessa il giusto.
Li amiamo per quella loro straordinaria invenzione che è lo sciroppo d’acero da mettere sui pancake, ma per quanto riguarda i portafogli di investimento invece guardiamo a casa nostra.
Allora ho ricreato una versione per Europei del portafoglio di Ben, sostituendo il 30% che lui mette sul Canada non con l’Italia, non scherziamo dai!, ma con l’indice MSCI EMU, ossia l’indice di MSCI che replica le società dell’area Euro.
Anche l’Eurostoxx 50 poteva andare bene, ma probabilmente sarebbe stato troppo concentrato sulle large cap.
Il portafoglio viene fuori così.
– 30% S&P 500 o MSCI US, che è un po’ più grande ma non cambia praticamente niente.
– 25% MSCI EMU (e voi chiederete perché non 30%? Eh perché un po’ di Europa ce l’abbiamo anche nel prossimo ETF)
– 21% di MSCI World ex US (che ho ottenuto con il nuovo ETF di Xtrackers con ticker EXUS);
– Poi 8% di Mercati Emergenti e quindi i due fattoriali
– 10% di Small Cap Value Stati Uniti e
– 6% di Small Cap Value Europa.
Questo portafoglio si può effettivamente fare, gli strumenti ci sono tutti.
L’unica cosa è che EXUS, così come i due fattoriali Small Cap Value, sono ETF piuttosto piccoli.
Non piccolissimi, ma nessuno arriva neanche a 500 milioni.
Comunque, diciamo che gli ETF ci vanno bene così, come avrebbe performato un portafoglio di questo tipo negli ultimi 30 anni?
Devo dire che mi ha sorpreso!
L’ho confrontato con un banale portafoglio sull’azionario all world, quindi sviluppati più emergenti, una cosa replicabile con un classico Vanguard FTSE All World, e devo dire che il portafoglio di Ben Felix se lo sarebbe mangiato vivo.
Dal 1994 ad oggi:
– L’Azionario Globale ha fatto, per un investitore Europeo, il 7,93% all’anno;
– Il model portfolio per Europei di Ben ha fatto invece il 9,18%.
Se vi sembra poca roba, i soliti 10.000 € investiti all’inizio oggi sarebbero diventati ben 133.000, quasi 40.000 in più che non investendo nell’azionario globale.
Vediamo invece come sarebbe andata investendo un po’ per volta, come farebbe un normale investitore che mette nel proprio portafoglio un po’ di soldi ogni mese.
Diciamo 250 € al mese e il risultato finale sarebbe stato:
– 340.000 € con l’azionario all world mentre
– 380.000 € con il portafoglio di Ben.
Se guardiamo il tasso interno di rendimento, che è il modo per calcolare il rendimento di un investimento quando ci sono i flussi di cassa, parliamo di 8,2% di rendimento medio annuo del portafoglio di Ben contro il 7,7% di quello All World.
Chiaramente la differenza si assottiglia se investo un po’ per volta perché l’extra rendimento del portafoglio di Ben deriva dallo sfruttamento, per così dire, della volatilità positiva dalle Small Cap Value.
Se però faccio un PAC, la volatilità in qualche modo è attenuata dal fatto che nel mio portafoglio verserò i soldi un po’ per volta mediando gli sbalzi del mercato.
Interessante comunque.
Preso dall’entusiasmo ho fatto qualche altro backtest, perché mi sono detto, magari è così su 30 anni, dal 94 ad oggi, ma vediamo su altri orizzonti temporali come sarebbe andata.
Il primo backtest allora l’ho fatto dal 2000, inizio del decennio perduto, ad oggi.
Il risultato è stato ancora nettamente a favore del portafoglio di Ben: 6,2% di rendimento medio annuo, contro il 5,2% dell’azionario all world.
In questo caso, invece, immaginando un investimento fisso mensile sempre di 250 € lungo tutto il periodo la differenza sarebbe minima: 5,19% Ben, 5,03% l’azionario all world.
Minima ma non irrilevante.
Questi miseri 0,16 punti percentuali di differenza di rendimento ogni anno, in 24 anni fanno oltre 9.000 € di guadagno in meno per l’azionario globale.
Quando diciamo che i costi contano, ecco sappiate che anche uno 0,2% può fare una differenza madornale.
Ricordatevelo la prossima volta che vi verrà in mente di comprare qualche ETF con TER allo 0,5% (per non parlare di quando qualcuno vi proporrà un fondo al 2%, ma va beh, do per scontato che dopo 116 episodi abbiate capito che NON SI INVESTE IN ROBA CHE COSTA IL 2% ALL’ANNO, neanche se è Warren Buffett in persona a gestirvi i soldi).
Il secondo backtest invece l’ho fatto proprio lungo il decennio perduto, 2000-2009, e lì era facile immaginarsi il risultato nettamente a favore di Ben:
– Azionario globale in negativo di oltre il 2% all’anno;
– Portafoglio di Ben sostanzialmente in pari.
Facendo il PAC, invece:
– Azionario globale leggerissimamente in positivo mentre
– Portafoglio di Ben che fa un mediocre 1% all’anno, ma pur sempre in profitto nonostante tutto il mondo cadesse in frantumi.
Allora mi sono detto, va beh, guardiamo gli ultimi 10 anni, gli anni del super exploit dell’S&P 500 che ha battuto tutti e che tanto ha fatto soffrire Meb Faber come abbiamo raccontato nello scorso episodio.
In effetti negli ultimi 10 anni (per la precisione ho fatto da maggio 2014 a maggio 2024), l’azionario globale avrebbe fatto meglio del portafoglio di Ben.
– Azionario All World 10,7%
– Portafoglio di Ben 10,1%
E anche in caso di PAC vincerebbe il globale, benché di pochissimo.
Ecco, qui abbiamo una prima lezione importante sul discorso dei fattoriali.
Premesso che fare “solo” 10,1% all’anno invece che 10,7% sarebbe davvero l’ultimo dei problemi sulla Terra, comunque si tratta di un lungo periodo di sottoperformance.
Dopo dieci anni che il tuo portafoglio super raffinato fa peggio del portafoglio fatto con un solo ETF senza sbatti del tuo vicino saresti ancora dell’idea di tenere botta sul discorso fattoriale o smantelleresti tutto?
Bisogna essere consapevoli di questa cosa.
Il rendimento atteso di un portafoglio con un’inclinazione fattoriale è teoricamente superiore a quello del suo mercato. Ma aggiungendo del rischio in più — poiché nel caso non fosse ancora chiaro aggiungere un fattore porta più rendimento perché porta anche più rischio — dicevo aggiungendo del rischio in più serve tipicamente più tempo perché la strategia paghi.
Un esempio classico.
Se confronto l’MSCI World Value con l’MSCI World generale, negli ultimi 50 anni ha portato quasi 0,5 punti percentuali all’anno di rendimento in più.
L’effetto cumulativo di uno 0,5% in più ogni anno è mastodontico.
Se avessi investito i canonici 10.000 dollari del 1974 nei due indici, quello generale varrebbe oggi circa 1 milione e 600.000 dollari, mentre quello value poco più di 2 milioni.
400.000 $ in più solo per via di questo misero 0,5%.
Però non va sempre così.
Se prendiamo invece gli ultimi 10 anni, Value è sotto al MSCI World generale di ben 3 punti percentuali all’anno.
In realtà anche partendo dal 2009 ad oggi, Value e Small Cap sembrano aver perso la loro capacità di generare extra rendimento.
Ma questa è una caratteristica propria dell’investimento fattoriale.
In teoria funziona, sempre al netto del rischio di sequenza, ma serve in media un orizzonte temporale piuttosto lungo perché dia i suoi risultati.
Comunque, se vi piace tutto questo bel portafoglio alla Ben Felix e volete farvelo per gli affari vostri ma avete qualche reticenza ad utilizzare quei due micro ETF fattoriali sulle Small Value americane ed europee c’è un modo per aggirare la cosa, che consiste nel prendere un ETF sull’azionario globale Value e un ETF sull’azionario globale Small Cap.
Non è proprio lo stesso, ma i risultati non sono così distanti l’uno dall’altro.
Se invece, comprensibilmente, non volete usare il piccolo ETF di Xtrackers MSCI World ex US, potete fare così:
– Circa 48% MSCI World
– Circa 28% di MSCI EMU
– Circa 8% di Emerging Markets
E poi il resto o con i due ETF Small Cap value o usando un MSCI Small Cap e un MSCI Value.
Bene, tutto eccitato per i risultati della trasposizione Europea del portafoglio di Ben, ad un certo punto mi è sorto un dubbio e mi sono chiesto: ma questa sovraperformance del portafoglio di Ben dal 1994 ad oggi è dovuta esclusivamente dal fatto di avere dentro dei fattoriali, oppure dipende anche dalla diversa allocazione geografica?
Perché in effetti l’azionario globale ha come sapete un 60% di Stati Uniti, circa un 28-30% di altri Paesi Sviluppati e la parte restante in Emergenti.
Il portafoglio di Ben non è proprio così, dato che assegna ben il 30% al mercato domestico (lui Canada, noi Unione Europea).
Allora mi sono detto, andiamo a vedere come funzionerebbe il portafoglio di Ben senza i fattoriali.
Quindi in pratica ho fatto questo portafoglio:
– S&P 37%
– MSCI EMU 30%
– MSCI World ex-US 25%
– Mercati Emergenti 8%
Cioè in pratica è lo stesso portafoglio di Ben, ma quel 16% assegnato ai fattoriali l’ho ridistribuito proporzionalmente sugli altri ETF dei paesi sviluppati.
Non ho toccato invece gli emergenti.
Altro backtest, come è andata?
È andata che negli ultimi trent’anni il portafoglio fattoriale di Ben avrebbe comunque fatto meglio, ma non così tanto meglio come rispetto all’azionario globale.
In particolare:
– Il portafoglio di Ben fattoriale avrebbe fatto, come detto prima, il 9,18% all’anno; mentre
– Il portafoglio di Ben senza i fattoriali avrebbe fatto l’8,68%, quando invece
– L’azionario globale avrebbe fatto il 7,93%.
Ora so che mi state ascoltando e senza vedere i numeri è un casino, provo a riassumere.
Abbiamo detto prima che il portafoglio di Ben negli ultimi 30 anni avrebbe battuto l’azionario globale di circa 1 punto virgola 25 ogni anno.
Ma di questo 1,25%, solo lo 0,5% è attribuibile ai fattori Small Cap e Value.
Il restante 0,75% dipende invece dalla diversa allocazione geografica.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che il portafoglio di Ben ha sì una significativa esposizione verso gli Stati Uniti, intorno al 40%, ma nettamente inferiore a quella dell’azionario globale che è verso il 60%.
Ricordiamo che il punto di forza dell’azionario globale degli ultimi 15 anni, ossia la strapotenza del mercato americano, è stato anche il suo punto di debolezza nel decennio precedente.
Quindi negli ultimi 30 anni un portafoglio composto al 30% da Unione Europea, circa 40% Stati Uniti, circa 30% altri mercati sviluppati e meno del 10% mercati emergenti avrebbe battuto un portafoglio 60% Stati Uniti, 30% Sviluppati e 10% emergenti.
Fatto curioso, dato che invece un portafoglio 100% Stati Uniti avrebbe schiacciato tutti quanti dal 1994 ad oggi, ma sappiamo che questo è dovuto principalmente alla mega sovraperformance degli ultimi 15 anni.
Dal 1994 al 2009 invece l’S&P sarebbe rimasto nettamente dietro al portafoglio di Ben.
Affascinante non trovate?
Questo portafoglio ha davvero una costruzione interessante e sembra avere mostrato una notevole resilienza in fasi molto diverse della storia recente, riuscendo a non perdere praticamente mai soldi anche in un decennio, 2000-2009, in cui l’S&P sarebbe arrivato a perdere il 40% del suo valore.
A sto punto ho deciso di fare un ultimo esperimento.
Memore del suggerimento di Meb Faber di dare un titl fattoriale verso Momentum e Value, invece che Small Caps, ho costruito lo stesso portafoglio di Ben ma al posto dei due fattoriali sulle Small Caps Value o usato un MSCI World Momentum e un MSCI World Value.
Vediamo i risultati anche qui, anche se in questo caso ho i dati solo dal 1997, non dal 1994.
Qui il risultato è quasi lo stesso:
– Portafoglio di Ben 7,88%;
– Portafoglio, che chiamiamo per comodità di Meb 7,66%
Un misero 0,2% di differenziale di rendimento.
Non ininfluente, ma neanche clamoroso.
Se facciamo un piano di accumulo, invece, il risultato si avvicina ancora di più.
Nel decennio perduto come sarebbe andata invece?
Qui Ben prende un po’ più il largo:
– Praticamente in pari il portafoglio di Ben;
– -1,1% all’anno il portafoglio di Meb.
Come prevedibile, anche in questo caso un investimento progressivo mensile avrebbe avvicinato di molto le due performance, che peraltro sarebbero diventate entrambe positive.
E negli ultimi 10 anni?
Qui vince Meb, sempre di poco, ma comunque parliamo di un 0,21% all’anno.
– 10,09% all’anno Ben;
– 10,3% all’anno Meb.
In caso di PAC invece farebbero lo stesso identico risultato preciso.
Prima di tirare qualche conclusione, sono andato a fare qualche backtest anche sul portafoglio che mi è stato segnalato, fatto da un consulente che andrà sottoposto ad antidoping per overdose di fattoriali.
Vi ricordate? C’erano tutti: Quality, Momentum e Small Cap Value.
Ho preso in considerazione solo la parte azionaria, per confrontarlo con gli altri portafogli.
Oh.
A guardare i risultati, niente da dire.
Batte il portafoglio di Ben praticamente in tutti gli orizzonti temporali considerati, quindi sia negli ultimi 25 anni, che durante il decennio perduto, che durante gli ultimi 10.
Negli ultimi 25 batte addirittura l’S&P 500 dandogli in media un bel punto percentuale ogni anno.
Solo negli ultimi 10avrebbe fatto esattamente come Ben e, come tutti, avrebbe sottoperformato rispetto al MSCI World e all’S&P.
Comunque in generale sarà mica che alla fine c’ha ragione lui con questo portafoglio esplosivo?
Forse sì, forse no.
A me però restano i seguenti dubbi.
– DUBBIO NUMERO UNO: la parte azionaria di quel portafoglio è fatta da oltre un 20% di mercati emergenti. Davvero tanto e secondo me ciò si porta dietro una serie di rischi idiosincratici che vanno al di là di tematiche strettamente finanziarie. Avere oltre il 20% di Emergenti vuol dire che quasi il 10% del portafoglio è tra Cina e Taiwan, con tutto quello che può comportare.
E in generale hai comunque un 20% del portafoglio esposto a valute molto particolari.
– DUBBIO NUMERO DUE: La spinta fattoriale maggiore l’hanno data quality e momentum. Questi due fattori, piuttosto correlati tra loro, hanno fatto complessivamente molto bene negli ultimi tre decenni. Ma nulla vieta che possano in futuro attraversare un lungo ciclo di sottoperformance. Ricordiamo che il portafoglio di Ben ha fatto molto bene NONOSTANTE small cap e value siano 15 anni che sono sotto il mercato. Se momentum e quality vivessero nei prossimi 15 anni quello che value e small cap hanno vissuto nei precedenti 15, questo portafoglio rischia di prendere sberle severe.
– DUBBIO NUMERO TRE: questo portafoglio è affascinante, lo ammetto.
Si vede che non è la classica cagata buttata lì dal gestore italiano medio intervistato dal Corriere o dal Sole 24 ore che dice che il mercato azionario è caro e quindi è meglio comprare Bund e BTP.
Si vede che c’è studio e preparazione e che c’è un ragionamento dietro.
Ma al netto di questo stiamo dicendo che per qualche motivo pensiamo che QUESTA specifica allocazione possa battere il mercato. E questa è la cosa che mi fa più paura.
Cioè non è un portafoglio fondamentalmente market cap weighted con un po’ di inclinazione fattoriale. È proprio un portafoglio composto in maniera del tutto arbitraria. È una scommessa sul fatto che questo portafoglio sia meglio che comprare tutto il mercato e investire in maniera passiva copiando gli indici.
Questo invece è investimento attivo.
Senza stock picking.
Ma attivo.
E questa cosa, concettualmente, è ciò che fatico di più a digerire perché mi verrebbe da chiedere quali informazioni penso di avere io che invece il mercato non ha per pensare di poter battere il mio benchmark semplicemente usando fattoriali invece che gli indici generali.
Secondo il consulente il rendimento atteso a 20 anni di questo portafoglio, che vi ricordo è formalmente un 60/40, è di quasi l’8% all’anno.
Tanti auguri amico mio, ti auguro davvero di far fare al tuo cliente questa performance da urlo.
Oggi però, come vedremo anche alla fine dell’episodio, una stima ragionevole per un 60/40 è più nell’ordine del 6%: 8% sull’azionario per 60% + 3% sull’obbligazionario per 3% = 4,8 + 1,2 = 6%.
Pensa di fare il 30% in più solo mettendo insieme 4 etf fattoriali invece che seguire il mercato, boh, fosse così semplice avrei già letto qualche paper in merito no?
Cmq molto legato a questo viene il
– DUBBIO NUMERO QUATTRO: Il consulente spiega che oggi l’azionario americano è sopravvalutato e in effetti il suo portafoglio sottopesa l’America, circa 46% rispetto al classico 60% del FTSE All World.
Anche qui.
Ok.
Verissimo. Ne abbiamo parlato mille volte.
Ma detto questo: che informazioni hai tu che il mercato non ha? Se fosse così scontato che sottopesare gli Stati Uniti dia un rendimento atteso superiore, allora il mercato dovrebbe già prezzare questa cosa. No? Ma così non è.
Inoltre, ho letto uno studio di JP Morgan del 2014 che diceva che la prospettiva per i successivi 10 anni degli Stati Uniti sarebbe stata di un 5-6% di crescita all’anno. Sappiamo che l’S&P 500 avrebbe fatto invece oltre il 12%.
Quindi tutto giusto, ma chissà quando gli Stati Uniti cominceranno davvero ad arretrare.
E voi potreste ribattere: sì ma anche il portafoglio di Ben sottopesa gli Stati Uniti al 40%.
Vero.
Ma lì si basa più sull’idea di investire il 30% nel mercato domestico e poi avere un’allocazione geografica che replica il market cap globale sul resto, e in effetti tolto quel 30% di Canada (su cui poi ci sono anche agevolazioni di natura fiscale che rendono conveniente l’investimento locale) la parte restante riproduce più o meno un azionario globale.
Cioè tolto il Canada, nella parte restante Ben attribuisce quasi il 60% agli Stati Uniti, l’11% agli emergenti e il restante 30% al resto del mondo sviluppato.
Qui invece abbiamo due scommesse arbitrarie: una sull’allocazione geografica e un’altra sulla spinta fattoriale.
Può funzionare benissimo eh, intendiamoci.
Ma come questa, qualunque altra combinazione di portafoglio potrebbe funzionare altrettanto bene.
Insomma, per come la vedo io: troppo poco Pizza Margherita da 9 €, troppo Pizza gourmet strafarcita da 22 €.
Torniamo al portafoglio di Ben e diciamo un’ultima cosa prima di chiudere.
Come dicevamo, quel portafoglio è solo azionario.
Ma Ben non raccomanda quasi a nessuno di investire solo in azionario.
Uno potrebbe dunque prendere quel portafoglio, o la sua versione europea, aggiungere la parte obbligazionaria che desidera e riproporzionare le percentuali.
Nel dubbio, diciamo che la cosa più plain vanilla del mondo è un ETF su obbligazioni governative europee con scadenze intermedie senza complicarci troppo la vita.
Ben fa qualche stima sul rendimento che ci si potrebbe aspettare (perlomeno dal punto di vista di un Canadese) in base a quante obbligazioni andremmo ad aggiungere al suo portafoglio factor tilted.
Per esempio con un 60/40 fatto in questo modo il rendimento atteso è di circa il 6%.
Con un 70/30 andiamo al 6,5% mentre con un 80/20 saliamo al 7%.
Sono stime un po’ conservative ma abbiamo già detto in episodi passati che Ben Felix è un fermo sostenitore del fatto che il rendimento azionario futuro sarà inferiore al passato per tutta una serie di motivi, come ad esempio:
– Il fatto che la crescita azionaria degli ultimi 40 anni sia dovuta principalmente alla crescita delle valutazioni; cioè i prezzi sono cresciuti più velocemente degli utili e infatti il price/earning ratio, in particolare delle società americane, è salito notevolmente negli ultimi anni, facendo così prospettare rendimenti futuri inferiori;
– Poi abbiamo il fatto la semplificazione del trading, l’introduzione degli ETF, i bassi costi per investire e tutto il resto hanno contribuito a ridurre il risk premium; se l’investimento azionario è considerato meno rischioso, inferiore sarà quindi il premio che il mercato sarà disposto a remunerare per chi investe in azioni;
– Infine abbiamo una possibile regressione verso la media dopo 15 anni di corsa sfrenata.
Giusto o sbagliato che sia, meglio settare al ribasso le aspettative e poi avere una sorpresa positiva che il contrario.
In effetti però i dati sembrano robusti.
Ome dicevamo prima se l’azionario globale ha reso in media l’8% all’anno e noi facciamo un portafoglio 80/20, ipotizzando un rendimento del 3% all’anno sulla parte obbligazionaria abbiamo:
– 6,4% sulla parte azionaria (8%*80%) Più
– 0,6% sulla parte obbligazionari (3*20%)
Che fa esattamente 7%, quello che il buon Ben suggerisce.
Detto questo, tiriamo le estreme conclusioni di questo episodio.
Il suo obiettivo non era farvi investire in un portafoglio come quello di Ben, in quello alla Meb, in quello del consulente di cui abbiamo parlato o in altro.
Per come la vedo, ogni diversione da un indice standard come l’MSCI All World presuppone che abbiate una precisa idea in mente e che riteniate che quest’idea sia migliore delle idee che il resto del mercato ha.
Potreste prenderci, ma ricordate sempre che è tutt’altro che scontato.
L’obiettivo era farvi vedere un’applicazione concreta di un’inclinazione fattoriale del portafoglio, su che fondamenta teoriche si basa e che in modo può contribuire alla performance del portafoglio, ivi compresi i rischi intrinseci che comporta.
E scoraggiarvi dal far su una zuppa di mille ETF strani, perché il risultato che viene fuori poi è, come dice un noto economista bolognese, un “mappazzone”.
Ringrazio Bruno Barbieri per la partecipazione a quest’episodio.
Quindi sappiate queste due cose:
– UNO: l’investimento fattoriale può incrementare il rendimento del portafoglio, pur a condizione di assumersi un maggior rischio e in generale di avere un lungo e paziente orizzonte temporale;
– DUE: investire market cap weighted, seguendo un indice globale senza farsi troppe pippe mentali, probabilmente andrà bene per il 90% degli investitori.
Con questa morale da quattro soldi ci avviamo alla fine anche di questo centosedicesimo episodio.
Ringrazio lo sponsor di questa puntata 4books, la piattaforma per ascoltare migliaia di audioriassunti in 15 minuti ciascuno dei più importanti libri mai scritti in tutti i principali ambiti dell’umana conoscenza.
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Già solo che avete appena avuto mezzo pensiero di abbonarvi siete già diventati più intelligenti. Figuratevi se lo fate davvero e vi audioleggete due libri al giorno.
Grazie invece come sempre a tutti voi che siete ancora qui ad ascoltarmi e che puntualmente ogni domenica e mercoledì — e a dire il vero pure tutti gli altri giorni — avete questa folle idea di passare del tempo insieme a me.
Sappiate che è un onore il fatto che decidiate di investire proprio il vostro asset più prezioso, il vostro tempo, nell’ascolto di questo sgangherato podcast registrato in mezzo ai peluche di mia figlia.
Prima di lasciarci vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi spiegano che il prosciutto crudo sulla pizza non si mette se c’è il sugo di pomodoro che diventa acido e dicono anche due cose su come fare portafogli fattoriali senza che assomiglino ad un casatiello sotto anabolizzanti sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con la 117esima tappa del nostro percorso di ascesa verso l’olimpo della consapevolezza finanziaria, che in confronto le 12 case attraversate dai Cavalieri dello Zodiaco erano una scampagnata, sempre qui, naturalmente con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Quanto mi piace parlare di asset allocation, studiare i portafogli, fare test e analisi alla spasmodica ricerca del portafoglio perfetto!
Chi mi segue da 116 episodi sa bene che il mio passatempo preferito è mettermi a fare i backtest con portafogli di ogni genere nella segreta speranza di trovare il Sacro Graal degli investimenti e trovare così la formula definitiva di un portafoglio onnipotente.
Probabilmente questa cosa non succederà mai — e forse è pure un bene perché il giorno che trovo il portafoglio per eccellenza, poi non so più cosa fare e mi tocca mettermi a fare un podcast di cronaca nera pure io per continuare a star là in alto nelle classifiche di Spotify e Apple Podcast.
Tra l’altro, grazie per le oltre 5.000 recensioni 5 stelle su Spotify, siamo gli unici nella top ten Italia che hanno ancora questo rating immacolato.
Sperando di non farvi cambiare idea in merito, oggi proseguiamo il nostro viaggio di accrescimento dell’italica consapevolezza finanziaria trasferendoci in Canada e facendo un episodio dedicato ad uno dei più amati creator di Finanza Personale, ossia Ben Felix, portfolio Manager e Head of Research presso la società di consulenza finanziaria PWL Capital.
Creator poi è riduttivo.
Ben è un Ingegnere Meccanico, con Master in Finanza, MBA, CPA, CFA e per un pelo non diventava pure NBA visto che al college giocava pure a Basket ad alto livello.
Ben Felix lo citiamo abbastanza spesso e come sapete si è conquistato una meritatissima fama internazionale grazie al suo podcast e canale youtube Rational Reminder in cui, assieme al suo collega Cameron Passmore, parla di investimenti basati su numeri, analisi e soprattutto tanto buon senso, senza la pretesa di vendere cialtronate o sedicenti metodi miracolosi per fare i soldi velocemente.
Il livello non è esattamente basic, diciamo che è una versione evoluta elevata al cubo delle cose di cui parliamo qui, oltre al fatto che è talmente autorevole che ha potuto vantare come ospiti premi Nobel come Eugene Fama, superstar come Morgan Housel o personaggi del calibro di Burton Malkiel, l’autore del celeberrimo A Random Walk down Wall Street, e tanti tanti altri.
E sti cazzi ? (de sica)
Eh mo ci arriviamo.
Oggi vi voglio parlare del suo Model Portfolio, un portafoglio modello che mette insieme il suo eminente punto di vista su temi come:
– L’allocazione geografica;
– L’inclinazione fattoriale e
– Il rendimento che realisticamente ci si potrebbe aspettare oggi, epurato delle fregnacce che si sentono dire in giro.
In più ci sono altri due spunti che mi hanno portato a fare questo episodio.
Il primo viene da uno di voi che mi ha mandato un esempio di portafoglio fatto da un consulente finanziario, fortunatamente fatto solo di ETF, che però, come dire, secondo me aveva fatto un’overdose di ETF fattoriali e gli era scappata un po’ la mano.
Come vedremo il portafoglio di Ben ha un tilt fattoriale che tocca però un sesto della parte azionaria del portafoglio, non il 70% come in quel caso.
E capiremo perché.
E poi, dopo l’episodio 113, un ascoltatore ha scritto in una recensione che l’episodio sui fattoriali era stato ridicolo e che non ci capisco una cippa sull’argomento.
Non ha scritto il motivo, quindi se non ha smesso di ascoltarmi lo invito ad approfondire il commento, altrimenti non so come colmare le lacune che questo ascoltatore deve aver rilevato.
Ragazzi scrivete quello che vi pare dove vi pare, ricevo sempre commenti quasi esclusivamente positivi che mi riempiono il cuore di gioia, però sono soprattutto le critiche che permettono di migliorare.
Quindi criticate fino a consumarvi i polpastrelli, ma non dite “mi ha fatto cagare il tuo episodio” punto, ditemi “mi ha fatto cagare perché hai sbagliato questo questo e questo”, sennò come faccio a sapere se davvero c’era qualcosa da sistemare nell’episodio o se semplicemente quel giorno ti sei svegliato male e te la sei presa con il primo podcaster improvvisato a caso?
Tra l’altro, niente di personale perché il 99% di quello che dico qui non riflette le mie idee, ma è tutta roba che prendo da altre parti.
Come sapete io sono come un collettore di idee intelligenti partorite da altri.
Nel caso di quell’episodio mi ero basato su alcuni paper fatti da gente ben più preparata di me, quindi nel caso prendetevela con loro.
Comunque sia, nel dubbio intanto vediamo il portafoglio di Ben che è un buon esempio di come uno potrebbe inserire ETF fattoriali nel proprio e poi vedremo anche un paio di versioni per Europei che manin manella ho preparato così avete anche la pappa pronta se volte cimentarvi con qualcosa del genere da questo lato dell’Atlantico.
Almeno su Ben Felix sono certo non ci sia nulla da ridire.
Quindi, menu del giorno:
– Breve recap su cosa sia il factor investing
– Portafoglio modello di Ben Felix
– Versione europea del portafoglio modello con una serie di colpi di scena interessanti e infine
– Boh, non lo so ancora, quando arrivo a scrivere la fine dell’episodio tireremo qualche conclusione e dirò due o tre scemenze come al solito.
Prima di cominciare, concedetemi 60 secondi per ringraziare 4books, sponsor dell’episodio di oggi.
4books è la piattaforma realizzata da Marco Montemagno che ospita audioriassunti di circa 15 minuti ciascuno di migliaia di saggi in praticamente ogni ambito dello scibile umano, come Business, Marketing, Scienza, Cucina, Fitness, Meditazione, Cura dei figli (molto utile questo, ve lo dico per esperienza personale una volta scoperto che quando ti nasce un figlio non te lo danno con il tutorial) e tanti altri tra cui naturalmente Soldi e Investimenti.
Alla domenica e al mercoledì esce The Bull, gli altri giorni che invece non sapete cosa fare perché dopo aver sentito The Bull non volete più ascoltare altri podcast, potete farvi un paio di audioriassunti al giorno e ridendo e scherzando in un batter d’occhio diventerete degli esperti di teoria delle stringhe o di come fare correttamente la panca piana mentre scrivete un piano di marketing che Philip Kotler spostati per la vostra ultima start-up.
Solo ed esclusivamente per gli amici di The Bull, nella descrizione di quest’episodio trovate un link che vi permette di avere 7 giorni di 4books gratis e poi se vi piace l’abbonamento annuale sarà scontato del 30%, ossia 69,99 euro anziché 99,99.
Se usate il link chi vi sta parlando percepirà direttamente dall’iban personale di Montemagno una corposa commissione che tra l’altro casca a pennello che tra un po’ arrivano le ferie e quest’anno andare in 3 per 10 giorni ad agosto in un qualunque posto al mare in Italia costa come un mese alle Seychelles.
Molto bene, ora che ci siamo presi cura della vostra cultura personale, veniamo ai vostri strampalati investimenti.
Partiamo dal discorso del factor investing, breve recap.
Per farla breve, ormai è stato detto in tutte le salse del mondo che è quasi impossibile ottenere ciò che viene chiamato alpha, ossia un extra rendimento del portafoglio di natura idiosincratica, cioè basato su specifiche scelte del gestore che pesca certe azioni invece di altre rispetto al suo mercato di riferimento.
Per chi avesse dubbi, si guardi lo Spiva scorecard del 2023 e ancora una volta constaterà che oltre il 95% dei fondi attivi non è in grado di battere il proprio benchmark.
Il solito Eugene Fama assieme a Kenneth French mise però insieme un modello negli anni ’90, chiamato modello a tre fattori, che in pratica spiegò che esiste la possibilità di ottenere un extra rendimento sistematico per un portafoglio, basato sull’utilizzo dei cosiddetti fattori.
In particolare, Fama e French formalizzarono il fatto che le società più piccole, le Small Cap, tendono ad avere un rendimento medio superiore alle Large Cap mentre le società Value, quelle con un rapporto tra book value e market cap più alto, tendono a battere il resto del mercato.
I due fattori nel paper originale erano chiamati SMB, che stava per Small Minus Big, quindi piccole meno grandi, e HML, ossia High minus Low, quindi alto book value meno basso book value.
Questi due valori differenziali esprimono quindi l’extra rendimento sistematico dei due fattori rispetto al mercato.
Oggi ai due fattori originali Size e Value, si sono aggiunti anche Momentum, Quality, Dividend e Low Volatility.
Adesso non ritorno su tutta la disamina, riascoltatevi nel caso l’episodio 113, comunque basti sapere che se prendiamo per esempio l’indice MSCI world e lo confrontiamo con i suoi sottoindici fattoriali, ossia sei sottoindici che selezionano solo le società che rispondo a questi 6 fattori, tutti i 6 sottoindici hanno una performance storica di lungo periodo superiore all’indice generale.
I motivi per cui non è necessariamente una buona idea investire tout court in uno di questi per provare a battere il mercato li abbiamo visti sempre in quell’episodio e che potremmo riassumere in questo modo:
– UNO: un conto è la teoria (e i rendimenti del passato) e un conto è la pratica;
– DUE: i fattoriali sono mediamente più volatili, quindi tendono a sovraperformare nel lungo termine ma espongono al rischio di sequenza nel medio;
– TRE: cosa più importante, se fosse così semplice lo farebbero tutti.
Allora partiamo dall’amico ascoltatore che mi ha fatto vedere la proposta che gli era stata avanzata.
A parte il pastrocchio di 15 ETF che gli ha messo insieme il consulente, in sé e per sé non è che il portafoglio fosse “sbagliato”.
Certo, molto molto aggressivo, ma se compatibile con le esigenze dell’investitore va benissimo.
Dico aggressivo perché alla fine sulla carta sembrava un 60/40, che di per sé non sarebbe aggressivo, ma con dentro roba molto spinta, ad esempio:
– Il 40% è fatto di ETF fattoriali (Momentum, Quality, Small cap e Value), mentre il restante 20% azionario era distribuito tra un 5% di globale e un 15% di emergenti;
– Poi c’era un circa 15% di obbligazioni governative ultralunghe (sopra i 25 anni, che sono ipersensibili alle variazioni dei tassi di interesse)
– E poi c’era un altro 5% di Treasury che, va bene che sono Treasury, ma essendo in dollari c’è un rischio intrinseco nel cambio che fa un po’ venire meno il discorso di avere obbligazioni per puntellare la parte azionaria.
Il resto ok c’era un po’ di oro, obbligazioni inflation linked e governative intermedie.
Ora, niente da dire in sé.
Però non è esattamente un 60/40 questo.
I fattoriali hanno caratteristiche particolari ed espongono il portafoglio ad un’ampia volatilità, quindi serve un bello stomaco per sopportare quest’allocation.
Inoltre c’è un altro fatto: questa è di fatto una gestione attiva. Può benissimo avere successo, ma scegliere di assegnare determinati pesi a Momentum, Quality, Small Cap e Value nel portafoglio, oltre a tutto il resto, è del tutto arbitrario.
E’ come dire: questo consulente suppone di aver individuato una combinazione di asset che dovrebbe performare meglio rispetto al mercato.
Che è esattamente ciò che non riesce quasi mai a nessuno.
Non dico che non succederà.
Dico solo che costruire il portafoglio in questo modo presuppone una precisa decisione di discostarsi dalla composizione del mercato sulla base della convinzione che facendo così sia meglio e porti a risultati migliori.
Richiamo un esempio già fatto in passato.
È un po’ come la pizza.
Obiettivamente la pizza è una delle cose più buone del mondo.
Però la pizza è acqua, farina, lievito (lievito madre se volete fare i fighi), sale, olio, pomodoro e mozzarella.
Aggiungere la spianata calabra o i datterini gialli può dare quel quid in più come i fattoriali nel portafoglio.
Se però voglio aggiungere il crudo di parma 24 mesi devo togliere il sugo e mettere eventualmente i pomodori freschi (mi raccomando: diffidate delle pizzerie che vi mettono il crudo sul sugo, non si fa).
Così come se voglio aggiungere altri ingredienti dovrò equilibrare togliendo qualcos’altro.
Se invece ordino una margherita con sopra il crudo, i funghi, la provola, il mascarpone, i fiori di zucca fritti, la tartare di Fassona e il Guacamole, tutti ingredienti che presi per se sono eccezionali, il risultato, come potete immaginare, sarà una vera merda.
Idem con i portafogli.
Se fate un minestrone di tutto non è che estraete il meglio di ogni ingrediente.
I fattoriali servono per dare un’inclinazione al portafoglio, un titl come si dice, cercando di ottenere un extra-rendimento sistematico senza comprometterne la struttura, il backbone.
Anche perché l’obiettivo di un portafoglio non è riempirlo di ETF sotto steroidi e poi sperare che tra 30 anni abbia fatto il botto.
L’obiettivo è cercare di dargli un’impostazione adeguata agli obiettivi che man mano questo portafoglio dovrà aiutarmi a realizzare nella vita.
Vediamo quindi un portafoglio con una leggera inclinazione fattoriale come potrebbe essere fatto — e affidiamoci quindi a sua Saggezza Benjamin Felix.
Ben Felix sceglie di aderire al modello originario di Fama e French e di dare un’inclinazione fattoriale al suo portafoglio verso i fattori Size (quindi Small Caps) e Value (quindi società con un alto book value, un alto valore patrimoniale netto rispetto alla loro capitalizzazione di mercato).
Attenzione che il portafoglio che stiamo per mostrare è 100% azionario.
Questo non vuol dire che lui proponga questo tipo di allocazione, ma propone questa allocazione per la parte azionaria del portafoglio.
Poi vediamo aggiungere le obbligazioni cosa comporta.
Allora, il suo portafoglio è fatto così, tutto attraverso ETF:
– 30% di mercato azionario Canadese (eh lui è canadese e i canadesi piace investire nel mercato di casa loro);
– 30% di total stock market Americano (ossia tutto il cosiddetto Russell 3000, non solo l’S&P 500 ma tutte le 3.000 e qualcosa società quotate negli Stati Uniti, così da mettere dentro anche un pochino di Small Caps, posto che comunque l’S&P peserà per più del 90% del totale).
– Poi 16% MSCI EAFE, che sta per Europa, Australasia e Far East, in pratica tutto il mondo sviluppato tranne il nord America.
– Quindi 8% di Mercati Emergenti e a sto punto arrivano i fattoriali:
– 10% di Small cap value Stati Uniti (quindi società a bassa capitalizzazione con in più un alto valore contabile rispetto al prezzo di mercato) e infine
– 6% di Small cap value dei Paesi sviluppati extra Stati Uniti.
Ben Felix costruisce quindi un portafoglio in cui solo il 16% della parte azionaria è basata su fattori.
Il resto segue fondamentalmente un indice market cap weighted con un certo sovrappeso del mercato domestico.
Felix ce l’ha sta cosa del 30% sul mercato domestico, cosa di cui aveva discusso anche nel celebre episodio con Scott Cederburg, quel professore che ha scritto il paper più letto dell’anno in cui in pratica diceva che il portafoglio meno rischioso per andare in pensione sarebbe 100% azionario.
Cederburg diceva: 50% mercato domestico e 50% internazionale, mentre Felix fa giustamente notare che un conto è se il tuo mercato domestico sono gli Stati Uniti, un altro è se è il Canada, un altro ancora è se l’Olanda (e io aggiungerei pure l’Italia, anche se Ben non si sogna nemmeno di citarla).
Quindi lui propende per un più ragionevole 30% mercato domestico e 70% internazionale, più o meno market cap weighted.
Allora, vediamo intanto come è andato questo portafoglio e poi passiamo alla parte più interessante, ossia alla sua versione europea che ho messo assieme esclusivamente per voi, care amiche e cari amici di questo spazio dove mischiamo pizze e portafogli come se Sorbillo aprisse un ristorante in Piazza Affari.
I dati che ci dà Ben Felix vanno dal 2000 al 2020, poi ho integrato io con Portfolio Visualizer fino al 2024.
Diciamo che il periodo non è dei migliori per fare un back test perché partire proprio con il decennio perduto può essere un po’ fuorviante.
Comunque in questi 24 anni il portafoglio di Ben Felix avrebbe fatto circa un 6,26% all’anno.
Nello stesso periodo il mercato azionario Americano avrebbe fatto il 7,2%.
Mentre un portafoglio allocato più o meno allo stesso modo, quindi 30% Stati Uniti e il restante 70% sul mercato azionario globale avrebbe fatto circa un 5,3%.
Quindi questo portafoglio avrebbe reso circa un punto percentuale in più all’anno grazie alla spolverata di tilt fattoriale verso le realtà small cap value, ovviamente al costo, tra virgolette, di una maggiore deviazione standard e questa cosa è coerente con il modello del Capital Asset Pricing Model: per avere un rendimento maggiore, in linea di principio bisogna esporsi ad un rischio maggiore e il rischio è espresso esattamente in termini di deviazione standard.
Ora, tutto bello però di come investono in Canada ci interessa il giusto.
Li amiamo per quella loro straordinaria invenzione che è lo sciroppo d’acero da mettere sui pancake, ma per quanto riguarda i portafogli di investimento invece guardiamo a casa nostra.
Allora ho ricreato una versione per Europei del portafoglio di Ben, sostituendo il 30% che lui mette sul Canada non con l’Italia, non scherziamo dai!, ma con l’indice MSCI EMU, ossia l’indice di MSCI che replica le società dell’area Euro.
Anche l’Eurostoxx 50 poteva andare bene, ma probabilmente sarebbe stato troppo concentrato sulle large cap.
Il portafoglio viene fuori così.
– 30% S&P 500 o MSCI US, che è un po’ più grande ma non cambia praticamente niente.
– 25% MSCI EMU (e voi chiederete perché non 30%? Eh perché un po’ di Europa ce l’abbiamo anche nel prossimo ETF)
– 21% di MSCI World ex US (che ho ottenuto con il nuovo ETF di Xtrackers con ticker EXUS);
– Poi 8% di Mercati Emergenti e quindi i due fattoriali
– 10% di Small Cap Value Stati Uniti e
– 6% di Small Cap Value Europa.
Questo portafoglio si può effettivamente fare, gli strumenti ci sono tutti.
L’unica cosa è che EXUS, così come i due fattoriali Small Cap Value, sono ETF piuttosto piccoli.
Non piccolissimi, ma nessuno arriva neanche a 500 milioni.
Comunque, diciamo che gli ETF ci vanno bene così, come avrebbe performato un portafoglio di questo tipo negli ultimi 30 anni?
Devo dire che mi ha sorpreso!
L’ho confrontato con un banale portafoglio sull’azionario all world, quindi sviluppati più emergenti, una cosa replicabile con un classico Vanguard FTSE All World, e devo dire che il portafoglio di Ben Felix se lo sarebbe mangiato vivo.
Dal 1994 ad oggi:
– L’Azionario Globale ha fatto, per un investitore Europeo, il 7,93% all’anno;
– Il model portfolio per Europei di Ben ha fatto invece il 9,18%.
Se vi sembra poca roba, i soliti 10.000 € investiti all’inizio oggi sarebbero diventati ben 133.000, quasi 40.000 in più che non investendo nell’azionario globale.
Vediamo invece come sarebbe andata investendo un po’ per volta, come farebbe un normale investitore che mette nel proprio portafoglio un po’ di soldi ogni mese.
Diciamo 250 € al mese e il risultato finale sarebbe stato:
– 340.000 € con l’azionario all world mentre
– 380.000 € con il portafoglio di Ben.
Se guardiamo il tasso interno di rendimento, che è il modo per calcolare il rendimento di un investimento quando ci sono i flussi di cassa, parliamo di 8,2% di rendimento medio annuo del portafoglio di Ben contro il 7,7% di quello All World.
Chiaramente la differenza si assottiglia se investo un po’ per volta perché l’extra rendimento del portafoglio di Ben deriva dallo sfruttamento, per così dire, della volatilità positiva dalle Small Cap Value.
Se però faccio un PAC, la volatilità in qualche modo è attenuata dal fatto che nel mio portafoglio verserò i soldi un po’ per volta mediando gli sbalzi del mercato.
Interessante comunque.
Preso dall’entusiasmo ho fatto qualche altro backtest, perché mi sono detto, magari è così su 30 anni, dal 94 ad oggi, ma vediamo su altri orizzonti temporali come sarebbe andata.
Il primo backtest allora l’ho fatto dal 2000, inizio del decennio perduto, ad oggi.
Il risultato è stato ancora nettamente a favore del portafoglio di Ben: 6,2% di rendimento medio annuo, contro il 5,2% dell’azionario all world.
In questo caso, invece, immaginando un investimento fisso mensile sempre di 250 € lungo tutto il periodo la differenza sarebbe minima: 5,19% Ben, 5,03% l’azionario all world.
Minima ma non irrilevante.
Questi miseri 0,16 punti percentuali di differenza di rendimento ogni anno, in 24 anni fanno oltre 9.000 € di guadagno in meno per l’azionario globale.
Quando diciamo che i costi contano, ecco sappiate che anche uno 0,2% può fare una differenza madornale.
Ricordatevelo la prossima volta che vi verrà in mente di comprare qualche ETF con TER allo 0,5% (per non parlare di quando qualcuno vi proporrà un fondo al 2%, ma va beh, do per scontato che dopo 116 episodi abbiate capito che NON SI INVESTE IN ROBA CHE COSTA IL 2% ALL’ANNO, neanche se è Warren Buffett in persona a gestirvi i soldi).
Il secondo backtest invece l’ho fatto proprio lungo il decennio perduto, 2000-2009, e lì era facile immaginarsi il risultato nettamente a favore di Ben:
– Azionario globale in negativo di oltre il 2% all’anno;
– Portafoglio di Ben sostanzialmente in pari.
Facendo il PAC, invece:
– Azionario globale leggerissimamente in positivo mentre
– Portafoglio di Ben che fa un mediocre 1% all’anno, ma pur sempre in profitto nonostante tutto il mondo cadesse in frantumi.
Allora mi sono detto, va beh, guardiamo gli ultimi 10 anni, gli anni del super exploit dell’S&P 500 che ha battuto tutti e che tanto ha fatto soffrire Meb Faber come abbiamo raccontato nello scorso episodio.
In effetti negli ultimi 10 anni (per la precisione ho fatto da maggio 2014 a maggio 2024), l’azionario globale avrebbe fatto meglio del portafoglio di Ben.
– Azionario All World 10,7%
– Portafoglio di Ben 10,1%
E anche in caso di PAC vincerebbe il globale, benché di pochissimo.
Ecco, qui abbiamo una prima lezione importante sul discorso dei fattoriali.
Premesso che fare “solo” 10,1% all’anno invece che 10,7% sarebbe davvero l’ultimo dei problemi sulla Terra, comunque si tratta di un lungo periodo di sottoperformance.
Dopo dieci anni che il tuo portafoglio super raffinato fa peggio del portafoglio fatto con un solo ETF senza sbatti del tuo vicino saresti ancora dell’idea di tenere botta sul discorso fattoriale o smantelleresti tutto?
Bisogna essere consapevoli di questa cosa.
Il rendimento atteso di un portafoglio con un’inclinazione fattoriale è teoricamente superiore a quello del suo mercato. Ma aggiungendo del rischio in più — poiché nel caso non fosse ancora chiaro aggiungere un fattore porta più rendimento perché porta anche più rischio — dicevo aggiungendo del rischio in più serve tipicamente più tempo perché la strategia paghi.
Un esempio classico.
Se confronto l’MSCI World Value con l’MSCI World generale, negli ultimi 50 anni ha portato quasi 0,5 punti percentuali all’anno di rendimento in più.
L’effetto cumulativo di uno 0,5% in più ogni anno è mastodontico.
Se avessi investito i canonici 10.000 dollari del 1974 nei due indici, quello generale varrebbe oggi circa 1 milione e 600.000 dollari, mentre quello value poco più di 2 milioni.
400.000 $ in più solo per via di questo misero 0,5%.
Però non va sempre così.
Se prendiamo invece gli ultimi 10 anni, Value è sotto al MSCI World generale di ben 3 punti percentuali all’anno.
In realtà anche partendo dal 2009 ad oggi, Value e Small Cap sembrano aver perso la loro capacità di generare extra rendimento.
Ma questa è una caratteristica propria dell’investimento fattoriale.
In teoria funziona, sempre al netto del rischio di sequenza, ma serve in media un orizzonte temporale piuttosto lungo perché dia i suoi risultati.
Comunque, se vi piace tutto questo bel portafoglio alla Ben Felix e volete farvelo per gli affari vostri ma avete qualche reticenza ad utilizzare quei due micro ETF fattoriali sulle Small Value americane ed europee c’è un modo per aggirare la cosa, che consiste nel prendere un ETF sull’azionario globale Value e un ETF sull’azionario globale Small Cap.
Non è proprio lo stesso, ma i risultati non sono così distanti l’uno dall’altro.
Se invece, comprensibilmente, non volete usare il piccolo ETF di Xtrackers MSCI World ex US, potete fare così:
– Circa 48% MSCI World
– Circa 28% di MSCI EMU
– Circa 8% di Emerging Markets
E poi il resto o con i due ETF Small Cap value o usando un MSCI Small Cap e un MSCI Value.
Bene, tutto eccitato per i risultati della trasposizione Europea del portafoglio di Ben, ad un certo punto mi è sorto un dubbio e mi sono chiesto: ma questa sovraperformance del portafoglio di Ben dal 1994 ad oggi è dovuta esclusivamente dal fatto di avere dentro dei fattoriali, oppure dipende anche dalla diversa allocazione geografica?
Perché in effetti l’azionario globale ha come sapete un 60% di Stati Uniti, circa un 28-30% di altri Paesi Sviluppati e la parte restante in Emergenti.
Il portafoglio di Ben non è proprio così, dato che assegna ben il 30% al mercato domestico (lui Canada, noi Unione Europea).
Allora mi sono detto, andiamo a vedere come funzionerebbe il portafoglio di Ben senza i fattoriali.
Quindi in pratica ho fatto questo portafoglio:
– S&P 37%
– MSCI EMU 30%
– MSCI World ex-US 25%
– Mercati Emergenti 8%
Cioè in pratica è lo stesso portafoglio di Ben, ma quel 16% assegnato ai fattoriali l’ho ridistribuito proporzionalmente sugli altri ETF dei paesi sviluppati.
Non ho toccato invece gli emergenti.
Altro backtest, come è andata?
È andata che negli ultimi trent’anni il portafoglio fattoriale di Ben avrebbe comunque fatto meglio, ma non così tanto meglio come rispetto all’azionario globale.
In particolare:
– Il portafoglio di Ben fattoriale avrebbe fatto, come detto prima, il 9,18% all’anno; mentre
– Il portafoglio di Ben senza i fattoriali avrebbe fatto l’8,68%, quando invece
– L’azionario globale avrebbe fatto il 7,93%.
Ora so che mi state ascoltando e senza vedere i numeri è un casino, provo a riassumere.
Abbiamo detto prima che il portafoglio di Ben negli ultimi 30 anni avrebbe battuto l’azionario globale di circa 1 punto virgola 25 ogni anno.
Ma di questo 1,25%, solo lo 0,5% è attribuibile ai fattori Small Cap e Value.
Il restante 0,75% dipende invece dalla diversa allocazione geografica.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che il portafoglio di Ben ha sì una significativa esposizione verso gli Stati Uniti, intorno al 40%, ma nettamente inferiore a quella dell’azionario globale che è verso il 60%.
Ricordiamo che il punto di forza dell’azionario globale degli ultimi 15 anni, ossia la strapotenza del mercato americano, è stato anche il suo punto di debolezza nel decennio precedente.
Quindi negli ultimi 30 anni un portafoglio composto al 30% da Unione Europea, circa 40% Stati Uniti, circa 30% altri mercati sviluppati e meno del 10% mercati emergenti avrebbe battuto un portafoglio 60% Stati Uniti, 30% Sviluppati e 10% emergenti.
Fatto curioso, dato che invece un portafoglio 100% Stati Uniti avrebbe schiacciato tutti quanti dal 1994 ad oggi, ma sappiamo che questo è dovuto principalmente alla mega sovraperformance degli ultimi 15 anni.
Dal 1994 al 2009 invece l’S&P sarebbe rimasto nettamente dietro al portafoglio di Ben.
Affascinante non trovate?
Questo portafoglio ha davvero una costruzione interessante e sembra avere mostrato una notevole resilienza in fasi molto diverse della storia recente, riuscendo a non perdere praticamente mai soldi anche in un decennio, 2000-2009, in cui l’S&P sarebbe arrivato a perdere il 40% del suo valore.
A sto punto ho deciso di fare un ultimo esperimento.
Memore del suggerimento di Meb Faber di dare un titl fattoriale verso Momentum e Value, invece che Small Caps, ho costruito lo stesso portafoglio di Ben ma al posto dei due fattoriali sulle Small Caps Value o usato un MSCI World Momentum e un MSCI World Value.
Vediamo i risultati anche qui, anche se in questo caso ho i dati solo dal 1997, non dal 1994.
Qui il risultato è quasi lo stesso:
– Portafoglio di Ben 7,88%;
– Portafoglio, che chiamiamo per comodità di Meb 7,66%
Un misero 0,2% di differenziale di rendimento.
Non ininfluente, ma neanche clamoroso.
Se facciamo un piano di accumulo, invece, il risultato si avvicina ancora di più.
Nel decennio perduto come sarebbe andata invece?
Qui Ben prende un po’ più il largo:
– Praticamente in pari il portafoglio di Ben;
– -1,1% all’anno il portafoglio di Meb.
Come prevedibile, anche in questo caso un investimento progressivo mensile avrebbe avvicinato di molto le due performance, che peraltro sarebbero diventate entrambe positive.
E negli ultimi 10 anni?
Qui vince Meb, sempre di poco, ma comunque parliamo di un 0,21% all’anno.
– 10,09% all’anno Ben;
– 10,3% all’anno Meb.
In caso di PAC invece farebbero lo stesso identico risultato preciso.
Prima di tirare qualche conclusione, sono andato a fare qualche backtest anche sul portafoglio che mi è stato segnalato, fatto da un consulente che andrà sottoposto ad antidoping per overdose di fattoriali.
Vi ricordate? C’erano tutti: Quality, Momentum e Small Cap Value.
Ho preso in considerazione solo la parte azionaria, per confrontarlo con gli altri portafogli.
Oh.
A guardare i risultati, niente da dire.
Batte il portafoglio di Ben praticamente in tutti gli orizzonti temporali considerati, quindi sia negli ultimi 25 anni, che durante il decennio perduto, che durante gli ultimi 10.
Negli ultimi 25 batte addirittura l’S&P 500 dandogli in media un bel punto percentuale ogni anno.
Solo negli ultimi 10avrebbe fatto esattamente come Ben e, come tutti, avrebbe sottoperformato rispetto al MSCI World e all’S&P.
Comunque in generale sarà mica che alla fine c’ha ragione lui con questo portafoglio esplosivo?
Forse sì, forse no.
A me però restano i seguenti dubbi.
– DUBBIO NUMERO UNO: la parte azionaria di quel portafoglio è fatta da oltre un 20% di mercati emergenti. Davvero tanto e secondo me ciò si porta dietro una serie di rischi idiosincratici che vanno al di là di tematiche strettamente finanziarie. Avere oltre il 20% di Emergenti vuol dire che quasi il 10% del portafoglio è tra Cina e Taiwan, con tutto quello che può comportare.
E in generale hai comunque un 20% del portafoglio esposto a valute molto particolari.
– DUBBIO NUMERO DUE: La spinta fattoriale maggiore l’hanno data quality e momentum. Questi due fattori, piuttosto correlati tra loro, hanno fatto complessivamente molto bene negli ultimi tre decenni. Ma nulla vieta che possano in futuro attraversare un lungo ciclo di sottoperformance. Ricordiamo che il portafoglio di Ben ha fatto molto bene NONOSTANTE small cap e value siano 15 anni che sono sotto il mercato. Se momentum e quality vivessero nei prossimi 15 anni quello che value e small cap hanno vissuto nei precedenti 15, questo portafoglio rischia di prendere sberle severe.
– DUBBIO NUMERO TRE: questo portafoglio è affascinante, lo ammetto.
Si vede che non è la classica cagata buttata lì dal gestore italiano medio intervistato dal Corriere o dal Sole 24 ore che dice che il mercato azionario è caro e quindi è meglio comprare Bund e BTP.
Si vede che c’è studio e preparazione e che c’è un ragionamento dietro.
Ma al netto di questo stiamo dicendo che per qualche motivo pensiamo che QUESTA specifica allocazione possa battere il mercato. E questa è la cosa che mi fa più paura.
Cioè non è un portafoglio fondamentalmente market cap weighted con un po’ di inclinazione fattoriale. È proprio un portafoglio composto in maniera del tutto arbitraria. È una scommessa sul fatto che questo portafoglio sia meglio che comprare tutto il mercato e investire in maniera passiva copiando gli indici.
Questo invece è investimento attivo.
Senza stock picking.
Ma attivo.
E questa cosa, concettualmente, è ciò che fatico di più a digerire perché mi verrebbe da chiedere quali informazioni penso di avere io che invece il mercato non ha per pensare di poter battere il mio benchmark semplicemente usando fattoriali invece che gli indici generali.
Secondo il consulente il rendimento atteso a 20 anni di questo portafoglio, che vi ricordo è formalmente un 60/40, è di quasi l’8% all’anno.
Tanti auguri amico mio, ti auguro davvero di far fare al tuo cliente questa performance da urlo.
Oggi però, come vedremo anche alla fine dell’episodio, una stima ragionevole per un 60/40 è più nell’ordine del 6%: 8% sull’azionario per 60% + 3% sull’obbligazionario per 3% = 4,8 + 1,2 = 6%.
Pensa di fare il 30% in più solo mettendo insieme 4 etf fattoriali invece che seguire il mercato, boh, fosse così semplice avrei già letto qualche paper in merito no?
Cmq molto legato a questo viene il
– DUBBIO NUMERO QUATTRO: Il consulente spiega che oggi l’azionario americano è sopravvalutato e in effetti il suo portafoglio sottopesa l’America, circa 46% rispetto al classico 60% del FTSE All World.
Anche qui.
Ok.
Verissimo. Ne abbiamo parlato mille volte.
Ma detto questo: che informazioni hai tu che il mercato non ha? Se fosse così scontato che sottopesare gli Stati Uniti dia un rendimento atteso superiore, allora il mercato dovrebbe già prezzare questa cosa. No? Ma così non è.
Inoltre, ho letto uno studio di JP Morgan del 2014 che diceva che la prospettiva per i successivi 10 anni degli Stati Uniti sarebbe stata di un 5-6% di crescita all’anno. Sappiamo che l’S&P 500 avrebbe fatto invece oltre il 12%.
Quindi tutto giusto, ma chissà quando gli Stati Uniti cominceranno davvero ad arretrare.
E voi potreste ribattere: sì ma anche il portafoglio di Ben sottopesa gli Stati Uniti al 40%.
Vero.
Ma lì si basa più sull’idea di investire il 30% nel mercato domestico e poi avere un’allocazione geografica che replica il market cap globale sul resto, e in effetti tolto quel 30% di Canada (su cui poi ci sono anche agevolazioni di natura fiscale che rendono conveniente l’investimento locale) la parte restante riproduce più o meno un azionario globale.
Cioè tolto il Canada, nella parte restante Ben attribuisce quasi il 60% agli Stati Uniti, l’11% agli emergenti e il restante 30% al resto del mondo sviluppato.
Qui invece abbiamo due scommesse arbitrarie: una sull’allocazione geografica e un’altra sulla spinta fattoriale.
Può funzionare benissimo eh, intendiamoci.
Ma come questa, qualunque altra combinazione di portafoglio potrebbe funzionare altrettanto bene.
Insomma, per come la vedo io: troppo poco Pizza Margherita da 9 €, troppo Pizza gourmet strafarcita da 22 €.
Torniamo al portafoglio di Ben e diciamo un’ultima cosa prima di chiudere.
Come dicevamo, quel portafoglio è solo azionario.
Ma Ben non raccomanda quasi a nessuno di investire solo in azionario.
Uno potrebbe dunque prendere quel portafoglio, o la sua versione europea, aggiungere la parte obbligazionaria che desidera e riproporzionare le percentuali.
Nel dubbio, diciamo che la cosa più plain vanilla del mondo è un ETF su obbligazioni governative europee con scadenze intermedie senza complicarci troppo la vita.
Ben fa qualche stima sul rendimento che ci si potrebbe aspettare (perlomeno dal punto di vista di un Canadese) in base a quante obbligazioni andremmo ad aggiungere al suo portafoglio factor tilted.
Per esempio con un 60/40 fatto in questo modo il rendimento atteso è di circa il 6%.
Con un 70/30 andiamo al 6,5% mentre con un 80/20 saliamo al 7%.
Sono stime un po’ conservative ma abbiamo già detto in episodi passati che Ben Felix è un fermo sostenitore del fatto che il rendimento azionario futuro sarà inferiore al passato per tutta una serie di motivi, come ad esempio:
– Il fatto che la crescita azionaria degli ultimi 40 anni sia dovuta principalmente alla crescita delle valutazioni; cioè i prezzi sono cresciuti più velocemente degli utili e infatti il price/earning ratio, in particolare delle società americane, è salito notevolmente negli ultimi anni, facendo così prospettare rendimenti futuri inferiori;
– Poi abbiamo il fatto la semplificazione del trading, l’introduzione degli ETF, i bassi costi per investire e tutto il resto hanno contribuito a ridurre il risk premium; se l’investimento azionario è considerato meno rischioso, inferiore sarà quindi il premio che il mercato sarà disposto a remunerare per chi investe in azioni;
– Infine abbiamo una possibile regressione verso la media dopo 15 anni di corsa sfrenata.
Giusto o sbagliato che sia, meglio settare al ribasso le aspettative e poi avere una sorpresa positiva che il contrario.
In effetti però i dati sembrano robusti.
Ome dicevamo prima se l’azionario globale ha reso in media l’8% all’anno e noi facciamo un portafoglio 80/20, ipotizzando un rendimento del 3% all’anno sulla parte obbligazionaria abbiamo:
– 6,4% sulla parte azionaria (8%*80%) Più
– 0,6% sulla parte obbligazionari (3*20%)
Che fa esattamente 7%, quello che il buon Ben suggerisce.
Detto questo, tiriamo le estreme conclusioni di questo episodio.
Il suo obiettivo non era farvi investire in un portafoglio come quello di Ben, in quello alla Meb, in quello del consulente di cui abbiamo parlato o in altro.
Per come la vedo, ogni diversione da un indice standard come l’MSCI All World presuppone che abbiate una precisa idea in mente e che riteniate che quest’idea sia migliore delle idee che il resto del mercato ha.
Potreste prenderci, ma ricordate sempre che è tutt’altro che scontato.
L’obiettivo era farvi vedere un’applicazione concreta di un’inclinazione fattoriale del portafoglio, su che fondamenta teoriche si basa e che in modo può contribuire alla performance del portafoglio, ivi compresi i rischi intrinseci che comporta.
E scoraggiarvi dal far su una zuppa di mille ETF strani, perché il risultato che viene fuori poi è, come dice un noto economista bolognese, un “mappazzone”.
Ringrazio Bruno Barbieri per la partecipazione a quest’episodio.
Quindi sappiate queste due cose:
– UNO: l’investimento fattoriale può incrementare il rendimento del portafoglio, pur a condizione di assumersi un maggior rischio e in generale di avere un lungo e paziente orizzonte temporale;
– DUE: investire market cap weighted, seguendo un indice globale senza farsi troppe pippe mentali, probabilmente andrà bene per il 90% degli investitori.
Con questa morale da quattro soldi ci avviamo alla fine anche di questo centosedicesimo episodio.
Ringrazio lo sponsor di questa puntata 4books, la piattaforma per ascoltare migliaia di audioriassunti in 15 minuti ciascuno dei più importanti libri mai scritti in tutti i principali ambiti dell’umana conoscenza.
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Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica prossima con la 117esima tappa del nostro percorso di ascesa verso l’olimpo della consapevolezza finanziaria, che in confronto le 12 case attraversate dai Cavalieri dello Zodiaco erano una scampagnata, sempre qui, naturalmente con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
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Giulia N., 11 Ago 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai
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