Il rischio: il concetto chiave per ogni investitore
Ogni investimento nasconde un concetto imprescindibile: il rischio. In questo episodio di The Bull scoprirai perché non esiste rendimento senza rischio, come valutarlo in base alla tua situazione personale e perché saperlo gestire è la decisione più importante per ogni investitore. Una guida chiara per comprendere la relazione rischio/rendimento e impostare scelte di investimento più consapevoli.
Risorse
Punti Chiave
La decisione più importante è il livello di rischio che vuoi assumerti (relazione rischio/rendimento).
Diversificare elimina il rischio specifico; il rischio sistematico è remunerato dal mercato (premio al rischio).
I mercati sono efficienti: è quasi impossibile battere la media con scelte attive.
Meglio replicare il mercato con la diversificazione.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Nei video di questa playlist spiegheremo molti dei concetti di base che servono per orientarsi nel mondo della finanza personale e degli investimenti e non avere più l’espressione della nota mucca che fissa passare il treno.
Senza offesa eh.
Per la mucca dico…
Ok, non è che dopo questi video potrete aprire il vostro hedge fund, però vi assicuro che tanto basta per far passare chiunque da quella disarmante ignoranza media che ci ha posizionato dietro allo Zimbabwe a livello di competenza finanziaria nazionale al top 1% tra le persone più esperte di finanza in Italia che non si occupano di finanza per lavoro.
Nel corso di una manciata di video spiegheremo:
– Le asset class principali (obbligazioni, azioni, oro, materie prime e tutte le altre)
– Cosa sono gli ETF, che per chi vivesse in una caverna e non sapesse di che si tratta sono lo strumento ideale per un risparmiatore privato per investire i propri soldi
– Come costruire un portafoglio di investimento con tutti i sacri firmi e senza fare pirlate e infine
– Come fare tutto questo praticamente dal vostro pc o smartphone senza dover pagare qualcun altro. (anche se poi vi spiegherò anche in quali casi fareste bene a pagare qualcun altro per farvi aiutare)
Giurin giurella, tra poche ore — se vi sparate tutti i video di fila — vi sentirete delle persone nuove.
Prima però c’è una cosa fondamentale da spiegare.
Di solito la gente è interessata agli strumenti, ai prodotti, vuole sapere “ok ciccio, bello tutto, mi hai già convinto smaronandomi nei primi due video, non mi puoi semplicemente dire in cosa devo investire e basta?”.
Ecco vedi amico mio:
– Uno: non te lo dico perché che ne so chi sei, come sei fatto, cosa vuoi, cosa provi e ti assicuro che non me ne può fregare di meno saperlo, ergo: non posso darti consigli di investimento — anche perché tra l’altro se lo faccio finisco a guardare il mercato di Viale Papiniano ogni martedì e sabato da una finestre con le sbarre a San Vittore.
– Due: ti faccio un grande favore. Investire non è difficile, ma allo stesso è molto facile prendere la cosa sottogamba, fare cazzate e poi pentirsene amaramente. Questo video serve per evitare questa eventualità e per mettere in chiaro la cosa più importante che devi sempre avere in mente quanto investiti i tuoi sudati quattrini.
Questa roba qua è il RISCHIO.
Rischio è la parola più importante della finanza.
Quando lanciai The Bull 2 anni fa, all’inizio ne parlavo come fosse una cosa di contorno.
Col passare del tempo però — anche grazie al continuo scambio con tutti gli ascoltatori del podcast — ho capito che il concetto del rischio andava messo al certo, perché volenti o nolenti attorno a quello ruota tutto ciò che conta in finanza.
Ora, nell’ultimo video ci eravamo lasciati parlando di quella fregnaccia che mi sono inventato chiamata l’Equazione fondamentale della ricchezza.
Fregnaccia l’espressione ovviamente — perché l’ho inventata io.
Il contenuto invece non è mio e infatti quello non è una fregnaccia proprio per niente.
Cosa abbiamo detto.
La ciccia della questione di come fare soldi nell’ambito della finanza personale si riduce a tre sole cose:
– Il tempo che dedichi al tuo percorso di risparmio e investimento: prima inizi, maggiori sono i risultati;
– Il risparmio che riesci ad accumulare: più risparmi e investi, maggiore è l’effetto cumulativo nel tempo dei tuoi investimenti e infine
– Il rendimento dei tuoi investimenti; più rendono, più soldi fai — e se state pensando, grazie a sta cippa fate bene però, oh, del resto parliamo di finanza, mica di fisica quantistica.
Qui ci eravamo fermati perché avevamo detto una cosa.
Non è che mi posso svegliare una mattina e dire: “ma sai che c’è? Quest’anno voglio che il mio portafoglio renda il 20%. L’anno prossimo invece no, meno, voglio che renda il 10% – così — per restare umile”.
Cioè non funziona così.
Impareremo presto che ci sono strumenti che IN MEDIA rendono di più e altri che in MEDIA rendono di meno.
Ma è sempre tutto poco prevedibile, soprattutto nel breve periodo.
Quindi non posso decidere direttamente QUALE RENDIMENTO avrà il mio portafoglio.
Quello che posso invece decidere è esattamente l’altra faccia della medaglia, ossia: QUANDO RISCHIO SONO DISPOSTO AD ASSUMERMI.
Ed è qui che comincia il breve ma importantissimo viaggio dell’episodio di oggi.
Dunque adesso vi spiego tutta la storia della finanza dal 1952 ad oggi con tanto di paper accademici, equazioni, dati e …
Ah no?
Come dici?
Abbiamo già perso 100 iscritti?
Colpa mia!
Come non detto.
Allora niente pippone storico su come dei tizi alla Chicago University hanno iniziato a pensare sta roba 70 anni fa e andiamo direttamente alla roba pratica.
Fatemi dire solo una cosa.
Fino agli anni ’50 investire voleva dire “provare a capire quali fossero gli investimenti con il maggior rendimento atteso” e appunto investire in quelli.
Massimizzare il rendimento.
Nel 1952 però un signore di nome Harry Markowitz, che avrebbe poi vinto il Premio della Banca di Svezia per le Scienze Economiche in onore di Alfred Nobel, noto come Nobel per l’Economia anche se non è un vero premio Nobel, dicevo il signor Markowitz …
Così…
Di punto in bianco…
Praticamente inventò la finanza moderna.
Adesso, non vi sto ad annoiare con i dettagli, però lui mise insieme una serie di idee che oggi forse non sembrano la scoperta del secolo, ma che nel 1952 erano veramente rivoluzionare.
Allora,
PRIMA ROBA: gli investitori sono avversi al rischio.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che se uno deve scegliere tra investire in una cosa più rischiosa o in una meno rischiosa, a parità di rendimento, sceglierà quella meno rischiosa, no?
Poi in realtà noi siamo molto meno razionali di quel che pensiamo e non ci comportiamo proprio così.
Ma sulla carta penso che chiunque si ritrovi in questa idea.
Se posso, voglio ottenere il massimo rendimento possibile con il minimo rischio possibile.
Massimo rendimento con il minimo sforzo.
SECONDA COSA: ma cos’è il rischio in finanza?
Beh, ci sono centinaia di definizioni diverse di rischio e non troverete due persone che si occupano di finanza che concorderanno al 100% sul concetto.
Però per farla semplice, nella finanza classica il Rischio corrisponde — la dico male — alla varianza dei rendimenti attesi.
Allora tecnicamente la varianza è questa roba qua:
Ma in pratica vuol dire che se io ho un investimento che in media rende il 10%, ma un anno mi fa +25%, un altro -5%, un altro ancora +40%, un altro -20% e così via, la media fa 10%, però ogni singolo anno è praticamente un tiro di dadi.
Io a posteriori poi potrò dire “in media ha reso 10% o quello che è”, ma in anticipo non lo so.
È incerto.
È più è ampio il range in cui il mio investimento si muoverà, soprattutto nel breve termine, più io lo considererò rischioso.
Al contrario un investimento che rende in media il 3% e ogni anno si muove al massimo di un punto percentuale in più o in meno, lo considererò meno rischioso.
Ora mettiamo insieme i due pezzi e cosa viene fuori: viene fuori che l’investitore vuole investire in maniera tale da ottenere il maggior rendimento possibile con la minore varianza possibile.
Perché tutta questa incertezza, ci fa stare male, ci mette di cattivo umore, ci fa litigare con nostra moglie o nostro marito che ci dice “ecco te l’avevo detto di non investire i soldi! Guarda cos’hai combinato!”.
La varianza non ci piace.
E perché non ci piace?
Perché se io ad un certo punto voglio liquidare il mio investimento e comprarmi una Porsche, chiaramente preferirò che in ogni momento il suo valore sia stabile, non che un anno voli e un anno crolli, altrimenti se la voglia di Porsche mi viene proprio nell’anno in cui sta crollando tutto devo rinunciare all’acquisto oppure incassare la perdita. E figuriamoci se i soldi mi servissero improvvisamente per una cosa seria. La varianza comporta incertezza e quest’incertezza, per l’investitore, non è desiderabile.
Il nostro buon Markowitz quindi intuì correttamente che quando noi prendiamo una decisione di investimento non vogliamo solo massimizzare il rendimento atteso, ma vogliamo massimizzare il rendimento atteso rispetto alla quantità di rischio che dovremo accettare.
Se ci pensate questa cosa è logica e si rifà ad un concetto noto in finanza come…
Rullo di tamburi…
utilità marginale decrescente!!!
Però siccome detta così non si capisce una fava, spieghiamo cosa significa con il mio primo piatto preferito, la pasta alla carbonara.
Se ho voglia di carbonara e vado a mangiarla nel mio ristorante romano preferito, la prima forchettata di carbonara sarà un’estasi.
La seconda sarà ancora fantastica.
La terza ottima.
E così via finirò il piatto tutto contento.
Però se il cameriere mi porta un secondo piatto di carbonara, io magari me la mangio pure, ma chiaramente mi darà meno soddisfazione.
Quando poi arriva con il terzo piatto gli dirò “aho eh basta, tra un po’ inizio a sudare uova e guanciale”.
Utilità marginale decrescente significa che noi vogliamo massimizzare la nostra “utilità”, il nostro beneficio, solo fino al punto in cui un beneficio maggiore non ci porta niente di più, anzi comincia a diventare non desiderabile.
Con gli investimenti è lo stesso.
Astrattamente potremmo dire: non c’è limite a quanto elevato può essere il rendimento del mio portafoglio che mi rende felice.
Però se ci pensate nessuno di noi sarebbe così pazzo da puntare ad un rendimento potenzialmente infinito se ciò gli richiede di correre un rischio altrettanto grande.
Avete presente la roulette russa?
Quel divertentissimo gioco per famiglie in cui una pistola viene caricata con un solo proiettile su sei e poi ti sparano.
Quanto sareste disposti a scommettere?
Avete 5 probabilità su 6 di vincere, quindi l’83% di probabilità, molto molto buona.
Per 1 milione di euro lo fareste?
Per 10 milioni?
Per un miliardo?
È ovvio che la risposta sarebbe NO in tutti i casi, perché il rischio di vedere il proprio cervello appiccicato al muro di fianco a voi sarebbe talmente grande che non esiste un potenziale guadagno abbastanza grande da compensarlo, anche se le probabilità sono basse.
L’esempio è un po’ scemo è particolarmente estremo.
Però l’idea è questa: noi vogliamo investire correndo il massimo rischio che siamo disposti a sostenere e nulla di più.
Sì sì, proprio… parole sue!
Cioè: massimo rendimento per un dato livello di rischio che voglio prendermi, oppure, girata nell’altro senso, minimo rischio necessario per ottenere un certo rendimento.
Qualunque portafoglio di investimento che esce fuori da questa logica non sarebbe efficiente, non avrebbe senso investirci.
Sto semplificando molto, chi ha studiato finanza non si incazzi, parleremo di “mean-varianance optimization” un’altra volta, oggi voglio solo portare a casa il punto senza far annoiare nessuno.
Questa roba qua, il rendimento commisurato al rischio che comporta, in finanza si chiama risk-adjusted return — e sarà un’espressione che useremo spesso.
Se devo scegliere tra due investimenti quindi non sceglierò quello che penso che renderà di più.
Sceglierò quello che penso che renderà di più in rapporto al rischio che mi richiede di assumermi.
Ora attenzione che introduciamo una manciata di principi fondamentali dell’investimento, che vi consiglio di incidere sui mobili del soggiorno o sullo specchio del bagno affinché non ve li dimentichiate mai.
No perché lo so come siete fatti.
Ho fatto 250 episodi e passa di The Bull, ho scritto libri, ho risposto a decine di migliaia di messaggi su Instagram e LinkedIn per spiegarvi tutto quanto — e poi alla fine fate il cazzo che vi pare e investite in barba a questi principi.
Prima ve li dicevo e basta.
Ora ve li faccio anche vedere, quindi non date la colpa al fatto che ascoltavate l’audio in palestra e ve l’eravate perso.
Dicevamo, come si mette insieme un portafoglio fatto bene senza prendersi rischi inutili?
Il primo IMPORTANTIIIISSIMO concetto da tatuarsi sulla corteccia prefrontale e quello di diversificazione
Cosa vuol dire?
Immaginiamo di poter investire in due strumenti che hanno lo stesso rendimento atteso e la stessa varianza, quindi lo stesso livello di rischio. Se ci pensate sarà preferibile investire in un portafoglio composto da entrambi invece che da uno solo di essi, perché una parte del rischio a cui è esposto uno sarà controbilanciato da una parte del rischio a cui è esposto l’altro.
Facciamo un esempio.
Immaginiamo che in un Paese ci siano due società che fanno abbigliamento da cui tutti gli abitanti si riforniscono: una che produce abiti da uomo di tutte le età e una che invece produce solo capi per donne e bambine.
Sì è un paese un po’ strano, molto aperto verso l’esterno su tutto, ma sui vestiti oh zero, possono esistere solo quei due lì.
In cosa mi conviene investire?
Se investo nella società di capi maschili e nei prossimi dieci anni nascono più maschi che femmine avrò vinto.
Se invece succede il contrario avrò meno successo.
Da questo esempio un po’scemo si capisce che invece DIVERSIFICARE il mio capitale investendo in entrambe le società ridurrebbe il rischio di incappare in un periodo sfortunato in cui la distribuzione delle nascite non sia uniforme, senza però ridurre il rendimento atteso, perché in media mi aspetterò che entrambe le società — in media ripeto — dovrebbero poter generare gli stessi profitti nel futuro.
Diversificare quindi è fondamentale, mai mettere tutti i propri soldi o comunque troppi soldi in un solo investimento.
Ma qui aggiungiamo un pezzo.
Gli asset in cui investiamo devono anche avere comportamenti relativamente indipendenti. In termini più rigorosi, in finanza si dice che questi asset non devono essere perfettamente correlati.
Se infatti nel fantomatico paesino ci fossero 2 negozi da uomo e 2 negozi da donna, investire nei 2 negozi da uomo migliorerebbe solo in parte la mia diversificazione mentre continuerei a correre quasi gli stessi rischi che investendo solo in una delle due.
Due investimenti infatti possono essere:
– correlati tra loro (cioè si comportano allo stesso modo e sono dipendenti dagli stessi fattori)
– inversamente correlati tra loro, cioè si comportano in maniera esattamente opposta
– oppure non correlati, cioè semplicemente indipendenti l’uno dall’altro: a volte andranno nella stessa direzione, altre no.
Ecco quindi che abbiamo i tre ingredienti di base della ricetta del portafoglio perfetto.
Perfetto sulla carta, poi la realtà sarà tutta un’altra storia.
Però in linea di principio, l’idea è investire in un insieme di asset che tra loro siano poco correlati e che diano il miglior equilibrio tra rendimento atteso e rischio.
Per capire bene di cosa stiamo parlando, tuttavia, serve fare un passettino in più.
Cioè stiamo parlando di rischio in maniera un po’ ambigua, ma forse è il caso di introdurre una distinzione fondamentale.
Permettetemi quindi di spiegare la differenza tra: rischio specifico e rischio sistematico.
Il rischio specifico è il rischio proprio di un investimento in un singolo asset, in un singolo settore merceologico, in un singolo Paese, in una singola materia prima, e così via.
Se investo nelle azioni di una singola società questa potrebbe fallire; se investo nei titoli di Stato di un singolo Paese questo potrebbe non essere in grado di ripagare i suoi debiti; se investo nel petrolio un domani potrebbe venir scoperti nuovi giacimenti che ne farebbero scendere il prezzo; e così via.
Il rischio specifico però non è mai un problema, perché infatti mi basta diversificare:
– posso investire in diverse società che si trovano in diversi settori e in diversi mercati, invece che in una sola;
– posso investire nei titoli di Stato di diversi Paesi, in diverse valute e con diverse caratteristiche, anziché in quelli di un singolo Paese;
– potrei infine investire in diverse materie prime, invece che unicamente nel petrolio, come ad esempio in un mix di argento, rame, gas, metalli preziosi, bestiame, etc.
Dato che però posso “eliminarlo” semplicemente diversificando, se io voglio comunque prendermi del rischio specifico ciò non aumenta il mio rendimento atteso.
Dal punto di vista finanziario, prendersi rischio specifico è uno spreco.
Rischio senza niente in cambio.
Intravedo l’obiezione.
Voi potreste dirmi: “non è vero. Se dieci anni fa avessi investito 10.000 € tutte nelle azioni di Apple invece che diversificare su tutte le azioni dello Standard and Poor’s 500, oggi sarei immensamente più ricco”.
Ovvio!
Il problema è che 10 anni fa non lo sapevi che sarebbe andata così.
Entro la fine dell’episodio capirai che è quasi impossibile sapere in anticipo in quali titoli sia meglio investire e in quali no.
Se per esempio il rendimento medio storico del mercato azionario è stato 10% all’anno, investendo in una società a caso il tuo rendimento atteso è 10%. Ma è 10% investendo in una singola società o in 500 società. Solo che nel secondo caso non ti prendi il rischio di investire tutto in una società che improvvisamente salta per aria.
Invece quando diciamo che in finanza rendimento e rischio sono strettamente collegati ci riferiamo all’altra forma di rischio, quello sistematico.
Il rischio sistematico è infatti il rischio proprio di un intero mercato o di un’asset class, ossia quel rischio che non è direttamente legato a specifiche situazioni ma proprio al tipo di investimento, oppure a fattori macroeconomici più vasti (come il tasso di inflazione o di disoccupazione), ai cicli economici (fatti di recessioni e boom), a eventi geopolitici e così via.
Per esempio nei prossimi episodi capiremo che investire in azioni ha un rischio sistematico maggiore che investire in titoli di stato.
Di conseguenza investire in azioni ha un rendimento atteso superiore ai titoli di stato, in media, perché deve compensare un maggior rischio che l’investitore deve accettare.
Mettiamola così: i mercati finanziari “remunerano” il rischio sistematico.
Una volta che abbiamo capito questa cosa, capiamo anche facilmente che quando vorrò comporre il mio portafoglio vorrò diversificare a due livelli
a) PRIMO LIVELLO: diversificherò investendo in tanti strumenti diversi della stessa asset class (per esempio tante azioni, tanti titoli di stato e così via) per eliminare il rischio specifico; e poi
b) SECONDO LIVELLO: sceglierlo il mix più equilibrato per me tra asset più rischiosi e asset meno rischiosi. E come si fa a scegliere il miglior mix PER ME, lo capiremo in parte già oggi, in parte via via nei prossimi video.
Capito? Diversifico per eliminare il rischio specifico e per scegliere il livello di rischio sistematico che sono disposto a correre.
In questa roba c’è già dentro praticamente tutta l’essenza della teoria del portafoglio, cioè del modo giusto in cui si deve investire.
Quando guardo il mix di strumenti in cui sto investendo devo chiedermi:
– UNO: ho diversificato abbastanza per non avere rischio specifico? E poi
– DUE: ho diversificato correttamente tra asset rischiosi e asset meno rischiosi rispetto a ciò che penso sia giusto per la mia situazione?
Per quanto riguarda il primo punto, a partire dal video sette spiegheremo cosa sono gli ETF e in che modo permettono di investire in maniera estremamente semplice ed efficiente in ampi indici di azioni, obbligazioni, materie prime e così via, proprio per ridurre al minimo il rischio specifico.
Per quanto riguarda il secondo, invece, proviamo a fare ora un ragionamento molto essenziale, ma che già contiene tutti gli elementi di base della teoria finanziaria.
Semplificando al massimo, in finanza ci si chiede: qual è l’investimento con il minor rischio possibile che mi posso assumere?
Per convenzione titoli di stato a breve scadenza e ad alto rating come quelli di Stati Uniti, Germania, Australia, Svizzera e così via sono considerati quasi senza-rischio, perché il mercato ritiene quasi impossibile che questi Stati non siano in grado di pagare gli interessi dovuti e rimborsare il capitale.
Solitamente i titoli di stato a breve scadenza hanno un rendimento molto vicino a quello dei tassi di interesse della propria banca centrale.
Ora, il mercato nel suo insieme dice?
Dice: se quello è l’investimento meno rischioso possibile e in questo momento rende x%, allora tutti gli altri strumenti di investimento dovranno rendere x% PIU’ UN QUALCHE COSA.
Per esempio:
– I titoli di Stato che scadono tra 10 anni sono più rischiosi di quelli che scadono tra un anno. La cosa è intuitiva ma nel prossimo video la spieghiamo bene. Se sono più rischiosi, in questo caso il PIU’ UN QUALCHE COSA è il rischio tempo;
– invece prestare soldi ad una società è generalmente più rischioso che prestarli ad uno stato, perché possano fallire, quindi in questo caso il PIU’ UN QUALCHE COSA è il rischio default, il rischio che non siano in grado di ripagare i debiti.
– Infine le azioni sono ancora più rischiose, perché non ho nessuna garanzia di rendimento e se una società fallisce l’azionista è l’ultimo a essere risarcito, sempre che restino soldi. Il PIU’ UN QUALCHE COSA nel caso delle azioni è il rischio d’impresa, chiamiamolo così.
In finanza, questo PIU’ UN QUALCHE COSA ha un nome: si chiama PREMIO AL RISCHIO.
Quando io investo in uno strumento finanziato, la mia aspettativa di rendimento sarà sempre la somma tra il rendimento base di riferimento (quello dell’asset senza rischio di turno) e il premio al rischio.
Ora, diciamo DUE COSE sul premio al rischio.
Intanto non è fisso e non è un valore noto, se non a posteriori. È una conseguenza del fatto che, per natura, noi esseri umani siamo avversi al rischio e quindi richiediamo un maggior compenso per assumercelo.
Però è noto che la nostra predisposizione al rischio cambia nel tempo e per esempio è inferiore durante una crisi economica e invece è maggiore alla fine di un lungo boom, per un mix sia di fattori oggettivi che di fattori psicologici di cui avremo modo di parlare più avanti.
Comunque se ci pensate è intuitivo:
– Nel 2009 dopo la Grande Crisi Finanziaria che ha disintegrato i mercati e l’economia, pochi erano disposti ad investire e quindi il premio al rischio era molto elevato;
– Ancora oggi, invece, dopo praticamente 15 anni di grande crescita quasi ininterrotta dei mercati, c’è molto ottimismo, molta più predisposizione ad investire e quindi il premio al rischio è più contenuto.
La seconda cosa da dire sul premio al rischio è che, appunto, premia il “rischio”. Ma il rischio, per essere tale, non può essere solo teorico, deve essere una reale possibilità. Questo significa che, maggiore è il rischio che scelgo di assumermi, maggiori saranno anche sia il rendimento atteso sia la possibilità che questo rendimento alla fine non si realizzi.
Sembra paradossale, ma se ci pensate ha senso.
All’inizio abbiamo detto che in finanza il rischio è associato alla varianza, cioè alla volatilità di un investimento nel breve periodo.
Però se si trattasse solo di questo, cioè se si trattasse solo di sopportare la volatilità nel breve e poi fossi certo al 100% di avere un maggior rendimento nel lungo termine, non sarebbe un vero rischio e quindi questo maggior rendimento non sarebbe giustificato.
Invece, proprio il fatto che nessuno mi garantisce alla fine che un investimento più rischioso renderà davvero di più, è esattamente il motivo il mio rendimento atteso sarà maggiore.
Sì lo so ci vuole un attimo, ma poi tranquilli che sta cosa si capisce.
Per essere più precisi dovremmo precisare la differenza tra RISCHIO e INCERTEZZA, che qui stiamo usando come sinonimi.
Però per il momento non complichiamoci la vita.
Ora, ultimo passaggio.
A dicembre è venuto a trovarmi nel mio podcast Eugene Fama, premio Nobel per l’economia e padre della finanza moderna.
Per chi volesse rivivere quel momento memorabile può ascoltarsi l’episodio 164.
In oltre 50 anni carriera accademica, Fama ha prodotto una quantità impressionante di ricerche e avremo spesso modo di trovarlo lungo la nostra strada.
La cosa più importante da portarsi a casa oggi è una delle sue idee più importanti per comprendere bene la finanza e come investire in maniera intelligente.
Grazie a Fama noi oggi diciamo che i mercati finanziari sono EFFICIENTI.
Qualcuno dirà “perfettamente efficienti”.
Altri diranno, con più buon senso, “prevalentemente efficienti”.
Però il punto qual è?
Efficienti vuol dire che i prezzi attuali degli asset quotati in quel mercato riflettono ogni informazione nota.
I prezzi di un’azione, di un titolo di stato, di un’obbligazione e così via si muovono costantemente per riflettere tutte le informazioni disponibili a tutti gli investitori.
Di conseguenza è quasi impossibile — e sottolineo il quasi — è quasi impossibile scovare delle opportunità sul mercato, dove “opportunità” vuol dire una cosa in cui rischio poco e guadagno tanto. Se esistesse una cosa del genere, gli investitori se ne renderebbero conto subito, si fionderebbero ad investirci, farebbero salire i prezzi, ridurrebbero i rendimenti attesi e quindi l’opportunità sparirebbe subito.
Questo naturalmente non significa che i prezzi siano sempre corretti rispetto a ciò che succederà in futuro.
Significa solo che, sulla base delle informazioni che abbiamo in ogni dato momento, non è possibile dire se il prezzo di un asset sia troppo alto o troppo basso.
È quello lì perché esprime quello che tutti gli investitori pensano, ossia riflette il rendimento atteso dagli investitori nel futuro e il rischio che comporta.
Un’implicazione molto forte di questa cosa è che è estremamente difficile, si dice, “battere il mercato”.
Cioè cosa significa?
Cosa fa un investitore professionale o un gestore di fondi comuni di investimento?
Fa ricerca, studia, analizza, crea modelli, fa stime etc. etc. per cercare di scovare le migliori opportunità, investire solo nelle migliori società, nelle obbligazioni che hanno un prezzo più conveniente e così via.
Il problema è che questa cosa è estremamente difficile da fare.
Per tre fondamentali ragioni.
La prima è questa.
Ammettiamo che il mercato azionario americano, l’S&P 500, in un dato anno sia cresciuto del 10%.
Se io il primo gennaio avessi investito in tutte le 500 società dell’indice in maniera proporzionale al loro peso di mercato avrei ovviamente anch’io ottenuto un rendimento del 10%, facciamo finta che non ci siano costi d’investimento, tasse e così via.
Se però avessi voluto provare ad ottenere di più, avrei dovuto indovinare quali sarebbero state le società che sono poi effettivamente andate e meglio ed evitare di investire in quelle che sono andate peggio.
Ora però facciamo un esempio super semplificato.
Diciamo che il mercato è fatto di sole 3 società, che ogni società ha emesso 3 azioni ciascuna e che ci sono solo 3 investitori.
Abbiamo la società A, la società B e la società C, ciascuna con tre azioni e i tre investitori, che chiamiamo Aldo, Giovanni e Giacomo.
L’unica cosa che possono fare tutti e tre contemporaneamente è decidere di avere ciascuno un’azione di ciascuna società.
Se però Giovanni dicesse: “NO io non voglio copiare il mercato, voglio batterlo e penso che la società A sia meglio della società C”, allora vorrà avere più azioni di A e zero azioni di C.
Giacomo invece la vede all’esatto opposto di Giovanni — come sempre — e quindi è disposto a vendere a Giovanni la sua azione di A e di comprare da Giovanni la sua azione di C.
Aldo invece vuole tenersi le sue tre azioni delle sue società.
In questo modo ora abbiamo:
– Aldo che ha tutto il mercato, ossia un’azione di ciascuna società;
– Giovanni che ha 2 azioni di A, 1 di B e zero di C e
– Giacomo che ha 0 azioni di A, 1 di B e 2 di C.
Alla fine dell’anno le tre azioni avranno reso:
– A: +25%,
– B: +10% e
– C: -5%
Media del mercato: +10%
Come è andata ai tre nostri investitori immaginari?
– Aldo, che aveva tutto il mercato, ha fatto il +10%
– Giovanni, che ci ha visto bene, avrà ottenuto il +18% e infine il povero
– Giacomino avrà ottenuto appena il 2%.
Naturalmente la media dei rendimenti di tutti gli investitori deve sempre coincidere con la media del mercato, al netto dei costi.
Cosa dice quest’esempio molto semplificato: ci dice che tutti gli investitori sono in competizione tra loro per cercare di battere il mercato, ma per uno che vince ne serve uno che perde.
Investire però non è gratis, ci sono costi da sostenere per comprare e vendere i titoli, il gestore deve essere pagato, gli analisti che fanno le ricerche vanno pagati, così come tutta la struttura che poi deve andare a vendere i vari prodotti di investimento.
Esiste un’enorme quantità di ricerca che ha ormai dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che una volta che si considerano tutti questi costi, il numero di investitori che riesce davvero, al netto di costi, a fare meglio del mercato che vuole battere è irrisorio.
C’è poi un secondo motivo.
È stato dimostrato, in particolare dal professor Hendrik Bessembinder dell’Università dell’Arziona, che per esempio nei mercati azionari pochissime società fanno profitti esagerati e quindi hanno rendimenti pazzeschi, mentre la stragrande maggioranza delle azioni ha un rendimento di lungo termine mediocre.
Per esempio negli ultimi 30 anni, le azioni di appena 5 aziende, Apple, Microsoft, Google, Amazon e Tencent hanno creato il 10% di tutta di ricchezza generata da oltre 64.000 azioni globali. In generale, Bessembinder ha scoperto che il rendimento del mercato azionario dipende dalla performance di circa il 2% delle sue società più di successo.
Di conseguenza, la probabilità che un investitore manchi una di queste nelle sue previsioni e quindi comprometta tutto il suo rendimento futuro è estremamente elevata.
C’è poi un terzo fatto.
Fare previsioni è molto complicato, soprattutto sul futuro, come forse disse il fisico Niels Bohr.
E per quanto un investitore professionale sia geniale nelle sue previsioni, ogni due per tre arriva una guerra, una pandemia, un vulcanico presidente che vuole riformare il commercio globale e via dicendo.
E questo fa sì che tutte le tue bellissime previsione giustissime fino al giorno prima vadano a farsi benedire.
La prova empirica difficilmente confutabile del fatto che è quasi impossibile prevedere in anticipo il comportamento futuro dei mercati si trova in un report annuale di Standard and Poor’s chiamato “SPIVA Scorecard”, che calcola, per ciascuna categoria di investimento, quanti fondi gestiti da investitori professionali è effettivamente riuscito a battere il proprio mercato riferimento negli ultimi 1, 3, 5, 10 anni.
Ogni anno, puntualmente, i dati confermano come la stragrande maggioranza degli investitori professionali che gestiscono fondi di azioni o obbligazioni non riesce a battere l’Aldo di turno del nostro esempio al netto dei costi.
Per esempio, negli ultimi 10 anni il 97% dei fondi europei che investono nel mercato azionario globale hanno reso meno della media del mercato azionario globale stesso. Ma i numeri puntano tutti nella stessa direzione anche per altri benchmark di azioni o obbligazioni.
Vedremo infatti presto, giusto qualche video dopo di questo, perché per un investitore privato investire usando strumenti “passivi” — ETF in particolare — che cioè copiano interi mercati azionari e obbligazionari, senza prendersi nessuna scommessa sia la migliore decisione che possa prendere.
Ora, se non vi ho cotto troppo il cervello, facciamo un brevissimo riassunto di quanto abbiamo detto prima di passare all’ultimo punto di oggi:
1. investire significa mettere insieme un portafoglio di asset diversificati, per ridurre il rischio specifico (per esempio non comprerò solo le azioni di Nvidia o di Tesla, comprerò tutte le principali azioni di tutti principali mercati);
2. in secondo luogo, si tratta di identificare il livello di rischio sistematico che vogliamo assumerci, bilanciando il giusto mix tra asset rischiosi (come ad esempio azioni) e asset a basso rischio (come ad esempio titoli di Stato), poco correlati tra loro, a seconda di quanto rischio voglio prendermi e del rendimento che mi aspetto di ottenere;
3. in terzo luogo, si tratta prevalentemente di investire in strumenti che copiano interi mercati rischiosi (come indici azionari) e meno rischiosi (come indici obbligazionari), minimizzando i costi di investimento e avvicinandosi il più possibile al rendimento dei mercati di riferimento, dato che provare a fare meglio di così è il più delle volte una scommessa persa. Il nostro investitore modello è sempre Aldo.
Prima di chiudere, però, c’è un ultimo tema da smarcare sul discorso del rischio.
Ok abbiamo capito che rischio e rendimento sono legati.
Non si può barare in finanza.
Se voglio guadagnare di più devo rischiare di più, se voglio rischiare di meno guadagnerò di meno.
Ci asset meno rischiosi come i titoli di Stato e asset più rischiosi come le azioni.
Ma come faccio a sapere qual è la quantità giusta di rischio per me?
Allora, dovremo tornare più avanti su quest’argomento una volta che avremo tutti gli elementi chiari in testa e avremo ben capito cosa sono le varie asset class, come funzionano, quali sono i loro rendimenti storici e i rendimenti attesi per il futuro e così via.
Però lasciando un attimo da parte il discorso finanziario del rischio come volatilità e misura dell’incertezza, dal punto di vista pratico, invece il rischio va considerato da tre punti di vista che sono:
– UNO: la mia tolleranza al rischio, ossia la mia attitudine a sopportare che il valore dei miei investimenti possa oscillare in ma niera più o meno significativa nel tempo; se sono disposto ad accettare che ogni tanto il valore dei miei investimenti scenda al massimo del 10% potrò investire in modo poco rischioso, viceversa se posso tollerare oscillazioni anche del 40-50% potrò investire in modo molto rischioso;
– DUE: la mia capacità di assumermi rischi, che dipende da quanto è lungo il mio orizzonte di investimento; se investo a breve termine non potrò permettermi grandi rischi, mentre se investo a lungo termine posso permettermi molti più rischi, perché se becco una crisi finanziaria avrà tempo per aspettare che i mercati si riprendano e tornino a portare rendimenti positivi (questa l’ho detta un po’ così all’acqua di rose, la spiegheremo meglio);
– Infine c’è il numero TRE: la mia necessità di assumermi rischi, ossia quanto sono disposto a rischiare per fare crescere di un certo valore il mio capitale.
L’accezione statistica di rischio mi dà la “misura” di quanto un certo investimento sia volatile. Le tre accezioni pratiche invece mi fanno capire la quantità di rischio adatta a me come investitore.
La combinazione di queste tre attitudini soggettive, quindi: tolleranza, capacità e necessità, il rischio che voglio, posso e devo prendermi, sarà esattamente ciò che mi farà capire quale portafoglio sarà più adatto a me, alla mia sfera emotiva e agli obiettivi della mia vita.
Episodio denso oggi, me ne rendo conto.
Abbiamo aperto una svalangata di porte e vedrete che pian piano le chiuderemo tutte.
L’importante è aver compreso l’unica cosa fondamentale.
Investire significa innanzitutto decidere in maniera consapevole e pianificata il livello di rischio che mi voglio prendere.
Questa è la decisione più importante di tutte.
Da qui in poi è tutto in discesa — e investire diventa immediatamente molto meno spaventoso e stressante di quel che si pensa.
Ora però che abbiamo descritto la cornice generale, bisogna riempirla di contenuto, ossia dobbiamo capire in che cosa possiamo effettivamente investire, cioè quali sono le principali asset class e come si comportano — che sarà esattamente ciò di cui parleremo nei prossimi 3 video dedicati rispettivamente a:
– Obbligazioni
– Azioni
Che sono le due più importanti,
– E poi tutte le altre, come oro, materie prime, fondi immobiliari e criptovalute.
Spero che l’episodio vi sia piaciuto e anche se non vi è piaciuto ma un minimo ci siamo fatti due risate vi invito a iscrivervi al canale, mettere like, attivare le notifiche per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi smartellano i cosiddetti per mezzora sul concetto di rischio affinché nella vostra vita possiate prendervi solo i rischi migliori e non fare la fine del Cappone a Natale sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo nel prossimo video dedicato alla prima delle due asset classe regine, le obbligazioni! Sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.
Nei video di questa playlist spiegheremo molti dei concetti di base che servono per orientarsi nel mondo della finanza personale e degli investimenti e non avere più l’espressione della nota mucca che fissa passare il treno.
Senza offesa eh.
Per la mucca dico…
Ok, non è che dopo questi video potrete aprire il vostro hedge fund, però vi assicuro che tanto basta per far passare chiunque da quella disarmante ignoranza media che ci ha posizionato dietro allo Zimbabwe a livello di competenza finanziaria nazionale al top 1% tra le persone più esperte di finanza in Italia che non si occupano di finanza per lavoro.
Nel corso di una manciata di video spiegheremo:
– Le asset class principali (obbligazioni, azioni, oro, materie prime e tutte le altre)
– Cosa sono gli ETF, che per chi vivesse in una caverna e non sapesse di che si tratta sono lo strumento ideale per un risparmiatore privato per investire i propri soldi
– Come costruire un portafoglio di investimento con tutti i sacri firmi e senza fare pirlate e infine
– Come fare tutto questo praticamente dal vostro pc o smartphone senza dover pagare qualcun altro. (anche se poi vi spiegherò anche in quali casi fareste bene a pagare qualcun altro per farvi aiutare)
Giurin giurella, tra poche ore — se vi sparate tutti i video di fila — vi sentirete delle persone nuove.
Prima però c’è una cosa fondamentale da spiegare.
Di solito la gente è interessata agli strumenti, ai prodotti, vuole sapere “ok ciccio, bello tutto, mi hai già convinto smaronandomi nei primi due video, non mi puoi semplicemente dire in cosa devo investire e basta?”.
Ecco vedi amico mio:
– Uno: non te lo dico perché che ne so chi sei, come sei fatto, cosa vuoi, cosa provi e ti assicuro che non me ne può fregare di meno saperlo, ergo: non posso darti consigli di investimento — anche perché tra l’altro se lo faccio finisco a guardare il mercato di Viale Papiniano ogni martedì e sabato da una finestre con le sbarre a San Vittore.
– Due: ti faccio un grande favore. Investire non è difficile, ma allo stesso è molto facile prendere la cosa sottogamba, fare cazzate e poi pentirsene amaramente. Questo video serve per evitare questa eventualità e per mettere in chiaro la cosa più importante che devi sempre avere in mente quanto investiti i tuoi sudati quattrini.
Questa roba qua è il RISCHIO.
Rischio è la parola più importante della finanza.
Quando lanciai The Bull 2 anni fa, all’inizio ne parlavo come fosse una cosa di contorno.
Col passare del tempo però — anche grazie al continuo scambio con tutti gli ascoltatori del podcast — ho capito che il concetto del rischio andava messo al certo, perché volenti o nolenti attorno a quello ruota tutto ciò che conta in finanza.
Ora, nell’ultimo video ci eravamo lasciati parlando di quella fregnaccia che mi sono inventato chiamata l’Equazione fondamentale della ricchezza.
Fregnaccia l’espressione ovviamente — perché l’ho inventata io.
Il contenuto invece non è mio e infatti quello non è una fregnaccia proprio per niente.
Cosa abbiamo detto.
La ciccia della questione di come fare soldi nell’ambito della finanza personale si riduce a tre sole cose:
– Il tempo che dedichi al tuo percorso di risparmio e investimento: prima inizi, maggiori sono i risultati;
– Il risparmio che riesci ad accumulare: più risparmi e investi, maggiore è l’effetto cumulativo nel tempo dei tuoi investimenti e infine
– Il rendimento dei tuoi investimenti; più rendono, più soldi fai — e se state pensando, grazie a sta cippa fate bene però, oh, del resto parliamo di finanza, mica di fisica quantistica.
Qui ci eravamo fermati perché avevamo detto una cosa.
Non è che mi posso svegliare una mattina e dire: “ma sai che c’è? Quest’anno voglio che il mio portafoglio renda il 20%. L’anno prossimo invece no, meno, voglio che renda il 10% – così — per restare umile”.
Cioè non funziona così.
Impareremo presto che ci sono strumenti che IN MEDIA rendono di più e altri che in MEDIA rendono di meno.
Ma è sempre tutto poco prevedibile, soprattutto nel breve periodo.
Quindi non posso decidere direttamente QUALE RENDIMENTO avrà il mio portafoglio.
Quello che posso invece decidere è esattamente l’altra faccia della medaglia, ossia: QUANDO RISCHIO SONO DISPOSTO AD ASSUMERMI.
Ed è qui che comincia il breve ma importantissimo viaggio dell’episodio di oggi.
Dunque adesso vi spiego tutta la storia della finanza dal 1952 ad oggi con tanto di paper accademici, equazioni, dati e …
Ah no?
Come dici?
Abbiamo già perso 100 iscritti?
Colpa mia!
Come non detto.
Allora niente pippone storico su come dei tizi alla Chicago University hanno iniziato a pensare sta roba 70 anni fa e andiamo direttamente alla roba pratica.
Fatemi dire solo una cosa.
Fino agli anni ’50 investire voleva dire “provare a capire quali fossero gli investimenti con il maggior rendimento atteso” e appunto investire in quelli.
Massimizzare il rendimento.
Nel 1952 però un signore di nome Harry Markowitz, che avrebbe poi vinto il Premio della Banca di Svezia per le Scienze Economiche in onore di Alfred Nobel, noto come Nobel per l’Economia anche se non è un vero premio Nobel, dicevo il signor Markowitz …
Così…
Di punto in bianco…
Praticamente inventò la finanza moderna.
Adesso, non vi sto ad annoiare con i dettagli, però lui mise insieme una serie di idee che oggi forse non sembrano la scoperta del secolo, ma che nel 1952 erano veramente rivoluzionare.
Allora,
PRIMA ROBA: gli investitori sono avversi al rischio.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che se uno deve scegliere tra investire in una cosa più rischiosa o in una meno rischiosa, a parità di rendimento, sceglierà quella meno rischiosa, no?
Poi in realtà noi siamo molto meno razionali di quel che pensiamo e non ci comportiamo proprio così.
Ma sulla carta penso che chiunque si ritrovi in questa idea.
Se posso, voglio ottenere il massimo rendimento possibile con il minimo rischio possibile.
Massimo rendimento con il minimo sforzo.
SECONDA COSA: ma cos’è il rischio in finanza?
Beh, ci sono centinaia di definizioni diverse di rischio e non troverete due persone che si occupano di finanza che concorderanno al 100% sul concetto.
Però per farla semplice, nella finanza classica il Rischio corrisponde — la dico male — alla varianza dei rendimenti attesi.
Allora tecnicamente la varianza è questa roba qua:
Ma in pratica vuol dire che se io ho un investimento che in media rende il 10%, ma un anno mi fa +25%, un altro -5%, un altro ancora +40%, un altro -20% e così via, la media fa 10%, però ogni singolo anno è praticamente un tiro di dadi.
Io a posteriori poi potrò dire “in media ha reso 10% o quello che è”, ma in anticipo non lo so.
È incerto.
È più è ampio il range in cui il mio investimento si muoverà, soprattutto nel breve termine, più io lo considererò rischioso.
Al contrario un investimento che rende in media il 3% e ogni anno si muove al massimo di un punto percentuale in più o in meno, lo considererò meno rischioso.
Ora mettiamo insieme i due pezzi e cosa viene fuori: viene fuori che l’investitore vuole investire in maniera tale da ottenere il maggior rendimento possibile con la minore varianza possibile.
Perché tutta questa incertezza, ci fa stare male, ci mette di cattivo umore, ci fa litigare con nostra moglie o nostro marito che ci dice “ecco te l’avevo detto di non investire i soldi! Guarda cos’hai combinato!”.
La varianza non ci piace.
E perché non ci piace?
Perché se io ad un certo punto voglio liquidare il mio investimento e comprarmi una Porsche, chiaramente preferirò che in ogni momento il suo valore sia stabile, non che un anno voli e un anno crolli, altrimenti se la voglia di Porsche mi viene proprio nell’anno in cui sta crollando tutto devo rinunciare all’acquisto oppure incassare la perdita. E figuriamoci se i soldi mi servissero improvvisamente per una cosa seria. La varianza comporta incertezza e quest’incertezza, per l’investitore, non è desiderabile.
Il nostro buon Markowitz quindi intuì correttamente che quando noi prendiamo una decisione di investimento non vogliamo solo massimizzare il rendimento atteso, ma vogliamo massimizzare il rendimento atteso rispetto alla quantità di rischio che dovremo accettare.
Se ci pensate questa cosa è logica e si rifà ad un concetto noto in finanza come…
Rullo di tamburi…
utilità marginale decrescente!!!
Però siccome detta così non si capisce una fava, spieghiamo cosa significa con il mio primo piatto preferito, la pasta alla carbonara.
Se ho voglia di carbonara e vado a mangiarla nel mio ristorante romano preferito, la prima forchettata di carbonara sarà un’estasi.
La seconda sarà ancora fantastica.
La terza ottima.
E così via finirò il piatto tutto contento.
Però se il cameriere mi porta un secondo piatto di carbonara, io magari me la mangio pure, ma chiaramente mi darà meno soddisfazione.
Quando poi arriva con il terzo piatto gli dirò “aho eh basta, tra un po’ inizio a sudare uova e guanciale”.
Utilità marginale decrescente significa che noi vogliamo massimizzare la nostra “utilità”, il nostro beneficio, solo fino al punto in cui un beneficio maggiore non ci porta niente di più, anzi comincia a diventare non desiderabile.
Con gli investimenti è lo stesso.
Astrattamente potremmo dire: non c’è limite a quanto elevato può essere il rendimento del mio portafoglio che mi rende felice.
Però se ci pensate nessuno di noi sarebbe così pazzo da puntare ad un rendimento potenzialmente infinito se ciò gli richiede di correre un rischio altrettanto grande.
Avete presente la roulette russa?
Quel divertentissimo gioco per famiglie in cui una pistola viene caricata con un solo proiettile su sei e poi ti sparano.
Quanto sareste disposti a scommettere?
Avete 5 probabilità su 6 di vincere, quindi l’83% di probabilità, molto molto buona.
Per 1 milione di euro lo fareste?
Per 10 milioni?
Per un miliardo?
È ovvio che la risposta sarebbe NO in tutti i casi, perché il rischio di vedere il proprio cervello appiccicato al muro di fianco a voi sarebbe talmente grande che non esiste un potenziale guadagno abbastanza grande da compensarlo, anche se le probabilità sono basse.
L’esempio è un po’ scemo è particolarmente estremo.
Però l’idea è questa: noi vogliamo investire correndo il massimo rischio che siamo disposti a sostenere e nulla di più.
Sì sì, proprio… parole sue!
Cioè: massimo rendimento per un dato livello di rischio che voglio prendermi, oppure, girata nell’altro senso, minimo rischio necessario per ottenere un certo rendimento.
Qualunque portafoglio di investimento che esce fuori da questa logica non sarebbe efficiente, non avrebbe senso investirci.
Sto semplificando molto, chi ha studiato finanza non si incazzi, parleremo di “mean-varianance optimization” un’altra volta, oggi voglio solo portare a casa il punto senza far annoiare nessuno.
Questa roba qua, il rendimento commisurato al rischio che comporta, in finanza si chiama risk-adjusted return — e sarà un’espressione che useremo spesso.
Se devo scegliere tra due investimenti quindi non sceglierò quello che penso che renderà di più.
Sceglierò quello che penso che renderà di più in rapporto al rischio che mi richiede di assumermi.
Ora attenzione che introduciamo una manciata di principi fondamentali dell’investimento, che vi consiglio di incidere sui mobili del soggiorno o sullo specchio del bagno affinché non ve li dimentichiate mai.
No perché lo so come siete fatti.
Ho fatto 250 episodi e passa di The Bull, ho scritto libri, ho risposto a decine di migliaia di messaggi su Instagram e LinkedIn per spiegarvi tutto quanto — e poi alla fine fate il cazzo che vi pare e investite in barba a questi principi.
Prima ve li dicevo e basta.
Ora ve li faccio anche vedere, quindi non date la colpa al fatto che ascoltavate l’audio in palestra e ve l’eravate perso.
Dicevamo, come si mette insieme un portafoglio fatto bene senza prendersi rischi inutili?
Il primo IMPORTANTIIIISSIMO concetto da tatuarsi sulla corteccia prefrontale e quello di diversificazione
Cosa vuol dire?
Immaginiamo di poter investire in due strumenti che hanno lo stesso rendimento atteso e la stessa varianza, quindi lo stesso livello di rischio. Se ci pensate sarà preferibile investire in un portafoglio composto da entrambi invece che da uno solo di essi, perché una parte del rischio a cui è esposto uno sarà controbilanciato da una parte del rischio a cui è esposto l’altro.
Facciamo un esempio.
Immaginiamo che in un Paese ci siano due società che fanno abbigliamento da cui tutti gli abitanti si riforniscono: una che produce abiti da uomo di tutte le età e una che invece produce solo capi per donne e bambine.
Sì è un paese un po’ strano, molto aperto verso l’esterno su tutto, ma sui vestiti oh zero, possono esistere solo quei due lì.
In cosa mi conviene investire?
Se investo nella società di capi maschili e nei prossimi dieci anni nascono più maschi che femmine avrò vinto.
Se invece succede il contrario avrò meno successo.
Da questo esempio un po’scemo si capisce che invece DIVERSIFICARE il mio capitale investendo in entrambe le società ridurrebbe il rischio di incappare in un periodo sfortunato in cui la distribuzione delle nascite non sia uniforme, senza però ridurre il rendimento atteso, perché in media mi aspetterò che entrambe le società — in media ripeto — dovrebbero poter generare gli stessi profitti nel futuro.
Diversificare quindi è fondamentale, mai mettere tutti i propri soldi o comunque troppi soldi in un solo investimento.
Ma qui aggiungiamo un pezzo.
Gli asset in cui investiamo devono anche avere comportamenti relativamente indipendenti. In termini più rigorosi, in finanza si dice che questi asset non devono essere perfettamente correlati.
Se infatti nel fantomatico paesino ci fossero 2 negozi da uomo e 2 negozi da donna, investire nei 2 negozi da uomo migliorerebbe solo in parte la mia diversificazione mentre continuerei a correre quasi gli stessi rischi che investendo solo in una delle due.
Due investimenti infatti possono essere:
– correlati tra loro (cioè si comportano allo stesso modo e sono dipendenti dagli stessi fattori)
– inversamente correlati tra loro, cioè si comportano in maniera esattamente opposta
– oppure non correlati, cioè semplicemente indipendenti l’uno dall’altro: a volte andranno nella stessa direzione, altre no.
Ecco quindi che abbiamo i tre ingredienti di base della ricetta del portafoglio perfetto.
Perfetto sulla carta, poi la realtà sarà tutta un’altra storia.
Però in linea di principio, l’idea è investire in un insieme di asset che tra loro siano poco correlati e che diano il miglior equilibrio tra rendimento atteso e rischio.
Per capire bene di cosa stiamo parlando, tuttavia, serve fare un passettino in più.
Cioè stiamo parlando di rischio in maniera un po’ ambigua, ma forse è il caso di introdurre una distinzione fondamentale.
Permettetemi quindi di spiegare la differenza tra: rischio specifico e rischio sistematico.
Il rischio specifico è il rischio proprio di un investimento in un singolo asset, in un singolo settore merceologico, in un singolo Paese, in una singola materia prima, e così via.
Se investo nelle azioni di una singola società questa potrebbe fallire; se investo nei titoli di Stato di un singolo Paese questo potrebbe non essere in grado di ripagare i suoi debiti; se investo nel petrolio un domani potrebbe venir scoperti nuovi giacimenti che ne farebbero scendere il prezzo; e così via.
Il rischio specifico però non è mai un problema, perché infatti mi basta diversificare:
– posso investire in diverse società che si trovano in diversi settori e in diversi mercati, invece che in una sola;
– posso investire nei titoli di Stato di diversi Paesi, in diverse valute e con diverse caratteristiche, anziché in quelli di un singolo Paese;
– potrei infine investire in diverse materie prime, invece che unicamente nel petrolio, come ad esempio in un mix di argento, rame, gas, metalli preziosi, bestiame, etc.
Dato che però posso “eliminarlo” semplicemente diversificando, se io voglio comunque prendermi del rischio specifico ciò non aumenta il mio rendimento atteso.
Dal punto di vista finanziario, prendersi rischio specifico è uno spreco.
Rischio senza niente in cambio.
Intravedo l’obiezione.
Voi potreste dirmi: “non è vero. Se dieci anni fa avessi investito 10.000 € tutte nelle azioni di Apple invece che diversificare su tutte le azioni dello Standard and Poor’s 500, oggi sarei immensamente più ricco”.
Ovvio!
Il problema è che 10 anni fa non lo sapevi che sarebbe andata così.
Entro la fine dell’episodio capirai che è quasi impossibile sapere in anticipo in quali titoli sia meglio investire e in quali no.
Se per esempio il rendimento medio storico del mercato azionario è stato 10% all’anno, investendo in una società a caso il tuo rendimento atteso è 10%. Ma è 10% investendo in una singola società o in 500 società. Solo che nel secondo caso non ti prendi il rischio di investire tutto in una società che improvvisamente salta per aria.
Invece quando diciamo che in finanza rendimento e rischio sono strettamente collegati ci riferiamo all’altra forma di rischio, quello sistematico.
Il rischio sistematico è infatti il rischio proprio di un intero mercato o di un’asset class, ossia quel rischio che non è direttamente legato a specifiche situazioni ma proprio al tipo di investimento, oppure a fattori macroeconomici più vasti (come il tasso di inflazione o di disoccupazione), ai cicli economici (fatti di recessioni e boom), a eventi geopolitici e così via.
Per esempio nei prossimi episodi capiremo che investire in azioni ha un rischio sistematico maggiore che investire in titoli di stato.
Di conseguenza investire in azioni ha un rendimento atteso superiore ai titoli di stato, in media, perché deve compensare un maggior rischio che l’investitore deve accettare.
Mettiamola così: i mercati finanziari “remunerano” il rischio sistematico.
Una volta che abbiamo capito questa cosa, capiamo anche facilmente che quando vorrò comporre il mio portafoglio vorrò diversificare a due livelli
a) PRIMO LIVELLO: diversificherò investendo in tanti strumenti diversi della stessa asset class (per esempio tante azioni, tanti titoli di stato e così via) per eliminare il rischio specifico; e poi
b) SECONDO LIVELLO: sceglierlo il mix più equilibrato per me tra asset più rischiosi e asset meno rischiosi. E come si fa a scegliere il miglior mix PER ME, lo capiremo in parte già oggi, in parte via via nei prossimi video.
Capito? Diversifico per eliminare il rischio specifico e per scegliere il livello di rischio sistematico che sono disposto a correre.
In questa roba c’è già dentro praticamente tutta l’essenza della teoria del portafoglio, cioè del modo giusto in cui si deve investire.
Quando guardo il mix di strumenti in cui sto investendo devo chiedermi:
– UNO: ho diversificato abbastanza per non avere rischio specifico? E poi
– DUE: ho diversificato correttamente tra asset rischiosi e asset meno rischiosi rispetto a ciò che penso sia giusto per la mia situazione?
Per quanto riguarda il primo punto, a partire dal video sette spiegheremo cosa sono gli ETF e in che modo permettono di investire in maniera estremamente semplice ed efficiente in ampi indici di azioni, obbligazioni, materie prime e così via, proprio per ridurre al minimo il rischio specifico.
Per quanto riguarda il secondo, invece, proviamo a fare ora un ragionamento molto essenziale, ma che già contiene tutti gli elementi di base della teoria finanziaria.
Semplificando al massimo, in finanza ci si chiede: qual è l’investimento con il minor rischio possibile che mi posso assumere?
Per convenzione titoli di stato a breve scadenza e ad alto rating come quelli di Stati Uniti, Germania, Australia, Svizzera e così via sono considerati quasi senza-rischio, perché il mercato ritiene quasi impossibile che questi Stati non siano in grado di pagare gli interessi dovuti e rimborsare il capitale.
Solitamente i titoli di stato a breve scadenza hanno un rendimento molto vicino a quello dei tassi di interesse della propria banca centrale.
Ora, il mercato nel suo insieme dice?
Dice: se quello è l’investimento meno rischioso possibile e in questo momento rende x%, allora tutti gli altri strumenti di investimento dovranno rendere x% PIU’ UN QUALCHE COSA.
Per esempio:
– I titoli di Stato che scadono tra 10 anni sono più rischiosi di quelli che scadono tra un anno. La cosa è intuitiva ma nel prossimo video la spieghiamo bene. Se sono più rischiosi, in questo caso il PIU’ UN QUALCHE COSA è il rischio tempo;
– invece prestare soldi ad una società è generalmente più rischioso che prestarli ad uno stato, perché possano fallire, quindi in questo caso il PIU’ UN QUALCHE COSA è il rischio default, il rischio che non siano in grado di ripagare i debiti.
– Infine le azioni sono ancora più rischiose, perché non ho nessuna garanzia di rendimento e se una società fallisce l’azionista è l’ultimo a essere risarcito, sempre che restino soldi. Il PIU’ UN QUALCHE COSA nel caso delle azioni è il rischio d’impresa, chiamiamolo così.
In finanza, questo PIU’ UN QUALCHE COSA ha un nome: si chiama PREMIO AL RISCHIO.
Quando io investo in uno strumento finanziato, la mia aspettativa di rendimento sarà sempre la somma tra il rendimento base di riferimento (quello dell’asset senza rischio di turno) e il premio al rischio.
Ora, diciamo DUE COSE sul premio al rischio.
Intanto non è fisso e non è un valore noto, se non a posteriori. È una conseguenza del fatto che, per natura, noi esseri umani siamo avversi al rischio e quindi richiediamo un maggior compenso per assumercelo.
Però è noto che la nostra predisposizione al rischio cambia nel tempo e per esempio è inferiore durante una crisi economica e invece è maggiore alla fine di un lungo boom, per un mix sia di fattori oggettivi che di fattori psicologici di cui avremo modo di parlare più avanti.
Comunque se ci pensate è intuitivo:
– Nel 2009 dopo la Grande Crisi Finanziaria che ha disintegrato i mercati e l’economia, pochi erano disposti ad investire e quindi il premio al rischio era molto elevato;
– Ancora oggi, invece, dopo praticamente 15 anni di grande crescita quasi ininterrotta dei mercati, c’è molto ottimismo, molta più predisposizione ad investire e quindi il premio al rischio è più contenuto.
La seconda cosa da dire sul premio al rischio è che, appunto, premia il “rischio”. Ma il rischio, per essere tale, non può essere solo teorico, deve essere una reale possibilità. Questo significa che, maggiore è il rischio che scelgo di assumermi, maggiori saranno anche sia il rendimento atteso sia la possibilità che questo rendimento alla fine non si realizzi.
Sembra paradossale, ma se ci pensate ha senso.
All’inizio abbiamo detto che in finanza il rischio è associato alla varianza, cioè alla volatilità di un investimento nel breve periodo.
Però se si trattasse solo di questo, cioè se si trattasse solo di sopportare la volatilità nel breve e poi fossi certo al 100% di avere un maggior rendimento nel lungo termine, non sarebbe un vero rischio e quindi questo maggior rendimento non sarebbe giustificato.
Invece, proprio il fatto che nessuno mi garantisce alla fine che un investimento più rischioso renderà davvero di più, è esattamente il motivo il mio rendimento atteso sarà maggiore.
Sì lo so ci vuole un attimo, ma poi tranquilli che sta cosa si capisce.
Per essere più precisi dovremmo precisare la differenza tra RISCHIO e INCERTEZZA, che qui stiamo usando come sinonimi.
Però per il momento non complichiamoci la vita.
Ora, ultimo passaggio.
A dicembre è venuto a trovarmi nel mio podcast Eugene Fama, premio Nobel per l’economia e padre della finanza moderna.
Per chi volesse rivivere quel momento memorabile può ascoltarsi l’episodio 164.
In oltre 50 anni carriera accademica, Fama ha prodotto una quantità impressionante di ricerche e avremo spesso modo di trovarlo lungo la nostra strada.
La cosa più importante da portarsi a casa oggi è una delle sue idee più importanti per comprendere bene la finanza e come investire in maniera intelligente.
Grazie a Fama noi oggi diciamo che i mercati finanziari sono EFFICIENTI.
Qualcuno dirà “perfettamente efficienti”.
Altri diranno, con più buon senso, “prevalentemente efficienti”.
Però il punto qual è?
Efficienti vuol dire che i prezzi attuali degli asset quotati in quel mercato riflettono ogni informazione nota.
I prezzi di un’azione, di un titolo di stato, di un’obbligazione e così via si muovono costantemente per riflettere tutte le informazioni disponibili a tutti gli investitori.
Di conseguenza è quasi impossibile — e sottolineo il quasi — è quasi impossibile scovare delle opportunità sul mercato, dove “opportunità” vuol dire una cosa in cui rischio poco e guadagno tanto. Se esistesse una cosa del genere, gli investitori se ne renderebbero conto subito, si fionderebbero ad investirci, farebbero salire i prezzi, ridurrebbero i rendimenti attesi e quindi l’opportunità sparirebbe subito.
Questo naturalmente non significa che i prezzi siano sempre corretti rispetto a ciò che succederà in futuro.
Significa solo che, sulla base delle informazioni che abbiamo in ogni dato momento, non è possibile dire se il prezzo di un asset sia troppo alto o troppo basso.
È quello lì perché esprime quello che tutti gli investitori pensano, ossia riflette il rendimento atteso dagli investitori nel futuro e il rischio che comporta.
Un’implicazione molto forte di questa cosa è che è estremamente difficile, si dice, “battere il mercato”.
Cioè cosa significa?
Cosa fa un investitore professionale o un gestore di fondi comuni di investimento?
Fa ricerca, studia, analizza, crea modelli, fa stime etc. etc. per cercare di scovare le migliori opportunità, investire solo nelle migliori società, nelle obbligazioni che hanno un prezzo più conveniente e così via.
Il problema è che questa cosa è estremamente difficile da fare.
Per tre fondamentali ragioni.
La prima è questa.
Ammettiamo che il mercato azionario americano, l’S&P 500, in un dato anno sia cresciuto del 10%.
Se io il primo gennaio avessi investito in tutte le 500 società dell’indice in maniera proporzionale al loro peso di mercato avrei ovviamente anch’io ottenuto un rendimento del 10%, facciamo finta che non ci siano costi d’investimento, tasse e così via.
Se però avessi voluto provare ad ottenere di più, avrei dovuto indovinare quali sarebbero state le società che sono poi effettivamente andate e meglio ed evitare di investire in quelle che sono andate peggio.
Ora però facciamo un esempio super semplificato.
Diciamo che il mercato è fatto di sole 3 società, che ogni società ha emesso 3 azioni ciascuna e che ci sono solo 3 investitori.
Abbiamo la società A, la società B e la società C, ciascuna con tre azioni e i tre investitori, che chiamiamo Aldo, Giovanni e Giacomo.
L’unica cosa che possono fare tutti e tre contemporaneamente è decidere di avere ciascuno un’azione di ciascuna società.
Se però Giovanni dicesse: “NO io non voglio copiare il mercato, voglio batterlo e penso che la società A sia meglio della società C”, allora vorrà avere più azioni di A e zero azioni di C.
Giacomo invece la vede all’esatto opposto di Giovanni — come sempre — e quindi è disposto a vendere a Giovanni la sua azione di A e di comprare da Giovanni la sua azione di C.
Aldo invece vuole tenersi le sue tre azioni delle sue società.
In questo modo ora abbiamo:
– Aldo che ha tutto il mercato, ossia un’azione di ciascuna società;
– Giovanni che ha 2 azioni di A, 1 di B e zero di C e
– Giacomo che ha 0 azioni di A, 1 di B e 2 di C.
Alla fine dell’anno le tre azioni avranno reso:
– A: +25%,
– B: +10% e
– C: -5%
Media del mercato: +10%
Come è andata ai tre nostri investitori immaginari?
– Aldo, che aveva tutto il mercato, ha fatto il +10%
– Giovanni, che ci ha visto bene, avrà ottenuto il +18% e infine il povero
– Giacomino avrà ottenuto appena il 2%.
Naturalmente la media dei rendimenti di tutti gli investitori deve sempre coincidere con la media del mercato, al netto dei costi.
Cosa dice quest’esempio molto semplificato: ci dice che tutti gli investitori sono in competizione tra loro per cercare di battere il mercato, ma per uno che vince ne serve uno che perde.
Investire però non è gratis, ci sono costi da sostenere per comprare e vendere i titoli, il gestore deve essere pagato, gli analisti che fanno le ricerche vanno pagati, così come tutta la struttura che poi deve andare a vendere i vari prodotti di investimento.
Esiste un’enorme quantità di ricerca che ha ormai dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che una volta che si considerano tutti questi costi, il numero di investitori che riesce davvero, al netto di costi, a fare meglio del mercato che vuole battere è irrisorio.
C’è poi un secondo motivo.
È stato dimostrato, in particolare dal professor Hendrik Bessembinder dell’Università dell’Arziona, che per esempio nei mercati azionari pochissime società fanno profitti esagerati e quindi hanno rendimenti pazzeschi, mentre la stragrande maggioranza delle azioni ha un rendimento di lungo termine mediocre.
Per esempio negli ultimi 30 anni, le azioni di appena 5 aziende, Apple, Microsoft, Google, Amazon e Tencent hanno creato il 10% di tutta di ricchezza generata da oltre 64.000 azioni globali. In generale, Bessembinder ha scoperto che il rendimento del mercato azionario dipende dalla performance di circa il 2% delle sue società più di successo.
Di conseguenza, la probabilità che un investitore manchi una di queste nelle sue previsioni e quindi comprometta tutto il suo rendimento futuro è estremamente elevata.
C’è poi un terzo fatto.
Fare previsioni è molto complicato, soprattutto sul futuro, come forse disse il fisico Niels Bohr.
E per quanto un investitore professionale sia geniale nelle sue previsioni, ogni due per tre arriva una guerra, una pandemia, un vulcanico presidente che vuole riformare il commercio globale e via dicendo.
E questo fa sì che tutte le tue bellissime previsione giustissime fino al giorno prima vadano a farsi benedire.
La prova empirica difficilmente confutabile del fatto che è quasi impossibile prevedere in anticipo il comportamento futuro dei mercati si trova in un report annuale di Standard and Poor’s chiamato “SPIVA Scorecard”, che calcola, per ciascuna categoria di investimento, quanti fondi gestiti da investitori professionali è effettivamente riuscito a battere il proprio mercato riferimento negli ultimi 1, 3, 5, 10 anni.
Ogni anno, puntualmente, i dati confermano come la stragrande maggioranza degli investitori professionali che gestiscono fondi di azioni o obbligazioni non riesce a battere l’Aldo di turno del nostro esempio al netto dei costi.
Per esempio, negli ultimi 10 anni il 97% dei fondi europei che investono nel mercato azionario globale hanno reso meno della media del mercato azionario globale stesso. Ma i numeri puntano tutti nella stessa direzione anche per altri benchmark di azioni o obbligazioni.
Vedremo infatti presto, giusto qualche video dopo di questo, perché per un investitore privato investire usando strumenti “passivi” — ETF in particolare — che cioè copiano interi mercati azionari e obbligazionari, senza prendersi nessuna scommessa sia la migliore decisione che possa prendere.
Ora, se non vi ho cotto troppo il cervello, facciamo un brevissimo riassunto di quanto abbiamo detto prima di passare all’ultimo punto di oggi:
1. investire significa mettere insieme un portafoglio di asset diversificati, per ridurre il rischio specifico (per esempio non comprerò solo le azioni di Nvidia o di Tesla, comprerò tutte le principali azioni di tutti principali mercati);
2. in secondo luogo, si tratta di identificare il livello di rischio sistematico che vogliamo assumerci, bilanciando il giusto mix tra asset rischiosi (come ad esempio azioni) e asset a basso rischio (come ad esempio titoli di Stato), poco correlati tra loro, a seconda di quanto rischio voglio prendermi e del rendimento che mi aspetto di ottenere;
3. in terzo luogo, si tratta prevalentemente di investire in strumenti che copiano interi mercati rischiosi (come indici azionari) e meno rischiosi (come indici obbligazionari), minimizzando i costi di investimento e avvicinandosi il più possibile al rendimento dei mercati di riferimento, dato che provare a fare meglio di così è il più delle volte una scommessa persa. Il nostro investitore modello è sempre Aldo.
Prima di chiudere, però, c’è un ultimo tema da smarcare sul discorso del rischio.
Ok abbiamo capito che rischio e rendimento sono legati.
Non si può barare in finanza.
Se voglio guadagnare di più devo rischiare di più, se voglio rischiare di meno guadagnerò di meno.
Ci asset meno rischiosi come i titoli di Stato e asset più rischiosi come le azioni.
Ma come faccio a sapere qual è la quantità giusta di rischio per me?
Allora, dovremo tornare più avanti su quest’argomento una volta che avremo tutti gli elementi chiari in testa e avremo ben capito cosa sono le varie asset class, come funzionano, quali sono i loro rendimenti storici e i rendimenti attesi per il futuro e così via.
Però lasciando un attimo da parte il discorso finanziario del rischio come volatilità e misura dell’incertezza, dal punto di vista pratico, invece il rischio va considerato da tre punti di vista che sono:
– UNO: la mia tolleranza al rischio, ossia la mia attitudine a sopportare che il valore dei miei investimenti possa oscillare in ma niera più o meno significativa nel tempo; se sono disposto ad accettare che ogni tanto il valore dei miei investimenti scenda al massimo del 10% potrò investire in modo poco rischioso, viceversa se posso tollerare oscillazioni anche del 40-50% potrò investire in modo molto rischioso;
– DUE: la mia capacità di assumermi rischi, che dipende da quanto è lungo il mio orizzonte di investimento; se investo a breve termine non potrò permettermi grandi rischi, mentre se investo a lungo termine posso permettermi molti più rischi, perché se becco una crisi finanziaria avrà tempo per aspettare che i mercati si riprendano e tornino a portare rendimenti positivi (questa l’ho detta un po’ così all’acqua di rose, la spiegheremo meglio);
– Infine c’è il numero TRE: la mia necessità di assumermi rischi, ossia quanto sono disposto a rischiare per fare crescere di un certo valore il mio capitale.
L’accezione statistica di rischio mi dà la “misura” di quanto un certo investimento sia volatile. Le tre accezioni pratiche invece mi fanno capire la quantità di rischio adatta a me come investitore.
La combinazione di queste tre attitudini soggettive, quindi: tolleranza, capacità e necessità, il rischio che voglio, posso e devo prendermi, sarà esattamente ciò che mi farà capire quale portafoglio sarà più adatto a me, alla mia sfera emotiva e agli obiettivi della mia vita.
Episodio denso oggi, me ne rendo conto.
Abbiamo aperto una svalangata di porte e vedrete che pian piano le chiuderemo tutte.
L’importante è aver compreso l’unica cosa fondamentale.
Investire significa innanzitutto decidere in maniera consapevole e pianificata il livello di rischio che mi voglio prendere.
Questa è la decisione più importante di tutte.
Da qui in poi è tutto in discesa — e investire diventa immediatamente molto meno spaventoso e stressante di quel che si pensa.
Ora però che abbiamo descritto la cornice generale, bisogna riempirla di contenuto, ossia dobbiamo capire in che cosa possiamo effettivamente investire, cioè quali sono le principali asset class e come si comportano — che sarà esattamente ciò di cui parleremo nei prossimi 3 video dedicati rispettivamente a:
– Obbligazioni
– Azioni
Che sono le due più importanti,
– E poi tutte le altre, come oro, materie prime, fondi immobiliari e criptovalute.
Spero che l’episodio vi sia piaciuto e anche se non vi è piaciuto ma un minimo ci siamo fatti due risate vi invito a iscrivervi al canale, mettere like, attivare le notifiche per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi smartellano i cosiddetti per mezzora sul concetto di rischio affinché nella vostra vita possiate prendervi solo i rischi migliori e non fare la fine del Cappone a Natale sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo nel prossimo video dedicato alla prima delle due asset classe regine, le obbligazioni! Sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025